Bollettino Gennaio Febbraio 2016 - Parrocchia di Loreto (Bg)

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Autorizzazione con decreto del Tribunale di Bergamo nr. 1 del 15 gennaio 2013Anno IV, nr. 1 gennaio/febbraio - Direttore Responsabile: Dott.ssa Susanna Pesenti

Stampato presso Grafica Monti snc, 24126 Bergamo

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3EDITORIALEAutorizzazione con decreto del Tribunale di Bergamo nr. 1 del 15 gennaio 2013

Anno IV, nr. 1 gennaio/febbraio - Direttore Responsabile: Dott.ssa Susanna PesentiStampato presso Grafica Monti snc, 24126 Bergamo

L’apertura della porta santa nella cattedrale di Banqui, nella repubblica Centroafricana, ha il grande valore di essere stato il primo “SEGNO” forte dell’anno giubilare della misericordia. Questa nazione africana rappresenta egregiamente le periferie del mondo, dimenticata dalle attenzioni dei paesi che contano e terra segnata da divisioni di ogni tipo e quindi luogo in cui si comprende con maggior forza quanto...

LA MISERICORDIA FA FIORIRE LA VITAE questo è lo slogan scelto per ce-lebrare la “giornata della vita” il prossimo 7 febbraio. Quest’anno la parola “Misericordia” sarà la più pronunciata nelle celebrazio-ni e nei vari cammini di fede in atto e verrà presentata come stile di vita da adottare in ogni situa-zione soprattutto quelle più diffi-cili e conflittuali. Nel crocus o nel bucaneve che ha in sé la forza di vincere la barriera della neve e il gelo dell’inverno e mostra tutta la sua bellezza e vitalità nello sboc-ciare, ho trovato l’immagine (...più appropriata a questa stagione) che ci aiuti a capire cosa sia vera-mente la misericordia. La miseri-cordia è la forza che è contenuta in ogni seme che genera vita, in ogni scelta che apre al futuro, in ogni parola che infonde speranza, in ogni gesto che esprime amore e, per usare un’immagine evan-gelica, ogni segno che annun-ci qualcosa del regno di Dio... è tutto quanto fa fiorire la vita! Il manto di neve che copre tutto e occulta quello che copre, può rappresentare tutte quelle situa-zioni umane che ci bloccano, che

ci irrigidiscono e che ci chiudono in noi stessi. In quelle situazioni potremmo restare anche tranquil-li, senza fastidi... ma anche senza vita. Se vogliamo ricuperare vita bisogna avere la forza del fiore che sfida la coltre di neve ed esce allo scoperto. Mi permetto di indi-care due consigli perché possia-mo far fiorire la vita in noi:1. “Non guardare tanto indietro ma avanti”. Il guardare indietro è una delle tentazioni più forti che prende l’animo umano sia nel bene ma soprattutto nel male. Quanta fatica facciamo a trasformare er-rori, esperienze negative, insuc-cessi in opportunità per crescere. Quanti rimpianti inutili per quello che non si è fatto, quante parole dette e non chiarite che sono state causa di divisione, quanti conflitti che perdurano solo perché si è fer-mi al passato. La misericordia è la forza di interrompere con questo tipo di passato e credere che un futuro nuovo non solo è possibile ma è la maniera per far rifiorire la vita che c’è in noi. Il papa a Banqui conoscendo bene i loro drammi ha incorag-

giato la popolazione ad “essere da oggi artigiani del perdono, specialisti della riconciliazione, esperti di misericordia”.2. “Non guardare solo al male ma vedere soprattutto il bene”. Vale per tutti ma in particolare per i credenti cristiani perché è evangelico l’annuncio che il bene è più grande del male, ma bisogna saperlo vedere. Il male fa tanto rumore ma poca luce, il bene al contrario non fa molto ru-more ma illumina. Madre Teresa di Calcutta a chi la intervistava e chiedeva un suo parere sulle tan-te storie negative del mondo ri-spose: “Finché gridiamo “È buio! È Buio! La luce non si accen-de. Occorre mandare segnali di luce”. E quante persone attorno a noi sono fari che illuminano la nostra vita e permettono al mon-do di perseguire il fine per cui è stato voluto dal Creatore. Ci auguriamo che questo anno giubilare sia davvero un’occasio-ne perché ognuno sperimenti l’e-nergia positiva che scaturisce da ogni gesto di misericordia.

Don Mario

cariamici...

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4 Comunità di Loreto

CENTRO DI AIUTO ALLA VITA: PROGETTO GEMMA

Carissimi amici e benefattori di Loreto,siamo all’inizio di un nuovo anno e ancora una

volta, la quattordicesima, manteniamo questo im-portante appuntamento fisso per entrare in punta di piedi nelle vostre case, per farvi partecipi delle nostre esperienze più importanti. Sono tanti i mes-saggi che vi arrivano sia per posta sia via mail, vien voglia di non leggerli nemmeno, ma questa è la no-stra e la vostra associazione, quella che voi avete scelto per sostenerla.Nel pormi a scrivere questa lettera che vuole essere d’informazione, ma anche di riflessione, non posso non soffermarmi sul momento storico difficile che la società e l’Europa tutta sta vivendo. In modo par-ticolare la migrazione di popoli che scappano dalle guerre e dalle persecuzioni; intere popolazioni che si spostano in cerca di un lavoro, di una casa, di una vita dignitosa senza la paura di essere sottomessi, violentati e trattati senza rispetto umano. A questo evento si aggiunge la precaria situazione economica del nostro paese. Considerato il crescente bisogno, siamo sempre più motivate a svolgere il nostro ser-vizio alla vita nascente, con grande entusiasmo e disponibilità. Come ogni anno, vorrei farvi partecipi del nostro servizio giornaliero a favore delle mamme in diffi-coltà, raccontarvi alcune storie di vita testimoniate dalle persone che le hanno, loro malgrado, vissute.

In particolare vogliamo soffermarci sul PROGETTO GEMMA, un progetto di aiuto economico, che ha salvato tanti bambini aiutando economicamente le mamme sole o le famiglie. Chi l’ha ideato l’ha vo-luto chiamare così per ricordare e valorizzare quella piccola gemma preziosa che è una vita nel grembo materno. È un progetto che ha stimolato anche le istituzioni, in particolare la Regione Lombardia, i re-sponsabili hanno ammirato questo progetto e hanno istituito il PROGETTO NASKO che ha le stesse ca-ratteristiche: l’aiuto a una mamma per scegliere in serenità di accogliere un figlio. Il Progetto Gemma è un’adozione a distanza di una mamma incinta al terzo mese. Un aiuto economico che prosegue fino al primo anno di vita del bambino. Accanto a questo prezioso aiuto per altro offerto da benefattori che si offrono come adottanti, le mamme possono anche beneficiare dell’aiuto del Centro che si occuperà di fornire tutto ciò che serve al bambino, corredino, e oggettistica adeguata ma non solo, anche di accom-pagnarle amichevolmente offrendo loro condivisio-ne, sostegno psicologico e morale e tanta amicizia. Le mamme che hanno beneficiato del Progetto Gem-ma nell’anno 2014 sono 36, e nel 2015 sono 39.Siamo felici di comunicarvi che da Gennaio a Otto-bre 2015 sono nati 186 bambini e stiamo seguendo 332 gestanti e 210 madri.Carissimi amici, abbiamo bisogno del vostro aiuto, dove andrebbe il Centro senza tanti amici sosteni-tori che regolarmente si ricordano delle difficoltà quotidiane che affliggono moltissime donne, tanto da farle sentire dubbiose sulla prosecuzione della loro gravidanza?Vi aspettiamo al Centro e se avete un po’ di tempo a disposizione, saremo felice di accogliervi a condi-videre questa nostra magnifica avventura al servizio della vita nascente.Grazie di cuore per tutto ciò che avete fatto e che farete.

ANNA RAVA DAINI

LA MISERICORDIA FA FIORIRE LA VITA

DOMENICA 7 FEBBRAIO la nostra Comunità ce-lebra la Giornata della Vita. Quanto verrà raccolto durante le Messe e dalla vendita dei fiori sarà interamente devoluto al Centro Aiuto alla Vita di Bergamo.

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5ANNO PASTORALE 2015/2016

Vi proponiamo una testimonianza autentica di una mamma che ha beneficiato di questo ProgettoQuando sono entrata per la prima volta, al centro di aiuto alla vita non sapevo bene di cosa si trattasse. La conoscente di un’amica c’era stata e mi aveva consigliato di passare. Avevo saputo da circa due settimane di aspettare un bimbo e che il padre della creatura sembrava deciso a farmi abortire. Ero con-fusa, molto agitata e triste e tante altre cose perché non ero pronta ad accettare questa situazione e pen-savo di rinunciare a quella vita dentro di me, anche se questa cosa mi avrebbe distrutto. I miei genitori non avrebbero accettato questa situazione e così in parte lo è anche adesso. Ciò è dovuto al fatto che non è frutto di un’unione matrimoniale. La prima volta che sono entrata al Centro mi è subito venuta incon-tro Carmen; mi ricordo bene perché era così strano trovare tanta dolcezza mentre io pensavo di poter essere giudicata piuttosto male. Nella mia condizio-ne non sapevo proprio cosa fare ma dopo poco mi parlò del Progetto Gemma. Il nome lo ricordo perché suonava bene, mi disse che avrei potuto ricevere un aiuto economico e materiale per far nascere il bimbo e crescerlo tranquilla fino a un anno e mezzo. Devo dire che ero ancora confusa ma l’idea di non molla-re cresceva di giorno in giorno. Mi ricordo che quasi tutte le settimane vedevo Carmen al Centro e le rac-contavo come andavano le cose. È stato l’aiuto più

importante e più bello in quel momento. La pancia cresceva ma Carmen mi dava sicurezza, anche per il giorno del parto era disponibile ad accompagnarmi. Il lavoro l’ho perso al sesto mese di gravidanza e non mi hanno più ripreso con delle banali motivazioni, ma sono davvero fortunata! Alla fine è andato tut-to bene. È nato il mio bimbo e l’ho chiamato Andrea. Ho trovato da poco un lavoro che mi dà la possibili-tà di stare con il bimbo e di mantenerlo, ho l’aiuto del Centro che ogni mese contribuisce a farci vive-re tranquilli. Non so cosa dirò a mio figlio quando mi chiederà di suo padre, ma di sicuro gli dirò che ha una zia stupenda, la zia Carmen che appena può ci regala un gioco, un vestito e se abbiamo bisogno lei c’è davvero!

LA MISERICORDIA FA FIORIRE LA VITA

Non sempre è facile accettare una vita....È bene conoscere anche la sofferenza che provano le donne che per motivi di vita non riescono ad acco-gliere il figlio e anche in questo caso al Centro siamo vicino a loro e offriamo vicinanza e se serve anche consulti psicologici e incontri di amicizia perché sap-piamo il dolore che provoca questa drammatica deci-sione. Al Centro pensiamo e facciamo in modo che le donne non siano mai lasciate sole di fronte ad una de-cisione che può cambiare la loro vita. Con Emanuela abbiamo avuto uno scambio di mail: lei si era accorta di essere incinta e non voleva il figlio ma era scon-volta e combattuta da questa decisione. Le abbiamo offerto ascolto, amicizia, comprensione e solidarietà. Dopo qualche tempo riceviamo una mail indirizzata all’operatrice che l’ha seguita, e riportiamo solo alcu-ni brani: “cara, ci siamo incontrate una sola volta e ci siamo scambiate una lunghissima telefonata voglio esprimerti tutta la mia stima per la persona che sei e per il “lavoro” che fai. Il mio bambino è morto per sempre e con lui in quella fredda e sterile sala opera-toria è morta una parte di me, quella più bella fatta di speranza, sogni e aspettative per il futuro. Non trovo le parole per descriverti il senso di paura, abbandono e solitudine che ho provato in quelle poche ore, ma

non ho trovato la forza, il coraggio e la determinazio-ne per farcela da sola a tenere il mio bambino. Sto già crescendo una figlia da sola, sono triste e fragile non ho più fiducia nella vita né negli uomini. Quante donne sole in quella sala di aspetto, quante donne accompagnate da amiche come me o dalla loro mam-ma... Quanta paura in quegli occhi, quanta vergogna, quanto desiderio di scappare e non tornare più... nel mio cuore vivrà per sempre la sua immagine, che ho conosciuto dall’ecografia fatta una settimana prima, ogni giorno della mia vita. Possa la mia coscienza e Dio perdonarmi per quello che ho fatto e se non resti-tuirmi la felicità almeno la voglia di vivere. Grazie e per quello che ti è possibile cerca di salvare più vite che puoi... è la cosa più bella che si possa fare, forse è questo il senso della vita: mettere la propria vita al servizio degli altri”.

L’ANGELUS DELLA VITA DI PAPA FRANCESCO: Ognuno nel pro-prio ruolo e nel proprio ambito, si senta chiamato ad amare e servire la vita, ad accoglierla, rispettarla e promuoverla specialmente quando è fragile e bisognosa di attenzioni e di cure, dal grembo materno fino alla fine su questa terra.

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6 Comunità di Loreto

Messaggio per la 38a Giornata Nazionale per la vita - 7 febbraio 2016

LA MISERICORDIA FA FIORIRE LA VITA“Siamo noi il sogno di Dio che, da vero innamorato, vuole cambiare la nostra vita”. Con queste parole Papa Fran-cesco invitava a spalancare il cuore alla tenerezza del Padre, “che nella sua grande misericordia ci ha rigenerati” (1Pt 1,3) e ha fatto fiorire la nostra vita.

LA VITA È CAMBIAMENTOL’Anno Santo della misericordia ci sollecita a un profon-do cambiamento. Bisogna togliere “via il lievito vecchio, per essere pasta nuova” (1Cor 5,7), bisogna abbandona-re stili di vita sterili, come gli stili ingessati dei farisei. La misericordia, invero, cambia lo sguardo, allarga il cuore e trasforma la vita in dono: si realizza così il sogno di Dio.

LA VITA È CRESCITAUna vera crescita in umanità avviene innanzitutto gra-zie all’amore materno e paterno: “la buona educazione familiare è la colonna vertebrale dell’umanesimo”. Ogni figlio che viene al mondo è volto del “Signore amante della vita” (Sap 11,26), dono per i suoi geni-tori e per la società; ogni vita non accolta impoverisce il nostro tessuto sociale. Ce lo ricordava Papa Benedetto XVI: “Lo sterminio di milioni di bambini non nati, in nome della lotta alla povertà, costituisce in realtà l’e-liminazione dei più poveri tra gli esseri umani”. Il nostro Paese, in particolare, continua a soffrire un preoccupante calo demogra-fico, che in buona parte scaturi-sce da una carenza di autentiche politiche familiari. Mentre si conti-nuano a investire notevoli energie a favore di piccoli gruppi di persone, non sembra che ci sia lo stesso impegno per milioni di famiglie che, a volte sopravvivendo alla precarietà lavorativa, continuano ad offrire una stra-ordinaria cura dei piccoli e degli anziani. “Una società cresce forte, cresce buona, cresce bella e cresce sana se si edifica sulla base della famiglia”. È la cura dell’altro - nella famiglia come nella scuola - che offre un orizzonte di senso alla vita e fa crescere una società pienamente umana.

LA VITA È DIALOGOI credenti in ogni luogo sono chiamati a farsi diffusori di vita “costruendo ponti”5 di dialogo, capaci di trasmet-tere la potenza del Vangelo, guarire la paura di donarsi, generare la “cultura dell’incontro”. Le nostre comunità parrocchiali e le nostre associazioni sanno bene che “la Chiesa deve venire a dialogo col mondo in cui si trova a vivere”. Siamo chiamati ad assumere lo stile di Em-maus: è il vangelo della misericordia che ce lo chiede (cfr. Lc 24,13-35). Gesù si mette accanto, anche quan-do l’altro non lo riconosce o è convinto di avere già tutte le risposte. La sua presenza cambia lo sguardo ai due di

Emmaus e fa fiorire la gioia: nei loro occhi si è accesa una luce. Di tale luce fanno esperienza gli sposi che, magari dopo una crisi o un tradimento, scoprono la forza del perdono e riprendono di nuovo ad amare. Ritrovano, così, il sapore pieno delle parole dette durante la cele-brazione del matrimonio: “Padre, hai rivelato un amore sconosciuto ai nostri occhi, un amore disposto a donarsi senza chiedere nulla in cambio”. In questa gratuità del dono fiorisce lo spazio umano più fecondo per far cre-scere le giovani generazioni e per “introdurre - con la famiglia - la fraternità nel mondo”. Il sogno di Dio - fare del mondo una famiglia - diventa metodo quando in essa

si impara a custodire la vita dal concepimento al suo naturale termine e quando la fraternità si irra-

dia dalla famiglia al condominio, ai luoghi di lavoro, alla scuola, agli ospedali, ai

centri di accoglienza, alle istituzioni civili.

LA VITA È MISERICORDIAChiunque si pone al servizio del-la persona umana realizza il so-gno di Dio. Contagiare di miseri-cordia significa aiutare la nostra società a guarire da tutti gli at-

tentati alla vita. L’elenco è impres-sionante: “È attentato alla vita la

piaga dell’aborto. È attentato alla vita lasciar morire i nostri fratelli sui barconi

nel canale di Sicilia. È attentato alla vita la morte sul lavoro perché non si rispettano le

minime condizioni di sicurezza. È attentato alla vita la morte per denutrizione. È attentato alla vita il terrori-smo, la guerra, la violenza; ma anche l’eutanasia. Amare la vita è sempre prendersi cura dell’altro, volere il suo bene, coltivare e rispettare la sua dignità trascendente”. Contagiare di misericordia significa affermare - con papa Francesco - che è la misericordia il nuovo nome della pace. La misericordia farà fiorire la vita: quella dei mi-granti respinti sui barconi o ai confini dell’Europa, la vita dei bimbi costretti a fare i soldati, la vita delle persone anziane escluse dal focolare domestico e abbandonate negli ospizi, la vita di chi viene sfruttato da padroni sen-za scrupoli, la vita di chi non vede riconosciuto il suo diritto a nascere. Contagiare di misericordia significa osare un cambiamento interiore, che si manifesta contro corrente attraverso opere di misericordia. Opere di chi esce da se stesso, annuncia l’esistenza ricca in umanità, abita fiducioso i legami sociali, educa alla vita buona del Vangelo e trasfigura il mondo con il sogno di Dio.

Il Consiglio Permanente della Conferenza Episcopale Italiana

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7ANNO PASTORALE 2015/2016

NON CEDIAMO ALLA PAURAPossiamo definire “guerra” le dolorose notizie che giun-gono da troppe parti del mondo? Papa Francesco in di-versi suoi interventi lo ha già affermato: siamo già dentro la Terza guerra mondiale, che viene però combattuta, a differenza delle precedenti, a pezzi, a capitoli, invece che all’interno di un unico scenario. Non ci sono stati né ultimatum né dichiarazioni ufficiali, come accadeva un tempo nemmeno troppo lontano, ma purtroppo vi sono bombardamenti, lanci di missili, combattimenti a terra, e i morti si contano a migliaia. Da noi il ricordo della guerra va scemando, solo i più anziani ne conservano memoria diretta. Qualcuno allora azzarda un paragone con periodi più recenti, i cosiddetti “anni di piombo”, che in Italia iniziano con la strage di piazza Fontana a Milano nel dicembre del 69 e si spengono nei primi anni 80. Bisogna riconoscere che qualche analogia esiste: molti gruppi terroristici che imperversarono da noi e in altri paesi europei causarono centinaia di morti, spesso colpendo alla cieca vittime innocenti su treni, aerei o all’interno di luoghi di ritrovo; altre formazioni invece mirarono ad obiettivi precisi come giudici, giornalisti, forze dell’ordine, cariche istituzionali. Anche in quegli anni esisteva la paura, perché il terrori-smo possiede queste caratteristiche: agisce come fosse una istituzione riconosciuta senza però esserlo, colpisce al di fuori di ogni regola, non rispetta quei pur minimi dettami imposti dai codici militari. E la risposta delle comunità colpite, di conseguenza, appare spesso inade-guata, perché la civiltà obbliga a non seguire l’istinto, a non sprofondare nella barbarie. Per questi motivi la paura di attacchi terroristici è mag-giore. Perché il nemico non ha una divisa, non si fa riconoscere: il nemico, come ripetono gli organi di in-formazione, è il vicino della porta accanto, e gran parte della sua forza consiste nella sua capacità di mimetiz-zarsi e di occultare le proprie intenzioni. E allora si vive guardandosi attorno con sospetto, perché ogni volto di-verso dal proprio, ogni comportamento, ogni abito, può costituire un indizio. Al giorno d’oggi inoltre esistono almeno altri due enormi moltiplicatori di paura. Uno è la

Rete, o Internet che dir si voglia. Anche negli anni pas-sati durante le guerre i vari regimi utilizzavano giornali, radio e filmati per esaltare le proprie gesta militari e nel contempo deridere quelle nemiche; poi, in tempi più vicini, i gruppi terroristici hanno imparato ad usare co-municati e fotografie facendone importanti strumenti di comunicazione e ricatto. Ma in entrambi i casi si tratta-va di materiale controllato e manipolato da una cerchia relativamente ristretta; oggi la Rete ha invece sconvolto ogni paradigma, sui social network compare di tutto, nessuno è davvero in grado di verificarne l’autenticità ma ognuno può accedervi liberamente.Un secondo amplificatore delle nostre paure deriva dalla struttura “polverizzata” di molti gruppi terroristici, so-prattutto di quelli che si richiamano al fanatismo re-ligioso. In passato esisteva una sorta di “struttura di comando” a livello centrale. Nulla poteva muoversi od essere deciso all’infuori di pochissimi capi, nessuno po-teva azzardarsi a compiere un attentato in piena auto-nomia; e in questo terrorismo e mafia sono molto simili, accomunati dalla ferrea disciplina che vincola i propri aderenti. Ora è molto diverso, esistono strutture note a livello mondiale quasi fossero brand commerciali, ma richiamandosi a questi agiscono gruppi e gruppuscoli slegati dalla gerarchia, a volte improvvisati, o addirittu-ra singoli elementi di colpo convertiti a cercar la “bella morte”. Tra la situazione odierna e gli anni bui della violenza politica deve però esservi un ultimo e decisivo elemen-to di affinità: la convinzione che, ora come allora, non praevalebunt, non prevarranno. Così come quarant’anni fa la compattezza delle istituzioni riuscì ad aver ragione dei terroristi, anche adesso si può sconfiggere il fanati-smo. I feroci attacchi portati in Europa, in Africa e in Oriente hanno rinsaldato la solidarietà dei paesi colpiti, e quest’ultimi ora intensificheranno le tre azioni indi-spensabili per la propria sicurezza. La prima è l’utilizzo delle armi, che dovranno però limitarsi a colpire esclu-sivamente bersagli e infrastrutture militari. La seconda è una pressante strategia diplomatica volta a risolvere le innumerevoli questioni politiche ed economiche tra i vari popoli, cause principali delle guerre La terza è in carico a ciascuno di noi, ed è la più difficile ed impor-tante: educarsi, imparare a non cedere alla paura, pro-seguire la propria vita e le proprie abitudini nel rispetto e nella tolleranza. Si tratta di un impegno lungo e fati-coso, i cui frutti si vedranno dopo generazioni. Abbiamo, in proposito, un esempio sfolgorante che ci illumina e guida: l’immagine tranquilla e sorridente di papa Fran-cesco in mezzo ai fratelli africani senza auto blindate, senza barriere né protezioni, ma forte della propria fidu-cia nel Padre. Perché le porte degli inferi non dovranno mai prevalere.

Roberto Robert

LA MISERICORDIA FA FIORIRE LA VITA

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8 Comunità di Loreto

Il nostro sembra essere il tempo dell’indifferenza. E della superficialità. Ci passa di tutto davanti agli occhi, dalle cose più atroci (tante, troppe) a quelle più luminose (poche in verità). Per le une e per le altre ci emozioniamo un attimo, e poi... Tutto come prima. Siamo come i cerini! Ci bruciamo al volo!Spero che non succeda così anche per il Giubileo della misericordia indetto da Papa Francesco! A leggere i giornali il rischio c’è. Come se ci fosse un patto. Tutti si dilungano su ferite, difficoltà, af-fanni, fatiche... Difficile che si parli di errori, di mancanze, di colpe... O di peccati. Come se le no-stre azioni non dipendessero più da noi, dalle no-stre scelte, ma, solo, dalle situazioni sfavorevoli. Col risultato che non ci sentiamo ‘responsabili’ di quello che facciamo, ma giustificati. Da subito. E che non si parli di pentimenti, penitenza, doveri, regole, comportamenti virtuosi...!Mi resta un dubbio. Ma, se non dipendono da noi, le nostre scelte, cattive o buone che siano, da chi dipendono? Mah!Per fortuna che ci lasciano la misericordia di Dio! Quella, gratuita, calda, tenera e senza misura, che viene da Lui, per iniziativa Sua! Forse ce la lasciano perché una misericordia così ci autorizza, comun-que, a restare passivi. Non chiede nulla ed è con-

solatoria. Ci lascia, senza colpa, accoccolati nelle sue braccia... Ma, è davvero così? Se fosse così, si tratterebbe di una mezza misericordia: dall’alto verso il basso. E perciò di un mezzo Giubileo.Ricordiamo il motto del Giubileo? “Misericordiosi come il Padre”. Vi sembra forse che non si rivolga a noi? Che non ci interpelli? A me non sembra così! A me sembra, invece, che proietti il nostro volto dentro il disegno di Dio. Che ci solleciti a muover-ci. La misericordia ‘ricevuta’ non può non diventare una misericordia ‘donata’, perché la misericordia è un agire virtuoso e circolare: da Dio verso l’uomo, dall’uomo verso Dio e dall’uomo verso l’uomo. Che misericordia sarebbe se restasse cieca, muta, in-gessata? Se non trasformasse il cuore e i comporta-menti di tutti noi? Se non si traducesse in opere, se non incidesse nella vita, nostra e altrui, se restasse lettera morta? È, forse, un talento da seppellire nel campo, la misericordia?A me sembra che la misericordia non sia un quieto vivere (parente stretto dell’indifferenza) e nemme-no buonismo. La misericordia è uno stile di vita attivo, un linguaggio di relazione che permea tut-to il nostro agire. Non esiste una misericordia col ‘braccio corto’! Una misericordia a metà!La farina e l’acqua, senza lievito, possono diventare

ANNO SANTO DELLA MISERICORDIAFarina, acqua, lievito e fuoco

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9ANNO PASTORALE 2015/2016

una buona ‘pasta madre’? Una buona ‘pasta madre’ può diventare pane senza essere mescolata e senza essere messa sul fuoco? Ecco, a me sembra che - come dice il nostro vesco-vo - per ‘essere uomini e donne capaci di misericor-dia’, si debba avere occhi aperti e cuore largo. - Avere occhi e cuore aperti su Dio: sapere cioè di dipendere in tutto e per tutto da Lui. Riconoscere e interpretare i segni della sua presenza e della sua volontà nella nostra storia personale. Stare davan-ti a Lui con l’atteggiamento del pubblicano, senza superbia, sufficienza o, tanto meno, con arroganza. Abbiamo così poco di cui vantarci! E così tanto di cui chiedere perdono!- Avere occhi e cuore aperti sulla nostra interiori-tà. Per preservarla. Quanto è importante oggi saper salvaguardare la coscienza! Integra e retta. Quan-to è importante nutrire il nostro spirito! Coltivarlo. Sviluppare etica e virtù (proprio queste, anche se qualcuno può sorriderne) e camminare in loro com-pagnia!- Avere occhi e cuore aperti verso il prossimo. Avere uno sguardo e un cuore, largo, caldo, benevo-lo, che non giudica, che non si fa gelare dai pregiu-dizi, che si mette in gioco sempre. In una parola: avere com-passione. Nel fondo della memoria di alcuni di noi, con i capelli bianchi, dovrebbero es-serci ancora alcuni attrezzi (forse un po’ arrugginiti, ma tanto utili!). Ricordate le ‘opere’ di misericordia spirituali e corporali? Quanta saggezza tradotta in opere, in gesti: dare a chi è nell’indigenza; es-sere vicini a chi non è in buona salute, a chi ha bisogno di essere consolato, a chi è in difficoltà; perdonare chi ci ferisce; sopportare chi è fastidioso; non disinteressarci di chi non perse-gue il bene... Riprendiamo in mano il Vangelo e cerchiamone il ‘cuore’. Abbiamo sempre tanto da imparare! Il Vangelo non è una coperta da tira-re di qua e di là per coprire i nostri ‘buchi’, ma è l’ordito su cui tessere i fili della nostra vita. È pedagogia per immagini. Ripercorriamone i tanti passi significativi: quello del buon samaritano (ce ne parla anche il ve-scovo nella sua lettera), del padre misericordioso, del buon pastore, della moltiplicazione dei pani, del-le nozze di Cana, della chiamata di Zaccheo (che in fondo voleva solo ‘vedere’, e che invece ha dovuto ‘muoversi’), della donna adultera...

Non ci insegnano in modo concreto, cosa vuol dire essere ‘uomini e donne capaci di misericordia’? Come cambierebbe la qualità della vita se fossimo capaci di assumere questi comportamenti! Sarebbe bello riflettere su tutti questi episodi, uno a uno, ma non è certo possibile farlo in una pa-gina! Sottolineo perciò solo quello che mi sembra un aspetto trasversale: la misericordia è come la pioggia. Cade su tutti. Proprio su tutti, gratuita e sovrabbondante. Ma non fa a meno di noi. Ci ba-gna! Ecco, che siamo chiamati in causa. Il nostro ‘sì’, o ‘no’, fanno la differenza. Gesù chiede sempre la nostra partecipazione. Interpella sempre la no-stra libertà. Pretende che noi saliamo sul sicomoro, dividiamo i pani e i pesci, forniamo l’acqua... Tutto dipende da Dio, ma noi siamo tenuti ad agire come se tutto dipendesse da noi (S. Ignazio).Varcare la porta del Giubileo della Misericordia cre-do voglia dire questo: arrenderci a Dio, tenere gli occhi fissi su di Lui e muovere i nostri passi dietro a Lui. Non vuol dire, di certo, atteggiarci a ‘giudici’ o a ‘maestri’, ma essere semplici ‘testimoni’. Attivi.La misericordia è come il pane. La farina, l’acqua, il lievito, da soli non cambiano natura. Essi diven-tano pasta solo se vengono mescolati, in giuste pro-porzioni, secondo precise regole. E diventano pane solo se vengono messi sul fuoco.

Esse

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10 Comunità di Loreto

GINO FRIGERIOSi verifica spesso che certi ter-mini propri nella fisica si ap-plichino anche all’ambito psi-cologico. È il caso della parola “resilienza” (che è la proprietà di un materiale di assorbire un urto senza rompersi, termine che nei paesi anglofoni viene utilizzato anche per descrivere qualità umane). I ricercatori in-glesi, infatti, considerano “resi-lienza” la capacità di agire bene e in modo costruttivo nonostan-te le avversità; la capacità di dare un significato alla vita, costruire una sintesi di aspetti e valori positivi; trovare, dare e aprirsi ad una nuova speranza, creare ed esprimere idee nuove anche in situazioni sfavorevoli. In questo senso Frigerio è un modello unico ed incomparabi-le di “resilienza”, qualità che ha consentito a chi gli è stato vicino di riconoscere e scopri-re la capacità eroica di saper costruire un modello di ordine e bellezza interiori, di serena

accettazione in una situazione che nessun aggettivo può de-scrivere. La forza di trovare un significa-to alla propria vita, di trasfor-mare l’impotenza, la mancanza degli strumenti elementari di sopravvivenza, il martirio, lo strazio del corpo, addirittura in un sostegno per chi gli è vissu-to accanto, mostrando come si possa comunque anche nelle condizioni più infelici, crudeli e ostili, integrare armonicamente nella propria vita, il quotidiano travaglio con una gioiosa sere-nità. La lettura del volume che si percepisce curato con tanto amore, ci rimanda con vivez-za lo straordinario messaggio l’ammaestramento di un Uomo piegato, ma non piegato: l’an-nuncio che dolore, sofferenza e tormenti del corpo possono essere illuminati da un sorriso, e che, se vissuti con “naturale” accettazione, si possono tra-sformare in qualcosa di “forte”, utile e sopportabile, se superati e accettati nella sublimazione e nell’offerta di una sofferenza e se questa ha le sue radici nel-la Fede e se pena e angoscia possono essere deposte ai piedi dell’Altare di un “Credo” poten-te. Questo, penso, il significato della “resilienza” di Gino Frige-rio dalla quale discende la forza della sopportazione e che gli ha reso accettabile una pena “ai nostri occhi” disumana. Fede che lo ha sorretto, aiutato a non sottrarsi al futuro, ad ab-bracciare il percorso, penoso e

tortuoso del dolore, soprattutto della difficoltà di comunicare e di cantare il suo canto di spe-ranza, una speranza illuminata dall’attesa dell’“Incontro”. Gino Frigerio è una persona atipica, secondo le regole del-la nostra società in corsa verso il nulla spirituale. Una figura che nonostante le limitazioni, non si esclude dalla vita, ma si mantiene in interazione con tutti in ogni istante e a tutti dona il suo insegnamento; che, nella contingenza estrema e do-lorosa, non si lascia sommerge-re dalla disperazione alla quale molti di noi si sarebbero arre-si, ma impronta la sua vita alla Parola e all’Ordine, e procede nella ricerca di una spiritualità superiore. Gino Frigerio sa trasformare

UOMINI CAPACI DI... CARITÀ

Ricorderemo Gino SABATO 13 FEBBRAIO nella Messa delle ore 18.30. Con il ricavato della vendita del libro “Gino Frigerio - Un cuore che vede” offriremo il pellegrinaggio a Lourdes per un ammalato con l’UNITALSI di Bergamo.

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11ANNO PASTORALE 2015/2016

UOMINI CAPACI DI... CARITÀ

il dolore in una sintesi di in-telligenza, volontà, pazienza, sopportazione, simpatia, sen-za recriminazioni né cedimenti verso le proprie imperfezioni, interpretate e vissute come una prova che trova il suo significa-to nella consapevolezza di una Fede immanente. A ciascuno di noi è affidato un ruolo, a Gino Frigerio è toccato la sorte dì mostrare come la sof-ferenza possa diventare fonte di serenità, arricchimento, genero-sità, e finalmente dispensatrice di gioia in interazione continua con chi gli vive accanto.Ho provato ad immaginare que-sta Persona e la sensazione che ne ho tratto - al di là dell’orrore

di una situazione (che è troppo facile definire impossibile, in-giusta, invivibile) è stata di una grande dolcezza: ho percepito il senso di una profonda umanità; che mi ha riproposto, con forza ancora maggiore di quanto già non l’avessi sperimentato di-rettamente, il senso del limite, della nostra “finitezza”. A noi - che siamo alla conti-nua, affannosa rincorsa di uno stato ideale di benessere, sod-disfazione di una vita senza problemi, senza ostacoli, sen-za frustrazioni, senza difetti, ha ricordato che il senso vero della vita lo possiamo trovare inaspettatamente proprio nella limitazione e nel disagio, nel

momento in cui tutto sembra farsi oscuro. In lui e da lui pos-siamo ritrovare le coordinate di una religiosità autentica, corag-giosa soprattutto vincente. Ognuno di noi deve trovare in sé la radice ed il limite della pro-pria “resilienza”. Gino Frigerio, vulnerabile nel corpo, ma invincibile nello spi-rito di Fede che lo sorregge, ci trasmette le norme, i modi, i parametri, le procedure per mi-gliorare noi stessi e influire po-sitivamente sul tessuto sociale. Poi starà a ciascuno dì noi tro-vare la radice e il limite della nostra “personale resilienza”, lui la Sua l’ha trovata.

Emilia Strologo

Chi percorre la via Palazzolo nota una targa mo-derna in marmo bianco che sotto il nome riporta “filantropo”, ma il 19 marzo 1963 Don Palazzolo è stato dichiarato “beato” da Giovanni XXIII. Il papa bergamasco apprezzava nel suo conterraneo il profondo legame vissuto tra la fede e le opere senza le quali la sequela a Cristo diventa una pia intenzione. Le opere del Beato Palazzolo, a dif-ferenza delle buone iniziative dei filantropi, sono nate dalla sua quotidiana scoperta e contempla-zione dell’amore di “Dio Padre Amabile Infinito che si è reso visibile a noi in Cristo”. C’è dunque una bella differenza tra il filantropo ed il santo! La via Palazzolo ha un’altra caratteristica. In genere i nomi delle strade dedicate a personaggi illustri, tuttavia morti, sono approvati dal Consiglio Co-munale. Alla via che era denominata “Vicolo dei genovesi” invece il nome “Palazzolo” è stato dato dagli abitanti della zona Foppa mentre il nostro sacerdote era nel pieno vigore della sua vita ed era riconosciuto da tutti come un uomo straordinario. La delibera del Consiglio Comunale del 1897 è successiva alla morte del Palazzolo avvenuta nel 1886. Occorre ricordare che la Foppa, vicina alla roggia Seriola che scorre anche nel nostro quar-tiere, era anticamente il fossato dei rifiuti e dei

DON LUIGI PALAZZOLO

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12 Comunità di Loreto

UOMINI CAPACI DI... CARITÀ

cadaveri durante le epidemie. Nell’800 accanto alla roggia sorgono le filande e la zona viene abi-tata da gente povera che, abbandonati i campi, si adattava al lavoro manifatturiero. Il lavoro ri-chiedeva anche le prestazioni di donne e bambini per più di 10 ore al giorno. Le conseguenze erano l’alcolismo diffuso, l’analfabetismo, l’abbandono dei figli e dei vecchi ammalati, le condizioni igie-niche precarie, le epidemie. Il quartiere degrada-to tra via S. Bernardino e via Moroni diventa per il Palazzolo il campo della carità, “un’arte” che richiede cuore ed intelligenza attenta alla real-tà. Quando Luigi nel 1850 diventa sacerdote ha già compiuto un lungo allenamento nell’arte della carità, “si è esercitato fin da bambino visitando i tuguri della Foppa ... vi ha incontrato la miseria morale e materiale”. L’animo sensibile del ragaz-zo, temprato dal dolore per la morte del padre e dei fratelli, si rende conto che per vincere quella miseria non basta la cesta di pane portata dal suo servitore. Occorre una strategia radicale, quella di Cristo che “da ricco si è fatto povero”. Così fa Don Luigi, “si avvolge nella coperta dei poveri”, coperta sempre troppo corta. Nella parrocchia di S. Alessandro in Colonna avrebbe potuto condurre una vita tranquilla o indirizzare la sua intelligenza vivace e creativa alla carriera ecclesiastica tan-to più che proveniva da una famiglia ricca e ben inserita nella società. Decide invece di dedicarsi all’oratorio della Foppa spendendovi le sue ener-gie ed il suo patrimonio. “Mio figlio vuole morire spiantato” diceva la madre di fronte alle scelte di Luigi che seguiva alla lettera la proposta di Gesù: vendere tutto e dare ai poveri. Ce n’erano tanti ed il giovane sacerdote era fuori dalle comuni regole di comodo. Il risultato era che più il patrimonio si assottigliava più si ampliava il campo d’azione della carità. Il giovane Luigi vende anche la sua casa quando morirà la madre “per fare famiglia con i poveri”. In questa nuova casa la regola, va-lida ancora oggi, era da lui sintetizzata così: “Io cerco e raccolgo il rifiuto di tutti gli altri, perché dove altri provvede lo fa assai meglio di me, ma dove altri non può giungere cerco di fare qualcosa io, così come posso”. Il “rifiuto” erano i vecchi ammalati ed abbandonati, le operaie minorenni senza una famiglia, dunque a rischio, i bambini “di strada” denutriti ed analfabeti. Ai collabo-ratori ed alle giovani che coinvolgeva era solito dire: “Occorre umiltà e semplicità. L’umiltà to-glie ogni timore ed invita chiunque ha bisogno ad entrare confidente ... la semplicità dà ai po-

veri sicurezza ad aprire il cuore e versare tutte le loro amarezze...”. Non solo umiltà e semplicità ma anche gioia soprattutto nel trasmettere il dono della fede. Don Luigi è un innovatore nel campo dell’insegnamento, al sentimentalismo del libro Cuore allora di moda preferisce un altro metodo: far leva sull’esperienza dei ragazzi e su ciò che è per loro familiare. Per educarli ai valori umani e cristiani, si serviva infatti del Teatro dei burattini, lui stesso era attore ed autore delle scene. “Sape-va maneggiare con tanta arte il suo Gioppino e gli fioccavano dal labbro... le frasi più caratteristiche del dialetto... tanto da farne sbellicare dalle risa quanti lo ascoltavano”. Non erano solo i ragazzi ma anche seri professionisti che da tutta la città venivano all’oratorio della Foppa. Il Vescovo Spe-ranza volle Don Luigi in Seminario con la Barac-ca e il Gioppino (si con-servano ancora oggi); i futuri sacerdoti avevano bisogno di un “aggior-namento”. Lui andava ovunque lo invitassero con l’animo sempre lie-to ma dopo una lunga preghiera e portando il cilicio sotto la veste lo-gora. Don Luigi anticipa anche l’attività moderna del cantautore ma i testi delle canzoni scritte e musicate da lui parlavano ai ragazzi delle verità di fede con un linguaggio semplice: andare a catechismo era partecipare ad una festa. Dall’oratorio alle scuole serali per ra-gazzi ed adulti semianalfabeti e le scuole festive per le operaie il passo è breve. “In quella con-trada poverissima vi era una quantità di fanciul-le... addette agli stabilimenti industriali, buone in fondo ma del tutto prive di educazione, sbriglia-te... esposte ad ogni sorta di pericoli”. Per queste ragazze ribelli (ieri come oggi) non era sufficiente l’oratorio, occorreva una compagnia costante an-che nei luoghi di lavoro, “una cura amorevole”. Ma parlare delle opere del Palazzolo a Bergamo e della loro diffusione in altre città significa de-lineare la personalità di una donna straordinaria: Madre Teresa Gabrieli collaboratrice di Don Pa-lazzolo. Occorre un’altra puntata.

Marcella Lombardo

I testi virgolettati sono tratti dai documenti dell’Ar-chivio delle Suore Palazzoline.

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Magistero di Papa Francesco

Incontro con i rappresentanti del V Convegno Nazionale della Chiesa Italiana

IL NUOVO UMANESIMO IN CRISTO GESÙ

Cari fratelli e sorelle, nella cu-pola di questa bellissima Catte-drale è rappresentato il Giudizio universale. Al centro c’è Gesù, nostra luce. L’iscrizione che si legge all’apice dell’affresco è “Ecce Homo”. Guardando que-sta cupola siamo attratti verso l’alto, mentre contempliamo la trasformazione del Cristo giu-dicato da Pilato nel Cristo as-siso sul trono del giudice. Un angelo gli porta la spada, ma Gesù non assume i simboli del giudizio, anzi solleva la mano destra mostrando i segni della passione, perché Lui «ha dato sé stesso in riscatto per tutti». «Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per con-dannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Nella luce di questo Giudice di misericordia, le nostre ginocchia si piegano in adorazione, e le nostre mani e i nostri piedi si rinvigoriscono. Possiamo parlare di umanesimo solamente a partire dalla centralità di Gesù, scoprendo in Lui i tratti del volto autentico dell’uomo. È la contemplazione del volto di Gesù morto e risorto che ricompone la nostra umanità, anche di quella frammen-tata per le fatiche della vita, o segnata dal peccato. Non dobbiamo addomesticare la potenza del volto di Cristo. Il volto è l’immagine della sua trascendenza. È il misericor-diae vultus. Lasciamoci guardare da Lui. Gesù è il nostro umanesimo. Voglio presentare con semplicità alcuni tratti dell’umanesimo cristiano che è quello dei «sentimenti di Cristo Gesù». Il primo sentimento è l’umiltà. «Ciascuno di voi, con tut-ta umiltà, consideri gli altri superiori a sé stesso» dice san Paolo ai Filippesi. Più avanti l’Apostolo parla del fatto che Gesù non considera un «privilegio» l’essere come Dio Qui c’è un messaggio preciso. L’ossessione di preservare la propria gloria, la propria “dignità”, la propria influenza non deve far parte dei nostri sentimenti. Dobbiamo perse-guire la gloria di Dio, e questa non coincide con la nostra. La gloria di Dio che sfolgora nell’umiltà della grotta di Betlemme o nel disonore della croce di Cristo ci sorprende sempre. Un altro sentimento di Gesù che dà forma all’u-manesimo cristiano è il disinteresse. «Ciascuno non cerchi l’interesse proprio, ma anche quello degli altri», chiede ancora san Paolo. Dunque, più che il disinteresse, dob-biamo cercare la felicità di chi ci sta accanto. L’umanità del cristiano è sempre in uscita. Non è narcisistica, au-toreferenziale. Quando il nostro cuore è ricco ed è tanto soddisfatto di sé stesso, allora non ha più posto per Dio. Evitiamo, per favore, di «rinchiuderci nelle strutture che ci danno una falsa protezione, nelle norme che ci trasfor-

mano in giudici implacabili, nelle abitudini in cui ci sentia-mo tranquilli». Il nostro dovere è lavorare per rendere questo mondo un posto migliore e lot-tare. La nostra fede è rivoluzio-naria per un impulso che viene dallo Spirito Santo. Dobbiamo seguire questo impulso per uscire da noi stessi, per esse-re uomini secondo il Vangelo di Gesù. Qualsiasi vita si decide sulla capacità di donarsi.Un ulteriore sentimento di Cri-sto Gesù è quello della beati-tudine. Il cristiano è un beato,

ha in sé la gioia del Vangelo. Nelle beatitudini il Signore ci indica il cammino. Percorrendolo noi esseri umani pos-siamo arrivare alla felicità più autenticamente umana e divina. Gesù parla della felicità che sperimentiamo solo quando siamo poveri nello spirito. Per i grandi santi la beatitudine ha a che fare con umiliazione e povertà. Ma anche nella parte più umile della nostra gente c’è molto di questa beatitudine: è quella di chi conosce la ricchezza della solidarietà, del condividere anche il poco che si pos-siede; la ricchezza del sacrificio quotidiano di un lavoro, a volte duro e mal pagato, ma svolto per amore verso le persone care; e anche quella delle proprie miserie, che tuttavia, vissute con fiducia nella provvidenza e nella mi-sericordia di Dio Padre, alimentano una grandezza umile. Per essere «beati», per gustare la consolazione dell’amici-zia con Gesù Cristo, è necessario avere il cuore aperto. La beatitudine è una scommessa laboriosa, fatta di rinunce, ascolto e apprendimento, i cui frutti si raccolgono nel tem-po, regalandoci una pace incomparabile. E questi tratti dicono qualcosa anche alla Chiesa italiana che oggi si riunisce per camminare insieme in un esempio di sinodalità. Questi tratti ci dicono che non dobbiamo essere ossessionati dal “potere”, anche quando questo prende il volto di un potere utile e funzionale all’immagine sociale della Chiesa. Se la Chiesa non assume i sentimenti di Gesù, si disorienta, perde il senso. Se li assume, invece, sa essere all’altezza della sua missione. I sentimenti di Gesù ci dicono che una Chiesa che pensa a sé stessa e ai propri interessi sarebbe triste. Una Chiesa che presenta questi tre tratti - umiltà, disinteresse, beatitudine - è una Chiesa che sa riconoscere l’azione del Signore nel mondo, nella cultura, nella vita quotidiana della gente. L’ho detto più di una volta e lo ripeto ancora oggi a voi: «preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiu-sura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze. Non voglio una Chiesa preoccupata di essere il centro e

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15Gennaio/Febbraio 2016

che finisce rinchiusa in un groviglio di ossessioni e pro-cedimenti». Però sappiamo che le tentazioni esistono; le tentazioni da affrontare sono tante. Ve ne presento alme-no due: la prima di esse è quella pelagiana. Essa spinge la Chiesa a non essere umile, disinteressata e beata. Il pelagianesimo ci porta ad avere fiducia nelle strutture, nelle organizzazioni, nelle pianificazioni perfette perché astratte. Spesso ci porta pure ad assumere uno stile di controllo, di durezza, di normatività. La norma dà al pela-giano la sicurezza di sentirsi superiore, di avere un orien-tamento preciso. La riforma della Chiesa - e la Chiesa è semper reformanda - è aliena dal pelagianesimo. Essa non si esaurisce nell’ennesimo piano per cambiare le strutture. Significa invece innestarsi e radicarsi in Cristo lasciandosi condurre dallo Spirito».Una seconda tentazione da sconfiggere è quella dello gno-sticismo. Essa porta a confidare nel ragionamento logico e chiaro, il quale però perde la tenerezza della carne del fratello. Il fascino dello gnosticismo è quello di «una fede rinchiusa nel soggettivismo, dove interessa unicamente una determinata esperienza o una serie di ragionamenti e conoscenze che si ritiene possano confortare e illuminare, ma dove il soggetto in definitiva rimane chiuso nell’im-manenza della sua propria ragione o dei suoi sentimenti» La Chiesa italiana ha grandi santi il cui esempio possono aiutarla a vivere la fede con umiltà, disinteresse e letizia, da Francesco d’Assisi a Filippo Neri. Ma pensiamo anche alla semplicità di personaggi inventati come don Camillo che fa coppia con Peppone. Mi colpisce come nelle storie di Guareschi la preghiera di un buon parroco si unisca alla evidente vicinanza con la gente. Di sé don Camillo diceva: «Sono un povero prete di campagna che conosce i suoi parrocchiani uno per uno, li ama, che ne sa i dolori e le gioie, che soffre e sa ridere con loro». Vicinanza alla gente e preghiera sono la chiave per vivere un umanesi-mo cristiano popolare, umile, generoso, lieto. Se perdiamo questo contatto con il popolo fedele di Dio perdiamo in umanità e non andiamo da nessuna parte...A tutta la Chiesa italiana raccomando l’inclusione socia-le dei poveri, che hanno un posto privilegiato nel popolo di Dio, e la capacità di incontro e di dialogo per favorire l’amicizia sociale nel vostro Paese, cercando il bene co-mune. L’opzione per i poveri è «forma speciale di primato nell’esercizio della carità cristiana, testimoniata da tutta la Tradizione della Chiesa». Che Dio protegga la Chiesa italia-na da ogni surrogato di potere, d’immagine, di denaro. La povertà evangelica è creativa, accoglie, sostiene ed è ricca di speranza.Vi raccomando anche, in maniera speciale, la capacità di dialogo e di incontro. Dialogare non è negoziare. Negoziare è cercare di ricavare la propria “fetta” della torta comune. Non è questo che intendo. Ma è cercare il bene comune per tutti. Discutere insieme, oserei dire arrabbiarsi insie-me, pensare alle soluzioni migliori per tutti. Molte volte l’incontro si trova coinvolto nel conflitto. Nel dialogo si dà il conflitto: è logico e prevedibile che sia così. E non dob-biamo temerlo né ignorarlo ma accettarlo. «Accettare di sopportare il conflitto, risolverlo e trasformarlo in un anello di collegamento di un nuovo processo».La Chiesa sia fermento di dialogo, di incontro, di unità. Non dobbiamo aver paura del dialogo: anzi è proprio il confronto e la critica che ci aiuta a preservare la teolo-

gia dal trasformarsi in ideologia. Ricordatevi inoltre che il modo migliore per dialogare non è quello di parlare e discutere, ma quello di fare qualcosa insieme, di costruire insieme, di fare progetti: non da soli, tra cattolici, ma in-sieme a tutti coloro che hanno buona volontà.Ma la Chiesa sappia anche dare una risposta chiara davanti alle minacce che emergono all’interno del dibattito pubbli-co: è questa una delle forme del contributo specifico dei credenti alla costruzione della società comune. I credenti sono cittadini. E lo dico qui a Firenze, dove arte, fede e cit-tadinanza si sono sempre composte in un equilibrio dina-mico tra denuncia e proposta. La nazione non è un museo, ma è un’opera collettiva in permanente costruzione in cui sono da mettere in comune proprio le cose che differenzia-no, incluse le appartenenze politiche o religiose.Si può dire che oggi non viviamo un’epoca di cambiamento quanto un cambiamento d’epoca. Le situazioni che vivia-mo oggi pongono dunque sfide nuove che per noi a volte sono persino difficili da comprendere. Questo nostro tempo richiede di vivere i problemi come sfide e non come osta-coli: il Signore è attivo e all’opera nel mondo. Voi, dunque, uscite per le strade e andate ai crocicchi: tutti quelli che troverete, chiamateli, nessuno escluso. Soprattutto accom-pagnate chi è rimasto al bordo della strada, «zoppi, storpi, ciechi, sordi». Dovunque voi siate, non costruite mai muri né frontiere, ma piazze e ospedali da campo.

(Per esigenze di stampa abbiamo riportiamo solo in parte il discorso di Papa Francesco, ma invito a ricercare sul sito del Vaticano il discorso completo).

Don Mario

Mi piace una Chiesa italiana inquieta, sempre più vi-cina agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti. Desidero una Chiesa lieta col volto di mamma, che comprende, accompagna, accarezza. Sognate anche voi questa Chiesa, credete in essa, innovate con liber-tà. L’umanesimo cristiano che siete chiamati a vivere afferma radicalmente la dignità di ogni persona come Figlio di Dio, stabilisce tra ogni essere umano una fondamentale fraternità, insegna a comprendere il la-voro, ad abitare il creato come casa comune, fornisce ragioni per l’allegria e l’umorismo, anche nel mezzo di una vita tante volte molto dura. Credete al genio del cristianesimo italiano, che non è patrimonio né di singoli né di una élite, ma della comunità, del popolo di questo straordinario Paese. Grazie.

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16 Comunità di Loreto

COMMENTANDO L’ENCICLICA “LAUDATO SI’...” (3a parte)

“Dacci oggi il nostro pane quotidiano”ma... attenti a non sprecare!

I nostri nonni, che conoscevano meglio di noi quanta fatica costi un chilo di pane, non lo buttavano, ma ne riutilizzavano ogni briciola. Centocinquanta anni fa gli Italiani mangiavano in media più di un chilo di pane al giorno, perché di carne ce n’era pochissima e per molti erano un lusso perfino uova, verdura e frutta; oggi le abitudini alimentari sono profondamente mutate, man-giamo meno di un decimo di quel pane, nemmeno un etto a testa, ma ne sciupiamo una quantità impressio-nante: tredicimila quintali, pari a un milione e trecen-tomila chili. Cioè un numero spaventoso, equivalente a venti milioni di pezzi. Grossomodo, uno per ogni fami-glia italiana.Ogni giorno sprechiamo circa un quinto dei settantadue-mila quintali di pane che vengono prodotti. Anche se sembra incredibile, ci riferiamo cioè al pane che viene ogni giorno ritirato dagli scaffali dei negozi, cioè l’equi-valente di seicento milioni di panini al mese, ovvero ol-tre sette miliardi all’anno. Questo cibo avanzato il giorno dopo diviene tecnicamente “un rifiuto”, deve essere riti-rato e smaltito dal produttore; regalarlo non conviene, le associazioni di volontariato sopporterebbero troppi costi; cuocerne di meno neanche, i distributori vogliono avere gli scaffali pieni fino a sera per motivi commerciali. È un circuito paradossale, nel quale tutti perdono. E inoltre bisognerebbe considerare anche il pane veramente spre-cato, i frammenti avanzati dalle nostre tavole, o quello non consumato che diviene secco, e che è ancora una buona parte di quello acquistato.Perché questa lunga digressione sul pane, benché quanto detto possa applicarsi anche ad altri cibi? Innanzitutto non sfugge la valenza simbolica del “frut-to della terra e del lavoro dell’uo-mo”; poi si tratta di un prodotto che, con mille varianti, è presente sulle tavole di tutto il mondo; infine, nonostante sia un alimento sempli-ce, implica il consumo di parecchie risorse per la sua preparazione, come l’acqua e l’energia. Nella Laudato sì non v’è un esplicito riferimento al pane; però c’è un passo che chiama ognuno di noi, sia come sin-golo che come componente della società, a modificare le proprie abitudini: “Un cambiamento negli stili di vita potrebbe arrivare ad esercitare una sana pressione su coloro che detengono il potere politico, economico e sociale. È ciò che accade quando i movimenti dei con-sumatori riescono a far sì che si smetta di acquistare certi prodotti e così diventano efficaci per modificare il comportamento delle imprese, forzandole a considerare l’impatto ambientale e i modelli di produzione. È un

fatto che, quando le abitudini sociali intaccano i profitti delle imprese, queste si vedono spinte a produrre in un altro modo. Questo ci ricorda la responsabilità sociale dei consumatori. Acquistare è sempre un atto morale, oltre che economico. Per questo oggi il tema del de-grado ambientale chiama in causa i comportamenti di ognuno di noi”.Gran parte dello spreco è causato dalle caratteristiche del sistema produttivo e distributivo, oltre che da alcu-ne norme di legge giuste in linea di principio ma forse distorte negli effetti. Eppure negli ultimi anni stanno prendendo piede diverse associazioni, sia nazionali che locali, che operano gratuitamente per rimettere in circo-lo gli alimenti che non vengono consumati e che quindi finirebbero deteriorati, scartati e distrutti. Le operazioni da compiere sono complesse, occorre mettere in con-tatto i vari soggetti - produttori - distributori - volontari - e coordinare le modalità di ritiro e donazione degli alimenti rispettando le numerose normative di carattere burocratico e sanitario. Non sono semplici parole, quindi, quelle di papa Fran-cesco, ma un insegnamento profondo, che implica l’av-vio di una sfida decisiva: un cammino educativo che coinvolga la famiglia, la scuola, i mezzi di comunicazio-ne, la catechesi, e che porti al cambiamento dei propri stili di vita. Più oltre nell’Enciclica il pontefice sostiene:“È molto nobile assumere il compito di avere cura del

creato con piccole azioni quotidiane, ed è meraviglio-so che l’educazione sia capace di motivarle

fino a dar forma ad uno stile di vita. L’edu-cazione alla responsabilità ambientale

può incoraggiare vari comportamenti che hanno un’incidenza diretta e im-portante nella cura per l’ambiente, come evitare l’uso di materiale pla-stico o di carta, ridurre il consumo di acqua, differenziare i rifiuti, cucina-re solo quanto ragionevolmente si po-

trà mangiare, trattare con cura gli altri esseri viventi, utilizzare il trasporto pub-

blico o condividere un medesimo veicolo tra varie persone, piantare alberi, spegnere le

luci inutili, e così via. Tutto ciò fa parte di una crea-tività generosa e dignitosa, che mostra il meglio dell’es-sere umano. Riutilizzare qualcosa invece di disfarsene rapidamente, partendo da motivazioni profonde, può essere un atto di amore che esprime la nostra dignità”.Sono parole semplici, certo, ma proprio per questo ac-cessibili a tutti. Indicano una via, un modo di essere e di vivere la propria umanità, e l’accettazione piena della responsabilità di custodi del Creato.

Roberto Robert

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17Gennaio/Febbraio 2016

Al seguito di CristoL I T U R G I A

GENNAIO 2016G. 17 DOMENICA II TEMPO ORDINARIO“Sarai chiamata mia gioia”Oggi viene proclamato il vangelo delle nozze di Cana, dove Gesù compie il suo “primo segno”. È l’invito a rico-noscere in Lui il vero sposo dell’umanità, Colui che rende presente la forza e la gioia traboccante di Dio, che offre liberazione e comunione. La misteriosa parola dell’ “ora non ancora giunta” rimanda al mistero della misericordia nei nostri riguardi che domanda la nostra risposta per po-ter scoccare. La gioia sovrabbondante scorre nella misura in cui il dono e l’accoglienza ad esso si intrecciano.

G. 24 DOMENICA III T. O.“Oggi si è compiuta questa scrittura”La fede non è frutto di un buon ragionamento, ma ha dalla sua buone ragioni. L’evangelista Luca ci incoraggia alla terapia dell’esercizio della sana ragione per curare i malanni dell’ignoranza delle cose di fede. Soprattutto ci mostra come il dialogo con la Parola fatta carne - Gesù di Nazaret - che si presenta come “il compimento delle Scritture”, sia fondamento della fede e formi la comu-nità.

G. 31 DOMENICA IV T.O.“La carità non avrà mai fine”Gesù è il compimento di tutte le promesse di Dio. Ogni Parola di Dio trova in Gesù adeguata realizzazione. Però l’accoglienza da parte nostra al suo dono eccedente è sempre da capo, per ogni generazione, per ogni comu-nità per ogni donna/uomo, per ogni fase della vita, of-frendo cuore e mente aperti. Altrimenti succede come ai compaesani di Gesù. Egli passa in mezzo e va oltre. Cioè non crea vita nuova, donne e uomini nuovi secondo lo Spirito.

FEBBRAIO

G. 7 DOMENICA V T.O.“Signore, allontanati da me, peccatore!”La dichiarazione di Pietro non è certo una presa di di-stanza da Gesù per autosufficienza, ma per riconosciuta indegnità. È solo quel passo indietro che in altra occa-sione Gesù chiederà a Pietro, ma per essere poi capace di un balzo fiducioso tra le sue braccia. Il divario tra le nostre intenzioni buone e le realizzazioni parziali, tra il desiderio di bene e la meschinità delle opere e ci spin-ga a riconoscere la insostituibile azione della grazia. Su questa radice fiorisca la nostra vita grata

G. 10 MERCOLEDÌ DELLE CENERI“Convertiti e credi al Vangelo”Le ceneri sono lo scarto. Anche un’opera d’arte quan-

do venisse bruciata diventa cenere. Scarto, appunto. Le ceneri si usavano come candeggiante e come fertiliz-zante. Iniziamo il tempo della quaresima accettando sul capo le ceneri. Noi opera d’arte di Dio per la dedizione di Gesù siamo nella condizione di scegliere fra l’essere scarto o realizzare un’esistenza purificata e feconda di bene

G. 14 DOMENICA 1A DI QUARESIMA“A Dio solo renderai culto”La prova alla quale Gesù viene sottoposto ha un profilo articolato e subdolo. Non propone cose eccezionali che subito apparirebbero fuori dalla portata di chiunque, ma offre il pane garantito, il rispetto indiscusso, la sicurezza a prova di bomba. Insomma, una vita come si deve e senza sacrifici, se non quello della propria libertà. Gesù seguita a decidersi per la scelta d’essere Figlio di un Dio che libera e su quella strada invita tutti gli uomini.

G. 21 DOMENICA 2A DI QUARESIMA“Videro la sua gloria”La trasfigurazione di Gesù è, alla soglia della fatica del viaggio di Gesù verso Gerusalemme, la rottura del velo che nasconde il suo essere Dio e la manifestazione della sua vera identità: Egli è l’amatissimo del Padre. Per noi la trasfigurazione è la porta aperta a mostrarci la via del discepolato, e quale sarà la nostra condizione definitiva

G. 28 DOMENICA 3A DI QUARESIMA“Vedremo se porterà frutti per l’avvenire”Siamo perennemente degli apprendisti nell’arte sempli-ce e feconda dell’interpretazione dei segni che costella-no le nostra giornate. Sono tanti. Non è il caso di leggerli tutti. Però, almeno quelli che ci toccano sul vivo, non vanno rimossi, pena il condurre una vita verniciata di superficialità. Se ne raccogliamo gli stimoli che ci man-dano, e li interpretiamo da credenti, stiamo dentro il solco della vita con gratitudine e portiamo molto frutto

MARZO

G. 6 DOMENICA 4A DI QUARESIMA“Mi alzerò e tornerò da mio Padre”La maturità nel rapporto con il Dio di Gesù, non è deter-minata dalla impeccabilità, ma dall’arte sempre nuova dei ritorni: alla casa delle nostre origini divine, a Lui, il Padre di ogni bene, che è accoglienza misericordiosa. Anche laddove non avessimo compiuto un allontana-mento radicale - solitamente diciamo che non abbiamo fatto gran che di male -, là è ancora necessario tornare a una profondità di relazione con Dio, che accantoni ogni superficialità, per spendere i nostri giorni nella comunio-ne sempre più nutrita di Lui.

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18 Comunità di Loreto

RUBRICA A CURA DEL NOSTRO DIRETTORE EDITORIALE SUSANNA PESENTI

Permettetemi di parlarvi di un amico che alcuni di noi conoscono, anche se non è di Loreto, ma di Padova. Un uomo di speranza fattiva e un sacerdote di grande statu-ra intellettuale. Uno di quelli che riscattano, con il loro modo di vivere da preti, tante miserie ecclesiastiche. Nel tardo pomeriggio di giovedì 26 novembre, a Pado-va, don Luigi Mazzuccato “è entrato nell’abbraccio del suo Signore, amante della vita” hanno scritto i suoi figli spirituali dando l’annuncio alle centinaia di persone che l’hanno incontrato. Quella vita - continuava il messaggio - che ha servito nei più piccoli, nei poveri, negli ultimi, con slancio, intelligenza, dedizione, tenacia infaticabi-li. Ciascuno di noi lo ricorda a suo modo, come amico, padre, fratello, sacerdote, missionario, perché si è fatto prossimo di tutti, ha condiviso con spontaneità e uma-nità i cammini di ciascuno, incoraggiando, sostenendo, rallegrandosi e anche soffrendo quando arrivava il tempo della prova. Ha reso Medici con l’Africa Cuamm la realtà stimata e autorevole che è oggi in Italia e nel mondo e tutti noi una famiglia, perché a questa cura dell’altro teneva con il suo stile sobrio e inconfondibile”.Don Luigi Mazzuccato, infatti, è stato per 60 anni l’a-nima del Collegio Universitario Aspiranti Medici Missio-nari, nato nel 1950 dalla collaborazione fra diocesi e università patavine per preparare personale sanitario per i paesi in via di sviluppo.Negli anni il Cuamm si è concentrato sull’Africa, defi-nendo sempre meglio una modalità di intervento sani-tario all’interno della cooperazione internazionale che chiede ai suoi volontari rigorosa formazione, aggiorna-mento delle competenze, alti standard etici umani e pro-fessionali proprio perché l’organismo si qualifica come cristiano e l’andare in chiesa non può essere una scusa per il pressapochismo.Da alcuni anni, proprio per volontà di don Luigi, il Cuamm spiega se stesso con lo slogan “Medici con l’Africa”. Per-ché “con” significa rapporto alla pari e responsabilità condivisa. Rispetto, insomma.Don Luigi Mazzucato è nato a Saccolongo (Padova) l’8 gennaio 1927. È stato ordinato sacerdote nel 1950 e per desiderio del suo vescovo inviato a studiare a Roma all’Università Gregoriana dove, nel 1955, a 28 anni, ha conseguito la laurea in Teologia con una tesi sull’espe-rienza spirituale e fisica dell’Eucarestia. Lo stesso anno è stato chiamato a dirigere il Cuamm. Ne sarà guida fino

al 2008, quando passerà la direzione a don Dante Carra-ro, così affine e così diverso da lui da far pensare, oltre che a una accurata, ponderata ricerca della persona giu-sta a cui affidare l’opera di una vita, a un affiatamento, una figliolanza spirituale. Sotto la sua guida Medici con l’Africa Cuamm ha ospi-tato 1053 studenti provenienti da 32 paesi del Terzo mondo e parecchie centinaia di studenti italiani. Paralle-lamente, in questi anni, con Medici con l’Africa Cuamm sono partiti più di 1.000 medici e 300 tra infermieri e tecnici, con un impegno di servizio della durata media di 3-4 anni, alcuni anche per 8-10 anni o per tutta la vita. «Nei miei 110 viaggi in missione in Africa ho visto la po-vertà, la sofferenza - diceva don Mazzucato -. Ho provato l’angoscia, nel 1987, davanti al primo reparto di 40 letti per malati di Aids, all’ospedale di Aber in Uganda, tutti occupati, alcuni malati morenti e gli altri destinati a mo-rire nel giro di due anni. Ho provato l’angoscia davanti alle vittime della guerriglia in Mozambico, alle chiese piene di cadaveri nel genocidio in Rwanda, ai bambini malnutriti gravi in Etiopia. Ho sentito il grido straziante di una madre, in una notte a Catiò in Guinea Bissau, da un villaggio vicino, che piangeva disperata la morte del suo bambino. Ho visto le rovine provocate dai conflitti interni in Angola. Ho visto, più recentemente, l’estrema povertà in Sud Sudan e lo squallore di certi ospedali dove nessuno di noi avrebbe il coraggio di farsi curare e forse nemmeno di metterci un piede dentro». Nel discor-so pronunciato l’11 novembre 2010, durante la cerimo-nia in cui, alla presenza del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano l’Università di Padova gli conferiva la laurea ad honorem in “Istituzioni e politiche dei diritti umani e della pace”, ha ribadito i principi ispiratori del Cuamm, che hanno sempre guidato la sua vita.«Entrando nella vecchia sede del collegio, in via Galilei a Padova, nel 1955 ho visto scolpita sulla vetrata dell’in-gresso la scritta “Euntes curate infirmos”. Era il manda-to evangelico, la finalità del Cuamm. Mi sembrava di leg-gervi più che un invito ai discepoli, un comando di Gesù. Andate! Curate gli infermi, prendetevi a cuore i malati, guariteli e dite loro: “il regno di Dio ora è vicino a voi!” (Lc 10,9). [...] Il principio guida del Cuamm è sempre stato quello della libertà, come criterio formativo, perché soltanto in clima di libertà, si possono formare convin-zioni durature e aiutare i giovani a realizzare i loro ideali. Libertà nella scelta delle iniziative da intraprendere per realizzare gli obiettivi della propria missione: prendersi cura dei malati, i più poveri, nei paesi più poveri, nelle aree più sprovviste e per le fasce più deboli e bisogno-se della popolazione. Ho sempre detto: poveri ma liberi, non condizionati dalle convenienze, guardando solo dove maggiori sono le sofferenze e le necessità, mossi dalla ri-cerca della verità perché è la verità che fa liberi, secondo lo Spirito del Signore, che è Spirito di libertà».

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Calendario LITURGICO - PASTORALE

Gennaio 2016DOMENICA 172a del tempo ordinario

GIORNATA MONDIALE DEL MIGRANTE E DEL RIFUGIATO“Chiesa senza frontiere - Madre di tutti”Ore 15.30 Ritiro per Cresimandi

18/25 gennaio Ottavario di preghiera per l’unità dei Cristiani

Martedì 19 Ore 16.30 Riunione Azione Cattolica

Mercoledì 20 Ore 15.00 e 20.30 Catechesi degli adulti

Sabato 23 Ore 15.00 Pomeriggio con i bambini della seconda elementare - Incontro con i genitori

DOMENICA 243a del tempo ordinario

GIORNATA PARROCCHIALE DELLA FAMIGLIAAPERTURA SETTIMANA DELL’ORATORIOOre 12.30 pranzo comunitarioOre 15.00 Celebrazione del Battesimo

Mercoledì 27 Ore 15.00 e 20.30 Catechesi degli adulti

Venerdì 29 Ore 20,45 Preghiera per tutti i collaboratori dell’oratorio

Sabato 30 Ore 16.00 Laboratorio per i bambini 2 - 6 anni

DOMENICA 314a del tempo ordinario

Ore 16.30 Incontro con Don Emanuele Poletti - Resp. diocesano oratori

Febbraio 2016Martedì 2 Festa della Presentazione di Gesù al tempio

Alla Messa delle ore 9.00 benedizione delle candeleOre 9.45 Riunione del Centro Primo ascoltoOre 17.00 Riunione gruppo Eurosolidale

Mercoledì 3 Memoria liturgica di S. Biagio: Al termine delle Messe benedizione della golaOre 15.00 e 20.30 Catechesi degli adulti

Venerdì 5 Ore 16.30 Lectio divina

DOMENICA 75a del tempo ordinario

GIORNATA PER LA VITA “Vendita fiori per il Centro aiuto della Vita”Le offerte delle Messe e della vendita fiori saranno devolute al Centro diocesano di aiuto alla vita. (vedi pag. 4-5)Ore 11.00 Messa con battesimiNel pomeriggio festa di Carnevale

Lunedì 8 Ore 20.45 Incontro genitori dei bambini della prima Confessione (terza elementare)

Mercoledì 10DELLE CENERI

INIZIO DELLA QUARESIMA (È sospesa la catechesi degli adulti)Messe ore 9.00 - 16.00 - 18.30 - 20.30Al termine delle Messe verrà consegnato il libretto per il cammino di quaresima

Giovedì 11 Festa liturgica della Madonna di Lourdes e Giornata mondiale dell’ammalatoIn tutte le messe si prega per gli ammalati.Alle ore 16.00 Messa con ammalati

DOMENICA 141a di QUARESIMA

Ore 15.30 Ritiro per la comunità

Martedì 16 Ore 16.00 Messa e Celebrazione della Via Crucis

Mercoledì 17 Ore 15.00 e 20.30 catechesi degli adulti

Venerdì 19 Ore 7.30 Preghiera per i ragazzi delle elementari

Sabato 20 Ore 15.30: inizia il corso di preparazione alla Cresima per giovani e adulti

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DA VENERDÌ 4 MARZOsarà in distribuzione il prossimo numero

del bollettino parrocchiale. Il materiale da pubblicare va consegnato entro

MERCOLEDÌ 17 FEBBRAIOinviandolo all’indirizzo di posta elettronica

[email protected]

DOMENICA 212a di QUARESIMA

Ore 15.00 Celebrazione del BattesimoRitiro per bambini della Prima Comunione con genitori

Martedì 23 Ore 16.00 Messa e Celebrazione della Via Crucis

Mercoledì 24 Ore 15.00 catechesi degli adultiOre 20.30 in collaborazione con Biblioteca Loreto e Associazione “Esserci” - Incontro con Evans Billa Appiah (leggi pag. 27)

Sabato 27 Ore 15.00 Pomeriggio con i bambini della seconda elementare e incontro con i genitori

DOMENICA 283a di QUARESIMA

Ore 15.30 Ritiro ragazzi di 5a elementare con genitori

Marzo 2016Martedì 1 Ore 9.30 Riunione Centro Primo Ascolto

ore 16.00 Messa e celebrazione della Via CrucisOre 17.00 Riunione Eurosolidale

Mercoledì 2 Ore 15.00 Catechesi degli adultiOre 19.30 Cena del povero (leggi pag. 30)

Giovedì 3 Ore 20.45 Riunione Consiglio Pastorale

Venerdì 4 Ore 16.30 Lectio divina

Domenica 64a di QUARESIMA

FESTA DELLA TORTA

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19Gennaio/Febbraio 2016

LO SPUNTINO DI DON LUCIANO

“SCIOPITEM”La nevrosi e le ansie del nostro tempo, le paure e le soli-tudini in tutte le loro forme ci stanno facendo perdere il gusto per la magia, per la fantasia che ci salva in quattro e quattr’otto, così sui due piedi, facendo il miracolo più semplice e efficace che ci sia: azzerare tutte le forme del pensiero, riportarle all’inizio originale e originante, quello della partenza di tutto, dove giace serenità e pace e si può ripartire a contare proprio dallo zero. Basta una parola, ma magica, ad esempio, proprio questa: “Scio-pitem!”, e crederci a che tutto se ne va via dalle nostre artificiosità e complicazioni, per darci la possibilità di ripartire, di riprendere e soprattutto di riprenderci. “Scio-pitem!”, e tutto non solo scompare, ma anche appare: i nostri sogni, i nostri progetti e le nostre attese. Forse tutto e subito non si avvererà, ma certo qualcosa che non avevamo in mente riprenderà vita, salterà fuori come il coniglio dal cappello del mago, come la lampadina che accenderà una nuova idea da seguire. Bisogna prima far scomparire quello che c’è, per far apparire e vivere quel-lo che non c’è ancora. E ogni credo per essere vero è fatto così: spazzar via quello che si accumula inutilmente, per far rivivere quel-lo che è essenziale veramente. “Sciopitem!”, e tutto scompare, si relativizza, perde il peso della pesantezza e apre al volo della leggerezza, del pensiero che come un colibrì segue il viaggio della fantasia, che ti rimette in cammino. Ma bisogna proprio credere per provare, e non come abbiamo fatto finora, provare per credere. È dai sogni che emerge la vera realtà, che rinascono i progetti perduti e le realtà belle dimenticate, che risorgono tutte le cose. “Sciopitem!” e tutto va via, per lasciare il posto

a una nuova scia da seguire, da pensare, da amare e da rivivere. E basta proprio la parola, non occorrono altri ingredienti, se non colui che la pronuncia, cioè io. “Sciopitem!”, e posso riapparire nella storia con il volto rinnovato, con un cuore riscaldato, con una mente più aperta, con un animo infinito. Tutti gli elementi del mondo che si erano accumulati, in bene e in male, come un pesante zaino su di me, e che mi impedivano sempre più di partecipare gioioso alla scuola della vita, ecco che sono annienta-ti, e rinasce l’insegnamento che pareva ormai assopito e muto: la parola magica. Piena di magia spirituale, di energia positiva, di possibilità affidate a me di nuovo, e in modo nuovo. “Sciopitem!”, ripeto in me, e tutto quello che taceva in me riprende vita e forza, coraggio e senso, e tutto attorno a me si allieta di una povertà che non è più mancanza, ma semplicità ed essenza, succo concentrato e raccolto tutto quanto in me e a partire da me, grazie a una sola magica espressione, parola viva e vera: “Sciopitem!”.

ANAGRAFE PARROCCHIALEBATTESIMI

SENSANO PIERRE LUIGI di Sensano Maria ElenaGUERINI CRISTIAN di Walter e Cappello AngelaMONTANO ROCHA NEYMAR di Braian e Rocha Dora

DEFUNTI

FERRARO ANTONIO il 10 novembreSANTORO SAVERIO il 16 novembreMERELLI SEVERINO il 20 novembreCISCA LUCIA il 14 dicembreAQUILINI ELENA il 14 dicembreSALVI EMMA in LOMBARDO il 22 dicembreGERVASONI MARIA COLOMBA il 27 dicembre

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20 Comunità di Loreto

Dove trovo la mia luce? Quali sono le mie ombre?Due delle domande che hanno percorso i due giorni e

mezzo di CampoAdo invernale, in cui abbiamo affrontato solo alcune delle molteplici sfaccettature del tema della Luce.Qualcosa di concreto ed estremamente importante, il cui va-lore spesso sottovalutato abbiamo ricordato sia nelle attività svolte in penombra o al buio completo, sia grazie alle splen-dide giornate di sole che Valbondione ci ha regalato.Qualcosa di astratto che è entrato nel modo di dire comune per riferirci a tutti quegli aspetti della nostra vita, della per-sonalità, del modo di agire che in qualche modo sono più vicini a Dio.Sappiamo però che non ci sarebbe luce senza buio, così come non ci sarebbe sollievo senza dolore, coraggio senza paura, crescita senza errore. Sono le facce di una sola mo-neta, inscindibili e inesistenti l’una senza l’altra.Ma nella vita non si può lanciare in aria una moneta per scrollarsi di dosso il peso della scelta e lasciar fare al caso. E’ necessario trovare il Pino Puglisi che c’è in ognuno di noi e scegliere la strada, possibilmente quella della luce.Per fortuna, il mondo non è fatto da due blocchi distinti di luce e oscurità, ma ogni cosa reca in sé entrambi gli aspetti.Il buio può spaventare e nascondere la verità, ma

può anche proteggere, e la luce illumina e conforta ma è capace di accecare.Il senso di vivere nella nostra eterna penombra, allora, for-se è riposto in un Dio che non abbaglia ma rischiara. Se lo accogliamo, permet-tendogli di diventare Lui stesso la nostra luce, pos-siamo capire come smette-re di aver paura del buio e diventare luce per gli altri.

Sabrina

CAMPO ADO INVERNALE

PENOMBRA

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QUARESIMA 2016

Neanche il tempo di archiviare le feste natalizie, ed è già Quaresi-ma. La Pasqua, che quest’anno cade il 27 marzo, fa sì che il 10

febbraio sia già il Mercoledì delle Ceneri. Ed eccoci quindi a pensare alle iniziative che caratterizzeranno questo tempo forte per i nostri ragazzi: • naturalmente il momento centrale, a cui siamo tutti caldamente in-

vitati, è la messa domenicale. In modo particolare aspettiamo tutti i ragazzi alla messa delle 11.

• Il mercoledì delle ceneri (10 febbraio) e mercoledì 2 marzo, tutti i ragazzi sono invitati alla messa delle 18.30.

• A partire da venerdì 19 febbraio, per tutti i venerdì di quaresima, i ragazzi delle elementari sono invitati ad un breve momento di pre-ghiera alle 7.30. Poi colazione e... tutti a scuola.

• Durante gli incontri di catechesi raccoglieremo offerte per un pro-getto missionario. L’attenzione missionaria caratterizzerà tutto il cammino di Quaresima e in modo particolare la giornata di merco-ledì 2 marzo, quando avrà luogo, nel salone del nostro oratorio, la cena del povero.

LA SETTIMANA DELL’ORATORIOUna settimana per pensare e, se è il caso, ripensarsi. Una set-timana per ridirci il senso di ciò che facciamo e di ciò che sia-mo. Una settimana per metterci davanti al Signore e ritrovare in Lui le ragioni profonde del no-stro agire. Ecco ciò che vorreb-be essere la settimana dell’o-ratorio nella nostra comunità. È per questo che ogni anno vi-viamo questa settimana specia-le e lo facciamo in occasione della memoria di San Giovanni Bosco, iniziatore dell’esperien-za dell’oratorio, così come la viviamo oggi. E non è un caso se andiamo alla ricerca di quel-le che sono le radici profonde del nostro ESSERE oratorio in un momento in cui questo è chiamato a ripensarsi profonda-mente dato il continuo calo del numero dei preti e dei preti gio-vani in particolare. Tra le varie iniziative che caratterizzeranno queste giornate mi permetto di ricordarvene tre:Domenica 24 gennaio: alle 12,30 pranzo comunitario a cui sono invitate tutte le famiglie della nostra comunità e tutti i gruppi parrocchiali.Venerdì 29 gennaio: alle 20,45 momento di preghiera e ado-razione a cui sono invitati par-ticolarmente tutti i volontari dell’oratorio e tutte le persone che nella nostra comunità si oc-cupano di educazione.Sabato 30 gennaio: ore 15.30 laboratorio per i bambini da 2 a 6 anni.Domenica 31 gennaio: alle 11 S. Messa nella memoria liturgi-ca di San Giovanni Bosco; alle 16,30 incontro con Don Ema-nuele Poletti, direttore dell’Uf-ficio pastorale dell’età evolutiva (UPEE) che ci aiuterà a riflet-tere sul cambiamento in atto nella realtà degli oratori e delle prospettive future che si vanno delineando.

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22 Comunità di Loreto

IL CONSIGLIO PASTORALE PARROCCHIALE

Sabato 7 Novembre 2015 ha avuto luogo il secondo appunta-mento del Consiglio

Parrocchiale Pastorale della nostra comunità di Lore-to. Tema dell’incontro: l’abitare. Per introdurre la riunione sono stati letti due brani: il primo, tratto dalla lettera del Vescovo, sul tema dell’a-bitare; ed il secondo, dal vangelo di Luca, la Parabola del buon Samaritano. Come suggerito dal Vescovo, la sua lettera è meglio se letta “a pillole”, con calma, in modo da rendere nostri, i valori descritti in essa.Questo è un po’ l’impegno che il CPP si prende per riflettere e confrontarsi, calando nella vita concreta della comunità, i valori presenti nel messaggio.Concretamente, quindi, cosa vuol dire abitare? Imma-giniamo un mondo senza il quale noi non avremmo una casa. Effettivamente c’è da dire che noi italiani abbiamo un concetto di casa particolarissimo. Ascol-tando la testimonianza di Don Mario, ci rendiamo con-to di come in tanti altri paesi del sud del mondo, il concetto di casa è molto distante dal nostro: in quelle zone, infatti, la casa serve per dormire, per tenere gli alimenti e le proprie cose, ma non per vivere, per stare insieme o guardarsi un film in famiglia.Al giorno d’oggi, in un periodo di migrazioni che stia-mo vivendo, viene posta anche l’attenzione per tutti coloro che “non abitano”. Coloro che non hanno una casa, i senza tetto, gli ospi-tati in case della diocesi. Sono tutte persone messe insieme, hanno un posto dove stare, ma il concetto di famiglia o di comunità cade. Non abitano quelle case, “Sono lì”. Tra tutti i diritti umani, tra l’altro, c’è anche il diritto di avere una casa.In seguito a queste considerazioni perciò, nasce spon-taneo il domandarsi se “abitare” voglia anche dire saper accogliere o come direbbe il vescovo, coltivare attenzione e dare delle cure concrete, fare servizio per il bene di ciascuno e per quello della comunità.Quindi, come si può, nella comunità di Loreto, abita-re? Nel senso di accogliere? Quanto la parrocchia sta facendo per l’accoglienza delle persone bisognose? Il papa ci ha dato il mandato di ospitare e di accogliere e, rendersi conto di come questa accoglienza è un fe-nomeno già in atto, fa pensare a come la comunità e il quartiere siano già attivi. Sempre basandosi sulle parole del Vescovo, l’obiettivo di accoglienza è un servizio che rappresenta uno stile di tutta la comunità, una “carità di popolo”. È uno

stile che dobbiamo fare nostro, con sobrietà di mezzi e ricchezza di relazioni. Tatiana Silvestri, membro del CPP e volontaria presso il Centro di Primo Ascolto di Loreto, porta al CPP la sua testimonianza di servizio e di accoglienza, raccontando che cosa è il Centro di Primo Ascolto e come opera.

“Il Centro di Ascolto e Coinvolgimento trova il suo “senso” all’interno di una comunità cristiana che fa dell’ascolto una delle sue dimensioni pastorali.L’ascolto è l’atteggiamento fondamentale che ogni co-munità deve assumere per fare spazio alla domanda dei poveri, organizzandosi per incontrare e accogliere chi si trova in una situazione di bisogno”.

Tratto da “Le linee guida del Centro di Ascolto e Coinvolgimento redatto dalla Caritas Diocesana” (nov. 1999)

• Il Centro di Primo Ascolto a Loreto nasce nel 1995 dall’unione di gruppi già attivi: pastorale della ma-lattia, Unitalsi e gruppo missionario. Ancora oggi dalla pastorale della malattia e dall’Unitalsi de-riva l’attenzione che il Centro ha verso l’anziano e l’ammalato, collaborando con le operatrici sociali presenti sul territorio, potenziando le relazioni ed in alcuni casi alleviando i famigliari nella custodia momentanea dell’anziano malato. Dal gruppo mis-sionario è derivata l’adozione a distanza, a supporto della Caritas Diocesana. Attualmente le adozioni a distanza in atto sono 22 e si rivolgono a minori del Brasile e della Polonia.

• Il modo di operare del Centro si è continuamente diversificato nel corso degli anni per diversi motivi: cambio di onde migratorie, presentarsi di nuovi bi-sogni e non ultima la crisi che ha colpito da più anni l’Italia.

• Il volontario del Centro d’ascolto non è lasciato solo. A quanti iniziano vengono offerti corsi atti a renderli più pronti sotto l’aspetto psicologico e sociale. La preparazione continua anno per anno con corsi su problematiche specifiche, corsi di approfondimen-to su nuove normative e di collegamento con enti pubblici.

• Ogni incontro dà l’avvio ad una relazione, anche se a volte faticosa. Il primo ascolto è fatto da tre momen-ti: l’attesa, la domanda, il racconto.L’attesa da parte di chi ha il bisogno.La domanda ossia la denuncia del proprio disagio. Spesso la persona si presenta dicendo: “Sono venu-ta per la spesa”.

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23Gennaio/Febbraio 2016

E qui ben si sa che il bisogno alimentare denunciato nasconde tanti altri e reali bisogni. Il volontario sa che ciò che non sente è sempre più di ciò che sente.Il racconto è il momento in cui si aiuta il richiedente a far emergere le sue reali problematiche. Momento difficile che va curato nei successivi incontri. Certa-mente il bisogno alimentare è il bisogno primario e in molti casi viene soddisfatto, ma quando il Centro prende in carico una persona o una famiglia la pren-de in carico in tutti i suoi aspetti e le sue problema-tiche approntando un progetto.

Progetto condiviso tramite il coinvolgimento:a) da parte del richiedente;b) da parte del Centro;c) da parte di enti e istituzioni;e) da parte di quanti coinvolti

Ogni incontro successivo non si limita all’aiuto ali-mentare, ma è arricchito dall’ascolto, facendo com-prendere che il Centro non è un supermercato.

• Stretta è la collaborazione con la San Vincenzo. Quando la situazione di bisogno si amplifica e per-dura nel tempo è la stessa San Vincenzo che pren-de in carico il caso. Insieme si collabora e si segue la situazione. La generosità della comunità è gran-de sia sotto l’aspetto alimentare sia sotto l’aspetto guardaroba. Si riescono a coprire i bisogni dell’uten-za ed anche ad essere di supporto a diverse realtà presenti su territorio e fuori territorio: da don Resmi-ni all’Africa, alla Romania...

• Negli ultimi anni si è lavorato a livello vicariale. Due volontarie del C.P.A e C. e la presidente della San Vincenzo hanno fatto parte della Segreteria Vicaria-le. Questo lavoro è stato proficuo perché il confron-to costante, il modo di affrontare bisogni specifici ha prodotto collaborazione, ha permesso in molti casi di correggere il tiro e in altri di fare tesoro delle esperienze di altri Centri.

• Da quest’anno si lavora a livello cit-tadino, i tre Vicariati lavorano in-sieme. Tre rappresentanti della comunità lauretana fanno parte della “Commissione di coordina-zione delle Caritas parrocchiali della città”. Settori di lavoro di tale commissione saranno:1) Coordinamento dei Centri di

Ascolto; 2) Momenti di formazione e appro-

fondimento di un tema;3) Raccolta e distribuzione del cibo (cri-

teri di organizzazione);4) Momenti si spiritualità a livello vicariale.

5) Coordinamento dei tavoli degli ambiti. 6) Percorsi stabili di formazione alla partecipazione

politica e della conoscenza delle normative del-la pubblica amministrazione per sviluppare una maggior competenza dentro le nostre comunità.

• Proprio da quest’ultimo punto scaturisce una nuova esigenza all’interno del Centro di Loreto.

Le persone che si rivolgono a noi vanno aiutate con competenza. I bisogni non sono solo quelli alimentari o di vestiario, ma molto più complessi. Il volontario deve farsi carico di un’infinità di norma-tive amministrative a livello locale, regionale e nazio-nale. Fa fatica ad essere di aiuto concreto. E allora perché non includere nel Centro persone “esperte” con “maggiori e specifiche competenze”?Altra fragilità del nostro Centro è il mancato coinvol-gimento dei giovani. Bisognerebbe trovare modalità di coinvolgimento per questa parte così numerosa ed im-portante della comunità. Negli anni a venire le fragili-tà ci saranno, i bisogni saranno diversi, ma ci saranno sempre.E come ci ricorda Madre Teresa di Calcutta: “Nel mo-mento in cui vieni a conoscenza di un bisogno non puoi più girare la testa dall’altra parte”.

Poco dopo la testimonianza di Tatiana, emergono due esigenze o fragilità della nostra comunità, in relazione al Centro di Ascolto e Coinvolgimento.Il volontario per una serie di ovvie questioni, deve farsi carico di moltissime normative a livello locale, regio-nale e Nazionale. Purtroppo, attualmente non ci sono volontari con tale esperienza e sarebbe bello che dalla comunità qualche persona con voglia e competenza

portasse il suo contributo. Come Comunità stiamo pensando ad un

momento di apertura serale del Cen-tro Primo Ascolto con il coinvolgi-mento di persone più giovani. Il coordinamento tra i vari centri di ascolto serve anche per que-stioni logistiche. È capitato che delle persone si presentassero a

Loreto da altri centri.Spiace non conoscere molto del

centro di primo ascolto ovviamente e giustamente, per questioni di riservatez-

za, ma sarebbe bello che il servizio svolto nel centro di primo ascolto fosse più noto. Predicando a qualche messa si darebbe un peso grande.

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24 Comunità di Loreto

In novembre dal giorno 8 al giorno 21 ho fatto una esperienza di vita comune con altri giovani alla “Casa Kairos” - vita comune dei giovani - che si trova presso il Santuario della Madonna dei campi di Stezzano. Alcuni li conoscevo già, mentre tre erano nuovi, tutti coordinati da don Flavio assistente dei giovani di Azione Cattoli-ca. Kairos è una parola greca che significa “un tempo particolare” e in teologia viene tradotto come il tempo di Dio in opposizione a Kronos che è considerato il tempo cronologico.La giornata tipo era articolata così: la mattina appena alzati alle 8 Santa Messa con le Lodi, poi dopo la prima colazione ognuno partiva per andare a fare le proprie attività quotidiane: chi al lavoro, chi all’università, chi tornava a casa.Alla sera si rientrava in kairos alle ore 18,30 per i Vespri sempre in Santuario, poi cena in comune e dopo aver sistemato cucina e din-torni, si vivevano momenti di condivisione sul tema tracciato dal libretto “Verso l’alto” predi-sposto dall’Azione Cattolica Nazionale. I temi erano tre: pregare, condividere, testimoniare rivolti a giovani che intendono percorrere una regola di vita Cristiana.Per approfondire queste tracce, oltre alla spie-gazione dei vari capitoli effettuata in gruppo da noi giovani, abbiamo avuto tre incontri con al-cune persone che ci hanno portato la loro espe-rienza di vita.Per la preghiera, Giovanni ci ha parlato del-la sua scuola, di come presenta la religione e come vive momenti di preghiera in rapporto al suo impegno di educatore.Per il tema testimoniare abbiamo avuto un in-contro con il gruppo giovani sentinelle del mat-tino animatori delle serate dette “luce della

notte” che consistono in preghiere, canti e mu-sica con inviti alla gente ad entrare nella Chie-sa del Carmine in Città Alta; questi momenti avvengono una volta ogni due mesi: chi volesse partecipare a qualche incontro segnalo che le prossime serate saranno sabato 5 marzo 2016 e sabato 7 maggio 2016, dalle ore 21,30 alle ore 12,30.Condivisione è stato il tema trattato dalla si-gnora Carla della Caritas di Bergamo che ci ha raccontato come lei e il marito interpretano “il condividere” in rapporto al povero, all’emar-ginato, al carcerato: in breve come ha inteso rispondere all’invito di Cristo rispetto al “servi-zio” da donare agli ultimi.Le riunioni serali terminavano con la recita di Compieta, la lettura e breve spiegazione del Vangelo del giorno dopo.Naturalmente non dovete pensare che abbiamo solo pregato, perché oltre all’impegno a prepa-rare il cibo, ci siamo scambiati quattro chiac-chiere, abbiamo dato una occhiata alla tv, ci siamo raccontate le nostre giornate e gli episodi più o meno curiosi che ci sono capitati. Per la mia crescita cristiana, è stata una espe-rienza molto positiva perché mi ha permesso grazie al momento di condivisione giovanile, di arricchire, attraverso questo confronto la mia fede,considerato i temi sui quali ci siamo impe-gnati, e dal punto di vista umano devo dire che è stato molto bello conoscere nuove persone.Penso che tanti giovani della nostra parrocchia potrebbero impegnarsi a provare questa espe-rienza che è utile per rafforzare e consolidare la propria fede cristiana.

Maria Elena Tonolini

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25Gennaio/Febbraio 2016

CARO BABBO... TI SBAGLI!Caro babbo, ti sbagli. Ti sbagli su queste “differenze” che affermi es-sere parte della società di oggi. Sì, ci sono dif-ferenze: si possono vedere i diversi colori della pelle, le forme delle teste e le stature, è pos-sibile ascoltare le diverse lingue, si vedono di-versi comportamenti, ma questo non è niente di nuovo. Ci sono sempre state differenze tra le persone; solo perché ora è possibile classificarle in base al colore della pelle e della lingua non si-gnifica che esse siano differenze diverse rispetto a quando tutti parlavano la stessa lingua. Quan-do eri un ragazzo, c’erano tanti tipi diversi di persone come ci sono ora. Li hai accettati allora, come ora li accetto io.Devi ricordare, babbo, che il movimento di per-sone è stato una costante nella storia dell’uma-nità. Gli esseri umani sono dotati di gambe che hanno sempre utilizzato per andare verso le cose di cui avevano bisogno, e per fuggire da quelle che li turbavano. Tu ed io e tutti quelli che co-nosciamo siamo il risultato di migrazioni. La sto-ria ha visto la schiavitù, la colonizzazione e più volte movimenti di popoli nel corso dei secoli. Qualunque sia la ragione: la guerra, il lavoro, lo sfruttamento, qualunque sia l’effetto: negativo o positivo, l’elemento centrale nella storia dell’uo-mo è sempre stato un movimento di persone.L’errore che tu hai fatto, babbo, insieme con la tua generazione, è stato quello di non far trattare il tuo paese come si tratta la tua casa. Tu non permetti che il tuo ospite metta le scarpe sul divano o la sua mano nel tuo piatto. Gli spieghi educatamente (spero) e fermamente che queste cose non vanno fatte in casa tua, anche se l’ospi-te è abituato a comportarsi così nella sua casa. Se tu non glielo dici, più o meno garbatamente, ti carichi di una crescente e pericolosa avversio-ne nei suoi confronti che prima o poi può esplo-dere pericolosamente.Ci sono due aspetti da considerare, babbo. Uno è quello di accettare il nostro ospite (invitato o meno); l’altro è quello di aspettarsi che il nostro ospite ci accetti per come siamo, senza volerci cambiare, senza che si aspetti la rinuncia ai no-stri principi. E in questo secondo aspetto entra un nuovo ele-mento: i doveri. Abbiamo il dovere di far com-

prendere ai nostri ospiti come siamo, i nostri principi, la nostra cultura e tutto ciò che è im-portante per noi. Solo in questo modo può esser-ci dignità in un rapporto. Altrimenti non stiamo parlando di accettazione; una parola più adatta in questo caso è ‘tolleranza’ e “la tolérance est la vertu du faible”, la tolleranza è la virtù dei de-boli, come diceva lo scrittore francese de Sade. La tolleranza porta spesso a mugugni, ma non vi è alcun risultato nei mugugni. Che ti piaccia o no, la mia generazione, in tutto il mondo, è circondato da questi ‘diversi’ tipi di persone. Questo non mi dà nessuna paura, nes-suna insicurezza: li ho sempre avuti intorno a me alla pari, amici, concorrenti. Li conosco, so cosa voglio aspettarmi da loro: mi aspetto che loro mi accettino come io li accetto. E così, babbo, credo che la mia generazione, fatta di tutte queste “differenze” possa far funzionare il futuro. Le nostre mani di diversi colori lavore-ranno insieme. Le nostre lingue comunicheranno in una sola lingua, i nostri piedi si muoveranno in modi diversi, ma verso un unico obiettivo.Quindi, pensaci ancora, babbo, prima di lamen-tarti di queste “differenze”. Oggi è oggi! È vera-mente importante se a te sembra diverso da ieri? È brontolando che puoi tornare indietro? No, devi fare il tuo dovere: accettare ma non tollerare.

Tuo figlio

Anu Vincent (“ospite extracomunitaria”)

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26 Comunità di Loreto

Lo sapete che nel nostro quartiere alcune strade sono intestate a dei garibaldini che parteciparono alla spedizione dei mille, in gran numero bergamaschi?In virtù di questa precisazione, questa volta, curiosamente andiamo alla scoperta di due TALENTI: Luigi Caroli, un valoroso eroe garibaldino, appartenente ad una delle famiglie più in vista dell’alta borghesia bergamasca, a cui è dedicata una traversa di Piazza Varsavia e Giuseppe Dossi, giornalista, scrittore, appassionato di storia risorgimentale.

Come è nata questa sua passione piuttosto insolita?Senza dubbio da più di 30 anni; le motivazioni sono diverse e interdipendenti: il mio lavoro di giornalista presso l’Ufficio Stampa della Regione, l’amicizia con persone che provavano il desiderio di conoscere e di ap-profondire gli stessi interessi, la partecipazione alle ini-ziative di Comitati che si occupavano di ricerca storica, gli incontri, in particolare in questi ultimi anni con la professoressa Rosanna Casari che svolge la sua attività presso l’Università di Bergamo.

Questa sua passione ha portato a dei risultati con-creti?È stata veramente produttiva la collaborazione con gli amici.Nel 2013, per celebrare degnamente il 150° anniversa-rio dell’Unità di Italia e nello stesso tempo ricordare l’an-niversario della morte dell’eroe garibaldino Francesco Nullo, abbiamo deciso di far conoscere aspetti inediti della sua vita attraverso il volume “Omaggio a Francesco Nullo” (Edizione Sestante), scritto “a più mani” pubbli-cato con il patrocinio del Comune di Bergamo.

In seguito come è proceduto il suo lavoro?Consultando documenti e materiali provenienti da archi-vi italiani e russi con l’intento di far conoscere Francesco Nullo non solo sotto la veste di uomo d’azione ma anche di politico e industriale abbiamo scoperto che Luigi Ca-roli era molto amico dell’eroe garibaldino e con lui aveva partecipato alla drammatica spedizione per la liberazio-ne del popolo polacco dal giogo zarista, finanziandola generosamente. (Alia: Bellissimo!!! L’immaginario collettivo ricorda la spedizione dei Mille in Sicilia e del Sud Italia; invece molti garibaldini, animati dallo spirito di libertà e giusti-zia, apportarono il loro contributo ad altre popolazioni, anche sacrificando la vita.)

Mi parli del suo ultimo libro “Luigi Caroli”.Questo volume, pubblicato da Corponove - Bergamo e patrocinato dal Comune di Stezzano, di cui il Caroli era originario, è stato scritto “a quattro mani”, cioè da Ro-sanna Casari e da me, anzi per meglio dire, come evi-denzia il sottotitolo in copertina “a due voci”.

Quale metodo avete se-guito nella stesura del li-bro?Prendendo spunto dalle memorie del giornalista francese Emile Andreoli, amico dell’eroe bergama-sco abbiamo adottato la formula dell’intervista a due (Rosanna ed io) proprio per rendere la lettura più scor-revole e vivace.

Quale è stato il vostro intento?Mettere in risalto la figura di Luigi Caroli attraverso aspetti inediti e poi fornire un valido contributo per la conoscenza delle vicende dei volontari combattenti per la libertà della Polonia.

Qual è il contenuto del libro?Si divide in due parti. Una descrive la preparazione in Bergamo della spedizione in Polonia e l’altra la prigio-nia del Caroli catturato dai cosacchi nella battaglia di Krzyawka (1863) e condannato ai lavori forzati in Sibe-ria, dove morì tragicamente nel 1865, lontano dalla città natale e dalla donna amata.

Quando verrà pubblicato il libro?È stato presentato a Villa Caroli - Zanchi (Stezzano) il 21/11/2015 ed è già nelle librerie.

Oltre la sua attività di scrittore, ha riposto la sua passione in qualche altro ambito?Ho collaborato al ripristino del Museo Risorgimentale in Rocca (Città Alta) che poi è stato trasferito in Piazza Mercato del Fieno e poi al riordino dell’Istituto Storico del Risorgimento.

Coltiva ancora dei progetti?Continuare gli studi.

Nel colloquio con il signor Giuseppe ho colto un inse-gnamento significativo: l’amore per la ricerca costruttiva e per la cultura, la bellezza di condividere le conoscen-ze, di lavorare insieme, A PIÙ MANI per perseguire un obiettivo comune.

ALIA

Alla scoperta dei talenti...

nel nostro quartiere

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27Gennaio/Febbraio 2016

DAL GHANA A BERGAMO: la storia di EvansAbrokyire in dialetto ashanti signifi-ca altrove. E l’altrove è l’estero, sono l’Europa e l’America, moderni “paesi di Bengodi” dove tutti i desideri sono esauditi, i sogni realizzati, il benesse-re e l’abbondanza alla portata di tutti. La storia di Evans non è segnata da-gli eventi traumatici che vivono molti migranti in fuga dalla fame, dalla vio-lenza, dalla guerra, uomini e donne che finiscono o per essere inghiottiti dal mare prima di toccare le rive di Lampedusa - morti senza nome e senza storia, sem-plicemente numeri - o per rincontrare la miseria di sempre anche dopo l’approdo in Abrokyire, dove de-vono cercare di sopravvivere con il cuore schiacciato dal peso di un sogno infranto e un futuro avvolto dal buio. La storia di Evans apre il cuore alla speranza. Ecco perché l’ho voluta raccontare. Ed è stato come dare voce a quanti in Africa sono cresciuti e crescono nella povertà, sognando l’altrove, un ignoto immagina-to come favoloso, da cui non si vuole essere esclusi. Per raggiungerlo si è disposti a pagare qualsiasi prezzo e a correre qualsiasi rischio. Quando ho manifestato ad Evans, proprio la sera in cui si festeggiava la sua laurea, il mio desiderio di raccontare la sua storia in un libro, ero mossa, come nei miei tre libri precedenti, dal mio interesse per le storie di uomini e di donne. Qui si trattava però di andare in trasferta in un continente che conosco poco per raccontare la storia di un gio-vane migrante - proveniente dal Ghana - cominciando dalla sua infanzia africana: significava scoprire un re-troterra, perché sono soprattutto i problemi che creano i flussi di migranti dal momento in cui - se riescono - essi sbarcano sulle nostre coste a tener banco sui no-stri mass media. Si parla genericamente di fuga dalla miseria, dalla violenza, dalla guerra, ma poco dei sogni e delle illusioni che spingono sempre più persone ad

affrontare un viaggio che pare offrire l’ultima chance di sopravvivenza. Non ero sicura che Evans avrebbe accet-tato e invece, da parte sua, nessuna sorpresa, né diffidenza, né esitazio-ne... Per circa otto mesi, con cadenza settimanale, l’ho incontrato e il libro è un po’ il frutto di una chiacchierata, un po’ il risultato di una lunga inter-vista, ma poi ho voluto fosse un libro di narrativa, non una sorta di reporta-ge giornalistico su un’infanzia vissuta

nell’attesa di emigrare altrove. Ho privilegiato il regi-stro narrativo perché è quello che mi è più familiare. Si trattava poi di dare una “veste letteraria” a una storia raccontata con molta semplicità. Mentre, segmento dopo segmento, Evans mi raccontava, inizialmente a fatica, poi con maggiore scioltezza, stralci della sua vita, emergevano i due punti fermi attorno ai quali de-cisi che avrei strutturato il racconto: il mito dell’altrove e il rapporto con la terra d’origine, i suoi valori, la sua cultura, una volta che ci si è allontanati. All’esperienza personale di Evans mi piace attribuire un valore uni-versale: molti, almeno una volta nella vita, sognano o hanno sognato di trasferirsi altrove, temporaneamente o definitivamente, lasciandosi alle spalle luoghi e per-sone. Si parte in cerca di lavoro e di un futuro migliore, per evadere dalla routine e ricominciare tutto da capo, per fuggire da un pericolo, per ansia di conoscenza o magari per cercare - come scrive Ungaretti - un paese innocente...

Ines Soncini

ABROKYIRE, il sogno dell’altroveSi è costituita il 26 gennaio 2015 a Bergamo l’Associazione culturale ESSERCI sorta dal desiderio di componenti delle passate Commissioni cultura di Loreto di continuare a svolgere attività culturali a favore della comunità, in-termediari tra le Istituzioni e le esigenze dei cittadini. L’associazione si propo-ne di essere presenza attiva per promuovere iniziative culturali e sollecitare la partecipazione alle proposte del territorio, in particolare si prefigge di: tenere viva e approfondire la conoscenza del patrimonio artistico della città e della provincia, delle sue varie stratificazioni storiche e trasformazioni urbanistiche, quale momento identitario e di appartenenza consapevole; favorire la fruizione di manifestazioni artistiche offerte dal territorio; riflettere sui nuovi linguaggi e sulle forme di comunicazione tecnologica, in costante evoluzione; sollecitare momenti di incontro e di aggregazione; riflettere su scelte e attività diffuse.

In collaborazione con l’associazione culturale ESSERCI e la biblioteca di Loreto conosceremo Evans e la sua storia MERCOLEDÌ 24 FEBBRAIO alle ore 20.45 in Oratorio.

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E U R O S O L I D A L Estor ie di miss ione

1. P. Franco Cagnasso ci ha scritto dalla sua missione in Bangladesh in occasione del Natale. Pubblichiamo la sua lettera. Attraverso il gruppo Eurosolidale lo ringraziamo e facciamo l’augurio di un buon 2016 da

parte di tutta la comunità di Loreto.

Carissimi Amici, non posso iniziare questa lettera di notizie e auguri senza ricordare il mio confratello e amico, il medico p. Piero Parolari. Il 18 novembre scorso, come ogni giorno, si recava in bicicletta a vi-sitare alcuni ammalati, quando alcuni sconosciuti lo hanno accostato e gli hanno sparato. Miravano alla testa, ma “miracolosamente” lo hanno ferito al collo senza ledere organi vitali. La caduta dalla bicicletta gli ha provocato fratture varie, ma la vita è salva. Ora si sta lentamente riprendendo in Italia, mentre la po-lizia presidia le missioni di Dinajpur, e noi possiamo uscire solo con la scorta. Una situazione che mette a disagio, e speriamo non duri a lungo.Questo episodio si aggiunge ad altri del genere, forse causati dall’intento di destabilizzare il governo col-pendo stranieri che vivono in Bangladesh. Fa parte di una situazione tesa e deteriorata. L’anno era iniziato con tre mesi terribili, pieni di violenza in tutto il Pae-se, di paura, di persone bruciate vive in autobus e ca-mion, per aver osato sfidare l’assurdo blocco procla-mato dall’opposizione. Poi, gradualmente, la violenza s’è placata, seguita fino a settembre da una relativa calma che ha permesso di tornare alla vita normale. Al Centro Assistenza di Rajshahi sono ricominciati a venire gli ammalati, mentre a Snehanir, la “casa della tenerezza”, ai circa 30 ragazzi e ragazze con problemi agli arti si sono aggiunti altri 15 fratellini e sorelline con problemi di udito e di vista. Dopo qualche giorno di lacrime e nostalgia, i nuovi si sono adattati bene e ora fanno pienamente parte del gruppo. Per loro abbiamo preso quattro istruttrici che inse-

gnano usando la scrittura braille e il linguaggio dei segni, secondo le esigenze di ciascuno. Sono la gio-vane suor Shewly, che affianca suor Dipika nella re-sponsabilità di tutta la comunità; Shanti che, ampu-tata ad un braccio a seguito di un incidente, viveva stentatamente e manteneva una sorella pulendo i gabinetti di un grosso ricovero statale; Paulina, che aveva appena terminato gli studi intermedi; e Agata, che sfida le conseguenze della poliomielite lavorando da noi e continuando a studiare per laurearsi. Tutte e quattro dicono molto ai loro alunni, con le parole, ma ancora di più con la loro vita. La scuola di Dino e Rotna nella baraccopoli di Dhaka ha fatto progressi inimmaginabili: usando vecchi computer donati da scuole per stranieri, organizza per le ragazze di quinta elementare niente meno che un corso di informatica; i risultati scolastici sono ottimi, abiti smessi aiutano a restare puliti e in ordine accrescendo il rispetto di sé.Nella baraccopoli, come nei villaggi più poveri, verso i 14 anni una ragazza in molti casi non può conti-nuare la scuola, perché i genitori la vedono come un peso economico e cercano di sbarazzarsene sposan-dola. Allora Dino e Rotna intervengono promettendo alla famiglia 10/15 chili di riso mensili, a condizione che essa resti a casa, cresca e completi almeno le elementari.L’ostello dei ragazzi e ragazze Marma “Hill Child Home”, nel sud, ha inaugurato i due dormitori, fem-minile e maschile a Tong Khyang Para, e ha costruito un recinto per proteggere da frequenti disturbatori i più grandi, che vivono in una sezione staccata vici-no alla città. Anche per loro i risultati scolastici sono buoni, e la voglia di studiare c’è. Rimangono purtrop-po tensioni continue fra gli aborigeni, come loro, e i bengalesi che le tentano tutte per impadronirsi delle loro terre. La situazione tesa offre alle autorità il pre-testo per negare agli stranieri il permesso di entrare in quelle aree. Per questo - con mio grande dispiace-re - quest’anno ho dovuto cancellare il programma di andare a visitare i ragazzi. Finora la zona dell’ostello è rimasta tranquilla, speriamo che prosegua in pace, e che io possa ritornare a condividere qualche ora di gioia con loro!Personalmente, da fine luglio ho fatto un imprevisto intervallo di due mesi in Italia; i medici si sono dati da fare e mi hanno rimesso in sesto molto bene. A Milano, il 20 settembre, partecipando al tradiziona-le “Congressino Amici PIME”, mi sono reso conto

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dell’impegno e della “grinta” necessari per realizza-re le “esposizioni” di prodotti del Bangladesh. Ogni anno, amiche e amici di Milano, Lecco, Romano Lombardo e altri affrontano più volte questa fatica per offrire un aiuto sostanziale alle persone e alle ini-ziative che seguo. La mia riconoscenza verso di loro, e verso tutti voi che ci aiutate, si è fatta perciò più consapevole e viva. Grazie!Il mio incarico di superiore dei missionari del PIME in Bangladesh, svolto per quattro anni, è terminato, e mi succede il giovane p. Michele Brambilla - che era il mio vice. Mi hanno proposto, e ho accettato un nuovo compito: ritornare a Dhaka, quartiere Mirpur 2, dove mi trovavo prima di essere eletto nel 2011, per aiutare p. Quirico nel lavoro parrocchiale. Mi oc-cuperò della formazione di un gruppo di studenti di College che mostrano interesse a diventare missionari e vivono collaborando con noi in parrocchia. Continuerò anche, come faccio da anni, ad aiutare

studenti e ammalati poveri, e a sostenere gli ostelli “Hill Child Home” e “Snehanir”, il Centro Ammalati, la scuola nella baraccopoli e le altre opere che dipen-dono dal vostro aiuto.Le difficoltà non mancano, ma sento profondamente la bellezza di poterle vivere in condivisione con per-sone semplici, umili, povere, che non hanno respon-sabilità per i disastri che l’umanità sta provocando a se stessa. È il mio modo di credere nella più straor-dinaria delle condivisioni, quella di Dio stesso che in Gesù viene a “porre la sua tenda in mezzo a noi” e a camminare con noi. A Lui chiedo forza e gioia per continuare, sicuro che la mia vita è nelle Sue mani e non può certo essere distrutta dalla stolta violenza di persone acciecate dall’odio. Che nessuno si impadro-nisca della nostra anima, questo è l’importante!È il mio augurio per tutti voi, accompagnato dalla pre-ghiera riconoscente

p. Franco Cagnasso

2. Lo scorso martedì 1 dicembre, il gruppo Eurosolidale ha incontrato il sig. Gaetano Comandatore che ci ha raccontato come da una esperienza di adozione internazionale sia nata un’associazione chiamata Opera

Suor Maddalena Onlus.

Gaetano e la moglie Nicoletta, come molte altre cop-pie italiane, hanno conosciuto Suor Maddalena nel tribunale di Cochabamba: Suor Maddalena era l’in-terprete giurata per la pratica di adozione. Da anni Suor Maddalena accetta di svolgere questa attività per avere un aiuto in più per il suo Hogar Wasinchej (Sacaba) da lei gestito. Spesso i missionari hanno un qualcosa di speciale e Suor Maddalena conferma la “regola”. Originariamente l’hogar (casa/focolare) ospitava bambini/e ed era una struttura in costruzio-ne, ma priva di acqua calda, con finestre senza vetri, camere in cui c’erano stuoie invece dei letti, manca-vano i guardaroba e la struttura nel suo complesso era quanto mai “inadeguata”. La “caparbietà” di Suor Maddalena e gli aiuti dall’I-talia hanno trasformato l’hogar nel posto che pote-te vedere nelle foto e in cui trovano ora accoglienza bambine e ragazze.Il proposito di Suor Maddalena era di dare una di-mora fissa alle bambine (orfane o abbandonate o con gravi disagi familiari) sino a quando non fossero state in grado di provvedere da sole al loro sostentamen-to: di qui la grande attenzione allo studio, perché solo con l’istruzione avrebbero potuto guadagnarsi l’emancipazione e l’autonomia. Sul finire del 2007 le nuove leggi introdotte per l’as-sistenza governativa ai minori, hanno cambiato il vol-to delle varie strutture. Suor Maddalena si è vista decurtare gli aiuti economici e, suo malgrado, mo-dificare l’impostazione del proprio lavoro: le ragazze più grandi non avevano più diritto ad alcun aiuto e

l’Hogar avrebbe dovuto limitarsi ad ospitare le minori e solo per il tempo necessario (2 o 3 anni) a trovar loro un’altra sistemazione. Tutto ciò esigeva una rior-ganizzazione del lavoro di Suor Maddalena che:• non avrebbe più potuto contare sulla collaborazio-

ne delle ragazze più grandi verso le più piccole• non avrebbe potuto aiutare le ragazze fino al conse-

guimento di un titolo o della laurea • si trovava nella difficoltà di dare un’accoglienza più

“duratura” alle “sue bambine”. I tagli degli aiuti, inoltre, erano tali da mettere a ri-schio la sostenibilità dell’intero progetto. In un mo-mento di sconforto, Suor Maddalena riferì quanto stava accadendo ad una coppia di genitori adottivi che, al loro rientro a Bergamo, lo raccontarono ad

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altri genitori adottivi loro amici. Il 15 aprile 2008 è stata costituita l’Opera Suor Mad-dalena Onlus, un’associazione di genitori adottivi che si sono assunti l’impegno di donare e di raccogliere fondi per aiutare Suor Maddalena nel “suo lavoro”. Noi genitori adottivi come tutti quanti collaborano con la ONLUS “Opera suor Maddalena”, ci sentiamo

partecipi di questa missione che coniuga accoglien-za, attenzione educativa, formazione. È una missione che ci avvicina concretamente alle bambine accolte da suor Maddalena, ma nel respiro evangelico che apre all’universalità. Per questo la nostra Onlus non ha confini chiusi, chiunque può fare strada con noi e sostenere “Opera suor Maddalena”.

3. Mercoledì 2 marzo: CENA DEL POVEROMalawi, Africa Sud Orientale, 15 milioni di abitanti, reddito medio pro capite 240 euro all’anno, pari a 20 euro al mese, il penultimo al mondo. Le più an-tiche tracce umane risalgono a oltre 50.000 anni fa. È facile giocare con i numeri, ci danno subito l’idea dell’estrema povertà di questo paese, ma sono così freddi e fuorvianti. ... Quando si decide di partire per un paese così “lon-tano”, il Malawi, si pensa di dover aiutare a tutti i co-sti, con i mezzi a nostra disposizione, all’occidentale; in realtà, quando ci si reca in Africa, ci si rende conto che siamo noi ad aver bisogno di aiuto, per cambiare prospettiva di vita, vedere le cose in modo diverso; e sono proprio loro che aiutano te, ti fanno un grande dono e, nella misura in cui ti lasci coinvolgere, puoi anche tu essere d’aiuto a loro.E si ritorna con il cuore colmo di emozioni contra-stanti, di gioia e stupore, di dolore e sofferenza, di nuovi stimoli e di voglia di cambiare qualcosa, di con-sapevolezza di una realtà completamente opposta a quella che quotidianamente viviamo, ma soprattutto, si torna con la nostalgia che si prova quando si la-scia la propria casa, quando ci si deve allontanare da qualcuno che hai tanto amato.... Un territorio, quello del Malawi, disagiato, un infi-nito senza limiti, una sopravvivenza davvero difficile, abitato da un popolo con una grande gioia e voglia di vivere. Siamo a Nancholi, un villaggio a sud di Blantyre, è il 23 agosto; ci incamminiamo, zaini in spalla, colmi di vestiti, tra la folla, che ci circonda e ci guarda incuriosita, a poco a poco scendiamo a valle verso il villaggio, il caldo è insopportabile, ma il desiderio di scoprire questa nuova realtà ci fa supe-rare qualsiasi disagio.In un attimo, senza renderci conto, siamo attorniati da bambini e ragazzi, e non sentiamo più il caldo, la sete, la stanchezza; gli abitanti del villaggio si avvicinano per salutarci, per stringerci le mani, per toccarci, ognuno con il proprio sorriso, 100 mani, 100 occhi, 50 cuori colmi di amore. Non sappia-mo esattamente cosa provammo in quell’istante ma, fu la sensazione più intensa mai vissuta, un silenzio

assordante, ascoltavamo e riascoltiamo ancora oggi quel silenzio; proviamo le stesse emozioni ogni volta che il pensiero si ferma a quei momenti, ogni volta che li raccontiamo. La gioia dei volti dei bambini e la gratitudine degli adulti ci fa sentire piccoli piccoli.

Facciamo visita al NAYO (Nancholi Youth Organiza-tion); i nostri nuovi amici ci accolgono e ci spiegano attentamente come viene gestita l’organizzazione e quale sia la loro missione: promuovere e proteggere le prospettive di vita dei giovani dal punto di vista sociale, economico e politico e combattere le proble-matiche sociali che portano alla malnutrizione, alla diffusione di malattie.Una settimana vola velocissima, è già ora di separar-si, intorno a noi solo silenziosi occhi, curiosi e sorri-denti. Ogni tanto scattiamo qualche foto e poi gliele mostriamo, sono felici, contenti di rivedersi. È dura salutarsi, in quel silenzio abbiamo creato il nostro legame. Citando Papa Francesco: “Dio ci stupisce, ma anche l’Africa ci stupisce!”.E ci troviamo seduti ad una scrivania a fare la nostra dichiarazione d’amore ad un Paese che fortemente vorremmo conoscessero tutti. Vi diamo quindi ap-puntamento alla Cena del Povero e vi invitiamo il 2 marzo in oratorio.

Mauro e Rosita

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31Gennaio/Febbraio 2016

Durante l’ottavario dei morti, come di consueto, nella bacheca fuori dalla chiesa, era esposto l’e-lenco dei defunti dell’anno ed abbiamo notato con quanto interesse e curiosità veniva osservato e letto. Si formavano capannelli di persone, ognuno che diceva la sua, soprattutto ci si impressionava per l’alto numero dei morti (ben novantadue quest’an-no!!!) al punto che taluni facendo gli scongiuri, un po’ per scherzo, un po’ per scaramanzia, un po’ per farsi coraggio, dicevano addirittura di voler cambiare quartiere, ma li tranquillizziamo subi-to, perché statisticamente la mortalità nel nostro quartiere risulta in linea con quella dei tanti altri “quartieri invecchiati”. Un altro particolare che colpiva era che leggendo i nomi ci si ricordava dell’uno e dell’altro e se qualcuno dei presenti non riusciva ad identificare la persona bastava evidenziarne un particolare e subito la individua-vi: “Ma certo che la conoscevi!!! Era quella che andava sempre in bicicletta... era il fratello del ti-zio... era quella che abitava nel tal condominio... era quel signore coi baffi... veniva sempre alla messa delle nove... era quella che faceva parte del tal gruppo... si sedeva sulle sedie in fondo alla chiesa”.A parte le “chiacchiere da sagrato” ognuno nella sua singolarità, nella sua unicità veniva ricordato, era presente e lo sarà ancora. Leggendo il nome di tanti di loro, poi, ci si sentiva stringere il cuo-re, ti veniva un groppo: hai rivisto quel viso, hai pensato all’ultima volta che l’hai incontrato, alle ultime parole scambiate, alla speranza di farcela che lo sosteneva, alla sofferenza che ha patito, poi, al calvario dei famigliari, al loro senso di im-potenza, di angoscia.Il vuoto che ognuno lascia è immenso, incolma-bile. Ti ricordi del suo esempio, della sua amici-zia, del bene che ti ha fatto, delle orme che ti ha tracciato, del suo impegno in comunità. Quanti ricordi da tenere vivi e cari nel cuore e quanta gratitudine per i fratelli che ci hanno preceduto, che sono andati avanti. Che grande riconoscenza poi, dobbiamo a Dio, perché facendoci cristiani ci ha donato la fede, ci ha inserito nella Chiesa, la famiglia per eccellenza, “famiglia delle famiglie” dove sei accolto e condividi la gioia e il dolore, la festa e il lutto e ognuno si fa carico dell’altro, non sei più solo, abbandonato, alla deriva, ma sei

un fratello, un compagno di viaggio solidale, tutti pellegrini in cammino verso la casa del Padre. Anche nella morte la misericordia fa veramen-te fiorire la Vita, perché nel dolore del distacco trionfa per tutti e per sempre il bene che uno ha fatto. C’è un segno, un gesto molto bello, che compiamo nella nostra comunità, ricco di significato, carico di simbologia, di solidarietà: è il corteo che for-miamo ad ogni funerale, per il breve tragitto del viale della Chiesa, quell’accompagnare o essere accompagnati a “Casa”... con il rintocco mesto, triste, lacerante della campana, che ti penetra dentro, ti scuote, ti fa pensare alle parole con cui Hemingway conclude il suo romanzo “... perciò quando senti suonare la campana, non mandare a chiedere per chi suona, essa suona per Te!”.

Teresa

Per chi suona la campanaPer chi suona la campana

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32 Comunità di Loreto

Ringraziamenti da...FONDAZIONE ONLUS PIERO E LUCILLE CORTI IN UGANDAGrazie di cuore per la vostra donazione. Il sostegno di donatori come Voi per le attività della Fondazione Corti nell’aiuto e nel supporto al Lacor Hospital è sempre di centrale importanza. Il nostro grazie è anche a nome di tutti gli uomini, le donne e i bambini che ogni giorno vengono curati all’interno del Lacor Hospital e dei 3 Centri sanitari perife-rici. Sono tanti, arrivano a decine ogni giorno, sanno che il Lacor è un buon ospe-dale, che riceveranno l’assistenza più adeguata anche se la loro famiglia è povera, perché qui il malato viene prima di tutto: questo è l’insegnamento fondamentale tramandato da Piero e Lucille Corti, fondatori dell’ospedale. Recentemente, ad un evento di raccolta fondi della Fondazione, abbiamo avuto la fortuna di avere con noi il Dott. Emmanuel Ochola, medico epidemiologo respon-sabile al Lacor Hospital dei circa 14.000 malati di AIDS seguiti (tra cui quasi 7.000 in terapia antiretrovirale) e della ricerca. Gli abbiamo chiesto, di descrivere il Lacor e lui ci ha riportato alla memoria la canzone “La casa dei matti numero zero” di Sergio Endrigo. Quella canzoncina che ha imparato nel periodo in cui ha vissuto in Italia, il Dott. Emmanuel non l’ha dimenticata e lo riporta con il pensiero al Lacor, che, se confrontato con gli ospedali italiani, gli ricorda proprio quella casa senza nulla ma dove in realtà, grazie all’aiuto dei donatori, si riesce a fare tantissimo per i 250.000 malati curati ogni anno. La ringraziamo per il Suo contributo di Euro 3.568,00 del 02/11/15 perché la Sua donazione va molto, molto al di là della semplice cura.

Dominique Corti Fondazione Piero e Lucille Corti Onlus

DAL COTTOLENGO DI TORINORev.do Sig. Parroco e carissimi Cresimati in data 2.11.2015 con bonifico bancario abbiamo ricevuto la generosa of-ferta di € 315,00 per le necessità della Piccola Casa. Anche quest’an-no nel vostro cammino di fede, avete tenuto presente la dimensione della Carità concreta verso chi è povero e bisognoso. Vi ringraziamo e lodiamo il Signore che ha suscitato in voi tanta generosità. Affidiamo al Santo Cot-

tolengo tutti voi giovani, le vostre famiglie, i vostri educatori. Egli sostenga la vostra fede, i vostri impegni, i vostri studi. Auguri di un fecondo ministero pastorale alla comunità di Loreto con il dono della preghiera della Piccola Casa. Distinti saluti

P. Lino Piano - Direttore

DALL’OPERA S. GREGORIO BARBARIGO DEL SEMINARIO VESCOVILECarissima comunità di Loreto, grazie per l’offerta raccolta nella vostra comunità parrocchiale di e 1.650,00 in occasione della Giornata del Seminario. Grazie per le preghiere che costantemente fate al Signore per il Seminario e per le nuove vocazioni sacerdotali.Grazie per la vostra disponibilità a far crescere e valorizzare i semi di vocazione al Sacerdozio che il Signore semina nella Chiesa di Bergamo. Grazie per la possibilità offerta ai ragazzi, adolescenti e giovani di frequentare gli incontri vocazionali che si svolgono in Seminario.Questo grazie, che dico a nome del Rettore, vuole essere l’espressione corale di tutto il Seminario, dagli educatori agli insegnanti e degli stessi seminaristi.Il Signore vi benedica e vi restituisca cento volte tanto. Con sincera stima

don Carlo Nava - direttore dell’opera Barbarigo

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33Gennaio/Febbraio 2016

Santa Lucia dei nonniVenerdì 11 dicembre con qualche giorno d’anticipo abbiamo festeggiato Santa Lucia tradizionalmente cara ai bambini, ma con uno sguardo amorevole rivolto anche agli anziani del quartiere di Loreto. Il pomeriggio di festa è stato organizzato dalla Custodia Sociale del comune di Bergamo e dalla Parrocchia ben rappresentata dal Centro Primo Ascolto e Conferenza San Vincenzo. Ma è frutto anche di un pensiero comune e di un lavoro di rete tra le varie realtà del quartiere che si impegnano a rispondere ai bisogni della popolazione anziana. Per esempio il Centro Culturale Terza Età che offre occasioni per trascorrere momenti

in compagnia o il servizio Autoamica che si occupa del trasporto di anziani per visite e controlli. Il pomeriggio è stato davvero piacevole: abbiamo fatto merenda, giocato a tombola, chiaccherato e ci siamo scambiati gli auguri di Natale con un piccolo regalo e biglietti d’auguri preparati dai bambini che frequentano lo spazio compiti della Parrocchia. Un ringraziamento a tutti i nonni partecipanti, ai nipoti presenti che hanno animato la tombola, ai soggetti citati, a tutti i volontari impe-gnati in cucina, nel trasporto e nel riassetto degli spazi. Grazie per aver reso possibile un altro bel momento di comunità con lo spirito semplice del fare e dello stare insieme!!

Nicoletta, educatrice area anziani

DAL PROGETTO “QUASI A CASA”Carissimo don Mario, un grande grazie a lei e a tutto il gruppo “Api operaie” per la vostra attenzione e vicinanza ai bambini dell’oncoematologia pediatrica e alle loro famiglie con l’offerta generosa di e 2.500,00. Al progetto “Quasi a casa” ci teniamo in modo particolare ed ogni contributo ricevuto oltre che avvicinarci a questo “sogno” ci da la consapevolezza di non essere soli e più il sogno è condiviso più è facile che si realizzi.....Un augurio di Buon Anno

Antonio, Sara, Associazione conGiulia e tutto il reparto di ematoncologia pediatrica ospedale Papa Giovanni

AUSER CITTÀ DI BERGAMO per l’accompagnamento di persone con fragilità e per il telefono della solidarietà sociale, il Filo d’Argento.

Cerchiamo di contrastare solitudine ed emarginazione attraverso l’ascolto.

Il servizio di telefonia è attivo dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 17.Potete contattarci al 035.231872 - fax 035.221105

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