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Botteghe di artisti, botteghe di copisti, collezioni darte di Sandro De Maria Storia dellarte Einaudi 1

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Botteghe di artisti,botteghe di copisti,collezioni d�arte

di Sandro De Maria

Storia dell�arte Einaudi 1

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Edizione di riferimento:in Civiltà dei Romani. Un linguaggio comune, a curadi Salvatore Settis, Electa, Milano 1993

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Non è certo un paradosso sostenere � e di fatto lo siè talora sostenuto, per oltre due secoli, pur con motiva-zioni e risultati anche profondamente diversi � che l�es-senza della critica delle arti figurative nell�età romanapuò essere ricondotta a un fenomeno preciso: le moda-lità della recezione delle forme artistiche greche, cosìcome si erano sviluppate dal tardo arcaismo alla fine del-l�età ellenistica. Ciò detto, va anche riconosciuto che lamoderna critica dell�arte romana, abbandonato defini-tivamente il vicolo cieco della ricerca di una improba-bile � e sempre sfuggente � genuina «originalità», svin-colatasi dagli impacci di una visione bipolare, che vede-va il campo restringersi e oscillare da un lato, diacroni-camente, fra fasi «classiche» (improntate al classicismogreco) e fasi «barocche» (asiane, orientali), dall�altro,sincronicamente, fra un piano «colto» (naturalistico edellenizzante) e un piano «popolare» o «plebeo» (anti-naturalistico, espressionistico, tendente a un rudimen-tale simbolismo), può ora efficacemente orientarsi versouna concezione a più dimensioni, che nei fenomeni arti-stici d�età romana possa cogliere la ricchezza di apportie di valenze semantiche propri di quella che è stataopportunamente definita «un�arte al plurale» (O. Bren-del 1982; S. Settis 1982; S. Settis 1989).

Entro i confini di questa problematica complessa �alla quale non è possibile che fare un brevissimo cenno

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� va valutato anche il fenomeno, certamente di gran-dissimo rilievo, della recezione, serializzazione e riela-borazione delle forme artistiche greche (R. Zanker1979). Il problema dell�apporto dell�arte greca alla cul-tura romana è di tale portata che non può essere certa-mente esaurito nel breve spazio di un capitolo di libro.Lo si vuole tuttavia qui affrontare almeno sotto l�a-spetto della produzione di copie e della rielaborazionedegli originali, tentando di porre in evidenza adeguatacome questa prassi seriale, reduplicatrice (con maggiorio minori gradi di variazione) discenda da un processo diacquisizione e di selezione delle forme che non fu casua-le o dettato da semplici fenomeni di gusto, ma ben fon-dato su un «codice» del tutto particolare (T. Hölscher1987). A questo «codice di forme» corrisponde in certomodo un «codice di valori» che contemporaneamenteveniva definito in rapporto a un altro habitus largamen-te diffuso fra gli esponenti della nobilitas romana soprat-tutto dal I secolo a.C. in poi: quello del collezionismo,quanto meno di un particolare tipo di collezionismod�arte, di cui si dovranno qui indicare le linee essenzia-li di orientamento.

Gli storici latini, Tito Livio in particolare, riferiva-no l�initium mirandi Graecarum artium opera (l�avvio cioèdella grande ammirazione per le opere degli artisti greci)a un episodio preciso: la presa di Siracusa a opera di M.Claudio Marcello nel 212 a.C. (Liv. 25, 40, 1-3). Soprat-tutto da qui sarebbe iniziato l�afflusso diretto in Romadi un�enorme quantità di originali di artisti greci comeprede di guerra, un fenomeno proseguito e intensifica-tosi nel corso dei due secoli seguenti, contestualmenteal crescente potere di Roma sull�intero bacino del Medi-terraneo. Dalla presa di Taranto nel 209 a.C. a opera diQ. Fabio Massimo alla caduta di Corinto per opera diL. Mummio nel 146 a.C. e ancora con le conquiste e lespogliazioni operate dagli imperatores del I secolo a.C.

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l�afflusso di opere d�arte greche a Roma e in Italia fuenorme (M. Pape 1975). Ma come furono recepiti icapolavori greci, a quali effetti diedero luogo nella cul-tura e nella società romana, a quali nuovi codici etici,come si diceva, furono collegati e di quali consideratiespressione? Da un primo valore religioso e votivo, atte-stato dalle dediche nei templi e nei santuari di Roma diqueste illustri prede belliche, si passerà gradualmente auna loro «laicizzazione», a considerare cioè il loro pos-sesso (la loro esibizione) come espressione di uno statussociale privato, sottraendole � nonostante la fiera oppo-sizione di tradizionalisti come Catone � al godimentodella collettività, o per lo meno a tentare di farlo (D.E.Strong 1973).

Dal II secolo a.C. prende corpo così, gradualmente econ un forte sviluppo nel corso del secolo successivo, uncomplesso fenomeno di collezionismo privato, nel qualeancora una volta dobbiamo riconoscere un deciso impul-so nella nobilitas romana � pur se talora tacciata, comeL. Mummio, di rozza e predatrice incultura � a emula-re il grande modello costituito dai sovrani ellenistici,amanti e raccoglitori di opere d�arte antiche e commit-tenti di nuovi, grandiosi programmi figurativi. Attornoa questo fenomeno ruota tutto un mondo di antiquari emercanti d�arte, di mediatori e conoscitori, di artisti eriproduttori, di venerandi e costosissimi originali emodeste repliche (G.A. Mansuelli 1982; F. Coarelli1983), di cui possiamo ancora cogliere i contorni inalmeno un caso fortunato. È quello attestato dalle let-tere scritte da Cicerone ad Attico negli anni fra il 68 eil 65 a.C. a proposito dell�arredo statuario del «ginna-sio» e di altre parti della villa di Tuscolo posseduta dallostesso Cicerone (G. Becatti 1951, pp. 73-106). Le son-tuose ville aristocratiche consentivano in effetti un usodello spazio assai più creativo e aperto a progetti deco-rativi di sicuro prestigio e di forte valenza concettuale

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autorappresentativa, non vincolato dalle norme ristret-te cui doveva sottostare lo spazio urbano della domus,luogo piuttosto deputato ai doveri del negotium e dun-que degli impegni politici (X. Lafon 1981). È dunquesoprattutto nelle grandi ville che ritroviamo le maggio-ri collezioni d�arte private (ma vedremo subito che ladefinizione è un poco riduttiva). Va riconosciuto peròche anche la domus, laddove spazi e possibilità econo-miche lo consentano, si avvia ad essere talora una sortadi reduplicazione cittadina della villa d�otium: diversicasi di Pompei sono illuminanti al riguardo (P. Zanker1979a).

Sia le fonti scritte che i ritrovamenti archeologiciattestano come lo spazio consacrato alle delizie intellet-tuali dell�otium aristocratico, le ville appunto, sia quel-lo dove più decisamente era ricercato un arredo colto eanche eticamente confacente alle attività dell�intellettoe alle propensioni del proprietario. Talora gli scrittorilatini ci presentano queste dimore come dei veri museiprivati, dove pezzi di autentico antiquariato (originaligreci dell�età classica ed ellenistica) si univano a copie oa nuove creazioni contemporanee. È il caso delle ville diTuscolo di L. Licinio Lucullo (Plin., Nat. hist., 34, 36;Plut., Lucull., 39, 2; Varr., De re rustica, 1, 2, 10), del-l�oratore Ortensio (Plin., Nat. hist., 35, 130), che viaveva fatto costruire appositamente un padiglione(aedes) per accogliere un costosissimo e celebre quadro,quello di Kidìas raffigurante gli Argonauti (IV secoloa.C.), e infine di M. Emilio Scauro, ideatore del primoteatro in Roma dotato di una spettacolare scena costrui-ta e decorata da 360 colonne poste su tre piani e da 3000statue di bronzo, a dire di Plinio (Nat. hist., 36, 114-115), e che nella sua villa di Tuscolo � poi incendiata dauna rivolta di schiavi � aveva portato tutti gli orna-menti non utilizzati nell�arredo del teatro.

Ma è certamene il caso di Cicerone e del suo Tuscu-

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lanum, come si diceva, quello che meglio ci è noto perla fine dell�età repubblicana. La sua corrispondenza conAttico ci documenta sulle modalità dell�acquisto � pres-so botteghe di artisti e commercianti greci � delle scul-ture più adatte per i diversi ambienti della villa, masoprattutto sulle precise intenzioni del committente,così da costituire un esempio che, pur considerando illivello culturale e dunque l�eccezionalità del personaggio,può essere in qualche misura esteso anche ad altre situa-zioni simili. Ciò che colpisce � ma è un dato ovvio � èla forte pulsione verso la cultura greca, che già nelladenominazione di alcuni luoghi della villa individuadelle repliche ideali di illustri sedi della creatività intel-lettuale, filosofica soprattutto, della cultura greca: lepasseggiate (o «ginnasi») della villa si chiameranno cosìLiceo e Accademia, in omaggio alle predilette scuolefilosofiche dell�Atene classica. Un secondo aspetto dasottolineare è quello che sempre caratterizza le richiestedi Cicerone al suo «agente» in Grecia: le sculture daacquistare per l�arredo del suo «ginnasio» non devonoavere fra loro particolari affinità sul piano estetico e for-male; devono piuttosto essere adatte, noi diremmotematicamente affini, al luogo nel quale dovranno esse-re parte di una sorta di «sacra rappresentazione» evo-catrice del mondo e della cultura greci. È esattamentequesto che spingerà Cicerone a rifiutare, in un�altraoccasione, statue di Baccanti e di Marte, pur pregevoli,per decorare una palestra ad similitudinem gymnasiorum(Cic. Ad fam., 8, 23, 2) e ad accogliere invece con entu-siasmo altre statue che gli ha acquistato Attico in Gre-cia e che finalmente giungono a Gaeta alla fine del 67a.C. Cicerone ricorda signa Megarica (probabilmente sta-tue di bronzo, di tema a noi ignoto), erme di marmopentelico con teste di bronzo, fra le quali una di Eraclee una di Atena, tutte assai più adatte al tono riflessivoe colto che il suo «ginnasio», la sua Accademia, dove-

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vano immediatamente dichiarare attraverso il loro arre-do (Cic., Ad Att., 1, 3, 2; 1, 4, 3; 1, 8, 2; 1, 9, 2; 1, 1,5). Come si vede, la sola preoccupazione di Cicerone èquella di una perfetta affinità di contenuti, di temi fralo spazio «alla greca» del «ginnasio» e il suo arredo.Nessuna preoccupazione per gli aspetti formali, stilisti-ci, storico-artistici diremmo noi. Semmai, se preoccu-pazioni ve ne sono, esse sono di ordine puramente eco-nomico.

Le richieste di Cicerone ruotano sempre attorno a uninsieme di concetti ben definito: la convenientia al luogo(Ad Att., 1, 5, 7); l�adeguamento allo studium � non«gusto» o «passione» come talora si traduce, ma piut-tosto l�«interesse intellettuale» di Cicerone che sta allabase del programma figurativo vagheggiato (Ad Att., 1,8, 2) �; la dignitas in rapporto al luogo e ancora la con-venientia (Ad Att., 1, 9, 2; 1, 10, 3).

Certo non tutti i collezionisti erano degli accorti idea-tori di programmi figurativi o dei colti evocatori dei luo-ghi illustri della cultura greca. Esistevano semplici eavidi raccoglitori, disposti a tutto, anche a compierevere e proprie rapine programmate, sfruttando senzascrupoli magistrature e posizioni di potere, pur di incre-mentare la propria collezione, come fece Verre durantela sua pretura in Sicilia, così ferocemente perseguita daun ancor giovane Cicerone (Cic., In Verr. act. II, IV. Cfr.G.A. Mansuelli 1982a). Le tentazioni dovevano esseregrandi: lo stesso Cicerone si farà scrupolo di metternein guardia il fratello Quinto, lodandone il comporta-mento al tempo del suo terzo anno di proconsolato d�A-sia, nel 59 a.C. (Cic., Ad Q. fr., 1, 1, 8). Il più cospicuodocumento archeologico del collezionismo antico, quel-lo restituito dagli scavi settecenteschi della villa deiPapiri di Ercolano, ci riporta piuttosto al raffinato intel-lettualismo ciceroniano, soprattutto per il prevalereancora una volta di valenze tematiche nel complesso

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programma figurativo. Resta ancora in dubbio, per lamancanza di sicuri riscontri, la figura del proprietariodella villa. Recentemente (M.R. Wojcik 1986) si è pro-posto uno degli Appi Claudi Pulcri, la cui famiglia èattestata epigraficamente a Ercolano (C.I.L., X 1424):potrebbe trattarsi di quel colto filelleno che fu AppioClaudio Pulcro console nel 54 a.C., autore di un famo-so atto di evergetismo monumentale in Grecia, quellacostruzione dei piccoli propilei di Eleusi che suscitaro-no persino le ansie emulatrici di Cicerone, sempre pron-to a riproporre nel proprio spazio domestico realtà figu-rative e architettoniche evocatrici del suolo e della cul-tura greca (Cic., Ad Att., 6, 1, 26). Una seconda, fon-data possibilità è quella di attribuire il programma figu-rativo della villa dei Papiri a un esponente della fami-glia dei Calpurni Pisoni, sottolineando in particolare edestendendo a tutta la cultura espressa nella villa l�o-rientamento dei soli testi filosofici scoperti nella biblio-teca, di impronta epicurea e, molti fra essi, opera delfilosofo Filodemo di Gadara, di cui fu appunto patronoLucio Calpurnio Pisone Cesonino, un fiero avversario diCicerone, console nel 58 a.C. (D. Comparetti-G. DePetra 1883). Altri, sempre nel solco di questa interpre-tazione, hanno preferito identificare il personaggio nelfiglio di questi, Lucio Calpurnio Pisone Frugi Pontefi-ce, console nel 15 a.C. (D. Pandermalis 1971; S. AdamoMuscettola 1990), ma restando sostanzialmente nelmedesimo àmbito interpretativo.

Comunque sia, il corredo scultoreo della villa � distri-buito nei due peristili, nella zona fra questi interposta(il cosiddetto tablinum) e in quella gravitante attornoall�atrio � rivela l�intento (simile a quello di Cicerone)di condurre un «discorso per immagini» nel quale i sin-goli episodi, coordinati fra loro in nuclei coerenti sulpiano del contenuto, componessero un insieme rispon-dente allo status, al ruolo sociale e culturale del proprie-

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tario. Le sculture, anche in questo caso certamente com-missionate in Grecia e in Oriente, ribadiscono la cultu-ra di matrice greca del proprietario, richiamandoneugualmente l�impegno politico con un evidente tentati-vo di risolvere l�eterna contraddizione fra otium e nego-tium viva in ogni colto aristocratico romano. Così accan-to alle statue di oratori e ai ritratti di filosofi greci, tro-viamo quelli dei sovrani ellenistici, specchio ed evoca-zione dei modelli dei politici contemporanei, ma entram-bi da considerare, su un piano più generale, espressionidelle migliori capacità umane, nel campo dell�intellettoe dell�azione da questo governata. Emblematicamente,da un capo all�altro dei due peristili, l�arcaizzante eveneranda figura dell�Athena pròmachos si rispecchia nelpensoso bronzo dell�Hermes in riposo.

Nelle sculture della villa si incarnano così i miti dellahumanitas perseguita dalla cultura greco-latina degli ulti-mi decenni della repubblica e dell�epoca di Augusto,che taluni episodi figurativi non mancano di contrap-porre, questa volta chiaramente, alla ferinità della natu-ra incolta, rappresentata ad esempio dal gruppo col vigo-roso e animalesco congiungimento carnale fra Pan e lacapra, posto ai bordi della lunga piscina nel grande peri-stilio.

Pur dovendo rinunciare a soffermarci sulle molte sfu-mature di temi e di riferimenti colti che il programmafigurativo della villa dei Papiri suggerisce, ne dobbiamocogliere sinteticamente la grande forza evocatrice di unmondo e di un�intera e complessa cultura, anche nei suoiaspetti nostalgici nei confronti di un passato glorioso,quello greco classico ed ellenistico, riconosciuto comemodello ispiratore di comportamenti e di impegno intel-lettuale (G. Sauron 1980). Al pari di quanto possiamocogliere nelle citate lettere di Cicerone, ma in modoancor più complesso, l�interesse è qui tutto program-matico, contenutistico, con lo scopo di ricreare una sorta

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di spazio ideale evocatore, di attestare uno status, ungrado di cultura dagli inequivocabili significati di auto-riconoscimento sociale.

L�intera collezione è certamente il frutto di un pro-getto unitario, salvo qualche trascurabile eccezione,eppure additivo e nella sostanza non predeterminatoappare l�aspetto puramente formale delle opere, chesono caratterizzate stilisticamente secondo un evidenterapporto tema-stile epocale, cosicché le divinità e le sta-tue ideali riprendono forme dell�arte greca arcaica eclassica, mentre i ritratti e le sculture «realistiche» diesseri del mondo naturale si rifanno piuttosto a modidella scultura ellenistica, secondo un procedimento diselezione delle forme in rapporto ai temi sul quale dovre-mo tornare.

Il modello costituito dai programmi figurativi dellegrandi ville tardorepubblicane e del primo impero, cosìrappresentative dell�ethos aristocratico romano deltempo, conserverà a lungo i propri caratteri anche nelcorso dell�impero (R. Neudecker 1988), culminando nelpiù clamoroso e stupefacente esempio costituito dallavilla di Adriano presso Tivoli, dove si ritrova ancoraun�estrema espressione della cultura profondamentefilellenica degli aristocratici romani della tarda repub-blica (J. Raeder 1983).

Diversamente sembrano stare le cose per quantoriguarda le maggiori collezioni d'arte esposte negli edi-fici pubblici. Alcuni esempi potranno aiutare a coglieresubito le differenze. Nella prima età augustea AsinioPollione, che era stato un sostenitore e collaboratore diCesare, farà costruire ex manubiis (cioè coi proventi delbottino di guerra), nell�Atrium Libertatis presso il Forodello stesso Cesare, dunque nel cuore di Roma fra Cam-pidoglio e Quirinale, la prima biblioteca pubblica dellacittà (G. Becatti 1956). I Pollionis Asini monumenta,noti da diversi Passi di Plinio (Nat. hist., 7, 115; 35, 940;

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36, 23-25 e 33-34), comprendevano un ricco corredoscultoreo esposto con criteri che potremmo definire«museografici», senza un preciso intento tematico,eccetto che per i ritratti di letterati famosi, ovviamen-te in sintonia con la funzione dell�edificio (T. Lorenz1965; G. Lahusen 1988). Vi troviamo così statue didivinità e di eroi del mito, opere di scultori diversi fraloro ma quasi tutti esponenti delle scuole del tardo-elle-nismo asiatico e soprattutto neo-attico, secondo quelcrescente prevalere del classicismo che anche sul pianoteorico diviene dominante nei decenni cruciali fra lafine dell�età repubblicana e l�età di Augusto (B. Schweit-zer 1932; Classicisme 1979).

Qualche decennio più tardi Tiberio farà ricostruirel�antico tempio della Concordia alle pendici del Campi-doglio sul Foro Romano, ridedicandolo il 16 gennaio del10 d.C. come aedès Concordiae Augustae (C. Gasparri1979). Il suo interno, con un lungo podio addossato allepareti e dieci edicole inquadrate da colonne, sembraconcepito appositamente per ospitare una collezioned�arte, di cui infatti ci parla diffusamente ancora Plinio(fonti in G. Becatti 1973-74). Trattandosi di un tempio,tutte le statue (di bronzo) erano di divinità, mentre treedicole maggiori, sporgenti al centro delle pareti, dove-vano forse ospitare le statue sedute (di marmo) di Con-cordia, al centro di fronte alla porta della cella, di Roma(secondo la supposizione di G. Becatti) e di Hestia(acquistata a Paros da Tiberio: Cass. Dio, 55, 9, 6).Altre opere d�arte erano disposte all�esterno del tempio,come mostrano anche alcune raffigurazioni monetalicontemporanee. Gli scultori rappresentati apparteneva-no al tardo classicismo (Latona con Apollo e Artemidedi Euphranor), alla scuola di Lisippo (Ares e Hermes diPiston) e soprattutto alle diverse epoche del classicismoellenistico ateniese, ancora una volta dominante:

Demetra, Zeus e Atena di Sthennis, Apollo e Hera

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di Baton, Asclepio e Igea di Nikératos. A completare l�e-sposizione erano quadri di Zeusi (Marsyas religatus), diNicia (un Dioniso) e di Theoros (una Cassandra), dun-que artisti ateniesi di età classica, piena e tarda, e delprimo ellenismo. Peraltro la dedica e l�esposizione nelmedesimo tempio di quattro elefanti di ossidiana daparte di Augusto (Plin., Nat. hist., 36, 196) e, da partedi Livia, di una sardonice incisa montata in un cornod�oro che si diceva appartenuta al celebre anello di Poli-crate di Samo (Plin., Nat. hist, 37, 4), doveva attribui-re alla raccolta dell�aedes Concordiae il tono di una Wun-derkammer, una «camera delle curiosità» che riunivaoggetti d�arte, prevalenti, e rarità o oggetti famosi perla storia e la leggenda, un carattere di certo comuneanche ad altri «musei» di Roma (J. von Schlosser 1908;D. E. Strong 1973; J. Beaujeu 1982).

Gli esempi delle collezioni pubbliche di Roma potreb-bero continuare a lungo, dalle porticus arredate conprede di guerra dai viri triumphales del II e I secolo a.C.(M. Pape 1975, pp. 183 sgg.) ai portici del teatro diPompeo (F. Coarelli 1971-72), dal tempio di VenereGenitrice nel Foro di Cesare (Plin., Nat. hist., 7, 126;35, 26, 136, 156; 37, 11) al templum Pacis di Vespasia-no (Plin., Nat. hist., 34, 84; 35, 74, 102, 109; 36, 27;Ioseph., Bell. iud., 7, 5, 7; Pausan., 6, 9, 3; Procop.,Bell. goth., 4, 21, 11-14. Cfr. M. Pape 1975, pp. 181-183). Le caratteristiche generali restano spesso le mede-sime, mentre va ribadito che solo le collezioni private,come quella della villa dei Papiri, ci testimoniano qual-cosa di più sulle tendenze autorappresentative, sul pianoculturale e sociale, dei committenti-ordinatori. Signifi-cativa è la lunga polemica, già accennata, sulla necessitàdi rendere pubbliche le opere relegate nel geloso godi-mento privato, come farà Vespasiano con le opere toltedai sellaria (saloni) della Domus Aurea di Nerone (Plin.,Nat. hist., 34, 84), un terreno questo sul quale si era già

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impegnato Agrippa, proponendo con una oratio magni-fica, a dire di Plinio, il divieto di tenere capolavori nelledimore private (Plin., Nat. hist., 35, 26).

Un po� controcorrente, invece, agiva a questo riguar-do Tiberio, che proprio alle terme di Agrippa riuscì asottrarre per qualche tempo il celeberrimo Apoxyòmenosdi Lisippo per goderselo in solitudine nella propria came-ra da letto (Plin., Nat. hist., 34, 62), dove aveva purefatto collocare, col gusto di creare una sorta di cabinetsecret, quadri licenziosi (libidines) di Parrasio, come l�Ar-chigallus, forse l�immagine di un giovane eunuco (Plin.,Nat. hist., 35, 70), e la pittura rappresentante Atalantacongiunta in una fellatio a Meleagro (Suet., Tib., 44, 2).Sulla stessa linea si porrà Tito, nella cui domus eretta sulQuirinale (o nella zona dove era sorta la Domus Aurea,il dato è incerto) si trovavano il gruppo dei ragazzi gio-catori di astragali di Policleto e l�altro celeberrimo grup-po del Laocoonte di Agesandro, Polidoro e Atenodorodi Rodi, una delle sculture più famose per tutta l�etàromana (Plin., Nat. hist., 34, 55; 36, 37). Esempi que-sti di un sontuoso collezionismo d�altissimo antiquaria-to al quale comunque cedette frequentemente l�aristo-crazia romana (G. Gualandi 1982), ben al di sopra delpur significativo collezionismo tematico e autorappre-sentativo di cui si è detto in precedenza, composto pre-valentemente di copie e di rielaborazioni.

Se dal campo dei committenti-collezionisti spostiamolo sguardo a quello delle botteghe degli artisti-produt-tori, non sarà difficile immaginare, accanto ai mercantidelle opere originali di prezioso antiquariato, una fittarete di artisti specializzati nella produzione di opere perquesto mercato particolarmente vivace e recettivo. Dallametà circa del II secolo a.C. è dominante un fenomeno,che non è solo di gusto estetico, come vedremo, per ilquale le forme improntate all�arte classica del V e del IV

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secolo a.C. assumono un ruolo esemplare nella produ-zione di nuove opere d�arte, per una domanda che coin-volge sempre più l�intero mondo mediterraneo. Le bot-teghe, soprattutto nell�Attica e nella stessa Atene, si spe-cializzano nella produzione di opere figurative ispiratea quell�illustre periodo dell�arte greca (G. Becatti 1938;W. Fuchs 1959; F. Coarelli 1968; F. Coarelli 1969-70;F. Coarelli 1976). Si producono così vere e proprie copiefedeli degli originali classici, ma anche oggetti in serie(più esemplari per diversi committenti), riproduzioni ascala ridotta, varianti e nuove sculture che non si pos-sono ormai più considerare derivate direttamente da unpreciso originale d�età classica preso a modello (V.M.Strocka 1979). Talora si deve parlare più genericamen-te di una sorta di «prototipo ideale» da cui derivano lenuove opere, da riferire così più a un intero complessodi forme artistiche omogenee identificato come riferi-mento che a un archetipo fisso e determinante (W. Tril-lmich 1973). Le botteghe neo-attiche operano ancora inGrecia intensamente fino ai primi decenni del I secoloa.C. e in particolare dopo l�86, dopo cioè il sacco silla-no di Atene e la forte caduta del mercato locale, tendo-no piuttosto a spostarsi verso Occidente e a operaredirettamente presso le principali sedi del nuovo e riccomercato romano.

Il recupero del carico di alcune navi affondate neiprimi decenni del I secolo a.C. mentre erano in viaggiodalla Grecia (il Pireo e forse Delo) verso Occidente �come i relitti di Mahdia al largo delle coste tunisine (W.Fuchs 1963) e di Antikythera nel mare Egeo (P.C. Bol1972) � dimostra come questo flusso di nuovi prodottidelle botteghe greche si accompagnasse non solo al tra-sporto di materiali architettonici di marmo, ma anche altrasferimento di pezzi d�antiquariato: sulla nave nau-fragata a Mahdia si trovava il gruppo bronzeo di Agonfirmato da Boethos, un artista del medio ellenismo di

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una certa rinomanza; su quella di Antikythera è statorecuperato il ben noto efebo bronzeo, un originale delIV secolo a.C. È molto verosimile che in questo frut-tuoso commercio fossero coinvolti gli stessimercanti-produttori attivi, ad esempio, nel commerciodi generi alimentari, del vino in particolare, diffuso dal-l�Italia verso il mercato in espansione dei territori pro-vinciali (F. Coarelli 1983). Nella pratica quotidiana lebotteghe dei copisti si avvalevano, oltre che di sempli-ci disegni delle opere da riprodurre, anche di calchi ingesso, della cui esistenza siamo informati dalle fontiscritte. Dalle opere originali della scultura greca veni-vano tratte delle forme «negative», da cui poi si rica-vavano i veri e propri calchi «positivi», distribuiti allebotteghe soprattutto nella stessa Grecia, in Asia Mino-re e in Italia, ma probabilmente anche in altre parti del-l�impero. Da questi calchi, che riproducevano fin neiminimi particolari i capolavori originali dell�età classicaed ellenistica, gli scultori riportavano, per lo più nelmarmo, le forme scultoree spesso originariamente ese-guite in bronzo, servendosi di una serie di punti di rife-rimento trasferiti, con opportuni strumenti, nel bloccogrezzo di pietra da lavorare.

Il fortunato ritrovamento, nel 1954, a Baia pressoPozzuoli, in un vano secondario delle cosiddette Termedi Sosandra, di uno scarico di ben 293 frammenti di talicalchi in gesso ha documentato per la prima volta diret-tamente questa pratica officinale dei copisti romani.Doveva dunque esistere a Baia una di tali botteghe, perla quale è però impossibile stabilire un riferimento cro-nologico, dato il carattere del ritrovamento, di certouno scarico secondario non in rapporto con la sede ori-ginaria della bottega. Questa peraltro operò in una loca-lità a lungo interessata dall�edilizia residenziale dellanobiltà romana prima e successivamente della stessacorte imperiale. In ogni caso i frammenti di Baia sono

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della massima importanza per la ricostruzione delle fasidi lavorazione nella produzione di copie statuarie in Ita-lia e per almeno due altri ordini di motivi. Da un latoper l�antologia di capolavori greci che riproducono eche rispecchiano le predilezioni per l�arte dell�età clas-sica dei committenti romani. Sono stati identificatiinfatti frammenti di calchi di dodici statue conosciute,che si collocano tutte nell�età classica e annoveranogruppi famosi: da quello dei Tirannicidi dell�agorà diAtene alle diverse statue dell�Amazzone di Efeso, dallacosiddetta Atena di Velletri all�Hera Borghese (in realtàuna statua di Afrodite), dall�Efebo Westmacott all�A-pollo del Belvedere. In secondo luogo il confronto fra ilcalco antico, tratto da un «negativo» derivato diretta-mente dall�originale, e le diverse copie note permette diosservare minutamente la fitta rete di sottili varianti eadattamenti al gusto e allo stile dello scultore-copistad�età romana che caratterizza, nel permanere di unaforma archetipica sempre identica a se stessa, ogni bot-tega e persino ogni singolo esemplare nella serie delleriproduzioni (Ch. Landwehr 1982; Ch. Landwehr1985).

Come si comprende facilmente, il fenomeno dellecopie è particolarmente complesso, anche sotto il profi-lo delle cronologie (H. Lauter, s.a.), e riesce difficilesistemarlo in un preciso codice di formule di cui le bot-teghe di scultori e pittori fossero gli esecutori (G. Lip-pold 1923; G. Lippold 1951; G. Lippold 1959; P.Zanker 1974; M. Bieber 1977; B.S. Ridgway 1984).Esso non è neppure da limitare al fenomeno del neoat-ticismo anche se questi scultori ne sono forse i rappre-sentanti numericamente più rilevanti.

Molto indicativo è il caso di Pasiteles, uno scultoreitalo-meridionale della prima metà del I secolo a.C., ori-ginario forse di Taranto e divenuto cittadino romanodopo la guerra sociale, che fu anche autore di un famo-

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so trattato in cinque libri � per noi perduto � sui nobi-lia opera (ovvero sulle più famose opere d�arte del mondointero, che saranno poi ritenute degne di copia). Comeci fanno intendere le fonti che ne riferiscono, dalla suabottega uscirono lavori certamente non omogenei inquanto a radici culturali: un Giove d�avorio che si devepensare improntato alle forme del primo classicismoaccanto al leone scolpito dal vero nei navalia di Roma,di certo erede delle tendenze realistiche dell�ellenismomaturo (Plin., Nat. hist., 36, 39-40. Cfr. M. Borda 1953;T. Hölscher 1987, pp. 64 sg.). D�altro canto gli esempiche abbiamo ricordato a proposito delle collezioni roma-ne pubbliche e private dell�età tardorepubblicana e delprimo impero mostrano che, assieme alle opere caratte-rizzate dalla ripresa di forme artistiche del classicismogreco, compaiono sovente sculture di gusto pienamenteellenistico, siano esse originali o rielaborazioni più omeno libere del modello. Il fenomeno delle copie e/o rie-laborazioni va dunque valutato, come si diceva, nella suacomplessità, innanzi tutto come un processo di ripresadi forme artistiche maturate nel tempo e selezionatesecondo un codice nel quale grande e fondamentaleimportanza deve aver rivestito il tema, il soggetto dellaraffigurazione (C. Maderna 1988; S. F. Schröder 1989).Abbiamo già potuto osservare come il tema, il contenu-to dell�opera stia alla base di tanti programmi figurati-vi omogenei; allo stesso modo la scelta di un determinatolinguaggio formale da parte di una bottega di artistidoveva essere in stretta relazione col soggetto da raffi-gurare a richiesta del committente. Gli scrittori antichi,proponendo un parallelo fra una teoria retorica classici-stica del linguaggio e i valori formali dei massimi artistigreci, ci hanno conservato in parte � nella perdita tota-le della vera e propria trattatistica d�arte � questa sortadi codice selettivo delle forme artistiche (B. Schweitzer1932; G. Becatti 1951; F. Preisshofen-P. Zanker

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1970-71; P. Zanker 1979; T. Hölscher 1987). Possiamocosì ridisegnare per sommi capi quella teoria del classi-cismo artistico che ebbe a lungo enorme fortuna pressol�élite intellettuale e sociale del mondo romano, ancheperché considerata come la meglio rappresentativa del-l�ordine statale contemporaneo (W. Tatarkiewicz 1979,pp. 300 sgg.; Classicisme 1979; G.A. Mansuelli 1984).

Il dato, com�è ben noto, assume massimo rilievo nel-l�età di Augusto (P. Zanker 1987), ma si rivela comun-que determinante almeno dal I secolo a.C. all�inizio delIII d.C. È così che i grandi artisti greci del V e del IVsecolo � fra gli scultori Policleto e Fidia soprattutto, frai pittori Zeusi, Parrasio e Apelle � sono valutati secon-do un procedimento che associa ciascuno di essi a unsistema concettuale di valori ben definito, che ritrovia-mo praticamente identico � solo con qualche variazioneterminologica � in tutti gli scrittori fedeli alle teorie delclassicismo atticista: Quintiliano innanzi tutto, perchépropone più organicamente un parallelo tra aspetti dellaretorica e fatti d�arte (Inst. or., 12, 10, 1 ss.), ma ancheCicerone (Brutus, 18, 70; De orat., 3, 7, 26), l�autoredella Rhetorica ad Herennium (F. Preissohofen-P. Zanker1970-71) e via via Dionisio di Alicarnasso, Plinio il Vec-chio, Luciano. Così delle opere di Fidia si esalta il pon-dus, la maiestas, la pulchritudo, l�auctoritas (Quintil., Inst.or., 12, 10, 9) e quindi le forme a lui ispirate appaionoparticolarmente adatte per le statue di divinità (ciò chevale anche per le sculture di Alcamene). In Policleto siriconosce la diligentia e il decor (Quintil., Inst. or., 5, 12,21; 12, 10, 7; Strab., 8, 6, 10) ed è prediletto per le figu-re maschili giovani: le copie saranno numerosissime edenorme la fortuna di creazioni come il Doriforo e ilDiadumeno, anche attraverso una grande quantità di rie-laborazioni (D. Arnold 1969; D. Kreikenbom 1990).

A Callimaco si associavano soprattutto i concetti dielegantia (leptòtes, chàris) e diligentia (Plin., Nat. hist., 34,

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92; Dion. Hal., Isocr., 3, 6) ed era considerato un model-lo per figure danzanti e volanti. L�estremo classicismodi Prassitele e di Lisippo era collegato principalmente alconcetto di veritas (Quintil., Inst. or., 12, 10, 9; Plin.,Nat. hist., 34, 64; Vell. Pat., 1, 11, 4) e sappiamo quan-to il ritratto lisippeo abbia avuto fortuna nella conside-razione artistica dei Romani. Allo stesso modo si rico-noscono qualità particolari nei pittori dell�età classica:la cura in Protogene, la facilitas in Antifilo, l�ingenium ela gratia in Apelle (Quintil., Inst. or., 12, 10, 6).

Le fonti classicistiche a cui ci siamo riferiti nonfanno naturalmente rientrare in questo stesso apprez-zamento né l�arte greca arcaica né quella ellenistica, manella pratica di bottega dei copisti e degli artisti d�etàromana anch�esse entrarono a pieno diritto, la primaper la sua efficacia nel rappresentare venerande figuredi divinità o di eroi del mito, e anche come fenomenodai connotati eminentemente decorativi (M.A. Zag-doun 1989), la seconda perché efficace nella resa difigure da connotare pateticamente e dinamicamente,oppure per i soggetti realistici o per le scene caratte-rizzate da una forte sensibilità idilliaca (come per la resadel paesaggio naturale o animato, anche mitologico, nelrilievo e nella pittura).

Questo sistema che lega strettamente fra loro da unlato aspetti formali e stilistici realizzati in un lungoperiodo di tempo ma riconsiderati, per così dire, sin-cronicamente, dall�altro un quadro concettuale nel qualenon è difficile riconoscere i riflessi dell�ethos aristocra-tico contemporaneo, starà alla base, una volta divenutoacquisizione generale e maggiormente diffuso (in modopiù o meno consapevole) in larghi strati della popola-zione di tutto l�impero (T. Hölscher 1984), di quel pro-cesso di selezione e riutilizzazione delle forme che si rea-lizza un po� ovunque nelle botteghe degli artisti e arti-giani d�età romana. Restano ovviamente le differenze

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qualitative, anche sensibili, fra una bottega e l�altra.Per cogliere un esempio nel campo della pittura, un«quadro» realizzato da un pittore di grandi capacitàdell�età di Augusto � forse dipendente da un modelloellenistico � nella villa vesuviana di Boscotrecase con laraffigurazione di Polifemo e Galatea sarà ripreso pocodopo da un decoratore della Casa del Sacerdos Aman-dus di Pompei, con uno scadimento evidente nella sen-sibilità per la resa dello spazio, che comporta semplifi-cazioni e mutamenti di scala delle figure, a vantaggioperò di una certa maggiore drammatizzazione dellascena e del tema mitologico (P.H. von Blanckenhagen1990, pp. 38-40).

Ma per tornare al problema principale, quello appun-to dell�esistenza di una sorta di «codice di valori» del-l�espressione artistica come base per la selezione delleforme nelle botteghe di artisti e copisti, si deve ricono-scere che le forme da impiegare di volta in volta (lo sche-ma iconografico, ma anche il vero e proprio linguaggioartistico col quale esprimersi) sono da essi scelte in rap-porto al tema e soprattutto a quello che potremmo defi-nire il suo «potere di persuasione». Si tratta dunque diun «sistema semantico» flessibile ma in sé perfettamen-te compiuto (T. Hölscher 1987), che ha come punti diriferimento da un lato alcuni aspetti del patrimonio figu-rativo dell�intero percorso dell�arte greca, dal tardoarcaismo alla fine dell�età ellenistica, dall�altro un nuovosistema di valori riconosciuto come effettivamenteromano, ben radicato e funzionale al nuovo sistema sta-tale (l�arte figurativa dell�epoca di Augusto è estrema-mente significativa al riguardo). È per questo, ad esem-pio, che vedremo ripresi, fino ai decenni centrali del IIIsecolo d.C., schemi policletei del Doriforo perstatue-ritratto maschili nude, raffiguranti personaggidell�aristocrazia romana (Roma, Villa Doria Pamphilj).La relativa staticità di questo sistema è dimostrata dal

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fatto che un fenomeno analogo lo si può cogliere in sta-tue funzionalmente simili di due secoli più antiche, conla riproposta dello schema policleteo del Discoforo(Chieti, Museo Nazionale).

Se viceversa prendiamo in esame il medesimo sog-getto in un arco di tempo limitato, ad esempio l�età diAdriano, vedremo che lo stesso tipo statuario consentesoluzioni ispirate a epoche diverse e per così dire ricon-siderate appunto sincronicamente. Il tipo statuario diAntinoo, il giovane amato da Adriano e divinizzatodopo la morte, risponde infatti sempre allo stesso idea-le di bellezza giovanile, che per essere realizzato ricor-re però alle più diverse epoche dell�esperienza artisticagreca: dallo stile severo (l�Antinoo nello schema delcosiddetto Apollo del Tevere: ad esempio la statua dellaBanca Nazionale di Roma) ai tipi classici policletei (comel�Antinoo Farnese del Museo Nazionale di Napoli) finoai molti esemplari ispirati a schemi tardoclassici ed elle-nistici (Ch. V. Clairmont 1966; P. Zanker 1974, pp. 10sg., 97 sgg.).

Ancora un esempio potrà chiarire il senso dell�utiliz-zazione contemporanea di caratteri formali diversi, per-sino all�interno della medesima opera. Tonio Hölscherrichiama opportunamente il caso del ritratto di M.Agrippa (Parigi, Louvre), nel quale la propensione clas-sicistica è ben presente, ma fortemente stemperata dalleforme patetiche del ritratto ellenistico, proprio perchéla volontà di esprimere la forza dinamica del condottie-ro aveva un preciso modello, radicato da tempo, nelleforme espresse dalla ritrattistica dei sovrani ellenistici(T. Hölscher 1987, pp. 34, 68 sg.). È vero che nel campodell�oratoria gli orientamenti patetici asiani eranorespinti dai teorici del classicismo atticista romano per-ché ritenuti indegni e persino contrari all�auctoritas e allagravitas del magistrato (Cic., Brutus, 95, 325-327). Eappunto gravitas e sanctitas sono le qualità della vera elo-

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quenza paragonabili a quelle riconosciute, nel campodelle arti figurative, al Doriforo di Policleto e alle sta-tue di giovani combattenti e atleti dell�epoca classica(Quintil., Inst. or. 5, 12, 20-21). Ma nella più spregiu-dicata pratica delle botteghe degli scultori, anche diquelli al lavoro per l�altissima committenza di rangoimperiale, resta presente a lungo anche il linguaggio del-l�arte ellenistica, soprattutto nel campo del ritratto e delrilievo, più legati alle esperienze della veritas maturatenel tardo classicismo e poi nel pieno ellenismo.

È merito soprattutto di Tonio Hölscher e di PaulZanker avere indagato con grande finezza questi pro-blemi. Quanto abbiamo ora esposto sembra sufficienteper chiarire che il fenomeno del neoatticismo, dell�interoclassicismo romano, così come la pratica delle bottegheche recuperano le più diverse esperienze formali del pas-sato, non può essere semplicemente relegato nel terre-no astratto del «gusto», o peggio nell�ambiguo limboconcettuale del cosiddetto «eclettismo» romano. Si trat-ta piuttosto di un organico processo di selezione che siè realizzato non sulla base di predilezioni puramenteestetiche, ma obbedendo semmai a criteri di valoreessenzialmente semantici.

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