Notizie in breve - Sito Ufficiale del Comune di...

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1 A cura dell’Associazione culturale “La Grama”, 48026 San Pancrazio (RA) Supplemento a Ross zétar d’Rumagna - N.86 - Anno 44° - n.1 - Marzo 2011 Direttore Responsabile: Maria Chiara Duranti - Redattore: Girolamo Fabbri Registr. Trib. Ravenna n.524 del 15-7-69 - Non contiene pubblicità. Sped. in A.P. - D.L. 353/2003 (con. in L.27-2.2004 n.46)- Art. 1, comma 2 - DCB Ravenna In caso di mancato recapito inviare al CPO di Ravenna per la restituzione al mittente che si impegna a pagare la relativa tassa. Gnocchi di patata di Luisa Calderoni In questo numero voglio presentare un piatto che la mia nonna preparava in primavera: “macaro’ ad pateta”, conditi con sugo di agnello. (Continua a pagina 3) Famiglie e botteghe di San Pancrazio (5a puntata) Con questa quinta puntata concludiamo la breve storia sulle famiglie e le botteghe presenti a San Pancrazio nella prima metà del Novecento. (Continua a pagina 2) Si dice che il primo kart sia stato costrui- to a Los Angeles nel 1956 da un tale di nome Arthur Ingles che, per divertimen- to, costruì una macchinetta da corsa, sfruttando un motore a 2 tempi preleva- to da un tagliaerba. Dal 1957 il kart iniziò a diffondersi e dagli Stati Uniti arrivò rapi- damente in Italia. Lo spirito dei pionieri del kart era (e lo è ancora), quello di po- ter liberamente costruire una macchina, con un semplice telaio tubolare, con un motore, quattro ruote e un volante, utiliz- Ricordi del giorno della Comunione e della Cresima di Luisa Calderoni L’altro giorno cercando fotografie della mia famiglia mi sono imbattuta in quella del giorno della mia prima Comunione e sono affiorati alla mente ricordi molto belli. La mia può definirsi una generazione fortunata, in gran parte siamo i figli delle coppie sposate dopo la seconda guerra mondiale. La libertà sospirata era arriva- ta dopo tanti patimenti e aveva fatto cre- scere in loro il desiderio di riscattarsi e di vivere una vita migliore di quella dei loro genitori. Noi bambini nati alla fine degli anni 40 inizio anni 50 siamo stati molto più fortu- nati dei nostri genitori. Abbiamo potuto frequentare l’Asilo Infantile diretto dalle suore del Cottolengo, poi, siamo stati alla Scuola Elementare, mentre babbo e mamma lavoravano dal mattino presto alla sera tardi. (Continua a pagina 5) GO-KART: 50 anni di passione sportiva a San Pancrazio Luciano Minghetti intervista Franco Berlati zando ingegno e tecnica talvolta arrangia- ta, ma di grande valore, per appagare un desiderio e una passione, molto diffusa fra i giovani del tempo, verso i motori e le gare sportive. La stessa passione del resto che altri provavano per le auto o per le biciclette. Il 9 ottobre 2010, nel kartodromo Happy Valley di Pinarella di Cervia (l’impianto italiano più vecchio, inaugurato nel 1961, ancora in attività) si è svolta la seconda edizione del Historic Master Go-Kart. (Continua a pagina 6) I mestieri delle donne: le magliaie, “al calziteri” Le donne giovani del nostro paese, che non facevano le contadine o le braccianti o le cameriere nelle famiglie benestanti, a cominciare dagli anni quaranta impara- vano “un mestiere”. Fra questi uno dei più importanti era quello della magliaia o “calzitera”. (Continua a pagina 4) Gara di go-kart in occasione della sagra paesana di San Pancrazio del 1973. Partecipanti, da sinistra: Berlati Franco su telaio Tecnocar e motore bicilindrico Minarelli da 125 cc, Venturi Giovanni (Vanni, di Godo) su motore MV da 125 cc. e Zama Giovanni su motore Morini da 125 cc.

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A cura dell’Associazione culturale “La Grama”, 48026 San Pancrazio (RA) Supplemento a Ross zétar d’Rumagna - N.86 - Anno 44° - n.1 - Marzo 2011

Direttore Responsabile: Maria Chiara Duranti - Redattore: Girolamo Fabbri Registr. Trib. Ravenna n.524 del 15-7-69 - Non contiene pubblicità.

Sped. in A.P. - D.L. 353/2003 (con. in L.27-2.2004 n.46)- Art. 1, comma 2 - DCB Ravenna In caso di mancato recapito inviare al CPO di Ravenna per la restituzione al mittente che si impegna a pagare la relativa tassa.

Gnocchi di patata di Luisa Calderoni

In questo numero voglio presentare un piatto che la mia nonna preparava in primavera: “macaro’ ad pateta”, conditi con sugo di agnello.

(Continua a pagina 3)

Famiglie e botteghe di San Pancrazio (5a puntata)

Con questa quinta puntata concludiamo la breve storia sulle famiglie e le botteghe presenti a San Pancrazio nella prima metà del Novecento.

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Si dice che il primo kart sia stato costrui-to a Los Angeles nel 1956 da un tale di nome Arthur Ingles che, per divertimen-to, costruì una macchinetta da corsa, sfruttando un motore a 2 tempi preleva-to da un tagliaerba. Dal 1957 il kart iniziò a diffondersi e dagli Stati Uniti arrivò rapi-damente in Italia. Lo spirito dei pionieri del kart era (e lo è ancora), quello di po-ter liberamente costruire una macchina, con un semplice telaio tubolare, con un motore, quattro ruote e un volante, utiliz-

Ricordi del giorno della Comunione e della Cresima

di Luisa Calderoni L’altro giorno cercando fotografie della mia famiglia mi sono imbattuta in quella del giorno della mia prima Comunione e sono affiorati alla mente ricordi molto belli. La mia può definirsi una generazione fortunata, in gran parte siamo i figli delle coppie sposate dopo la seconda guerra mondiale. La libertà sospirata era arriva-ta dopo tanti patimenti e aveva fatto cre-scere in loro il desiderio di riscattarsi e di vivere una vita migliore di quella dei loro genitori. Noi bambini nati alla fine degli anni 40 inizio anni 50 siamo stati molto più fortu-nati dei nostri genitori. Abbiamo potuto frequentare l’Asilo Infantile diretto dalle suore del Cottolengo, poi, siamo stati alla Scuola Elementare, mentre babbo e mamma lavoravano dal mattino presto alla sera tardi.

(Continua a pagina 5)

GO-KART: 50 anni di passione sportiva a San Pancrazio Luciano Minghetti intervista Franco Berlati

zando ingegno e tecnica talvolta arrangia-ta, ma di grande valore, per appagare un desiderio e una passione, molto diffusa fra i giovani del tempo, verso i motori e le gare sportive. La stessa passione del resto che altri provavano per le auto o per le biciclette. Il 9 ottobre 2010, nel kartodromo Happy Valley di Pinarella di Cervia (l’impianto italiano più vecchio, inaugurato nel 1961, ancora in attività) si è svolta la seconda edizione del Historic Master Go-Kart.

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I mestieri delle donne: le magliaie, “al calziteri”

Le donne giovani del nostro paese, che non facevano le contadine o le braccianti o le cameriere nelle famiglie benestanti, a cominciare dagli anni quaranta impara-vano “un mestiere”. Fra questi uno dei più importanti era quello della magliaia o “calzitera”.

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Gara di go-kart in occasione della sagra paesana di San Pancrazio del 1973. Partecipanti, da sinistra: Berlati Franco su telaio Tecnocar e motore bicilindrico Minarelli da 125 cc, Venturi Giovanni (Vanni, di Godo) su motore MV da 125 cc. e Zama Giovanni su motore Morini da 125 cc.

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colo Repubblicano, doverosamente preci-siamo alcuni punti: 3) Dopo la bottega della Dircea, Amedeo Sandoli, Medeo, aveva aperto (avevo erro-neamente scritto che si era trasferito) una macelleria, costruendo nel cortile retrostante “la cunserva”, un frigorifero estivo per la carne. Successivamente trasferì l’attività all’altezza della odierna abitazione di Mauro Zannoni. Subito dopo la seconda guerra mondiale questa ma-celleria fu gestita da Gino Sandoli, figlio di Amedeo, in società con Onorio Bendandi, e’ Sfarné. Nel locale della precedente macelleria di Amedeo, attorno al 1957-58, venne riaperto un nuovo negozio di carni gestito da Bendandi Dante. Più tardi, lo stesso locale avrebbe ospitato il negozio di scarpe della Jolanda Casadio in Bambi. 4) Il locale, che tutti ricordano come la bottega della Esmeralda e di Raoul, era stato in precedenza adibito a negozio di produzione e vendita di sporte d’pavira, gestito dalla Giovanna d’Giga. 5) L’abitazione della Dina d’Topo non venne ereditata da Epaminonda d’Pasquet ma dalla moglie, la mamma della Dina, quando Epaminonda morì. Nel numero di Marzo 2010 ci sono di-versi punti da specificare: 6) Nella bottega di Carulì e della Gilsa si potevano trovare articoli di ferramenta, stoffe, articoli da cucito, profumi, sapo-nette profumate, vaselli-na profumata che servi-va anche per i capelli (era il gel di allora!). 7) La Romanina, che aveva un negozio accan-to a quello di Carulì, era la mamma dell’Odette e la moglie di Osvaldo, indimenticabile e caratte-ristico postino del paese. 8) La bottega d’Martèn venne ceduta ad Aldo Casadio, e’ Babì d’Misto, fratello di Marino e Anto-nio (Tugnazé). Tra gli operai di bottega

Famiglie e botteghe di San Pancrazio nella prima metà del ‘900 a cura di Luciano Minghetti e Vittorio Pezzi

(5.a e ultima puntata)

In via Farini, e’ Camaren, dove oggi si trova l’abitazione del dott. Graziani, si trovava il negozio di alimentari di Emma Garavini, sorella di Gisto e zia dell’Ing. Garavini. L’attività venne poi rilevata da Baldini Luigi, detto Gigì de Zei, che spostò il negozio dalla parte opposta della stra-da. Proseguendo su questo lato, alla fine del caseggiato si trovava il forno di Bulo. Sull’altro lato della strada si trovava la bottega d’Taio. Aveva due figlie, la Dina e l’Antiope, e un figlio, Nino, che era rima-sto in Africa per dieci anni con Galli il marito dell’Ersilia. Era tornato portandosi il suo camion, come avesse fatto non si sa! La Dina d’Taio era quella che manda-va avanti la bottega di alimentari e, so-prattutto, l’edicola con i giornali. Dopo un paio di anni il negozio fu acquisi-to da Farabigul, il babbo della Lucia e della Luisa, e li rimase per parecchi anni prima di trasferirsi con l’attività in via Randi. Successivamente, la vecchia botte-ga di alimentari venne gestita anche da Gaspare con sua moglie. Nell’incrocio fra via Molinaccio e via Naldi, la Maria d’Gianò, moglie di Marino d’Gianò, aveva aperto una bottega di generi alimentari. La bottega, acquistata successivamente da Italo Spada, è anda-ta avanti per molti anni, fino ad essere sopraffatta, come molte altre dello stes-so genere, dall’apertura dei grandi centri commerciali. Abbiamo raccolto e volentieri pubblichia-mo le osservazioni alle puntate preceden-ti che ci sono giunte, in particolare, da Mario Gatti, Piero Miserocchi e Vittorio Pezzi. Nel numero di Marzo 2009, al punto in cui si parla della casa di Livio d’Frazchinè, ci sono alcune osservazioni: 1) Si suppone che la Gilda da cameriera sia poi diventata moglie di Livio; 2) Malvina Paganelli, terminata la quarta elementare, andò a servizio da Livio e dalla Gilda e vi restò fino a che Frazchinè visse in quella casa. Sempre nella seconda puntata, al punto in cui si tratta dei negozi di fronte al Cir-

troviamo Mario Gatti (Gatina), Ravaglia Martino (Piraccini) e Giacomo Nanni (Néni). Mario Gatina portava in bicicletta a Forlì i telai delle biciclette per la verniciatura/nichelatura e portava a casa parti di ricambio per biciclette. A quel tempo le biciclette rotte si aggiustavano e servivano molti ricambi. Poteva capitare anche che da due biciclette rotte se ne ricavasse una buona. Alla morte di Aldo Casadio, giunta in giovane età, la bottega venne rilevata da Francesco Randi. 9) Nella bottega di Tugnazì, distante tren-ta metri da quella di Martèn, vi lavoravano un certo “Ovidio” Strocchi, Benito d’Bubani e Francesco Randi, specializzato nell’aggiustare i torpedo. 10) Entrambe le botteghe da bicicletta erano frequentatissime dai giovani del tempo che ne avevano fatto luoghi di ritro-vo alla pari con le botteghe da barbiere. Nel numero di Settembre 2010 occorre precisare quanto segue: 11) Nella “casermetta” accanto alla casa dei Poggiali, i fucili conservati e utilizzati per l’addestramento non erano di legno e non erano stati costruiti da Carlo Poggiali. Avevano ovviamente la cassa di legno ma la canna e l’otturatore erano in metallo; l’addestramento prevedeva appunto il caricamento del colpo in canna. Non ci si ricorda da dove, ma erano stati acquistati, non erano fatti in casa.

Una macchina da magliaia. Vedere l’articolo a pagina 4. Foto concessa da Linda Giorgetti di San Pancrazio.

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Cucina e tradizione di Luisa Calderoni

Nelle nostre case di campagna nel tem-po pasquale, che va dal giorno di Pasqua alla Pentecoste, si mangiavano agnelli ed agnelloni, molto spesso allevati dalla fami-glia. In questo numero voglio presentare proprio un piatto molto buono a base di agnello o agnellone, che la mia nonna preparava in modo particolare nel perio-do primaverile: gli gnocchi di patata o “macaro’ ad pateta”, conditi con sugo di agnello. Gli gnocchi di patata, come li facciamo adesso: un impasto di patate e farina, secondo la tradizione, si iniziò a prepararli dopo l’introduzione della patata in Europa e un tempo si usava un tipo di patata denominata “le tonde di Roma-gna”. Ingredienti: patate grosse e gialle g. 400; farina g. 150 Procedimento: cuocere le patate con la buccia, a vapore, lasciare raffreddare, poi pelare, passare nello schiacciapatate e impastare con la farina. Fare una palla e da questa tagliare parti e allungarle sul tagliere facendone un cordone uniforme tondeggiante.

di cottura. Una storia simpatica. La mia mamma era molto brava a fare gli gnocchi. A lei riuscivano sempre. Quando ho comincia-to a farli anch’io mi ha raccontato una storia. Una sua amica, che non era abi-tuata a fare gli gnocchi, un giorno decise di provare, ma dopo averli versati nella pentola con l’acqua bollente, quando mi-se dentro la ramina per mischiarli, non trovò più niente, come se per “un gioco di prestigio” fossero spariti. Subito dovette cuocere una pasta secca per il pranzo; per fortuna aveva un buon sugo per con-dirla! Il giorno dopo raccontò il fatto alla mia mamma che subito disse: guarda che quello che ti è accaduto è una cosa naturale, hai usato poca farina e appena li hai versati nell’acqua si sono sciolti, se mi avessi chiesto le informazioni prima non ti sarebbe successo! La signora subi-to cominciò a scrivere la ricetta: ingre-dienti, procedimento, quantità e la con-servò gelosamente. Da quel giorno gli gnocchi fatti da lei non si sciolsero più nell’acqua bollente.

GNOCCHI DI PATATA

Tagliare dei pezzetti e passarli nella for-chetta schiacciandoli con un dito. Cuocere in acqua bollente salata e quan-do vengono a galla togliere con un rama-iolo e mettere nello scolapasta e poi con-dirli. Come si possono condire? Propongo queste soluzioni: Sugo di pomodoro e un buon pecorino; tradizionale è anche un buon sugo a base di salsiccia e parmigiano reggiano grattu-giato; sugo di agnello o agnellone; sugo di agnello o agnellone e piselli. Per il sugo di agnello: olio di oliva, cipolla, g. 400 di lombo di agnello g. 50 di pan-cetta, vino bianco, salsa di pomodoro, sale e pepe. In un tegame mettere l’olio di oliva, la cipolla tritata, la pancetta, aggiungere la polpa di agnello macinata, fare dorare, versare il vino, fare evaporare, poi la sal-sa di pomodoro, sale e pepe. Fare cuoce-re lentamente fino a cottura e con que-sta condire gli gnocchi. Se si vogliono aggiungere i piselli, pren-derne g. 100 di quelli freschi e appena sgusciati e versarli nel sugo, dopo 1 ora

Notizie in breve Domenica 4 settembre 2011

a San Pancrazio Manifestazione culturale

Cibo e convivialità in Romagna

Programma

Ore 11 Incontro-dibattito con Graziano Pozzetto scrittore, giornalista e Luisa Calderoni, scrittrice. Ore 12 Pranzo dedicato ai “Piatti fritti nella tradizione romagnola”. (prenotazione obbligatoria) Ore 16 Spettacolo di Burattini. Ore 17 Laboratorio didattico: “Dal latte al formaggio”. Ore 19 Buffet e degustazione vini. Ore 21 La Compagnia La Zercia Presenta: E’ gos dla cocla”, commedia dialettale in tre atti.

All’ombra dei tigli. E’ il titolo del nuovo libro scritto da Aldo Fab-bri, pubblicato a fine aprile 2011 nella colla-na sanpancraziana. Vengono riportati vigoro-samente in vita episodi, personaggi e senti-menti presenti quotidianamente all’ombra dei tigli del Circolo Repubblicano di San Pan-crazio negli anni ‘50 del secolo scorso. Il volume è disponibile presso il Museo della vita contadina e presso l’edicola del paese.

Museo della vita contadina in Romagna La convenzione fra il Comune di Russi e l’Associazione culturale La Grama per la gestione del Museo della vita contadina in Romagna di San Pancrazio è stata rinnovata per i prossimi quattro anni, in accordo fra le parti, e con delibera del Consiglio Comunale n. 49 del 31/05/2011.

La gara del tiro alla pecora La Grama ha partecipato con il laborato-rio “Dal grano al pane” alla gara del tiro alla pecora, che si è svolta presso il roc-colo Babini Russi. La manifestazione è stata organizzata dall’Associazione Cac-ciatori Emiliano Romagnolo. Un folto pubblico ha potuto ammirare, tra l’altro, una bellissima mostra di Silva-no Foschini, e tanti prodotti artigianali presenti alla manifestazione. Si sono svolte gare di tiro con la carabina depotenziata, e di tiro con la fionda. Il vincitore della gara si è aggiudicato una pecora. A pranzo abbiamo proposto la nostra pizza salata con mortadella. Infine i bam-bini si sono divertiti nella realizzazione delle loro formine di pane, cotte al forno.

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Le ragazze verso i 14 anni andavano a casa di una persona esperta per impara-re e appena erano pronte, con l’aiuto dei familiari o a rate, si compravano la mac-china e iniziavano a lavorare per conto proprio. Un mestiere che ha una sua storia ed una sua evoluzione, che si può indicare in tre momenti. Gli anni prima e subito dopo la seconda guerra mondiale, gli anni 60 e i tempi moderni. Quando nelle campagne era ancora diffusa la povertà, le magliaie facevano prevalente-mente: mutande lunghe per gli uomini, calze, calzini, maglie da pelle per uomo e donna; inoltre facevano un lavoro di siste-mazione delle maglie rotte, per cui toglie-vano le parti consumate “lise o rotte”, rifacevano i pezzi a macchina poi le rima-gliavano, cioè si riproduceva a mano la stessa trama della macchina e veniva talmente uguale che dopo la stiratura non si conosceva più niente. Le maglie da pelle delle donne avevano una base sotto, poi all’altezza della vita cambiava il punto, un dritto e un rovescio “il cannatè” e gli sbecchi attorno al collo, con prevalente scollatura a V. Si usava lana cardata in genere Tre B e Rossi, perché la lana di pecora per fare i calzini da lavoro, quella più grossa, le donne la lavoravano a ma-no coi ferri. Le famiglie benestanti com-missionavano alle magliaie il corredo per gli sposi. Ognuno richiedeva cose proprie, ma in genere il corredo era composto da: maglia da pelle a maniche lunghe, a mani-che corte, canottiere, mutande lunghe per uomo, maglie da pelle, sottoveste da donna, calze e calzini; qualcuno inseriva nel corredo anche la vestaglia da camera in lana. Le mutande di lana da uomo venivano foderate con la “silesia” nel cavallo. Per le donne le sottovesti si facevano così: 4 teli, “ il cannatè”, il sopra o con gli sbecchi e scollatura a V, oppure con cerchietti aperti “buchi” nei quali si infilava uno stra-le di seta che finiva davanti con un nastri-no; a volte la scollatura era anche tonda. Verso gli anni 1956-58 diverse magliaie hanno iniziato a lavorare per i grossisti e “i magazzini” ai quali consegnavano o i

pezzi semilavorati (in questo caso le ma-glie venivano date ad altre persone per la cucitura), oppure i prodotti finiti, stirati, solo da imbustare. Era una fatica perché dovevano anche occuparsi della conse-gna del materiale e del ritiro della lana. Poiché molte non avevano la patente o l’automobile, nel giorno stabilito, andava-no in treno poi a piedi a consegnare le maglie; non si poteva sgarrare bisognava eseguire nel tempo fissato il lavoro ordi-nato. Nello stesso giorno tornavano a casa con le borse piene di lana. Negli anni ‘964/’965 c’è stata una crisi di settore con la conseguenza che molte magliaie hanno smesso di lavorare per i magazzini. O hanno continuato a lavorare per i clienti piccoli, oppure hanno cercato altre occupazioni. Quelle più brave e con estro si sono messe “in proprio” sono diventate imprenditrici con dipendenti. Preparavano entro l’estate “un campio-nario” e poi andavano a farlo vedere ai negozi i quali sceglievano i capi, e faceva-no le ordinazioni. Ancora oggi, anche se le macchine si sono modernizzate, è una occupazione che richiede abnegazione perché pur avendo richieste tutto l’anno, il grosso del lavoro è concentrato in po-chi mesi: da settembre a Natale. Strumenti di lavoro sono: la macchina di vari tipi, del 12 e del 10 per lane sottili, dell’8 per lane un po’ più grosse, del 5 per lane grosse, del 3 per lane molto grosse; quest’ultima era poco diffusa perché il tipo di lana era più adat-ta da lavorare ai ferri, e molte donne lo sapevano fare; la roccatrice o macchina che avvolge la lana nei rocchetti; la cuci-trice usata solo da qualcuna perché di solito le maglie si cuciono a mano. Cia-scuna magliaia non aveva tutte le macchi-ne, ne aveva uno, due o tre al massimo. La macchina delle magliaie è ingombran-te, ha una parte in cui si costruisce la maglia e un ‘altra in cui sono posti i rotoli della lana; ci sono poi due anelli per mez-zo dei quali si passa la cera sui fili di lana, altrimenti la macchina non li prende; ci sono inoltre elementi in ferro entro cui passa il filo di lana per la lavorazione; ci

I mestieri delle donne: le magliaie, “al calziteri” di Luisa Calderoni e Ida Miserocchi

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sono i “pulzoni,” simili ad uncinetti, ma più larghi, coi quali si raccolgono le “maglie”, si fanno le calature, le trecce e altri punti lavorati. Le prime macchine venivano manovrate da un grande manico che comportava fatica, poi si è passati al carrello, quindi al motore, che però andava bene soltanto per le maglie semplici e lisce. Oggi molte magliaie hanno abbandonato il motore, usano molto il carrello, perché fanno belle maglie lavorate. Infatti col passare del tempo, da quando le condizioni econo-miche delle famiglie sono migliorate, si spende di più nell’abbigliamento e vengo-no richieste anche “maglie di sopra” con nuovi filati più belli e più morbidi. Ai modelli semplici e lisci si sono aggiunti modelli più lavorati: trecce, rombi, ricami. Questo è un lavoro artigianale in cui si può esprimere fantasia, creatività e an-che ricavarne un discreto guadagno. Inoltre è un’attività che si concilia bene con gli impegni casalinghi della maggior parte delle donne. Ci piace ricordare le magliaie del nostro paesino, “al calziteri ad San Pancrazi” Adriana ad Farabigul, Lina ad Gigiò , Dalci-sa ad Medeo, Marianna ad Mot, Adriana d’la Sintena, Teresina ad Mercati, Claudia ad Misarè, Elena de Spazè, Lena ad Tam-burì, Linda ad Pasqual, Marta ad Ciavar-los, Imelde ad Baldoni, Bianca ad Bertac-cini, Tina Ghinassi, Silvana dl’ Anna Ve-strucci, Tiziana ad Paolini, Laura ad Pun-tel, Iris ad Negrini, Guadagni Maria “Maria ad Pistola”, Patergnani Dulinda ad Biasulena, Albertina d’ Frascò, Guerrini Amelia. Ringraziamo per la preziosa collaborazio-ne: Linda Giorgetti di S. Pancrazio, Anna e Roberta Buda di Cesena. Nota: questa è una ricerca fatta da noi, sicuramente ha dei limiti, se abbiamo dimenticato qualcuno o inserito persone che non facevano le magliaie vi preghia-mo di segnalarlo, nel prossimo numero faremo le necessarie rettifiche.

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In quegli anni a S. Pancrazio non c’erano fortunatamente bambini analfabeti o che abbandonavano presto la scuola dell’ob- bligo (allora solo le Elementari), molti hanno frequentato anche “l’Avviamento” o la Scuola Media a Russi. La nostra ma-estra delle elementari, con grande com-petenza e pazienza ci ha portato dalla prima alla quarta, poi in quinta abbiamo avuto un altro maestro. Molti di noi, hanno fatto la Comunione e la Cresima, dopo aver partecipato ad un corso regolare di catechismo, che allora, come adesso, veniva svolto da ragazze della Parrocchia. Alcuni dei nostri genitori non frequentavano gli ambienti cattolici, altri si definivano atei, ma quasi tutti non hanno ostacolato i loro figli per ricevere i Sacramenti. Era la prima festa importan-te della nostra vita, bella, sentita e parte-cipata. Si facevano i due Sacramenti lo stesso giorno. Al mattino durante la Mes-sa delle nove, c’era la Prima Comunione e dovevamo essere rigorosamente a di-giuno dalla sera prima. Poi tutti in fila andavamo all’Asilo a fare “colazione“, affamati, e trovavamo pronto uno spun-tino delizioso: cioccolata in tazza calda

(Continua da pagina 1) buonissima e biscotti. Finita la colazione, si tornava in Chiesa per la Cresima. Mes-sa solenne col Vescovo e ognuno di noi aveva il padrino o la madrina. Qualcuno, sicuramente ateo o miscre-dente per farci paura diceva che la Cresi-ma consisteva nel fatto che il Vescovo piantava un chiodo nella fronte di ogni bambino. A quel tempo i bambini e le bambine non avevano, come adesso, lo stesso vestito e ognuno poteva scegliere un vestito da cerimonia a piacere. I genitori e i nonni facevano da gara a chi acquistava l’abito più bello per farlo poi indossare al figlio o alla figlia; questa diversità era occasione per aprire confronti e discussioni fra i parenti, ma anche una sana competizio-ne fra famiglie. Il mio babbo mi ha sem-pre raccontato che aveva iniziato fin dall’ anno prima a mettere in un salvadanaio i soldi per il mio vestito. Era il Vescovo che ci impartiva la Cresi-ma; arrivava con quella macchina nera con le tendine, vestito con quegli abiti sontuosi e quel berretto alto a punta, creando una immagine che è rimasta nella memoria. Per noi bambini era un giorno di grandi emozioni positive, tutti i

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bambini festeggiavano in maniera diversa ma era una festa semplice vissuta come occasione per condividere vere relazioni amicali e parentali. Finita la cerimonia, si tornava a casa un po’ stanchi perché allora come adesso i bambini la notte precedente faticavano a dormire; ci si svegliava spesso per il timo-re di non essere pronti e in orario per andare in Chiesa. A mezzogiorno, la festa continuava a casa; non si andava al ristorante, si face-va il pranzo in famiglia, un po’ come per i matrimoni. Cappelletti in brodo, lesso di carni assortite, arrosto misto, patate al forno, zuppa inglese e torta. Attorno ad una bella tavola imbandita sedevano i festeggiati, i genitori, il padrino o la madri-na, i nonni e gli zii, i cugini. Mamme, non-ne e zie avevano lavorato per diversi gior-ni per preparare il mangiare, comincian-do dalla scelta degli animali allevati, alla loro cottura, per fare i cappelletti; non c’erano frigoriferi e congelatori e quindi tutto veniva preparato la sera prima e al mattino presto dello stesso giorno. Anche loro erano stanche ma felici.

Ricordi del giorno della Comunione e della Cresima di Luisa Calderoni

I bambini che hanno fatto Cresima e Comunione nel 1955

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In questa occasione erano presenti i mezzi che hanno fatto la storia del kart in Italia. Tra questi kart della prima ora c’era anche quello realizzato da Franco Berlati e Corrado Tamburini nel lontano 1959: un telaio fatto in casa con moto-re Rumi bicilindrico orizzontale da 125 cc. Come poi vedremo, il primo telaio venne costruito a San Pancrazio nel 1957, ragion per cui è ancor più stupe-facente che dei nostri compaesani sia-no stati i primi, o fra i primi in Italia, a costruire un kart quasi contemporanea-mente agli americani. Questa quasi coincidenza mi ha sorpre-so, emozionato ed incuriosito allo stes-so tempo; ho perciò chiesto informazio-ni a Franco Berlati, da tutti conosciuto come la Moka. Mi sono fatto racconta-re la sua storia e quella del kart: un’av-ventura, una storia di uomini e motori che ha coinvolto, oltre a lui, tanti prota-gonisti a San Pancrazio, Godo, Russi e Prada, e che ancora oggi continua. Ne propongo una sintesi ai lettori del nostro giornale, sottolineando che non sarebbe esistito questo sport (come altri) se non fossero esistiti innanzitutto gli uomini che gli hanno dato vita. Fin da piccolo - racconta Franco - ho avuto la passione dei motori anche per-ché mio padre ha sempre avuto motoci-clette di tante marche attorno a casa. Ricordo che andavo spesso nell’officina di Attila a vedere come facevano a ripa-rare le motociclette, una passione inizia-ta prima nel mondo della meccanica poi delle gare. Anche i miei fratelli amavano i motori, in particolare mio fratello Ar-siero, lui avrebbe voluto correre con la Gilera ma mio padre non era d’accordo e non si fece niente. Il primo kart l’ho costruito nel 1957. In un giornale lessi che in America era nato il go-kart e dopo aver trovato le misure di base per la costruzione, con Argeo Zama, che aveva l’officina sotto l’argine del fiume, andammo da Balan

(Continua da pagina 1) (l’officina Gatta e Spada) a prendere il ferro che ci serviva. Giulio de’ Sartì (Giulio Turchetti), che faceva il tornitore da Ba-lan, ci diede una mano per lavorare al tornio assali, freni, tamburi. Il motore era un Rumi (era quello della moto di mio padre): lo smontavo quando dovevo alle-narmi per correre in go-kart e poi lo ri-montavo sulla motocicletta. L’allenamento si svolgeva di solito nel cortile della ditta di autotrasporti De An-gelis di Coccolia (RA). La prima gara alla quale ho partecipato fu nel lontano 1960, a Cesenatico. Argeo non potè venire, al suo posto venne Chilì (Triossi Achille, fratello di Egidio, Biés) e il kart lo caricammo sul furgoncino di Farabigul, Silvio Laghi. Arrivammo alle 5 del mattino, eravamo in cento a correre! La verifica eseguita sul kart rilevò che la marmitta era vuota ma troppo lunga ed usciva fuori dalla sagoma del telaio. Occorreva una sega da ferro. Chiesi a Chilì di andare a cercare un meccanico, capirai alle 5 del mattino, di domenica poi! Suona e risuo-na il campanello, alla fine il meccanico apparve: “Io la sega ve la do ma mi lascia-te il portafoglio perché sono sicuro che altrimenti non la vedo più”. Fatto l’accordo con il meccanico, tagliata la marmitta, superato il controllo, iniziaro-no le batterie: alla fine arrivai quarto, non male per un principiante! Ad assistere le corse erano presenti Edvino Scozzoli e due dei fratelli Cicognani (Luzinzét) che mi fecero i complimenti. Incoraggiato dal succes-so disputai altre corse con questo kart in tutte le piste della Romagna e oltre. Ricordo in particola-re quella di Adria (RO), nel marzo del 1962, dove arrivai terzo con un telaio Tecno e un motore Garelli di Travaglini. Presto anche a Russi cominciarono a costruire i primi kart. Corrado Tam-burini era il meccanico animatore di un gruppo di

GO-KART: 50 anni di passione sportiva a San Pancrazio Luciano Minghetti intervista Franco Berlati

appassionati che poi avrebbe fondato la scuderia Totrus Russi. Anch’io cominciai a frequentarli e a correre anche con loro. Nel 1962, nella gara di Misano Adriatico arrivai secondo ma, dopo la squalifica del primo classificato che aveva usato un motore MZ non permesso dal regola-mento, mi venne assegnato il primo po-sto. Ricordo anche quella volta che an-dammo a correre in notturna a Pinarella e non c’era posto per il mio kart sul por-tapacchi dell’auto. Allora Corrado suggerì di trainarlo dietro all’auto con le ruote anteriori sollevate … tanto si pensava che per la strada delle Saline non ci sarebbe stato traffico intenso a quell’ora e, so-prattutto, si sperava di non imbattersi nei carabinieri. Per dirti la passione che ave-vamo! Con la vendita della fornace Montanari ero stato licenziato e avevo trovato lavoro presso la carrozzeria Colonnelli a Russi. Un giorno Corrado mi disse: “E’ venuto Ghinò (Carlo Casali, lavorava da Travaglini a Ravenna nella sede della concessiona-ria FIAT), mi ha detto di dirti che Travagli-ni avrebbe piacere se andassi una sera a Savio, nella sua pista di go-kart a noleg-gio, a vedere perché dopo 2-3 giri i kart si fermano e le candele dei motori fanno il filo … perché la gente non si diverte così”. Allora dissi con Corrado “Dai andiamoci, a dare un’occhiata …”. Dopo qualche esi-tazione andammo; erano tutti kart nuovi, telai della ditta Tecno di diversi modelli

Franco Berlati, campione emiliano-tosco-marchigiano corse per la Totrus Russi nella gara di Misano Adriatico nel 1962

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che montavano dei motori Garelli; non trovammo niente che non andasse, non c’era ragione per cui ci fossero quei pro-blemi, in fondo era tutta roba nuova! Il giorno dopo, verso sera, vidi arrivare da Colonnelli Paolo d’Ghinò (Paolo Casali). “Vuoi andare a lavorare per Travaglini nella pista dei go-kart di Savio?”, mi chie-de. “Ci vado”, risposi io, “ma vorrei essere in regola”. “Non preoccuparti, d’estate stai nella pista come meccanico e d’inverno lavori alla FIAT”. Ho lavorato a Savio per tre anni. Andavo col camionci-no, un Balilla, a prendere la benzina a Savio mentre l’olio per il motore proveni-va dall’officina della FIAT. Chiesi il permes-so di sperimentare delle soluzioni per risolvere il problema dei motori. Permes-so accordato. Qualcosa nella mia mente mi diceva che era colpa della miscela perciò una mattina andai al distributore del Savio e tornai alla pista con la miscela già pronta per i kart. Nel pomeriggio arrivarono per prime due ragazze del campeggio lì vicino e, nono-stante non fosse ancora orario di apertu-ra, le feci girare in pista con la nuova miscela: avevo trovato la soluzione! Quel-la sera, come d’abitudine, arrivò parec-chia gente. Ne veniva tanta perché la pista del Savio era più corta di quella di Milano Marittima e la gente si divertiva di più perché poteva effettuare i sorpassi più frequentemente. Arrivò anche Trava-glini e con sua grande sorpresa notò che i kart non si fermavano più. Per ricono-scenza, mi regalò una Topolino e mi siste-mò un locale dietro casa sua a Savio dove poter vivere con la famiglia d’estate. Travaglini era anche uno sportivo appas-sionato delle Mille Miglia. Avendo saputo che correvo in go-kart mi chiede di conti-nuare a farlo. Mi procurò un motore Ko-met, che era a quel tempo molto veloce, il tesserino, e, di domenica, andavo a corre-re per lui con una nuova scuderia deno-minata “Savio kart” che era composta da una persona sola, cioè me stesso. Quando mio fratello aprì l’officina, smisi di lavorare per Travaglini e di conseguenza smisi di correre per la Savio Kart impe-gnandomi esclusivamente per la scuderia di Russi, la Totrus Kart, che correva con due motori Bultaco guidati a turno da Romano Turchetti (Galli), Frattini Ercole e Bruno Zannoni (Nino d’Ziti), piloti velocis-

simi sempre in evidenza nelle gare. A me diedero il primo telaio costruito da Corrado Tamburini e vi montai sopra il mio Rumi. Poi costruimmo un altro telaio con motore Rumi e avemmo da quel mo-mento due Bultaco e due Rumi per fare le gare. Ovviamente i Bultaco andavano più veloci dei Rumi e, tra di noi piloti, Erco-le era il più veloce. A me non l’hanno mai fatto provare il kart con il Bultaco. Soltan-to una volta, durante la messa a punto della carburazione da parte di un tecnico della Dell’Orto nel parcheggio dell’aero-porto di Bologna, sotto un diluvio univer-sale, Ercole, bagnato fradicio, mi chiese di prendere il suo posto alla guida del Bulta-co. Quella fu la prima ed ultima volta. La Totrus Mangimi ci pagava l’iscrizione alle gare, i calzoni, la maglia, tutte le spe-se inerenti la preparazione delle gare. Ghetti, il camionista della ditta, caricava tutti i kart e ci portava alle corse: a Seni-gallia, a Bologna, ovunque. Corrado era il meccanico della scuderia russiana ed aveva la rappresentanza della ditta Rumi. Sapeva che c’erano dei Rumi preparati da corsa che andavano veloci come altri motori. Un giorno telefonò alla ditta Rumi per ottenere i componenti da competizio-ne per questo motore. Al rifiuto da parte della ditta di concedere questi componen-ti speciali, Corrado li mandò a quel paese in modo talmente brutale che la ditta gli tolse la rappresentanza. Averlo conosciuto Corrado! Quando lavo-rava attorno al motore, gelosissimo

com’era dei suoi segreti, non voleva nes-suno in officina e se per caso entrava un cliente, che voleva, che so, cambiare l’olio all’auto, si metteva a gridare “Puta-naaaa….! Fuoriiiii … !”, cacciandolo via. Uno dei maggiori problemi era il grippag-gio facile dei motori. La soluzione (che ciascuno custodiva gelosamente) consi-steva nel trovare la giusta miscelazione fra benzina e olio: molti credevano di es-sere più veloci usando la benzina super, che offriva un numero superiore di ottani; il problema però era quello di trovare la giusta percentuale di olio. Noi seguimmo il suggerimento dei tecnici della Bultaco che consigliavano benzina normale con olio al 4 per cento. Negli anni fra la costituzione della FIK (Federazione Italiana Karting) avvenuta nel maggio del 1961 e la costituzione, nel 1964, delle prime associazioni di catego-ria dei costruttori, dei piloti e delle piste, vennero introdotte le prime regolamenta-zioni, la prima delle quali riguardò il telaio: soltanto i telai omologati, prodotti dalle ditte specializzate, potevano partecipare alle gare. A quel punto era finita l’epopea pionieristica del fai da te, del telaio fatto in casa, dell’emozione che questo creava: un telaio acquistato già fatto non dava la stessa emozione di un telaio costruito da solo. Servivano anche più quattrini per comprarlo e ci passò la voglia di correre. Ma, come vedremo nella prossima punta-ta, la storia non finisce così.

Franco Berlati (a destra in seconda fila, col kart n.100) in corsa a Cesenatico nel 1960 con il primo kart costruito assieme ad Argeo Zama

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La quota associativa è di € 15,00 fino a 65 anni e di € 12,00 oltre i 65 anni.

Si versa la quota utilizzando il bollettino di C/C postale intestato a “La Grama” C/C N.11939485 oppure in contanti presso

gli sportelli del Credito Cooperativo della Provincia di Ravenna e della Cassa di Risparmio di Ravenna.

Associazione culturale La Grama

Indirizzo postale: c/o Museo della vita contadina

Via XVII Novembre 2 A 48026 San Pancrazio (RA)

Tel 0544 535033 E-mail: [email protected]

Museo della vita contadina in Romagna

Tel 0544 552172 E-mail: [email protected]

Apertura museo su prenotazione

telefonando allo 0544 535033 oppure al 349 7881929

Ingresso gratuito

Servizi: bagno handicap, ascensore, biblioteca, sala di proiezione

Antiche ricette di cucina “I sapori della caccia” “I sapori della campagna” “Racconti paesani” vol. 1 - Il Grano e il pane vol. 2 - Una vita fra la canapa vol. 3 - Tessitura che passione! vol. 4 - Una vita fra i bigatti vol. 5 - Una fèta d’furmaj Documentari in DVD Testimonianze dal Museo Il grano e il pane: ieri e oggi Una vita fra la canapa Latte e formaggio Il maiale, l’amico dell’uomo Una vita fra i bigatti Altre pubblicazioni: Romagna mia. Cofanetto 6 DVD. Autobiografia de “La Grama”. Monografie del Museo. Cartoline con annullo filatelico. “Incontro letterario”, CD audio. Granoturco e polenta in Romagna, di G. Pozzetto. Storia del pane a Ravenna, di U. Foschi. I misteri dei musei: 1) Ombre arca-ne; 2) Il fuoco segreto; 3) L’ultimo custode. Manuale di conservazione e restau-ro del legno e del ferro. Manufatti tessili prodotti nel nostro laboratorio di tessitura. Le pubblicazioni sono disponibili presso il Museo o prenotabili via e-mail.

Pillole del passato (archivio fotografico di Dino Lumachi)

Fra i personaggi caratteristici della San Pancrazio del ‘900 ricordiamo, fra i tanti, Armanino Lumachi, classe 1910, il quale, dopo aver terminato gli studi presso la Scuola Tecnica (Avviamento) di Russi, iniziò l’attività di sarto a fianco del padre Domenico, classe 1873. Con il calesse trainato dal cavallo si recavano a casa dei contadini che avevano chiesto l’intervento del sarto. Caricavano gli arnesi da lavoro, com-presa la macchina da cucire Singer a manovella, e verso le 6 del mattino partivano. Passavano a prendere Du-rana (Minghetti Costante) che lavora-va con loro e, a quel tempo, abitava vicino al fiume: svegliarlo era problema

Austerity 1974

Bambini con i pattini a rotelle e adulti sui trampoli in una tranquilla domenica senza auto, in centro a San Pancrazio. Si riconoscono: in alto a sinistra, Fran-co Grilli; in alto a destra, Benito Bubani; in basso a destra Dino Lumachi.

non da poco dato che spesso aveva bevuto a lungo la sera prima! All’età di 24 anni, nel 1934, Domeni-co, con notevoli sacrifici, mandò il figlio Armanino a frequentare la pre-stigiosa Scuola Moderna Internazio-nale di Torino. Tornò dopo quasi un anno con l’attestato di sarto per il vestiario maschile e una votazione di 96 su 100. Successivamente aprì il laboratorio d i sar tor ia in una s tanza dell’abitazione di via Randi dove - il figlio Dino ricorda - conservava i mo-delli della maggior parte degli anziani del paese, aggiornandoli quando i clienti tornavano ingrassati o, con l’età, più bassi di statura.

Una famiglia di sarti