Break N° 02 Settembre - Inserto

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(( N ella sua relazione sullo stato delle Università italiane del 2006, l’allora presidente dei Rettori (CRUI) prof. Guido Trombetti, ebbe a dire che “L’internazionalizzazione non è un optional”. Per “vincere” la sfida competitiva con altri Paesi, si indicarono varie proposte una delle quali riguarda l’attrazione di studenti e professori stranieri, mediante la disponibilità di un fondo pubblico. Negli anni la consapevolezza dell’Italia di avere nelle aule universitarie studenti di altri Paesi è andata crescendo. I Dati, per certi aspetti sorprendenti, evidenziano come dopo il calo avvenuto tra la fine degli anni Ottanta e gli anni Novanta, gli studenti che giungono da altrove siano in chiaro aumento (oltre 70.000: 1 ogni 26 iscritti), sebbene non raggiungano i livelli di paesi come l’Inghilterra (550.000) o la Germania e la Francia (250.000). L’aumento in Italia è avvenuto anche per l’allargamento dell’UE con i nuovi flussi provenienti dai Paesi dell’Est Europeo (Albania, Romania, Polonia), ma anche dalla Cina, con l’avvio del Progetto di “attrazione studentesca”, Marco Polo, avviato in seguito al viaggio a Pechino del Presidente Carlo Azeglio Ciampi del 2004. Per l’Africa è il Camerun alla testa del Continente Nero, ma anche dal Marocco giungono molti studenti. L’effettiva parità con gli italiani nell’attuazione del diritto allo studio cresce, a poco a poco, a partire dal 2001, cioè dopo l’approvazione della nuova legislazione stabilita con Legge n. 40 del 1998 e successivo Regolamento. “I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno il diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”. Così l’articolo 34 della Costituzione italiana, vale adesso anche per chi è cittadino straniero. Nonostante l’impegno del nostro Paese e delle Regioni più dinamiche in materia di diritto allo studio, come la Toscana, la Liguria, l’Emilia Romagna, l’Umbria, la Lombardia ecc., troppi studenti esteri non riescono a condurre a termine il proprio percorso di studio e troppi non trovano un lavoro inerente agli studi fatti, né in Italia né in patria. E’ in effetti ancora carente il collegamento tra sistema universitario e mondo del lavoro. Conoscendo le storie di molti, posso anche dire che la lontananza da casa gioca un ruolo negativo. Il giovane internazionale che studia all’estero, vive spesso una dimensione di solitudine: gli manca un sostegno affettivo durante le crisi, il confronto con chi lo stima, l’orientamento nelle scelte importanti, ecc... Ogni difficoltà, ogni insidia è infatti vinta attraverso l’elemento qualificante della relazione. Chi ha avuto la fortuna di essere accolto e valorizzato nelle proprie caratteristiche da parte di una comunità o da una famiglia, chi ha ritrovato una “casa” sebbene lontano dalla propria, quasi sempre è riuscito a concludere il percorso prefissato, a comprendere meglio la propria “vocazione”, a non perdersi in “identità deboli”, a sviluppare l’atteggiamento del dono. E’ questa una grande sfida civile, culturale e religiosa. Sul piano ecclesiale sono sorte negli anni alcune esperienze pilota, ci sono state importanti riflessioni della Fondazione Migrantes e dell’Ufficio nazionale per l’educazione, la scuola e l’università della Conferenza Episcopale Italiana. Occorre adesso formare una Rete permanente delle realtà ecclesiali che si interessano degli studenti internazionali, per favorire uno scambio di esperienze, per imparare gli uni dagli altri, per avere idee nuove e più forza di fronte alla sfida sociale e pastorale che lo studente universitario straniero ci pone. Studenti stranieri: la sfida dell’integrazione di Irene Agnes

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Inserto del numero di settembre del Centro Internazionale Studenti Giorgio La Pira

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((N ella sua relazione sullo stato delle Università italiane del 2006, l’allora presidente dei Rettori (CRUI) prof. Guido

Trombetti, ebbe a dire che “L’internazionalizzazione non è un optional”. Per “vincere” la sfida competitiva con altri Paesi, si indicarono varie proposte una delle quali riguarda l’attrazione di studenti e professori stranieri, mediante la disponibilità di un fondo pubblico. Negli anni la consapevolezza dell’Italia di avere nelle aule universitarie studenti di altri Paesi è andata crescendo. I Dati, per certi aspetti sorprendenti, evidenziano come dopo il calo avvenuto tra la fine degli anni Ottanta e gli anni Novanta, gli studenti che giungono da altrove siano in chiaro aumento (oltre 70.000: 1 ogni 26 iscritti), sebbene non raggiungano i livelli di paesi come l’Inghilterra (550.000) o la Germania e la Francia (250.000). L’aumento in Italia è avvenuto anche per l’allargamento dell’UE con i nuovi flussi provenienti dai Paesi dell’Est Europeo (Albania, Romania, Polonia), ma anche dalla Cina, con l’avvio del Progetto di “attrazione studentesca”, Marco Polo, avviato in seguito al viaggio a Pechino del Presidente Carlo Azeglio Ciampi del 2004. Per l’Africa è il Camerun alla testa del Continente Nero, ma anche dal Marocco giungono molti studenti.

L’effettiva parità con gli italiani nell’attuazione del diritto allo studio cresce, a poco a poco, a partire dal 2001, cioè dopo l’approvazione della nuova legislazione stabilita con Legge n. 40 del 1998 e successivo Regolamento. “I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno il diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”. Così l’articolo 34 della Costituzione italiana, vale adesso anche per chi è cittadino straniero.

Nonostante l’impegno del nostro Paese e delle Regioni più dinamiche in materia di diritto allo studio, come la Toscana, la Liguria, l’Emilia Romagna, l’Umbria, la

Lombardia ecc., troppi studenti esteri non riescono a condurre a termine il proprio percorso di studio e troppi non trovano un lavoro inerente agli studi fatti, né in Italia né in patria. E’ in effetti ancora carente il collegamento tra sistema universitario e mondo del lavoro. Conoscendo le storie di molti, posso anche dire che la lontananza da casa gioca un ruolo negativo. Il giovane internazionale che studia all’estero, vive spesso una dimensione di solitudine: gli manca un sostegno affettivo durante le crisi, il confronto con chi lo stima, l’orientamento nelle scelte importanti, ecc... Ogni difficoltà, ogni insidia è infatti vinta attraverso l’elemento qualificante della relazione. Chi ha avuto la fortuna di essere accolto e valorizzato nelle proprie caratteristiche da parte di una comunità o da una famiglia, chi ha ritrovato una “casa” sebbene lontano dalla propria, quasi sempre è riuscito a concludere il percorso prefissato, a comprendere meglio la propria “vocazione”, a non perdersi in “identità deboli”, a sviluppare l’atteggiamento del dono.

E’ questa una grande sfida civile, culturale e religiosa. Sul piano ecclesiale sono sorte negli anni alcune esperienze pilota, ci sono state importanti riflessioni della Fondazione Migrantes e dell’Ufficio nazionale per l’educazione, la scuola e l’università della Conferenza Episcopale Italiana. Occorre adesso formare una Rete permanente delle realtà ecclesiali che si interessano degli studenti internazionali, per favorire uno scambio di esperienze, per imparare gli uni dagli altri, per avere idee nuove e più forza di fronte alla sfida sociale e pastorale che lo studente universitario straniero ci pone.

Studenti stranieri: la sfida dell’integrazionedi Irene Agnes

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((S abine è una giovane sir iana venuta in Ital ia per studiare. La incontria-mo per scambiare alcune impressioni

sul la sua esperienza e per parlare del la dram-matica s ituazione del suo paese.È da tanto che sei in Ital ia? Cosa t i ha spinto a venire in questo Paese?Sono qua da un anno e sette mesi . Sono venuta qui per studiare: ho fatto un master in Graphic Design. Ora ho f inito e vorrei r imanere in Ita-l ia . Spero di trovare lavoro nel l ’ambito per i l quale ho studiato.

La tua famiglia è r imasta in Sir ia?La mia famigl ia s i è spostata in Libano perché abbiamo una casa laggiù. Purtroppo da quan-do sono in Ital ia non sono r iuscita ancora a vedere i miei genitori perché i loro problemi di salute non gl i consentono di viaggiare. La mia sorel la maggiore vive in Sir ia, ma lungo la costa che è una zona assolutamente s icura, mentre l ’altra mia sorel la vive con i miei geni-tori in Libano.

É stato diff ici le per te venire qua da sola?Non tanto, per me non c’è stato un grande shock culturale, non ci sono poi così tante dif-ferenze dal mio punto di vista. Mio padre mi ha cresciuta secondo uno st i le europeo. In re-altà potrei quasi dire che per me è più faci le vivere qua, laggiù è tutto molto complesso, i l tradizional ismo mette molte pressioni addos-so al l ’ individuo. Mi sento più a mio agio in Eu-ropa anche se alcune volte è dura: sono da sola e mi manca la mia famigl ia, inoltre è diff ic i le in questa s ituazione fare progetti per i l futuro.

In Sir ia c ’è una situazione molto complessa. C’è una guerra con varie forze in campo. As-sad controlla ancora buona parte del territo-rio sir iano ma lo Stato Islamico ( ISIS) avanza in molte province mentre sono attivi gruppi armati curdi nel nord e anche i r ibell i della

prima ondata di proteste. Come leggi questa situazione?

A questo punto del la s ituazione, a molt i s i -r iani come me non importa più del la pol it ica, vogliamo che la guerra f inisca. Ho lasciato la Sir ia nel 2013 quando i l paese era già preci-pitato nel caos, ho lasciato appena ho f inito i miei studi là e quando l ’ho fatto, non c’era vita, lavoro, persino andare a scuola era diven-tato pericoloso. Quasi tutt i i giovani che come me hanno avuto la possibi l i tà di andarsene, l ’hanno fatto.

All ’ inizio le proteste sembravano portare i l Paese verso un’altra direzioneLe proteste sono iniziate nei vi l laggi e nel le campagne. Gl i studenti che andavano nel le grandi c ittà per studiare hanno portato la r i -voluzione in città. Al l ’ inizio le manifestazioni r iguardavano più che altro la l ibertà: non vo-levamo più la dittatura di Assad. Si sono al lar-gate perché i l governo ha reagito con una vio-lenza spropositata, reprimendo ogni dissenso.

Sebbene la definizione di “Primavere Arabe” sia insoddisfacente, qualcosa di polit icamen-te molto importante è accaduto nel Medio Oriente. Questa ondata di manifestazioni e proteste secondo te è stata sfruttata da grup-pi fondamentalisti is lamici per accrescere i l loro potere e consenso?Sì , le proteste che sono iniziate per reclamare la l ibertà, ora r iguardano solo I principi del l ’ I -s lam. Ci sono gruppi in Sir ia che vogliono che diventi un Paese completamente is lamizzato. In realtà però la rel igione è solo uti l izzata per ottenere r icchezze e potere. Ci sono gruppi che stanno usando i l nome del l ’ Is lam per ot-tenere i loro obiett ivi , ma si sono dimenticati del la storia del la Sir ia, la Sir ia ha ospitato tut-te le rel igioni , c i v ivono sunnit i , sci it i , armeni, curdi , cr ist iani : questa terra è di tutt i .

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Fermare la spirale della violenza in SiriaIntervista a Sabinea cura di Alessandro Zabban