Brevi note storiche sui Sinodi della diocesi di Como...Il primo sinodo della diocesi di Como,...

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1 Brevi note storiche sui Sinodi della diocesi di Como Introduzione Da poco è stato diffuso lo “Strumento per la consultazione” in vista della celebrazione dell’XI Sinodo della diocesi di Como, indetto dal Vescovo, mons. Oscar Cantoni, sul tema della MISERICORDIA. Può essere una giustificata curiosità voler sapere quando, e sotto quali vescovi, e con quali finalità, e come si sono svolti i dieci sinodi precedenti. Possiamo cogliere anche analogie e differenze di modalità, di contenuti, di mentalità, di clima religioso, di rapporti all’interno del clero, e tra il clero e i fedeli. Alcuni particolari e alcuni provvedimenti ci sembreranno lontani dalla nostra sensibilità e dal nostro tempo, altri ci potranno far sorridere, qualcuno forse potrà far rimpiangere il tempo passato, tutti dovrebbero farci capire che ciascuno deve amare il suo tempo. Ci potrà sorprendere, ad esempio, il tenore di certi ordini o di certi divieti, oppure il fatto che i laici non erano ammessi alle sedute. Si potrà ricavare l’impressione di sbrigatività, perché i sinodi si sono svolti tutti nel giro di pochi giorni, o, al contrario, certe minuziosità o sottili distinzioni potranno sembrarci capziosa pedanteria. Potrà sembrare che a volte ci si fidasse eccessivamente degli uomini, o della loro autorità, e a volte si riportasse tutto al volere di Dio e della sua Provvidenza. Ma incominciamo con l’elencare i dieci sinodi che precedono il nostro, indicando l’anno e il nome del Vescovo che l’ha indetto: I: 1565 (Gian Antonio Volpi) II: 1579 (Gian Antonio Volpi) III: 1598 (Filippo Archinti) IV: 1618 (Filippo Archinti) V: 1633 (Lazzaro Carafino) VI: 1672 (Ambrogio Torriani) VII: 1686 (Carlo Ciceri) VIII: 1904 (Teodoro Valfrè di Bonzo) IX: 1942 (Alessandro Macchi) X: 1953 (Felice Bonomini) Il primo sinodo è, per così dire, figlio del Concilio di Trento, terminato nel 1563. Esso, tra i provvedimenti relativi alla disciplina della Chiesa, disponeva anche che i Vescovi riprendessero la tradizione antichissima, ma praticamente interrotta da tempo, di celebrare i sinodi nelle loro diocesi. Su questa tradizione antichissima si inseriscono, per la diocesi di Como, le notizie di almeno due sinodi, nettamente distanziati. Il primo si tenne, sotto il vescovo Alberico, nel luglio del 1013, per trattare soprattutto questioni relative ai cenobi, mentre con il secondo, del 1342, il vescovo Bonifazio da Modena, tra l’altro, pose un freno ad abusi che erano frequenti durante le veglie precedenti le feste, e durante le rogazioni itineranti. Quando oggi parliamo di XI Sinodo, ci riferiamo dunque, con la numerazione, a quelli che si sono celebrati dopo il Concilio di Trento. Si è parlato invero di XI Sinodo anche quando il vescovo mons. Maggiolini indisse nel 2002 un sinodo, che però non venne nemmeno aperto, nonostante la lunga preparazione. Non sono pochi coloro che ricordano di aver partecipato alle consultazioni preliminari, o anche alla redazione dell’“Instrumentum laboris” nel 2003, mentre è difficile che sia ancora vivo qualcuno dei sacerdoti che hanno partecipato all’ultimo Sinodo celebrato, il X, del 1953.

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Brevi note storiche sui Sinodi della diocesi di Como

Introduzione Da poco è stato diffuso lo “Strumento per la consultazione” in vista della celebrazione dell’XI Sinodo della diocesi di Como, indetto dal Vescovo, mons. Oscar Cantoni, sul tema della MISERICORDIA. Può essere una giustificata curiosità voler sapere quando, e sotto quali vescovi, e con quali finalità, e come si sono svolti i dieci sinodi precedenti. Possiamo cogliere anche analogie e differenze di modalità, di contenuti, di mentalità, di clima religioso, di rapporti all’interno del clero, e tra il clero e i fedeli. Alcuni particolari e alcuni provvedimenti ci sembreranno lontani dalla nostra sensibilità e dal nostro tempo, altri ci potranno far sorridere, qualcuno forse potrà far rimpiangere il tempo passato, tutti dovrebbero farci capire che ciascuno deve amare il suo tempo. Ci potrà sorprendere, ad esempio, il tenore di certi ordini o di certi divieti, oppure il fatto che i laici non erano ammessi alle sedute. Si potrà ricavare l’impressione di sbrigatività, perché i sinodi si sono svolti tutti nel giro di pochi giorni, o, al contrario, certe minuziosità o sottili distinzioni potranno sembrarci capziosa pedanteria. Potrà sembrare che a volte ci si fidasse eccessivamente degli uomini, o della loro autorità, e a volte si riportasse tutto al volere di Dio e della sua Provvidenza. Ma incominciamo con l’elencare i dieci sinodi che precedono il nostro, indicando l’anno e il nome del Vescovo che l’ha indetto: I: 1565 (Gian Antonio Volpi) II: 1579 (Gian Antonio Volpi) III: 1598 (Filippo Archinti) IV: 1618 (Filippo Archinti) V: 1633 (Lazzaro Carafino) VI: 1672 (Ambrogio Torriani) VII: 1686 (Carlo Ciceri) VIII: 1904 (Teodoro Valfrè di Bonzo) IX: 1942 (Alessandro Macchi) X: 1953 (Felice Bonomini) Il primo sinodo è, per così dire, figlio del Concilio di Trento, terminato nel 1563. Esso, tra i provvedimenti relativi alla disciplina della Chiesa, disponeva anche che i Vescovi riprendessero la tradizione antichissima, ma praticamente interrotta da tempo, di celebrare i sinodi nelle loro diocesi. Su questa tradizione antichissima si inseriscono, per la diocesi di Como, le notizie di almeno due sinodi, nettamente distanziati. Il primo si tenne, sotto il vescovo Alberico, nel luglio del 1013, per trattare soprattutto questioni relative ai cenobi, mentre con il secondo, del 1342, il vescovo Bonifazio da Modena, tra l’altro, pose un freno ad abusi che erano frequenti durante le veglie precedenti le feste, e durante le rogazioni itineranti. Quando oggi parliamo di XI Sinodo, ci riferiamo dunque, con la numerazione, a quelli che si sono celebrati dopo il Concilio di Trento. Si è parlato invero di XI Sinodo anche quando il vescovo mons. Maggiolini indisse nel 2002 un sinodo, che però non venne nemmeno aperto, nonostante la lunga preparazione. Non sono pochi coloro che ricordano di aver partecipato alle consultazioni preliminari, o anche alla redazione dell’“Instrumentum laboris” nel 2003, mentre è difficile che sia ancora vivo qualcuno dei sacerdoti che hanno partecipato all’ultimo Sinodo celebrato, il X, del 1953.

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I Sinodo diocesano (1565) Il primo sinodo della diocesi di Como, celebrato dopo il concilio di Trento, si tenne, sotto il vescovo Gian Antonio Volpi, dal 16 al 18 maggio del 1565. Il Volpi, vescovo di Como dal 1559, era stato presente a Trento nell’anno conclusivo del concilio (1563), e provvide ben presto ad indire il sinodo diocesano, che apparve lo strumento privilegiato per far conoscere al clero i decreti del concilio di Trento. Ma il sinodo servì anche per pubblicare le disposizioni disciplinari che il vescovo aveva già emanato per la sua diocesi nel 1561. Fu il prevosto della cattedrale, Giovanni Paolo Malacrida, ad introdurre i lavori veri e propri, illustrando alcune dottrine messe in discussione dai protestanti, ed alcuni aspetti della riforma della Chiesa, propugnati dal concilio da poco concluso. Furono letti alcuni decreti del concilio tridentino, e seguì la professione di fede dei preti presenti. (Ricordiamo che al sinodo partecipava soltanto il clero, mentre i fedeli furono ammessi solo quando venne data lettura del “casi”, cioè dei peccati “riservati” al vescovo per l’assoluzione). Vennero quindi lette le 57 costituzioni emanate dal vescovo nel 1561, con l’aggiunta di altre tredici, ed infine furono nominati i testimoni e gli esaminatori sinodali. Il sinodo si incentrò principalmente su tre aspetti: la dottrina, la cura d’anime e la disciplina. Per quanto riguarda la dottrina, fu data lettura dei decreti del concilio “de iustificatione”, e di quelli sui sacramenti, sul purgatorio, sul culto dei morti, sulle indulgenze. Poi i preti presenti, almeno trecento, si portarono ad uno ad uno davanti al vescovo, si inginocchiarono, e, ponendo le mani congiunte in quelle del presule, promisero “subiectionem, oboedientiam et reverentiam”. Per quanto riguarda la cura d’anime, furono scelte alcune costituzioni tridentine sul compito e sulle funzioni specifiche dei parroci, poi seguì la testimonianza del prevosto di San Fedele, Nicola Lucini, il quale si dilungò su come si celebravano i sacramenti, ma confessò anche di aver incontrato qualche difficoltà nella predicazione; gli altri parroci si associarono alla sua testimonianza. Per quanto riguarda la disciplina, può essere utile ed interessante soffermarsi più a lungo sulle costituzioni già emanate dal vescovo Volpi nel 1561, e ora riproposte con maggiore solennità. Le prime 14 erano per tutti gli ecclesiastici, e miravano a contrastare i vizi più diffusi e a creare una “figura” che fosse ben riconoscibile, e ben distinta dallo stile di vita della società del tempo; riguardavano il comportamento personale (abito, tonsura, proibizione di svolgere attività “profane”, di frequentare le osterie, eccetera) e i compiti propri del ministero (è significativo l’obbligo della residenza, con il divieto per i parroci di allontanarsi dalle loro chiese per più di tre giorni, salvo permesso particolare del vescovo). Cinque costituzioni erano dedicate esclusivamente ai canonici, mentre la ventesima era riservata ai parroci, con molti richiami sui sacramenti, sull’eucaristia da tenere in chiesa in luogo sicuro e pulito, su varie forme di vigilanza, e, per esempio, sulla proibizione di chiedere pene pecuniarie nelle confessioni. Seguivano norme disciplinari sulle processioni, sulle confraternite, e perfino sul dovere per i notai di evitare contratti usurai. Tra le costituzioni rivolte direttamente al popolo, ci limitiamo a segnalare quella che impegnava i maestri a sottoporsi, davanti al vescovo, ad un esame sulla loro fede e i loro costumi. I provvedimenti, gli ordini e i divieti sono stati davvero molti; certamente non tutto è andato a buon fine, ma un miglioramento sul piano dottrinale e disciplinare si è verificato.

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II Sinodo diocesano (1579) A distanza di 14 anni dal primo, il vescovo Volpi celebrò un nuovo sinodo nel 1579. Il punto di riferimento fondamentale erano sempre i decreti del concilio di Trento, ma nel frattempo, proprio in esecuzione di essi, si era svolta a partire dal giugno 1578 la “visita apostolica” della diocesi, affidata dal papa Gregorio XIII al vescovo di Vercelli, Giovanni Francesco Bonomi. Tale visita, incominciata dalla città di Como e dai sobborghi, fu estesa poi, nel giro di pochi mesi, a tutte le pievi, comprese quelle della Valtellina, dove il Volpi non si era mai potuto recare per l’opposizione delle autorità civili dei Grigioni. Il vescovo Bonomi provvide ai bisogni delle chiese, controllò la riforma della disciplina e si preoccupò dei costumi del clero, ed alla fine fece stampare in latino i decreti generali per tutta la diocesi. Il sinodo si svolse dal 3 al 5 settembre, secondo un rituale che diventa canonico: in particolare, santa Messa dello Spirito Santo, disposizioni per mantenere l’ordine tra i presenti, processione per le vie della città, lettura dei decreti tridentini, testimonianza di un parroco su come veniva svolto l’ufficio pastorale. Come già nel primo sinodo, prevalse di gran lunga la lettura e l’illustrazione dei decreti rispetto ad un vero e proprio dibattito. Il discorso preliminare fu pronunciato dal prevosto di San Fedele, Cristoforo Salici, che si soffermò su come la Chiesa e la sua organizzazione rispecchiavano la volontà di Cristo. Evidentemente lo scopo principale era quello di educare il clero, il quale aveva spesso una formazione carente, e non sempre si dimostrava in grado di guidare il popolo; di riflesso e in misura minore l’attenzione era rivolta ai fedeli, anche se oggi la nostra curiosità è più attratta dalle disposizioni riferite alla gente comune. Per quanto riguarda, in particolare, la disciplina, le costituzioni adottate riprendono sia gli editti già emanati dal vescovo Volpi negli anni precedenti, sia i decreti della visita apostolica del Bonomi. Tra gli editti del Volpi se ne possono ricordare tre abbastanza recenti: il primo sull’osservanza delle feste, con l’indicazione minuziosa delle attività commerciali ed economiche che erano o non erano permesse, compresa la disposizione che la pesca si poteva svolgere solo “in quelle feste, a le quali succeda altra festa, ne la quale sia prohibito il mangiar carne”; un secondo, su ciò che fosse proibito a tutti fare in giorno di festa, con particolare riferimento al divieto di balli, giochi e simili; il terzo sul modo di comportarsi in chiesa, eliminando gli abusi, dal parlare “sporcamente” al ridere smodatamente o al passeggiare durante la messa o gli uffici divini. L’influsso dei decreti del Bonomi si riscontra anche nella forma della trattazione: non più un elenco di punti (57 + 13 nel sinodo del 1565), ma un’esposizione divisa per argomenti. E tra gli argomenti hanno ampio spazio i capitoli dedicati ai parroci, alla vita e all’onestà dei chierici, alla cura delle chiese e dei loro beni. Gli atti dei due sinodi (1565 e 1579) del vescovo Volpi vennero pubblicati anche a stampa (“Acta primae et secundae sinodi dioecesis Comensis”: la parola “sinodus” o “synodus” in latino è femminile), e a Como se ne conservano almeno sei copie, due nell’Archivio storico della diocesi, due nella Biblioteca del Seminario e due nella Biblioteca comunale. Un esame accurato degli atti dei due sinodi porterebbe, dicono gli specialisti, ad evidenziare un’analogia di temi, ma una diversità nella forma e soprattutto nel contenuto, che tende a recepire meglio le esigenze e lo spirito del concilio di Trento.

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III Sinodo diocesano (1598) Era da poco vescovo di Como, Filippo Archinti, quando celebrò nel settembre del 1598 quello che è elencato come terzo sinodo diocesano, e che si svolse con le modalità solite. Furono sempre i decreti del concilio di Trento ad essere proposti o riproposti, per l’attuazione, ma in questo caso c’era anche il filtro del concilio “provinciale” aquileiese, tenutosi ad Udine dal 19 al 27 ottobre del 1596, al quale il vescovo Archinti aveva partecipato attivamente, e pugnacemente, anche se aveva dovuto cedere alla determinazione del patriarca Barbaro, almeno per quanto riguarda il cosiddetto rito “patriarchino”. Di che cosa si trattava? La diocesi di Como, dipendendo fin dal secolo VII dal patriarcato di Aquileia, seguiva per la liturgia l’ordinamento proprio della Chiesa di Aquileia, detto “patriarchino”. Però, a seguito del concilio di Trento, era stata imposta l’adozione del breviario romano a tutte le chiese, a meno che ci fossero un esplicito riconoscimento da parte di Roma o una consuetudine di antichità di almeno duecento anni. Ebbene, tali eccezioni esistevano entrambe a favore della diocesi di Como, e pertanto, durante il concilio “provinciale” aquileiese, il vescovo Archinti si oppose energicamente al decreto di adozione del rito romano per tutta la “provincia”. Il patriarca però fu inflessibile, e richiamò anche recentissime disposizioni romane, riferite proprio alla situazione di Como. Unica concessione fu una dilazione nei termini di adeguamento alle disposizioni emanate. La questione (rito romano al posto del rito “patriarchino”) tenne banco nel sinodo diocesano del 1598, dove il canonico Settimio Ciceri pronunciò una serrata requisitoria contro il provvedimento del concilio “provinciale”, ottenendo almeno che si inoltrasse un ricorso a Roma, il quale però non ebbe esito positivo. Anche per Como, dunque, veniva pubblicato di lì a poco il rituale romano. Lo stesso canonico Settimio Ciceri fu ancora protagonista, durante il sinodo, quando venne presentata una raffica di editti, giudicati troppo severi, che riprendevano alcune disposizioni precedenti del vescovo Archinti sulla disciplina del clero, sul rispetto delle procedure, sull’osservanza delle feste, e su altre cose; il Ciceri prese la parola, nonostante la volontà contraria del vescovo, e chiese che venissero moderate alcune censure canoniche, che erano dettagliatamente previste. Al centro dell’attenzione del sinodo rimase ancora la condizione del clero, a partire dalla sua formazione iniziale e dalla necessità di un aggiornamento costante. Della continua attualità di questo problema è testimonianza anche la ferma intenzione del vescovo Archinti di istituire la prebenda, presso la cattedrale, per un teologo predicatore, che doveva tenere “due lettioni la settimana de casi di coscienza”, alle quali avevano l’obbligo di partecipare il capitolo e il clero della città. A questo III sinodo del 1598 fu presente, finalmente, anche il clero della Valtellina, che prima non aveva mai ottenuto dalle autorità politiche dei Grigioni il permesso di venire a Como. Nel territorio dei Grigioni, che comprendeva anche la Valtellina, era, infatti, molto diffuso il protestantesimo, e spesso si verificava un contrasto in cui era coinvolto il potere civile. Con la presenza del clero valtellinese, che, tra l’altro, diede un esempio encomiabile di fede e di serietà, il numero degli ecclesiastici partecipanti al sinodo arrivò a circa ottocento. Gli atti del III sinodo non furono pubblicati a stampa, ma li sostituì l’edizione comense del già citato concilio “provinciale” di Aquileia.

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IV Sinodo diocesano (1618) Il Concilio di Trento aveva raccomandato che la celebrazione dei sinodi diocesani fosse annuale, ma la realtà fu ben diversa. E’ vero che nella diocesi di Milano, mentre era arcivescovo San Carlo Borromeo, e, ad esempio, in quelle di Vercelli e di Bologna, se ne celebrarono subito almeno uno ogni due anni, ma quasi dovunque le cose andavano come a Como. Passarono vent’anni prima che il vescovo Filippo Archinti indicesse il suo secondo sinodo, il quarto della serie diocesana. Esso si svolse nel maggio del 1618, quando l’Archinti, quasi settantenne, era ormai al termine della sua missione episcopale. Alcune modalità ed alcune cerimonie erano diventate tradizione, come ad esempio, la durata di tre giorni (16-18 maggio), suddivisi in sessioni mattutine e pomeridiane, la Messa solenne “dello Spirito Santo”, le processioni, la lettura dei decreti, e la nomina, al termine del sinodo, degli “esaminatori”, cioè di coloro che dovevano verificare l’idoneità dei candidati ai benefici con cura d’anime, a mano a mano che si rendevano vacanti. A proposito di processioni, sorse un contenzioso, che si trascinerà per molti decenni, tra il Vescovo e il Capitolo della Cattedrale circa l’obbligo che i canonici accompagnassero in forma ufficiale il vescovo dal palazzo vescovile al Duomo e poi nel ritorno. Qualche lamentela riguardò anche la distribuzione dei posti in Duomo, per esempio da parte dei domenicani di San Giovanni, che non si ritenevano trattati in modo adeguato alla loro dignità. Come sempre, la partecipazione era riservata ai soli ecclesiastici, ma questa volta il loro numero fu inferiore rispetto al sinodo del 1598, perché fu assente il clero della Valtellina, ad eccezione di due o tre membri. Infatti, si era purtroppo acuita la tensione con le autorità civili dei Grigioni che, più vicine alla Chiesa riformata protestante, talvolta mettevano ostacolo ai cattolici. E’ esplicita in tal senso la proibizione “sotto pena di mille scudi” del Governatore di Sondrio (21 aprile 1618) “a qual si voglia religioso” di recarsi al sinodo; vi era aggiunto: “s’essi religiosi desiderano congregatione et fare sinodo, se gli permette et concede possin fare detta sinodo nel vescovato di Coira”. Pertanto il clero della Valtellina non poté partecipare proprio a quel sinodo, che veniva celebrato a non molta distanza dalla storica visita pastorale del vescovo Archinti in Valtellina e Valchiavenna nell’inverno 1614-15. Fu appunto la visita pastorale all’intera diocesi, che durava da anni e non era ancora conclusa, ad offrire molti elementi di valutazione e di decisione al vescovo per il sinodo del 1618. Possiamo ricordare, tra i provvedimenti adottati, in primo luogo l’emanazione della tabella dei “casi riservati” cioè dei peccati, la cui assoluzione era riservata al vescovo, il quale però poteva delegare il penitenziere della Cattedrale per la città, ed i vicari foranei per le pievi. L’elenco, lungo e minuzioso fin dal primo sinodo, era stato poi, saggiamente, sfoltito e semplificato; basti pensare che, per il sinodo del 1565, tale elenco dei tipi di peccatori occupa, almeno nella traduzione dal latino riportata da uno storico dell’Ottocento, ben sessanta righe, partendo da “Quelli che non denunziassero al vescovo, o all’inquisitore gli eretici, scismatici, apostati, che i loro libri leggessero, stampassero o possedessero. I bestemmiatori, gl’incantatori, per patto esplicito o tacito coi demoni; i sortilegi, gl’indovini; quei che abusassero dei Sacramenti; gli spergiuri; quei che non celebrassero le feste comandate o introdotte da antica consuetudine o da voto...” (prime otto righe) e finendo con “...i falsi testimoni tanto nelle cause civili che criminali, sì nelle accuse che nelle difese; i falsificatori d’istrumenti o di checchessia con danno del terzo; chi inducesse altri a fare le dette falsificazioni; chi impedisse la deposizione de’ testimoni così nelle cause civili che criminali; finalmente tutti i delitti enormi e manifesti” (ultime sette righe). Ricordiamo poi le norme disciplinari circa la nomina dei cosiddetti “puntatori” nei Capitoli delle Collegiate, e le disposizioni sulla frequenza alla Pasqua, contenenti anche l’ordine di negare l’ingresso in chiesa a coloro che non avessero adempiuto il precetto pasquale. Come per il precedente sinodo, anche gli atti del sinodo del 1618 non ebbero un’edizione a stampa.

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V Sinodo diocesano (1633) Il quinto sinodo diocesano si svolse dal 18 al 20 settembre del 1633, a cura del vescovo Lazzaro Carafino, ma dobbiamo subito constatare che fu l’unico sinodo che egli celebrò, benché abbia governato come vescovo la diocesi di Como più di qualunque altro, per quasi quarant’anni, dal 1626 al 1665. Il Carafino si era impegnato fin dal 1626 in una accurata visita pastorale dell’intera diocesi, “in ogni luogo, anche de’ più alpestri”, e frutto di questa visita fu soprattutto la documentatissima e precisa relazione sullo stato della Chiesa comasca, che, secondo tradizione, venne presentata al sinodo e pubblicata negli “Atti”, e che conteneva notizie anche sugli scudi distribuiti dal vescovo in aiuto dei poveri e sulle contese con gli eretici, ad esempio a Chiavenna. Al sinodo fu posta appunto in primo piano l’urgenza della difesa della fede cattolica nei confronti degli eretici, soprattutto nelle zone già influenzate o confinanti con le regioni dove aveva preso piede il protestantesimo. La necessità di un controllo, poi, trovava realizzazione nella consuetudine di nominare, al termine di un sinodo, i testimoni sinodali, ai quali spettava il compito di verificare lo zelo degli ecclesiastici nell’osservanza dei decreti tridentini e delle costituzioni sinodali, e di segnalare al vescovo, o al futuro sinodo, la presenza di eretici o di colpevoli di crimini particolari. Si può dire, però, che furono presi in considerazione tutti gli aspetti che interessavano la Chiesa, il clero e i laici, anche perché nel corso della visita pastorale il vescovo aveva riscontrato non pochi abusi, compresi dei casi di simonia. I decreti del sinodo furono distinti in 35 capitoli, che riguardavano il culto divino, i doveri e la disciplina del clero, e l’amministrazione della Chiesa. Segnaliamo alcune disposizioni minute particolari: l’impegno per i predicatori di non creare scandalo dal pulpito con toni di invettiva, di invidia o di gelosia; l’obbligo per i fedeli di non entrare armati nelle chiese, dove deve innalzarsi il fumo dell’incenso e non quello della polvere da sparo; il divieto ai mendicanti di chiedere l’elemosina offrendo immagini, corone, reliquie o simili; la minaccia della scomunica per chi arrecasse pregiudizio alla immunità ecclesiastica; la rivendicazione della competenza del vescovo nella cause, anche civili o criminali o relative ai beni privati, riguardanti i chierici. Il sinodo, tra l’altro, appurò che i seminaristi della diocesi erano 285, di cui una parte erano ospitati nel collegio Gallio, che proprio pochi anni prima (1629) era stato, con decreto pontificio, trasformato in seminario; tale seminario non aveva la capienza per accoglierli tutti, però a Como dovevano presentarsi agli esami, conformemente alle prescrizioni del visitatore apostolico, anche quelli istruiti in scuole locali organizzate presso i capopieve principali. Tra gli altri dati significativi troviamo che i fedeli, “le anime” come si diceva allora, della diocesi erano 166.189, in forte calo per la decimazione provocata dalla peste, le chiese parrocchiali 282, le vice parrocchiali 26, i sacerdoti secolari 978, i frati 466, le monache 855. Il vescovo Carafino si dimostrò talvolta rigido nell’imporre l’osservanza dei suoi ordini, e nel difendere i diritti e il decoro della sua dignità. Il contrasto, già sorto in occasione del precedente sinodo, con il Capitolo della Cattedrale sulla volontà del vescovo che i canonici dovessero collegialmente recarsi al suo palazzo ed associarlo nella sua andata al Duomo, finì davanti alla Sacra Congregazione de’ Riti a Roma, e si sarebbe protratta per molti anni, anche con i successori. Agli “Atti” del sinodo, stampati nel 1634, sono collegati alcuni documenti importanti anche dal punto di vista storico. In primo luogo va citato un elenco, che ricostruisce la successione dei vescovi comensi, a partire dal primo, San Felice, basandosi su una documentazione di prima mano, dato che si utilizzavano anche inediti dell’archivio vescovile, che era stato sapientemente riorganizzato. Ma vi erano pure la tabella dei privilegi concessi da re e imperatori alla Chiesa di Como, incominciando da Liutprando, re dei Longobardi, nell’anno 721, ed inoltre alcune bolle dei Sommi Pontefici ed alcune dichiarazioni e decreti delle sacre Congregazioni romane. Si può concludere dicendo che certe situazioni nuove e certi decreti specifici non cancellano l’impressione che i sinodi, anche se celebrati a distanza di decenni, riproponevano molti temi simili.

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VI Sinodo diocesano (1672) Erano passati quasi quarant’anni dal quinto sinodo, quando il vescovo Ambrogio Torriani, successore del Carafino, celebrò nel 1672 il sesto sinodo, pochissimi anni prima che salisse al soglio pontificio l’unico papa comasco, il cardinale Benedetto Odescalchi, divenuto papa Innocenzo XI nel 1676. Il vescovo Torriani aveva appena concluso, in tre anni, una visita pastorale, giudicata proficua per il consolidamento della fede cattolica in alcune pievi in cui era penetrato il protestantesimo. Le procedure furono le solite, compresa la durata di tre giorni, dal 13 al 15 settembre, ma questa volta c’era stata una sollecitazione specifica a convocarlo, e cioè una lettera esortatoria da parte della Sacra Congregazione del Concilio. Con l’editto di indizione, emesso il 3 maggio, erano stati invitati tutti gli ecclesiastici della città e della diocesi, anche regolari, che avessero uffici, benefici, pensioni, titoli di qualunque sorta, o fossero ascritti al servizio di qualche chiesa. Si ha notizia anche di una convocazione previa di 6 canonici della Cattedrale, con i quali il vescovo voleva confrontarsi sui decreti che intendeva pubblicare nel sinodo. Si riaprì la contesa con il Capitolo della Cattedrale circa l’obbligo di “associarsi” collegialmente al vescovo nel passaggio dal palazzo al Duomo e viceversa, ma per il momento rimase sospesa, perché il vescovo fu impedito da una fastidiosa sciatica di recarsi a piedi in forma pubblica. Un’altra contesa riguardò la nomina dei procuratori del clero, perché sia il clero sia il vescovo ritenevano che fosse di propria competenza; la soluzione consistette nel designare i procuratori scelti dal clero, ma come se fossero nominati dal vescovo. Ancora una volta era all’ordine del giorno del sinodo l’applicazione di alcuni decreti del concilio di Trento, che era concluso da più di cent’anni ma non aveva ancora dato i frutti sperati, a causa di pigrizie, di inadeguatezze, di difficoltà oggettive, di resistenze. In questo clima succedeva che i vescovi si dimostrassero a volte troppo rigorosi, con il risultato di non risolvere i contrasti. Il Vescovo Torriani, nel discorso d’apertura, pronunciato in lingua italiana, si soffermò in particolare sui compiti e sugli obblighi del clero, contrapponendo all’altezza della missione sacerdotale la miseria di coloro che si accostavano a questa dignità con eccessiva leggerezza o per calcoli interessati, e che si lasciavano vincere dall’avarizia e dall’impurità, o si abbandonavano ad atteggiamenti deplorevoli. Fu netta nelle sue parole la sottolineatura dei vizi e degli abusi, ma era chiara anche la preoccupazione pastorale, come quando, rivolgendosi ai sacerdoti, che nel confessionale si comportavano come giudizi impietosi e duramente fiscali, disse: “Dunque voi, che avete l’uffizio del pastore, del confessare, predicare, correggere, ricordatevi della pietà e mansuetudine. Sovvengavi che il prossimo, quando pecca, è infermo; ha bisogno il meschino di rinfreschi, non di tortura; ...con ogni maggior destrezza procurate il medicamento, sanate le ferite all’infermo.” I decreti, poi, misero in luce e stigmatizzarono vizi ed atteggiamenti deplorevoli, compresi la simonia e quegli abusi che provocavano scandalo e turbamento. Tra le osservazioni minute si può ricordare la denuncia di quei funerali che venivano celebrati senza candele, senza croce, senza sacerdote. Delle resistenze furono messe in atto dal clero riguardo a certi decreti di questo sinodo. Alcuni di essi vennero tolti su richiesta del Capitolo della cattedrale, ma per altri decreti ci fu il ricorso a Roma. Il vescovo, in verità, aveva preventivamente ottenuto da Roma la facoltà di emanare costituzioni sinodali, anche senza l’assenso del clero, purché egli avesse richiesto il consiglio del Capitolo, ma il ricorso del clero provocò un lungo ritardo di due anni nella pubblicazione ufficiale degli Atti. Eppure era stato un sinodo “ricco di sagge disposizioni pastorali e di opportune norme giuridiche”, come lo definisce un illustre studioso, da poco scomparso, il comasco mons. Pietro Gini.

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VII Sinodo diocesano (1686) Ancora in settembre, ancora in tre giorni, dal 10 al 12, si celebrò nel 1686 il settimo sinodo, a cura del nuovo vescovo, Carlo Ciceri, di nobile famiglia comasca. Anche questa volta il sinodo faceva seguito alla “visita pastorale”, compiuta dal 1680 al 1685, nella quale, come al solito, il vescovo si era preoccupato di vigilare sul rispetto delle norme della Chiesa, di reprimere gli abusi e di incitare la popolazione alla fede, usando fermezza, ma anche la necessaria cautela in quelle pievi, confinanti con i Grigioni, a contatto con la diffusione del calvinismo. Per prevenire le resistenze del clero già manifestatesi nei precedenti sinodi, il vescovo aveva chiesto a Roma, ed ottenuto a suo favore, fin dal mese di agosto, due pronunciamenti: un rescritto della sacra Congregazione dei Riti ribadì l’obbligo del Capitolo di “associarsi” al vescovo nel passaggio dal palazzo vescovile al duomo e viceversa, ed un decreto della sacra Congregazione del Concilio confermò la facoltà, eccettuati i casi previsti dal diritto canonico, di emettere decreti sinodali anche senza l’assenso del clero, fatto salvo l’obbligo di sentire il consiglio del Capitolo. Per predisporre, poi, le costituzioni da far pubblicare nel sinodo, il vescovo si avvalse della consulenza del vicario generale Giambattista Gelpio, di quattro canonici e di cinque parroci appositamente scelti. La controversia sulla “associazione” o accompagnamento, invece, non si placò, e le due parti si accordarono di rimettere la decisione ad un garante, nella persona del marchese senatore Antonio Erba, nipote di Sua Santità. La situazione si sbloccò, con l’accordo che l’obbligo di accompagnare il vescovo doveva valere solo per il sinodo, e non per le altre ricorrenze, a pochi giorni dall’inizio del sinodo stesso, quando, il 7 settembre, giunse la notizia, accolta con grande giubilo, che il vescovo di Como, Carlo Ciceri, era stato promosso Cardinale. Di fatto, poi, il vescovo si limitò a richiedere l’accompagnamento solo al mattino, recandosi in duomo, di pomeriggio, in forma privata. I lavori del sinodo furono aperti dal Vescovo con un discorso breve, ma molto sensato, mentre il secondo giorno toccò introdurre gli argomenti al canonico teologo della Cattedrale, Emmanuele Bulgarone, e il terzo giorno ad un teologo di Locarno, Raffaele Franzone. Si sentì parlare anche la lingua volgare, benché il latino continuasse ad essere la lingua ufficiale. Tra gli argomenti più in vista continuò ad esserci l’atteggiamento da tenere nei confronti degli eretici. Venne fatto divieto, tra l’altro, di concedere in affitto l’abitazione ad un eretico, e tale colpa figurò tra i “casi riservati” al vescovo, che avrebbe concesso l’assoluzione solo dopo che fosse stato sciolto il contratto. Venne ordinato ai sacerdoti, qualora in chiesa fosse presente un eretico, di non celebrare la Messa, e addirittura di interromperla, salvo stringenti necessità. Tra i provvedimenti adottati può destare curiosità la disposizione che le sacre reliquie venissero custodite sotto chiavi molteplici e da più custodi, perché il grande numero delle chiavi accresceva il valore e la stima delle reliquie stesse presso il popolo. Citiamo anche il divieto di pronunciare nelle chiese orazioni funebri con false lodi di quei morti, che avrebbero dovuto invece offrire l’occasione di ammonire i presenti, e concludiamo con l’impegno, richiamato ai sacerdoti, di celebrare sempre i sacrifici “in conspectu Dei”, o almeno secondo le norme dei riti. A coronamento del sinodo si svolse il 15 settembre una solenne processione in onore di Maria Assunta, la cui statua venne collocata nella elegante nicchia che domina la fastosa cappella meridionale del Duomo, sopra l’altare dove attualmente si celebrano le Messe nei giorni feriali. Prima della fine dell’anno si concluse in Duomo un’altra solenne funzione, celebrata in occasione della consegna al Vescovo della berretta cardinalizia, portatagli dal latore pontificio Filippo Porta. Gli “Atti” del sinodo furono pubblicati a stampa nel 1687, con l’aggiunta di alcune costituzioni apostoliche ed episcopali, e di alcuni editti del Vescovo di Como, tra i quali va ricordato quello del 25 novembre 1681 sulla vita e l’onestà di costumi del clero. Con il sinodo del 1686 si chiude, per così dire, la prima fase nella storia dei sinodi diocesani di Como; dovranno passare più di duecento anni, prima che venga celebrato un nuovo sinodo.

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VIII Sinodo diocesano (1904) Erano passati più di duecento anni dall’ultimo sinodo del 1686, quando, all’inizio del XX secolo, nel 1904, il vescovo Teodoro Valfré di Bonzo, indisse l’ottavo Sinodo. Entrato in Como nell’aprile del 1896, il nuovo Vescovo, dedicandosi subito alla visita pastorale, aveva raggiunto tutte le pievi, anche le più remote, e aveva compiuto un accuratissimo inventario di tutti i beni ecclesiastici. Nel decreto di indizione del sinodo, che ne fissava la celebrazione nei gironi 13 - 15 settembre, troviamo due precisazioni che assomigliano vagamente a quella che per il nostro XI sinodo è stata la seconda consultazione, e a quello che sarà il “discernimento” dei sinodali in assemblea. Infatti si invita chi intenda proporre modifiche o aggiunte alle norme vigenti, di segnalarlo quanto prima al Vescovo o al Vicario Generale, e si dispone che eventuali osservazioni relative alle costituzioni sinodali lette in assemblea vengano fatte pervenire per iscritto, “sessione finita”, tramite i “procuratores cleri”. Il quotidiano “L’Ordine” ci ricorda, tra l’altro, che i sinodali presenti oscillarono tra i 430 e i 450, che ogni giorno si iniziò con un maestoso “Ecce Sacerdos magnus”, a 4 voci pari con accompagnamento d’organo, composto espressamente per l’occasione, e che la seconda giornata si concluse con una solenne processione pubblica per le vie della città in onore dell’Immacolata. Poiché il Sinodo del 1904 non aveva nessun termine di riferimento e di confronto in esperienze recenti, era inevitabile che le costituzioni emanate abbracciassero, per così dire, tutta la vita della Chiesa, rappresentando un aggiornamento completo della giurisprudenza ecclesiastica corrente. Gli Atti sinodali, pubblicati nel 1905, sono organizzati in cinque parti: 1) sulla fede; 2) sui sacramenti; 3) sulle persone; 4) sul culto divino; 5) sulle cose sacre. Anche con un esame rapido si colgono la ricchezza di una visione generale e la profonda sensibilità religiosa, ma si ricavano anche molte note particolari. Vediamo qualche esempio. Oltre a scoraggiare i rapporti con gli adepti di altre religioni, si mette in guardia dalla massoneria, ma anche dai libri e giornali pericolosi per la fede. Nella sezione dedicata alle “persone”, su 300 paragrafi solo 26 sono dedicati ai laici, e soltanto con riferimento alle confraternite e alle associazioni (casse rurali, cooperative di consumo, unioni professionali, leghe cattoliche). Nei paragrafi dedicati alla condotta e all’onestà di vita dei preti, ci sono alcuni divieti che oggi ci fanno sorridere, come quello di usare la “bicicletta” o la “motocicletta” (nel testo, redatto in latino, queste parole sono in italiano). E’ dato grande rilievo all’obbligo di santificare le feste, la cui violazione comporta una colpa gravissima. Nella sezione delle “cose sacre”, si raccomanda il massimo decoro per l’altare maggiore e per il tabernacolo, e si avverte di non collocare i confessionali in angoli oscuri. Una miniera di notizie sono anche le Appendici, di cui citiamo queste due. All’interno delle norme per l’insegnamento della dottrina cristiana, si raccomanda al Parroco di istituire annualmente la “festa della dottrina”, in cui venga fatta pubblicamente la cosiddetta “gara catechistica” (forse molti dei... meno giovani ricordano di aver partecipato a queste gare, che dalla parrocchia passavano poi al livello della pieve e della diocesi). Un’altra appendice precisa minuziosamente quali registri parrocchiali debbano essere tenuti, e su quali moduli; è curioso notare che i moduli relativi alla registrazione dei battezzati, degli sposi e dei defunti sono in latino, mentre quelli per i cresimandi e per gli avvisi di pubblicazione matrimoniale sono in italiano.

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IX Sinodo diocesano (1942) Nel 1942 il vescovo Alessandro Macchi, che era entrato in Como nel 1930, ed aveva già compiuto più visite pastorali, convocò il nono Sinodo diocesano, che si celebrò dall’8 al 10 settembre. Si era nel pieno del secondo conflitto mondiale, ed anche sul quotidiano cattolico, “L’Ordine”, in quei giorni, in prima pagina non comparvero le notizie sul sinodo, ma titoli a caratteri cubitali, come “La dura battaglia di Stalingrado” e “Un altro sommergibile inglese affondato nel Mediterraneo”. Il sinodo era, comunque, un evento eccezionale per la Chiesa, e, per sottolinearne l’importanza, i circa 180 sinodali sfilarono in processione, ogni volta, dall’episcopio alla cattedrale e ritorno. In Duomo erano ammessi anche i fedeli, ma solo durante le celebrazioni liturgiche iniziali, dalla santa Messa al canto del “Veni Creator” e, nel primo giorno, alla solenne “Professione di fede”, perché poi il popolo veniva “garbatamente” guidato alla porta dai vicari della cattedrale. In ognuna delle sei mezze giornate, prima della lettura delle costituzioni del sinodo, ancora in latino, il vescovo Macchi tenne un discorso, in italiano, svolgendo i seguenti temi: “In onore della Natività di Maria”, “Lo zelo di Paolo per la salvezza delle anime”, “Rievocazione dei vescovi e dei sacerdoti defunti”, “L’ora che volge”, “L’Azione Cattolica”, “Ut unum sint”. Particolarmente significativo il quarto discorso: “L’ora che volge”, in cui il Vescovo lamentò che troppo spesso si negava Dio, e che per molti contava solo il godimento, anche mentre infuriava la guerra; “il libertinaggio, la bestemmia, la frode ed altri delitti ci sono sempre stati, ma si sapeva di far male; oggi invece...”; però, accanto a tanto male, il Vescovo riconosceva anche una “vitalità erompente del cristianesimo nei suoi veri odierni seguaci”. Il 10 settembre può essere ricordato per due diversi eventi significativi: al termine della mattinata il canonico Guglielmetti, interpretando sentimenti diffusi, espresse al Vescovo il desiderio di vedere presto beatificati Innocenzo XI, mons. Scalabrini, l’arciprete Rusca e don Guanella; nel tardo pomeriggio, a conclusione del sinodo, si svolse una solenne processione, con la partecipazione dei fedeli, dal Duomo alla Basilica del Crocifisso, con le reliquie del Preziosissimo Sangue. Negli Atti del sinodo, pubblicati nel 1943, le “costituzioni” sono organizzate secondo lo schema dei primi tre libri del Codice di Diritto Canonico del 1917: Normae generales, de Personis, de Rebus. Moltissimi articoli ripetono, o sono simili alle proposizioni del sinodo del 1904, ma cambiano le sottolineature e le sfumature. Ci limitiamo a qualche particolare. Forse non è del tutto banale la raccomandazione che l’omelia durante la Messa domenicale venga preparata con la dovuta diligenza e chiarezza. Corrisponde alla situazione del tempo la rigorosa distinzione del Seminario in due parti, il Seminario minore per una preparazione remota, e il Seminario di teologia per chi è vicino al sacerdozio. Si chiede l’impegno a promuovere la “Giornata della Buona Stampa”, e a diffondere, in particolare, il quotidiano “L’Ordine” ed il settimanale “L’Ordine della Domenica”. L’Appendice, a sua volta, contiene una serie di norme molto minute, riguardanti argomenti vari: si va dalla “Regola per la pulizia delle Chiese” al “Rito per la solenne adorazione delle SS.me Quarantore”; attira l’attenzione per la sua precisione e chiarezza il “Programma di catechismo per gli adulti diviso in quadriennio”, stilato sulla base del Catechismus ad parochos, di epoca tridentina, con i seguenti argomenti: I) Simbolo apostolico (il Credo); II) Sacramenti; III) Comandamenti; IV) Orazione e giustizia cristiana (la preghiera, e la morale).

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X Sinodo diocesano (1953)

Il decimo Sinodo, indetto da mons. Felice Bonomini pochi anni dopo il suo ingresso a Como del 1947,

si svolse, a differenza dei precedenti, in due soli giorni, il 23 e 24 settembre del 1953.

Ormai erano alle spalle la fine della guerra, la Resistenza, la Liberazione, le prime elezioni politiche

e amministrative della nuova Repubblica.

La Chiesa era chiamata anche alla difesa da dottrine avverse; era viva nella società, e non mancava

di riflessi delicati, l’eco della condanna del comunismo con decreto della Congregazione del S. Ufficio

del 1° luglio 1949. Ma soprattutto urgeva aggiornare su prospettive attuali la visione del ministero

sacerdotale, ed adattare i metodi pastorali alle problematiche inquiete e nuove della coscienza

moderna.

Fu il primo sinodo celebrato completamente in lingua italiana.

Furono pronunciate due allocuzioni vescovili; nella prima, il 23 settembre, il vescovo Bonomini

trattò “Ciò che la Chiesa affida al sacerdote in ordine alla salvezza delle anime”, e nella seconda, il

24, mons. Clemente Gaddi, già provicario generale, e da poco nominato vescovo di Nicosia, parlò di

“Ciò che i sacerdoti devono ai fedeli in forza dell’ordinazione e della missione affidata dal vescovo”.

La lettura dei canoni del sinodo, che ammontavano a 434 costituzioni, fu intercalata da opportune

delucidazioni del Vescovo per chiarimenti e risposte varie.

Sfogliando il libro degli “Atti” si riscontra, rispetto ai due sinodi del 1904 e del 1942, una certa

semplificazione, anche se l’impianto è analogo: I) Norme generali; II) Delle persone; III) Delle Cose.

Balzano facilmente all’occhio due aspetti: i laici e le dottrine social - comuniste.

Ai laici, e non solo alle loro confraternite o associazioni, viene dedicato uno spazio molto più ampio

del solito; ben sette paragrafi sono riservati alla “disciplina dei laici in genere”.

Quanto al comunismo, se ne parla più volte; il canone 408, che riguarda “gli aderenti e i propagatori

delle dottrine social-comuniste”, è il più lungo di tutta la raccolta; nel canone 89, si raccomanda ai

parroci, con riferimento a tutti i movimenti e alle sette condannate dalla Chiesa, di vigilare “che nel

gregge loro affidato non si introducano lupi rapaci in veste di agnello, sotto lo specioso pretesto di

rialzare le condizioni economiche del popolo”.

Annotiamo altre... curiosità. Il n. 7 prevede che, in caso di urgenza, le leggi e le disposizioni diocesane

possono essere pubblicate sul quotidiano “L’Ordine” o sul settimanale “L’Ordine della Domenica”.

A proposito dei Vicari Foranei si dice che sono nominati “ad nutum Episcopi” (in latino, nel testo),

anche se ordinariamente l’incarico spetta al titolare della Chiesa più importante per antichità e per

numero di abitanti. In altri canoni si dispone che in tutte le parrocchie ci sia la “Confraternita del SS.

Sacramento”, che si celebri ogni anno la giornata “antiblasfema”, e che si valorizzi la giornata “per

la santità della famiglia”.

Citiamo, infine, tre delle molteplici Appendici: le norme sul digiuno eucaristico, contenenti il nuovo

principio generale che “l’acqua naturale non rompe il digiuno”; l’esortazione di Pio XII, del 1950, a

sostegno dell’Azione Cattolica; l’elenco delle opere sociali di ispirazione cristiana (ACLI, ACAI,

Coltivatori Diretti, Confederazione Cooperativa Italiana, UCID, CIF, Fronte della Famiglia).

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Sinodo “Maggiolini” non celebrato (2002 – 2004) Aggiungiamo una nota sul Sinodo, indetto dal vescovo Maggiolini nel 2002, ma non celebrato. Dopo dodici anni di ministero episcopale a Como, e dopo avere effettuato la Visita Pastorale in tutte le parrocchie della diocesi, il vescovo Alessandro Maggiolini nel 2001, sentiti gli stretti collaboratori e gli uffici di Curia, annunciò l’XI Sinodo diocesano, non generale, ma su alcuni temi da definire, per aggiornare l’azione pastorale della pastorale, e l’8 dicembre nominò la “Commissione Preparatoria”, composta da una quarantina di membri. Segretario Generale del Sinodo fu nominato don Alberto Perlasca (sostituito in un secondo tempo da don Fausto Sangiani), con il quale collaborarono come anime propulsive ed organizzative soprattutto mons. Carlo Calori e la prof.ssa Laura Fontana. Fu effettuata nei primi mesi del 2002 una “Consultazione Previa”, che coinvolse parrocchie, istituti religiosi, gruppi, associazioni, ed anche singoli fedeli, su cinque semplici domande, le quali miravano a far emergere i temi che sembrassero più urgenti per un rinnovamento pastorale. Il Vescovo, sulla base delle indicazioni ricevute, individuò tre temi (“La parrocchia missionaria”, “La famiglia cristiana da riscoprire”, “La formazione e i compiti dei presbiteri”) da sottoporre al Sinodo, e promulgò il Decreto di indizione in data 27 ottobre 2002. Una “seconda consultazione” più mirata e più approfondita, svolta nei primi mesi del 2003, fornì ulteriori idee e proposte sui temi scelti. I “sinodali”, che nel frattempo erano stati nominati e distribuiti in otto Commissioni, ebbero l’incarico di predisporre lo “Strumento di lavoro” ufficiale, che sarebbe servito al Sinodo vero e proprio per operare il discernimento comunitario in vista dei decreti e delle dichiarazioni finali di competenza esclusiva del Vescovo. Lo “Strumento di lavoro per l’Assemblea Sinodale” risultò composto da otto schede, ricche ciascuna di qualche decina di proposizioni. Le quattro schede relative al tema della parrocchia avevano come titolo: “Parrocchia missionaria”; “Percorsi di primo accompagnamento alla fede”; “Il giorno del Signore: luogo generatore della parrocchia missionaria”; “Collaborazione interparrocchiale per l’evangelizzazione del territorio”. Le tre schede dell’area “famiglia” erano intitolate: “La preparazione al matrimonio e l’accompagnamento delle giovani coppie”; “La partecipazione della famiglia alla vita e alla missione della Chiesa”; “La partecipazione della famiglia allo sviluppo della società”. La scheda che riguardava il tema dei preti, una sola, ma ben articolata all’interno e molto ampia, portava un titolo semplice: “Presbiteri per una parrocchia missionaria”. Per curiosità, possiamo dire che i “sinodali” erano circa trecento (tra membri di diritto, membri eletti e membri scelti dal Vescovo, erano 291 nell’elenco del 29 marzo 2003), e che erano già previste le prime sei sessioni sinodali, tre a Como e tre a Sondrio, dal 6 gennaio al 19 giugno 2004. Vale la pena ricordare le cinque regole indicate per il discernimento: 1) mettersi in atteggiamento di piena umiltà; 2) evitare ogni protagonismo; 3) liberarsi dalla presunzione che la proposta che ciascuno offre è la migliore di tutte; 4) verificare i propri pensieri alla luce della Pasqua; 5) interpretare ogni pensiero alla luce delle grandi cose che Dio ha già operato in noi, come nella Chiesa. Tutto era pronto per l’apertura del Sinodo con la solenne celebrazione in Cattedrale nella festa dell’Epifania del 2004, quando il Vescovo, già sofferente e in attesa di un’operazione chirurgica (“cancro al polmone sinistro” scrisse esplicitamente nella lettera di rinvio) il 21 dicembre 2003 comunicò di “aver rimandato a data da precisare” l’inizio del Sinodo, e nel marzo del 2004 lo sospese in via definitiva. Il lavoro svolto tuttavia non fu inutile, perché erano state messe in moto preziose energie, e perché molti spunti ispirarono aspetti significativi dei Piani pastorali diocesani degli anni successivi. Si conclude qui la storia dei Sinodi della diocesi di Como, dopo il Concilio di Trento. Adesso dalla storia (la memoria) dobbiamo passare all’attualità (la comunione), nella speranza di una rinnovata missione evangelizzatrice della Chiesa (la profezia)

(A cura del Prof. Abele Dell’Orto)