Nevio, un amico...

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A cura dell’Associazione culturale “La Grama”, 48026 San Pancrazio (RA) Supplemento a Ross zétar d’Rumagna - N.87 - Anno 44° - n.2 - Settembre 2011

Direttore Responsabile: Maria Chiara Duranti - Redattore: Girolamo Fabbri

Registr. Trib. Ravenna n.524 del 15-7-69 - Non contiene pubblicità.

Sped. in A.P. - D.L. 353/2003 (con. in L.27-2.2004 n.46)- Art. 1, comma 2 - DCB Ravenna

In caso di mancato recapito inviare al CPO di Ravenna per la restituzione al mittente che si impegna a pagare la relativa tassa.

BANDITISMO IN ROMAGNA

Giovanni Gavelli racconta di un cer-to Carlo Longanesi det Carlòn, na-tivo di San Pancrazio, il quale, in

data 28 ottobre 1862, coadiuvato da altri complici, assaltò a mano armata di pistola Paolo Chiarini di

Godo lungo la via Vecchia Godo. La vittima fu rapinata di una gros-sa somma di denaro pari a lire 941, 64 e malmenata.

(continua a pag. 2)

LE GARE CON I MOSQUITOS

Prima delle corse in go-kart, a ca-vallo tra la fine degli anni ‘4: e l’inizio dei ‘5: a San Pancrazio si

correva con i “Mosquitos”, piccoli, semplici ma geniali motori, applica-ti alla bicicletta che sostituivano ed

alleviavano la fatica del pedale. Carlo Turchetti era presente ad una di queste indimenticabili corse e la racconta così.

(continua a pag. 7)

Accanto alla porta del laboratorio

di restauro del Museo della vita contadina di San Pancrazio è stata posta una targa a ricordo del com-pianto Nevio per aver dedicato

oltre 15 anni di volontariato all’as-sociazione “La Grama”; senza di-menticare l’impegno per la Scuola

e per altre associazioni con finalità sociale e ricreativa. La targa, un doveroso, insufficiente omaggio alla sua memoria, ricor-

derà a tutti il suo contributo serio ed appassionato di lavoro e di idee nella realizzazione degli allestimen-ti, nel restauro degli oggetti e nella

impegnativa gestione del museo. In futuro ci saranno altri momenti per ricordare Nevio e i suoi meriti;

in questa occasione riportiamo il testo del commovente discorso pronunciato in chiesa il giorno del suo funerale da Luisa Calderoni

davanti ad una marea di gente incredula e affettuosa verso un amico indimenticabile.

(continua a pagina 2)

L’associazione culturale “ LA GRA-

MA “, vuol ricordare ai concittadini di S. Pancrazio il 15:° anniversa-rio dell’unità d’Italia che quest’anno si festeggia in tutta la nazione con

manifestazioni, convegni e altre iniziative promosse dai vari comita-ti istituiti a proposito. Prima della

data del 17 marzo 1861, uno sta-to nazionale italiano non era mai esistito. La preparazione della lunga serie

di eventi che portò a quel giorno, è seminata dal sacrificio di tre gene-razioni di giovani che dal 1831

(data dei moti di Modena e Roma-gna) al 1870 (annessione dopo porta Pia di Roma e del Lazio al regno) si immolarono in nome

dell’unità nazionale. Si rimane affa-scinati e sbalorditi da questa rina-scita-risorgimento delle coscienze

da parte di questi ragazzi che non esitarono a sacrificarsi e che eb-

(Continua a pagina 8)

Nevio, un amico indimenticabile

Nevio nell’officina di Chiozzini a Roncalceci per la realizzazione del supporto dell’aratro colloca-to all’ingresso del museo (3 marzo 2::9)

I 150 ANNI

DELL’UNIFICAZIONE ITALIANA

di Vittorio Pezzi

UN LAVORO DA DONNA

Un tempo nelle nostre case conta-dine e fra i braccianti agricoli verso metà mattina c’era il momento in

cui si lasciava il lavoro e si andava a fare la colazione, l’aziò. Ci si era alzati da letto molto pre-

sto per recarsi a lavorare, dopo aver mangiato una scodella di latte colorato con caffè d’orzo e poco zucchero.

(continua a pag. 4)

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Dri l'irola

Nevio amava la nostra terra conta-dina, la nostra cultura. Una persona affabile che sapeva comunicare, parlare usando un linguaggio sem-plice, ma deciso ad affermare le sue idee e i suoi principi, grande mediatore stava bene con le perso-ne che si impegnavano come lui e quando le incontrava le accoglieva sempre con un sorriso. Aveva coinvolto anche la mamma Prima nei lavori che lui dirigeva e in particolare erano stati insieme pro-tagonisti nei documentari “Una vita fra la canapa” e “Una vita fra i bigat-ti”, e la moglie Renza nella gestione dei telai tradizionali e dei corsi per la tessitura. Ma la vera passione di Nevio era il Museo; ricordo quando lo informai che il Comune aveva deciso di costruire una nuova sede, lui mi guardò sempre con la sua aria gioviale e mi disse con un at-teggiamento realista e responsabi-le, ti credo, ma speriamo bene, io sarò convinto quando vedrò il can-tiere. Però intanto si preparava per-ché lui le cose che faceva le voleva fare bene, allora ha partecipato ad un corso per il restauro, ha guidato

Nevio, un amico indimenticabile

“La tua morte tanto inaspettata quanto improvvisa ci ha lasciati sgo-menti. Tanti i perché ai quali ognu-no ha tentato di dare le sue rispo-ste. Oggi vogliamo salutarti, non in maniera formale, anche se siamo consapevoli che a te non piaceva metterti in primo piano, ma sai che quello che vogliamo farti non è un saluto di circostanza, ma il segno della nostra amicizia, della nostra stima del nostro affetto per te. Per lunghi 15 anni abbiamo condivi-so il lavoro della Grama, tu avevi scelto di aderire a questa Associa-zione fin dall’inizio, ma anche di es-sere attivo, propositivo per renderla veramente una realtà viva per la nostra comunità e soprattutto per i giovani. In questi anni Nevio hai svolto vo-lontariato attivo, ti sei legato a mol-te esperienze e sei stato un punto di riferimento per tutti: avevi un grande cuore, una persona molto buona, dinamica e attiva, un aiuto nel bisogno, un amico, senza mai perdere la tua identità, anzi renden-dola più reale e più chiara.

(Continua da pagina 1) il gruppo che ha lavorato per restau-rare gli oggetti da esporre, ha con-dotto con altri lo studio e la realizza-zione dei nuovi allestimenti. Ma face-va anche i lavori umili tagliare l’erba del prato, e aveva sempre un oc-chio attento perché gli ambienti fos-sero puliti e in ordine. Nevio: per te la frase che si dice per abitudine in queste circostanze “non ti dimenticheremo” assume un valo-re diverso: perché non ricordarti sarà impossibile: tanti sono i segni che parlano di te; quando passere-mo davanti al Museo e vedremo il prato che tu curavi come se fosse tuo, quando staremo in qualsiasi stanza, quando le persone del paese faranno feste e ci mancherà la tua voglia di fare e la tua mano esperta in cucina. Grazie Nevio per quello che ci lasci, grazie per tutti quello che ci hai da-to, grazie per quello che ci hai inse-gnato, grazie per essere stato un amico sincero, un compagno di lavo-ro, un esempio di persona che ha sempre creduto nell’impegno volon-tario, come aiuto agli altri e realizza-zione di sé”.

Un episodio criminale nel territorio di Russi nel 1862 di Giovanni Gavelli

Anni addietro, curiosando nei mer-

catini paesani e cittadini romagnoli in cerca di qualche libro o docu-mento antico, con sorpresa trovai fra vecchie carte ingiallite dal tem-

po, un “bando” inerente fatti giudi-ziari accaduti nelle nostre campa-gne; detti bandi” (equivalenti agli

attuali manifesti), venivano affissi ai muri dei paesi o borgate, anche nei Comuni limitrofi per informare la popolazione sugli eventi di inte-

resse civile, religioso, politico o giudiziario. Nell’immaginario collettivo, tuttavi-a, il “bando” rimane legato a fatti di

cronaca nera, come le grassazioni, cioè le rapine a mano armata (da qui il termine dialettale grassir con

il quale il popolo definiva i gendar-mi). Quando successe questo fattaccio nella campagna russiana, era tra-

scorso solo qualche anno da quan-

casi giudiziari; la Magistratura ra-

vennate condannava lui e il suo complice (che si era reso latitan-te), a una pena di “2: anni di pri-gione” con la condanna ai “lavori

forzati”, e al risarcimento dei danni che avevano causato al Chiarini. Per la verità, le leggi in vigore in

Romagna e negli altri Stati italiani erano severissime e, nei casi gravi, si applicava anche la pena di mor-te.

Le durissime pene applicate ai condannati dovevano servire a stroncare la malavita sul nascere, ma tutto questo non bastava a

frenare la delinquenza comune (spesso mischiata alla battaglia politica risorgimentale) contro la

quale non furono sufficienti neppu-re le nuove imposizioni imposte e applicate dal Governo dello Stato italiano nato nel 1861.

do era stata sgominata completa-

mente la banda del famoso bandi-to Passatore, ucciso il 23 marzo 1851: è ipotizzabile che il protago-nista di questa vicenda abbia per-

ciò seguito come altri la via di que-sto temibile bandito. Il personaggio in questione era un

certo Carlo Longanesi det Carlòn fu Pasquale; nativo di San Pancra-zio in seguito andato ad abitare a Godo; il Longanesi assieme a un

complice, in pieno pomeriggio del 28 ottobre 1862 per la via Vec-chia Godo che porta da Russi a Godo, assaltavano a mano armata

con pistole Paolo Chiarini di Godo, che fu rapinato di una grossa som-ma di denaro pari a lire 941, 64 e

malmenato; il Longanesi fu in se-guito arrestato e associato alle carceri di Ravenna, e dopo un an-no venne processato assieme ad

altre persone imputate in differenti

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Dri l'irola

Cucina e tradizione di Luisa Calderoni

L’ortica è un’erba che, povera e

popolare, appartiene alla nostra gastronomica da molto tempo. La storia culinaria dell’ortica è infatti assai antica, dal momento che

questa erba, massicciamente dif-fusa nella nostra penisola ha diver-se proprietà benefiche ed ha rap-

presentato un elemento costante nella dieta di molte popolazioni. I Greci ne erano ghiotti consuma-tori e la raccoglievano “prima del

ritorno delle rondini” che da noi coincide con l’inizio della primave-ra infatti un noto proverbio ci ricor-da : (a S. Benedetto 21 marzo, la

rondine sotto il tetto). I getti prima-verili venivano quindi consumati nel momento in cui l’organismo traeva

giovamento da alimenti con poteri disintossicanti e depurativi. I Ro-mani la coltivavano negli orti. Que-sta erba buona e benefica cresce

spontanea lungo i fossi, le strade, vicino alle case, nei boschi dal ma-re alla montagna fino ai 2.500

metri. Da aprile in poi e per tutta l’estate cresce fino ad un metro e più di altezza. Le ortiche sono una fonte di vitamina C, l’importante è

cuocerle poco. Da Ovidio sappiamo che ai suoi tempi si riconoscevano

date agli anatroccoli piccoli per

alimentarli nei primi giorni di vita. Le uova d’anatra venivano quasi sempre fatte covare da una chioc-cia e gli anatroccoli che nascevano

erano una ricchezza ma c’era nel-le donne di casa, che allevavano gli animali, la consapevolezza che

questi animali crescevano in un habitat diverso da quello abituale e quindi per farli vivere era impor-tante aiutarli ad alimentarsi. Pe-

stare le ortiche era per noi bambi-ni un lavoro ripetitivo e quindi noio-so e il prurito che il contatto con l’ortica comportava ci portavano a

considerarla pianta poco racco-mandabile e quindi si mangiava poco volentieri.

Oggi l’ortica in cucina viene ricollo-cata al suo giusto e legittimo po-sto, infatti in questi anni in cui si stanno rivalutando le tradizioni culi-

narie l’ortica ritorna ad essere protagonista. Dal pesce alla carne, risotti, frittate, ai liquori. Il periodo

migliore per raccogliere le ortiche è primavera, quando le giovani piantine riprendono con vigore il ciclo vegetativo.

Per tutti i piatti è bene seguire queste regole: scegliere le ortiche che crescono in zone lontane da

strade o da posti polverosi o vicino a frutteti e vigneti perché ciò che si annida tra i peletti che rivestono le foglie di questa pianta difficil-

mente si riesce a snidare nono-stante lavaggi prolungati. Le ortiche vanno raccolte coi guanti, poi vanno messe a bagno

perché quando sono nell’acqua non pungono più. Cogliere solo la parte alta delle

ortiche, la punta e lavarle in molte acque. Buttarle poi in acqua salata in e-bollizione e lasciare scottare pochi

minuti.

L’INSALE’ DI PURET Ho trovato fra i miei vecchi fogli le

(Continua a pag.5)

LE ERBE IN CUCINA: Risotto con l’ortica

a questa erba poteri afrodisiaci.

Comunque, noi bambini cresciuti e vissuti in campagna non dimenti-chiamo i pruriti che provocava il contatto con questa pianta, quan-

do giocavamo nei campi senza guardare bene le erbe che calpe-stavamo, oppure quando andando

nei fossi a raccogliere fiori o aspa-ragi selvatici non ci accorgevamo che c’era “l’insidia ortica”. Una si-gnora mia amica mia ha detto che

sfregare le gambe nelle ortiche fa scomparire i reumatismi di questi arti, ma io per la paura delle con-seguenze non ho mai provato. C’è

poi anche un eritema della pelle che produce molto prurito e si chiama orticaria. Qualcuno sostie-

ne che l’ortica pungeva di meno dopo la pioggia e nella ore di mag-gior calore del sole. Le ortiche ve-nivano usate anche nell’alimenta-

zione degli animali. Anziane signo-re sostengono con convinzione che, se le ortiche, vengono date

alle galline queste fanno più uova. La mia nonna raccoglieva le orti-che coi guanti, le lavava ce le face-va pestare in una taglierina di le-

gno col coltello, finissime e mi-schiate alla farina di mais venivano

RISOTTO CON LE ORTICHE

Ingredienti: 70 g di riso a persona 3 manciate di germogli di ortica una fetta di pan-cetta magra stagionata o prosciutto crudo o salsiccia 1 cipolla 1,5 litri

di brodo fatto con le carcasse o di piedi di pollo olio extra vergine di oliva sale pepe un bicchierino di vino bianco secco una noce di burro o panna montata parmigiano reggiano grattugiato.

Procedimento Pestare la cipolla e la pancetta e metterle in un tegame con l’olio di oli-

va, fare appassire la cipolla poi aggiungere le ortiche lavate e pestate. Fare insaporire, aggiungere il vino, fare evaporare. Versare il riso poi il brodo mescolando lentamente, versando poi un po’ alla volta il brodo, continuando a mescolare col cucchiaio di legno, fino a cottura. Spegne-

re il fornello e mantecare il risotto col burro, poi aggiungere il parmigia-no reggiano grattugiato. Servire caldo accompagnato da parmigiano reggiano grattugiato. Invece della pancetta a volte uso il prosciutto cru-do passato nel frullatore o la salsiccia fresca, in alternativa al burro a

volte uso panna da cucina.

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Oggi la colazione si fa al bar, pasta

dolce e cappuccino o caffè, pasta salata o panino e cappuccino o caffè, o succo di frutta. Per chi ha fretta dritti davanti al banco, per

chi meno, seduti al tavolino. Ma un tempo nelle nostre case contadine e fra i braccianti agricoli verso me-

tà del mattino c’era il momento in cui si lasciava il lavoro e si andava a fare la colazione l’aziò. Ci si era alzati da letto molto presto per

recarsi a lavorare, i contadini nei loro campi, i braccianti presso le famiglie agricole che li avevano richiesti. Tutti avevano mangiato

una scodella di latte colorato con un po’ di caffè d’orzo e poco zuc-chero perché costavano troppo,

poi per riempire lo stomaco, si inzuppavano nel caffè - latte pezzi di pane secco. I contadini andava-no nel campo a piedi, mentre i

braccianti andavano al lavoro u-sando la loro bicicletta, quasi una compagna inseparabile di vita; ap-

pesa al manubrio c’era la sporta di paglia col mangiare. Le mogli dei braccianti avevano preparato il mangiare per i loro uomini e mes-

so nella sporta, “fè la sporta”, l’occorrente per la colazione e per il pranzo. In certi periodi dell’anno

preparavano solo la colazione e il pranzo glielo portavano loro o i figli più grandi con la bicicletta, fino al posto di lavoro, così i braccianti

potevano consumare la minestra calda ed evitare la fatica del viag-

gio. Certo, diversi erano i luoghi,

diversi a volte anche gli alimenti ma il rito della colazione era comu-ne. Le donne appena alzate -si al-zavano sempre presto- entravano

nell’unica camera cucina-pranzo e iniziavano a lavorare. Il primo im-mancabile lavoro era quello di fare

la sfoglia per la minestra quotidia-na, poi curavano la preparazione della colazione; i contadini la face-vano in casa, i braccianti fuori.

Il camino era allora il luogo di cot-tura dei cibi, quindi si accendeva il fuoco con legnetti sottili “i stech amnud” a volte usando anche le

pannocchie di granoturco dopo aver tolto i semi e averle lasciate seccare, questo in base a cosa si

doveva cuocere. Quindi si sceglieva il legno in base al bisogno, se servi-va la brace o se serviva la fiamma. La donna di casa attaccava la pa-

della di rame se doveva friggere le uova o una fetta di coppa o una fetta di spalla di maiale. Altri giorni

metteva la graticola su buone bra-ci quando si doveva cuocere la carne. Poi apparecchiava la tavola, con la tovaglia, i tovaglioli, le posa-

te, piatti bicchieri, pane, acqua e vino. Le uova erano un alimento molto presente nelle nostre tavole,

le donne con cura nel periodo in cui le galline avevano la massima produzione conservavano le uova eccedenti in appositi contenitori di

terracotta nella calce, per poterle poi consumare quando le galline

UN LAVORO DELLE DONNE DI CAMPAGNA: PREPARARE LA COLAZIONE “L’AZIÓ ” di Luisa Calderoni

Dri l'irola

smettevano di farne. Poi c’era il giorno della settimana in cui le

donne dovevano fare il pane e an-che questo era un lavoro lungo e impegnativo. Alle donne spettava

anche il compito di fare la polenta, nell’apposita ”stagnè” di rame ap-pesa al ferro del camino. Quando gli uomini tornavano dal campo,

ognuno sedeva davanti al camino metteva sulla graticola il suo pezzo di carne, molto spesso sottilissi-

ma. La braciola “la brasùla” ogni tanto veniva tolta dalla graticola con la forchetta e si metteva fra due fette di pane stringendola mol-

to forte, si tagliava una fettina di pane molto sottile, “è pa ôt”, col coltello e si mangiava. Quando la

carne era cotta e “consumata”, e dallo stringere diventata quasi “trasparente”, si mangiava tutta. Ci si sedeva a tavola e si masticava

lentamente, si beveva un bicchiere di vino annaffiato, preso dalla ca-raffa in casa l’amzèta o dal fiasco, bottiglia di vetro verde o bianca

ricoperta di paglia o di vimini, per chi mangiava nel campo. La cola-zione era spesso a base di carne

di maiale perché in molte case contadine si allevava il maiale e si uccideva e si macellava in inverno. Oltre alla carne cotta, si mangiava-

no salumi, formaggi morbidi o sta-gionati, la buona marmellata di frutta preparata dalle donne du-

rante l’estate e l’immancabile sca-logna della nostra terra, quella rossiccia con gli spicchi. In certi momenti, specialmente i braccian-

Gli oggetti di cucina riportati in queste foto appartengono alla collezione del Museo della vita contadina di San Pancrazio

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ti, quando “la tasca” lo permetteva,

si fermavano “a la butéga” a com-perare un po’ di mortadella taglia-ta sottilissima. Chi riusciva a fare il vino in casa beveva quello, altri lo

comperavano dai contadini. Poi du-rante l’inverno, quando si lavorava meno, alla base della colazione c’e-

ra un pezzo di pane con i frutti che adesso chiamiamo “dimenticati”: i cachi, le nespole, le noccioline, le noci, le sorbe. Tolto il mosto dalle

vinacce si faceva il “mezzo vino“ e mèz ven” che si beveva da settem-bre fino al giorno di S. Martino (11 novembre) in alcuni casi fino a Na-

tale. Mio nonno conservava una sua tradizione natalizia: lui portava in tavola il vino dell’ultima vendem-

mia solo il giorno di Natale, che per lui era il giorno adatto per l’as-saggio e per una prima valutazione di come poteva essere stata la

produzione. Le famiglie più povere che non avevano carne di maiale si dovevano accontentare di una co-

lazione più modesta: poco pane, polenta del giorno prima riscalda-ta, un’aringa salata, che si poteva mangiare sia cruda che cotta ai

ferri. L’aringa è un pesce che pro-viene dai mari del nord, pescata in

grandi quantità; ai tempi dei nostri

nonni costava poco ma adesso in-vece è “salatina” anche nel prezzo. Ricordo che i negozianti di campa-gna quando riuscivano ad averle le

esponevano in bella vista fuori o dentro alla bottega in casse di le-gno, tutte ben composte che “si

mangiavano con gli occhi”. Ognuno per colazione riceveva il suo pez-zettino di pesce, come avveniva an-che per altre pietanze. Al capo fa-

miglia spettava la testa e la parte ad essa più vicina, ai bambini la parte più vicina alla coda. Finito di mangiare, gli uomini tornavano nei

campi e le donne sparecchiavano la tavola: toglievano tutto poi, per ultimo, la tovaglia che veniva sbat-

tuta davanti alla porta, nel cortile, così i polli e gli uccelli potevano mangiare le briciole, sempre per mantenere il detto “il pane non si

butta”. Poi lavavano piatti e bicchie-ri e mettevano tutto a posto. La mia nonna diceva che le famiglie in

cui si riusciva a fare una buona co-lazione tutto l’anno, anche se que-sto lavoro richiedeva tempo e dedi-zione per le donne di casa, poteva-

no ritenersi fortunate.

Dri l'irola

(Continua da pag.3) L’insalé di puret

indicazioni di un’insalata che face-vano le nostre nonne e che loro

chiamavano “ l’insalè di purèt”. Una buona insalata esige la me-scolanza di diverse erbe e questa

ancora adesso fa invidia a chi abita in città, perché pur essendoci mol-ti mercati e supermercati con ver-dure e primizie freschissime “il cit-

tadino” può usare solo le erbe che trova dal suo fornitore, mentre chi abita in campagna può andare a raccogliersele.

Il primo problema è quello di sta-gione perché questa insalata può essere fatta solo in primavera

quando le erbe selvatiche sono fresche. Le nostre nonne che erano esper-tissime e conoscevano tutte le

erbe, si ritagliavano il tempo ne-cessario; andavano nei campi e negli argini del fiume a raccogliere

il tarassaco è castracan, la valeria-nella e’ galèt, le cicerchie, la ruco-la, il favagello, la pimpinella, al radi-cèl il radicchio amaro e radec a-mèr. Eseguita la raccolta, le erbe si pulivano con molta cura, si lava-vano con l’acqua fresca presa dal

pozzo, con diverse “passate” come dicevano loro, poi si lasciavano a bagno nell’acqua fresca per alcune ore, quindi venivano sgocciolate

molto bene, spesso strizzate con le mani. Si passava poi a condirle, seguendo un detto popolare molto simpatico: “per condire l’insalata ci

vuole “un giusto” per dosare il sale, “un avaro“ per dosare l’aceto, “uno sprecone” per l’olio. L’insalata poi

veniva mescolata con le mani nu-de, e condita qualche tempo prima di metterla in tavola.

LE MAGLIAIE

Nel numero precedente abbiamo

pubblicato un articolo sulle ma-gliaie ma, come previsto, ce ne siamo dimenticate alcune. Diverse

persone ci hanno segnalato i loro nomi che volentieri aggiungiamo al precedente elenco: Tiglia dè Mai-

strat – Cilì Amadori moglie di

Fanti - Noemi Fusconi Batòc – Anna Berlati Pavlaz – Valeria

Campani Campanèla – Rita Ma-rangoni – Gisella Bubani.

Pillole del passato (archivio fotografico di Tristano Geminiani)

Da sinistra: Tristanì, Tristano Geminiani (2°), Pifani, Pino Valeriani (3°), Onorio Bendandi (4°) e Fran-

cesco Mignardi, Cichino de Buer (6°) fotografati accanto al campione di box Francesco Cavicchi (5°)

a Bagnacavallo il 17 giugno 1954. I nostri compaesani erano andati ad assistere ad un incontro di pugilato fra la Società Sportiva Edera di Ravenna e la Sempre Avanti di Bologna e per incontrare

Cavicchi, uno dei più amati pugili del momento, quel 1954 diventato campione nazionale professioni-

sti dei pesi massimi. Altri amici appassionati di box erano Balila, Pietro Guardigli e Mio, Geremia

Maioli. Fra i pugili di San Pancrazio ricordiamo Elvo, Gana, Bruno Talloni e Pal Pilichena Dante Randi.

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Dri l'irola

A settembre, alla Fira di Sett Dulur

di Russi di quest’anno, gli amici del

“Gruppo sportivo kart Russi” hanno allestito uno stand con kart d’epo-

ca, una mostra fotografica e la vi-sione di un filmato con le testimo-

nianze preziose dei piloti e meccani-

ci di questo sport che hanno tanto amato e al quale hanno dedicato

gran parte della loro gioventù: è una finestra su un periodo storico

irripetibile in cui si riconoscono la

passione per i motori e le gare e l’amicizia come valore fondamenta-

le nato nella pratica sportiva. Anche da queste testimonianze ho

tratto alcuni spunti per raccontarvi

quanto segue. Le nuove regole sui telai imposte

dalla Federazione Italiana Kart ver-so la metà degli anni ’6: e la chiu-

sura della ditta Totrus Mangimi, sponsor di questa attività sportiva

avevano creato una situazione de-

motivante. Per superare questa crisi alcuni giovani di Russi e di San

Pancrazio, una trentina, decisero di costituire una nuova società: il

“Gruppo sportivo kart Russi”, il cui

primo responsabile fu Amerigo Orlati; a lui seguì Venturi Giovanni

(Vanni) di Godo che si avvalse della collaborazione di Oreste Gabelli di

Ragone come segretario.

Venne elaborato uno statuto per l’adesione all’associazione e un re-

golamento per la partecipazione alle gare del campionato denomina-

to “Formula Russi”. Il regolamento

prevedeva che i motori si potevano “truccare” ma le parti interne del

motore dovevano rimanere quelli di serie. Successivamente il regola-

mento venne modificato e poterono essere utilizzati parti di ricambio di

altri motori per poter andare sem-

pre più veloci. Gli iscritti al Gruppo Sportivo Kart

erano tesserati anche alla Federa-zione Italiana Kart e godevano di

un’assicurazione verso terzi perché

si correva frequentemente nei cir-cuiti cittadini e potevano succedere

degli incidenti. Qualche anno più tardi il gruppo kart contava su di

un’ottantina di persone che pagava-

no una quota associativa di mille lire. I piloti che si iscrivevano alle

gare pagavano invece cinquemila

lire. Di solito erano dodici o tredici con una punta di 17 piloti negli anni

’75, ’76 e ’77. I soldi servivano per far fronte alle spese di gestione: il

noleggio della pista di San Giuseppe,

le coppe e le medaglie per i primi classificati che venivano predisposte

nel negozio Rossini di Russi. In ogni gara si assegnavano dei punti, fino al

settimo posto, che venivano conteg-

giati per assegnare la vittoria finale del campionato di Formula Russi.

Dal 1969 al 1973 furono organizza-te a San Pancrazio quattro corse, in

un circuito comprendente la piazza

centrale del paese e parte della via Randi. A Russi le corse organizzate

furono due, a Godo una. Ogni anno, fino alla metà degli anni

‘8:, si svolgevano le gare del cam-pionato di Formula Russi.

Nell’organizzazione delle gare, il cro-

nometraggio ed altre mansioni veni-vano affidate a volte alle ragazze che

seguivano i piloti e le scuderie. An-che loro venivano premiate a fine

anno assieme ai piloti vincitori: c’era

un riconoscimento per tutti. Le premiazioni si svolgevano durante

l’intervallo delle feste da ballo o dei veglioni, in particolare nella sala dell’

“SP Club” di San Pancrazio.

Alcuni piloti partecipavano anche alle gare nazionali di kart: ad esempio,

Cesare Montanari (nel 1973 cam-pione nazionale singolo, a squadre e

campione regionale) e Giancarlo

Randi (terzo nel campionato regiona-le del 1973 e settimo nel campiona-

to nazionale a squadre del 1974). Un ricordo comune a tutti i protago-

nisti è il seguente. Era il lunedì della sagra paesana di San Pancrazio del

1969, il cielo non prometteva niente

di buono e si attendeva una schiarita prima di stendere le balle di paglia

lungo la pista destinata alla prima corsa paesana dei kart. «Nove erano

i piloti partecipanti», racconta Fran-

co Berlati, «io, Galli (Romano Tur-chetti), Amerigo Orlati, Adrio Bertac-

cini, Rava di Prada, Caplì (Luigi Pezzi), Polo Nero (Giovanni Zama), Martino

Viroli e Guido Ragazzini; tre batterie

ad eliminazione da tre go-kart per batteria. I box erano nel cortile di

Giuliano Pezzi». I problemi cominciarono quando ci si

accorse che era stata richiesta

GO-KART: 50 anni di passione sportiva a San Pancrazio Luciano Minghetti intervista Franco Berlati e altri protagonisti (seconda parte)

l’autorizzazione per una “gara” anzi-ché per una “manifestazione”. Tutti

potevano iscriversi alle gare: gli orga-nizzatori non potevano limitare la

partecipazione. E infatti, a causa di

questa svista, arrivò un sacco di gen-te che voleva iscriversi. Ricordo che

Cicci, (Ezio Randi) li difendeva: “Eh, non li volete perché avete paura che

vadano più forte! … Insomma una

gran confusione. A ciò si aggiunse la notizia secondo cui la Questura di

Ravenna non avrebbe concesso il permesso proprio perché si trattava

di “gara” e non di “manifestazione”.

Vennero mobilitate le massime auto-rità del paese tra le quali figuravano

Talloni Menotti, il Parroco e il capita-no Poggiali che andarono a Ravenna

a negoziare una soluzione. Si erano fatte le undici, noi eravamo là in atte-

sa; arrivarono quattro automobili da

Ravenna con il prete, il questore, i pompieri: “Il permesso ve lo diamo

ma vogliamo fare un giro per vedere il circuito”. Di balle di paglia ne aveva-

mo messo un po’ qua e un po’ là,

senza esagerare, e in certe posizioni ce n’erano veramente poche. Menot-

ti suggerì: “Mentre la commissione va avanti, voi prendete le balle da

dietro e le sistemate come vogliono

loro”. “Va bene”, dissero alla fine i commissari, “Ma vogliamo vedere un

go-kart girare in pista”. Argeo, che era il cronometrista, mi disse: “Fa un

giro te che hai più esperienza ma va

pianino, tanto è roba fatta in casa, per divertimento“. Tutto a posto, ci

danno il permesso, Al pomeriggio, quando venne dato gas ai motori, gli

osservatori esclamarono sbalorditi: “Stamattina non andavate mica così

veloci!”. Ma ormai la corsa era parti-

ta. E da quella volta non ci furono più problemi per avere i permessi per le

corse a San Pancrazio (qualcuno sa perché?).

Dopo oltre 15 anni, nel 1987, con la

nascita del Club Amatori Kart Russi, si arriva alla terza generazione di

appassionati di go-kart e le corse continuarono e continuano ancora

oggi. Ma l’epopea del kart dilettanti-

stico era ormai finita e oggi non ri-mangono che ricordi meravigliosi,

condensati in un DVD che contiene storia, aneddoti e memorabili intervi-

ste dei protagonisti.

Page 7: Nevio, un amico indimenticabilerussi.racine.ra.it/vitacontadina/sezioni/bollettini_pdf/Bollettino30_pdf.pdf · nella dieta di molte popolazioni. I Greci ne erano ghiotti consuma-tori

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Dri l'irola

Ovunque oggi con il termine “Mo-

squito” si intende la zanzara; an-che a San Pancrazio. A cavallo tra la fine degli anni 4:’ e l’inizio dei 5:’ ovunque con il termine “Mosquito” si intendeva un tipo di ciclomotore; anche a

San Pancrazio. Erano gli anni nei quali piccoli, semplici ma geniali motori, appli-cati alla bicicletta, cominciavano a sostituire ed alleviare la fatica del pedale. Io, appena uscito da un’adole-

scenza durante la quale simulavo il rumore di un motore infilando tra i raggi della ruota di una bici-cletta una carta da gioco assicu-rata alla forcella con una mollet-ta da bucato, ero affascinato da

questi mezzi scoppiettanti. Ricor-do i Mosquito ed i Cucciolo sfrec-ciare per la vie di Reggio dove allora abitavo e confesso una certa invidia nei confronti di chi ostentatamente li cavalcava.

Ma ciò che ricordo con più emo-zione è una corsa di ciclomotori alla quali assistetti a San Pancra-zio. Nella nostra vecchia casa di Via Naldi venivo tre, quattro volte all’anno. Ciò accadeva in coinci-denza delle feste Natalizie, Pa-

squali ed a Settembre prima dell’inizio delle scuole. E fu sicuramente in un Settem-

bre di fine anni 4:’ od inizio 5:’ che ebbi la fortuna di assistere ad una di queste accanitissime gare. Il circuito, se ben ricordo, si sno-

dava sulle vie Molinaccio, della Libertà, e Naldi. Era un percorso più o meno rettangolare con cur-ve strette e strade polverose. Ad ugni passaggio davanti a ca-sa mia il rombante gruppo dei concorrenti sollevava una fitta

nuvola di polvere bianca e lascia-va un forte odore di miscela bru-ciata e sia l’una che l’altro rima-nevano nell’aria tra un passaggio e l’altro. I concorrenti, che duran-te il lungo tratto di Via Molinac-

cio avevano dato la massima ac-celerazione, si trovavano a dover imboccare la Via Naldi, allora molto stretta e con la canala sul lato sinistro; questo era un punto cruciale e ricordo di una caduta

dalla quale un concorrente si rialzò apparentemente illeso ma con il manubrio del Mosquito rotto in due pezzi. Saltò in sella e con il mezzo manubrio rimasto al suo posto e l’altro mezzo a cion-doloni ripartì all’inseguimento del

gruppo. Sono questi ricordi, questi mo-

menti archiviati nella mente co-me fotografie istantanee che an-cora oggi sono in grado di emo-zionarmi e farmi sussurrare : “ Che fortuna, io c’ero !”

Era da tempo che pensavo di mettere nero su bianco questi ricordi. Ora l’occasione si è pre-sentata. Credo però sia solo l’inizio di una ricerca approfondi-ta che assieme all’amico Luciano Minghetti porteremo avanti, un

po’ come Luciano ha magistral-mente fatto con i Go-Kart. Ciò è importante. E’ importante per-ché rimangano, non solo nella memoria degli uomini ma docu-mentati, fatti ed avvenimenti ca-

paci di far esclamare agli ignari presenti ed a chi verrà: “… Incre-dibile ! Chi l’avrebbe mai detto … proprio qui a San Pancrazio !! .....”

QUANDO A SAN PANCRAZIO CORREVANO I CICLOMOTORI dI Carlo Turchetti

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Dri l'irola

La quota associativa è di € 15,00 fino a 65 anni e di € 12,00 oltre i 65 anni.

Si versa la quota utilizzando il bollettino di C/C postale intestato a “La Grama” C/C N.11939485 oppure in contanti presso

gli sportelli del Credito Cooperativo della Provincia di Ravenna e della Cassa di Risparmio di Ravenna.

Associazione culturale La Grama

Indirizzo postale: c/o Museo della vita contadina

Via XVII Novembre 2 A 48026 San Pancrazio (RA)

Tel 0544 535033 E-mail: [email protected]

Museo della vita contadina in Romagna

Tel 0544 552172 E-mail: [email protected]

Apertura museo su prenotazione

telefonando allo 0544 535033 oppure al 349 7881929

Ingresso gratuito

Servizi: bagno handicap, ascensore, biblioteca, sala di proiezione

Antiche ricette di cucina “I sapori della caccia” “I sapori della campagna” “Racconti paesani” vol. 1 - Il Grano e il pane vol. 2 - Una vita fra la canapa vol. 3 - Tessitura che passione! vol. 4 - Una vita fra i bigatti vol. 5 - Una fèta d’furmaj Documentari in DVD Testimonianze dal Museo Il grano e il pane: ieri e oggi Una vita fra la canapa Latte e formaggio Il maiale, l’amico dell’uomo Una vita fra i bigatti Altre pubblicazioni: Romagna mia. Cofanetto 6 DVD. Autobiografia de “La Grama”. Monografie del Museo. Cartoline con annullo filatelico. “Incontro letterario”, CD audio. Granoturco e polenta in Romagna, di G. Pozzetto. Storia del pane a Ravenna, di U. Foschi. I misteri dei musei: 1) Ombre arca-ne; 2) Il fuoco segreto; 3) L’ultimo custode. Manuale di conservazione e restau-ro del legno e del ferro. Manufatti tessili prodotti nel nostro laboratorio di tessitura. Le pubblicazioni sono disponibili presso il Museo o prenotabili via e-mail.

bero come guida morale i tanti esuli fuggiti alle persecuzioni, che trovarono asilo soprattutto in Fran-cia e in Inghilterra e in Piemonte.

L’unificazione italiana fu sicura-mente una delle più straordinarie rivoluzioni ottocentesche che ebbe

in G. Mazzini il principale promoto-re sulla cui scia si mossero poi la dinastia Sabauda e l’abilità diplo-matica di Cavour.

Due nostri concittadini partecipa-rono unendosi ai volontari garibal-dini: Raggi Napoleone di origini ce-senati che fu a Bezzecca per il ri-

scatto del Veneto nella terza guer-ra d’indipendenza nel 1866 (le sue vicende sono ampiamente descrit-

te nel libro di Laura Montanari “Un garibaldino da museo”) e Calderoni Luigi (n.1843—m.1922), bisnonno di Calderoni Luisa, che partecipò

alle battaglie di Monterotondo e di Mentana nel 1867. A entrambi va il nostro riverente

ricordo. Il maggiore apporto di vite umane al compimento finale dell’unità na-zionale fu dato dal nostro paese

nel corso della grande guerra. Nel maggio del 1915 furono chiamati alle armi le classi dal 1874 al

1895 e in seguito al prolungarsi del conflitto le altre dal ’896 al ‘9::. Il paese si svuotò, la gioventù era tutta al fronte. Molti di fede

repubblicana partirono volontari in nome di Trento e Trieste italiani, altri, la maggioranza andarono per senso del dovere o perché costret-

ti dalla rigidità della coscrizione obbligatoria. Nonostante la sconfitta di Caporet-

to, vi fu una grandiosa resistenza sul Piave e il conflitto si concluse

(Continua da pagina 1) nel novembre del 1918 con la vit-

toria e col raggiungimento dei con-fini storici. Il contributo di vite umane e di feri-ti fu enorme, a San Pancrazio ben

59 giovani non tornarono e un nu-mero imprecisato di feriti dovette adattarsi a una vita angustiata

dalle ridotte capacità. L’impero austro-ungarico che per secoli aveva oppresso gran parte del nord della nostra patria era scon-

fitto. Gli avvenimenti che seguirono la grande guerra portarono al ver-tice della nazione la dittatura fasci-sta. Le gesta eroiche degli italiani

durante la conquista della loro indi-pendenza furono esaltate dal regi-me e in tutte le città sorsero mo-

numenti che ricordavano i perso-naggi e gli avvenimenti più signifi-cativi. A ben vedere si glorificavano gli

avvenimenti che avevano portato alla nostra indipendenza e allo stesso tempo si andava in Libia e

in Etiopia a soffocare altre indipen-denze. Purtroppo nel 1938 si vararono delle leggi razziali inique. L’alleanza

con la Germania nazista ci portò alla tragedia che tutti conosciamo. Il riscatto dalla catastrofe avvenne

nei 20 mesi di resistenza al nazifa-scismo che seguirono l’otto set-tembre che partendo dall’Italia centro-meridionale si sviluppò in

tutto il nord del paese. Risorgimento, Grande Guerra, Resistenza e Repubblica, raggiun-ta col referendum del 2 giugno

1946, sono i quattro momenti fondamentali dell’Italia moderna ed esprimono la loro continuità in

queste celebrazioni del 15:° della nazione italiana.

I 150 ANNI DELL’UNIFICAZIONE ITALIANA di Vittorio Pezzi