Bollettino N.18 - sett 05 - Sito Ufficiale del Comune di...

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Supplemento a Ross zétar d’Rumagna - N.75 - Anno 38° - n.2 - Settembre 2005 Registr. Trib. Ravenna n.524 del 15-7-69 - Non contiene pubblicità. Direttore Responsabile: Avv. Emilio Duranti - Redattore: Girolamo Fabbri Sped. in A.P. - D.L. 353/2003 (con. in L.27-2.2004 n.46)- Art. 1, comma 2 - DCB Ravenna Ricerca condotta dal dott. Francesco Bentini di Russi E’ frequente nella cultura popolare dei pic- coli paesi che le persone attribuiscano un nome ad una strada, ad un vicolo, per even- ti o episodi par- ticolari che si tramandano e che nel tempo prendono il so- pravvento sui nomi o titoli attri- buiti dallo stra- dario. Il dott. Bentini si è chiesto, come molti di noi, per- ché la strada che collega S. Pancrazio a Pi- lastro viene chiamata “viol de sgnor Carlèn” mentre il suo nome ufficiale è via “Sabbionara”. Ha svolto una ricerca e ha trovato la rispo- sta in una lettera inviatagli dal dott. Pianca- stelli. Abbiamo ricevuto questa lettera dal dott. Bentini e la pubblichiamo integralmente. Gent.mo dottore Filetto 19-1-82 Dall’esame dei registri degli stati d’anime che il parroco mi ha mandato credo di aver identificato il “Signor Carlino” che ha dato il nome popolare che ancora usiamo per la strada Sabbionara. Era il sig. Carlo Simoncelli di Luigi nato il 13-5-1800 abitante nella Parrocchia di S. Antonio di Città in Forlì - ora Ravaldino - che il 25-11-1823 sposò a Filetto Faustina fu Tomaso Pascoli del luogo e qua si stabilì e venne in possesso di terreno. Nei documenti d’archivio il suo nome Carlo è sempre preceduto da Signor, cosa che non succede con gli altri parrocchiani. In quanto alla tradizione che avesse l’incarico di Barisello* non vi è nessun cen- no. Può darsi che forse essendo uno zelante papalino tutto sia nato di lì. Voglia accettare i miei più cordiali saluti. P. Piancastelli Barisello = Gendarme del Vescovo. E’ Barisel de Véscov, si diceva a Forlì rife- rendosi a qualcuno che si dava dell’importanza.(vedi A. Masotti, “Vocabolario Romagnolo-Italiano”, pag.59)

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Supplemento a Ross zétar d’Rumagna - N.75 - Anno 38° - n.2 - Settembre 2005 Registr. Trib. Ravenna n.524 del 15-7-69 - Non contiene pubblicità.

Direttore Responsabile: Avv. Emilio Duranti - Redattore: Girolamo Fabbri Sped. in A.P. - D.L. 353/2003 (con. in L.27-2.2004 n.46)- Art. 1, comma 2 - DCB Ravenna

������������� ��� ����Ricerca condotta dal dott. Francesco Bentini di Russi

E’ frequente nella cultura popolare dei pic-coli paesi che le persone attribuiscano un nome ad una strada, ad un vicolo, per even-ti o episodi par-ticolari che si tramandano e che nel tempo prendono il so-pravvento sui nomi o titoli attri-buiti dallo stra-dario. Il dott. Bentini si è chiesto, come molti di noi, per-ché la strada che collega S. Pancrazio a Pi-lastro viene chiamata “viol de sgnor Carlèn” mentre il suo nome ufficiale è via “Sabbionara”. Ha svolto una ricerca e ha trovato la rispo-sta in una lettera inviatagli dal dott. Pianca-stelli. Abbiamo ricevuto questa lettera dal dott. Bentini e la pubblichiamo integralmente.

Gent.mo dottore Filetto 19-1-82 Dall’esame dei registri degli stati d’anime che il parroco mi ha mandato credo di aver identificato il “Signor Carlino” che ha dato il nome popolare che ancora usiamo per la strada Sabbionara. Era il sig. Carlo Simoncelli di Luigi nato il 13-5-1800 abitante nella Parrocchia di S. Antonio di Città in Forlì - ora Ravaldino - che il 25-11-1823 sposò a Filetto Faustina fu Tomaso Pascoli del luogo e qua si stabilì e venne in possesso di terreno. Nei documenti d’archivio il suo nome Carlo è sempre preceduto da Signor,cosa che non succede con gli altri parrocchiani. In quanto alla tradizione che avesse l’incarico di Barisello* non vi è nessun cen-no. Può darsi che forse essendo uno zelante papalino tutto sia nato di lì. Voglia accettare i miei più cordiali saluti.

P. Piancastelli

Barisello = Gendarme del Vescovo. E’ Barisel de Véscov, si diceva a Forlì rife-rendosi a qualcuno che si dava de l l ’ importanza. (ved i A. Masot t i , “Vocabolario Romagnolo-Italiano”, pag.59)

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da mangiare, da bere, da fumare. Era un po’ freddo, ma si sopportava. E poi, non mi hanno ammazzato.” Era celibe e viveva con una sorella nubile “ la Giulia” che faceva la bracciante ma era anche bravissima a cardare la lana con l’apposito attrezzo: lo scardasso (e’ scardazz). Pirì, fino ad una certa età aveva fatto il bracciante poi, acquistata una somarella e una biroccia pensò di fare il carrettiere. Così alternava qualche giornata da ope-raio ad altre di servizio di trasporti vari con la sua carretta e la sua asinella. Durante il periodo della trebbiatura veniva ingaggiato dalla squadra d’aia per il tra-sporto del vino e dell’acqua per dissetare gli operai, al seguito della trebbiatrice; mansione che egli svolgeva con scrupolo e serietà. Egli e la sua somarella erano inseparabili, si comprendevano. Mai una frustata per lei, bastava l’incitamento a voce “va là”

Basso di statura, corporatura minuta. Indossava un abito di tessuto grossola-no di canapa, di lavorazione domestica �è�r i gadèn���r omagnol o��

In estate portava calzature di tipo inver-nale con allacciature mai allacciate; in inverno calzava zoccoli con suolatura di legno, allacciati. Soltanto nella stagione fredda portava calzini di lana da pasto-re. Tutto l’anno, sulla pelle, portava una maglia di lana da pastore e indossava mutandoni di canapa, lunghi, allacciati alla caviglia. A volte portava su una spalla una vecchia giacca, si difendeva dai rigori invernali con il classico mantel-lo romagnolo (la caparèla). Portava sempre un copricapo: in inverno uno scalcagnato cappello di feltro, in e-state la “caplèna” di paglia. Attorno al col-lo, annodato sotto il mento, tutto l’anno, portava un fazzolettone variopinto. Alla cintura, per reggere i pantaloni porta-va, ai fianchi una fascia di tessuto di ca-napa variopinta (e’ lezz). Sotto questa fa-scia, infilato per una punta, teneva un faz-zolettone di colore rosso e bianco spio-vente sull’anca e sulla gamba. Frequentava il barbiere non più di una vol-ta al mese per cui il suo volto era presso-ché sempre ricoperto dalla barba; fumava la pipa ( la classica caratèna) bianca, di caolino e, talvolta, il sigaro. Persona di carattere umile, gentile ed edu-cata, anche se poco colta, ha sempre ac-cettato molto filosoficamente ciò che la vita gli ha dato, sia in bene che in male. Ideologicamente repubblicano, chiamato alle armi si sorbì tutti i quattro anni della prima guerra mondiale durante la quale rimase otto mesi in trincea senza cambio. Era solito dire: “ C’era il fango, la sporci-zia, i pidocchi, le pulci, la morte, ma anche

La figura caratteristica di un abitante di S. Pancrazio �

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di Luigi Silvestroni

Foto: Pirì d’Gurden

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PANINO DELLA FESTA E CARNI DI MAIALE La festa cade nel pieno dell’inverno e nel pe-riodo in cui in campagna si uccide il maiale. Pensiero: certo che santificare la festa man-giando è un comportamento molto lontano dell’esempio di vita del santo che nel deserto faceva lunghi digiuni, ma la devozione convive con questa “contraddizione” e fissa tempi di-stinti di festa e di astinenza a scelta delle singo-le persone. Siamo nel cuore dell’inverno, nei giorni più fred-di, quindi si può mangiare un po’ di più. Si inizia il pranzo gustando un panino benedet-to, che può essere accompagnato da: affettato scelto a piacere: coppa di testa, salsic-cia a fette, pancetta salata stagionata tagliata sottile (questi salumi sono speciali se si è ucci-so da poco il maiale). Si può scegliere il pro-sciutto, ma il panino è buono anche condito so-lo con un po’ di buon olio di oliva. Molto buono è tagliato a fette, coperto con una fetta di pro-sciutto sottile e scaldata nel forno, ma “la deli-zia” è il panino benedetto scaldato nel forno, coi ciccioli���

La zuppa di fagioli “ zuppa matta” Ingredienti per 6 persone:3 hg di pane comune secco 100 g. di fagioli cannellini spicchio d’aglio prezzemolo, olio di oliva, conserva di pomodoro sale parmigiano reggiano grattugiato Ammollare i fagioli nell’acqua per alcune ore, poi lessarli, scolarli conservare l’acqua di cottu-ra. In un tegame mettere l’olio di oliva, con lo spicchio d’aglio intero, versare la conserva di pomodoro, sale, un po’ d’acqua fare bollire poi aggiungere il prezzemolo tritato. Tagliare il pane a fette sottili. Al momento di preparare, prendere una terrina, fare uno stra-to di pane versare un po’ di acqua di bollitura dei fagioli, il sugo di pomodoro, i fagioli il parmi-giano reggiano e mischiare; guarnire sopra con sugo e fagioli.

Io ho modificato la ricetta origi naria in questo modo: prendere tegamini di terracotta di 10 cm di diametro, ungere con olio, versare parte della zuppa condi-ta, guarnire con sugo e fagioli, un po’ di parmigiano reggiano grattugiato e mettere in forno a gratinare per 10 minuti. Servire calda. Come secondo ossa spinali di maiale les-sate, cambiando l’acqua di cottura a metà e servite bollenti. Per la cena, la grigliata povera di carni di maiale. Povera ma buona: costa, fegatini con la rete, pancetta, salsiccia matta. Con la scelta di queste carni c’è un ritorno alla tradizione e si trovano ancora tutte nelle macellerie. La costa si cuoce per prima, poi la salsic-cia, la pancetta e il fegato servite accom-pagnate da pane abbrustoliti e patate fritte nello strutto di maiale. ��

Cucina e tradizione di Luisa Calderoni����

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La memoria di S. Antonio Abate è d’obbligo universale il 17 gennaio secondo il nuovo calendario della Chiesa. La sua festa a Ge-rusalemme si celebrava già nel V secolo. La tradizione indicava come giorno della sua morte proprio il 17 gennaio. A questa data la sua festa venne introdotta anche a Roma nel XII secolo. Da allora Antonio det-to anche il grande, divenne uno dei santi più popolari del Medioevo, più narrato dalle leggende e più dipinto dai pittori. Questo santo, che parrebbe di casa nostra, era invece nato a Coma nel Medio Egitto, sulle rive del Nilo e fino a vent’anni condusse vita inno-cente e anche ingenua, sotto la tutela dei genitori e in com-pagnia di una buona sorella. Restato orfano sentì il richia-mo alla perfezione nelle paro-le evangeliche “vendete tutto ciò che avete, date il ricavato ai poveri, e ne otterrete un te-soro nei cieli.” Infatti vendette tutto e il ricavato lo diede ai poveri e in parte alla sorella che restava sola.

Si ritirò in un luogo deserto nelle vicinanze del suo villag-gio, poi sulle montagne di Pi-spir, nei pressi del Mar Rosso dove sotto la sua direzione si formarono alla fine del secolo III due monasteri. Poi andò nel deserto della Tebaide. Interruppe l’isolamento per consolare i martiri durante le persecuzioni dei romani e degli ariani. Il suo primo rifugio di penitenza fu una cel-letta; poi un’antica tomba egiziana, poi un castello abbandonato. Presto venne indicato con il nome di “ Dei-colo” cioè innamorato di Dio e il suo amore suscitò uno dei più vasti movimenti dei pri-

mi secoli cristiani. Egli fu l’ Abate, cioè il pa-dre degli eremiti, che dopo la metà del III secolo, in numero sempre maggiore fuggi-vano il mondo per ritirarsi nel deserto, in E-gitto e altrove. Sant’Atanasio, il grande pa-triarca di Alessandria, che oltre ad essere suo ammiratore, fu il suo primo biografo, lo chiamò “ il fondatore dell’ascetismo” cioè della vita austera di sacrificio e di peniten-za. E l’esempio della sua vita trasse e spro-nò migliaia di anime. Quando morì tutto il deserto d’Egitto fioriva nella santità dei soli-tari, isolati o in cellette o in caverne “che

s o m i g l i a v a n o – d i c e Sant’Atanasio- a templi dove i cori celesti salmodiavano per-petuamente”. Egli restò nel deserto per più di ottant’anni morendo vec-chissimo, più che secolare. Della sua vita e anche dei suoi scritti le notizie sono in-certe e si ammette il carattere leggendario di alcuni episodi. Si sa che scrisse varie lettere delle quali si possiede una versione latina, ma la popola-rità di questo santo non è do-vuta agli scritti sermoni e let-tere, di dubbia autenticità, ma al fatto che fu una delle più grandi figure di eremita cri-stiano. E’ il più noto degli anacoreti, in particolare conosciuto per le “tentazioni”, infatti quando

non c’erano più le minacce degli uomini si moltiplicarono le tentazioni del demonio. Le legioni di Satana si scatenarono contro di lui; il nemico gli apparve sotto tutte le sem-bianze: angeliche, umane, bestiali. Egli le vinse sempre, non però senza fatica, si che una volta disse a Gesù, dopo aver supera-to una delle più forti tentazioni: “ dove eri tu buon Gesù? Dove eri tu? Perché da princi-

)'�*��+'�������'�+,��,�'-'+���'�� � �������.� �����$/0�1/2��Ricerca condotta da Luigi Silvestroni e Luisa Calderoni

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mangiato dai componenti la famiglia a digiuno e messo grattugiato nel mangiare degli animali. La festa si fa la domenica più vicina al giorno della ricorrenza. Durante le messe viene distri-buito il panino benedetto e il santino che raffigu-ra: da una parte il santo col bastone da eremita, gli animali e sullo sfondo il fuoco e dall’altra par-te la preghiera. All’uscita dalle messe davanti al sagrato i giovani figli di agricoltori vendono i bi-glietti della lotteria. Al pomeriggio, dopo la preghiera di ringrazia-mento, la sala parrocchiale si riempie di perso-ne, poi si estrae la lotteria, si distribuiscono i premi ai vincitori presenti: in genere animali o beni alimentari. Alla fine dell’estrazione le per-sone presenti si fermano, si intrattengono a parlare e mangiano pasticcini, un momento im-portante che fa sentire le persone parte attiva della loro comunità.

pio non fosti presente per aiutarmi? E Gesù rispose: io ero qui ma aspettavo di vedere la tua battaglia; ora, però poiché tu hai combat-tuto francamente, per tutto il mondo ti farò ri-cordare” Infatti pochi santi hanno avuto la po-polarità di S. Antonio Abate. Nelle nostre campagne fin dai tempi antichi il santo era invocato per la salute dell’anima e del corpo, in particolare era considerato gua-ritore dell’herpes zoster ( fuoco di S. Antonio). Quando poi gli venne affidata la protezione del bestiame apparve ai suoi piedi il roseo porcellino, come simbolo di salute e di floridi-tà, ma anche di prosperità, infatti il maiale è sempre stato un animale molto importante per l’economia familiare e per l’alimentazione delle famiglie di campagna. S. Antonio Abate è il protettore degli ani-mali domestici, della famiglia contadina, dei tessitori, dei guantai��Questa festa nel dopoguerra era stata messa un po’ in sordina. Una nostra interpretazione è che i mutamenti che sono avvenuti con lo sviluppo industriale e con l’urbanesimo hanno modificato le condizioni di vita e cambiato abi-tudini nelle campagne. Da alcuni anni però la tradizione è stata recuperata e rivalutata. In molti paesi della nostra Provincia, il giorno della festa nelle chiese si benedicono gli ani-mali. In molte case di campagna ci sono segni tan-gibili di questa devozione, non c’è stalla gran-de o piccola, pollaio, “stalletto” o altro spazio adibito a ricovero degli animali nel quale da qualche parte non si veda appesa una foto più o meno grande del santo; in molte case disabitate a volte semidistrutte restano anco-ra queste immagini. Nella nostra Parrocchia la festa è ancora viva e molto sentita. “I priori di S. Antonio” contadi-ni devoti al Santo, alcune settimane prima della festa in bicicletta, “imbottiti di panni” per-ché di solito fa freddo, siamo nel cuore dell’inverno, vanno di casa in casa con la sporta di paglia attaccata al manubrio a porta-re i simboli della festa. Nella sporta ci sono: il panino benedetto, un santino piccolo, uno medio e il calendario, che subito vengono ap-pesi sui muri delle stalle e pollai. Il calendario è molto bello: in mezzo la foto del santo, le spigolatrici e l’Angelus di G. Millet, i giorni di vigilia e digiuno, le feste mobili, le fasi della luna, (molto seguite dagli agricoltori) , le eclissi. Il giorno della festa il pane viene

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La casa dove vivo ora, a Ravenna, è im-mersa in un bel giardino, che richiede molte cure e spesso è ponte dei ricordi verso la mia giovinezza. Con la vanga, sto rivoltando il terreno ai pie-di di alcuni cespugli: la affondo, faccio leva e sollevo una palata che rigiro sul posto, assestando le zolle con la lama. Tra i grumi di terra, affiora una larva arrotolata color a-vorio, con un piccolo capo rossiccio e alcu-ne zampette: una larva di maggiolino ( Me-lolonta melolonta), di due anni dei tre del suo ciclo. Mentre la riconosco, ricordo. Nei lontani anni cinquanta è maggio. In via Barleti ( dove sono nato nella famiglia Bia-sulaena) che conduceva a mezzadria un podere ( un sid) e ovunque i campi e le piante hanno ripreso da tempo il ciclo an-nuale della vita. I campi seminati, i frutteti di meli e peschi, i filari di viti, le rive dei fossi sono ricoperti di erbe selvatiche, piante col-tivate, foglie multiformi che seguono la brez-za sotto il terso cielo primaverile. I filari del-le viti corrono ai margini dei campi, tra una coltura e l‘altra o ai confini della proprietà; per sostenere i tralci allevati a pergola bila-terale, si usano grossi fili di ferro tesi, lungo tutto il filare da pali di legno ( i s-ciopp) ap-poggiati ad alberi intervallati regolarmente alle viti: tra questi: pioppi, olmi e aceri cam-pestri ( l’opi). Non tutti gli anni, ma spesso, sui lunghi gio-vani rami rossicci di questi aceri, pieni di belle foglie trilobate color verde scuro, in questo mese frizzante ma già caldo si ar-rampicano nugoli di maggiolini, uscendo maturi dal terreno, in cui per tre anni hanno fatto mute cibandosi di radici, per nutrirsi anche di foglie e vivere la loro breve vita aerea. Io bambino, a volte con qualche bambino delle famiglie vicine ( Pistola, Argel, Mot, Bizoc), scorrazzando per i campi mi fermo lungo i filari a scuotere i giovani aceri, fa-

cendone cadere a terra in gran numero. Cadono sull’erba, sui capelli e sulla maglietta, e alcuni mentre cadono sollevano le elitre e svolazzano intorno. Ne raccolgo manate, sentendoli agitarsi e fremere nel tentativo di liberarsi e fuggire. A volte, di un lungo sottile filo di cotone che ho portato, lego un capo ad una zampa e, gettando il maggiolino in aria, lo stimolo a volare tenendolo “ al guinzaglio” e divertendomi, con un po’ di sadi-smo infantile, a vanificare i suoi tentativi di appog-giarsi su qualche ramo o foglia. Erano coleotteri dannosi, ma allora sotto i filari, in particolare vicino al piede delle viti e degli alberi ( la zoca), si arava raramente, non venivano mai usate sostanze diserbanti e anche la difesa anti-parassitaria della vite era blanda. Perciò potevano riprodursi in così gran numero. Oggi, in campa-gna, non più. Torno a guardare la larva che agita le piccole zampe tra la terra smossa, e penso con un velo di malinconia che oggi qui, nei giardini di città, il maggiolino è un rifugiato e quasi un sopravvissu-to. Ma chi è il maggiolino? Un insetto dal corpo di color nero lucente, elitre castane e una serie di

macchiette bianche su ciascun fianco. In campagna com-pare nei mesi di aprile-maggio e la sua vita da adulto dura solo tre setti-mane, durante le

quali vive con altri sulla vegetazione e si ciba di foglie e di teneri germogli. Sugli alberi avvengono anche gli accoppiamenti. Dopo i maschi muoiono mentre le femmine si dirigono verso i campi e i prati dove depongono le uova fecondate. Dalle uova nascono larve che sono grosse, biancastre, come vermi. Queste larve si cibano di radici che devastano e per questo sono insetti dannosi per le colture. La vita delle larve sottoterra, dura tre anni, a volte anche quattro. ��������������������������������������Note della Redazione)

Memorie vive della campagna che fu �

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Il primo grazie è alla Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna, ai suoi dirigenti che col loro contribu-to economico ci hanno permesso di qualificare la nostra offerta didattica e culturale. Il maestro Silvestroni, come fa sempre, con cura, dedizione, passione, impegno, ha preparato il rendi-conto del lavoro annuale della didattica: circa 1300 persone nell’anno scolastico 2004/2005 sono venu-te nei nostri laboratori di didattica museale, che se sommati con tutte le persone che in tanti anni hanno partecipato alle varie attività (mostre, fiere….) diventano un numero incalcolabile. Non è sempre facile seguire un’esperienza associativa come la nostra, che si prefigge obiettivi a volte ambiziosi e si misura quotidianamente col desiderio di fare cose nuove e belle. La vera ricchezza, la forza che ci anima e ci stimola a continuare, sta nei nostri volontari, nei nostri so-ci, in tutti quelli che ci sostengono, nei numerosi bambini, insegnanti, genitori; tante persone delle quali a volte non possiamo ricordare neppure il volto. Abbiamo voluto essere un’Associazione che non deve per forza parlare in maniera “simpatica”, fare cose “effimere”. Noi siamo persone “appassionate” della nostra tradizione, della vita in campagna, dei valori e del lavoro quotidiano della gente semplice e della famiglia contadina. Continueremo ad offrire le nostre opportunità culturali, a dedicare tempo e il nostro impegno a ricercare un rapporto con le persone che vogliono condividere questa realtà.

�����������������������������������������������������Il Presidente Luisa Calderoni

DIDATTICA MUSEALE Anno scolastico 2004/2005

PERCORSO CLASSI ALUNNI INSEGNANTI canapa 13 180 �������������

dal grano al pane 28 538 ����������

latte e formaggio 9 198 ����������

baco da seta 9 200 �����������

TOTALE 59 1.114 ������������������������������������������������

I NOSTRI AMICI E COLLABORATORI Coordinatori:Silvestroni Luigi, Bendandi Franco�������Docenza: dott.ssa Siboni Serena Organizzazione: Valpiani Nazario e Zoli Ivo. Locali per i laboratori: Coop. Culturale G. Mazzini Fornitori materiale: Giuliani Lorenzo (pane) Azienda agricola Sangiorgio di Godo (latte) canapa e tessitura: Buscherini Nevio, Fuschini Norina, Donati Angelina, Dall’Agata Marta, Secchiari Simonetta, Palmieri Renza e Naldi Ornella. dal grano al pane: Alfatti Enzo ( mulino), Miccoli Sergio e Cignani Sergio, Fornai),Zoli Ivo e Valpiani Nazario latte e formaggio:Franca Faccani, Costantina Mancini, Zoli Ivo e Valpiani Nazario baco da seta: Gatti Mario e Fabbri Olimpio. Randi Odette e Babini Ugo che ci ospitano.

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COMUNE DI PROVENIENZA CLASSI�� Alfonsine 1 Bagnacavallo 1 Brisighella 1 Cesena 2 Castelbolognese 4 Cervia 3 Forlì 4 Fusignano 1 Conselice-Lavezzola 2 Lugo 12 Ravenna 14 Russi 6 S.Agata sul Santerno 2 Solarolo 6 Totale 59

Libreria “La Grama” ����

“I sapori della campagna”�“Racconti paesani”

� vol. 1 - Una vita fra la canapa � vol. 2 - Tessitura che passione! � vol. 3 - Una vita fra i bigatti � vol. 4 - Una fèta d’furmaj vol. 5 -�Il Grano e il pane: ieri e oggi

Documentari Video n. 1 contenente:����� -Testimonianze dal Museo della��� -Vita contadina; � -Il grano e il pane: ieri e oggi; � -Una vita con il maiale; � -Latte e formaggio: produzione��

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supplemento a Ross zéntar d’Rumâgna a cura della

Associazione culturale “La Grama” Via della Resistenza, 12

������ San Pancrazio (RA)

Per effettuare qualsiasi versamento utilizzate il bollettino di C/C postale

intestato a “La Grama”� � � �11939485 oppure presso tutti gli sportelli del

Credito Cooperativo della Provincia di Ravenna�

I dati personali sono rigorosamente personali e saranno utilizzati solo per l’invio di questa pubblicazione e di altre informazioni relative al le manifestazioni dell’associazione.

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C/o Scuola Elementare Via XVII Novembre, 48020 San Pancrazio

RA Tel 0544 534303 - Fax 0�����������

Internet: www.racine.ra.it/russi/vitacontadina

E-mail: [email protected] Orario del Museo:

giovedì, dalle 14,��� 18,00

domenica, dalle 9,30 alle 12,30 Ingresso euro ����, ridotti euro 0,50

LA QUOTA 2005 RIMANE

INVARIATA A �.12,00����

Rettifica all’articolo: “L’edicola di S.Pancrazio”, pubblicato in “Dri l’irola”, numero 2 del 2004. La socia della nostra Associazione sig.ra Dina Casadio ci ha gentilmente inviato una lettera con la quale vuole precisare che nel numero 2/2004 del giornale “Dri l’irola”, nell’intervista a Lucia Laghi sull’edicola di S. Pancrazio c’è una notizia da rettificare, in quanto Silvio e Pia Laghi. genitori di Lu-cia, acquistarono casa e licenza diretta-mente dalle sorelle Casadio Dina e Antiope e altri congiunti e non dalla famiglia Silve-stroni, come pubblicato. Di questa compra-vendita la sig.ra Casadio conserva ancora il relativo rogito.

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La redazione

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