La pieve di San Pancrazio - Comune di...

8
1 La parola PIEVE deriva dal termine latino “plebs” che indica una comunità di fedeli; in seguito viene ad individuare anche il tempio in cui tale comunità (il popolo di Dio) si raccoglie in preghiera nel suo territorio. Questo edificio, il cui territorio costitui- sce il “plebato”, in generale si trova in ambito rura- le. Quando la comunità della pieve ha assunto una sua consistenza, la pieve costituisce la chiesa prin- cipale del territorio che, però, dipende dal vescovo. Essa è dotata di battistero, che inizialmente è un edificio a sé stante attiguo alla pieve e successiva- mente viene trasferito all’in- terno della pie- ve stessa; pres- so la pieve vi è pure il cimitero e vicino ad essa il fedele può tro- vare luoghi di istruzione. La tradizione vuole che la Pie- ve di San Pan- crazio fosse fat- ta edificare da Galla Placidia, figlia del- l’Imperatore Teodosio il Grande, nell’anno 437 d.C. ma l’unico documento che ne accenna la cita in data 963 d.C. Da studi esperiti dal Rev. Can. Don Mario Mazzotti, risulta che l’edificio risalirebbe al VII—IX secolo. Nell’interno, sul primo pilastro di destra è murata una piccola lastra marmorea che riporta la data Supplemento a Ross zétar d’Rumagna - N.65 - Anno 33° - n.2 - Settembre 2000 Registr. Trib. Ravenna n.524 del 15-7-69 - Non contiene pubblicità. Direttore Responsabile: Avv. Emilio Duranti - Redattore: Girolamo Fabbri Spedizione in A.P. (Art.2 - comma 20/c - Legge 662/96) - Filiale di accettazione: Ravenna. La pieve di San Pancrazio di Luigi Silvestroni del 1058: con tutta probabilità si tratta della data di una riconsacrazione del tempio. La Pieve è in stile protoromanico, ma successivi ri- maneggiamenti l’hanno portata allo stile crocero latino. Internamente si presentano tre navate: la centrale ampia ed alta, le laterali più basse e ristrette. Tutte sono a tetto con travi, travicelli e capriate visibili. Le navate sono separate da sei pilastri rostrati, per parte, sorreggenti archi a volta semicircolare. L’in- terno dell’abside è semicircolare; nel presbiterio è posto un altare in marmo. Cin- que monofore (finestrelle) or- nano l’abside: le due estreme chiuse da vetro bugnato giallo, le tre centrali con lastre di a- labastro. Dietro l’altare, sul fon- do del- l’abside, un pilastro a lesena sorreg- ge il Tabernaco- lo. Le due cappel- lette del tran- setto hanno un piccolo altare in marmo. Sul fondo della cappella di destra due pilastri a lesena in late- rizio fanno da basamento alle statue di S: Pancra- zio e del S: Cuore di Gesù. Sulla cappella di sinistra si trova l’altare della Madonna di Fatima. (Continua a pagina 7)

Transcript of La pieve di San Pancrazio - Comune di...

Page 1: La pieve di San Pancrazio - Comune di Russirussi.racine.ra.it/vitacontadina/sezioni/bollettini_pdf/... · 2009. 11. 5. · go inverno e utilizzava i frutti di stagione per prepa-rare

1

La parola PIEVE deriva dal termine latino “plebs”

che indica una comunità di fedeli; in seguito viene

ad individuare anche il tempio in cui tale comunità

(il popolo di Dio) si raccoglie in preghiera nel suo

territorio. Questo edificio, il cui territorio costitui-

sce il “plebato”, in generale si trova in ambito rura-

le.

Quando la comunità della pieve ha assunto una sua consistenza, la pieve costituisce la chiesa prin-

cipale del territorio che, però, dipende dal vescovo.

Essa è dotata di battistero, che inizialmente è un

edificio a sé stante attiguo alla pieve e successiva-

mente viene

trasferito all’in-

terno della pie-

ve stessa; pres-

so la pieve vi è

pure il cimitero

e vicino ad essa

il fedele può tro-

vare luoghi di

istruzione.

La tradizione

vuole che la Pie-ve di San Pan-

crazio fosse fat-

ta edificare da

Galla Placidia,

f i g l i a d e l -

l’Imperatore Teodosio il Grande, nell’anno 437

d.C. ma l’unico documento che ne accenna la cita

in data 963 d.C.

Da studi esperiti dal Rev. Can. Don Mario Mazzotti,

risulta che l’edificio risalirebbe al VII—IX secolo.

Nell’interno, sul primo pilastro di destra è murata

una piccola lastra marmorea che riporta la data

Supplemento a Ross zétar d’Rumagna - N.65 - Anno 33° - n.2 - Settembre 2000 Registr. Trib. Ravenna n.524 del 15-7-69 - Non contiene pubblicità.

Direttore Responsabile: Avv. Emilio Duranti - Redattore: Girolamo Fabbri Spedizione in A.P. (Art.2 - comma 20/c - Legge 662/96) - Filiale di accettazione: Ravenna.

La pieve di San Pancrazio di Luigi Silvestroni

del 1058: con tutta probabilità si tratta della data

di una riconsacrazione del tempio. La Pieve è in stile protoromanico, ma successivi ri-

maneggiamenti l’hanno portata allo stile crocero

latino.

Internamente si presentano tre navate: la centrale

ampia ed alta, le laterali più basse e ristrette. Tutte

sono a tetto con travi, travicelli e capriate visibili.

Le navate sono separate da sei pilastri rostrati, per

parte, sorreggenti archi a volta semicircolare. L’in-

terno dell’abside è semicircolare; nel presbiterio è

posto un altare

in marmo. Cin-

que monofore

(finestrelle) or-

nano l’abside:

le due estreme

chiuse da vetro bugnato giallo,

le tre centrali

con lastre di a-

labastro. Dietro

l’altare, sul fon-

do del- l’abside,

un pilastro a

lesena sorreg-

ge il Tabernaco-

lo.

Le due cappel-

lette del tran-

setto hanno un piccolo altare in marmo. Sul fondo

della cappella di destra due pilastri a lesena in late-

rizio fanno da basamento alle statue di S: Pancra-

zio e del S: Cuore di Gesù. Sulla cappella di sinistra si trova l’altare della Madonna di Fatima.

(Continua a pagina 7)

Page 2: La pieve di San Pancrazio - Comune di Russirussi.racine.ra.it/vitacontadina/sezioni/bollettini_pdf/... · 2009. 11. 5. · go inverno e utilizzava i frutti di stagione per prepa-rare

2

Giulio Turchetti, una vita dedicata ai non vedenti di Carlo Turchetti

Giulio Turchetti vide i natali a San Pancrazio il 18 febbraio 1895 in via Naldi all’attuale n.16 da una famiglia di modestissimi agricoltori.

Il destino volle che all’età di 11 anni perdesse totalmente la vista a causa dello scoppio di

una rudimentale arma da fuoco da lui stesso costruita. Nel 1907 entrò nell’Istituto per ciechi di Bo-

logna dove, dopo un breve periodo di prepara-zione, intraprese gli studi

classici frequentando le scuole pubbliche. Iscrittosi all’Università di Bo-

logna si laureò in giurispru-denza nel 1923. Nel 1924 ottenne il diploma

di Maestro presso l’Istituto Magistrale di Bologna.

Ne l l ’ ann o sco l a s t i c o 1924/25 insegnò Scienza delle Finanze, Economia Poli-

tica e Statistica presso l’Isti-tuto Tecnico Statale di Udi-

ne. Nel 1926 ottenne il diploma di Educatore dei ciechi pres-

so la Scuola di Roma. Nel 1928 ottenne l’abilita-zione all’inse-gnamento del-

la Storia e Filosofia nei Licei e Istituti Magistrali e ne eb-

be la cattedra dal 1928 al ‘32 presso l’Istitu-to Sant’Alessio di Roma. Nel 1932, a seguito di pubblico concorso, fu

chiamato a dirigere l’Istituto G. Garibaldi per ciechi di Reggio Emilia con annesso Istituto

Tecnico, direzione che mantenne sino al 30 settembre 1965. Per inciso, nel 1935 fu insignito del titolo di

Cavaliere e nel 1965 di Ufficiale; titoli dei quali non si volle mai fregiare relegandoli in un cas-

setto. Ma per descrivere nella sua pienezza l’opera di educatore svolta dal Prof. Turchetti ci vor-

rebbero pagine intere. I 32 anni di Direzione dell’Istituto G. Garibaldi furono totalmente dedicati non solo alla edu-

cazione scolastica ma principalmente al recu-pero ed all’inserimento nel mondo della luce

dei piccoli non vedenti. Non solo rinnovò ed

Dri l'irola

aggiornò le strutture, ma studiò, mise a punto ed istituì nuove metodologie educative coadiu-vato da una équipe di insegnanti ed assistenti

allo scopo scelti e specializzati. Acquistò una splendida struttura immersa in un Paradiso

verde nel cuore dell’Appennino Reggiano e la trasformò in Colonia montana con fini educati-vi sensoriali dei piccoli allievi.

A partire dal 1950 iniziò un’opera di studio per la differenziazione edu-

cativa degli Ambliopi (semivedenti) che sino ad allora erano stati educati

come ed assieme ai non ve-denti. Gli studi e gli esperimenti

durarono 7 anni sino a che nel 1958 il Ministero della

Pubblica Istruzione riconob-be ed autorizzò la Scuola per Ambliopi con sdoppia-

mento da quella dei Ciechi, prima ed unica in Italia.

La sua vita fu una continua ricerca evolutiva ed una continua lotta contro la ata-

vica emarginazione dei privi della vista; e le sue vittorie furono tante.

Questa sua attività pose l’I-stituto G. Garibaldi di Reggio

E. in posizione di avanguardia di fronte a tutti gli Istituiti per ciechi ed il suo esempio fu se-guito dalle altre Istituzioni consorelle.

Nel 1965 lasciò il servizio attivo e si ritirò nel-la sua nativa San Pancrazio dove trascorse gli

ultimi anni di vita. La morte lo colse il 21 agosto 1971. E’ se-polto nella tomba di famiglia nel cimitero del

Paese. E’ stato commemorato ufficialmente a Reggio Emilia presso la Sala del Tricolore dal

Presidente del Centro Didattico Nazionale del Ministero della Pubblica Istruzione e dell’Ac-cademia dei Lincei e ricordato come: “Uomo

di larga e profonda formazione culturale, no-nostante la cecità, aperto alle più avanzate tendenze pedagogiche”.

Il Comune di Russi gli dedicava una via nell’an-no 1991 nella zona artigianale di San Pancra-

zio.

Page 3: La pieve di San Pancrazio - Comune di Russirussi.racine.ra.it/vitacontadina/sezioni/bollettini_pdf/... · 2009. 11. 5. · go inverno e utilizzava i frutti di stagione per prepa-rare

3

Dri l'irola

gli di noci e mandorle.

Si prende il mosto bollito o il fondo della saba, o un

misto in cui si versa dentro tutta la frutta. Si rimet-

te tutto nel paiolo di rame o in un tegame adatto, si

posa sul fuoco e si fa bollire lentamente avendo cu-

ra di mescolare spesso con un cucchiaio di legno

perché non deve attaccarsi alla pentola.

Deve bollire per molto tempo fino a quando la

quantità di frutta e di sugo si è ridotta e addensata.

La frutta deve rimanere intatta e tutto deve pren-

dere un colore scuro. Una volta raffreddato era u-

sanza nelle nostre case metterlo in un tegame di

terracotta e conservarlo al fresco per essere con-

sumato nel periodo invernale a colazione o a me-

renda. I bambini ne erano golosi e dicevano: “è tan-

to buono da far leccare le dita”. Purtroppo non si fa più neppure nelle case contadi-

ne perché manca il tempo e soprattutto ci sono

beni alimentari per tutto l’anno superiori al fabbi-

sogno familiare.

LA SABA

Mettere a bollire del mosto d’uva ben filtrato e ri-

cavato da uva sana e ben matura, mescolando

spesso perché non deve attaccarsi al fondo del te-

game e soprattutto deve bollire lentamente.

E’ pronta quando la quantità di liquido iniziale rima-

ne 1/3. Lasciare raffreddare e mettere in bottiglie

chiuse ermeticamente.

Le ricette della cucina povera di Luisa Calderoni

All’inizio dell’autunno l’azdora pensava già al lun-

go inverno e utilizzava i frutti di stagione per prepa-rare alcune delizie: e’ savor, la saba, i sugal.

Per fare queste specialità o golosità, come qualcu-

no li definisce, prendeva o un po’ di mosto dal tino

in cui fermentava l’uva pigiata, oppure percorreva

tutta la vigna col cesto di vimini e le forbici alla ri-

cerca dei grappoli d’uva rimasti dopo la vendem-

mia, che nel frattempo erano diventati ben maturi.

Al ritorno dal campo pigiava l’uva e la lasciava ma-

cerare per un giorno, poi la faceva passare attra-

verso un colino fitto o un pezzo di tela bianca per

liberare il succo dalla buccia e dai vinaccioli.

E’ SAVOR

Si deve cominciare il lavoro di preparazione dal mo-

sto o dal succo d’uva e in alcune casi si usava an-

che il fondo rimasto nella pentola dopo la bollitura

della saba, oppure una soluzione mista. Qualsiasi di queste modalità si voglia scegliere il

punto di partenza è un mosto d’uva bollito per di-

verse ore, con l’aggiunta di un pezzo di pane per

togliere l’acidità. Poi, mentre il succo bolle si pre-

para la frutta: pere, mele, mele cotogne tagliate a

fette, la buccia di limone e quella di melone essica-

ta al sole.

In alcuni casi a questi frutti si aggiungevano gheri-

La preghiera “Padre Nostro” in romagnolo A Gerusalemme sul Monte degli Ulivi nel portico al

lato della Chiesa del Pater Noster sono collocati pannelli con la preghiera in tutte le lingue del mondo.

Grazie a Don Gino (Sacerdote di Faenza, recente-

mente scomparso, che guidava pellegrinaggi in Ter-

ra Santa), c’è anche la sua traduzione del Padre

Nostro in dialetto romagnolo.

Il pannello di ceramica (foto a sinistra) è del cerami-

sta faentino Arnaldo Sangiorgi.

Nostár babb!

Babb ed tòtt che tsi in zil Che seia santifichè e tu nom

Che vègna e tu regn Cla seia fata la tu vuluntè Tant in zil acsé in têra

Das e nostar pan d’tott i dé Scanzela i nostar debit

Cume nô a fasè cun i nostar Debitúr—no fès caschè in Tentaziôn—e tés luntan

Da tott i mèl—Amen

Page 4: La pieve di San Pancrazio - Comune di Russirussi.racine.ra.it/vitacontadina/sezioni/bollettini_pdf/... · 2009. 11. 5. · go inverno e utilizzava i frutti di stagione per prepa-rare

4

Dri l'irola

Siamo negli anni 1922—44 e a Palazzo Dra-goni si lavora il tabacco. In tale attività sono impiegate circa 30 donne, tutte di San Pan-

crazio eccetto due, la Gigina dal Mori e la Ver-dana de Bo, che vengono da Chiesuola. Anche se molte di loro non ci sono più, io le

ricordo tutte con affetto perché abbiamo con-diviso tanti anni di lavoro e amicizia, solidarie-

tà e complicità. L’elenco è lunghissimo, pen-so, ad esempio, a mia sorella la Clara d’Chilò mia cognata la Miglia d’la Checa, la Gagia d’-

Stanglé, la Maria de Bover, l’Ada e la Durina d’la Muntanera, la Maria e la Dina d’Pleca,

la Lea d’la Gigia e la Gigia de Bover, la Giulia d’Graset, la Gusta e la Guerriera d’Burasca, Cis d’Marchet, la Flora e la Medea d’Urtlé, la

Meglia d’Mot, l’Ernestina d’Pleca, la Nuccia d’Malanca, la Pasturina, la Maria d’Zicugné, l’Andreina d’Cjaponi, la Gusta ad Picio, la

Teresina ad Tiger, l’Avrelia ad Biasulena, l’A-dua d’Berto d’Du Sold, Binoz, sorella della

moglie di Gallignani, la Carolina d’Camata, la Bruna ad Fredo d’Cuchè, la Palma d’Batocc, la Tina de Rabè, moglie di Morto.

La coltivazione del tabacco si svolgeva così: gli operai di Dragoni Paulì d’Fabbri, Silvio dl’Ur-

tlè, Livio d’Malaca, Cuciarol e Tiglio d’Bubé ai primi di marzo seminavano in semenzaio e a maggio i contadini e i braccianti dell’azienda

trapiantavano nei campi a fissa dimora, le piantine distanti 50 cm. l’una dall’altra e in filari perfettamente simmetrici poiché le pian-

te di tabacco crescevano molto. Quando la pianta era in fiore questo veniva staccato dal-

le operaie -sempre sorvegliate da una direttri-ce–per permettere alla pianta di irrobustire e alle foglie di aumentare di volume. Tra le foglie

crescevano i “bracci” che venivano tolti al mo-mento della maturazione ossia quando le fo-

glie si macchiavano di giallo. Nelle prime setti-mane di agosto iniziava la raccolta e le piante venivano portate all’essicatoio, composto di

più camere, ciascuna con 5 buchi: uno cen-trale e gli altri agli angoli.

Negli essicatoi le operaie erano divise in 2 gruppi. Il gruppo a terra legava 5 piante alla

La lavorazione del tabacco a San Pancrazio Racconto di Norina Foschini curato da Luisa Foschini

volta una sotto all’altra a una funicella. Il grup-po sui travicelli, invece, sollevava le piante così legate e le appendeva.

Operai addetti al fuoco accendevano, poi, dei grossi ceppi di legna sprigionanti solo calore

ma non fiamma. Tutto si svolgeva a porte e fi-nestre chiuse. Il tabacco appassiva, assumendo il caratteristi-

co colore marrone e diminuendo di volume così che il contenuto di due camere si poteva riunire

in una sola, operazione questa che richiedeva alcuni mesi. Si arrivava così a novembre e il ta-bacco era pronto per essere staccato dalle

piante. Le operaie a gruppi di tre, procedevano nella scelta delle foglie da staccare dal ramo. Le fo-

glie si distinguevano in: basilari, mediane, cima-role e si raggruppavano in mazzi da 50 foglie

dello stesso tipo legati con rafia. Con questi mazzi si componevano cataste ben ordinate e pressate che si lasciavano riposare

fino a febbraio, mese in cui le operaie ritornava-no al magazzino per la cernita.

In occasione della riapertura dei lavori si festeg-giava il martedì grasso con dolci e frutta secca innaffiati da un bigoncio di buon vino offerto dal

Dr. Dragoni alle operaie. Si cantava, si ballava in allegria e c’era chi, come la Maria d’Pleca e la Giulia d’Graset, si scatenava in divertenti

scherzi. La cernita avveniva nel banco posto davanti a

due operaie con scomparti contrassegnati dalle sigle A, B1, B1 rotto, C1, C1 rotto, D1, D1 rot-to dove finivano le foglie scelte.

Ai tavoli, poi, c’erano altre operaie che sceglie-vano per lunghezza e componevano mazzetti di

9 foglie uguali più una decima che serviva per legarle. In primavera ciascuna varietà di tabacco così

scelto veniva messa in grandi e apposite botti dove entrava un’operaia per comporre ordina-

tamente i mazzetti che un’altra le allungava. A fine lavorazione le botti venivano chiuse e spedite su rotaia al Monopolio di Stato.

Di tanto in tanto, durante l’anno, ricevevamo l’ispezione da parte di un tale signor Gino Tre-molanti, rappresentante del Monopolio di Stato.

Page 5: La pieve di San Pancrazio - Comune di Russirussi.racine.ra.it/vitacontadina/sezioni/bollettini_pdf/... · 2009. 11. 5. · go inverno e utilizzava i frutti di stagione per prepa-rare

5

Dri l'irola

Da sinistra, in piedi: 1) Dora Casadio (ad l’Uciò d’Zvanet, moglie di Szani) 2) Dina Pezzi (ad Giulio d’Pleca) 3) Amelia Minghetti (ad Mot) 4) Lina Casadio (ad Bruno d’Buben) 5) Teodolinda Casadio (ad Taio) 6) Emilia Foschini (dla Checa) 7) Lea Montanari (ad S-ciampato) 8) Lea Chiapponi (ad Ciaponi) 9) Luigia Montanari (Gigia) 10) Adua Foschini (figlia di Berto d’Du Sold)

Da sinistra, sedute: 11) Irma Fabbri (Binoz, sorella della moglie di A.Gallignani) 12) Carolina Tambini (ad Camata) 13) Dorina Martelli (moglie di Pirì d’Braschi) 14) Bruna Zaccaria (moglie di Fredo ad Cughè) 15) Palma Toni (ad Murador, moglie di Guido Fusconi, Batocc) 16) Guerriera Morigi (figlia di Burasca) 17) Adalgisa Borghesi (Cis) 18) Augusta Morigi (figlia di Burasca) 19) Edera Martina (de Rabè, moglie di Morto) 20) Norina Foschini (ad Chilò, moglie di Toci)

Metà Anni ‘30, Palazzo Dragoni, lavoratrici del tabacco durante una pausa di riposo (Dall’archivio fotografico di Piero Miserocchi)

1

2

3 4 5 6 7 8 9 10

11

12

13

14 15 16

20

18

19

17

Page 6: La pieve di San Pancrazio - Comune di Russirussi.racine.ra.it/vitacontadina/sezioni/bollettini_pdf/... · 2009. 11. 5. · go inverno e utilizzava i frutti di stagione per prepa-rare

6

Dri l'irola

Andrea Pasi Poesie da “Blues rurale”, aprile 1999

Trebbiatura Le notti estive che ricordo con maggior dolcezza,

sono quelle della trebbiatura, in cui correvo per i campi inseguendo scorie di pula sparse qua e là,

e annusando l’odore di frescura che s’andava espandendo nell’aria.

Tutto sapeva d’antico, di vissuto, d’affetti contadini, d’un tempo ormai perduto,

e la malinconia che mi preme, a quel ricordo, m’accompagna ancora oggi lungo il mio cammino.

Canto d’addio Ora non so più quel che un tempo

sapevano gli uomini e le donne della mia terra, ora non so più

leggere i segni del passato, che sul mio corpo han lasciato traccia di sé e sul mio volto; ora non so

potare con mano esperta la dura scorza della vita, ora son perso in un campo di ricordi, ora son muto

della lingua dei miei padri; ora non son più, in fondo alla valle

perduta, il contadino solitario che zappa la terra, ora sono solo un mucchio d’ossa e di fango, che vaga

senza meta in questa terra ormai impietrita. _________________________ Andrea Pasi è nato nel 1970 e risiede a Ragone (RA).

Scrive poesie dall’inizio degli anni ‘90 e la sua prima pubblicazione si intitola” Canto disperso”, presentata a

Russi in occasione della ottava edizione di “Primaversi”. Con la poesia “Canto d’addio” che qui presentiamo An-

drea Pasi ha recentemente vinto il 1° premio “Sezione Giovani” al 15° “Concorso di poesia” inedita della Circo-

scrizione Centro Sud di Faenza.

Lettera, testimonianza di Ida Tassinari. La professoressa Ida Tassinari ha inviato alla reda-

zione del giornale una lettera molto toccante, un

passo della quale desideriamo pubblicare:

“La mia vita professionale, svolta prevalentemente tra i banchi della scuola superiore ed inferiore, mi ha fatto toccare con mano la sensibilità vera dei giovani di oggi: si cerca il moderno che a volte è il futile, ma ci si commuove ancora per le radici della nostra cultura che restano intatte e sembrano non risentire di alcuna usura del tempo…..Cordiali salu-ti”

I curdare’ (Quelli che facevano la corda)

di Luigi Buscaioli

I staseva in t’la fossa de turiò sota a ch’la fila d’plétan, ch’i’albarò elt e pi d’foi, cun i nid di gardlé,

e nò, de pu da quand ca semia zné andémia avdé la roda: I curdaré.

Nona Carlóta la vnêva cun nô, ai guardemia incanté seza di gnit, on us ciaméva Michel, ch’l’étar Sabit.

Sabit l’era un umàz cun un cioff d’pél par d’fura d’la camisa, e è por Michel

l’éra piò bass, e néca piò incanté, parò piò bô d’Sabit, seza biastmé, parché Sabit, invezi u li sgnucléva,

quand che la corda la s’ingavagneva. Nô armastemia incanté d’cla béla rôda vulteda a mâ, mo adéss ch’la n’è piò d’moda

l’è un quel che po’ fe ridar, o néch pinsé cus épa da patach sol da cunté. L’era piò élta d’quéli da barôza, mo è zero ugn’era,

cun di travirs intoran, pera a pera chi tnéva so la corda ch’l’an cadéss, arblé un po’ in so, come cho foss cavéss.

La faséva vulté quatar ruchét cun una anlina chi tnéva lighé i chév d’la corda znina, ch’is miteva a prilé, e pu la passeva

in t’un péz d’roba zala ch’la lustréva, detar un quel d’légn, rugòs, cun quatar bus

fat cun che légn d’acacc da fer i fus, e dop d’avé prilé tot quatar in sé, i furmeva la corda propi bé.

Una corda d’quatar chév e séza nud, bela propi da vera, in tott i mud,

fata sol cun d’la stopa in te prilé, ch’la puteva avnì longa quàt cut pé. Sabit da sota a un bras d’in te manòcc,

Bagnéndas sol do dida, cun un òcc, Coma un inzgnir, la stopa che priléva,

L’era sempar ch’l’amsura che druvéva. Nô a mursemia in te pà, guardend a lò e pu a pinsemia a cà, che néca nô

avemia tànta corda par i bléch da sténdar fura a è sol, curdò pr’i séch, che bab cun i cavéll è scariuléva

i séch da la faréna, e pu ui purtéva da cà d’la zét inféna in te mulé,

par guadagné par no, ca semia zné. (gentilmente inviataci da Tino Babini)

Page 7: La pieve di San Pancrazio - Comune di Russirussi.racine.ra.it/vitacontadina/sezioni/bollettini_pdf/... · 2009. 11. 5. · go inverno e utilizzava i frutti di stagione per prepa-rare

7

In memoria di tutti i caduti di

San Pancrazio

La signora Maria Zanuccoli

Fabbri di Cervia, parente dei

Fabbri uccisi dai tedeschi nel

novembre 1944, ha fatto u-

n’offerta al giornale perché

non sia dimenticato il ricordo

dei caduti innocenti.

Dri l'irola

Il pavimento dell’edificio è costituito da quadroni in cotto, il presbiterio in laterizio rosso a greca e il

gradino su cui poggia l’altare hanno la battuta e il

piano di cornice in cipoldino bianco.

Originariamente la pieve si presentava in stile pro-

toromanico poi, con l’av-

vento del barocco, subì ri-

maneggiamenti soprattutto

nell’interno, dove fu deco-

rata di stucchi, di soffitti in

graticciata e gesso, furono

demoliti i rostri dei pilastri

fino ai soffitti e rivestiti di

intonaco fino a far loro as-

sumere la pianta a croce

greca. Inoltre sotto l’altare

maggiore e sotto il pavi-mento in alcuni punti furono

ricavate delle cripte per la

sepoltura di defunti appar-

tenenti a famiglie privilegia-

te.

Un campanile alquanto toz-

zo si elevava a fianco dell’-

abside verso nord; era sta-

to fatto edificare dal nobile

forlivese Don Giuseppe

Marchesi, nel 1677, allora

Arciprete della parrocchia.

Il campanile era dotato di

tre campane fuse da Serafi-

no Golfieri nel 1827.

Il 30 novembre 1944 i te-deschi in ritirata minarono

la torre campanaria, l’absi-

de della chiesa e le due

cappelle laterali. Nell’esplo-

sione tutto ciò che era sta-

to minato andò distrutto comprese le campane. La

facciata è rimasta ancora quella originale.

Dopo la cessazione delle ostilità belliche, la pieve fu

restaurata e nei lavori che seguirono per riportar-

la alle linee originarie si addivenne a scoperte di

indubbio valore.

Il pavimento fu abbassato, non al livello originario,

ma di diversi centimetri ed apparvero i residui di

rostro che non erano stati eliminati sotto il pavi-

mento e sopra i soffitti durante i restauri barocchi.

Furono eliminate le cripte sotto il pavimento e sot-to l’altare maggiore; furono restaurate le monofo-

re che erano scomparse al di sopra dei soffitti in

graticciata e gesso.

Durante i lavori, sul quarto pilastro a sinistra, ab-

battendo una lesena in stucco, apparve un bell’af-

fresco raffigurante una “Pietà”, opera di anonimo

pittore faentino dell’inizio del XVI secolo.

L’affresco fu “strappato” dai tecnici della Sovrin-

tendenza ai Monumenti di Bologna, mal restaura-

to, posto in cornice e sistemato sopra la porta del

(Continua da pagina 1) La pieve di S. Pancrazio Battistero della Pieve. Nel 1998, a cura del Comita-

to per i Restauri di Russi, l’opera è stata nuova-mente ripulita, restaurata, riportata allo stato origi-

nale.

Purtroppo, invece, sono andati distrutti altri affre-

schi: un dipinto sull’arco trionfale dell’abside, di au-

tore ignoto, raffigurante Cri-

sto benedicente rivolto a un

gruppo di tre figure di Santi;

una probabile Adorazione dei

Magi dipinta alla sinistra del

portale.

Nel 1948 ebbero termine i

lavori di restauro della pieve.

La nuova torre campanaria

fu edificata, non più nel luogo

dove sorgeva la precedente,

ma alla destra della facciata della pieve.

Alta m. 31, a pianta quadra-

ta, con lesene agli spigoli,

con cella campanaria a due

ordini di quadrifore, è fornita

di un concerto di quattro

campane del peso comples-

sivo di q. 11,80, fuse da

D’Adda Luigi di Crema nel

1950, e rispettivamente de-

dicate:

1^ = q.li 4,50 — In onore di

S. Pancrazio Martire

2^ = q.li 3,50 — Al Divino

Crocifisso Redentore

3^ = q.li 2,50 – Alla Piissima Madre del Redentore

4^ = q.li 1,30 – In onore di

S. Antonio Abate.

Durante i lavori di sterro per

le fondamenta della nuova

torre campanaria vennero in luce resti umani e

frammenti di terrecotte presumibilmente di epoca

romana.

Ciò sta a dimostrare che in epoche lontane l’area

oggi costituente il sagrato era un cimitero. All’e-

sterno della pieve, all’inizio del vialetto alberato,

giacciono grossi frammenti di colonna e basamenti

in trachite: probabilmente si tratta di avanzi di co-

lonne o di stipiti che ornavano l’edificio in tempi an-

tichi.

“Pietà”, pittore anonimo faentino di inizio XVI sec.

Page 8: La pieve di San Pancrazio - Comune di Russirussi.racine.ra.it/vitacontadina/sezioni/bollettini_pdf/... · 2009. 11. 5. · go inverno e utilizzava i frutti di stagione per prepa-rare

8

Pubblicazioni de “La Grama”

“Quaderni” di testimonianze orali: -Il Grano e il pane: ieri e oggi;

-Una vita fra la canapa;

-Tessitura che passione!

-Una vita fra i bigatti;

-Una fèta d’furmaj;

“L’evoluzione di S.Pancrazio” Video-documentari su: -Testimonianze dal Museo della

civiltà contadina;

-Il grano e il pane: ieri e oggi;

-Una vita fra la canapa;

-Latte e formaggio: produzione

casalinga e artigianale;

-Una vita fra i bigatti; -Una vita con il maiale;

Per informazioni telefonare allo

0544-534303

Dri l'irola

La quota associativa del 2000 alla “GRAMA” è di lire 20.000

Dri l’irola a cura dell’Associazione culturale “La Grama”

Via della Resistenza, 12 48020 San Pancrazio (RA) Tel. 0544534303 - Fax 0544534775

E-mail: [email protected]

Per i vostri contributi alla “Grama” utilizzate il se-

guente numero di conto corrente postale ccp n. 11939485

I dati personali sono rigorosamente personali e saranno

utilizzati solo per l’invio di questa pubblicazione e di altre informazioni relative alle manifestazioni dell’associazione.

Museo della vita contadina in Romagna

Via XVII Novembre, 48020 San Pancrazio RA Tel 0544 534303 - Fax 0544 534775

Internet: www.racine.ra.it/russi/vitacontadina E-mail: [email protected]

Orario del Museo: giovedì, dalle 14,30 alle 18,00 domenica, dalle 9,30 alle 12,30

Ingresso lire 2.000, ridotti lire 1.000 Visite guidate su prenotazione

Il Museo presenta “Canapa e Tessitura” e altre

testimonianze preziose delle attività economiche di sussistenza delle famiglie contadine e rurali di

San Pancrazio accanto ad una numerosa serie di strumenti usati per i lavori dei campi e per i lavori

domestici.

8 Ottobre 2000: nuovo allestimento al Museo della vita contadina in Romagna

Con l’installazione degli impianti antincendio, antifur-

to e delle tende per l’oscuramento delle sale, il mu-

seo è definitivamente messo a norme.

Finalmente San Pancrazio, dopo oltre trent’anni di

impegno, possiede un vero museo inserito nel Siste-

ma dei Musei della Provincia di Ravenna.

Ringraziamo l’Amministrazione Comunale di Russi,

la Provincia di Ravenna e i molti sanpancraziani che

hanno partecipato alla sottoscrizione del 1999 a fa-

vore del Museo della vita contadina in Romagna.

Non tutti i problemi sono risolti. Per esempio non

c’è spazio sufficiente per allestire le centinaia di og-

getti che attualmente sono collocati in un magazzi-

no. Inoltre se dovessimo per l’ennesima volta trasferire

gli oggetti non abbiamo un’area pubblica dove collo-

carli e neppure i soldi per pagare l’affitto di un ca-

pannone artigianale.

La situazione è stata illustrata al Consiglio di Decen-

tramento e all’Amministrazione comunale: con il lo-

ro intervento contiamo di trovare prima possibile u-

na soluzione ottimale per la valorizzazione del muse-

o.

“La Grama” e il settimanale “QUI” E’ stato raggiunto un accordo fra La Grama e il setti-manale di Ravenna “QUI” secondo cui i soci della nostra Associazione potranno godere di uno sconto pari a lire 20.000 sull’abbonamento annuale al suddet-to settimanale. Chi desidera sottoscrivere l’abbonamento può rivol-gersi alla segreteria dell’associazione o direttamente alla redazione di “QUI”: tel. 0544 408545.

“Canapa e Tessitura” filatura, matassatura, imbiancatura e accannellatura