Inserto Speciale: I Santi della Famiglia - Settembre 2012
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Transcript of Inserto Speciale: I Santi della Famiglia - Settembre 2012
Pagina 1
Unità Pastorale
Dozza, Toscanella, San Lorenzo, Valsellustra, Montecatone.
Abbiamo celebrato quest’anno a Milano la giornata mondiale delle famiglie, iniziati-va introdotta da Giovanni Paolo II, poi continuata da Benedetto XVI. Si è parlato di famiglia, della vita di famiglia e di come il lavoro e la festa ne sono tempi carat-teristici e determinanti.
L’idea di questa mostra nasce proprio per celebrare la famiglia e per parlarne anco-ra in occasione delle nostre feste parrocchiali, non solo quelle di settembre a Tosca-nella, ma la festa della Madonna del Calanco a Dozza, la festa di Valsellustra, la fe-sta di Montecatone, quella di S. Lorenzo il 10 agosto. Insomma le feste delle nostre parrocchie.
Questa nostra mostra è di proposito “itinerante” perché preparata a più mani da al-cuni rappresentanti di ogni parrocchia della nostra UNITA’ PASTORALE ed è stata esposta ad ogni festa che si è celebrata quest’anno.
Per parlare di famiglia abbiamo cominciato da noi, sentendoci tutti membri di una stessa famiglia, non solo come unità pastorale, ma anche come Chiesa universale.
Pagina 2 La famiglia chiesa domestica
In occasione dell’Anno
internazionale della Fami-
glia, voluto dall’ONU nel
1994, il Beato Papa Gio-
vanni Paolo II indirizzò a
tutte le famiglie una let-
tera esortando a
“riscoprire le testimo-
nianze dell'amore e
della sollecitudine del-
la Chiesa per la fami-
glia: amore e sollecitudine espressi fin dagli inizi
del cristianesimo, quando la famiglia veniva signifi-
cativamente considerata come chiesa domestica.”
L’ANNO INTERNAZIONALE
DELLA FAMIGLIA
Anticipato dall’espressione di Giovanni XXIII, che definì la
famiglia una vera «cellula della Chiesa», il recupero lettera-le dell’espressione “Ecclesia domestica” avviene dunque
con LG 11; ma vi sono altri testi importanti che, senza ripe-tere l’espressione, la suppongono o la illustrano. Ricordo
soprattutto un intervento di un giovanissimo vescovo,
Mons. Karol Wojtyla, poi divenuto Papa nel 1978 col nome di Giovanni Paolo II, il quale consegnò un testo scritto in
cui affermava: «vorrei anche aderire con convinzione alle parole che in quest’aula sono già state dette da un altro padre circa l’importanza della famiglia cristiana nella strut-tura del popolo di Dio. Non senza fondamento da alcuni antichi la famiglia fu chiamata anche “Chiesa”».
“Chiesa domestica” è, per il Concilio, non il gruppo/
comunità che si incontra in una casa messa a disposizione da una famiglia di battezzati, ma la “famiglia cristiana” in
quanto tale, quando vive coerentemente il sacramento del matrimonio. Gli elementi che fanno della famiglia cristiana
una “Chiesa domestica” sono per il Concilio i seguenti:
il sacramento del matrimonio: come segno e parteci-pazione del mistero che costituisce la Chiesa, ossia
l’alleanza indefettibile di Cristo con il suo popolo (cf. LG 11;
LG 41; AA 11; GS 48);
l’amore mutuo degli sposi e la cooperazione dei membri della famiglia: come prima e più intensa tradu-
zione del comandamento dell’amore che Gesù presenta come segno di riconoscimento della sua Chiesa e della sua
presenza viva in mezzo ad essa: cf. Gv 13,35; Mt 18,20 (cf. LG 11; LG 41; GS 48);
l’amore fecondo degli sposi aperto all’accoglienza dei figli: come segno della fecondità della Chiesa che con-tinuamente genera nuovi figli di Dio con il battesimo, e
contributo alla Chiesa stessa che riceve dai genitori il dono
di nuovi cristiani (cf. LG 11; LG 41);
l’educazione cristiana dei figli da parte dei genitori, che li avviano e li preparano ad essere buoni cristiani con
la testimonianza della fede, la preghiera, l’esperienza co-munitaria, la fraternità: come segno e strumento della ma-
ternità della Chiesa, che non solo genera i figli di Dio nel
battesimo ma li educa con la catechesi, la liturgia, la carità (cf. LG 11; LG 41; AA 11; GE 3); i genitori sono poi chia-
mati a favorire il discernimento e la realizzazione della vo-cazione dei loro figli (cf. LG 11; AA 11).
l’educazione civile dei figli da parte dei genitori, che
li avviano e li preparano ad essere buoni cittadini: come segno e strumento del contributo di promozione umana
che la missione della Chiesa offre al mondo (cf. LG 11; AA
11; GE 3).
le situazioni di primo annuncio e di persecuzione:
come contesti nei quali il Vaticano II individua la famiglia
come luogo “privilegiato” (non “esclusivo”) dell’esperienza
ecclesiale (cf. AA 11).
LA FAMIGLIA
“CHIESA DOMESTICA”
GLI INCONTRI MONDIALI
DELLE FAMIGLIE
Nel 1994 presero avvio anche gli Incontri Mondiali
delle Famiglie, che da quella data si succedettero regolarmente ogni tre anni toccando varie città del
mondo, secondo un modello che Papa Giovanni Pao-lo II aveva già adottato per i giovani: nel 1985, infat-
ti si era svolto l’Anno Internazionale della Gioventù
indetto dall’Onu, e da quell’anno sono anche nate le Giornate Mondiali della Gioventù che tutt’ora raduna-
no milioni di giovani attorno alla Croce di Cristo e alla persona del Papa. In entrambi i casi la Chiesa ha
fatto propria un’iniziativa internazionale promossa dall’Onu, facendosi così presente e vicina nel mondo
ad ogni giovane e ad ogni famiglia perché inviata da
Cristo a tutti i popoli (Mt 28,19). Nell’ultimo Incontro Mondiale delle Famiglie, svoltosi
a Città del Messico nel gennaio 2009, Papa Benedet-to XVI annunciò
che il successivo
appuntamento del-le famiglie cattoli-
che del mondo in-tero con il Succes-
sore di Pietro a-vrebbe avuto luogo
a Milano, dal 30
maggio al 3 giugno 2012, sul tema “La
Famiglia: il lavoro e la festa”.
Pagina 3
La famiglia chiesa domestica
In modo inequivocabile l’Esortazione
Apostolica Familiaris Consortio al N°
34 dichiara: “Tutti i coniugi, secondo
il disegno divino, sono chiamati alla
santità nel matrimonio” e, al N° 51
precisa che “nel matrimonio” vuol
dire “attraverso i fatti, i problemi, le
difficoltà, gli avvenimenti
dell’esistenza di tutti i giorni”. La fon-
te di questa chiamata è il sacramento
del matrimonio (FC, 56), dono di Cri-
sto, che fa della vita matrimoniale un
“continuo sacrificio spirituale” (FC,
56).
La santità, quindi, per la coppia cri-
stiana, è uno “stato di santità” confe-
rito dal sacramento del matrimonio,
così come, in virtù del battesimo, tutti
i cristiani “sono stati fatti veramente
figli di Dio e compartecipi della natura
divina, e perciò realmente santi”(LG,
40). La peculiarità dei coniugi sta
nel fatto che la santità essi sono chia-
mati a viverla congiuntamente, dal
momento che, in virtù del sacramen-
to, sono diventati una sola cosa[36].
Nella mostra che hanno allestito le
varie comunità che compongono la
nostra Unità Pastorale (Dozza, Tosca-
nella, San Lorenzo, Valsellustra e
Montecatone), abbiamo presentato
alcune figure di santità tipicamente
familiare per indicare che la prospetti-
va in cui vogliamo porre tutto il cam-
mino pastorale delle nostre comunità
è quella della santità, intesa nel sen-
so fondamentale dell'appartenenza a
Colui che è per antonomasia il Santo,
il « tre volte Santo » (cfr Is 6,3).
Ma il dono della santità si traduce a
sua volta in un compito, che deve
governare l'intera esistenza cristiana:
«Questa è la volontà di Dio, la vostra
santificazione» (1 Ts 4,3). È un impe-
gno che non riguarda solo alcuni cri-
stiani: «Tutti i fedeli di qualsiasi stato
o grado sono chiamati alla pienezza
della vita cristiana e alla perfezione
della carità».
Porre la programmazione pastorale
nel segno della santità significa espri-
mere la convinzione che, se il Battesi-
mo è un vero ingresso nella santità di
Dio attraverso l'inserimento in Cristo,
sarebbe un controsenso accon-
tentarsi di una vita mediocre,
vissuta all'insegna di una reli-
giosità superficiale. Come il Conci-
lio stesso ha spiegato, questo ideale
di perfezione non va equivocato come
se implicasse una sorta di vita straor-
dinaria, praticabile solo da alcuni «
geni » della santità. Le vie della santi-
tà sono molteplici, e adatte alla voca-
zione di ciascuno.
Come ha scritto il Beato Giovanni Pa-
olo II: “È ora di riproporre a tutti
con convinzione questa «misura
alta» della vita cristiana ordina-
ria: tutta la vita della comunità eccle-
siale e delle famiglie cristiane deve
portare in questa direzione. È però
anche evidente che i percorsi della
santità sono personali, ed esigono
una vera e propria pedagogia della
santità, che sia capace di adattarsi ai
ritmi delle singole persone. Essa do-
vrà integrare le ricchezze della propo-
sta rivolta a tutti con le forme tradi-
zionali di aiuto personale e di gruppo
e con forme più recenti offerte nelle
associazioni e nei movimenti ricono-
sciuti dalla Chiesa.”
Il lavoro e la festa, scrive il Papa, “sono intima-
mente collegati con la vita delle famiglie: ne condi-zionano le scelte, influenzano le relazioni tra i co-
niugi e tra i genitori e i figli, incidono sul rapporto della famiglia con la società e con la Chiesa.
La Sacra Scrittura (cfr Gen1-2) ci dice che famiglia, lavoro e giorno festivo sono doni e benedizioni di Dio per aiutarci a vivere un’esistenza pienamente umana. (…) Ai nostri giorni, purtroppo, l’organizzazione del lavoro, pensata e attuata in funzione della concorrenza di mercato e del massimo profitto, e la concezione della festa come occa-sione di evasione e di consumo, contribuiscono a disgre-gare la famiglia e la comunità e a diffondere uno stile di vita individualistico. Occorre perciò promuovere una rifles-
sione e un impegno rivolti a conciliare le esigenze e i tempi del lavoro con quelli della famiglia e a ricuperare il senso vero della festa, specialmente della domenica, pasqua settimanale, giorno del Signore e giorno dell’uomo, giorno della famiglia, della comunità e della solidarietà.”
TUTTI SIAMO CHIAMATI ALLA SANTITA’
Pagina 4 Zelie e Luis Martin
LUIGI MARTIN nasce a Borde-
aux (Francia) il 22/08/1823. Tra-scorsa l’infanzia e la giovinezza
ad Avignone e a Strasburgo, si stabilisce definitivamente ad Ale-
nçon. Sogna di diventare religio-
so presso i canonici del Gran San bernardo, ma è dissuaso dallo
studio del latino. Intraprende allora la professione di orologiaio.
Luigi alimentava la sua fede con la celebrazione eucaristica, quasi
quotidiana, e con l’adorazione notturna; la testimoniava
esercitando la carità, rispettando il riposo domenicale e partecipando ai pellegrinaggi; l’approfondiva con la let-
tura , la meditazione e il silenzio. Luigi si unì a Zelia in matrimonio il 13 luglio 1858. Legato profondamente
alla moglie, amante delle sue figlie, visse alla luce della
fede tutta la propria vita, inclusi i momenti più tristi: la morte dei suoi quattro bambini e quella della moglie
stessa. Dopo un periodo di serenità, quattro figlie, una dopo l’altra, lo lasciarono per entrare in convento. Nel
1888, dopo la partenza di Teresa, da lui amata in modo particolare, iniziò il tempo del dolore: ricoverato prima
all’Ospizio del Buon Salvatore a Caen e poi colpito da
paralisi, riportato a casa , fu amorevolmente assistito dalla figlia Celina. Morì il 29/07/1894 a 71 anni.
ZELIA GUERIN nasce a Gande-
lain il 23/12/1831. Si trasferisce ad Aleçcon nel 1844. Come il suo
futuro sposo, sogna la vita religio-sa, ma dal colloquio con la supe-
riora comprende che non è la
volontà di Dio. Zelia si dedicò all’arte del “punto d’Alençon”, un
tipo di ricamo assai apprezzato, ma molto difficile. Affermatasi nel
settore, aprì in proprio un labora-torio, coinvolgendo nella sua ge-
stione lo stesso marito. Con il personale del laboratorio
riuscì a stabilire un rapporto familiare. Animata dalla carità lottò contro ogni forma di ingiustizia e si prodigò
a favore dei bisognosi. Amò i suoi figli -“Io amo i bambi-ni alla follia, ero nata per averne”- e per loro desiderava
che fossero santi. Zelia non fu mai abbandonata dalla
sofferenza. –“Se il buon Dio mi vuole guarire, sarò con-tenta, perché in fondo desidero vivere; mi costa lasciare
mio marito e le mie figlie. Ma nello stesso tempo mi dico: se non guarirò è forse perché per loro sarà più
utile che io me ne vada. ”- Il 28 agosto 1877 morì per un tumore al seno all’età di 46 anni. Le spoglie di en-
trambi riposano nella cripta della Basilica di Lisieux.
I genitori di S. Teresa di Lisieux
Il 26 marzo1994, Giovanni Paolo II, ha proclamato i coniugi Martin Venerabili, riconoscendo le virtù eroiche di en-
trambi. Il 29 giugno 2002 veniva guarito Pietro Schilirò, affetto da una grave malformazione ai polmoni, dopo che i genitori avevano pregato i coniugi Martin e avevano posto una loro immagine sul lettino del piccolo Pietro, già allo
stremo delle forze. Il 3 luglio 2008 Papa Benedetto XVI ha riconosciuto ufficialmente il miracolo e il 19 gennaio 2008 i coniugi Martin sono stati proclamati beati con una solenne cerimonia nella Basilica dedicata a Santa Teresa
di Gesù Bambino a Lisieux.
“I Venerabili Servi di Dio Zelia e Luigi, che presto, attraverso la mia voce, il
Papa avrà la gioia di elevare agli onori degli altari, sono stati innanzitutto una coppia unita in Cristo che ha vissuto la missione della trasmissione della fede
con passione e con raro senso del dovere. Possiamo addirittura definirli una “coppia apostolica”, essi si sono impegnati come coppia cristiana laica
nell’apostolato d’evangelizzazione, e lo hanno fatto in modo serio e convinto
per tutto l’arco della loro esistenza, dentro e fuori le mura domestiche. Nella testimonianza di vita dei Venerabili Servi di Dio, che come tutti sanno sono gli
“incomparabili genitori” di santa Teresa di Gesù Bambino del Volto Santo è sovrabbondante il “dono di sé”… Ma la vita e la fama di santità di questi sposi
non abbraccia solo l’arco delle loro nozze e della loro vita coniugale. Essa è presente in maniera inequivocabile anche prima delle loro nozze. La vita di en-
trambi si è sviluppata nella ricerca di Dio, nella preghiera, animata dal profon-
do desidero di realizzare soprattutto la Volontà di Dio. La santità di questi co-niugi non è una santità di riflesso, a causa della santità della loro figlia, ma
vera e propria santità personale voluta, perseguita attraverso un cammino d’obbedienza alla volontà di Dio che vuole tutti i suoi figli santi come lui è San-
to. Anzi, possiamo dire che Teresa è stata la prima “postulatrice” della santità
dei suoi genitori ; santità nella accezione più vera del termine non un semplice modo di dire.
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Zelie e Luis Martin
Teresa parla del papà usando più volte termini come santo, servo di Dio, giusto. Ammira nei suoi genitori non solo le
doti e il tatto umano o la loro laboriosità, ma osserva acutamente la fede la speranza e la carità, l’esercizio eroico delle virtù teologali. Ma questo non dovrebbe essere realtà per ogni
coppia ? La famiglia non è chiamata a trasmettere ai figli il miste-ro del Dio che è più del padre e della madre” ? La famiglia non è
forse scuola di umanità vera e palestra di santità ? Essa è il luogo
privilegiato per forgiare carattere e coscienza. Ecco la missione, il compito di sempre della coppia, della famiglia cristiana. Non sono
stati semplici strumenti che hanno veicolato la fede come un ac-quedotto veicola l’acqua, ma il depositum fidei da loro insegnato
era arricchito dalla loro personale esperienza fatta di fede, di spe-ranza e di carità. Non hanno trasmesso la fede come qualcosa di
tradizionale, di frammentario, di nozionistico, ma di vivo. Non una
fede come eredità - quella la lasciano i morti - ma hanno inserito i figli innestandoli con il battesimo nella corrente viva e vitale della
Chiesa e affiancandosi ad essa, non sostituendosi ad essa, con la Chiesa e nella Chiesa, hanno collaborato in perfetta sintonia.
“dall’omelia del Cardinale José Saraiva Martins” durante la cerimonia di proclamazione a beati
Luigi e Zelia, sono stati una coppia che si è incamminata verso la santità attraversando le tappe che in-contrano le coppie moderne: un matrimonio non più giovanissimi , le preoccupazioni per la riuscita dei loro affari, l’educazione dei propri figli. Essi sono santi per la testimonianza della serietà in cui era vissu-ta e trasmessa la fede nella loro famiglia. Hanno evangelizzato i loro figli prima con la loro esemplare vita di coppia, poi con la parola e l’insegnamento domestico. Qui sta il valore singolare, non solo dei co-niugi, ma anche delle figlie maggiori, quindi dell’intera famiglia Martin. I genitori, che prima sono stati educati ed ammaestrati dalla Chiesa, a loro volta hanno trasmesso l’insegnamento ricevuto a tutti i figli. E tanto bene da meritare che la loro figlia più illustre, dopo essere stata ammaestrata da così “incomparabili genitori” è divenuta Santa Teresa di Gesù Bambino del Volto Santo, e oggi ammaestra tutta la Chiesa come Dottore. La famiglia di Luigi e Zelia, per le loro cinque figlie - altri quattro sono morti in tenera età -, è stata il luogo pri-vilegiato dell’esperienza dell’amore, non-ché dell’esperienza e della trasmissione della fede. In casa, fra le calde e amorose pareti domestiche, ognuno ha ricevuto e dato. Nonostante il lavoro di entrambi, l’uno e l’altro hanno comunicato i primi elementi della fede ai propri figli, sin da bambini. Sono stati i primi maestri nell’iniziare i figli alla preghiera, all’amore e alla conoscenza di Dio, facendosi vede-re a pregare da soli e insieme, accompa-gnandoli alla Messa e alle visite al SS. Sacramento, non dicendo semplicemente dite le preghiera, ma le hanno loro inse-gnate facendo anche della casa una “scuola di preghiera”. Hanno insegnato quanto sia importante stare con Gesù, ascoltando i Vangeli che ci parlano di lui. Di più, la vita spirituale coltivata fin dalla giovinezza, come quella di Zelia e di Lui-gi, s’è alimentata alla sorgente della vita parrocchiale.
Pagina 6
Maria Corsini Nasce a Firenze il 24 giugno 1884. I geni-
tori le impartiscono un'accurata educazio-
ne morale, principal-
mente attraverso l'e-sempio. A motivo dei
diversi trasferimenti per il lavoro del pa-
dre, la famiglia si sposta da Firenze a
Roma (1893). Nella
capitale frequenta l'Istituto Femminile di
Commercio per Direttrici e Contabili, fino al consegui-mento della licenza. Nel 1901 conosce Luigi Beltrame
Quattrocchi, e si sposano. Trascorso qualche mese
sono in attesa del primo figlio. Battezzato con il nome di Filippo sarà poi Don Tarcisio. Una seconda ravvici-
nata gravidanza si conclude con la nascita, nel 1908, di Stefania, in seguito Suor Cecilia. Nel 1909 arriva il
terzogenito Cesare, poi monaco Benedettino e poi
ancora monaco Trappista con il nome di P. Paolino. Nel 1913 l'annuncio di una quarta gravidanza porta
una nuova grande gioia, che sfocerà con la nascita, il 6 aprile 1914, di Enrichetta. A seguito del terremoto di
Avezzano, si prodiga nell'assistenza ai feriti. Fa le ca-techesi alle donne presso la parrocchia di S. Vitale.
Soccorre i soldati della Prima Guerra Mondiale ricove-
rati nei diversi ospedali di Roma. Diventa Terziaria Francescana. Entra nel Consiglio Centrale dell'Azione
Cattolica Femminile. Diviene accompagnatrice dei ma-lati sui treni dell'UNITALSI diretti a Lourdes e a Lore-
to. Collabora nell'opera di Ristoro alla Stazione Termi-
ni. Aderisce all'iniziativa dei P. Lombardi e P. Rotondi "Mondo Migliore". Entra a far parte del Movimento
Fronte della Famiglia. Nel 1951 perde il suo amato Luigi. Il 25 agosto 1965, Maria Corsini Beltrame Quat-
trocchi muore mentre si trova in vacanza a Serravalle di Bibbiena(AR). Il suo messaggio è ben chiaro alle
mamme, alle spose, agli educatori: ella è un invito
vivente a tutti di come ci si dona agli altri; un invito a vivere la propria fede e la propria vocazione come
espressione della carità di Cristo. Il 21 ottobre 2001 Maria Corsini e Luigi Beltrame Quattrocchi sono stati
beatificati da Giovani Paolo II. Beatificati per la loro
"santità quotidiana"; beatificati per il loro matrimonio vissuto in semplice e profonda contemplazione del
mistero dell'Eucaristia e della vera comunione. Ogni coppia non potrà più aver dubbi: per esser "Beati"
non ci vogliono fatti straordinari, non bisogna essere
degli "extra-terrestri".
Famiglia Beltrame Quattrocchi
Luigi Beltrame Quattrocchi Luigi Beltrame nasce a
Catania il 12 gennaio 1880. A 9 anni va a vivere
con Luigi e Stefania Quat-
trocchi, zii per parte ma-terna, che ne richiedono
l'affidamento non potendo avere figli. Nel 1890, il tra-
sferimento dello zio, cas-siere principale della Regia
Dogana, a Roma. Luigi si
laurea in Giurisprudenza all'Università La Sapienza,
e durante gli studi conosce Maria Corsini e, dopo tre anni, il 25 novembre 1905, si sposano nella basilica di
S. Maria Maggiore. Luigi ha una brillante carriera in
vari incarichi ufficiali presso diversi Ministeri ed arriva al pensionamento nel 1946 con la qualifica di Vice-
Avvocato Generale Onorario dello Stato. Nonostante l'impegno del lavoro e della famiglia, Luigi si prodiga in
un proficuo apostolato e prende parte all'associazioni-
smo cattolico. Nel 1916 coopera con l'ASCI, Presidente del Reparto ASCI Roma V, membro del Commissariato
Centrale, fondatore del Reparto Scout Roma XX, Consi-gliere generale dell'ASCI. Collabora con il Prof. Luigi
Gedda nell'Azione Cattolica Maschile e nei Comitati Civi-ci, appoggia il sorgere dell'Agenzia ORBIS; opera nella
GIAC, nel Movimento di Rinascita Cristiana, nel Fronte
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Questi coniugi hanno vissuto, nella
luce del Vangelo e con grande inten-sità umana, l'amore coniugale e il
servizio alla vita. Hanno assunto con
piena responsabilità il compito di col-laborare con Dio nella procreazione,
dedicandosi generosamente ai figli per educarli, guidarli, orientarli alla
scoperta del suo disegno d'amore. Da
questo terreno spirituale così fertile sono scaturite vocazioni al sacerdozio
e alla vita consacrata, che dimostrano quanto il matrimonio e la verginità, a
partire dal comune radicamento nell'amore sponsale del Signore, sia-
no intimamente collegati e si illumini-
no reciprocamente. Attingendo alla parola di Dio ed alla testimonianza
dei Santi, i beati Sposi hanno vissuto una vita ordinaria in modo straordina-
rio. Tra le gioie e le preoccupazioni di
una famiglia normale, hanno saputo realizzare un'esistenza straordinaria-
mente ricca di spiritualità. Al centro, l'Eucaristia quotidiana, a cui si ag-
giungevano la devozione filiale alla Vergine Maria, invocata con il Rosario
recitato ogni sera, ed il riferimento a
saggi consiglieri spirituali. Così hanno saputo accompagnare i figli nel di-
scernimento vocazionale, allenandoli a valutare qualsiasi cosa "dal tetto in
su", come spesso e con simpatia a-
mavano dire. La ricchezza di fede e d'amore dei coniugi Luigi e Maria Bel-
trame Quattrocchi è una vivente di-
mostrazione di quanto il Concilio Vati-cano Secondo ha affermato circa la
chiamata di tutti i fedeli alla santità, specificando che i coniugi perseguono
questo obiettivo "propriam viam se-
quentes", "seguendo la loro propria via" (Lumen gentium, 41). Questa
precisa indicazione del Concilio trova oggi una compiuta attuazione con la
prima beatificazione di una coppia di sposi: per essi la fedeltà al Vangelo e
l'eroicità delle virtù sono state riscon-
trate a partire dal loro vissuto come coniugi e come genitori. Nella loro
vita, come in quella di tante altre coppie di sposi che ogni giorno svol-
gono con impegno i loro compiti di
genitori, si può contemplare lo svelar-si sacramentale dell'amore di Cristo
per la Chiesa. Gli sposi, infatti, "compiendo in forza di tale sacramen-
to il loro dovere coniugale e familiare,
penetrati dallo Spirito di Cristo, per mezzo del quale tutta la loro vita è
pervasa di fede, speranza e carità, tendono a raggiungere sempre più la
propria perfezione e la mutua santifi-cazione, e perciò partecipano alla
glorificazione di Dio" (Gaudium et
spes, 49).
La causa di beatificazione
di Luigi e Maria Beltrame Quattrocchi, aperta il 25
novembre 1994, si con-clude nel ventesimo anni-
versario della Familiaris
Consortio, e, per la prima volta nella storia della
Chiesa, è elevata alla gloria degli altari una
coppia di sposi, beati non “malgrado” il matrimonio,
ma proprio in virtù di
esso.
Dall’Omelia di Papa Giovanni Paolo II, durante la cerimonia di beatificazione, 21 ottobre 2001
«Sai, non v’è differenza, Gino mio, tra Abbadessa
e portinaia, tra Arcivescovo e curato di campagna, tra generale e soldato... anche il minimo gesto di
chiudere piano la porta, raccattare uno spillo, pre-venire un desiderio... tutto, tutto e importante per
la santità».
«Economicamente non man-
cavano le possibilità, eppure c’era sobrietà: non si compra-
vano scarpe o abbigliamento se c’era la possibilità di risuo-
lare o rivoltare gli abiti. Nessu-
na firma, ma buon gusto sem-pre e fantasia».
«Ogni mattina, prima di usci-
re, papà leggeva le “Letture del giorno” a mamma, mentre
lei terminava di prepararsi».
«L’atteggiamento di papà,
quando pregava in chie-sa, era di tale raccogli-
mento che … m’ impres-sionava. Il suo desiderio
di ricevere l’Eucaristia era
talmente forte che una volta - eravamo da soli
sulle Dolomiti - rinunciò e mi fece rinunciare ad
un’escursione ecceziona-le, perché ci avrebbe im-
pedito, quel giorno, di
fare la comunione».
«In famiglia ci trasmettevano l’interesse e la giusta passione
per la vita sociale e politica e anche la compartecipazione ai dolori degli altri. Mamma ci portò ad Avezzano in Abruzzo a
far visita alle vittime del terremoto della Marsica. Durante la guerra era in ospedale accanto ai feriti e con la Croce Rossa
si specializzò in malattie tropicali».
Famiglia Beltrame Quattrocchi
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Nel 1972 il Cardinale G. Colombo promuove la causa di Beatificazione che si concluderà il 24 aprile 1994 con la sua proclamazione a Beata madre di famiglia. Già Paolo VI aveva citato questa donna nell’Angelus domenicale del 23
settembre 1973: “Una giovane madre della diocesi di Milano che, per dare la vita alla sua bambina sacrificava, con meditata immolazione, la propria”. Il 16 maggio 2004 Giovanni Paolo II la proclama Santa, alla cerimonia in piazza
San Pietro sono presenti 3 dei suoi 4 figli e il marito: <<Dell’amore divino Gianna Beretta Molla fu semplice ma
quanto mai significativa messaggera. Pochi giorni prima del matrimonio, in una lettera al futuro marito, ebbe a scri-vere: "L’amore è il sentimento più bello che il Signore ha posto nell’animo degli uomini". Sull’esempio di Cristo, che
"avendo amato i suoi… li amò sino alla fine" (Gv 13,1), questa santa madre di famiglia si mantenne eroicamente fe-dele all’impegno assunto il giorno del matrimonio. Il sacrificio estremo che suggellò la sua vita testimonia come solo
chi ha il coraggio di donarsi totalmente a Dio e ai fratelli realizzi se stesso. Possa la nostra epoca riscoprire, attraver-so l’esempio di Gianna Beretta Molla, la bellezza pura, casta e feconda dell’amore coniugale, vissuto come risposta
alla chiamata divina!>>
Gianna Beretta Molla
Gianna Beretta Molla nasce a Magenta (MI) il 4 ottobre 1922 da genitori profondamente cristiani, decima di
tredici figli. Negli anni della sua fanciullezza e adolescenza non mancano difficoltà e sofferenze , fra cui la malattia e la morte di entrambi i genitori. Negli anni del liceo e dell'università è giovane dolce, volitiva, e riservata, e mentre si dedi-
ca con diligenza agli studi, traduce la sua fede in un impegno generoso di apostolato tra le giovani di Azione Cattolica e di carità verso gli anziani e i bisognosi nelle Conferenze di San Vincenzo. Laureata in Medicina e Chirurgia nel 1949 all'U-
niversità di Pavia, apre nel 1950 un ambulatorio medico a Mesero (un comune del Magentino); si specializza in Pediatria
all'Università di Milano nel 1952 e predilige, tra i suoi assistiti, mamme e bambini, anziani e poveri. Nel 1954 conosce l’ing. Pietro Molla che diventerà suo marito il 24 settembre 1955; nel 1956 nasce Pierluigi, nel 1957 nasce Maria Zita e
nel 1959 Laura. Nel settembre 1961, al secondo mese della 4° gravidanza, viene operata per un fibroma uterino. Porta a termine la gravidanza rifiutando qualsiasi cura che possa compromettere la vita che porta in grembo. Alcuni giorni
prima del parto è pronta a donare la propria vita per salvare quella del proprio figlio: “Se dovete decidere fra me e il bimbo, nessuna esitazione: scegliete - e lo esigo - il bimbo. Salvate lui”, il 21 aprile 1962 nasce Gianna Ema-
nuela e il mattino del 28 aprile muore Gianna.
Un medico, una mamma,
santa nella famiglia e nella professione
Pagina 9
E’ un messaggio di gioia e di amore
per il Signore e per il prossimo, per la vita e per tutte le cose belle della
vita, per la professione e per la fa-miglia, sino al dono totale di sé. E’ il
messaggio di una donna testimone
esemplare del Vangelo come giova-ne impegnata, come fidanzata, spo-
sa, madre e medico. E’ un messag-gio semplice ma fondamentale, uni-
versale, di piena e permanente at-tualità. Dagli appunti di Gianna
emergono chiaramente le radici
profonde della sua spiritualità, della sua grande fede, del suo
spirito di preghiera, della sua fiducia nella Divina Provviden-
za, del suo amore e del suo
rispetto sacro per la vita. Rileg-gendoli alla luce della sua vita,
delle sue scelte, del suo com-portamento, emerge chiara-
mente che quanto Gianna ha esposto e raccomandato alle
sue giovani nel corso della sua
esperienza professionale e di fede lo ha testimoniato e realiz-
zato pienamente in lei stessa, con coerenza e coraggio, sino
alla fine.
La gioia: “Il mondo cerca la gioia ma non la trova perché è
lontano da Dio. Noi, compreso che la gioia viene da Gesù,
con Gesù nel cuore portiamo gioia.
Egli sarà la forza che ci aiuta.” L’amore e il sacrificio: “Amore e
sacrificio sono così intimamente le-gati, quanto il sole e la luce. Non si
può amare senza soffrire e soffrire
senza amare. Guardate le mamme che veramente amano i loro figli:
quanti sacrifici fanno, a tutto sono pronte, anche a dare il proprio san-
gue purché i loro bimbi crescano
buoni, sani, robusti! E Gesù non è
forse morto in croce per noi, per amore nostro! E’ col sangue del sa-
crificio che si afferma e conferma l’amore. Quando Gesù, nella S. Co-
munione, ci mostra il suo cuore feri-
to, come dirgli che lo amiamo se non si fanno sacrifici da unire ai
suoi, da offrirgli per salvare le ani-me? E qual è la maniera migliore
per praticare il sacrificio? La maniera migliore consiste nell’adorare
la volontà di Dio tutti i giorni,
in tutte le piccole cose che ci fanno soffrire, dire, per tutto
quello che ci succede: “Fiat: la tua volontà, Signore!”
E ripeterlo cento volte al
giorno! Non sono solo le grandi penitenze: portare il
cilicio, digiunare, vegliare, dormire sulle tavole ecc., che
fanno sante le anime, ma il vero sacrificio è quello di ac-
cettare la croce che Dio ci
manda – con amore, con gioia e rassegnazione...
“Amiamo la Croce” e ricordia-moci che non siamo sole a
portarla, ma c’è Gesù che ci
aiuta e in Lui, che ci confor-ta, come dice S. Paolo, tutto
possiamo.”
Il messaggio
di Gianna è
il messaggio
di una madre
di famiglia
Gianna Beretta Molla
Pagina 10 Chiara Badano
Nata nel 1971, figlia di Ruggero
Badano e di Maria Teresa Caviglia, visse da bambina nel paese di
Sassello, in provincia di Savona, e
soggiornò spesso d'estate al mare a Varazze presso gli zii. Incontrò il
movimento dei Focolari ad un ra-duno del 1980 e partecipò con i
genitori al Familyfest 1981 a Ro-
ma. Quest’ultimo evento in parti-
colare la colpì e la coinvolse, tanto che si legò ai gruppi delle giova-
nissime di Albisola e di Genova e divenne una "gen 3", terza gene-
razione del movimento dei Focola-
ri, occupandosi di bambini e anzia-ni. Nel 1981 iniziò una corrispon-
denza con la fondatrice del movi-mento dei Focolari, Chiara Lubich,
che più tardi la soprannominò "Chiara Luce". Nel 1985 si trasferì
con la famiglia a Savona per fre-
quentare il liceo classico. Chiara era una ragazza molto allegra,
moderna e sportiva. In terza su-periore, avvertì un forte dolore
alla spalla mentre giocava a tennis
e poiché i dolori alle ossa aumen-tarono, agli inizi del 1989 fu rico-
verata in ospedale, dove le fu dia-gnosticato un osteosarcoma con
metastasi. Subì un primo interven-to chirurgico all'ospedale Molinette
di Torino e cicli di chemioterapia e
radioterapia. In seguito, a causa della malattia, perse l'uso delle
gambe e, nel giugno del 1989, subì un secondo intervento di la-
minectomia dorsale. Nonostante la
malattia, continuò a seguire le
attività del gruppo di fede al quale apparteneva: donò tutti i suoi ri-
sparmi ad un amico in partenza per una missione nel Benin e face-
va lavoretti da mettere in vendita
per beneficenza. Trascorse gli ulti-mi mesi a letto nella sua casa di
Sassello insieme ai genitori, rima-nendo in contatto con i membri
del movimento tramite il telefono e continuando a studiare con le-
zioni private. Molti amici le faceva-
no regolarmente visita, rimanendo edificati dalla sua determinazione
e dalla gioia che sprigionava. Nell'agosto del 1990 Chiara Bada-
no preparò nei minimi dettagli il
suo funerale considerandolo una sorta di festa di nozze. Il 10 set-
tembre mandò un saluto a tutti i membri della comunità focolarina,
registrando un'audiocassetta, e negli ultimi giorni di vita mandò
un biglietto agli amici di Sassello.
Morì la mattina del 7 ottobre 1990, dopo una notte particolar-
mente sofferta.
Al ritorno a casa dall’ospedale, dopo aver ap-preso la gravità della sua malattia, Chiara vuole rimanere sola, si chiude in camera sdra-iata sul letto.... ma dopo il primo momento di ribellione e travaglio interiore, si rende conto che quella è la strada che il Signore ha prepa-rato per lei. Seppur dolorosa, è una strada buona, attraverso la quale il Signore, misterio-samente, la santifica. Quella malattia è la “prova” che le viene data e che lei può sce-gliere di vivere nella disperazione oppure con-sapevolmente nel dono di sé, riempiendola di amore. Così la mamma descrive il momento in cui Chiara ha avuto l’annuncio della gravità del male: «Chiara ha impiegato 25 minuti a dire di sì. Poi si è voltata verso di me col suo sorriso di sempre, raggiante, con uno sguardo proprio pieno di luce. E non è più tornata in-dietro”.
Chiara Luce Badano
Pagina 11
“Solo l’Amore con la A maiuscola dà la felicità Lo dimostra una giovane, Chiara Luce Badano, che è stata per tutti un raggio di luce”. Sono parole di Papa Benedetto XVI all’Angelus.
“I giovani possono trovare in lei un esempio di coerenza cristiana”, a dimostrazione che “il Suo Amore è più forte del male e della morte”. “Se lo vuoi tu, Gesù, lo voglio anch’io.” Diceva Chiara stessa.
Chiara Badano
Negli ultimi tempi, ricevendo gli amici, affermava di offrire la sua malattia in particolare per i giova-ni, perché “sono loro che hanno una vita davanti”. Una ragazza dal cuore cristallino”, definisce Chiara Luce, mons. Angelo Amato, prefetto della congre-gazione delle cause dei santi nella sua omelia. “Una ragazza moderna, sportiva, positiva, che in un mondo ricco di benessere, ma spesso malato di tristezza e di infelicità, ci trasmette un messaggio di ottimismo e di speranza”. Durante la cerimonia di beatificazione, si sono ripercorsi episodi sempli-ci e quotidiani della vita a Sassello, densi però di una radicalità evangelica sorprendente: dalla me-rendina donata ai poveri, all’accoglienza del giova-ne disadattato e della signora emarginata, o anco-ra la testimonianza al bar con gli amici perché “non conta tanto parlare di Dio. Io lo devo dare con la vita”. “Eccezionale, incredibile” sono gli aggettivi usati dai medici per definire la serenità con cui af-fronta la perdita dell’uso delle gambe: ”Non ho più le gambe, ma il Signore mi ha dato le ali”. “Una ragazza all’apparenza fragile, in realtà era una donna forte”, ha proseguito Amato. Una forza che attingeva dalla fede e dalla spiritualità vissuta nel movimento dei Focolari. Il card. Bertone dice: “Ritornando dal viaggio in Gran Bretagna con il Santo Padre, seduto accanto a lui in aereo, abbia-mo parlato di Chiara Luce Badano e mi ha detto che questa nostra Beata è un esempio da valoriz-zare per i giovani”.
E ricorda la consegna di Chiara Luce ai gio-vani: “Io non posso più correre, ma vorrei passare la fiaccola, come alle Olimpiadi”.
Spesso la Croce ci fa paura, perché sembra essere la negazione della vita.
Chiara ci ha mostrato che si può vivere positiva-mente ogni situazione della vita, anche la più complessa, si può vivere ogni dolore con un senso, abbracciando pienamente il proprio destino, accet-tandolo come la strada che il Signore ci da per la nostra santificazione e rendendo quella croce un dono anche per gli altri.
La felicità che così si ottiene è interiore e profonda e va al di là della situazione contingente che ci si trova a vivere.
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Agosto 1997: Giovanni Pao-
lo II è in Francia per la Gior-
nata Mondiali della Gioven-tù. Si viene a sapere che il
Papa ha cambiato il pro-gramma del suo viaggio:
nonostante pressioni contra-rie, fa una deviazione per
Châlo-Saint-Mars, borgo
dell’Île-de-France, per rac-cogliersi sulla tomba del suo
amico il professor Lejeune, morto nel 1994. Jerôme
Lejeune è nato nel 1926, a
Étampes, in una famiglia che la seconda guerra modiale lascerà rovinata.. Ispira-
to dal Dr. Bénassis, eroe del «Medico di campagna», vuole diventare anch’egli medico condotto, dedicato agli
umili e ai poveri. Dopo la guerra, si getta con passione negli studi di medicina e uno dei suoi insegnanti, il pro-
fessor Raymond Turpin, gli propone di collaborare a
una grande opera sul «mongolismo», malattia che col-piva un bambino su seicentocinquanta. Jerôme accetta.
Il 1° maggio 1952, sposa, a Odense in Danimarca, Bir-the Bringsted diventata cattolica, da cui avrà cinque
figli. La vita di famiglia è per lui un bene prediletto, so-
prattutto nelle vacanze. Nel 1954, diventa membro dell'ufficio di presidenza della Società Francese di Gene-
tica e ricercatore presso il Centro Nazionale della Ricer-ca Scientifica. A partire dalle esplosioni di Hiroshima e
Nagasaki, l’effetto delle radiazioni nucleari sulla riprodu-zione umana diviene oggetto delle sue ricerche. Il Pro-
fessore Turpin orienta la sua équipe verso questo setto-
re, e, nel 1957, Jérôme viene nominato, presso l'ONU, «esperto degli effetti delle radiazioni atomiche sulla ge-
netica umana». Approfittando di nuovi procedimenti fotografici, Jérôme evidenzia, in un tessuto proveniente
da un piccolo «mongoloide», la presenza di un cromo-
soma supplementare, a livello della 21a coppia (un es-sere umano ne possiede 23, ossia 46 cromosomi). Ecco
l’origine del «mongolismo», malattia che da quel mo-mento verrà chiamata «trisomia 21». Viene data comu-
nicazione della scoperta all’Accademia di Medicina, nel
marzo 1959. Nel novembre 1962, Jérôme si vede confe-rire il «premio Kennedy»; nell’ottobre 1965, diventa
titolare della prima cattedra di genetica fondamentale a Parigi. La sua scoperta e la pubblicità che ne viene fatta
nel mondo scientifico, pensa, stimoleranno la ricerca, e permetteranno la predisposizione di cure idonee per
guarire i malati e dare una speranza ai loro genitori. Le
famiglie dei malati, attirate dalla fama internazionale di Jérôme e dalla sua accoglienza, si rivolgono sempre più
numerose a lui. Egli cura diverse migliaia di giovani pa-zienti, venuti a consultarlo dal mondo intero o seguiti
per corrispondenza. Aiuta i genitori a comprendere e ad
accettare questa prova in una visione cristiana: questi bambini trisomici, creati a immagine di Dio, sono desti-
nati a un avvenire eterno dove non rimarrà nulla delle
loro infermità. Egli li conforta
con la sicurezza che il loro bambino, nonostante un gra-
ve deficit intellettivo, traboc-cherà di amore e di tenerez-
za. Ma Jérôme percepisce,
soprattutto nella classe medi-ca americana, una corrente
che raccomanda la soppres-sione con l’aborto dei nasci-
turi malati. Vede con spaven-to quali rischi ha generato la
sua scoperta per i trisomici.
Il 13 maggio 1981, Jérôme e sua moglie sono a Roma: il
Santo Padre li riceve in udienza privata. La sera stessa, rientrando a Parigi, apprendono dell’attentato di cui
Giovanni Paolo II è appena stato vittima. Jérôme e sua
moglie rimangono profondamente scossi da questa no-tizia. Nell’autunno, preoccupato dalla situazione interna-
zionale, il Papa decide di inviare a ogni capo di Stato in possesso dell'arma nucleare una delegazione di membri
della Pontificia Accademia delle Scienze, latori di una relazione sui pericoli della guerra atomica.
Per l'URSS, designa Lejeune e altri due. L'incontro ha
luogo il 15 dicembre 1981. «Noi, scienziati, dice chiara-
mente Jérôme, sappiamo che, per la prima volta, la so-pravvivenza dell'umanità dipende dall'accettazione da
parte di tutte le nazioni di precetti morali che trascendo-no qualsiasi sistema e qualsiasi speculazione teorica». Di
questa missione diplomatica, nessuna eco nella stampa. Le vessazioni amministrative che, a partire dalla votazio-
ne della legge Veil, avevano cominciato a prendere di
mira Jérôme in particolare sotto forma di controlli fiscali ripetuti, s'intensificano. Le sovvenzioni a lui destinate per
la ricerca vengono soppresse; è costretto a chiudere il suo laboratorio. Indignati da questo modo di procedere,
dei laboratori americani e inglesi gli concedono senza
contropartita sovvenzioni private; questa solidarietà di-sinteressata gli permette di ricostituire un'équipe di ricer-
catori animati dalle stesse motivazioni. Il 5 agosto 1993, il Santo Padre decide la creazione di un'Accademia ponti-
ficia di medicina, consacrata alla difesa della vita; ne
sarà presidente il professor Lejeune. Tra il Papa e quest'ultimo, vi è infatti una convergenza: l'aborto è, ai
loro occhi, la minaccia principale contro la pace. Se i me-dici cominciano a uccidere, perché se ne asterrebbero i
governi? Questa nomina lascia Lejeune sbigottito; si con-cede qualche giorno per riflettere, perché sente una
grande stanchezza. Verso la festa dei Santi, consulta il
suo amico il professor Lucien Israël. Quest'ultimo, con il viso alterato, gli mette sotto gli occhi le radiografie dei
suoi polmoni: rivelano un cancro già avanzato. Jérôme accetta la realtà con coraggio e sottomissione alla Volon-
tà divina. Bisogna informare della cosa Birthe e i figli:
«Non dovete preoccuparvi fino a Pasqua: vivrò almeno fino ad allora»; d'improvviso, aggiunge: «E a Pasqua,
non può avvenire nulla che non sia meraviglioso!»
Il professor Lejeune
Jerôme Lejeune e la trisomia del 21
Pagina 13
La vita di Lejeune è stata costellata da quello che si potrebbe definire una sorta di
eroismo intellettuale a tratti profetico: mai il professore ha sacrificato una virgola di verità per il proprio tornaconto personale. Gira il mondo per correre a difendere i suoi
piccoli malati dalla scure della “salute riproduttiva”, fino ad affermare davanti all’Onu: «Ecco una istituzione per la salute che si trasforma in istituzione di morte». La sera
stessa scrisse alla moglie spiegandole che si era giocato il Nobel. Diventa il genetista
più grande e allo stesso tempo il più odiato dagli abortisti: conoscerà gli insulti e gli sputi in faccia, le aggressioni e le scritte sui muri: “A morte Lejeune e i suoi mostri-
ciattoli”. In Francia proveranno a stroncarlo in ogni modo: controlli fiscali, nessun avanzamento di carriera per 17 anni, radiazione dai congressi, stop ai finanziamenti
per la ricerca e per i suoi studi pionieristici su acido folico e gravidanza. Ma il suo no-me è troppo grande, troppo rivoluzionari sono i suoi studi, e così ottiene fondi e rico-
noscimenti da Stati Uniti, Nuova Zelanda e Inghilterra. Ciò contro cui lottava con più
forza – racconta la figlia Clara – era il rifiuto di vedere la realtà in faccia: «Dite piutto-sto che questo bambino vi disturba e perciò preferite ucciderlo, ma dite la verità. è
un uomo la “cosa” in questione, non un ammasso di cellule, né un cucciolo di scim-panzé, né un potenziale individuo». Un giornalista gli chiedeva cosa possiamo fare di
fronte all’orizzonte preoccupante della bioetica: «Dire la verità, nient’altro che la veri-
tà, ma tutta la verità. Bisogna testimoniare, specialmente davanti alle giovani genera-zioni. In questo modo potranno diventare generazioni che rispettano la vita». Richia-
mandosi all’inizio del pontificato di Giovanni Paolo II, ripeteva: «Non abbiate paura del magistero, non vergognatevi», perché la storia giudicherà sulle parole di vita e le parole di morte.
Jérôme accetta la realtà con coraggio e sottomissione
alla Volontà divina. Bisogna informare della cosa Birthe
e i figli: «Non dovete preoccuparvi fino a Pasqua: vivrò almeno fino ad allora»; d'improvviso, aggiunge: «E a
Pasqua, non può avvenire nulla che non sia meraviglio-so!» Avendo avvertito il Santo Padre del suo stato di
salute e rinunciato alla presidenza della Pontificia Acca-demia per la Vita – come a quella dell'Accademia delle
scienze morali e politiche, che gli è appena stata confe-
rita – viene informato che il Santo Padre rifiuta di nomi-nare un altro presidente. Jérôme sorride: «Morirò nell'e-
sercizio delle mie funzioni». Fino alla fine, si sforza di redigere lo statuto dell'Accademia. Sente la sua impo-
tenza, ma il suo spirito di fede gli mostra la fecondità
degli stessi insuccessi. Non si lamenta mai: i suoi dolori, uniti per amore alla Passione di Cristo, possono rimette-
re il mondo sul suo vero asse! Il Mercoledì Santo 30 marzo 1994, poiché delira, in preda a una febbre di più
di 40 gradi, viene ricoverato in cure palliative. L'indoma-ni, all'alba, riprende conoscenza; il Venerdì Santo, confi-
da al prete che gli amministra gli ultimi sacramenti:
«Non ho mai tradito la mia fede». È tutto ciò che conta davanti a Dio. Dice ai suoi figli che gli chiedono che co-
sa vuole lasciare in eredità ai suoi piccoli malati: «Non ho granché, sapete. Allora, ho dato loro la mia vita. E la
mia vita, è tutto ciò che avevo». Poi, commosso fino alle
lacrime, mormora: «Oh mio Dio! sono io che dovevo guarirli, e me ne vado senza aver trovato « Che ne sarà
di loro?» Poi, raggiante, si rivolge ai suoi: «Figli miei, se posso lasciarvi un messaggio, è il più importante di tut-
ti: noi siamo nella mano di Dio. L'ho verificato più vol-te».. La domenica mattina, rende lo spirito.
Fuori, si fanno sen-
tire i primi rintocchi delle campane: è il
giorno della Risur-rezione, il giorno
della Vita, quella
che non finisce. Perché il Cristo è la
Vita eterna (1Gv 5,20)!
Il Santo Padre, il
giorno seguente,
invia un celebre messaggio all’ arci-
vescovo di Parigi: “[…] Il professor Lejeune ha assunto pienamente la responsabilità specifica dello scienziato, pronto a divenire “segno di contraddizione”, senza consi-derare le pressioni esercitate dalla società permissiva né l’ostracismo di cui era oggetto. […] Ci troviamo oggi di fronte alla morte di un grande cristiano de XX secolo, di un uomo per il quale la difesa della vita era diventata apostolato. […] Desideriamo oggi ringraziare Dio, Lui, l’Autore della vita, per tutto ciò che per noi è stato il pro-fessor Lejeune, per tutto ciò che egli ha fatto per difen-dere e promuovere la dignità della vita umana […]”.
Il 25 aprile 2007 per Jérôme Lejeune è iniziata la causa
di canonizzazione, ed egli è stato proclamato Servo di Dio. Il 12 aprile 2012 a Notre Dame a Parigi si è svolta
la cerimonia per la chiusura dell’inchiesta diocesana della causa di beatificazione del professor Jérôme Lejeune.
Il professor Lejeune
Mai ha sacrificato una virgola di verità
per il proprio tornaconto personale.
Pagina 14 Unità Pastorale
Dozza, Toscanella, San Lorenzo 6 Gennaio 2012: Re Magi
Via Crucis a Dozza
Toscanella: Musical “Solo l’amore crea”
Pagina 16
Quante altre persone hanno vissuto fino in fondo la loro vita, nella fede, portando Cristo e il vangelo nelle situazioni della vita, anche se nell’anonimato, anche se nes-suno ne ha percepito la grandezza e la profondità di intenti. Alcuni, dei quali è più chiara la santità, vengono proposti dalla Chiesa alla conoscenza e alla venerazione come esempio e modello per tutti noi. Buon cammino!
La santità per tutti
Zelia Guerin
Luigi Martin
Luigi Beltrame Quattrocchi Maria Corsini
Gianna Berretta Molla Chiara Badano Jerome Lejeune
Unità Pastorale di Dozza Toscanella:
Dozza, Toscanella, San Lorenzo, Valsellustra, Montecatone
Un ringraziamento particolare a coloro che hanno collaborato alla realizzazione della mostra