Romagna solatia La primavera dolce paese di Sante Samoré...

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1 Romagna solatia dolce paese di Francesco Bentini La sentita poesia di Primo Zini, ascoltata alcune sere fa ad un simpatico convivio della Società del Passatore a San Michele, mi ha convinto ancora di più che la Romagna ha il diritto di essere considerata Regione autonoma. La storia, la lingua, gli usi, i costumi e, soprattutto, l’arte sono la testimonianza più tangibile di tutto ciò. Esaltazioni musicali e poetiche della propria terra, come si trovano in Pascoli, Stecchetti, Spallicci, Casadei, Guerra e tanti altri, dove sono nelle altre regioni? E qui a San Pancrazio “l’eria d’Rumagna” tutti la respirano. E anche se, al primo impatto, si ha l’impressione che i giovani non l’avvertano, non è proprio così. E’ solo questione di tempo e quando arriverà anche per loro la maturità e scopriranno la bellezza delle nostre origini, prenderanno entusiasti il nostro posto a difesa di queste tradizioni, che non si debbono e non si possono dimenticare. “La Grama” ha dimostrato e dimostrerà sempre di più che San Pancrazio è terra di Romagna. Il Museo della Vita Contadina in Romagna, la rievocazione annuale dei mestieri secolari sono la testimonianza che proprio qui siamo al centro di questa magica terra. Forza giovani! Date una mano a coloro che hanno accesa questa fiaccola, perché si ravvivi sempre più e non debba spegnersi. “Sempre un villaggio, sempre una campagna” scrisse Pascoli e questa è la nostra Romagna. Supplemento a Ross zétar d’Rumagna - N.60 - Anno 31° - n.1 - Marzo 1998 Registr. Trib. Ravenna n.524 del 15-7-69 - Direttore Responsabile: Avv. Emilio Duranti Redattore: Girolamo Fabbri - Ciclostilato in proprio - Non contiene pubblicità. Spedizione in A.P. (Art.2 - comma 20/c - Legge 662/96) - Filiale di accettazione: Ravenna. La primavera di Sante Samoré La primavera arriva ufficialmente il 21 marzo, ma invece all’inizio del secolo per la maggior parte delle persone, arrivava ai primi di marzo. Infatti in quella data, non c’era più bisogno di accendere il fuoco per scaldarsi, tanto meno scaldare il letto. Anche le calzature cambiavano: i contadini e i non benestanti, cominciavano ad andare scalzi (mêrz da e’ pè schêlz). Gli ultimi tre giorni di febbraio, e i primi tre di marzo, nelle campagne i contadini accendevano grandi fuochi all’aperto (al fugaren), che avevano un valore propiziatorio, per una buona stagione e un buon raccolto. Questi fuochi (lom a merz) venivano fatti con grandi mucchi di paglia e sterpaglie, si accendevano all’imbrunire, e nelle sere chiare si vedevano ovunque in pianura, in collina, sui monti, anche a notevole distanza. Al fugaren segnavano la fine dell’inverno, e davano la sveglia ai campi. Un altro rituale che si praticava la sera del 3 febbraio, vigilia della festa della Madonna del Fuoco, era quello di scaricare i fucili con un numero di colpi dispari, 3 o 5 (rito propiziatorio per farsi proteggere dagli spari). In questo periodo i contadini lavoravano nei campi, zappavano il terreno per seminare le colture marzoline e tagliavano l’erba in mezzo al grano (runché). I ragazzi e i bambini lavoravano a fianco degli adulti. In questo periodo a volte c’era un ritorno di freddo con spruzzate di neve, ma le persone più anziane non si scoraggiavano e dicevano: “la nev marzulena la dura da la sera a la matena”. In molti paesi della Romagna questo (Continua a pagina 2)

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Romagna solatia dolce paese di Francesco Bentini

La sentita poesia di Primo Zini, ascoltata alcune sere fa ad un simpatico convivio della Società del Passatore a San Michele, mi ha convinto

ancora di più che la Romagna ha il diritto di essere considerata Regione autonoma. La storia, la lingua, gli usi, i costumi e, soprattutto,

l’arte sono la testimonianza più tangibile di tutto ciò. Esaltazioni musicali e poetiche della

propria terra, come si trovano in Pascoli, Stecchetti, Spallicci, Casadei, Guerra e tanti altri, dove sono nelle altre regioni? E qui a San

Pancrazio “l’eria d’Rumagna” tutti la respirano. E anche se, al primo impatto, si ha

l’impressione che i giovani non l’avvertano, non è proprio così. E’ solo questione di tempo e quando arriverà anche per loro la maturità e

scopriranno la bellezza delle nostre origini, prenderanno entusiasti il nostro posto a difesa

di queste tradizioni, che non si debbono e non si possono dimenticare. “La Grama” ha dimostrato e dimostrerà sempre

di più che San Pancrazio è terra di Romagna. Il Museo della Vita Contadina in Romagna, la rievocazione annuale dei mestieri secolari sono

la testimonianza che proprio qui siamo al centro di questa magica terra.

Forza giovani! Date una mano a coloro che hanno accesa questa fiaccola, perché si ravvivi sempre più e non debba spegnersi.

“Sempre un villaggio, sempre una campagna” scrisse Pascoli e questa è la nostra Romagna.

Supplemento a Ross zétar d’Rumagna - N.60 - Anno 31° - n.1 - Marzo 1998 Registr. Trib. Ravenna n.524 del 15-7-69 - Direttore Responsabile: Avv. Emilio Duranti

Redattore: Girolamo Fabbri - Ciclostilato in proprio - Non contiene pubblicità. Spedizione in A.P. (Art.2 - comma 20/c - Legge 662/96) - Filiale di accettazione: Ravenna.

La primavera di Sante Samoré

La primavera arriva ufficialmente il 21 marzo,

ma invece all’inizio del secolo per la maggior

parte delle persone, arrivava ai primi di marzo.

Infatti in quella data, non c’era più bisogno di

accendere il fuoco per scaldarsi, tanto meno

scaldare il letto. Anche le calzature cambiavano:

i contadini e i non benestanti, cominciavano ad andare scalzi (mêrz da e’ pè schêlz). Gli ultimi

tre giorni di febbraio, e i primi tre di marzo, nelle

campagne i contadini accendevano grandi fuochi

all’aperto (al fugaren), che avevano un valore

propiziatorio, per una buona stagione e un buon

raccolto. Questi fuochi (lom a merz) venivano

fatti con grandi mucchi di paglia e sterpaglie, si accendevano all’imbrunire, e nelle sere chiare si

vedevano ovunque in pianura, in collina, sui

monti, anche a notevole distanza. Al fugaren

segnavano la fine dell’inverno, e davano la

sveglia ai campi.

Un altro rituale che si praticava la sera del 3 febbraio, vigilia della festa della Madonna del

Fuoco, era quello di scaricare i fucili con un

numero di colpi dispari, 3 o 5 (rito propiziatorio

per farsi proteggere dagli spari). In questo

periodo i contadini lavoravano nei campi,

zappavano il terreno per seminare le colture

marzoline e tagliavano l’erba in mezzo al grano (runché). I ragazzi e i bambini lavoravano a fianco

degli adulti. In questo periodo a volte c’era un

ritorno di freddo con spruzzate di neve, ma le

persone più anziane non si scoraggiavano e

dicevano: “la nev marzulena la dura da la sera a la matena”. In molti paesi della Romagna questo

(Continua a pagina 2)

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era un periodo di festa: la più rinomata era la

festa della Segavecchia, che coincideva con il

giovedì di mezza quaresima. Si faceva girare per

il paese, su un carro trainato da buoi, un

fantoccio raffigurante una grande vecchia, che

veniva poi tagliato a metà. Dall’interno uscivano carrube, fichi secchi, qualche zuccherino e

venivano lanciati tra la folla.

Un’altra data importante era il 25 marzo, giorno

dell’Annunciazione di Maria Vergine chiamato

“e’ dè dla Madona di garzòn”. I garzoni erano

ragazzi di tredici o quattordici anni di famiglie

La primavera (Continua da pagina 1) molto numerose, che avevano difficoltà a sfamare tutti, quindi venivano mandati presso

altre famiglie a svolgere i lavori nei campi, nella

stalla o in casa. Il contratto dava diritto oltre a

100-150 lire all’anno, anche al vitto, all’alloggio

e alla pulizia degli indumenti personali. Il

contratto era annuale e quando veniva interrotto prima della sua scadenza si diceva: “l’a fat madona”. Sempre il 25 marzo nelle campagne la gente si

affrettava a raccogliere le viole nei fossi, sui cigli

delle carraie, perché si diceva che il giorno dopo

avrebbero perso la virtù (la vartò).

Il 25 marzo, la Madona di garzòn, era un’occasione di festa a San Pancrazio.

Nel periodo fra le due guerre mondiali, i ragazzi

del bracciantato del paese che avevano finito gli

studi (così si diceva allora dopo il conseguimento

dell’attestato di terza elementare) andavano

quasi tutti a fare i garzoni. Il padre accompagnava il figlio presso la casa del

contadino col quale era stato fatto il contratto e

per fargli capire che doveva dare retta, che

doveva ubbidire, quando lasciava il figlio per

tornarsene a casa diceva a voce alta: “se un fa ben dasii dla broca!”. Se i ragazzi nelle case coloniche avevano perso la libertà di giocare, in

compenso avevano trovato una

tavola quasi sempre imbandita

perché i contadini non avevano molta

moneta, ma non pativano di certo nel

mangiare. Salvo qualche eccezione i

ragazzi venivano trattati bene per evitare che parlassero male dei loro

padroni, facendoli sfigurare agli occhi

della gente.

Da tempo fare il garzone era

diventato un mestiere. Alla fine della

prima guerra mondiale però

cominciò a svilupparsi l’edilizia e poi la meccanica. Questi nuovi lavori

assorb i rono quas i tu t ta la

manodopera locale e il mestiere di garzone

venne lasciato alle persone che scendevano dalla

montagna del forlivese, del cesenate e del

riminese, dalla Carpegna e da San Marino. Ne

giunsero talmente tanti che San Pancrazio divenne un importante centro di smistamento

per questo tipo di manodopera. L’iniziativa fu di

due garzoni: Bineli, che per più di quarant’anni fu

il garzone di Rota e Vitouri, che dopo il ritorno

dalla guerra rimase a lavorare da Rota fino agli

anni quaranta. Frazchì d’Rota, Francesco Sbaraglia, era un uomo molto stimato ed era

l’azdor di una famiglia famosa da sempre per

l’ospitalità al viandante forestiero. Per questo

motivo divenne presto la base di smistamento di

tutti i garzoni che scendevano a valle e tutti i

capoccia andavano lì a contrattare. Il giorno della Madonna dei garzoni si organizzava

una festa nell’ Osteria de’ Mat al pomeriggio si

ballava al suono dell’organino e della

fisarmonica. I suonatori erano Nando (il nonno del Dottor Evo Stanghellini), Angiulet d’Bazela e

e’ Gadg de Pastor, che veniva da Roncalceci.

Alla sera una grande braciolata e vino a volontà per tutti.

Il primo acquisto del garzone, dopo

qualche anno di permanenza presso

il contadino, dopo aver imparato ad

andare in bicicletta e aver

racimolato qualche soldo, era la

bicicletta. Si comprava da Tugnazì, Antonio Fabbri, il meccanico di San

Pancrazio, che era il concessionario

per la provincia di Ravenna della

ditta Faggi. Faggi era anch’egli di

origine sanpancraziana e aveva

aperto una fabbrica di biciclette a

Milano: han sempre detto che aveva 500 operai quando la Fiat ne aveva

5.000.

Tugnazì aveva un grande assortimento di

biciclette; ne aveva di tre tipi: la lusso, la turismo

e quella da corsa. Erano biciclette solide e

costavano meno di quelle delle grandi marche. I

garzoni venivano a comprarla da tutta la provincia e fra il ‘28 e il ‘40, nel giorno della

Madonna dei garzoni, si dice si siano vendute fino

a 30 biciclette. Tanti avevano i soldi, molti

venivano con i padroni per garanzia e, per alcuni,

era sempre Frazchì d’Rota il garante.

Dri l'irola

disegno realizzato da Giulia Silvestroni

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Dri l'irola

La minestra di primavera o del pranzo di Pasqua. In questo giorno di festa la tradizione vuole che si mangino uova e sono proprio le

uova l’ingrediente base di questo piatto.

Ingredienti: gr. 130 di pane del giorno prima, grattugiato; gr. 60 di formaggio secco o parmigiano grattu

giato N° 4 uova;

noce moscata a piacere; brodo di buona qualità; Questa è la ricetta povera, ma oggi a piacere

si può mettere un po’ più di formaggio o parmigiano e meno pane.

Preparare un buon brodo. In una casseruola sbattere le uova, aggiungere gli altri

ingredienti, fare un impasto non troppo morbido, poi mettere col mestolo del brodo caldo, ma non bollente.

Versare adagio il composto nel brodo bollente sul fuoco, evitando che si attacchi alla pentola

e appena l’impasto sale in superficie togliere dal fuoco e versare nella zuppiera. La supira adesso nelle case si usa poco, ma per le

minestre in brodo è preziosa. Se la tardura, “da tardel”, è riuscita bene, si

presenta come un grappolo e il brodo attorno rimane chiaro. Io la preparo mezz’ora prima di mangiarla,

metto la zuppiera coperta sull’irola del camino così che si insaporisce la tardura nel brodo, resta calda ed è molto più gustosa.

Questa minestra nella tradizione ha una

simbologia legata alla vita: a primavera la natura rinasce, la Pasqua è resurrezione a nuova vita, la nascita.

Ho scoperto che un’usanza tipica delle famiglie romagnole era quella di servire la

tardura o zuppa d’uovo ai parenti durante il pranzo offerto in occasione di una nascita. I parenti che andavano a vedere il bambino

portavano doni in natura (due capponi o due galline da brodo, uova, pasta margherira, marsala all’uovo, ecc.) per la madre che

doveva alimentarsi adeguatamente dopo le fatiche del parto e perché doveva allattare. E

per festeggiare il lieto evento si faceva un pranzo. C’era proprio un detto specifico anche nelle

nostre campagne: quando una donna aveva partorito le parenti preparavano i doni da

offrirle e per andarla a trovare si diceva “andè a la sopa”.

Le ricette della cucina povera di Luisa Calderoni

A seguito della grande paura e della rabbia che la minacciata chiusura della Scuola Elementare nel 1997 ha seminato fra la

gente di San Pancrazio, è stata costituita un’Associazione Culturale denominata: “Amici

della scuola” con lo scopo di promuovere e consolidare le relazioni fra la Scuola Elementare e Materna di San Pancrazio, il

paese stesso e i paesi circostanti. Sviluppare le relazioni significa, secondo

l’articolo 2 dello Statuto dell’Associazione, conoscere e far conoscere la realtà della Scuola Elementare e Materna, difendere e

valorizzare il patrimonio educativo e formativo acquisito dagli insegnanti in lunghi anni di

esperienza, con la speranza che tutti assieme si possa riuscire ad impedire un nuovo eventuale tentativo di chiudere la Scuola. Se

ciò dovesse succedere bisogna che tutti si rendano conto che si avvierà inesorabilmente

un processo di disgregazione del tessuto economico e sociale del territorio, con grave danno per tutti.

Fra le attività che l’Associazione “Amici della Scuola” si propone di realizzare vi è quella

di promuovere attività ricreative, sportive e culturali, integrative della didattica rivolta agli alunni e funzionali alla loro crescita fisica,

psichica e sociale.

Una scuola, un paese (a cura della Redazione)

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Dri l'irola

A San Pancrazio, nel periodo immediatamente successivo alla Prima Guerra

Mondiale, si riscontrò tutto un fiorire di interessi

e di passioni per gli aerei e per il volo, che può

ritenersi senz’altro superiore ad ogni altro

paese.

Questo entusiasmo per il volo, avvertito da tanti giovani frequentatori il Circolo Repubblicano

di San Pancrazio, favorì poi il realizzarsi di tante

vocazioni per l’aviazione, così da farne una

scelta di vita.

Colui che per primo fu attratto da questa

passione fu Livio Forastieri, classe 1896. Aveva

conseguito il brevetto di pilota in Francia nel 1915 quando in Italia ancora non esistevano i

corsi. Partecipò alla Prima Guerra Mondiale

volando sui caccia come sergente pilota e

rimase ferito ad un piede. Poi divenne

collaudatore di aerei a Milano e partecipò ad un

giro d’Italia degli aerei da caccia. Partì volontario per la guerra di Spagna e

fu decorato con medaglia d’argento e medaglia

d’oro alla sua squadriglia. Quando fu promosso

maggiore perse la possibilità di volare. Allora

Forastieri, per poter partecipare alla Seconda

Guerra Mondiale come volontario, chiese la

collaborazione di alcuni influenti personaggi di Roma per farsi retrocedere al grado di capitano.

In questo modo, volando di nuovo sui caccia, partecipò ad azioni di guerra in Albania, in

Africa ed in Sardegna.

Dopo la firma dell’armistizio, l’8

settembre 1943, mentre da Littoria (Latina)

si alzava in volo con la sua squadriglia per

raggiungere la Puglia, liberata dai tedeschi, fu urtato dall’aereo decollato per ultimo.

Entrambi i velivoli caddero in fiamme.

Forastieri rimase gravemente ustionato e

morì purtroppo due giorni dopo senza

riprendere conoscenza.

Nato nel 1908, Marino Minghetti si arruolò volontario in aviazione. Poiché i suoi

genitori lo esortavano a rinunciare a

quell’attività troppo pericolosa, in un primo

tempo prestò servizio nella polizia stradale a

Milano. Qui incontrò Jolanda Gobbi che

divenne sua moglie e lo

seguì a Russi, dove tuttora risiede.

Allo scoppio della Guerra

d’Etiopia, Minghetti venne

richiamato in aeronautica e

assegnato al comando di

una squadriglia di caccia e fu promosso maresciallo

pilota.

Purtroppo nel 1938 morì

durante un’esercitazione

sul mare di Brindisi, perché

il suo idrovolante si schiantò

nell’impatto con l’acqua.

Nato nel 1909 e

tuttora residente a Forlì con

la moglie Rina Turchetti di

Chiesuola, il generale Luigi

Sandoli ci ha recentemente raccontato, in una intervista che sarà pubblicata

compiutamente nel prossimo numero di

questo giornale, alcuni momenti della sua

lunga carriera di aviatore.

“Ogni volta che un aereo sorvolava il mio paese restavo incantato a guardarlo finché diventava piccolo all’orizzonte, fino a

San Pancrazio: vivaio di aviatori Avventure e imprese degli eroi dell’aria cresciuti intorno a “e’ cruseri” (*)

a cura di Maria Luisa Pironi

Livio Forastieri a bordo di uno dei primi aerei del secolo con motore posteriore. Francia, 21-7-15

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Dri l'irola

quando non si vedeva più”. E’

solo l’inizio della

storia.

Q u a l c h e

anno più tardi il

giovane Ezio Fantini, nato nel

1911 e figlio del

m a n i s c a l c o ,

o t t e n n e i l

brevetto di pilota

e frequentò

l ’ A c c a d e m i a A e r o n a u t i c a .

Divenuto un

esperto aviatore

fu promosso capitano e citato in un Bollettino

di Guerra perché aveva partecipato, come

capo equipaggio, ad un bombardamento nello

Stretto di Gibilterra. Fidanzato con una giovane del bolognese, alla vigilia delle nozze

fu trucidato assieme alla sua ragazza e alla

intera famiglia di lei. La notizia giunse a San

Pancrazio la mattina seguente quando tutti

erano pronti per i festeggiamenti nunziali.

Nato nel 1920, Carlo Minghetti, aveva ottenuto la licenza media studiando da

privatista mentre contemporaneramente

lavorava come operaio presso la bottega di

Gallignani a San Pancrazio.

Seguendo l’esempio dell’amico e vicino

di casa Ezio Fantini, Minghetti si arruolò volontario nel 1939 nell’Aviazione e conseguì

il brevetto di pilota l’anno successivo.

Volava sui caccia durante l’ultima

guerra mondiale e si meritò vari

riconoscimenti: in particolare, due Medaglie

di Bronzo di cui una sul campo e tre Croci di

Guerra. Venne promosso maresciallo. E’ mancato nel 1984.

Luciano Guerrini, classe 1920, ha conseguito il brevetto di pilota civile alla

Spreta di Ravenna alla fine del 1939, con una

spesa di 5.000 lire, per poter partire militare

di leva con il grado di sergente. Ha ottenuto

ad Osoppo il brevetto di pilota militare e a

Gorizia ha superato gli esami di acrobazie. V e n n e

scelto per volare

sui caccia e

subito inviato in

z o n a d i

operazione col

c o m p i t o d i s c o r t a r e i

convogli navali

nel Canale di

C o r i n t o i n

Grecia e dopo a

Lampedusa e

Pantelleria. I l 6

settembre 1943 a Udine aveva ricevuto

l’ordine di recarsi a Crotone il giorno 10,

insieme a due stormi. L’8 settembre, invece,

dopo la firma dell’armistizio, potè tornare a

casa, a San Pancrazio, dove tuttora risiede.

Oriano Minghetti, nato nel 1945, figlio

di Carlo e nipote di Ezio Fantini, seguendo le

orme del padre è entrato da ragazzo

nell’Accademia Aeronautica e sta

proseguendo nella carriera militare. Ancora

in giovane età è stato assegnato alla

direzione dell’aeroporto di Cervia, primo romagnolo a ricoprire tale incarico. Dopo

aver ottenuto il grado di colonnello, ora è

Addetto Militare in Germania.

Questa visione di insieme, seppure

sintetica, evidenzia una preziosa pagina di storia scritta dagli aviatori di San Pancrazio

che non deve andare dimenticata, a maggior

ragione nel momento in cui l’Areonautica

militare festeggia il suo 75° anno di vita.

Ringraziamo Elio Forastieri che ci ha

raccontato la vita di suo padre e ha donato la foto all’archivio del giornale, e ringraziamo il

Circolo Foto Amatori della Pro Loco di Russi,

per la concessione delle foto di Fantini,

Minghetti e Guerrini, qui riportate. ——————- (*) e’ cruseri - incrocio fra Via Molinaccio vecchia

(ora Via Gino Randi) e Via Farini, nota come e’ camaren, a San Pancrazio.

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Dopo l’uscita dei p r i m i d u e n u m e r i a b b i a m o

r i c e v u t o lettere e

t e l e f o n a t e d i apprezzamento per questo

bollettino e di incoraggiamento alla nostra attività culturale. Per ringraziare, cercheremo di migliorarci sempre di più, inserendo da questo numero “La posta dei lettori” e invitando coloro che hanno memoria di storie vissute a San Pancrazio, poesie o zirudele inedite, a scriverci o a telefonarci perchè sarebbe utile che queste cose venissero pubblicate. Anche le piccole cose accadute nel nostro villaggio fanno parte del patrimonio della storia della Romagna. La prima lettera che abbiamo ricevuto è di Gianfranca Zanzi, la quale, assente fisicamente da San Pancrazio dal 1989, col cuore ringrazia in modo particolare “il maestro Gigino” per aver ricevuto il bollettino. Ci manda la cartina della città di Tolentino per farci vedere dove abita. Io vi posso assicurare, essendoci passato per lavoro, che la cittadina è molto bella e merita di essere visitata. Poi ci ha scritto Teresina Servadei, di Roncalceci, ringraziando il maestro Gigino per l’impegno a tenere vive le nostre tradizioni e offrendo un contributo per la Grama. Il Generale dell’Aviazione Luigi Sandoli ci scrive da Forlì ringraziandoci di averlo riportato indietro nel tempo della sua infanzia e offrendo un contributo al giornale. Nella sua lettera ci parla di quando a sei anni faceva il “garzoncello” dagli Orselli, i Febar d’Sapangrezi, a due lire la settimana. Sandoli ci racconta un episodio della sua vita che vogliamo riportare integralmente perché, oltre alla divertente situazione, si nota in modo evidente quanto sia cambiata la società durante questo secolo: “...Bascian, Bastiano, uno dei tre fratelli, ... sdraiato su di un tavolone sostenuto da un’impalcatura di legno, stava affilando alcuni attrezzi soffregandone il taglio su di un’enorme ruota di pietra da rudé. La ruotona aveva un grosso perno di ferro il quale si prolungava ai due lati assumendo la forma di due grandi manovelloni che servivano per metterla in moto. Un giorno, da una parte c’era un garzoncello di circa quattordici anni, dall’altra c’ero io. Io però contavo poco perché nella fase

ascendente rimanevo appeso ed in quella discendente non facevo che seguire passivamente il manovellone. “ Sempre a proposito degli Orselli, abbiamo ricevuto una telefonata da Ermanno Silvestroni, il quale ha voluto precisare che la fama degli Orselli non è nata con la produzione delle caveje, ma risale al tempo in cui da tutta la Romagna venivano a San Pancrazio perché non c’era nessuno come gli Orselli che sapessero temprare “paletti e pennati” e altri attrezzi da lavoro. Per non dimenticare poi la bravura nello stringere i cerchi delle ruote dei carri. Per quanto riguarda l’allevamento del baco da seta Ermanno ribadisce quanto fosse importante la seta nell’economia familiare a San Pancrazio. Tutti cercavano di trarre un vantaggio economico dalla seta, “persino il Generale Luigi Sandoli”, sostiene Ermanno, “ha comprato della seta a Russi per venderla a Forlì.” Anche Tino Babini ci scrive una lunga lettera dedicata agli Orselli, lettera che conserviamo per quando andrà in porto il progetto del Dott. Fabbri, presidente della Pro Loco di Russi di dedicare una ricerca monografica agli Orselli. In sostanza la tesi di Tino è la seguente: come avevano fatto gli Orselli a conoscere e ad usare nello stelo delle caveje quei fregi che sono uguali a quelli dell’Elmo di Ramsete II d’Egitto? Che sia la conferma che la caveja l’avevano portata i Romani dall’Egitto? Mistero. Sulla formula segreta della tempera Tino ipotizza che gli Orselli usassero dell’olio lubrificante e della polvere da sparo, che lasciassero un po’ a bagno i coltelli e poi li lasciassero raffreddare all’aria? Altro mistero. Per quanto riguarda la “Caveja Campanena”, secondo Tino il nome deriva dal fatto che la Domenica di Pasqua dell’anno 1400 a Russi, quando il prete andò a suonare la messa, la campana si ruppe, e per chiamare i fedeli, usò la caveja dagl’aneli. Da Almese in Piemonte, ha scritto il signor Melandri Manfredi. Ringrazia il maestro Gigino per i primi due numeri di “Dri l’irola”: una cosa bella, afferma, per illustrare ai giovani la vita dei loro progenitori. Offre un contributo per incoraggiare le iniziative culturali della Grama e termina la sua toccante lettera con un grande:

Viva la Romagna! Viva i Romagnoli!

Dri l'irola

La posta dei lettori

(a cura di Luciano Minghetti)

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Il campanile della Pieve romanica di San Pancrazio.

Con una lettera del 16 marzo 1998

l’Associazione Campanari Romagnoli di Russi ci informa della situazione del campanile della nostra chiesa: “Adempiendo ad un preciso compito di questa Associazione (Associazione Campanari Romagnoli di Russi, ndr), ci permettiamo segnalare lo stato di degrado in cui si trova il campanile della Vs. chiesa. Grati se ve ne interesserete, dando fin da ora la nostra disponibilità. Con amicizia.” Ringraziamo Tino Babini per la sua segnalazione. L ’Associazione Culturale La Grama, come ha offerto un contributo al recupero dell’affresco

della chiesa parrocchiale di San Pancrazio, così non mancherà di affrontare la questione del campanile nelle sedi opportune, perché il campanile è un bene comune e fa parte della storia del paese.

In occasione della festa della donna presso l’Auditorium del Centro Polivalente di Russi è stata allestita una mostra fotografica “femminile” voluta dall’Assessorato alle Pari

Opportun i tà de l nostro , Comune . Particolarmente apprezzate sono state le foto ed i relativi commenti dedicati alle edicole votive sparse sul territorio di San Pancrazio. La mostra sarà riproposta anche per i Sett Dulur.

♦ Abbiamo ricevuto diverse telefonate di persone che hanno difficoltà ad inviarci il loro contributo per il giornale.

Proponiamo loro di recarsi all’uffico postale con il bollettino allegato a questo numero: ci è sembrata la soluzione più pratica. Attenzione ad indicare chiaramente il vostro nome e il cognome.

♦ Scrivere al giornale su qualsiasi cosa, grande o piccola che sia, che abbia avuto a che fare con San Pancrazio.

♦ Non buttate via vecchi indumenti e vecchie scarpe anche se rotte. Dobbiamo riempire l’armadio del Museo.

R i nnovo de l Consiglio Direttivo della Grama. Si è svolta il 30 gennaio 1998 presso il Centro Civico di San Pancrazio l’Assemblea annuale dei Soci de “La

Grama”. Dopo la presentazione delle relazioni sulle attività e sulla situazione economica dell’Associazione si è passati al dibattito al termine del quale il Consiglio Direttivo in carica ha rassegnato le dimissioni per scadenza del mandato (3 anni) previsti dallo Statuto. e si è

passati alle votazioni per il rinnovo del Consiglio che ora è composto dai seguenti consiglieri: Bendandi Franco, Buscherini Nevio, Calderoni Luisa, Dolcini PierVincenzo, Minghetti Luciano, Pezzi Vittorio, Silvestroni Luigi. Nella successiva riunione del rinnovato Consiglio

Direttivo sono state distribuite le poltrone nel seguente modo: Presidente: Silvestroni Luigi, responsabile del Museo e attività connesse; Vice-Presidente: Calderoni Luisa, responsabile dei rapporti con gli Enti Pubblici e la Stampa;

responsabile del Corso di cucina; Segretario: Minghetti Luciano, coordinatore delle attività, responsabile della produzione; Amministratore: Dolcini PierVincenzo; Responsabile Organizzativo: Bendandi Franco; Corsi di Orditura e Tessitura: Buscherini Nevio;

Gite Culturali e Turistiche: Pezzi Vittorio;

Convenzione Fra il Comune di Russi e l’Associazione Culturale La Grama di S. Pancrazio. Il Consiglio Comunale, nella seduta di giovedì 26 febbraio ha approvato la Convenzione con La Grama secondo la quale l’attuale Raccolta Etnologica Romagnola, posta presso la Scuola

Elementare di San Pancrazio, diventa Museo della Vita Contadina in Romagna ed entra a far parte del Sistema Museale della Provincia di Ravenna. Sarà regolarmente aperto al pubblico nei giorni di giovedì pomeriggio e domenica mattina e, su

prenotazione telefonica, in qualunque momento. Visitare il Museo costerà duemila lire e questi soldi saranno spesi per il restauro e la manutenzione dei quasi mille pezzi presenti nelle sale del Museo e nei locali di deposito, e di quelli nuovi che ogni settimana entrano a far parte del

Museo. Naturalmente per le Scuole e i gruppi organizzati è prevista una riduzione di tariffa.

Dri l'irola Notizie in breve

Page 8: Romagna solatia La primavera dolce paese di Sante Samoré ...russi.racine.ra.it/vitacontadina/sezioni/bollettini_pdf/Bollettino03_pdf.pdf · dell’Annunciazione di Maria Vergine

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Le attività de “La Grama” nel 1998

Argomento di ricerca per il 1998: latte e formaggio, produzione casalinga.

Allestimento di una stalla in cui poter mostrare dal vivo tutte le fasi di questa attività della famiglia

contadina.

Orditura e Tessitura: allestimento del 3° Corso di Base, 3° Corso Intermedio e 1° Corso avanzato.

Cucina povera: 1° Corso

Gita turistica al Giardino Botanico di Città di Castello e alla città di Urbino.

27 settembre 1988: manifestazione culturale

dedicata al latte e al formaggio fatto in casa.

Inserire qui l'indirizzo

del destinatario

La quota 1998 per associarsi alla “GRAMA” è di lire 20.000

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Cultura

Materiali realizzati da “La Grama” “Quaderni” di testimonianze orali: Il Grano e il pane: ieri e oggi; Una vita fra la canapa; Tessitura che passione! Una vita fra i bigatti; “L’evoluzione di S.Pancrazio” Documentari su: Testimonianze dal Museo della civiltà contadina; Il grano e il pane: ieri e oggi; Una vita fra la canapa; Latte e formaggio: produzione casalinga e artigianale; Una vita fra i bigatti; Per le pubblicazioni de “La Grama” chiedere informazioni al 0544/534303

Supplemento curato da:

Ass. cult. “La Grama” Via della Resistenza, 12

48020 San Pancrazio (RA)

Tel. (0544) 534303 - Fax 534775

E-mail: minghetti @ netgate.it