Lettera alla parrocchia - santafamiglia.info · Angelo Comastri, arcivescovo di Loreto: «Sessanta...

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Cara vecchia Parrocchia ti scrivo... LETTERA ALLA PARROCCHIA Il metodo ed il progetto della parrocchia verso il Giubileo del 2000, a 60 anni da «Lettera sulla parrocchia» di don Primo Mazzolari Presentazione di Mons. Angelo Comastri arcivescovo di Loreto EDIZIONI BANCA DEL GRATUITO Cara vecchia Parrocchia ti scrivo... LETTERA ALLA PARROCCHIA

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Cara vecchia Parrocchia ti scrivo...

LETTERA ALLAPARROCCHIA

Un libro sulla parrocchia scritto da una parrocchiaper tutti quelli che amano la parrocchia.

Un invito al dialogo e al confronto tra comunitàparrocchiali in preparazione al Giubileo.

Dalla presentazione di Mons. Angelo Comastri, arcivescovodi Loreto:

«Sessanta anni fa, esattamente nel 1937, un parroco lanciòuna sfida d’amore: credette che il granellino di senapa seminatoda Cristo nei solchi della storia umana poteva esplodere inuna nuova stagione di fioritura, partendo dalla Parrocchia!Nacque la Lettera sulla Parrocchia di Don Primo Mazzolari.Essa sgorgò dal cuore di un parroco, che osava dichiarare: “Misono stancato di tutto fuorché di fare il parroco. Vuol dire che è ilnostro vero mestiere: che la famiglia la ritroviamo soltanto con una‘chiesa’ sul cuore, che ti schiaccia e che ti porta”.Sessanta anni dopo, esattamente nel 1997, mentre la Chiesadi Dio cammina verso il terzo millennio cristiano, un altroparroco, assieme alla sua comunità, senza pretesa ma conautentica passione ed evangelico entusiasmo, riprende la sfidalanciata da don Primo Mazzolari e scrive Lettera alla Parrocchia.

Il Santo Padre nella “Tertio millennio adveniente” scrive così:“Tutto dovrà mirare all’obiettivo prioritario del Giubileo che è ilrinvigorimento della fede e della testimonianza di cristiani.”(TMA,42).

Questo libro è un pungolo benefico che spinge nella direzioneindicata dal Santo Padre: per questo merita il nostro grazie...e qualcosa di più; merita di essere preso sul serio!»

L. 22.000

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EDIZIONIBANCA DELGRATUITO

Il metodo ed il progettodella parrocchiaverso il Giubileo del 2000,a 60 anni da «Lettera sulla parrocchia»di don Primo Mazzolari

Presentazione diMons. Angelo Comastriarcivescovo di Loreto

EDIZIONI BANCA DEL GRATUITO

Cara vecchia Parrocchia ti scrivo...

LETTERA ALLAPARROCCHIA

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Un libro sulla parrocchia scritto da una parrocchiaper tutti quelli che amano la parrocchia.

Un invito al dialogo e al confronto tra comunitàparrocchiali in preparazione al Giubileo.

Dalla presentazione di Mons. Angelo Comastri, arcivescovodi Loreto:

«Sessanta anni fa, esattamente nel 1937, un parroco lanciòuna sfida d’amore: credette che il granellino di senapa seminatoda Cristo nei solchi della storia umana poteva esplodere inuna nuova stagione di fioritura, partendo dalla Parrocchia!Nacque la Lettera sulla Parrocchia di Don Primo Mazzolari.Essa sgorgò dal cuore di un parroco, che osava dichiarare: “Misono stancato di tutto fuorché di fare il parroco. Vuol dire che è ilnostro vero mestiere: che la famiglia la ritroviamo soltanto con una‘chiesa’ sul cuore, che ti schiaccia e che ti porta”.Sessanta anni dopo, esattamente nel 1997, mentre la Chiesadi Dio cammina verso il terzo millennio cristiano, un altroparroco, assieme alla sua comunità, senza pretesa ma conautentica passione ed evangelico entusiasmo, riprende la sfidalanciata da don Primo Mazzolari e scrive Lettera alla Parrocchia.

Il Santo Padre nella “Tertio millennio adveniente” scrive così:“Tutto dovrà mirare all’obiettivo prioritario del Giubileo che è ilrinvigorimento della fede e della testimonianza di cristiani.”(TMA,42).

Questo libro è un pungolo benefico che spinge nella direzioneindicata dal Santo Padre: per questo merita il nostro grazie...e qualcosa di più; merita di essere preso sul serio!»

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Dedicato alle parrocchiepiù piccole e più «esposte»

tra le 24.000che sono in Italia.

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Cara vecchia Parrocchia ti scrivo...

LETTERA ALLAPARROCCHIA

Il metodo ed il progetto della parrocchia verso il Giubileo del 2000

a 60 anni da «Lettera sulla parrocchia»di don Primo Mazzolari

Presentazione di MONS. ANGELO COMASTRIarcivescovo di Loreto

EDIZIONI BANCA DEL GRATUITOComunità Parrocchiale S. Famiglia, Fano

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La comunità parrocchiale «S. Famiglia» di Fanoringrazia il Prof. Carlo Piermattei e la Dott.ssa Irene Cavalliper la correzione delle bozze, la Dott.ssa Maria Rosa Notaris,Roberto Romano ed in modo speciale Monia Bettiper la battitura dei testi.

Ringrazia altresì Valter Toni, lo studio Kaleidon di Riminiper la impaginazione grafica e la copertina;Fara Editore per la collaborazione.

Il ricavato del libro sarà interamente devoluto alla CASA FAMIGLIA NAZARETH, Via Pagano, 6 - Fano.

La casa famiglia Nazareth è una casa di accoglienza, per minori e ragazzemadri, gestita da famiglie che vivono insieme per alcuni anni, missionarie«fidei donum» nella propria città.Una comunità più ampia di famiglie, costituitasi in associazione denominata«La Banca del Gratuito» le sostiene dall’esterno, condividendo con loro lospirito e la vita.

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PRESENTAZIONE

Sessanta anni fa, esattamente nel 1937, un parroco lanciò unasfida d’amore: credette che il granellino di senapa seminato daCristo nei solchi della storia umana poteva esplodere in unanuova stagione di fioritura, partendo dalla Parrocchia!

Nacque la Lettera sulla Parrocchia di Don Primo Mazzolari. Essasgorgò dal cuore di un parroco, che osava dichiarare: «Mi sonostancato di tutto fuorché di fare il parroco. Vuol dire che è il nostro veromestiere: che la famiglia la ritroviamo soltanto con una «chiesa» sulcuore, che ti schiaccia e che ti porta» (Don Primo Mazzolari - Lette-ra a M.V. del dicembre 1950 in «Pensieri e lettere», La Locusta, Vicen-za 1954, pp. 65-66).

Sessanta anni dopo, esattamente nel 1997, mentre la Chiesa diDio cammina verso il terzo millennio cristiano, un altro parroco,assieme alla sua comunità, senza pretesa ma con autentica pas-sione ed evangelico entusiasmo, riprende la sfida lanciata da donPrimo Mazzolari e scrive Lettera alla Parrocchia.

Questo fatto è meritevole di attenzione e di gratitudine.Innanzi tutto mi commuove pensare che un parroco e la sua

gente si appassionino sinceramente all’azione di rinnovamentodella parrocchia: chi lo può fare più di loro? Chi lo può capire piùdi loro? Chi lo può realizzare meglio di loro?

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Nel 1929 Emmanuel Mounier così scriveva alla sorella moltosofferente: «Bisogna non amareggiare l’anima, non colmarla di rim-pianti, ma conservarla giovane, cioè fresca, presente di fronte alla vitae all’avvenire. La grande tentazione è di credere che sia troppo tardi.Bisogna pensare che il nostro privilegio, la nostra luce è che noi stessipossiamo decidere di non invecchiare».

Questo lavoro a più mani della comunità parrocchiale dellaSanta Famiglia in Fano (PS), è perfettamente fotografato dalleparole di Mounier: per questo ho la certezza che il presente librofarà del bene e susciterà una discussione per ritrovare, al di sottodella polvere del tempo e delle infedeltà degli uomini pollagenuina del mistero della Chiesa che vive e pulsa nella parroc-chia.

Questo libro è rivolto alla Parrocchia: pertanto vuole essere l’i-nizio di un dialogo, vuole servire il dialogo stesso, vuole conse-gnarsi come «prima parola» per rompere il ghiaccio e far sprigio-nare le energie nascoste e le potenzialità sconosciute.

Come si articola il discorso in questa Lettera alla Parrocchia?Si parte da una premessa: «Ora stai per traghettare dal secondo al

terzo millennio e vorrei discutere con te sul volto col quale ti avvicini algiubileo ed inizi questo nuovo periodo. Con quale volto e con qualemetodo. Alle verità di fede si obbedisce; il metodo invece si può studia-re, si può discutere. Questa lettera vuol essere un invito alla discussio-ne, ma anche un atto di fiducia in te.

Ed ecco una precisa convinzione che diventa indicazione di unmetodo: «Tu mi piaci perché non chiedi a nessuno dei tuoi figli nien-te di più e di diverso da ciò che è indispensabile e necessario per tutti.Non carismi particolari, ma l’essenza, il pane solido della fede che ognicristiano deve mangiare. Allora, anche il tuo rinnovamento, passa attra-verso quello che nel tempo ha costituito la tua fisionomia essenziale: ilradicamento tra la gente, una territorialità intesa come servizio, la cele-brazione dell’Eucarestia domenicale e feriale, l’annuncio capillare del

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Vangelo, la capacità di integrare nella tua vita le esperienze pastoraliche nascono fuori o accanto a te».

E poi si snodano i tre capitoli che sono semplici e profondi,freschi come il pane appena sfornato e nutrienti come il panecasereccio.

Il primo capitolo fa centro attorno alla urgenza di una auten-tica e sapiente promozione del laicato presentata come una verarisorsa della Chiesa in questo momento storico: dal Concilio Vati-cano II al Magistero degli ultimi Pontefici c’è tutto un susseguirsidi impegnative affermazioni in questo senso; ora è necessario tra-durle in azione pastorale.

Il secondo capitolo affronta il formidabile problema della rap-porto tra separazione ed incarnazione visto con gli occhi della par-rocchia, che è la Chiesa che fa casa con l’uomo (p. 64): il problemaè trattato in modo vitale; si ha l’impressione che sia un’esperien-za che diventa riflessione e spinge ad ulteriori riflessioni, lancian-do intuizioni attualissime (come quella sull’ecumenismo dipopolo), affinché la parrocchia ritrovi il respiro a pieni polmoninell’oggi della salvezza.

Il terzo capitolo vuole aiutare a superare il conflitto tra spiri-tualismo e carità: nel passato molto spesso è mancato l’equilibriotra le due istanze. Oggi ognuno comprende che nessuna delle dueistanze va mortificata «perché l’apostolato è una interiorità che affio-ra e diventa opere» (Charles De Foucauld).

La postfazione dà il senso della coraggiosa proposta di questolibro: «Vuol essere la nostra una fotografia fatta col cuore di chi ama elavora in parrocchia, sognando ad occhi aperti a partire dai tanti segnipositivi che sperimentiamo ed intravediamo. Un sogno ad occhi apertima anche un esame di coscienza ad alta voce evidenziando i limiti el’urgenza di un profondo rinnovamento» (p. 204).

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Il Santo Padre nella «Tertio millennio adveniente» scrive così:«Tutto dovrà mirare all’obiettivo prioritario del Giubileo che è il rinvi-gorimento della fede e della testimonianza di cristiani. È necessario,pertanto, suscitare in ogni fedele un vero anelito di santità, un deside-rio forte di conversione e di rinnovamento personale in un clima di sem-pre più intensa preghiera e di solidale accoglienza del prossimo, spe-cialmente quello più bisognoso» (TMA, 42).

Questo libro è un pungolo benefico che spinge nella direzio-ne indicata dal Santo Padre: per questo merita il nostro grazie... equalcosa di più; merita di essere preso sul serio!

+ Angelo ComastriArcivescovo di Loreto

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CARA VECCHIA PARROCCHIATI SCRIVO...

Preferisco rivolgermi direttamente a te come si fa con gli amicipiù cari, senza problemi di forma, con la sola preoccupazione diaprirti interamente il cuore su ciò che in tanti anni ho sperimen-tato vivendo con te, sui tesori che porti, sui limiti che vedo, sulleprospettive per traghettare al terzo millennio.

Ti ho chiamato «vecchia». Hai portato il peso e la gioia dellaChiesa per tanti secoli.

A volte mi chiedo che sarebbe stato della fede senza di te,senza la parrocchia.

Non voglio far poesia: penso ai tuoi «curati» nei posti più sper-duti, un’intera vita legati a te con una fedeltà di stampo nuziale.

Penso alla tua gente, che, in qualche caso, conosci per nome daun millennio e con la quale hai condiviso gioie e dolori, dalnascere al morire.

Ora stai per traghettare dal secondo al terzo millennio e vorreidiscutere con te sul volto col quale ti avvicini al giubileo ed iniziquesto nuovo periodo.

Con quale volto e con quale metodo. Alle verità di fede siobbedisce; il metodo invece si può studiare, si può discutere.

Questa lettera vuol essere un invito alla discussione, ma ancheun atto di fiducia in te.

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Quanto più una realtà è preziosa, tanto più ha bisogno di curae di rinnovamento. Non ti offendere se ritengo che negli ultimitrent’anni, dopo il Concilio, sei, tra le realtà di Chiesa, quella cheha fatto più fatica a rinnovarsi.

All’inizio pensavamo bastasse cambiarti nome e ti abbiamosubito ribattezzata «comunità parrocchiale».

Ma era solo un segno.Poi, a fatica, lo Spirito del Concilio ha cercato di cambiare il

tuo volto.Non credo ti senta ancora realizzata.È giusto allora ascoltare quanti ti amano e ti servono da sem-

pre, per un confronto.Anche se poi è vero che ognuno ti pensa e ti plasma a suo

modo.

Un momento favorevole

Il momento per iniziare il nostro dialogo epistolare è partico-larmente favorevole: oggi, all’avvicinarsi del Giubileo, è un gran-de momento per te: documenti del magistero, studi, lettere pasto-rali, convegni, esperienze ti hanno posta con forza al centro dellavita della Chiesa.

Non ti avevo mai vista così in alto negli anni del post-Conci-lio.

Anzi, nei primi anni, si parlava di te come di chi è vicino allafine, una realtà superata sotto ogni aspetto.

Una realtà incapace di rispondere alle esigenze dell’uomomoderno, non più legato alle radici, al territorio, estremamentemobile, con una famiglia in crisi, cittadino del mondo.

In quegli anni le energie migliori della Chiesa, anche i preti,preferivano impegnarsi altrove.

Oggi in molti puntano su di te come crocevia indispensabiledi ogni grande rinnovamento ecclesiale. Cara vecchia Parrocchia,Gesù diceva: «Guai quando tutti dicono bene di voi...

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Quando tutti dicono bene di noi non si è così lucidi sui rischiche incombono e si può vanificare la congiuntura a noi favore-vole.

Molti, legittimamente, preferiscono vivere la loro testimonian-za di cristiani nei Movimenti o nelle Associazioni: sia perché lìhanno incontrato la fede, sia perché lì trovano legami forti diappartenenza, impegni specifici, non frammentati in mille servi-zi, come in Parrocchia, ma oggi anche i Movimenti e le Associa-zioni ti guardano con interesse quando ti scoprono viva e vitaleed anche tu sei più disposta ad imparare da loro per la tua vita edil tuo metodo pastorale.

La realtà che ti circonda non è poi così tranquilla: riunisciattorno a te una minoranza di persone (è un fatto assolutamentenuovo!), molti ti rispettano ma ti sono sostanzialmente indiffe-renti, molti se ne vanno senza sbattere la porta, quasi in punta dipiedi, con un misto di stanchezza e di nostalgia: non sono sem-pre delusi da te ma non riescono ad amare Colui che tu annuncie desideri tener vivo tra la gente.

Anzitutto la parrocchia

A fine secolo trovo ancora attualissima una frase di Peguy:Ce qu’il faut refaire avant tout, ce qui est capital, c’est la paroisse.L’ho trovata come motto di una bella lettera scritta su di te

esattamente 60 anni fa da uno di quei parroci che nel tempo tihanno fatto amare dalla gente (Don Primo Mazzolari - Letterasulla Parrocchia, 1937 - EDB Bologna, 1979).

Sessant’anni fa: Lettera sulla Parrocchia

La Parrocchia vista come qualcosa da rifare, da ricostruire, rivi-talizzare.

Rileggendo la lettera sulla parrocchia mi sembrava utile tener-la costantemente sotto gli occhi per parlare oggi del tuo metodoe della tua vita.

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Riprendere un testo di sessant’anni fa, per quanto lungimiran-te possa essere stato l’autore, potrebbe essere scambiato per unaprovocazione; quasi a dire: «tante cose che sono accadute poteva-no essere previste con un minimo di profezia e non abbiamo pec-cato di lungimiranza nei confronti della parrocchia!»

In realtà rivisitare le pagine ancora vive di Don Primo vuolessere un segno di grande speranza nei tuoi riguardi.

Se già negli anni trenta, in contesti così differenti dal nostro, sipotevano intuire alcune grandi sfide della parrocchia, come nonsperare che tu possa essere viva e vitale all’inizio del terzo millen-nio. Una speranza ma anche un forte impegno a rendere missio-naria la parrocchia in vista del Giubileo. Quasi un pellegrinaggioall’interno ed in profondità.

Semmai una provocazione, rileggendo le parole del tuo famo-so Don, ci può essere in questo: egli parlava con grande amore diuna piccola parrocchia, una come tante disseminate nel nostropaese, forse più somigliante a quelle che a noi parroci vengonodate, a volte, per smaltire i giovanili entusiasmi. Eppure egli vivede dentro un mistero e vi scopre una bellezza straordinariaintravedendo con gli occhi del cuore la parrocchia ideale.

Scavando nella tradizione

Oggi ci sono diversi progetti per il tuo rinnovamento, cara vec-chia parrocchia, ma tu puoi rinnovarti in profondità partendo daciò che nel tempo ha costituito la tua ricchezza; non facendotiprestare metodi o progetti che non sono tuoi, ma scavando nelsolco della tua millenaria tradizione.

Tu mi piaci perché non chiedi a nessuno dei tuoi figli niente dipiù e di diverso da ciò che è indispensabile e necessario per tutti.Non carismi particolari, ma l’essenza, il pane solido della fedeche ogni cristiano deve mangiare.

Allora, anche il tuo rinnovamento, passa attraverso quello chenel tempo ha costituito la tua fisionomia essenziale: il radica-mento tra la gente, una territorialità intesa come servizio, la cele-

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brazione dell’Eucarestia domenicale e feriale, l’annuncio capillaredel Vangelo, la capacità di integrare nella tua vita le esperienzepastorali che nascono fuori o accanto a te.

Una parrocchia rinnovata nel solco della grande tradizioneecclesiale, imparando dall’esperienza monastica e dalla vita reli-giosa e dalla ricchezza dei movimenti e associazioni di base.

Questo nel grande rispetto reciproco per la propria identità,senza mortificazioni, quasi una sorta di ecumenismo tra chiesesorelle unite nell’unica chiesa locale e aperte a tutta la chiesa.

Questo rinnovamento nel solco della grande tradizione con-sente di aprire nuovi itinerari nella vita della parrocchia.

La parrocchia è vecchia e duttile insieme.Ti confesso che sono stato molto colpito dalle intuizioni di

don Primo, profetiche dopo sessant’anni.E dire che di acqua ne è passata sotto i ponti: la guerra, la rico-

struzione, il boom economico, i difficili anni del 68, e i cambia-menti rapidi dei nostri decenni.

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Capitolo primoLA PARROCCHIA OGGI

TRA ORGANIZZAZIONE E VITA

«La parrocchia come qualcosa da rifare, da ricostruire, da rivi-talizzare» dice Peguy.

La parrocchia ha bisogno di profeti che la fanno vivere più chedi tecnici che la organizzano in modo confacente al tempo pre-sente: non si tratta di sottovalutare i mezzi che in ogni epoca pos-sono risultare preziosi se usati con intelligenza, ma si tratta di unapriorità: quella di seminare la vita in parrocchia.

La parrocchia si presta all’organizzazione: avendo una porzio-ne di popolo di Dio abbraccia tutto; dai bimbi ai vecchi, ai pro-blemi del quartiere, alle nuove povertà. Nulla di ciò che è umanogli è estraneo.

Vi è anche una spesso tacita richiesta della gente ad organizza-re: dalla gita serena al centro ricreativo.

Come tutta la gente di oggi anche tu devi imparare a stare nellacomplessità: non si può semplificare la vita; si possono soltantoevidenziare meglio le priorità e le emergenze: si cammina sempretra due carreggiate ma capire il senso di marcia è decisivo.

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I rischi della parrocchia

Alcuni rischi ne vedo. Sono rischi che nascondono grandisfide.

Un primo possibile rischio è che tu possa diventare come unapiccola «azienda» efficiente dove l’organizzazione finisce per sop-piantare la vita.

Anche se oggi, in una società fortemente secolarizzata, tanteiniziative non possano più attraverso di te, resti una fondamenta-le agenzia educativa e porti avanti molte cose, una dopo l’altra,senza tregua ma spesso si rivelano poco incisive, fuochi di paglia,bruciano subito, non incidono in profondità.

Anch’io, che lavoro con te da sempre, vedo quanto è difficilestabilire delle priorità dicendo no ad alcune cose non essenziali.

Ti paragono ad una donna di casa che, non specializzata inniente, si ritrova a fare tanti mestieri.

Devo, a questo punto, ammettere che il nostro più famoso col-lega da sessant’anni aveva intuito questo rischio. E niente eraancora computerizzato! Ma tant’è, i profeti ci sono apposta!

La chiesa bella, le funzioni decorose, le campane, le congregazioni,le associazioni, i ritiri, un clero numeroso (sic!) e volenteroso nonbastano... sono mezzi indispensabili eppure... lo si constata con penaogni giorno..., non bastano.

Si ha quasi l’impressione di armi a tiro corto, che non raggiungonolo scopo...E allora, credendo di rimediarvi con la quantità, si molti-plicano le batterie, mentre potrebbe essere questione di portarleavanti, in prima linea.

A parte il riferimento alla guerra (che per altro è ancora e sem-pre tragicamente presente) mi pare quest’ultima una parola dav-vero profetica: quella di portare avanti la parrocchia, in primalinea. Ti scrivo proprio per discutere con te come tu, fra le tante

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diverse esperienze di Chiesa, puoi arrivare ad essere in primalinea nella vita, nell’annuncio, nella testimonianza.

(Chi scrive è un ex cappellano militare) e aggiunge:

Il lavoro parrocchiale è divenuto un magnifico facchinaggio conarsenale, ove nulla manca...Chi dice che il nostro armamento è vecchio, sbaglia.Siamo aggiornatissimi: statistiche alla mano come gli altri, raduni,congressi, parate come gli altri, circolari, fogli d’ordine, giornali eroba stampata come gli altri, decorazioni, avanzamenti, promozioni,come gli altri...(op. cit. pag. 23).

Cara vecchia parrocchia, ti senti colpita? Io sì! Anche per noioggi c’è un metodo che organizza e uno che fa vivere la Parroc-chia.

Non ti nascondo la fatica, a volte, di incontri dove si ripetonoda decenni gli stessi proponimenti senza che maturino nella vitadella comunità: a volte perché non sono percepiti come emer-genze, a volte per mancanza di unità e di coesione, a volte perchéil metodo non risponde alla maniera che la vita ha di nascere esvilupparsi.

Il metodo che privilegia la vita all’organizzazione scruta nelpopolo di Dio i segni della vita nuova che il Concilio e tanti docu-menti sollecitano, ne propone con coraggio il cammino senzaannacquamenti, fa nascere un piccolo gruppo che ne sperimentala fattibilità, lo forma per resistere alle prime difficoltà, lo aiuta astare in parrocchia, a farlo accettare dagli altri cristiani come unpollone nuovo nella pianta della Chiesa.

Se cresce poi, questo piccolo gruppo va educato alla comunio-ne con tutte le membra del corpo di Cristo.

Poi si approfondisce, si fanno Convegni, ci si confronta conchi già vive questo dono.

Cara vecchia parrocchia, la vita ha un suo procedimento natu-

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rale: sognata, desiderata, concepita, fatta crescere, messa in comu-nione.

E quanto l’impresa è più difficile, se si parte dalla vita, tantopiù ha probabilità di andare avanti.

Primum vivere!

Ogni bella esperienza pastorale è sempre partita da un piccologruppo che ci ha creduto fino in fondo, l’ha concepita, fattanascere, poi l’ha organizzata.

Perché generare la vita è più difficile che organizzare.Oggi gli avvisi dati dal pulpito, tanti fogli che girano, lasciano

il tempo che trovano.Oggi ci si muove per amicizia e perché vi sono legami forti di

appartenenza tra le persone.

Cara vecchia parrocchia,basta a volte un parrocchiano che creda fino in fondo in una

scelta di vita o di pastorale, per far nascere una nuova proposta,un nuovo servizio, una nuova gemma nel tuo albero antico esempre nuovo...

Si avvia con grande fedeltà un’esperienza, la si verifica con ilpastore e la si mette in comunione con il resto della comunità.

Gli stessi incontri di aggiornamento, di formazione a volte,anzi spesso, non raggiungono alcuno scopo: si lanciano proposte,messaggi, anche nuovi e belli, senza prima aver verificato se vierano esperienza di vita in grado di raccoglierli: come creare unabella scuola per maestri senza guardare se nascano ancora i figlio-li che vanno a scuola!

Se un convegno si misura con la vita che c’è o sta nascendo,farà proposte misurate, concrete. Il confronto con la vita eliminaogni retorica, è spietato, sincero. Altrimenti potrebbe avverarsil’ammonimento evangelico:

..Legano pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma

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essi non vogliono muoverli neppure con un dito!(Matteo 23, 4)

La vita, quando c’è, genera gioia, appartenenza, si crea unospazio, si confronta con esperienze simili, crea dinamismo, si dàun’organizzazione.

L’organizzazione è un momento necessario ma conseguenteed in rapporto al mantenimento e alla crescita della vita della par-rocchia.

La vita precede l’organizzazione, la richiede, l’impone, la presiede, siserve di essa: ma l’organizzazione non sostituisce la vita.La parrocchia deve essere innanzitutto qualcosa di vivo, posta incondizione di vivere nel mondo di oggi, poi organizzata in funzionedi questa vita...!(op. cit. pag. 25).

Cara vecchia parrocchia,anche le nostre strutture, pur necessarie, non sfuggono a que-

sto percorso. Non so se tra i tuoi locali vi sono stanze vuote inutilizzate o

utilizzate male, se addirittura vi sono grandi strutture vuote o inaffitto: se è così, lo è perché qualcuno ha detto: facciamo e primao poi useremo.

In un mondo come il nostro, con tanta povera gente, non credisia un peccato lasciare una casa senza vita, senza bimbi che vi cre-scano, senza opere di misericordia?

Quando la vita precede l’organizzazione è più facile indivi-duare le strutture davvero necessarie.

In un mondo come il nostro, anche una stanza vuota, inuti-lizzata, è una responsabilità davanti a Dio e a quanti sono privi dicasa e del necessario.

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PROMOZIONE DEL LAICATO

Parrocchia Miniera

Cara vecchia Parrocchia,se vuoi che la tua vita rifiorisca e si moltiplichi tu conosci il

segreto: far crescere, formare, far spazio al cristiano comune,uomo e donna.

In Parrocchia, di fatto, convivono due cerchi di persone, incontinuo movimento tra loro, l’uno più largo di cristiani anoni-mi, un altro più ristretto di laici che si sentono appartenenti edimpegnati.

Per te sono tutti figli, alla pari, senza distinzione: anzi spessopensi di più a quelli che non incontri e ti si apre il cuore quandoli accogli anche solo per un matrimonio, un funerale, una festa.

Vi è un’osmosi tra i due cerchi e talora accade che qualcunoesca dall’anonimato e si renda disponibile all’impegno ed altri, ilpiù spesso senza sbattere la porta, si ritirano dai servizi intrapresiper le ragioni più varie.

Il segreto è aiutare il cerchio di quelli che «lavorano» con te avalorizzare al meglio i doni umani e cristiani che ognuno portadentro, spesso doni nuovi e preziosi per la tua vita di parrocchia.

In questo senso la parrocchia oggi diventa miniera.

La parrocchia è la miniera, il grezzo. La grazia vi tesse la primatrama gerarchica e vi opera la prima infusione di vita, che deve sali-re a unità senza fratture e saldarsi alla realtà senza limiti. (op. cit. pag. 20).

Cara parrocchia puoi diventare miniera capace di estrarremateriale prezioso dagli uomini e donne che ti circondano.

Devi fare un grande atto di fiducia nei tuoi laici: pur conimperfezioni e limiti, hanno risorse splendide e capacità di sacri-

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ficio incredibili, soprattutto quelli da cui meno te l’aspetti! Ognicristiano, quando scopre la bellezza dell’apostolato, ha una feritadentro che lo tormenta.

C’è un aspetto di fede che sente con una passione unica: lìnasce il suo servizio in parrocchia.

La Parrocchia come miniera mi piace tantissimo!Nella miniera si scava, si porta alla luce il prodotto ancora

grezzo ma già prezioso, nella miniera si rischia, ci si sporca lemani.

Il sottosuolo della parrocchia è ricco di fermenti e prospettiveper il domani. C’è davvero speranza per il futuro della parrocchia!

So già cosa stai pensando dentro di te.

Se n’è fatta di strada: oggi i laici sono dappertutto, nei mieiconsigli pastorali, economici, in tutti i servizi e le attività.

Hai ragione: per non dire che si comprende oggi in modo piùcompleto l’identità e la missione del laico. Son certo che ti ven-gono subito in mente le parole del Concilio:

È proprio e peculiare dei laici cercare il Regno di Dio trattando lerealtà temporali e orientandole secondo Dio. (L.G. 31)

Laici che siano sale e lievito nel lavoro, nella scuola, nellafamiglia, nella politica, nella cultura.

D’altronde non c’è oggi documento importante del magisteroche non sottolinei la presenza necessaria dei laici nell’evangeliz-zazione, dalla liturgia, alla catechesi, alla carità, alla missione.

E tutto questo come espressione del battesimo che tutti ciaccomuna.

Non è raro, ormai, entrando di domenica in chiesa vedere,accanto al sacerdote, lettori a servizio della Parola, accoliti a ser-vizio dell’Eucarestia, giovani e padri di famiglia, felici del loroministero all’altare.

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Questo è vero.Quand’ero chierichetto, nella mia chiesa, gli uomini per lo più

si vergognavano di stare vicini all’altare, e si mettevano in piedi,mani dietro la schiena, a reggere la parete di fondo della chiesaparrocchiale!

Allora tutto va bene? Ad uno sguardo più attento non è così.

L’esigenza di promozione del laicato è antica, la realizzazioneancora lontana.

Il nostro Parroco firmò il suo scritto: «un laico di Azione Cat-tolica», un po’ per nascondersi, un po’ per mostrare quale luciditàsessant’anni fa era augurabile in un laico.

Questo mi pare il punto centrale del problema della parrocchia, didove si può anche misurare l’urgenza e la provvidenzialità dell’inse-rimento del laicato cattolico per la risoluzione del problema stesso.Gli effetti nefasti della laicizzazione possono essere superati e neu-tralizzati soltanto da un laicato intelligente audace e disciplinato(sic!) a servizio della chiesa.

La chiesa vuole e sollecita in tutti i modi la partecipazione dei laicialla vita attiva e all’apostolato.(op. cit. pag. 32)

Ausiliari o collaboratori?

Cara parrocchia,mi chiedo, a 30 anni dal Concilio, se abbiamo sempre e vera-

mente dato fiducia ai laici: se si sentono accolti, capiti, valorizza-ti quali uomini e donne che lavorano in parrocchia o che deside-rerebbero farlo.

Spesso si accettano come ausiliari preziosi, si temono come

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collaboratori intelligenti.Devo dirti, sommessamente, che spesso siamo noi parroci ad

avere paura. Se son bravi ci mettono in discussione ma li accet-tiamo se sono nostri figli spirituali da sempre.

Il laico ha la sua testa, il suo cuore, le sue esperienze pur aman-do la chiesa ed essendo desideroso di servirla.

Alcuni sicuramente ti hanno confidato di sentirsi un po’ stretti.Il laico oggi non rifiuta una formazione esigente ma vuole sen-

tirsi protagonista nella comunità.

Se deve anche lui lavorare per vincere l’individualismo tipicodei nostri tempi deve però trovare braccia aperte nel parroco e neifratelli che accolgano il suo servizio, i suoi doni e prima ancora lasua vita.

Cara parrocchia,è certamente più faticosa la tua vita con tanti laici «intelligenti

e audaci».Dicendo questi aggettivi non credo che Don Primo volesse fare

una parrocchia d’élite e allontanare chi è privo di istruzione o diprestigio. Oggi come ieri vi sono persone con la mente aperta, unsenso vivo delle cose di Dio e della Chiesa e una grande passioneper il mondo, benché occupati in lavori modestissimi e privi diistruzione.

Audaci o servizievoli?

Si vuole invece evitare in tutti i modi di circondare la parroc-chia di gente culturalmente chiusa ed incapace di avvertire la pro-pria identità nel mondo moderno.

In genere sono gente traboccante di buon volere, ma la loro azione èdi scarso rendimento e di poco raggio la loro influenza(op. cit. pag. 33).

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e aggiunge con qualche ironia:

Il parroco non deve rifiutare questa salutare esperienza che gli arri-va a ondate.. portatagli da anime intelligenti e appassionate.Se no, finirà per chiudersi maggiormente in quella immancabilecorte di gente corta, che ingombra ogni parrocchia e fa cerchio intor-no al parroco.

I pareri di Perpetua son buoni quando il parroco è Don Abbondio!

Occorre salvare la parrocchia dalla cinta che i piccoli fedeli le alza-no allegramente intorno e che molti parroci, scambiandola per unargine, accettano riconoscenti.Per uscirne, ci vuole un laicato che veramente collabori e dei sacer-doti pronti ad accogliere cordialmente l’opera rispettando quella feli-ce, per quanto incompleta, struttura spirituale che fa il laicato capa-ce di operare religiosamente nell’ambiente in cui vive. (op. cit. pag. 42).

Certo i cammini di formazione, a tutti i livelli, sono oggi per ilaici più che necessari, indispensabili, preziosi. Fatti con metodo,con sacrificio di tempo e di intelligenza, a livello parrocchiale,vicariale, diocesano.

Il nostro è tempo di scuole di teologia. Ne sorgono per ognievenienza. E sono per lo più i laici che vi partecipano, uomini edonne.

A volte è una scelta personale che li spinge. Quando invece ètutta la comunità che li invia in vista di un ministero, di un ser-vizio, la partecipazione è diversa: ci si sente dentro una missione,c’è chi prega per questo, si è certi che la parrocchia lo accoglierà abraccia aperte.

Eterni discenti o corresponsabili?

Molti laici, restano per tutta la vita eterni «discenti»: questo

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nasconde un po’ di paura e di mancanza di coraggio.Ogni impegno da adulti deve avere uno sbocco, anche nell’a-

postolato.A volte è vero che anche il parroco dice un collaboratore dovrà

essere come dico io... ma i collaboratori in parrocchia per lo piùnon si scelgono, sono gradito dono a sorpresa.

A volte un fratello, una sorella vorrebbero impegnarsi ma lodicono con pochi cenni e solo una comunità attenta sa ricono-scere quel desiderio.

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IDENTIKIT DEL CRISTIANO COMUNE IN PARROCCHIA

Cara vecchia parrocchia,i tuoi laici hanno sicuramente qualcosa di singolare rispetto ad

altre esperienze di Chiesa.Proviamo a tracciare un loro identikit.Il cristiano comune è un cristiano che parla e non si vergogna

del Vangelo, che è capace di tradurre in parole la ricchezza dellasua vita e delle sue esperienze.

È colui che fa della parrocchia una «parrocchia parlante», capa-ce di comunicare la fede.

«Il cristiano comune è colui che evangelizza per irradiazione eper contagio. Le comunità parlanti hanno il compito di realizza-re una mobilitazione sistematica dei cristiani comuni: cioè unachiamata e una sollecitazione di ogni battezzato, memore del suobattesimo, a una comunicazione personale, creativa ed espansivadella sua fede.

La intendo, questa mobilitazione, come una priorità pastoraleassoluta». (L.Accattoli, Nuova evangelizzazione nelle Marche, Loreto1994, pro-manuscripto)

Una sfida culturale quotidiana

La laicità è grazia, è vocazione per tutti i battezzati.Ma il laico credente in parrocchia vive il suo essere laico non

tanto nell’ufficio, nella fabbrica, nel gruppo di lavoro o di servi-zio, nel sindacato, nella scuola, ma là dove vive la sua famiglia,sotto lo sguardo di tutti, dove per così dire, la vita è una continuaradiografia soprattutto con i fratelli che lo conoscono e lo incon-trano nei vari momenti della vita di parrocchia.

La sfida culturale abbraccia tanti ambiti, e sicuramente là dovesi vive la quotidianità non è più facile tenere insieme fede e vita,idee e prassi.

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Si dice «nemo profetha in patria» ed è vero: quando ci rechia-mo per una testimonianza un po’ fuori del nostro ambiente, ingenere torniamo soddisfatti: quel po’ di bene che tutti cerchiamodi fare non è misurato dagli ascoltatori nella quotidianità dellavita di casa, di famiglia, di quartiere.

Al laico di parrocchia è chiesto di essere soprattutto un laicovero: capace di animare cristianamente lo studio, il lavoro, l’eco-nomia, il tempo libero, l’organizzazione della vita civile perchénon tradisca e non allontani da Cristo.

Questa sfida culturale la vive in tanti ambiti che non sonodirettamente legati alla parrocchia: consigli di fabbrica, commer-cio, associazioni, gruppi, sindacati, movimenti...

Nelle parrocchie questa sfida si misura anzitutto sulle sceltecomuni della vita: i parrocchiani, lo sai bene, hanno un sensomolto sviluppato per riconoscere l’autenticità di vita di un laico.

Con lui, uomo e donna che sia, come si usa con i colleghi,sono molto esigenti ed esigono una coerenza cristallina negliambiti che toccano la vita di ogni giorno: l’apertura di mente e dicuore, il comportamento dentro la propria famiglia, una laborio-sità e spirito di sacrificio, un profondo senso di legalità, la capa-cità di essere uomo di pace nei piccoli conflitti del vivere quoti-diano, il modo di spendere soldi e il tempo, una grande passioneper ogni uomo.

Il tuo laico, se lo è veramente, di fronte ad ogni persona savedere il bene che vi è nascosto e non giudica mai in base a sin-gole scelte o comportamenti.

Sentirsi giudicati da cristiani è tristissimo, se si tratta di vicini,amici di casa, nasce un distacco nel cuore sebbene celato a moti-vo della necessaria frequentazione.

Caratteristica di un tuo laico nell’ambiente in cui vive è ildistacco dai soldi: la tua gente è giustamente molto attenta acome si guadagnano e a come si spendono i soldi al di là di tuttele affermazioni di principio: lo stile della casa, della macchina, iltenore di vita, le vacanze, la generosità discreta con chi è nel biso-gno, l’ospitalità, l’accoglienza, la fraternità con il più umile e

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modesto dei vicini.Non c’è dubbio che in questo stile di vita si riflette la tensione

culturale di problemi molto più grandi: l’iniqua distribuzione deibeni della terra, il non rispetto della vita, la necessità urgente diconiugare economia, libero mercato con solidarietà e aiuto allefasce più deboli, cultura della famiglia.

Ma ognuno di noi poi i grandi problemi li sminuzza nel quo-tidiano: nel frammento si può cogliere la tensione più vasta cheanima un cristiano: lo spirito di servizio si può esprimere anchenel modo di tenere puliti gli spazi comuni e nel risolvere i pro-blemi condominiali!

Non si tratta di pauperismo, quasi un rimasuglio di concezio-ni vecchie e ideologiche: la cronaca è piena di tangenti, truffe, ille-galità, mancanza di senso dello stato, sperpero di pubblico dana-ro e ci si chiede dove erano i cristiani: non hanno visto, nonhanno parlato, erano complici silenziosi?

Dopo la caduta del muro tra est ed ovest dell’Europa il Papaparla di un muro invisibile da abbattere dentro di noi e tra noi.

Il tuo laico vive in una grande libertà e serenità, senza farsiomologare, senza nulla demonizzare. Nella lettera a Diognetoquesto atteggiamento è descritto in modo splendido.

Amare la parrocchia

Anzitutto, cara parrocchia, i tuoi laici si riconoscono per ungrande amore per te. Non sono molti a cogliere il mistero dellaparrocchia: occorre vederti come porzione anche piccola maimmagine autentica di chiesa radunata attorno alla Parola, all’a-postolo, all’Eucarestia, nella fraternità e nella carità.

Scherzando spesso dico che ti si ama più per quello che non sivede che per quello che si vede: quante volte, durante il Concilioe dopo, ti abbiamo sognata e tante volte ridisegnata nel cuore perrendere bello come di sposa il tuo volto!

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Né facciamo spreco di poesia. La parrocchia ha la sua poesia comepoche altre realtà sociali. Viene subito dopo la famiglia prima delComune. Ma per avvertirne e gustarne la bellezza ci vuol l’anima diun Peguy, vale a dire un’incantevole semplicità di fede e di senti-mento.(op. cit. pag. 20)

Per amarti in modo durevole occorrerà certamente, come inogni grande amore, che si incontrino un cuore che abbia un’in-clinazione ed uno spirito particolarmente predisposto verso la tuavita di stampo «familiare»...

Chi sogna la pace dell’eremo (per qualche tempo tutti neavremmo bisogno) fa fatica a servirti tenendo in mano la Bibbiae la scopa, facendo l’incontro teologico accanto al chiasso deibimbi dell’oratorio, unendo ad un grande spirito di iniziativa eperseveranza una grande pazienza per ascoltarsi e raccordarsi confratelli e sorelle spesso così diversi da noi.

Chi vuol bene, starei per dire solo chi vuol bene, ha una vera e sof-ferente sensibilità, perché egli porta nello sguardo e nel cuore l’im-magine della parrocchia ideale...(op. cit. pag. 21)

Il parrocchiano, come ogni innamorato, ha due occhi e duemani: per vedere ed operare nella parrocchia così com’è e per con-templare e preparare quell’immagine più piena e perfetta di par-rocchia che porta nel cuore

Una fraternità aperta e fedele

Il cristiano comune si ritrova in parrocchia in una fraternità dipersone, corresponsabili e compartecipi della vita della comunità.

È la tua grande novità del post - Concilio.Non c’è più solo il parroco alla testa del gregge: laici, uomini e

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donne, famiglie, responsabili dei vari ambiti della vita comunita-ria, i diaconi e i ministri diventano una fraternità di persone chesi ritrovano fedelmente in una regola di vita non scritta ma a tutticomune.

L’Eucarestia domenicale e quotidiana, l’ascolto delle SacreScritture, i momenti salienti della comunità, i tempi di festa e diriposo, ritmano la fraternità dove tutti si sentono corresponsabi-li.

Ai tuoi «don» non viene meno il compito decisivo della presi-denza eucaristica, del perdono dei peccati, della armonizzazionetra i vari doni che lo Spirito suscita dentro di te.

Diciamolo sottovoce: non è facile per i tuoi parroci passare, nelrapporto coi laici, in breve tempo, dalla sottomissione alla colla-borazione, dalla partecipazione alla corresponsabilità.

Una fraternità aperta a tutti i credenti, mai ripiegata solo suquelli che esercitano un servizio: lo scambio delle persone rendesempre aperta la porta. È una proposta per tutti, non fa coincide-re la parrocchia con i più impegnati; sarebbe il rischio più gran-de.

La fraternità parrocchiale è atipica rispetto ad altre fraternità:• in genere non c’è la figura del leader carismatico e questo

impegna la fraternità ad una grande fedeltà nell’appartenersibasandosi più sul progetto che sulle persone;

• non vi sono mete comuni di impegno ma una molteplicitàdi iniziative che tendono a isolare e disperdere i membri dellafraternità: emerge la necessità di momenti intensi di preghiera,di programmazione e di verifica. Essendo una fraternità essenzialmente missionaria si finisce

per amare più chi è «lontano» di chi è «vicino»; che a volte soffredi isolamento, mancanza di accompagnamento e di confronto.

Il «vicino» ha anche lui tanto bisogno di crescere e non puòdiventare solo colui che serve o che dà.

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Pluralismo sociale e politico

Il cristiano comune vivo e partecipe della tua vita di parrocchiaè chiamato a fare fraternità con persone molto diverse per classisociali ed opzioni politiche.

Tu sai bene, lo hai sperimentato a tue spese negli ultimi decen-ni, quanto è difficile tenere insieme nella quotidianità personeche non sono dello stesso ceto sociale e soprattutto che nonfanno le stesse scelte politiche: in taluni momenti il disagio èassopito, in altri riemerge prepotente.

Si parla di una unica fede che anima diverse scelte politiche edi necessaria unità sui valori, ma nella pratica quotidiana dellavita questo implica riconoscere l’appartenenza di fede quale deci-siva su ogni altra, essere pronti a riconoscere il bene compiutodall’altro senza pregiudizio, scambiarsi sincera stima ed amiciziaaltrimenti il radunarsi in parrocchia non genera reciproca appar-tenenza, non fare mai prevalere le differenze sul grande impegnoe sulla grande sfida della coerenza nel lavoro, nell’economia,nelle scelte sociali, nella famiglia. Essere luce, sale, lievito dove sivive, è difficile per tutti.

Don Primo direbbe:

Il parrocchiano non deve pregiudizialmente credere che vi siano regi-mi politici ed economici che non possano risentire l’influenza cri-stiana.(op. cit. pag. 40)

Tra i laici cristiani nasce quasi una sfida a calare lo Spirito delVangelo là dove ognuno ha scelto di operare o di offrire il propriosostegno.

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Fratture sociali e passione per l’uomo

Il tuo cristiano comune pur nel pluralismo delle opzioni socia-li e politiche su un punto sicuramente si trova in sintonia contutti i fratelli di fede: nella passione per l’uomo, per la sua vita,per i suoi drammi, per il suo futuro.

Tutto ciò che concerne la vita umana interessa il cristianocomune e la parrocchia è estremamente attenta, in tutti i suoimomenti, alla vita dell’uomo.

Il tuo laico sente ormai con chiarezza che non si può vivere lafede senza rendersi presenti alle fratture sociali e alle persone chene sono coinvolte.

Il dramma tra il nord e il sud del mondo, i moderni fenomenidi immigrazione, i problemi del lavoro e dell’occupazione si ren-dono presenti nel territorio della parrocchia in modo più o menovisibile ad occhio nudo.

Sulla necessità di rispondere a queste emergenze, tutti i tuoicristiani dovrebbero ritrovarsi uniti. Anche le prime comunità cri-stiane formate da persone diverse per provenienza, cultura, opzio-ni politiche hanno saputo esprimere una solidarietà contagiosaalmeno come meta ideale.

Si potrà divergere sui mezzi, ma non si può discutere sullanecessità di una distribuzione più giusta delle ricchezze e di darerisposte urgenti alla fame, alla disoccupazione, ai nuovi poveriche sono tra noi.

Un impegno unico con tre punte estremamente sensibili:- fratture economiche e la capacità di pensare modelli nuovi di

condivisione; (C.v.p. perché non esorti gli imprenditori che sonoin te, spesso gente laboriosissima e con grandi capacità, a pensa-re in modo diverso il proprio lavoro come già accade in alcunipaesi dove la gratuità ha sostituito il profitto?)

- fratture sociali e un grande impegno per la pace educando intutti i modi a superare la logica della guerra ed incoraggiandoquanti lavorano per questo;

- fratture familiari in un grande impegno per la famiglia a livel-

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lo culturale, filosofico e nelle concrete situazioni di vita.La capacità di trovare un comune impegno trasversale su que-

sti temi porrà le basi di un minimo comune dal quale tutti i par-rocchiani possono partire per allargare gli spazi del consenso trai fratelli di fede e gli uomini e le donne del nostro tempo.

Con la Bibbia in mano

I tuoi cristiani comuni che sono passati dalla tradizione allaproposta oggi si caratterizzano per un grande amore alla SantaScrittura. Brucio al pensiero che nelle nostre case coloro che arri-vano con la Bibbia in mano non siano i fratelli di fede! I cattoli-ci di parrocchia girano sempre con la bibbia in mano e sul cuore.

Mi ha commosso Don Giuseppe Dossetti (non era parroco mamolti lo hanno preso anche come maestro per la parrocchia!) cheha voluto nella bara accanto alla croce ed al rosario il libro delleSacre Scritture! Un esempio da imitare!

Ci pensi? Dopo tanti anni dalla riforma liturgica e la sceltadella liturgia in lingua italiana per molti è incomprensibile il lin-guaggio delle Scritture!

Mi pare di raccogliere un tuo invito: ritrovatevi insieme ognisettimana, come preparazione e prolungamento dell’Eucarestiadomenicale, in Chiesa, con le porte aperte e le campane in festa,per conoscere le Sante Scritture così da renderci capaci di leggereciò che Dio vuole da noi oggi!

E accanto alla catechesi biblica, la lectio divina quotidiana sulvangelo del giorno, la lettura personale comunitaria della Parolacreano un profondo legame tra il cristiano di parrocchia e la Bib-bia. Egli non l’ha certo in esclusiva ma può portarla in tanti luo-ghi che sono tipici della vita di parrocchia: centri di ascolto, pre-parazione ai sacramenti, catechesi, gruppi - famiglia, nelle case...

Don Primo direbbe:

Io non sono in grado di dare un nome all’attività...molto meno sono

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in grado di tracciarle un itinerario, che del resto è già scritto nelVangelo, nella dottrina della Chiesa e nelle grandi encicliche socia-li degli ultimi pontefici.(op. cit. pag. 37).

Un itinerario scritto nel Vangelo. Con tua grande gioia vedi sem-pre più spesso i tuoi laici che riconoscono l’efficacia potente dellaparola di Dio. Per essi non è più solamente un libro ma una tendache, aperta, gli permette di vedere il volto di Gesù ed insieme unagriglia per decodificare i fatti e gli avvenimenti: c’è un itinerario cheil Vangelo rivela per noi come singoli, come famiglia, come comu-nità parrocchiale. Ed è proprio nell’ascolto delle Scritture che i tuoilaici imparano a scegliere la regola di vita della comunità!

Un linguaggio stile famiglia

So che a questo poi tieni particolarmente: il tuo cristianocomune lo vorresti con un linguaggio semplice e comprensibile.Non si può usare un linguaggio da iniziati in parrocchia!

La semplicità è l’essenza, il nucleo. La banalità non ha nulla ache spartire. Non è il linguaggio delle università, ma quello ugual-mente vero della famiglia.

Don Primo direbbe. «Deve avere il sapore del pane casalingo!»Ci sono laici capaci di comunicare se non si tirano indietro.

C’è un diavolo muto che impedisce al cristiano comune di pren-dere la parola in tante occasioni.

Il linguaggio semplice, incisivo, è anche una conquista. nasceda una fede essenziale, che punta al cuore del messaggio.

Anche nell’annuncio del Vangelo essi dovranno ricercare unaesegesi semplice, capace di interpretare i fatti e svelarne il misterodell’amore di Dio.

Penso che vi sia una seconda sfida, in ordine al linguaggio.Una volta si parlava di apologetica, poi più compiutamente diteologia fondamentale.

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Oggi, specie per i catechisti, è necessario saper dire il valoreumano nascosto nel messaggio evangelico. Mostrare come lo Spi-rito del Vangelo è sempre profondamente umano. Svelare l’uomoall’uomo.

Fedele a Dio e all’uomo

Il tuo cristiano comune in parrocchia non nasconde l’errorema lo distingue sempre dall’errante.

La chiarezza in campo morale è una esigenza di tutti in par-rocchia ma sempre unita all’attenzione per le situazioni delle per-sone.

Dice il nostro Don:

C’è una bella fermezza o intransigenza dottrinale che, quando è sin-cera e intelligente, viene capita ed onorata dagli stessi che ne sonocolpiti. Ciò che guasta non è la saldezza dei principi, ma la loroincauta e disumana applicazione. (op. cit. pag. 41).

Il cristiano comune è chiamato a vivere una duplice fedeltà alcomandamento e all’uomo che vive la complessità della vita.

Conosce il bene supremo dell’unità del matrimonio e si faprossimo e sostegno delle coppie separate e divorziate, irregolari,in situazioni di difficoltà.

Proclama con le parole e con i fatti il valore intangibile dellavita umana e incoraggia a ricominciare a credere nell’amore diDio alla donna che ha abortito.

Soffre per il giovane omosessuale che non è riuscito a far sen-tire accolto e rispettato dai coetanei e dagli amici di parrocchia enon gli nasconde la strada impegnativa della castità.

Sa che occorre cambiare le cause strutturali che generanopovertà ed ingiustizie ma è pronto a dare subito pane, tetto etempo ai poveri che affollano le nostre comunità parrocchiali.

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MINIERA DI VOLTI NUOVI IN PARROCCHIA

Una comunità, tanti volti. Alcuni, tradizionali, si perdono perstrada, altri emergono per ministerialità e urgenza.

Alcuni volti, non nuovi, acquistano una coscienza più precisadel proprio carisma.

I volti sono importanti: ogni comunità ne ha qualcuno diunico, di singolare: il segno che lo Spirito agisce in parrocchia.

Tornino i volti: alcuni non dovrebbero mancare in nessunacomunità come i giovani, i diaconi, i ministri, le donne, i consa-crati, le coppie di sposi.

Possiamo sognare ad occhi aperti e cogliere la bellezza idealedei loro volti anche partendo da realizzazioni ancora parzialinelle nostre comunità.

Lo sguardo ideale colto nella verità del Vangelo e nelle esorta-zioni dei pastori facilita poi un esame di coscienza sui limiti esulla distanza che c’è sempre tra l’ideale e la vita feriale nellacomunità.

Volti visti in positivo, quel che sono e quel che potrebberoessere; volti in parte anche nuovi perché non erano presenti nellaparrocchia dei tempi passati.

I giovani. Il volto di Gesù che cerca

C.v.p., non ti è difficile capire chi ora ti scrive: siamo il tuovolto più prezioso. Senza giovani infatti non avresti futuro, nonsapresti parlare al tuo domani. Siamo passati attraverso la crisiadolescenziale ed ora ci sentiamo spiritualmente legati a te e desi-deriamo maturare assieme a te le scelte più decisive della vita per-ché tu possa essere viva e vitale in mezzo ai giovani. So bene che,come una famiglia, tu ami i giovani e li accetti come figli di que-sto tempo. In ogni generazione c’è come un humus che accomu-na i giovani, siano praticanti o non: è come un’aria che si respira

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o una rugiada che, quando cammini, non puoi scrollarti di dosso.Come l’eschimo e certi cantautori impegnati erano il pane per iquarantenni di oggi!

Tu già ci conosci, almeno in parte: rimaniamo giovani a lungooggi a motivo dello studio e della fatica a trovare occupazione eperché non è facile maturare scelte definitive di vita come il matri-monio e la famiglia che per fortuna ancora per noi costituisce unvalore..

Non ti nascondo, c.v.p., che essendo noi sensibilissimi a ciòche è personale e soggettivo mentre facciamo fatica a strutturareciò che è sociale e comunitario, anche verso di te abbiamo un rap-porto non sempre facile nel senso che per noi sei una comunitàdi persone e facciamo fatica a pensarti staccata da volti precisi econcreti con cui vivere una esperienza di fede.

Volti non solo di coetanei: in questo ci aiuti a rompere gli sche-mi generazionali: per noi è decisamente importante il dialogo el’incontro con la generazione che ci precede per poter concreta-mente intravedere il nostro domani; penso a qualche giovanefamiglia disponibile a lasciarsi incontrare veramente, a dellesuore che consentano di ampliare la gamma delle possibilità concui spendere il nostro amore, a dei fidanzati che rendano a noitrasparente il loro cammino verso il matrimonio, penso ovvia-mente ai tuoi sacerdoti e ai diaconi.

Accompagnamento vocazionale

Tu sai, c.v.p., quanto sia difficile per noi arrivare ad una sceltadi vita definitiva: non pensare che non ci poniamo anche la pos-sibilità di consacrarci per il Regno, di aprirci alla missione pertutta la vita, di scegliere cammini esigenti di contemplazione e dicarità.

Ti chiediamo un grande lavoro di accompagnamento: in gene-re sei molto impegnata con gli adolescenti e (scusaci lo sfogoapparentemente egoista) non appena ci vedi un po’ staccati edindifferenti, con la «solita scusa» del «abbiamo rispetto per le

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vostre scelte» o del «assumetevi sempre le responsabilità di ciòche fate», ci lasci un po’ soli, abbandonati a noi stessi.

Che ché se ne dica, è vero che noi giovani abbiamo tanta forzae tanto entusiasmo che cerchiamo di mettere in tutto ciò che fac-ciamo, ed in tutto quello per cui ci impegnamo in parrocchia efuori, ma è anche vero (ahimè dobbiamo ammetterlo) che lanostra esperienza non è poi tanta e che quindi nel decidere, ancorpiù se si tratta di scelte così importanti, diventa importante, senon necessaria, la presenza di qualcuno: qualcuno che non pren-da le decisioni al posto nostro, ma che sappia indirizzarci sullastrada obiettivamente più giusta; qualcuno che non sia subitopronto a giudicare, ma che condivida con noi gioie e dolori; qual-cuno che non prenda questo «accompagnamento» come un com-pito da assolvere, ma che partecipi con noi alle gioie ed ai doloriche verranno.

L’accompagnamento è fatto da tante persone perché crescendonon riusciamo ad aprirci tutti con la stessa persona: guida spiri-tuale per noi, come ti dicevo, può essere il Don, il diacono, unasuora, una giovane famiglia.

Certamente il rapporto con il Don nella confessione rimaneun punto fisso anche per la nostra ricerca vocazionale: lui poi soche fa pregare per questo anche se è molto rispettoso di ogninostra scelta.

Consentici una annotazione: la chiarezza dei suggerimenti.A volte abbiamo bisogno di un richiamo anche forte: sul

momento può far male, forse non lo ascolteremo neppure, poiperò diventa segno di amore vero perché si è preferito la verità allavarsi le mani.

Un cammino serio

C.v.p., un giorno sono andato dal Don e gli ho detto: «abbia-mo molte iniziative per avvicinare i giovani, poche per aiutarli adandare avanti

Gesù non è a tutti i costi divertente». Passa parola: accanto ad

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un accompagnamento vocazionale cerchiamo itinerari seri di pre-ghiera; tu in genere, a noi che ti siamo più vicini, chiedi tanti ser-vizi dall’oratorio al catechismo, ma a volte sentiamo di doverstaccare la spina per ricaricarci prima che avanzi la stanchezza edil rifiuto per quello che abbiamo fatto per tanti anni in parroc-chia.

Un cammino serio per noi giovani mi pare abbracci tre ambi-ti anzitutto: la formazione e la preghiera, l’imparare a stare nellacomplessità, l’impatto culturale con il mondo del lavoro.

Sai bene che siamo esigenti: anche nella fede vorremmo sem-pre esperienze di qualità e di livello; anche nella catechesi e nellapreghiera. E vero che tu sei come la famiglia, importante perchéci sei, ma siamo sempre più esigenti: non potremo dare a nostravolta se non quello che abbiamo ricevuto ed interiorizzato. L’im-parare a stare nella complessità non è facile per chi come noi haun animo fortemente puritano: vediamo lucidamente il non veroche c’è attorno e vorremmo essere esenti da quella mediocrità checi sembra sconfini nell’ipocrisia.

C.v.p. la vita oggi è complessa: forse in questo i tuoi giovanisono più preparati di altri perché ci fai vivere in una realtà varia,frammentata e molteplice dove senza smarrire l’ideale occorremisurarsi con la complessità delle scelte senza scoraggiarsi dellecadute, ma ricominciando ogni giorno.

Stare nella complessità dona a noi giovani quell’equilibriointeriore che non ci fa essere continuamente stressati ed inquietisenza perdere la bellezza dell’ideale e la ricerca di un disegno esi-gente di vita in ordine alla famiglia, agli affetti, al lavoro, all’im-pegno sociale.

L’impatto culturale con la mentalità corrente è sicuramente ilnostro tallone d’Achille: con la maggiore età, nel lavoro o nell’u-niversità, i giovani di parrocchia spesso brillano per la loro inca-pacità di avere idee o progetti in sintonia con quanto hanno vis-suto nei gruppi parrocchiali e con quanto hanno insegnato all’o-ratorio o al catechismo. In questo sentiamo l’urgenza di un con-fronto e di testimonianze credibili.

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Fidanzamento come tempo di grazia

I tuoi giovani ci credono al valore del fidanzamento ma senzaun gruppo di amici egualmente convinti è difficile viverlo.

Tu mi dirai: tanti incontri sull’amore e sulla sessualità ai campiscuola, le lezioni degli esperti e le testimonianze di altre coppie,gli incontri con il consultorio di ispirazione cristiana per i «fidan-zatini in erba», la presenza di belle famiglie della comunità nonsono sufficienti?

C.p., vivere il fidanzamento come tempo di grazia non è sem-plice né scontato, ma alcuni dei tuoi giovani ci provano: educarsialla castità, alla comunione profonda delle persone, alla preghie-ra comune, alla comunicazione dei sentimenti, a progettare evan-gelicamente il domani di coppia, caratterizza i tuoi giovani fidan-zati.

Dovresti, credo, anche offrire tempi e modi per vivere il fidan-zamento come un vero cammino di iniziazione al sacramentodelle nozze.

A partire dall’inizio del fidanzamento quando i due che siamano iniziano seriamente a verificare la possibilità di un amoreper la vita e la comunità si sente impegnata a pregare per loro cheiniziano un cammino vocazionale; agli sponsali che segnano ladecisione di formare insieme una famiglia e la preparazione rav-vicinata alle nozze; alla preparazione immediata del sacramento:in ognuna di queste tappe tu o parrocchia ti fai vicina alle coppiedei fidanzati offrendo loro un vero accompagnamento vocazio-nale.

Riscoprire il fidanzamento, viverlo in modo diverso, conclu-derlo quando i due avvertono di poter mettere insieme la lorovita mettendo in primo piano la famiglia e poi il lavoro. Essendodecisamente in contro tendenza, non sfugge questa testimonian-za dei tuoi giovani. In questo ti vorremmo molto presente: comedenuncia di carenze a livello legislativo, come sensibilizzazionedel territorio, e (perché no?) come sprone verso di noi a nonaspettare per sposarsi che tutto sia pronto ma solo il minimo

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indispensabile. Fai capire alle tue famiglie che offrire una casa aprezzi modesti a due ragazzi che si sposano è grande segno diamore e permette a dei fidanzati di concludere in modo naturaleil fidanzamento e iniziare nella gioia e con la benedizione di Diola vita matrimoniale!

I diaconi. Il volto di Gesù che serve.

C.v.p.so bene che i diaconi sono inseriti con il sacramento dell’ordi-

ne nel ministero apostolico dei vescovi e dei presbiteri.Ma rappresentano un volto nuovo in parrocchia, una vocazio-

ne dono del Concilio. E per lo più sono vocazioni nate in par-rocchia a servizio della parrocchia, per non dire che tutti poi con-dividono la vita dei laici in ordine al lavoro, alla professione:molti a motivo della famiglia e dei figli in quanto diaconi coniu-gati.

Le spose partecipano intimamente alla grazia del marito e sipotrebbe parlare di famiglia diaconale.

Il diacono fa cerniera tra la gerarchia e i laici; teologicamenteclero sociologicamente laico.

Nel Concilio (ricordi?) alcuni padri li videro come segno diuna nuova primavera nella Chiesa!

I padri del Concilio infatti li vedevano come il segno di unaChiesa profondamente rinnovata cosicché non si riusciva a pen-sare ai diaconi dentro una comunità stanca e poco missionaria.

I tuoi diaconi sono ormai presenti da molti anni nella tua vita:hanno ridisegnato lo spazio del presbitero e dei fratelli e sorellelaici.

C.v.p.ti ritrovi ad accogliere un volto nuovo: se saprai farlo con gene-

rosità ed intelligenza i diaconi ti apriranno possibilità inedite diapostolato: lavoro interparrocchiale, evangelizzazione capillare,

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parrocchie suddivise in diaconie, vicinanza al mondo del lavoro,servizi a parrocchie piccole e disperse, animazione del servizio edella carità nella parrocchia, presenza di un ministero ordinatouxorato accanto al ministero celibe del prete.

In quanto partecipe del ministero del vescovo e del prete è cer-tamente una grazia essenziale per ogni comunità: in ogni parroc-chia, anche piccola, non dovrebbe mai mancare.

Sembra impossibile che il Signore non susciti dovunque que-sto ministero, ma a volte non sappiamo riconoscere i segni dipossibili vocazioni.

Laici veramente laici, professionalmente seri e stimati per que-sto dalla gente, uomini capaci di servire in umiltà e nascondi-mento, con buone virtù umane ed un grande amore alla Chiesa,si rendono disponibili se sono incoraggiati e se sono aiutati acogliere la preziosità del diaconato: la comunità li riconoscecome possibili vocazioni e li presenta al discernimento del vesco-vo; inizia la formazione teologica, spirituale e pastorale, nonsenza il confronto e l’incoraggiamento della propria guida spiri-tuale e con il consenso sereno e motivato della famiglia: eccocome può maturare una decisione di prepararsi ad essere diaconidi Gesù Cristo!

Il Giubileo del 2000 li vede, dopo secoli, di nuovo protagoni-sti della nuova evangelizzazione, i coniugati insieme alle loromogli.

Le mogli dei diaconi

Parlando con alcune di loro ho colto una certa solitudine ed ildesiderio di un coinvolgimento maggiore.

Avendo accettato consapevolmente l’ordinazione del marito,con fine intuito femminile e materno, desiderano essere compar-tecipi della missione diaconale, ma, specie quando vi sono figliancora piccoli e numerosi, comprendono che nella complemen-tarietà dei doni si può affrontare insieme la missione affidata almarito.

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Anche durante la celebrazione dell’Eucarestia, soprattutto per ibambini, a volte desidererebbero essere vicine al marito diacono,tuttavia comprendono la grandezza del servizio che gli è affidato.In realtà la loro presenza è essenziale e straordinaria e nonpotrebbe esserci la missione del diacono coniugato senza la con-divisione pastorale della sua sposa. La parrocchia dovrà in ognimodo farsi vicina a queste sorelle che vivono il vangelo dellafamiglia accanto al ministero ordinato.

Un nuovo colpo d’ali

Sono appena rinati i diaconi e già hanno incontrato qualchedifficoltà.

Sono certo che farai di tutto per sostenerli: un po’ l’imprepa-razione di alcuni, un po’ di gelosia da parte dei parroci, un po’ difatica a coniugare lavoro-famiglia e ministero, un po’ di abitudi-ne che si fa a tutte le cose anche belle, hanno creato un momen-to di fatica nella vita dei diaconi.

Uno dei padri del diaconato nel nostro Paese l’aveva previstoe annunciato con largo anticipo: il rischio che una volta accettatonella prassi pastorale, il diacono finisse in una presenza di cortorespiro, trasformando l’accoglienza in un abbraccio soffocante.

Oggi però, con un nuovo colpo d’ali, i tuoi diaconi possonoritrovare il loro volto giovane: quella primavera che i padri conci-liari sognavano.

Sarebbe davvero inutile ogni forma di lamentela affermando,anche con ragione, che i preti fanno fatica a sentirli colleghi delcollegio diaconale, come essi lo sono del collegio presbiterale;sono le due braccia con cui il vescovo porta avanti il suo ministe-ro nella Chiesa locale.

Il colpo d’ali può venire da te o parrocchia, dai tuoi diaconi seinsieme ritrovate le ragioni profonde di questo ministero ordinato.

Uomo del Vangelo il tuo diacono: questa è la splendida con-segna dell’ordinazione: lo proclama, lo conosce sempre più, lospiega, lo prega nella lectio di cui è naturale animatore, lo porta

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ai lontani, lo introduce nella sua famiglia e nel suo lavoro, delVangelo si sente missionario in prima persona.

Col Vangelo traccia gli itinerari di catechesi per i catecumeni, èaperto come diacono fidei donum, assieme alla sua famiglia, perportarlo nel mondo intero.

Uomo della intermediazione: sull’altare fatto segno vivente diCristo, diventa il nesso vitale tra il presidente e l’assemblea, rac-coglie e sollecita la preghiera della comunità, a lui il compito e lagioia di pregare con cuore universale e insieme aperto ai drammidella gente che vive attorno a lui.

Leggendo la vita nel Vangelo, esercita nella vita e nella parroc-chia un dono straordinario: quello di portare il respiro della uni-versalità della Chiesa e di essere memoria vivente dei fratelli edelle sorelle più dimenticati e sofferenti.

E questo senza sostituirsi alla comunità, ma favorendo chetutta l’assemblea lodi e supplichi il Signore.

E quello che fa nella Messa poi lo fa nella vita di ogni giorno!Nel ricevere le offerte dell’assemblea che il diacono presenta al

presidente si fa interprete della necessità e dei desideri dellacomunità cristiana.

Egli diventa l’animatore del servizio, come un apripista nellavita della Chiesa, un missionario sia quando insegna sia quandocelebra i sacramenti, sia quando guida la comunità che gli è affi-data.

Il diacono è l’uomo del calice: è il segno più espressivo dellegame tra diaconia ed Eucarestia, che si manifesta poi attraversoil servizio della carità materiale e spirituale.

Alzando e porgendo il sangue di Cristo che si è totalmenteofferto per amore, il tuo diacono promuove ogni forma di caritàe di condivisione tra coloro che celebrano la stessa Eucarestia.

C.v.p.se un nuovo colpo d’ali è necessario per il diaconato, per molte

parrocchie è ormai tempo di aprirsi a questo volto non più nuovodella Chiesa del post-Concilio.

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I ministri. Il volto di Gesù che annuncia.

Cara vecchia parrocchia,ci sono nella vita persone la cui presenza diventa un segnale al

di là dei compiti che rivestono: indicano un traguardo, sottoli-neano un impegno.

Vi sono gesti che cambiano la vita di chi li compie per le impli-cazioni che portano in sé o per il momento in cui il gesto si com-pie.

I ministeri istituiti, racchiusi nelle figure del lettore e dell’ac-colito, appartengono al quella categoria di persone e di gesti.

Se non li sai guardare con l’occhio giusto ti sembrano pocacosa: un incarico che è proprio di ogni battezzato di leggere laParola di Dio nella liturgia escluso il Vangelo, e di servire all’alta-re al diacono e al sacerdote.

Servizi per ora riservati a uomini, dopo congrua preparazione.Se all’inizio l’abito bianco, indossato da professionisti o ope-

rai o padri di famiglia poteva essere una novità, col tempo è con-suetudine e non crea né scandalo né novità.

Per comprendere la ricchezza nascosta di questo dono che ti èfatto dopo il concilio, devi cogliere anzitutto la novità e l’invitoche ne consegue.

La novità di un ministero istituito sancisce, per così dire, il pas-saggio dalla compartecipazione alla corresponsabilità dei laicinella comunità.

Il sentire è di tutti ma l’urgenza che ogni servizio sia assunto inprima persona, con grande responsabilità, con la necessaria pre-parazione, questo cambia il modo di concepire il ministero inuna Chiesa tutta ministeriale.

C’è, nell’istituzione, una provocazione per ogni ministero lai-cale: ciò che è di tutti alcuni lo vivono in modo unico, personale,creativo.

Un invito a vivere in modo deciso la ministerialità, alcuni tuoilaici da anni lo hanno preso sul serio rendendosi disponibilicome lettori e accoliti.

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È chiaro, cara parrocchia, che riassumendo in queste duemodalità ministeriali la ricchezza e la molteplicità dei servizi, laChiesa ti invita e ci invita a dare a questi due ministeri un signifi-cato più ampio, quasi sintesi di tanti servizi che ruotano attornoalla Parola e alla Eucarestia.

Nel rispetto delle norme, i nostri lettori sentono nel cuore chegli è affidato un compito enorme e stupendo: essere tra i laiciquelli che più si impegnano a conoscere e far conoscere le SacreScritture nella Chiesa del Post-Concilio, quasi ricevendo dallemani dei padri conciliari i grandi documenti che restituiscono inmodo più vero ai credenti la fonte della fede, le Sacre Scritture delVecchio e Nuovo Testamento.

I tuoi lettori, quali amanti delle Sacre Scritture, la leggono, lapregano, l’attualizzano per l’uomo di oggi, curano la loro forma-zione permanente sulle Scritture, stimolano tutta la comunità inquesta direzione.

Proclamandole nel momento solenne della vita della comu-nità, diventano artefici di questo sogno grande di ridare al cristia-no comune una frequentazione assidua con la Bibbia.

Anche l’accolito (si potrebbe chiamare anche suddiacono)avverte che affidandogli il suo tesoro più grande, l’Eucarestia, ilSignore gli chiede di approfondire, conoscere, e vivere il misterodi cui è costituito servitore.

I tuoi accoliti li scegli tra coloro che vivono il mistero dellaliturgia con consapevolezza e fedeltà e ricevono il grande dono diservire per collegare insieme l’Eucarestia e la vita. Offrire ognigiorno la propria vita, rimettersi continuamente in un atteggia-mento ablativo, amare e far amare la Chiesa corpo di Cristo, col-legare sempre più la liturgia con la vita attraverso un particolareservizio ai poveri e agli infermi, essere uomini di riconciliazionee di pace nei conflitti della comunità.

Come la Parola di Dio che il lettore proclama diviene luce perla vita e per la storia di ogni uomo, così l’Eucarestia cui l’accolitoserve plasma la vita di ogni uomo.

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Il forte legame tra liturgia e vita è la tipicità del suo ministero.Il loro abito bianco è memoria viva della dignità di ogni bat-

tezzato al quale è dato lo Spirito per credere nell’efficacia delleScritture e per comprenderle e gustarle come rivelazione di Cristoe regola di vita per l’uomo e nello Spirito riconoscere il misterodella Chiesa che genera ed è generata dall’Eucarestia.

Ministri o missionari?

Dobbiamo, cara parrocchia, allargare lo sguardo sui tuoi mini-stri istituiti per non ridurli a piccola cosa: essi sono essenzial-mente missionari: avvertono forte nel cuore il desiderio di annun-ciare il Vangelo e rendere presente la salvezza nei sacramenti, spe-cie l’Eucarestia.

È questo spirito missionario che allarga l’orizzonte del loroservizio: il lettore proclama la Parola di Dio nella liturgia, è cate-chista, cioè educatore alla fede, cura la comprensione della Paro-la di Dio da parte dell’assemblea, è annunciatore della Parola diDio ai lontani negli incontri personali, nei centri di ascolto, nellacatechesi itinerante, e in tanti altri modi che la vita suscita in te,cara parrocchia.

Si possono aumentare i nomi e le specificità dei ministeri chehanno una istituzione liturgica ma non è meglio allargare e con-solidare quelli esistenti allargando la loro prospettiva pastorale?

Essi, centrati sulla liturgia alla quale servono con dignità rega-le, si aprono alla totalità della vita cristiana e devi fargli uno spa-zio più grande nella tua vita di parrocchia.

Essi contribuiscono e sono essenziali per quella riscopertadella Bibbia in questo anno di Cristo in preparazione al giubileo.

Parimenti l’accolito o suddiacono (il secondo nome ne illumi-nerebbe il compito!) è missionario in senso maggiormente prati-co-operativo con la sua vita e il suo ministero.

In assenza del diacono ricorda a tutta la comunità le emergen-ze della carità perché dopo la gioia della celebrazione domenica-le il popolo di Dio viva la messa nella vita.

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L’andare ai malati e anziani per portare l’Eucarestia lo fa mis-sionario presso i piccoli e i poveri e questo lo spinge nella vita aduna operosa carità: cura che a Messa ogni domenica non man-chino le persone con handicap, si premura per eventuali fratellinon vedenti, sordomuti, sordociechi, perché abbiano accoglienzae aiuti adeguati, si fa missionario del Vangelo in una società con-sumista e indifferente.

Logica vuole, cara vecchia parrocchia, che crescendo in te laconsapevolezza del compito dei ministri istituiti ve ne sianoquanti sono necessari: non vi saranno più lettori «occasionali»quanto più sarà apprezzato e vissuto il ministero del lettore isti-tuito: parimenti crescendo la consapevolezza del dono di essereaccoliti, essi tendono a ridurre l’esigenza dei ministri straordinaridella comunione (benché gli uni e gli altri siano stati preziosissi-mi in questi anni dall’avvio dei ministeri) soprattutto se sarà sem-pre più aperta alle donne la strada dei ministeri istituiti.

Le donne. Il volto di Gesù che accoglie

Nella parrocchia miniera c’è una ricchezza in gran parte ine-splorata: il ministero della donna nella parrocchia.

Non dirmi che le donne sono presentissime in parrocchia: alleliturgie, alla catechesi, nella carità, presentissime nei servizi, lacatechesi è per lo più opera di donne, i servizi di organizzazione,di segreteria, di decoro della chiesa sono spesso fatti da donne.

Hai ragione, ma per lo più la donna è una preziosa collabora-trice per l’esistente non ancora preziosa missionaria per il tuofuturo! In questo è un tesoro ancora inesplorato nella miniera!

Essere donna oggi

C.v.p., pensare al volto della donna fuori e dentro la chiesa,scoprire il suo apporto attivo e costruttivo in seno alla comunità,mi sollecita in modo particolare il parlarne con te.

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Veloci mutamenti socioculturali hanno segnato gli ultimidecenni, definendo una nuova immagine della donna e del suoruolo.

Ti basti pensare al lavoro extrafamiliare, al restringersi progres-sivo delle aree e delle competenze familiari, all’interesse rinnova-to per i sentimenti e la sfera emozionale.

La donna ha pertanto acquistato una «identità», guadagnatasenza contrapposizioni, ma anche senza omologazioni; una paritànonostante la diversificazione e la differenza che si compone in untutto unitario attraverso il dialogo e la reciproca osmosi.

«Reciprocità nella differenza»: scambio produttivo di altissimiapporti che trae origine da due poli contrapposti che si integrano.

Tutta la chiesa si è impegnata nel ripensamento del ruolo delladonna nel suo interno.

Il papa ha voluto premiarla con la lettera «Mulieris Dignita-tem», promuovendo l’inestimabile valore del genio femminile.

Nella parrocchia del futuro vedo più che mai ridisegnato ilcompito della donna come protagonista, non nel senso di accam-pare diritti, ma per tradurre i doni ricevuti; esercitare il proprioservizio, non in rivalità o in antagonismo con i cristiani di sessomaschile, quanto piuttosto per attestare la necessaria interazionedi maschile e femminile nella vita della comunità stessa.

Dalla parrocchia miniera la donna va estratta con particolarecura per la sua preziosità e inserita nel grande cantiere aperto diuna chiesa che si rinnova.

La parrocchia del domani, pluralista, multiforme che riassumein sé persone, stati, situazioni, differenze di classe, di età, di scel-te di vita, ha compiti molteplici che richiedono coraggio, quasiun’attitudine materna a passare attraverso il travaglio che è diun’epoca, di una cultura e di tante coscienze.

La vita dell’uomo, a volte, è troppo stretta dalla tecnica e dallascienza, La donna, il femminile, il materno, porta a vivere più diintuizioni, di sentimenti, di emozioni, porta a ragionare con mag-giore creatività e libertà. Questo carisma, questo talento la costi-tuisce membro vivo, attivo della comunità e dei bisogni in cui la

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parrocchia si incarna. Pensa quale contributo per aprire strade nuove legate all’in-

fanzia, alla vecchiaia, all’immigrazione, alle nuove povertà.Il compito della donna è variegato, è una sfida a cercare solu-

zioni rendendo più acuto lo sguardo, è coscienza che il servizionasce dalla fede, ma da una fede che si fa intelligenza, memoria,dono di sé, sapienza.

Grande è la capacità della donna nell’amore, e la forma dell’a-more al femminile si esplica nell’accoglienza, nella disponibilitàalla relazione interpersonale, nell’attenzione per la persona.

Attenzione alla persona è senso della gratuità, è essere attentiai più deboli in cui i valori sono custoditi in una forma più indi-fesa, è fedeltà all’altro, è disponibilità.

La donna è chiamata oggi ad esercitare le sue qualità, le sueattitudini ed il suo carisma nella nuova evangelizzazione, perchécapace di annunciare la gioia di credere in una speranza nuova, inun battito di cuore, in un gesto di fraternità spontanea.

La questione femminile nella parrocchia non è sicuramenteuna questione fra le tante: è in gioco secondo me la credibilitàdella parrocchia stessa.

Mi piace guardare alla parrocchia del terzo millennio come auna comunità in cui alacremente convergono uomini e donne;una comunità nel segno della gratuità e del dono, grazie ancheall’appassionato impegno della donna.

Volti di donna

Vi sono già in te tanti volti nuovi di donna: donne preparateche hanno frequentato le scuole di teologia o desidererebberofarlo, donne con grande talento e sensibilità, donne fortementeimpegnate nella vita civile che desiderano con eguale responsabi-lità essere accolte nella chiesa.

Tutti i volti della donna fanno bella la parrocchia!Donne spose e madri con tutta la gioia e le responsabilità della

casa, donne single che per situazione di vita vedono sfumare un

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progetto serio di famiglia e sentono di avere tanto amore da met-tere al servizio degli altri; donne consacrate che vivono e lavora-no in parrocchia o pregano nel monastero, che portano un aspet-to preziosissimo dell’essere donna quale la totalità dell’amore e lapurezza del corpo; donne separate o vedove che decidono di tra-sformare il loro stato di vita in una vocazione e una diaconiaverso i più poveri o verso coloro che cercano Dio.

C.v.p. devi pensare come poter sviluppare la ministerialitàdella donna nella tua vita di parrocchia.

Donna e nuove forme di catechesi

La catechesi parrocchiale non va così com’è: è un dramma veroe proprio in incubazione da tempo, scoppiato in questi anni: nonriesce a formare; è per lo più tollerata, raramente lascia un segno.

La donna educatrice o madre sente molto questo problema.Qui puoi estrarre davvero dal tuo tesoro grandi ricchezze!Oggi la maggioranza dei catechisti è donna; con grande fedeltà

ed impegno sebbene la catechesi per lo più non incida, non pren-da.

Perché non ricercare alcune donne, con particolare carisma epassione, di specializzarsi nella catechesi, non solo a livello teo-logico e didattico ma anche a livello creativo e sperimentale: stra-de nuove più coinvolgenti, capaci di trasmettere in profondità ilmessaggio nel cuore di ragazzi adolescenti, valorizzando anche lasituazione di casalinga e di part-time entrambe così preziose perorganizzare il proprio tempo?

Le donne possono essere coinvolte nei ministeri di fatto e veni-re affidati a loro in prima persona i servizi preziosi della Parola edell’Eucarestia.

Valorizzare il rapporto fra donna e casa: ogni casa può diven-tare aperta, capace di attenzione e di ascolto, di accoglienza e diconcreta solidarietà.

Un particolare carisma la donna lo rivela nei problemi educa-tivi e nella promozione del sociale.

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Donne catechiste itineranti

Cara vecchia parrocchia,oggi la gente ha tanto bisogno di essere ascoltata e nessuno ha

tempo per ascoltare. Il confessore è sostituito spesso con lo psi-cologo ed è assai difficile la guida spirituale.

Anche chi è in ricerca di Dio e non viene in parrocchia qual-che volta ha un desiderio di parlare di Dio e spesso chi bussa allasua porta non gli annuncia Gesù ma altre fedi.

Oggi a volte accade che i sacerdoti visitino una volta all’annole famiglie, frettolosamente, in occasione della visita pasquale. Avolte rimane solo una occasione di saluto, di uno scambio dinotizie senza andare in profondità.

È possibile oggi preparare alcuni in parrocchia e tra parrocchiecome catechisti itineranti, missionari nelle case per ascoltare eparlare di Gesù.

Sono specialmente donne, madri di famiglia o più spesso con-sacrate: la donna è maggiormente capace di accogliere ogni situa-zione umana, più facilmente può essere accolta in casa, anche almattino dove trova più facilmente altre donne.

Sono persone che dotate di grande umanità, si sono preparateper questo servizio missionario con lo studio e la preghiera.

Sono riconoscibili e la gente le riconosce subito come inviatedella comunità cristiana. Vanno nelle case e nei luoghi d’incontrosenza alcuna finalità immediata (libri, avvisi, presentazione di unmovimento o così via), ma si presentano «disarmate» solo perparlare di Gesù, della fede, della fatica di credere.

L’ordo virginum

Si può ben dire con «santa invidia»: ho visto un volto nuovo didonna nelle vergini consacrate; conosco un esempio splendido inuna parrocchia vicina!

Sono «sposate» a Cristo e vivono la loro consacrazione nelmondo, in tutto simili alle altre donne, legate in modo speciale al

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vescovo e alla Chiesa locale.Sono un segno nuovo e splendido anzitutto per il mistero di

Chiesa di cui sono l’immagine vivente: la Chiesa sposa del Cristo,da amare in modo indissolubile, quel mistero che gli sposi cri-stiani esprimono nella loro comunione coniugale.

La sponsalità è il cuore attorno al quale si esprime e si orga-nizza tutta la loro vita e la loro spiritualità: la preghiera è collo-quio sponsale con Lui, la lettura del Vangelo è ascolto della Paro-la dello sposo, l’apostolato e le opere di misericordia sono parte-cipazione sponsale al mistero di Cristo vivente nella Chiesa, pre-sente soprattutto nei piccoli e nei poveri.

Esse, legate alla chiesa locale, rispondono alle esigenze apo-stoliche che essa propone ed abitualmente sono inserite nellaloro parrocchia.

Sono tue figlie in modo speciale: non sono religiose, né mem-bri di un istituto secolare, non fanno riferimento a un fondatore,non assumono una regola monastica o uno statuto di vita reli-giosa, non si costituiscono in comunità, non hanno superiori osuperiore, sono laiche consacrate.

La verginità consacrata alimenta in loro uno spirito di grandedisponibilità al servizio anche se la loro consacrazione è già di persé un ministero indispensabile alla vita della Chiesa.

Impegnate nella preghiera, nella liturgia, nell’evangelizzazio-ne, amano le S.Scritture, si dedicano ai fratelli in particolari diffi-coltà.

Per questa strada realizzano la propria femminilità: la verginitàinfatti vista e vissuta nella fede è superamento della solitudine,diventano madri nello Spirito perché tanti figli siano generati nelVangelo.

Che ne dici c.v.p.?Non sarebbero un dono splendido per ogni parrocchia?

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Le coppie di sposi. Il volto di Gesù che ama

I coniugi cristiani ricevono un dono che secondo l’espressione paolina(1° Cor,. 7, 7) è un vero e proprio carisma a servizio della comunità.Essi ricevono così il compito di edificare la comunità ecclesiale. Lagrazia conferita agli sposi dalla celebrazione delle nozze cristianeoltre a generare una vita di santità, li rende protagonisti della vitadella chiesa e corresponsabili della sua edificazione. (C.E.I., Sulle orme di Aquila e Priscilla - Roma 1997 - pag. 18)

Cara parrocchia,suonano come miele ai tuoi orecchi queste parole dei vescovi

perché il volto nuovo della tua vita è dato proprio dal fatto checoppie di sposi, insieme, siano impegnate nella pastorale.

Prima ancora di ciò che fanno o potranno fare, il fatto di lavo-rare insieme come coppie è già una forma di evangelizzazione.

Insieme pregano, insieme si formano, insieme annunciano,insieme servono.

C’è un linguaggio non verbale che una coppia unita trasmettecon la sua vita: cogliere questo linguaggio nella comunità parroc-chiale è di grande aiuto per le altre coppie, per i giovani, ma ancheper i singles e i celibi e le vergini consacrate.

Dicevano gli antichi «non multa sed multum»: sicuramente saràminore la quantità dei servizi possibili insieme, specie quando cisono figli piccoli, ma la qualità è sicuramente più grande quandodue sposi insieme annunciano, servono, pregano.

A volte i tuoi sacerdoti non sono sempre attenti alla coppiacome tale preferendo avere delle prestazioni pastorali: credo peròche di fronte a tensioni e stanchezze della vita di coppia dovran-no scoprire che è più efficace il lavoro come coppia a costo, avolte, di dover rinunciare a qualcosa per le esigenze familiari maitrascurabili.

È perfino banale parlare di crisi della famiglia tanto è speri-mentabile nella realtà: non solo situazioni di crisi ma il progettocristiano di famiglia vive una silenziosa e pericolosissima crisi.

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Crisi di identità e di un progetto credibile di famiglia.Ciò che più colpisce nella tue coppie più mature è la mancan-

za di paura in ordine all’amore e al matrimonio: con la loro vitadi sposi e genitori trasmettono quasi per contagio, la certezza chel’amore di coppia paga, nonostante i momenti di difficoltà e laconvinzione che i conti si fanno alla fine e non sono in rosso...

Questa convinzione li aiuta a non ingrandire le difficoltà, anon nascondere ma neppure esasperare i momenti di stanchezzanella coppia, di momentanea aridità, di un po’ di freddezzavicendevole, certi che l’affetto può rifiorire nel rispetto e nel donovicendevole.

I tuoi sposi credono nella famiglia: il primo fondamentale ser-vizio che rendono alla comunità.

Questa fiducia vicendevole fa sì che non abbiamo paura deifigli e della vita. Giovani mamme con numerosi bambini stanchee serene insieme in un paese che detiene il primato della denata-lità.

Una famiglia normale

Le tue coppie credono in una famiglia «normale»: condivido-no e riaffermano l’importanza della figura paterna e materna perla crescita equilibrata dei figli, la necessità di tempo per nutrire lavita di coppia senza lasciarsi totalmente assorbire dal lavoro e daifigli o...dagli impegni in parrocchia... (sic!)

La presenza preziosa di tutte le figure educative soprattutto inonni, amici e figure importantissime per le nuove generazioni.

Le tue coppie, se sono famiglie vere, diventano già missionarie;vivere un progetto credibile di famiglia è oggi la prima grandemissione.

Oggi molti psicologi addebitano alla famiglia la prima respon-sabilità di ogni turbamento o devianza; gli operatori sociali fannoperno sulla famiglia per la soluzione dei problemi più gravi, anchepsichici, mentre la famiglia è in grave crisi di identità e di vita.

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Famiglie vere

Una coppia è vera quando affronta la sfida di proporre unmodello e uno stile di vita alternativo e condiviso da genitori efigli: fatto di fedeltà, di dialogo, di rispetto per tutti, di sacrificio.

La tua coppia è vera quando si rende visibile come chiesadomestica, come luogo di accoglienza e accettazione della diver-sità vista come ricchezza nella complementarietà dei doni.

Una coppia è vera quando diviene luogo di condivisione deisuccessi e insuccessi, dei problemi di tutti i giorni, delle preoccu-pazioni per la salute e la crescita dei figli, nelle esperienze spiri-tuali e quotidiane, capace di stare al passo di tutti anche di chi fapiù fatica.

Una coppia è vera e quindi è missionaria quando non si lasciacondizionare dal mondo e si offrono alternative ai figli rispettoalla cultura dei mass-media e quando l’andare al mondo non fapaura ma da gioia.

In una famiglia vera la missione si manifesta come assunzionedi responsabilità, con l’impegno in prima persona, con la criticacostruttiva, con il dare prima del ricevere, con l’essere prima delfare, la promozione della donna ne è il risultato visibile e tangi-bile.

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UN LAICO CLERICALIZZATO?

Un laico impegnato nelle realtà umane, nella famiglia, nellavoro, nel sindacato, nell’amministrazione della cosa pubblica,nell’economia, nei molteplici servizi della vita di oggi, con tuttala fatica di animare cristianamente queste realtà può anche viverela profondità dell’impegno apostolico in parrocchia?

Cara parrocchia negli ultimi decenni quando questa spaccatu-ra si è verificata tra il laico impegnato in chiesa e quello impe-gnato nella società, i risultati si sono dimostrati sconfortanti. Maanche tenendo insieme famiglia ed affetti, professione e vitasociale, comunità cristiana e servizi ecclesiali, non si può correreil rischio di clericalizzare il laico?

Sessant’anni fa la distinzione tra prete e laico era più netta e sivoleva distinto l’ambito di impegno:

Un grave pericolo è la clericalizzazione del laicato cattolico, cioè lasostituzione della mentalità propria del sacerdote a quella del laico,creando un duplicato di assai scarso rendimento.(op. cit. pag. 42)

Potremmo tranquillizzare Don Primo dicendogli che non è laprofondità dell’impegno apostolico che favorisce la clericalizza-zione del laico.

Cara vecchia parrocchia,ben altre sono le cause della clericalizzazione del laico.

«fuga mundi»

Forse una prima causa di clericalizzazione non sta nella teolo-gia o nella prassi pastorale ma nell’animo di alcuni dei tuoi cri-stiani.

Una volta si chiamava la «fuga mundi»: il vedere il mondo di

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oggi nelle sue istituzioni e struttura in modo fortemente negativo,come una realtà dove non vale più la pena di sporcarsi le mani:di fronte a Sodoma e Gomorra ormai c’è la fuga, senza voltarsiindietro... dimenticando che sarebbero bastati pochi «giusti» persalvare la città...

Quando si fugge dal mondo si fugge nel sacro, nella chiesa: lachiesa diventa il tutto e tutto si vive come sottile ricerca di realiz-zazione di se stessi. La chiesa non più serva dell’uomo ma benerifugio.

Oggi in parrocchia è più raro che accada tra i giovani, più faci-le tra gli adulti.

Quanto più si ama la gente, tanto più la gente diventa l’oriz-zonte del servizio; quanto più il mondo è visto come l’orizzontemissionario del credente, tanto più si cercano i segni di bene pre-senti in ogni uomo e in ogni realtà umana.

La gente vede un laico clericalizzato quando non sa valorizza-re la vita umana in tutte le sue espressioni.

I parrocchiani apprezzano quando la loro vita è riconosciutacome valore: l’anniversario di nozze, anche civili, sottolineatocon un saluto e una lettera affettuosa e rispettosa insieme, lanascita di un figlio, un posto di lavoro finalmente raggiunto, unamore finalmente realizzato lo sviluppo di un’azienda, una metaprofessionale conquistata.

L’animus clericale finisce per pensare che il bene stia solo sottoil campanile e l’uomo moderno giustamente rifiuta uno schemamiope e angusto di giudizio.

Ecclesiocentrismo

Il clericalismo laicale nasce da uno sguardo non «vero» suGesù: quando Lui rimane sullo sfondo e la realtà religiosa inprimo piano. Lo chiamano il vizio dell’ecclesiocentrismo: Lui,invece di crescere, diminuisce ai nostri occhi: in primo pianoviene l’organizzazione, il consenso, la sottile ricerca di prestigio epotere. E questo può abbracciare entrambi gli ambiti della vita

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laicale: quello più tipicamente ecclesiale e ministeriale ed anchequello più culturale e sociale finendo per annacquare in entram-bi la cosiddetta ispirazione cristiana. In cammino verso il grandegiubileo i tuoi laici possono inserirsi da protagonisti nella vita enell’apostolato parrocchiale e conservarsi immuni dal clericali-smo.

Leaderismo

C.v.p., il clericalismo può ancora nascere da una falsa conce-zione di Chiesa: sebbene il Concilio abbia affermato la grandedignità dei laici, se di fatto essi si sentono di dipendere dal cleropossono diventare clericali. Perché dove manca una vera corre-sponsabilità facilmente sboccia il leaderismo: nei movimenti difrequente sono laici, in parrocchia più facilmente lo diviene ilprete e nasce un sottile mimetismo in coloro che riconoscono inlui un leader.

Anche la separatezza è la radice di ogni clericalizzazione dellafede; l’incarnazione, al contrario, pone il credente come colui chelava i piedi, lo pone come il sale, il lievito nella pasta, come coluiche si fa servo dei fratelli.

Per questo dobbiamo ora verificare come la parrocchia si ponedi fronte al mondo, se si sente una realtà separata o profonda-mente incarnata.

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Capitolo secondoLA PARROCCHIA

TRA SEPARAZIONE ED INCARNAZIONE

C.v.p.

la parrocchia declina per mancanza di comunione con la vita, ossiaper difetto di incarnazione.(op. cit. pag. 37)

Cristo non ci ha salvato dal di fuori o dal di sopra, ma dal didentro.

Anche tu sei chiamata, per vocazione originale, a non essereseparata dalla vita dell’uomo, dai suoi problemi, dalla sua men-talità.

Vi sono religioni e spiritualità che concepiscono il sacro, il rap-porto con Dio, come separazione dal mondo, come un elevarsi aldi sopra delle passioni, come un essere messi a parte: anche inIsraele la liturgia, tanto più era solenne, tanto più prevedeva gestidi separazione.

La nostra religione, al contrario, c.v.p., pone al centro l’uomoconcreto in tutte le sue dimensioni e riconosce la Parola di Diodentro la vita e la storia dell’uomo.

Anzi la convinzione di essere sale e luce del cosmo ti ha con-

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dotta ad una maternità sollecita e premurosa da abbracciare tuttala vita dell’uomo.

Tutta la vita, in quanto subordinata e coordinata alla salvezza eter-na dell’anima e all’avvento del Regno di Dio come aiuto alla sal-vezza delle anime, appartiene alla maternità della Chiesa.(op.cit. pag. 31)

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LA SECOLARIZZAZIONE E LA PARROCCHIA

Un tempo la parrocchia era tutta la vita della comunità.(op. cit. pag. 26)

Diamo, solo per un attimo, uno sguardo all’indietro, ma senzaaccuse e senza nostalgia perché quello che viviamo oggi non èsolamente la conseguenza di premesse poste e di situazioni accet-tate.

La crisi che attraversa la Chiesa oggi è dovuta in larga misura allaripercussione, nella Chiesa stessa e nella vita dei suoi membri, di uninsieme di mutazioni sociali e culturali rapide, profonde e di dimen-sione mondiale.(Episcopato francese, Lettera ai cattolici di Francia, in Il Regnon° 790, pag. 221)

Che cosa è successo?Ecco come già ne parlava il nostro don:

Nel processo naturale e necessario di differenziazione durato varisecoli - corrispondente al processo inverso di assimilazione di fun-zioni non religiose durato pure dei secoli - la parrocchia vide stac-carsi a uno a uno parecchi di questi ministeri o funzioni, i qualierano ad essa legati e da essa esercitati direttamente benché nonessenziali alla sua missione.L’autonomia, conquistata a fatica e non senza contrasti dalla comu-nità, non vuol dire diminuzione o attentato al prestigio spiritualedella parrocchia. È un fatto normale, quindi cosa buona.La parrocchia aveva assunto l’esercizio diretto delle principali fun-zioni sociali per una necessità storica, essendo le altre istituzioniancora incapaci di esercitarle o così decadute da non dar più garan-zia. Essa compiva una carità, ma si preparava un pericolo.(op. cit. pag. 26)

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Don Primo comprende, giustifica, parla con delicatezza e conforza: dietro ai grandi processi come quello della secolarizzazio-ne vi sono cause complesse, mai un capro espiatorio.

Ma quello che era necessariamente temporaneo ed eccezionale nonpoteva né doveva durare: ne avrebbero sofferto la parrocchia e lacomunità civile.Ma poiché nessuno rinuncia spontaneamente a posizioni di dominioacquisite per necessità e mantenute a lungo per il bene comune, ilprocesso di liberazione o di maggiorità del civile dall’ecclesiastico s’èsvolto con vicende irte di scontri e d’incomprensioni dolorose e fatali.La parrocchia di fronte a una comunità in continuo sviluppo sidimostrò ogni giorno più insufficiente a certi compiti culturali assi-stenziali economici e sociali.La società civile, mentre prendeva coscienza attraverso i vari reggi-menti politici della propria forza misurando l’insufficienza dellatutela, aspirava a buon diritto alla propria autonomia.Donde un malessere e un dissapore tra le forze nuove e la chiesa, tralo spirito moderno e la religione, tra la parrocchia e la comunità, chesi veniva organizzando fatalmente con carattere d’opposizione quasiirrisolvibile.Il laicismo nacque da un’indipendenza ottenuta contro voglia, laquale produsse una diffidenza reciproca, aggravata da parte secola-re da sintomi e fatti di rivolta dottrinale e di manomissione del tem-porale sullo spirituale.(op. cit. pag.27)

Se lo storico comprende il credente fa fatica a capire comedopo secoli non si sia trovato un giusto equilibrio tra comunitàcivile e comunità ecclesiale.

Il guaio maggiore consiste nel fatto che a distanza di secoli, l’animodivergente e opposto de’ due contendenti, nonostante le dure espe-rienze dell’una e dell’altra parte, non si è molto rasserenato e cheognuno dei due continua a camminare, per conto proprio, su strade

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che non s’incontrano e a costruire con disegni propri una città chenon è la città di Dio, poiché quella degli uni è pietra senz’anima,quella degli altri un’anima senza pietra[...] La politica, l’economia,la cultura, la scuola, l’industria ecc. non sono funzioni direttamen-te connesse con lo spirituale. La religione può averle esercitate in un momento storico particolaree la società gliene deve essere riconoscente. Ad una comunità civilepervenuta a maggiorità la chiesa riconsegna le sue funzioni o lasocietà stessa se le riprende. Io, laico cattolico, posso e debbo concor-rere a questa naturale e legittima laicità che la chiesa ben lungi dalcondannare, difende in documenti fondamentali e solennissimi[...]Per tali cause, incominciò per la chiesa e per la parrocchia in parti-colare un periodo criticissimo, tutt’altro che superato. Era cadutauna superstruttura storica, attraverso la quale, quantunque onerosa-mente, la parrocchia aveva esercitato un controllo e dato una dire-zione, sia pure difficile, a quasi tutta la vita. (op.cit. pag. 28, 29 passim)

Nella parrocchia la chiesa fa casa con l’uomo ed inevitabil-mente i grandi eventi della storia e del pensiero si riflettono sullaparrocchia.

È un microcosmo in cui si riflettono aspetti di dimensioni pla-netarie.

Un tempo, quando vi era una certa unità culturale soprattuttotra il popolo, la parrocchia era tutta la vita della comunità.

Avvenuta la rottura con la comunità civile che aspirava allapropria autonomia la parrocchia navigò a vista tra la paura dellaicismo e l’accettazione serena di una sana laicità.

La secolarizzazione si è riversata sulla parrocchia a diverseondate...

Oggi dopo la caduta delle ideologie, si parla di crisi di tra-smissioni di valori, di perdita di memoria, di profonde fratturesociali, di pluralismo religioso, di privatizzazione della fede, diindifferenza profonda, La parrocchia potrà dare un suo contribu-to originale al grande cambiamento?

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All’inizio si esprimeva come anticlericalismo: lo ricordo dabambino, i primi anni dopo la guerra.

Anche se nelle nostre terre non c’era un forte anticlericalismo,era forte la distinzione tra quelli del prete e gli altri.

Ricordo che i pacchi dono del popolo americano si andavanoa prendere in parrocchia di notte per non offendere la suscettibi-lità degli altri che non erano dei «nostri».

All’inizio degli anni ‘70, era soprattutto il fronte ideologico el’impegno politico divergente a dividere gli animi dei parrocchia-ni. Con reciproche frecciate velenose durante i periodi elettorali.

Oggi la sfida è più direttamente una sfida culturale: i cristianisi ritrovano in un mondo che ha modi profondamente diversi diconcepire la vita, la famiglia, i più profondi valori morali.

Per lo più, in parrocchia, si sono avute separazioni di fatto: lavita feriale della gente, scuola, occupazione lavoro, uso dei soldi,giustizia, raramente ha trovato un giudizio meditato e puntualevuoi per la complessità dei problemi, vuoi per quella necessità ditutti abbracciare e tutti servire come fontana del villaggio.

Forse va aggiunto che si è prestato più attenzione a sceltecoraggiose e profetiche a discapito di quelle che finiscono poi peravvolgere e plasmare la vita delle persone come sono tutti queilegami naturali e sociali che decidono dello stile di vita del cre-dente nella sua realtà quotidiana..

Oggi la separazione avviene con garbo, civilissimamente: i cri-stiani di parrocchia ripiegati su se stessi, barricati nella loro comu-nità spirituale non riescono spesso ad avanzare proposte, a puri-ficare quelle esistenti, per proporre una santità che sfugga allamediocrità di una vita consumistico-borghese e alla perenne einquieta ricerca di una esistenza che voglia quasi slegarci dallanostra condizione terrestre e quotidiana.

I cristiani militanti si aggrappano giustamente ai Vangeli e alleScritture per descrivere la loro identità ma non riescono a tradur-re in motivazioni umane convincenti i dettati della Rivelazione,

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creando, specie nei giovani, una religiosità superficiale che nonregge all’impatto con il modo di pensare dei più..

Oggi stanno cambiando mondo e società: un mondo svanisce ed unaltro sta emergendo, senza che esista un modello prestabilito per lasua costruzione.(Episcopato francese, Lettera ai cattolici di Francia, in Il Regnon° 790, pag. 221).

Parrocchia e mondo moderno

Il Concilio ha fatto un grande lavoro di avvicinamento traChiesa e mondo, altrimenti le spaccature sarebbero state ancorapiù gravi.

Il rischio di chiudersi a riccio per la parrocchia è tuttora reale:potremmo chiamarlo il metodo del «lascia pur fare...»

Lascia pur fare...

Già Don Primo diceva che ai suoi tempi era quasi abbandonato.Si tratta di lasciare che il mondo vada per la sua strada... Si

mettono lucidamente in luce dove conducano certe strade e lamancanza di fede.

Non so, a dire il vero, se questo metodo è oggi completamen-te abbandonato in parrocchia.

So per esperienza che è facile nella vita parrocchiale tirare iremi in barca, fermarsi, stare ad aspettare il mondo che passa.

Si è coscienti di non poter più incidere nella vita e che ognunoormai va per la sua strada, ma si continua a vivere.

Una certa parte di parrocchia resiste anche con i «remi inbarca».

Ogni anno nuovi bambini si affacciano ai sacramenti, così cisono sempre i fidanzati, i matrimoni, i lutti, le feste.

C’è comunque una qualche vita e non ci si accorge che i due

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mondi si allontanano. Ci si lascia vivere, si cammina per inerzia.Come quei genitori che, paghi di aver con loro in casa i figlioli

divenuti grandi, si guardano bene dall’affrontare con loro i puntipiù scottanti del loro modo di pensare e di vivere; vivono comeseparati in casa, convinti che alla fine le cose si aggiusteranno.

Si può acconsentire a questo metodo con ragioni diverse: nonspetta a noi vedere i frutti ma solo piantare il seme, non abbiamole forze, o ci si consola dicendo: la Chiesa, quella vera, è fatta dipochi, il resto lo farà il Signore. È il grande rischio della Parroc-chia: un’altra esperienza di Chiesa finirebbe o avrebbe un fortedeclino quando venisse meno la capacità di presa e di comunica-re con l’uomo moderno: la parrocchia può «tirare a campare»...

Attivismo separatista

Cara vecchia parrocchia,di fronte alle grandi sfide culturali, se c’è chi incrocia le mani,

c’è anche chi non si arrende e risponde con grande impegno cer-cando di creare iniziative di tipo esclusivamente confessionale.

Sessant’anni fa Don Primo lo chiamava «attivismo separati-sta».

Ci si sforza di creare, di fronte all’altrui iniziativa, istituzioni simi-lari di carattere esclusivamente confessionale: banche, cooperative,sindacati, circoli, mutui, cinema, sport.(op. cit. pag. 34)

Mi colpisce che non parli di scuola, non credo solo perché nonpuò essere «parrocchiale» una scuola che si rispetti, ma anche per-ché riconosce che a volte un tal metodo si impone.

Oggi si potrebbe parlare di banca Etica, di Commercio Equo eSolidale, di radio, di televisione, di un sito Internet, di giornali, diopere sociali.

Oggi molte iniziative possono essere interparrocchiali, vicaria-li, all’interno di unità pastorali.

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Quando un tal metodo di attività separate si impone? Si impo-ne quando è l’unica maniera di custodire dei valori o proporreuno stile di vita.

La chiusura culturale nei confronti del vissuto cristiano (teori-camente siam tutti rispettosi e d’accordo) costringe le comunitàad attrezzarsi in proprio, direi come dolorosa necessità, perché ildesiderio del parrocchiano militante è di poter esprimere se stes-so, nel rispetto degli altri e senza pretendere privilegi, là dove tuttisi curano, vivono, studiano.

In questi ultimi decenni è accaduto anche il contrario: abbia-mo lasciato cadere servizi per i ragazzi e i giovani che giudicava-mo suparati e ora nei Comuni li stanno riscoprendo come utili epreziosi e ci rimproverano un tale abbandono.

Cara vecchia parrocchia, penso che delle attività in propriocontinuerai a svolgerle..

Il credente dovrebbe sempre accorgersi con largo anticipo dirisposte che ancora la comunità civile non vede; poi pian piano lefa sue e la parrocchia trova altri poveri da amare e da servire.

È anche utile oggi, porre segni di vita, follia della carità, che icredenti gestiscono con sacrificio e gratuità non con spirito sepa-ratista ma in un fecondo dialogo con la comunità civile e comeprovocazione ai fratelli di fede.

Oggi prevale il desiderio di collaborare lealmente con le istitu-zioni civili e mi pare un grosso fatto positivo.

Ci può essere il rischio di perdere di vista l’essenziale, ma èimportante potersi misurare con la vita concreta.

L’esperimento ci è pure servito a comprendere quello che molti cat-tolici benestanti o spiritualisti disincarnati stentano tuttora a capire:quanto sia cosa malagevole e ben diversa d’ogni escursione teorical’avventurarsi nel campo materiale e come i problemi dello spiritosiano saldamente e delicatamente connessi a quelli, molto umili inapparenza, del vivere quotidiano.(op. cit. pag. 34)

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Se vi fosse spirito separatista (mi sembra di pochi e non ingenere in parrocchia) varrebbe il monito di Don Primo:

Si crea un mondo contrapposto all’altro, con interessi e clientele chesi oppongono a interessi e clientele.Diversa talvolta soltanto l’etichetta(op. cit. pag. 35)

In questi ultimi decenni qualche tentativo c’è stato di usare ilmetodo muro contro muro ma, almeno in parrocchia, è prevalsoil dialogo, il metodo di gettare i ponti.

Separatismo culturale

Oggi il separatismo più che nelle attività contrapposte è nellacultura. Due mondi, due modi di pensare, due linguaggi: spessosegue l’incomunicabilità.

Ognuno il suo modo di concepire la vita, il dolore, i soldi, ilmorire. Si vive in condominio ma sono mondi lontani, tra fami-glia e famiglia, persona e persona.

Cara vecchia parrocchia, di fronte al separatismo culturale iltuo cristiano comune, superato il tentativo di chiusura e contrap-posizione si apre ad un dialogo costruttivo con quanti gli sonoattorno per proporre la sua visione di vita e per ascoltare quellealtrui certo di avere una parola da dare che è sale, luce, lievito.

La via del dialogo

La parrocchia ha scelto da molti anni la via del dialogo: dialo-gare è un atto di fiducia nella persona nonostante il relativismo alivello etico e conoscitivo: è la convinzione che c’è un terrenocomune dove tutti gli essere umani possono ritrovarsi nella veritàdella loro coscienza, senza maschere, nel rispetto e tolleranzascambievoli.

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È vero c.p., che è più facile il dialogo con quelli di fuori daiquali accettiamo dialetticamente ogni critica, che con quelli didentro: nella parrocchia, tra parrocchie e le varie realtà di chiesacon le quali il dialogo è più difficile per non inasprire i modidivergenti di concepire metodi e progetti pastorali.

Certamente però il dialogo è una carta vincente: confrontan-doti con la realtà umana che ti circonda impari anche un con-fronto con te stessa, al tuo interno, superando paure ed immobi-lismo.

Tu hai una caratteristica nel dialogo: non scegli mai i grandisistemi del pensiero ma hai sempre di fronte la persona concreta,la sua speranza e la sua salvezza.

Il dialogo necessita una fede forte, capace di credere controogni speranza, ed insieme una grande libertà interiore per met-tersi in ascolto dell’altro.

Dialogare è il rifiuto di ogni separazione, di ogni arroccamen-to, di ogni chiusura.

Anche la parrocchia sceglie la via del dialogo a 360 gradi.Dialogare è anche un atto di fede nel mistero dell’incarnazio-

ne, di un Verbo seminalmente presente in ogni persona e in ognicosa vi sono tracce di Lui, e quindi sono possibili alcuni percorsicomuni nella verità e nel rispetto vero di ciascuno.

Tu dovresti essere come una penisola nel mare, in modo sem-plice e spontaneo, senza barriere e distinzioni tra chi sta dentro echi sta fuori, ti protendi nel mare dell’uomo ed entri in contattocon le realtà più diverse.

Il clima del dialogo è l’amicizia che presuppone la simpatia.Dialogare esige una identità e chi è in ricerca della propria non

può farlo: in questi decenni, c.v.p., molti tentativi di dialogo sonofalliti, anche all’interno della chiesa con gruppi e movimenti, per-ché tu non avevi o non credevi in una tua identità; identità ancorpiù necessaria per dialogare con sensibilità e culture differenti.

È davvero tollerante nel dialogare chi è contento di ciò che stavivendo: non si tratta di perdere la propria identità nel dialogoma di approfondirla se non addirittura riscoprirla.

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I cerchi attorno alla parrocchia

Cara vecchia parrocchia,anche con laici vivi e preparati (son sempre piccoli gruppi) ti

ritrovi un piccolo cerchio vitale ed un grande cerchio che è diffi-cile definire o circoscrivere.

Oggi, in ogni tua realtà anche piccola, vi sono sempre questidue gruppi di persone che non possono essere mai totalmentedistinti, sono fluttuanti. Del primo abbiamo già parlato.

Il secondo è più ampio, ti conosce, ti scruta, è gente sensibilis-sima comunque a ciò che accade o non accade in casa tua: ti fre-quenta spesso in modo anonimo, saltuariamente.

In alcuni c’è la nostalgia e il ricordo della gioventù vissuta conte, in altri la delusione e l’amarezza per periodi di vita chiusi nel-l’aridità e nella rottura con gli amici.

Questi potremmo chiamarli, con termine Mazzolariano, i lon-tani.

C’è un altro cerchio formato da persone che non hanno maifatto una esperienza di fede, neppure da bambini. C’è in loromagari del rispetto, ma ti sono sostanzialmente indifferenti.

Molti son giovani.Non c’è nostalgia, a volte neppure inquietudine.C’è oggi anche una cerchia di persone che non ti conoscono

affatto, pur vivendoti vicino: uomini o donne di altre religioni osette: è la prima volta che ti trovi accanto religioni diverse da te,nella parrocchia.

La domanda che la vita ci pone è come comportarsi verso que-ste persone, e più generalmente come il cuore della parrocchia sipone di fronte al mondo, alle persone che sono attorno a diversilivelli.

Cara vecchia parrocchia,navighi tra separazione ed incarnazione.La separazione ti fa sentire protetta ma anche chiusa, due

mondi, due regni, due città, due culture.

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Il metodo dell’incarnazione ti spinge ad entrare nella com-plessità della vita e a gettare ponti per deporre semi del Verbonella nostra società di fine millennio.

Come entrare in dialogo allora con i lontani, con i cristiani diritorno e coloro che chiedono il battesimo, con i non credenti,con i cristiani di altre confessioni, con le altre religioni? C’è poiun dialogo sui generis, sempre difficile e sempre nuovo, con i tuoiadolescenti.

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DIALOGO CON GLI ADOLESCENTI

Cara parrocchia,non ti sarà difficile capire che sono un tuo adolescente ad apri-

re il dialogo e ti prego di accettare il taglio decisamente allegro,vivace.

Troppo spesso, io ed i miei colleghi ci sentiamo oggetti diindagini, statistiche, ricerche, interviste, filmati: vorremmo sentir-ci sempre più soggetti e protagonisti capaci di dialogare a 360°con tutti, anche con te, nella quale più o meno tutti siamo passa-ti nell’infanzia e ora adolescenti viviamo con te, un momento diripensamento, di distanza, di riscoperta.

A volte abbiamo la sensazione che anche tu voglia mettere dei«paletti» ai nostri confini: noi abbiamo dei «nostri» paletti, cidiamo un limite, ci accorgiamo, crescendo, che i confini inizianoa delinearsi sempre più chiaramente, ma siamo sospettosi quan-do altri vogliono metterli per noi.

Amiamo terribilmente «sporgerci» oltre i confini, i muretti, ipaletti che incontriamo quando intravediamo qualunque cosa lavoglia è quella di spingersi oltre, di sporgerci.

Ci «sporgiamo» in gruppo

Stare in gruppo, per molti miei coetanei, è «tutto»: è comeavere una seconda casa una dose giornaliera da passare in gruppoè sempre presente nella mia alimentazione.

Un insieme di amici dove non ci sono capi, dove ognuno siesprime al meglio di sé, si sente libero di parlare e dire ciò chepensa, senza paura di essere deriso: è questo il gruppo in cui sen-tiamo davvero forte il desiderio di «sporgerci» di più.

Purtroppo, a volte, non riusciamo ad instaurare delle relazioniautentiche, vere e profonde, non riusciamo a contagiarci a vicen-da di voglia di vivere, ad essere brucianti nei rapporti umani; tra

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di noi spesso i rapporti rimangono a livelli di grande superficia-lità, di tante parole ma pochi fatti.

È per questo motivo che vi sono giovani «andati in tilt!», anchecon Dio ! Il dolore, ci stiamo rendendo conto, segna molto l’esi-stenza di ognuno di noi; lo segna a tal punto da cambiare alcunivalori, ideali, e anche credo religioso.

Ma è nella solidarietà non solo parlata ma anche sperimenta-ta, nella reciproca comprensione, nel dialogo, che possiamo tro-vare la forza (e noi giovani ne avremmo davvero tanta se solo cisforzassimo un po’ di più di tirarla fuori) di affrontare questo tipodi deserto, di sconforto, per ognuno di noi in prima persona o peril nostro amico nel bisogno.

«Mettersi nei panni degli altri»: una frase fatta, che seguiamosolo quando si tratta di condividere con «gli altri» un hobby, ouna partita del cuore.

Una grande umiltà è quello che ci vorrebbe un po’ di più innoi giovani: un amico in difficoltà, che rallenta il suo passo nelcammino di fede, attende che io mi faccia suo compagno, checondivida con lui non solo le gioie ed i momenti più felici, ma lestesse paure, gli stessi dubbi.

In questo modo possiamo davvero sentirci un «gruppo» e tro-vare il gusto, la gioia e la soddisfazione di «sporgerci» insieme, dicondividere insieme.

Gli amici del «muretto»

C.p., non so che idea ti sei fatta di quando ci vedi sul muretto:spero non quella degli «scansafatica».

Ma non esiste solo quel tipo di muretto, ne esistono di invisi-bili a cui si appoggiano coloro che hanno abbandonato la scuolasenza un minimo di soddisfazione, che non hanno interessi,diremmo noi che sono, o sembrano, completamente «apatici».

In questo contesto «sporgerci» per noi vuol dire non romperemai i ponti con nessun amico, non avere pregiudizi, essere dispo-

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nibili senza limiti di orario(!)Dobbiamo però andare con «i piedi di piombo»: il primo con-

tatto è l’accettazione delle persone, la conoscenza reciproca, il fre-quentarsi.

Sarà poi la vita stessa a dettare il passo da tenere per entrare insintonia sulle reciproche esigenze, su quelle che sono le doman-de che stanno a cuore ad ognuno di noi.

Dobbiamo usare tutta la nostra maestria e arte nel «fare brec-cia» nella vita di un amico: serve tanta voglia di vivere, di condi-videre, di stare e di crescere insieme.

Chi ha un attivo cammino di fede in parrocchia parla, spesso,con troppa facilità dei «lontani»..

Ma se per «lontani» intendiamo anche «lontani da Dio» alloradovremmo farci un personale esame di coscienza...Oggi sentiamopoco un autentico senso di appartenenza, non ci sentiamo dav-vero parte di una comunità, parrocchiale e meno che meno dio-cesana o mondiale.

Il problema non è tanto e non solo di coloro che aprioristica-mente rifiutano Dio, ma anche del modo di come tanti, che aper-tamente dichiarano la loro fede in Dio, poi di fatto la vivono.

Molto spesso viviamo la fede come un fatto eccessivamentepersonale, fino ad esasperarla in egoismo, in chiusura totale all’al-tro.

Certo non è facile dire da cosa sia dipeso questo nostro mododi vivere e sentire la fede oggi, però è vero che sentiamo l’esigen-za di riprendere in mano alcuni discorsi o temi che una volta face-vano da padrone agli incontri e sui quali si faceva ora tarda.

Abbiamo una gran fretta di provare qualcosa di nuovo, di ten-tare di coinvolgerci e di coinvolgere gli altri con esperienze diver-se, su temi diversi... Ma a volte è sufficiente il semplice confrontosulle domande che quotidianamente sentiamo nel cuore e nellamente, sui nostri interessi, sulle nostre speranze, che potremmodavvero imparare ad aprirci e ad andare oltre, questo sì, ma nellaconoscenza di noi stessi e dei nostri amici...Senza niente di stra-ordinario.

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Sporgersi non è facile in questo settore! Me ne rendo conto,eccome! Ma se non ce la mettiamo tutta per farlo, come possia-mo ribattere a quei nostri amici che ci fanno osservare come lostare in parrocchia, in gruppo, non attira poi così tanto visto chela dimensione di felicità e di appagamento non è sempre né sen-tita né vissuta?

Giovani infelici e ripiegati su di sé sono il massimo della con-trotestimonianza!

Molto spesso, se ci guardassimo, mettendoci nei panni deglialtri, non avremmo sicuramente il desiderio di iniziare a fre-quentare lo stesso ambiente o ad interessarci delle stesse cose.

Noi e la parrocchia

Una porta aperta, una mano tesa, un volto accogliente. Cosìnoi giovani ti desideriamo cara vecchia parrocchia.

Una porta aperta intesa come luogo per entrare e uscire, oltre-passata la quale nessuno debba sentirsi obbligato, ormai «lega-to»...

La porta aperta è anche il cuore, la coscienza in cui possiamorelazionarci con storie, realtà, vite a noi vicine, ma delle qualipoco, quasi mai, ci siamo interessati.

Ma la porta aperta è anche il segno dell’uscita, che noi giovanisentiamo almeno in due modi: a volte, come per un fatto fisico,sentiamo il bisogno di altro, di staccarci dai soliti ambienti, dallaparrocchia in cui siamo sempre stati sin da piccoli, sin da quan-do le nostre madri hanno deciso, per noi, di mandarci a catechi-smo. (Ehi Don! Stai tranquillo! È solo che avevo bisogno di respi-rare altra aria, di allargare gli orizzonti. Al Signore gli voglio beneanche se in alcuni periodi mi vedi poco in parrocchia.)

La porta è aperta poi anche per alzarci, uscire dalla sala deinostri incontri ed andare tra i nostri coetanei, che non sono poitanto diversi da noi.

Qui sì che si fanno forti il desiderio ed allo stesso tempo la

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paura di spingerci oltre. Molto spesso ci sentiamo inadeguati, nonsappiamo in quale modo instaurare un rapporto, andare incontroad un nostro giovane amico... Forse ci facciamo troppi problemi!In realtà il modo lo sappiamo, eccome! È che troppo spesso cimanca la grinta, abbiamo tanto brio, ma quando si deve espri-mere nella fede...

Diciamo tanto di amare il rischio! Beh, qui dovrebbe essere lastessa cosa. Dovremmo scuoterci un po’, spingerci oltre, arrivare asuonare il campanello del nostro vicino senza la paura di essere«deriso», molti di noi si sono incuriositi proprio dopo una telefo-nata, altri dopo una festa, altri ancora dopo una gita.

La parrocchia inoltre noi giovani la vogliamo vedere come unamano tesa. Una mano che provoca e che allo stesso tempo atten-de.

Provoca perché ci chiede di non rimanere nel nostro guscio, aldi qua di quel «muretto» che ci protegge (da cosa, poi, non loancora ben capito), una mano che ci mette in discussione.

Una mano che attende sempre e comunque, anche se per uncerto periodo siamo stati lontani, certi che per Lui non ci sonoorari, tempi, luoghi prestabiliti per incontrarlo. Mi ricorderò sem-pre di quel campo estivo al quale non volevo partecipare ed èstato poi decisivo per il mio futuro.

Il don che mi dice: «Ti aspettavo!»; ma come, sono mesi, anniche non metto piede in chiesa e non mi confesso e tu mi dici «tiaspettavo»!... Che bello!

Una mano tesa ed una porta aperta che ci conducono ad unvolto accogliente e non giudicante.

Come è bello guardare un prete, osservare il modo in cui guar-da noi, e vedere sempre comprensione nei momenti più difficili,un sorriso nella gioia, partecipazione ai nostri sogni, alle nostresperanze, alle nostre preoccupazioni, e sempre e comunque sen-tirsi accolti e non giudicati.

Ma una cosa in particolare ti prego di dire ai tuoi preti: di nonsvenderci o annacquarci il Vangelo! «Grazie Don per quelle volteche con noi siete stati duri nel parlare, abbiamo capito che non

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era per bastonarci, ma perché il Vangelo va presentato senza scon-ti.» È stata come una doccia fredda di cui, col tempo se non subi-to, si sentono e si apprezzano i benefici. Abbiamo bisogno diparole vere: chiedi loro di parlarci sempre con il cuore.

La cosa di cui forse noi giovani abbiamo più bisogno è un pro-getto di vita.

Messaggi che bombardano la nostra quotidianità, esperienzesempre nuove e diverse che ci ritroviamo a vivere e con cui dob-biamo fare i conti, ci invitano a vivere l’attimo, a pensare soprat-tutto, a volte solo, al presente, senza preoccuparci del futuro opensare al passato per capire meglio...

Ma ci rendiamo conto, anche solo estraniandoci un attimodalla frenesia che ci prende ogni giorno, che il presente non appa-ga.

Solo con un progetto di vita si arriva a valutare tutto in manie-ra molto più globale, a riconsiderare tutto sotto una nuova e piùfruttuosa prospettiva, ma per questo abbiamo bisogno del tuoaiuto, cara vecchia parrocchia.

Un progetto in cui però i giovani non siano considerati comespettatori, vuoi perché troppo inesperti, vuoi perché non possonoancora occuparsi di «questioni da adulti»; un progetto in cui sicu-ramente la parrocchia sia parte attiva al progetto, ma coscienteche in ballo ci sono altre persone che sempre più tra loro devonodialogare, parlare, costruire insieme.

E chi può riuscirci meglio dei giovani che hanno tanta vogliadi fare, tanta energia, tanta voglia di vivere e di sporgersi oltre (avolte, forse, dovremmo tirarla fuori un po’ di più...!).

Un favore: riferisci questo agli adulti...

Non lasciarci soli, c.v.p., è ora di far basta col cammino di fede«fai da te»: per quanto liberante possa essere camminare da solied essere degli avventurieri in tutto ciò che di nuovo facciamo, esoprattutto con Dio, non sarà mai arricchente come in un rap-

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porto, non dico subito di gruppo, ma anche semplicemente tradue persone che iniziano a credere su un progetto e si impegna-no per portarlo avanti.

C.v.p., fa capire ai tuoi adulti che non devono limitarsi a direcon aria sconsolata «eh ma i giovani di oggi...» oppure «che gio-ventù bruciata!»; non abbassate mai la guardia, «una guardia» chesia però attenzione, accoglienza, accettazione, dialogo e non vigi-lanza sospettosa. Non capite che vi stanno «rubando il mestiere»? Lo sappiamo tutti, oggi chi ha veramente capito il mondo deigiovani non è la scuola, non è la Chiesa, non è il mondo dei geni-tori: è la ditta che mese dopo mese mette sul mercato motoriniche si differenziano per un fanalino o per una decorazione, è ladiscoteca con quel settimanale cocktail di rumore (per alcuni,ohibò, musica) luci, alcool e...

È lo stilista che ci obbliga ad indossare maglie e scarpe simil-povere (lo sanno bene le tasche di mà e bà che sono tutto altroche povere) perché altrimenti siamo dei «giurassici», delle perso-ne fuori dal mondo, perché non siamo «grunge», non siamo«punk» o «trendy» (alché l’ingenuo di turno potrebbe dirsi felicedi non esserlo scambiando queste denominazioni per misteriosee pericolosissime malattie tropicali...) Non chiedete allora all’Istatdi intervistare il solito campione di mille giovani per avere le soli-te mille risposte, o peggio non fateci leggere dal barbiere su delleriviste lettere del tipo «Mamma disperata chiede aiuto per capirei figli» inserite in quelle rubriche da tono confessionale tra lapagina delle ricette di Suor Germana e l’inserto sulla dieta dell’e-state...

Più che fare tante ricerche su di noi, avremmo bisogno che chiha più esperienza, cammini, progetti, condivida con noi i suoiinteressi ed i suoi punti di vista.

Certo è che, per far questo, gli adulti stessi dovrebbero impa-rare a lavorare di più insieme, in un vicendevole scambio di capa-cità e professionalità; l’esempio per noi giovani non sta tanto nelcombattere la singola battaglia, ma nel mettere insieme forzediverse per scopi comuni.

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Troppe volte ci sentiamo dire che ci stiamo imbarcando inimprese più grandi di noi!

Io sono sempre più convinto che noi giovani siamo il sognopresente, nel futuro di domani, ed è proprio per questo motivoche mi sento di dire con tutto il cuore agli «amici più grandi»(altro modo in cui chiamare gli adulti) che devono incoraggiarciin ciò che facciamo, in quelli che sono i nostri sogni e progetti,attese e speranze: non continuate a dirci solamente che il futuroè di noi giovani (e di chi se no?) ma chiedetevi piuttosto se voiadulti ci state aiutando a divenirne «padroni» e poi, permettete-mi, chiedetevi anche che futuro ci state lasciando ! In terminicinematografici mi sentirei di parlare della necessità di una gran-de coproduzione, una di quelle che mettono sul mercato quei fil-moni che ci fanno impazzire: giriamolo insieme questa volta,negli studios della vita, non scegliamo come protagonisti attoriche passano da una parte ad un’altra, saremo noi stessi, giovani emeno giovani a recitare il copione della nostra vita: poco emo-zionante, poco «smerciabile»? Può darsi, ma sicuramente nonsarà della squallida fiction.

Come uno splendido uccello cui, appena intrapreso un volo,vengono tarpate le ali e a fatica riuscirà a riprendersi, con la stes-sa fatica un giovane come me riuscirà a ripartire con lo stessoentusiasmo e la stessa voglia di fare e di sognare se ogni volta,appena spiccato il volo, gli vengono tarpate le ali.

Noi giovani siamo entusiasti, chi più chi meno, per natura, mati prego, c.v.p., aiutaci a non sentirci soli e ad avere negli adultiche ci sono accanto, dei maestri di volo che ci indichino alte vette.

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PARROCCHIA - PONTE:UN PONTE CON I LONTANI

Il tuo primo ponte lo costruisci verso i lontani.Il termine «lontani» è tipico di Don Mazzolari, a questa realtà

ha legato il suo cuore e le sue pagine migliori.

I lontani: la parola sa di nostalgia: di ponti mantenuti almeno dauna parte: di desideri taciuti: d’incontri o di ritorni auspicati, cer-cati, preparati nella preghiera e nella carità del cuore e dell’intelli-genza. Sa di esilio.(P. Mazzolari, I lontani, EDB 1981, pag. 31)

Esistono i lontani?

Non siamo noi per caso, agostiniani nello spirito, a pensareche il Signore ci ha fatti per lui e il nostro cuore è inquieto finchénon riposa in lui? E finiamo per vedere nostalgia ed inquietudi-ne, ricerca, desideri, voglia di ritorni?

È proprio vero che i nostri parrocchiani sono lì quasi aspet-tando il Pastore che corre nella notte per cercare la pecorella erimetterla sulle spalle e ricondurla con gioia all’ovile?

Confesso che per quanto mi aggiri per le strade del mondo, di talifiglioli ne trovo pochissimi.Trovo gente così distratta e sciocca o così immersa negli affari e neipiaceri che non sa neppure se esista un Padre, né che abbia una casa.Ché se sapesse d’averla, l’avrebbe già venduta, almeno per la parteche le spetta. (I lontani, pag. 13).

Esistono davvero i lontani: chi è abituato a trattare con il cuoredella gente non è mai così sicuro di una diagnosi fredda e senza

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appello: in ogni parrocchia ve ne sono gran parte.Chi sono i lontani? Non facciamo inutili elenchi.Un po’ tutti possiamo ritrovarci in quella situazione.La parrocchia con sottile intuito, si muove sicura per i delicati

sentieri lungo i quali, con motivi e volti diversi, sorelle e fratelli sisono allontanati, col loro dramma nel cuore.

Cara vecchia parrocchia,oggi è facilissimo sentirsi lontani da te e da ciò che vuoi por-

tare nel mondo.In genere il parroco si accorge subito di una lontananza in

atto: gli basta un saluto, uno sguardo per capire che qualcosa si èrotto e che ora quel fratello o quella sorella si sente «lontano».

La lontananza è nell’animo:

Adesso è il permanere di uno stato d’incertezza e d’indifferenza, laquale è come il senso di qualcosa di superato.C’è la scettica inconsistenza di chi sente di non avere più la fede diieri, che sa di non aver ancora trovato, che dubita di trovare...(I lontani, pag. 35)

Quello stato di incertezza e di indifferenza lo ritrovo in tantiche sono attorno alla parrocchia.

In alcuni c’è un animo disponibile e aperto, in altri prevalel’indifferenza che li porta ad una silenziosa eutanasia della fede.

Alcuni hanno gustato la bellezza della fede, poi uno spiritopuritano, la complessità della vita, il mistero del dolore hannocreato la lontananza.

Tutto porta vicino come tutto porta lontano dalla religione. Prima didivenire perdita o assenza, la crisi della fede non ha niente di dram-matico...Il lento sciogliersi di un abbraccio che non è più se nonun’abitudine, la quale pesa stranamente insopportabile.Ognuno ha la sua crisi, ...poiché le anime sono inconfondibili, spe-cialmente nei rapporti con l’eterno.(I lontani, pag. 37)

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I lontani vi sono anche oggi, vi saranno sempre. Non servecontarli.

A volte la comunità cristiana è, insieme al pastore, causa diallontanamento.

Ma oggi, più che per cause legate alla Chiesa, la lontananzanasce per una delusione nei confronti di Cristo, specialmentequando il male mette a dura prova la fede.

Come la parrocchia dialoga con i lontani

Cara vecchia parrocchia,chi per qualche ragione si sente lontano la prima cosa che

esige è quella di essere amato nella sua lontananza pur sapendoquanto desideri averlo in modo vivo e vitale tra i tuoi figli. Amareil lontano è riconoscere che lui vale per quel che è, non per lasituazione spirituale che vive in quel momento, amarlo è ricono-scere la gratuità della nostra religione, l’estremo rispetto dellacoscienza, la capacità di intuire quel che gli passa nel cuore!

Ogni sguardo, ogni rimprovero, ogni sottile ricatto in qualcheoccasione in cui chiedono un servizio, li allontana.

Ogni forma di facile proselitismo (quasi bastasse una bottasulla spalla e tutto ricomincia), irrita.

Come figli maggiorenni vogliono essere accettati così comesono. Non chiedono in genere sconti o annacquamenti del Van-gelo, esigono un rispetto sincero per una situazione di vita.

Si parla ai lontani come si parla dei lontani: credendo nell’amore enel metodo dell’amore. Nessuno è fuori dalla carità.(I lontani, pag. 41)

In questo spesso i laici vicini hanno molta responsabilità: «Soquello che dicono e pensano di me e non potrò mai stare in quel-l’ambiente». E la lontananza cresce.

...La questione è delicata: pensa ai separati, ai divorziati rispo-

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sati, a persone che vivono situazioni difficili ed irregolari...cheaspettano di trovare in te un luogo di certezze intrise di com-prensione e di amore!

Far parlare i lontani. La parrocchia è un permanente centro diascolto. La sua porta è sempre aperta, a tutti, giorno e notte. Que-sto mi affascina di te, cara vecchia parrocchia. Un cuore aperto adogni situazione umana. Un tempo le chiese erano rifugio pertutti, oggi la parrocchia è la casa di tutti perché Cristo è nato ed èmorto per tutti.

Ascoltando si impara a cogliere il cuore di chi è lontano:

...il lontano è un cuore il più delle volte retto, un’anima quasi sem-pre sofferente, un fratello al quale forse è mancata un’assistenza,una difesa, un’interpretazione, un esempio degno della verità.(I lontani, pag. 33).

Ascoltando si coglie la ferita del cuore ed improvvisamente cisi sente più vicini, si porta insieme la croce, pur lasciando alSignore i suoi tempi. A noi è chiesto di abbassare continuamentei ponti.

Vivere sotto lo sguardo dei lontani! Anche quando non dialo-ghiamo c’è sempre un dialogo non verbale che scaturisce dalmodo di vivere. I «lontani» ti guardano.

I lontani ci aiutano a ritrovare l’essenzialità della fede, laprofondità del mistero del male.

L’umanità di Gesù, sempre e comunque!

Basta il dialogo?

Basta una comunità che accolga a braccia aperte il prodigo per-ché torni e si sieda nella casa del Padre?

Certamente no. È questione d’incontro personale, di aperturad’ali, di disponibilità alla Grazia. È il dramma tra Grazia e Libertà.

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Hai visto anche tu nascere vocazioni splendide in parrocchie assaipoco vive!!!

Tutto è necessario, nulla è sufficiente purché scaturisca la scin-tilla della conversione.

Il dialogo con i lontani è un modo di essere, non pretende«convertire» nessuno.

È un modo di amare.

Non lo guarirò ma lo amo.Il miracolo non è la guarigione, è l’amore.Gesù non m’ha fatto ricco: Gesù mi ha amato.Io sono un redento: uno scampato dal deserto dell’amore.(I lontani, pag. 21)

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I CRISTIANI DI RITORNO ED I NUOVI BATTEZZATI: CAMMINI CATECUMENALI

Cara vecchia parrocchia,il regalo più bello per le nostre comunità è dato dai cristiani di

ritorno e dai nuovi battezzati che si impegnano ad avviare cam-mini catecumenali.

Cristiani di ritorno

Ad ogni prima comunione c’è sempre il ritorno alla praticadella fede di qualche famiglia, ma in genere questo accade neimodi più imprevedibili: a volte un’omelia ascoltata occasional-mente è all’origine di un ritorno; spesso è la testimonianza gioio-sa di un amico e di un’amica.

Non c’è nulla di più misterioso del ritorno.A volte è un prete amico che fa da tramite per sentirsi di nuovo

parte della Chiesa.Spesso sono momenti colti al volo, altre volte è il frutto di lun-

ghe attese spirituali.C’è dentro come una voce che ti chiama e all’inizio non sai

precisamente di dove viene: poi arriva il momento di scegliere.È come svegliarti tardi la mattina e sapere che sei in ritardo e

che ci sono tante cose da fare, delle quali senti l’urgenza e rico-nosci l’importanza: allora balzi giù dal letto e cominci così comesei, senza indugiare oltre, un nuovo cammino: quello che primati sembrava difficile e cercavi di rinviare, oggi puoi farlo con sere-nità e semplicità.

La fede ritrovata è come una stanza che era nella tua casa dasempre, una stanza che tenevi chiusa e scopri adesso che è la piùluminosa ed è quella che abiti di più.

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L’animo di chi «torna»

Chi torna nella Chiesa, nei tempi e nei modi che solo la Prov-videnza conosce, cerca una comunità dove si respira un clima diaccoglienza che lo metta a suo agio, dove viene offerta una frater-nità gioiosa, dove si possa quasi toccare la gioia di credenti chehanno «visto» il Signore, dove l’amore si fa reciprocità anche tragenerazioni diverse e cadono i muri dell’isolamento, delle distan-ze anche di età.

Si riaccende allora nel cuore di chi è «in ritorno» la simpatiaper la Chiesa e per il Signore perché gli incontri sono con perso-ne vere, profonde, dalle quali senti che puoi essere accompagna-to nel tuo cammino di ritorno...

Un luogo di ascolto

Anzitutto oggi, cara vecchia parrocchia, c’è bisogno di ascolto:le persone avvertono un enorme bisogno di essere ascoltate conamore e partecipazione effettiva, senza che l’interlocutore siaossessionato dalla mancanza di tempo e dalla fretta.

Di un luogo dove si abbia tutta l’attenzione e la tensione versola persona. Mi diceva un amico che regalare ascolto è un gesto diamore raffinato, l’atteggiamento di ascolto è così prezioso chepuò diventare un dono.

Non servono professionisti, esperti, analisti, psicologi: perchéinvece non preparare alcune persone con una abilità naturaleall’incontro per un luogo di ascolto che miri semplicemente amettersi a disposizione dell’altro sinceramente, liberamente, gra-tuitamente?

Ci sono uomini e donne che, partendo da un momento comequesto, possono ritrovare il gusto di un nuovo cammino spiritua-le.

Nell’ascolto vero, umile, fraterno si coglie più facilmente il Diodentro di noi, è il soffio leggero dello Spirito, è la voce sottiledella coscienza: c’è bisogno di ascoltarsi e c’è bisogno di dirsi, di

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raccontarsi ciò che sta emergendo dentro, nel cuore.Accanto ai centri d’ascolto della carità, vi sono questi centri

d’ascolto della coscienza: chi meglio di una donna potrebbe eser-citare questo ministero dell’ascolto e della speranza?

Religiosa o sposata la donna è madre e nell’esercizio della suamaternità spirituale prepara la strada al perdono sacramentale delsacerdote.

Ad essa si confidano ragazzi e ragazze con facilità e parlandoda donna a donna può raggiungere le situazioni più profonde ditante consorelle che non sarebbero ancora arrivate direttamentealla paternità del sacerdote o del diacono.

Il desiderio di ricominciare da capo

Nei cristiani di ritorno spesso c’è il bisogno di ricominciare dacapo...

Dicono: è come se non fossi mai stato cristiano! Molte cosenella comunità sono date per scontate; non lo sono per me! Vor-rei un aiuto come se per la prima volta ricevessi l’annuncio delVangelo.

C.v.p., dobbiamo imparare di nuovo un accompagnamentoche preveda un itinerario essenziale, che parta dalle fondamentadella fede. Un annuncio del Vangelo sul tipo delle prime comu-nità cristiane, di tipo kerigmatico.

Un’idea, cara v.p. potrebbe essere quella di differenziare lostile delle celebrazioni domenicali e pensarne una per i «catecu-meni». Magari il sabato sera, dove si celebra la messa pre-festiva.

Non un incontro di discussione ma il gesto più antico con l’u-nica differenza di una particolare attenzione nello stile della cele-brazione, nell’omelia (anche dialogata!), nelle preghiere e nelletestimonianze, per le ragioni fondamentali del credere, per unconfronto con le altre fedi che consenta di cogliere la novità dellaproposta cristiana, per ripartire dalla scoperta del battesimo.

Siamo convinti che la fede non si può dare ma possiamo offri-

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re con umiltà e coraggio occasioni per avvicinarsi a Cristo neimodi rispondenti ai bisogni delle persone. Di lì, con coloro chelo desiderano potrebbe partire un vero cammino di iniziazionealla fede.

C.v.p., c’è tra noi gente che desidera ricominciare a credere:uomini e donne che vivono una religiosità di tipo privato senzaalcuna visibilizzazione della fede; famiglie che non vanno più aMessa la domenica o ci vanno molto saltuariamente e che desi-derano, anche per i figli, riavvicinarsi al giorno del Signore; per-sone che, dopo anni di silenziosa attesa, avvertono, anche inmodo confuso, una spinta a ritrovarsi con altri a pregare, a riflet-tere, a interrogarsi su Dio; famiglie che vivono in situazioni diffi-cili o irregolari ma desiderano, con un po’ di coraggio, mantene-re aperto un dialogo religioso; giovani che fanno fatica a credere..

La festa del ritorno

La festa del ritorno è nella capacità di accoglienza di quelli chesono sempre rimasti a lavorare nella casa del Padre. Una festafatta di attenzione, delicatezza, braccia aperte ad un fratello o unasorella che rientra nella comunità parrocchiale: nelle occasionipiù solenni o più umili o apparentemente meno prevedibili.Alcuni desiderano subito ritrovare spazi di impegno ecclesiale,altri ricercano un cammino per tappe dove possano approfondi-re e raccontare il loro rapporto interiore. Potremmo offrire lorouno spazio di catechesi e di approfondimento del Vangelo inchiave catecumenale; se lo desiderano potrebbero fare un cammi-no assieme ai catecumeni; col tempo proprio alcuni di loropotranno aiutare quelli che per la prima volta bussano alla comu-nità cristiana.

Quel che è certo è che è festa grande per te per ogni uomodonna che «ritorna» in parrocchia!

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UN CAMMINO DI CATECUMENATO PER I NUOVI BATTEZZATI

C.v.p., fino a non molti anni fa non sentivi neppure parlare dicatecumenato. poi il nome era tornato abbastanza familiare gra-zie al movimento ecclesiale dei neo-catecumeni; oggi la Chiesa inEuropa e in Italia parla, come nei primi secoli, di catecumenatoper uomini e donne che desiderano ricevere da adulti il Battesi-mo.

Oggi anche nel tuo territorio vi sono persone che arrivano amaturare nella libertà questo desiderio. Non sono molti ma costi-tuiscono un grande dono ed una grande sfida per te. Impari adessere missionaria al tuo interno: la missione viene a te e sei comei missionari partiti per terre lontane. La presenza dei catecumeniti aiuta a riscoprire una ricca ministerialità in ordine al Battesimo:sacerdoti, diaconi, garanti, padrini, catechisti, famiglie cristiane sifanno vicini ai nuovi battezzati.

Un progetto di tutta la Chiesa locale

No, non sei sola, ne puoi esserlo, in questo servizio della ini-ziazione cristiana degli adulti. Il tuo Vescovo la segue con respon-sabilità diretta e globale perché anche il tuo servizio sia all’altez-za del compito che ti è affidato.

Un sevizio diocesano al catecumenato ti sostiene nella prepa-razione degli itinerari e nella formazione degli accompagnatori emantiene i contatti con le altre esperienze europee che è necessa-rio tu conosca e cali nella tua realtà. Ma anche l’esperienza delcatecumenato trova in te la sua attuazione ordinaria. Uomini dialtre culture o religioni, persone non battezzate da piccole ti chie-dono un cammino di iniziazione alla fede e tu ti fai missionariadel primo annuncio del Vangelo seguendo itinerari antichissimi eponendo in campo tutta la tua premura di madre.

C.v.p., la prima tappa di un cammino verso il catecumenato èquello di formare già da ora un piccolo gruppo in cui sperimen-

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tare alcuni itinerari a livello di catechesi, di preghiera, di vita cri-stiana, per formare i catechisti, i garanti, i padrini e le madrineche poi accompagneranno nel tempo del pre-catecumenato, cate-cumenato e mistagogia il battezzando. Insieme si porta avantiuna lettura del Vangelo in chiave catecumenale, si prende fami-liarità con le tappe e i tempi del cammino, si approfondisce conil servizio diocesano e con le varie esperienze già esistenti. Spessopossono essere gli stessi cristiani di ritorno, fratelli e sorelle checome la samaritana, incontrando Gesù, diventano apostoli.

Spesso sono giovani che hanno sperimentato che cosa signifi-chi essere affaticati ed oppressi e mai sazi; adulti che sono passa-ti attraverso lacerazioni profonde a livello affettivo e familiare eche hanno con tutte le loro forze cercato il volto di Dio; una voltariscoperta la propria fede e la grandezza e la dignità del loro bat-tesimo si rendono disponibili per accompagnare i catecumeni.Tra questi potrà emergere il catechista che assieme ai sacerdoti ediaconi animerà la catechesi, il garante che seguirà in modo tuttospeciale il futuro cristiano accompagnandolo nelle varie tappe, ipadrini che nel momento del sacramento si renderanno respon-sabili di un sostegno e di una testimonianza ma l’intero grupposarà prezioso nell’accompagnamento globale dei catecumeni.

Prima accoglienza

Come sempre la prima scintilla verso la fede è misteriosa e tudevi curare con particolarissima attenzione materna la primaaccoglienza di un fratello o di una sorella che ti si avvicina per ilbattesimo. Non per semplici ragioni umane ma per il rispettodovuto a quella delicatissima situazione di una creatura umanache con timore e a volte con fatica si avvicina alla persona diGesù.

Nell’accoglienza è allora possibile, con tutta la sincerità delcuore, allontanare ogni forma di proselitismo e lasciare assolutalibertà di risposta pur presentando a grandi linee l’itinerario cate-cumenale.

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Pre-catecumenato

Precede il rito di ammissione al catecumenato. Quasi unasorta di noviziato che consenta di maturare la decisione di dive-nire cristiani.

Viene dato un primo annuncio della fede ed un primo approc-cio al Vangelo.

Si instaura un rapporto fraterno e personale con il gruppo especialmente con gli accompagnatori.

Il tempo del cammino può variare: si potrebbe iniziare conl’avvento e proseguire fino alla quaresima per il rito di ammissio-ne al catecumenato, se matura la decisione di prepararsi al batte-simo.

«La durata del precatecumenato dipende dalla grazia di Dio edalla collaborazione di ciascun candidato. Non è possibile stabi-lire a priori un definito cammino formativo, né si può fissare inanticipo la data della sua conclusione. Durante tutto il processodi iniziazione cristiana, soprattutto in questa prima fase, occorro-no flessibilità, adattamento, paziente attesa e rispetto della libertàe dei tempi di crescita di ogni persona. È auspicabile, però, che iltempo del precatecumenato abbia una durata di almeno alcunimesi per assicurare una responsabile scelta, una iniziale sincerafede e una prima vera conversione « (C.E.I., Orientamenti per ilcatecumenato per gli adulti, 1997)

La catechesi è graduale ed essenziale: Cristo è annunciatocome Colui che risponde alle attese dell’uomo ed infinitamentele supera.

Viene annunciato il mistero della Resurrezione di Cristo, ilVivente ed il Vincitore della morte, che fa nascere una festa nelcuore dell’uomo.

Di qui aiutare a maturare liberamente la volontà di seguire Cri-sto abbandonando il peccato e cooperando con la grazia.

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Catecumenato

I catecumeni ascoltano la parola per tre anni. Tuttavia, se uno èzelante e si applica lodevolmente, non si giudicherà il tempo, ma solola sua condotta.Quando il dottore ha finito di fare la catechesi, i catecumeni pre-gheranno a parte, separati dai fedeli. Le donne pregheranno in unluogo a parte della chiesa insieme alle catecumene. Terminata la pre-ghiera i catecumeni non si daranno il bacio di pace, perché il lorobacio non è ancora santo.Terminata la preghiera comune, il dottore, dopo aver imposto lamano sui catecumeni, pregherà e li dimetterà.(Ippolito di Roma, La tradizione apostolica, SC 11 bis)

C.v.p., siamo al cuore del cammino di iniziazione. Cometempo minimo si potrebbe pensare da quaresima alla Pasqua del-l’anno successivo: la prima quaresima è l’ingresso nel catecume-nato, la seconda è la preparazione prossima ai sacramenti. Certa-mente non è molto ma, se vissuto intensamente, potrebbe costi-tuire il minimo indispensabile del cammino catecumenale.

Credo però, come insegnano coloro che da tempo vi lavorano,che non sia cosa buona fissare dei tempi ma parlare di crescita edi maturazione. Il cammino è decisamente personalizzato. Ladecisone spetta in ultima analisi al vescovo.

Parlare di tempi minimi può essere utile per impedire che cir-costanze, che vorrebbero affrettare il percorso, finiscano per svuo-tarlo di ogni serietà.

Penso che se la disponibilità è sincera sarà poi la formazionepermanente e la vita della comunità a completare la formazionedel catecumeno.

C.v.p., i catecumeni potranno vivere la catechesi con il gruppodi accompagnamento ed attraverso un rapporto più personalecon i garanti e i catechisti.

Penso ad un momento settimanale per l’approfondimento delVangelo, per ripercorrere le grandi tappe della storia della salvez-

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za, per attualizzare nella chiesa di oggi la Parola di Gesù.Anche le celebrazioni della Parola di Dio, gli esorcismi mino-

ri, le benedizioni potranno essere degnamente celebrati con colo-ro che accompagnano i catecumeni.

Il sostegno di una guida spirituale e l’invito a divenire fin d’oratestimoni del Vangelo e di ciò che il Signore sta operando in loro,sorreggeranno i primi passi della conversione.

C.v.p., il tuo compito più grande è fare la strada con i tuoi cate-cumeni. Farsi compagno, mangiare lo stesso pane. Provare insie-me la gioia di certe scoperte e la delusione di fallimenti e lentez-ze: accompagnare una melodia è farla risaltare, non sopraffarla.

C.v.p., devi fare attenzione però a certe ambiguità:

Quella della debolezza, che ha paura di offendere, quando si devedire la verità del Vangelo: rispettare vuol dire non imporre, ma pro-porre con sincerità e franchezza il dono di Dio; quella della pigrizia,che per un falso rispetto lascia dormire l’altro in convinzioni o situa-zioni contrarie all’impegno che si è assunto; quella della confusione:bisogna che il cammino abbia una strada ben tracciata, e non sivada avanti a tentoni, oppure seguendo un giorno le idee di unaccompagnatore, e un’altra volta quelle di un altro. Non si escludo-no rettifiche di percorso, ma un programma di massima deve esseretracciato e rispettato; quella della illusione, che crede che tutto possasempre procedere bene.Ogni tanto sono necessarie verifiche, (non solo quelle legate allecelebrazioni liturgiche), che ci possano dare il punto della situazio-ne: com’è cambiato il nostro modo di credere? di pregare? di tratta-re con gli altri? di confrontarsi con la comunità o con altri gruppi?;quella della specificità: insistere solo e sempre sulla catechesi, senzaintegrarla nell’anno liturgico: o proporre facili e gratificanti espe-rienze di vita di gruppo, senza un’attenzione alla crescita nella fedeo ad una sincera e forte revisione della propria vita.In conclusione, accompagnare nel catecumenato vuol dire, primaancora di badare al cammino degli altri, che la Parola di Dio tra-

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sformi la nostra vita. L’avventura del catecumenato bisogna conqui-starla insieme. È per questo che il catecumenato è un grande donoalla comunità cristiana: è l’invito di Dio a raddrizzare la nostra stra-da della salvezza, se vogliamo poi percorrerla con i nuovi fratelli chelui ci ha dato.(A.Giuliani, Catecumenato in casa nostra, pro-manuscriptopag.25)

Mistagogia

Cara parrocchia, come vedi il termine è antico ed un po’ miste-rioso: si tratta, per i neofiti, di intensificare i rapporti personalicon i diversi membri della comunità, prendere atto della vita par-rocchiale e delle sue attività pastorali, conoscere forme ed inizia-tive di formazione permanente dei fedeli adulti, alle quali aderi-re per continuare il cammino di fede. In questo inserimentocomunitario dei neofiti hanno grande responsabilità i padrini, icatechisti, i presbiteri. È il momento di completare una forma-zione ancora lacunosa specie dal punto di vista morale, ripensareai scramenti ricevuti approfondendone il mistero, abituarsi a rico-noscere la dimensione «simbolica» della fede, aiutarli a trovare illoro posto nella comunità, introdurli nella storia della Chiesa,presentare loro le grandi tradizioni spirituali del cristianesimo.

Anche qui potrà esserci un utile scambio tra i cristiani di ritor-no e i nuovi battezzati.

Il catecumenato rinnova la parrocchia

I catecumeni, c.v.p., diventano il segno della freschezza e dellanovità della Chiesa.

Le nostre parrocchie anche se frequentate da una minoranza,sono spesso estremamente esigenti all’interno ed indifferentiverso quelli che si sono allontanati: il catecumenato abbatte le

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mura, sposta i confini, impegna tutta la comunità a considerarecomunitario e di tutti la missione di evangelizzare.

Il catecumenato ti educa ad una mutua accoglienza, dove cia-scuno dà e riceve: è anzitutto come uno spostarsi verso l’altro el’accoglienza non è mai a senso unico o da una posizione di supe-riorità.

Anche il puritanesimo, che preferisce il tutto o il niente, èsconfitto dalla pastorale catecumenale: è la pastorale dei primipassi e lascia tempo al cammino di ognuno, rendendo così testi-monianza alla gratuità incondizionata dell’Amore di Dio.

Come già ti dicevo, il catecumenato non è proselitismo, nonnasce da spirito di conquista, è mettersi a servizio dell’azionedello Spirito in ogni essere umano, non ci potrà d’altronde essereun vero spirito di catecumenato in te, o parrocchia, senza l’auda-cia della carità, l’impegno per la giustizia, l’opzione preferenzialeper i poveri e quello sforzo umile e ciclopico insieme di umaniz-zare il mondo con la solidarietà verso ogni uomo.

Tutta la parrocchia infatti rende vitale il cammino di iniziazio-ne costruendo una vita più giusta e fraterna.

Il catecumenato, come vedi, è davvero una grazia grande perte: ti metti al servizio di tutti poiché tutti hanno la capacità di cre-dere in Gesù e questo diritto viene pubblicamente riconosciutoed efficacemente organizzato.

Ed è per tutti un invito ad approfondire in modo permanenteil proprio battesimo: tutti siamo in cammino per la professionedi fede nella grande veglia pasquale!

Ma soprattutto è motivo di grande gioia perché è la vita checresce intorno a noi.

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DIALOGO TRA CREDENTI E NON CREDENTI

Esiste il non credente?

Cara parrocchia,so che per te è difficile dare una risposta e ti capisco...Per chi crede che Cristo è dentro tutte le cose, il tessuto dell’u-

niverso, è difficile pensare che in ogni creatura non vi sia il semedi Lui, la traccia di una presenza e di un amore che ci ha prece-duto.

Io ti capisco, perché quando tu guardi un cuore gelido e fred-do in ordine alla fede, tu già cerchi tracce di germogli, come incampagna si cercano ai primi caldi, dopo un gelido inverno.

Perché sei convinta che Lui, come un tarlo o un lottatore, è lìa inquietare il cuore dell’uomo.

Ma questo accade quando si guardano le cose con gli occhidella fede, non partendo dalla sensibilità delle persone ma dalmistero di un Dio fatto uomo che tutti ama, tutti cerca, a tuttidesidera rivelarsi.

Di fatto il non credente esiste: vi sono tra noi uomini e donneche tali si ritengono, a volte con qualche sofferenza, talora comescelta di vita non più in discussione. Vanno accettati e riconosciuticome tali.

Riconoscerli è per te, cara parrocchia, come andare nel profon-do, rimetterti in discussione anche nelle questioni più essenzialie decisive: l’esistenza di Dio, il rapporto scienza - fede, la que-stione del significato dell’esistente, il problema del male, la pos-sibilità di pensare il tutto senza Dio e le tracce «razionali» dellasua esistenza.

Con i giovani questo è pane quotidiano.Finora per lo più il dialogo era concepito come mettere in

discussione le certezze dell’altro con il ragionamento pacato, conla polemica a distanza.

Il non credente rimproverava il credente di non essere libero

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nel dubitare, nel cercare, nell’interrogarsi: come chi non riesce piùa guardare lucidamente i fatti.

Alla polemica si univa spesso il sospetto che tutto l’interesse adialogare fosse strumentale, una forma di proselitismo, o il vole-re rivestire di dimensioni culturali la fede che per sua naturasarebbe cieca ed irrazionale.

Dall’altra rimproveravamo al non credente di essersi comemesso sul piedistallo, su un piano di superiorità, incapace di met-tersi con chi crede a guardare insieme la complessità della vita,dalla stessa sponda del fiume. Il piedistallo come residuo delrazionalismo e dell’Illuminismo che a priori giudica «irrazionale»la fede e con la parola «scientifico» mortifica una ricerca a tuttocampo del senso della vita.

È vero, cara parrocchia, che questo dialogo alto non nascevageneralmente in te, ma ne sentivi l’eco dal libro, dal giornale, dalreportage televisivo.

Dialogo tra credenti e non credenti in parrocchia

Cara vecchia parrocchia,a volte vi sono delle intuizioni che decidono per sempre il

modo di affrontare il problema.Alcune righe di una premessa del Cardinale Martini ad un

libro «Cattedra dei non credenti», sono state decisive per illumi-nare di nuova luce questa forma di dialogo e per farci compren-dere che anche la parrocchia, da sola o insieme ad altre puòcostruire una forma di dialogo prezioso per credenti e non.

Ecco le parole: Io ritengo che ciascuno di noi abbia in sé un non credente e un cre-dente che si parlano dentro, che si interrogano a vicenda che riman-dano continuamente domande pungenti l’uno all’altro.Il non credente che è in me inquieta il credente che è in me e vice-versa. È importante l’appropriazione di questo dialogo interiore, poi-ché permette a ciascuno di crescere nella coscienza di sé.

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La chiarezza e la sincerità di tale dialogo si pongono come sintomodi raggiunta maturità umana.Queste parole hanno rinnovato un desiderio che covava den-

tro di una comunicazione spirituale sulle ragioni fondamentalidel credere e sui dubbi e la fatica di credere. Un desiderio anticoche non riusciva a trovare una forma che non fosse il dibattito ola conferenza sulla fede.

Ora mi pare di aver trovato una metodologia che l’autore defi-nisce: «una esercitazione dello spirito, quasi una ricerca su di sé,sulle ragioni del credere e del non credere, ...compiendo questoesercizio senza difese e con radicale onestà, ...un dirsi autentica-mente che ha una sua dignità e una sua intoccabilità, che poiinsieme coinvolge».

Cara parrocchia,penso che una tale proposta sia possibile in questo momento

che ritengo assai propizio per questa comunicazione.Il credente che è in noi infatti è più consapevole di non pote-

re dire tutto di Dio: avverte la necessità di un’umile ricerca, di unannuncio essenziale, di riscoprire le ragioni fondamentali di unassenso religioso da rinnovare e da vivere.

Cadute le ideologie (anche se altre subentreranno!) sembrapiù aperto al dialogo, libero e sereno di poter esprimere le ragio-ni e i sentimenti del cuore. Reso esperto dalla vita che la fede nonè qualcosa di «commerciabile», ha imparato una libertà di dialo-go che non mira a convincere ma ad ascoltare quel che c’è nellamente e nel cuore di ogni persona.

Anche il non credente che c’è in noi è più capace di esamina-re, a livello di coscienza, le radici della propria lontananza e insie-me disponibile a riconoscere domande, segni, tracce che ripro-pongano la questione decisiva e globale della vita.

Liberi da remore adolescenziali possiamo tutti, quasi in modonuovo, guardarci dentro, nel mistero comunque imprevedibile eaffascinante della vita. Nella misura in cui ci rendiamo trasparen-ti alla nostra coscienza sapremo essere fino in fondo liberi nellacomunicazione spirituale.

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Sono consapevole che un tale dirsi autenticamente i pensieri ei sentimenti, talora contrastanti del cuore non è possibile che adalcune condizioni che, con mio maestro, riassumerei così: «lavolontà sincera di confrontarsi; l’accoglienza, umile, benevola diciascuno verso l’altro, senza bisogno subito di rispondere rimbec-cando o correggendo o chiarendo, ma lasciando che le interroga-zioni prendano la forma del proprio corpo e della propria espe-rienza...»

Un interrogarsi, ordinato, paziente, seguendo alcuni itinerariche insieme riteniamo essenziali e che sono maggiormente ritor-nanti nel pensiero e nel cuore. Come poi da questa ricerca potreb-bero nascere alcuni momenti di incontro, nuovi per te, con la pre-senza di testimoni che accettino lo stile della proposta: menointellettuale, più intimo, senza per nulla rinunciare all’infaticabi-le controllo della ragione, testimonianze scelte in quella zona diconfine dove il credente e il non credente che è in noi sincera-mente si parlano.

Che ne dici c.v.p.? Personalmente, anche per le esperienze giàfatte, la ritengo una bellissima idea. Il titolo «cattedra dei non cre-denti» è curioso, provocatorio, liberante: far salire in cattedra ilnon credente che è dentro di noi. Questi incontri sono possibiliin parrocchia o tra parrocchie, specie in questo anno di Cristo inpreparazione al grande Giubileo. Una intuizione, senza snaturar-la, può diventare pane comune per tanti.

Le esperienze iniziate dicono che i frutti non mancheranno seil dialogo sarà fatto con metodo e ben preparato. Nell’incontrooccasionale o nel dialogo fraterno può nascere un piccolo gruppodi persone sensibili al dialogo credenti non credenti. Altri si uni-ranno dopo le prime esperienze.

Nasce così un gruppo di lavoro formato da credenti e non equesto è decisivo per preparare e verificare lo spirito dell’incontro:su un piano di profondo e reciproco rispetto, senza fretta, senzastrumentalizzazione di sorta, senza nascondere nulla della pro-pria fede e senza nulla esigere dall’altro, capaci di spostarsi in luo-ghi diversi dalla chiesa. Insieme si lavora, insieme si programma.

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Ciò che rimane decisivo è l’intuizione di fondo: svelare il pro-prio itinerario spirituale in quel frammento di vita che insieme siè scelto di esplorare. Si possono alternare le testimonianze conbrani musicali che consentano di appropriarsi di quanto detto esollecitare nei partecipanti una risposta ed una comunicazionepersonale diversa dal dibattito.

Oltre la cattedra

Accanto alla cattedra il ponte credenti non credenti può esserecostruito con obiettivi comuni di carità e di impegno per ladignità e la liberazione dell’uomo. Ci può essere un percorsocomune, cara parrocchia, per i tuoi figli e quelli che non credonoin Cristo, quando si lotta per la dignità della vita umana in tuttele sue fasi, per superare i conflitti e per costruire la pace: la viadella carità è come un dialogo non verbale, preziosissimo e per-mette di scoprire spazi inediti di amore nel cuore di uomini edonne che vivono accanto a te.

Il territorio della parrocchia offre tanti spazi di lavoro in comu-ne per rendere più vivibile il quartiere, creare strutture per la vitadei ragazzi e dei giovani, per la difesa della vita, per la costruzio-ne della pace.

Il dialogo più intimo

Nella coppia il dialogo si fa intimo, personalissimo. C.v.p.,sono sempre più frequenti le coppie tra un credente e un non cre-dente: una scelta difficile, certamente, perché nella comunionesponsale l’unità dello spirito è una componente essenziale per lacomunione di tutta la persona: è reciproca sofferenza trovarsidivisi sul modo di concepire la vita, la morte, il dolore, il legamecon gli altri. Il rispetto è essenziale per entrambi ma, penso alconiuge credente, spesso si sente il bisogno di un sostegno, di unaiuto per quella vita spirituale che non trova nel partner e che

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dovrà cercare in un legame forte con fratelli o sorelle di fede. Quale dialogo è possibile all’interno della coppia? Occorre mantenere vivo un dialogo spirituale: a volte il coniu-

ge non credente si nasconde interrogando o criticando il creden-te e non dice a sua volta ciò in cui crede, per cosa è disposto a lot-tare e a sacrificarsi; il credente d’altra parte, a volte non cerca dicogliere i valori ai quali il coniuge attribuisce un valore grande,quasi assoluto. Da un dialogo spirituale nasce poi una sfida allacoerenza e ad una certa radicalità: non si può infatti affermare unvalore al proprio partner e poi lasciarlo nella mediocrità e nellatiepidezza.

Per quanto difficile, il matrimonio tra un cristiano e un noncredente può divenire una sfida positiva per la coppia e, di rifles-so, una educazione per tutta la parrocchia. Il coniuge credentecon la sua vita ricorda a te, c.p., e a ciascuno di noi che nell’inti-mità si può annunciare Gesù non tanto con parole ma solo conun più grande amore: di fronte ad un partner che ama, che per-dona, che sa soffrire per amore, che prende la persona di Gesùcome criterio del suo amore coniugale, l’altro coniuge potrebbechiedersi chi sia mai Colui che è capace di generare un così piùgrande amore!

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IL PONTE DELL’ECUMENISMO

Intuizioni

C.v.p., ci sono pagine di vita, progetti che restano chiusi pertanto tempo, poi improvvisamente si intuiscono possibilità ine-dite e la capacità di scrivere pagine preziose di vita. A te è accadu-to nei riguardi dell’ecumenismo: un ponte splendido che tu, evorrei dire particolarmente tu, puoi oggi gettare e costruirelasciando poi ai tempi di Dio i frutti della piena unità tra tutti idiscepoli del Signore.

Nuova presa di coscienza.

Già dal momento che si è parlato di nuova evangelizzazione,iniziando un dialogo tra credenti e non credenti che conduca alcuore della fede, avviando cammini di iniziazione al battesimo, ledivisioni tra cristiani sono apparse come il grande dramma dellaevangelizzazione. Il villaggio globale, i mass media, i viaggi,anche là dove varie confessioni cristiane non vivono l’una accan-to all’altra, hanno generato una coscienza nuova in ordine allenostre divisioni.

La consapevolezza che non ci potrà essere una nuova evange-lizzazione senza ricercare cammini di unità tra i cristiani nellavecchia Europa e nel mondo. Il nostro continente uscito dall’illu-minismo si ritrova in un profondo relativismo culturale: un Cri-sto diviso accresce quel soggettivismo religioso già così diffuso.

Il moltiplicarsi esasperante nel mondo di chiese cristiane fa siche specie tra i paesi più poveri si crei una miriade di propostereligiose incentrate su Gesù. Ed ecco, allora, la profonda intuizio-ne: non si può fare buona evangelizzazione se non si fa serio ecu-menismo.

La preghiera di Gesù: «Che siano, Padre, una cosa sola perchéil mondo creda che tu mi hai mandato» (Gv. 17, 21) sta a dire chele divisioni tra i credenti in Cristo sono quanto mai deleterie, per-

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ché impediscono di credere nella natura divina di Gesù e nellaorigine divina della sua missione.

La fedeltà al Concilio, perciò, tutto proteso alla nuova evange-lizzazione del mondo, comporta necessariamente l’impegno ecu-menico, che non è una pastorale speciale, ma un «clima» che per-mea di sé tutta la pastorale, giacché tutti i documenti del Conciliosono attraversati dalla problematica e dalla prospettiva ecumenica.

Dice il Papa: «La ricerca dell’unità e la preoccupazione ecume-nica sono una dimensione necessaria di tutta la vita della Chie-sa...La Chiesa cattolica è impegnata nel movimento ecumenicocon una decisione irrevocabile...Per me, Vescovo di Roma, ciòcostituisce una delle priorità pastorali. Questo movimento èsuscitato dallo Spirito Santo». «L’impegno ecumenico è un impe-rativo della coscienza cristiana, illuminato dalla fede e guidatodalla carità» (UtUS 8); ed è anche una «via senza ritorno», inevi-tabile anche se rischiosa e complessa, un percorso «irreversibile»(UtUS 3).

Potremmo oggi chiederci: a che punto si trova il dialogo ecu-menico in Italia? Certamente è un dialogo in crescita: ci si incon-tra, si parla liberamente, ci si stima, si collabora con sincerità.

Parrocchia ed Ecumenismo nel Concilio e nel post-Concilio

C. v. p., negli anni del concilio e del post-Concilio, sebbene losentivi lontano da te, ti commuovevi nel vedere i primi passi delcammino ecumenico.

I tuoi parrocchiani, non più giovanissimi, hanno nel cuorequell’abbraccio tra il patriarca ecumenico Athenagoras ed il PapaPaolo VI come un avvenimento ed una tappa miliare.

Una commozione seguita da un’intensa preghiera tra i tuoi cri-stiani più vivi. Allora sembrava molto vicina l’unità ed i profetidell’ecumenismo suscitavano grandi speranze. Tu pregavi per l’e-cumenismo ma lo sentivi un problema lontano al quale nonpotevi dare un personale contributo.

In questi ultimi anni c’è stato un grande risveglio ecumenico.

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Ieri ci chiamavamo fratelli separati; oggi ci sentiamo chiese sorel-le, custodi dell’unica chiesa di Dio.

Non dobbiamo fare l’unità della chiesa ma l’unità dei cristia-ni!

Questo fa nascere fra i cristiani il perdono e la riconciliazionescambievole che genera rapporti di fraternità e di collaborazioneattiva a tutti i livelli. È per te una rivoluzione copernicana: partiredalla comprensione della mentalità altrui, evitare ogni fondamen-talismo, arrivare ad uno scambio di doni perché ognuno possaportare all’unica chiesa la ricchezza della propria tradizione.

Siamo spinti ad avere una conoscenza dei «simboli» dellediverse confessioni e siamo chiamati a rispondere insieme aigrandi problemi dell’uomo moderno: le sfide infatti sono identi-che per tutte le chiese. È nata una grande regola di fede e di vita:non si può più fare da soli, quello che si può fare insieme.

Una nuova consapevolezza

Oggi una nuova consapevolezza è maturata in te: di poter dareun tuo contributo prezioso alle soglie del millennio anche incampo ecumenico. Una intuizione sul metodo e sul progetto.

Dopo essere stata a lungo immobile ora stai muovendo lunghipassi, come per ricuperare il terreno.

Hai fatto come quei ragazzi a scuola che stanno a lungo immo-bili sul foglio bianco e poi iniziano a scrivere il tema di getto per-ché hanno intravisto un possibile svolgimento.

L’ecumenismo certamente cammina su strade a più livelli: c’èil misterioso lavorio della preghiera, e qui i contemplativi hannoun grande carisma e non a caso il monachesimo in tutte le con-fessioni è in prima linea nel cammino ecumenico; c’è poi il dia-logo teologico vero e proprio e qui i teologi delle varie confessio-ni cristiane hanno un compito immane e delicatissimo nelle sediuniversitarie e nella preparazione dei grandi incontri ecumenici.

C’è poi il dialogo a livelli di pastori e responsabili di Chieseche impegnano e stimolano le rispettive comunità a mettere l’e-

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cumenismo come esigenza prioritaria, che pongono gesti di gran-de rilievo per creare varchi e prospettive nuove sia con incontribilaterali sia con grandi incontri a livello continentale come l’as-semblea che si è svolta in questi mesi a Graaz.

Tutti questi livelli non possono mancare nel dialogo, ma c’èun ecumenismo di base, un ecumenismo di popolo, dove i cre-denti imparano a conoscersi, a rispettarsi, a stimarsi, a sentirsi fra-telli davvero e qui (ecco l’intuizione!) le parrocchie possono svol-gere un ruolo di grandissimo rilievo che finora non è stato realiz-zato se non in piccole élites.

C.v.p., ecumenismo pratico, spirituale, di base, significa tuttoquello che oggi è già possibile vivere nel rispetto del camminodelle chiese, escluso il dialogo teologico vero e proprio.

Una spiritualità ecumenica così vissuta, potrà produrre frutti ecce-zionali. Ma, lo si intuisce, avrà soprattutto un particolare effetto:perché comunitaria, legherà in uno tutti coloro che la vivono, sicchési sentiranno solidali tra loro e, in certo modo, già uno. Avvertiran-no di formare, per così dire, un solo popolo cristiano che potrà esse-re - con tutto ciò a cui conducono le altre forze suscitate dallo Spiri-to in questo tempo ecumenico - un lievito per la piena comunione trale Chiese. Sarà quasi l’attuarsi di un altro dialogo, dopo quello dellacarità, della preghiera e quello teologico: il dialogo del popolo. Popo-lo non formato certo solamente dai laici, ma da tutto il popolo diDio. Dialogo più che urgente ed opportuno se è vero, come la storiainsegna, che vi è poco di garantito in campo ecumenico, quando nonvi è coinvolto il popolo. Dialogo che farà scoprire con maggior evi-denza e con maggior interesse e farà valorizzare tutto il grande patri-monio già comune fra i cristiani, costituito dal battesimo, dallaSacra Scrittura, dai primi Concili, dai Padri della Chiesa...e lo faràvivere insieme. Attendiamo di vedere questo popolo, che già qua e làsta apparendo, e desidereremmo ammirarlo dovunque esiste unaChiesa.(Chiara Lubich, Una spiritualità per la riconciliazione, SecondaAssemblea Ecumenica Europea, Graaz 1997 ms.)

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Proposta: lettera aperta alla parrocchia.

Come proposta abbiamo pensato una lettera aperta a tutte leparrocchie per contagiare dell’idea le tue consorelle. Sai quandouna idea ti nasce dentro e non puoi fare a meno di pensarci, diaccarezzarla, di studiare come trasformarla in realtà dalla qualenon riesci a liberarti?

È successo proprio così: il classico colpo di fulmine..ecumeni-co! Come di una luce che ti si accende dentro e, pur sentendo chesi tratta di una cosa nuova e non facile, non puoi fare a meno diproporla: legare spiritualmente in questi pochi anni che ci sepa-rano dal duemila ogni parrocchia cristiana con le altre parrocchiedi altre confessioni per generare un movimento ecumenico alivello di parrocchie, un gemellaggio tra parrocchie cattoliche,ortodosse e delle Chiese della Riforma.

Ecco la lettera aperta:

Grande impulso ecumenico alle soglie del terzo millennio

Tutte le Chiese Cristiane hanno preso solenne impegno di ope-rare per l’unità tessendone trame tra i discepoli di Cristo ed è cre-sciuta la consapevolezza che la nuova evangelizzazione del terzomillennio non sarà possibile con una chiesa cristiana divisa.

Potrebbero essere raccolti innumerevoli atti di Convegni edincontri ecumenici ad altissimo livello che testimoniano la ten-sione delle Chiese verso l’unità, né si potrà misurare l’efficaciadella preghiera che, specie nella settimana annuale, sale da tuttele Chiese al Signore.

Se il primo millennio si è chiuso con una dolorosa frattura, ilsecondo millennio si chiude con una grande preghiera per l’unità.

Può la parrocchia diventare protagonista in questo grande cammino ecumenico?

La Parrocchia, in quanto unità ecclesiale radunata attorno alla

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S.Scrittura, all’Eucarestia, sotto la guida dello Spirito, deve esseree proclamarsi luogo dell’autentica testimonianza ecumenica eanche se nel territorio di una Chiesa particolare non fossero pre-senti più confessioni cristiane, non verrebbe meno il dovere dipartecipare all’impegno per l’unità.

Può, la cara vecchia Parrocchia, dare un suo contributo pre-zioso ed originale al grande dono dell’unità? Noi crediamo di sì!

I mezzi di informazione di massa rendono sempre più presen-te la frattura fra i Cristiani; la molteplicità dei viaggi e degli incon-tri, la drammatica testimonianza di missionari che vedono in unostesso territorio tante Chiese Cristiane annunciare il Vangelo, ilmoltiplicarsi delle sette, fanno sì che la base del popolo di Dio siaoggi molto più a contatto con il problema ecumenico ed i cre-denti più sensibili avvertano l’urgenza inderogabile dell’impegnoper l’unità.

In questi ultimi anni nelle comunità di base (parrocchie, grup-pi, associazioni) non sembra si siano fatti passi significativi perquanto riguarda la coscienza ecumenica dei battezzati.

Prevalentemente l’ecumenismo si è sviluppato a livello diresponsabili di Chiese ma oggi si impone una sensibilizzazionedelle comunità cristiane all’interno delle Chiese locali.

La storia antica e recente della Chiesa ci insegna che ogni gran-de rinnovamento passa attraverso comunità vive e partecipi.

Le parrocchie attuino gemellaggi tra chiese sorelle

Facciamo una proposta di avviare, in vista dell’anno duemila,gemellaggi tra comunità cristiane parrocchiali che non mettano inprimo piano il dialogo teologico, da farsi nelle sedi proprie, maanzitutto cerchino di ristabilire un clima di rispetto e fiducia reci-proca perché, aprendo i cuori, lo Spirito possa spingere verso l’unità.

Questo può essere fatto tra Parrocchie di Chiese sorelle chevivono in paesi che per ragioni di viaggi, di solidarietà, di affinitàculturali ed ambientali sono venuti o potrebbero venire a contat-to fra loro.

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Un itinerario!

Si potrebbe partire facendo nascere in ogni parrocchia cristia-na il gruppo ecumenismo con persone che di fatto vivonoprofondamente questo aspetto della fede. La scelta delle Parroc-chie con cui gemellarsi può essere lasciata alla creatività pastora-le di ognuno e ci si potrebbe anche aiutare con una qualcheforma di collegamento per arrivare nel modo migliore alla sceltadel gemellaggio.

Il contatto potrebbe partire da lettere di fraternità dei respon-sabili delle Parrocchie da leggersi nelle rispettive Chiese; ci sipotrebbero scambiare doni piccoli ma significativi dell’unica fedein Cristo morto e risorto (una Bibbia, una croce, un’Icona) cherimarrebbero esposti nelle rispettive Chiese parrocchiali comesegno del gemellaggio spirituale e come invito alla preghiera reci-proca.

Passeggeri sul treno del dialogo

Adulti preparati delle rispettive comunità potrebbero, apposi-tamente o in occasione di viaggi, recarsi a far visita alla Chiesa cri-stiana con cui si è a contatto creando così legami di stima e rispet-to reciproci.

In questo modo potrebbero veramente nascere condizioni diun sano ecumenismo tra Chiese cristiane.

Imparando dalla vecchia Europa...

Come la vecchia Europa in questi anni ha trovato vie e mezziper favorire lo spirito di unità tra città che si ignoravano o si con-sideravano nemiche, così il Cristianesimo potrebbe dar vita a que-sto ecumenismo di base capace di riproporre capillarmente cam-mini di unità.

La meta di questi gemellaggi sarà quella di proporre in modoincisivo il cammino ecumenico come via obbligata della nuova

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evangelizzazione e si moltiplicherà la preghiera per l’unità senzanasconderci le differenze che permangono fra noi; si passerà dallanon conoscenza e dalla reciproca indifferenza alla consapevolez-za di essere tutti discepoli di Cristo.

Vi sono già in tutte le Chiese Cristiane esperienze significativedi gemellaggi ecumenici e questo ci dà certezza che il nostro nonè un sogno ma una strada possibile.

Non potrebbe essere anche questa una tappa nel «grandeavvento» dell’anno Duemila?

Ci siamo chiesti: come diffondere l’idea, con chi parlarne, comemuoverci?

Cara parrocchia, abbiamo cercato di diffonderla il più possibi-le ed abbiamo trovato in tutti un grande interesse; ora lo faccia-mo attraverso questa lettera aperta sperando che anche parrocchieche non vivono fianco a fianco con fratelli e sorelle di altre con-fessioni possano impegnarsi nel grande cammino ecumenico.

Abbiamo contattato alcune parrocchie del nostro paese che datempo vivono un grande impegno ecumenico con i cristiani dialtre confessioni presenti nel territorio. Testimonianze splendideed incoraggianti.

Prospettive: ecumenismo di popolo.

C.v.p.,se nascerà in questi prossimi anni un ecumenismo di popolo

(l’assemblea di Graaz pur evidenziando tante fratture lascia bensperare a questo riguardo) prospettive feconde di collaborazionesi apriranno tra le nostre Chiese sorelle.

Sul piano pastorale, nei nostri rispettivi incontri, ci sentiremoimpegnati a conoscere la spiritualità di ciascuno di noi in modoserio e profondo.

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Una prospettiva feconda di collaborazione è diffondere e leg-gere insieme la Bibbia tra fratelli: dalle parole arriveremo insiemealla Parola, dalla Parola alla Parola fatta Persona. Potremo anchepraticare tra noi lo scambio di ambone, anche in momentiimportanti dell’anno liturgico.

Potremo dare alle nostre catechesi una impronta ecumenicanon polemica, specie nella formazione dei giovani e nella prepa-razione dei matrimoni misti.

Potremo moltiplicare forme e tempi di preghiera in comunecome fondamentale momento di apertura.

Parteciperemo con gioia alle celebrazioni di altri fratelli cri-stiani pur soffrendo di non poter fare la comunione insieme.

Potremo intraprendere una collaborazione pastorale nellaliturgia e nella prima evangelizzazione e studiare i comuni cam-mini catecumenali, cercheremo di evitare in ogni modo ogniforma di proselitismo nei confronti dei membri di Chiese sorelle.

L’ecumenismo guarisce ogni parrocchia dal di dentro: la ricon-ciliazione che le Chiese cristiane ricercano in se stesse, con gli altri,con Dio e con il Creato, ci impegna a darne testimonianza nellapropria diocesi tra le varie parrocchie, i gruppi, i movimenti.

Un ecumenismo che genera un nuovo ecumenismo!Potremo soprattutto sostenerci nelle reciproche necessità, aiu-

tando le Chiese più povere di ogni confessione attraverso colletteecumeniche che esprimano il desiderio sincero della riconcilia-zione.

Tutto questo nascerà quasi spontaneamente dai gemellaggi chepotremo far nascere in tutte le nostre comunità.

Anche se il 2000, come è ardente desiderio del Papa e di tanticristiani, non dovesse vederci tutti pienamente riuniti, sarebbe unsegno straordinario questo ecumenismo di popolo nato tra lenostre parrocchie.

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Parrocchia e i fratelli ebrei

C.v.p.,il rapporto con i nostri fratelli maggiori meriterebbe una rifles-

sione molto più ampia, ma non pensavo di parlartene in questalettera.

Partecipavo un giorno ad un incontro con tanti giovani di varieparrocchie sulla pace e vi era anche una donna ebrea, credente,che da piccola aveva conosciuto l’olocausto, concluse il suo inter-vento così: «Voi cari giovani credete che Gesù è il Messia e aspet-tate il suo ritorno alla fine dei tempi; noi, come sapete, attendia-mo ancora la venuta del Messia che porterà a compimento le pro-messe dei Padri: e se Colui che noi aspettiamo e Quello di cui voiattendete il ritorno, fossero la stessa persona?»

Un silenzio commosso scese tra i giovani, poterlo trascriveresarebbe un bel modo per iniziare il dialogo tra la parrocchia ed inostri fratelli ebrei. Sono convinto che quanto più tu ti nutrirai diS.Scrittura, tento più sentiremo gli Ebrei come fratelli maggiori e,forse per la prima volta, il parrocchiano comune avvertirà ilmisterioso legame della Chiesa con questi nostri fratelli.

La parrocchia e l’Islam

C.v.p.,in molti posti nel mondo eri già preparata ma da noi solo ora

hai incontrato un certo numero di fratelli e sorelle dell’Islam:viaggi, lavoro, emigrazione, portano gruppi numerosi di musul-mani nel territorio delle nostre parrocchie.

I più poveri spesso bussano alla Chiesa per un aiuto di primanecessità.

Alcuni trovano ospitalità in te in nome della comune umanitàe della comune fede nel Dio di Abramo.

Sono convinto che il problema, pur aprendo generosamente letue braccia, te lo sei posto: è giusto accogliere con grande rispetto

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per la libertà religiosa questi fratelli quando nei loro paesi a voltea fratelli cristiani è impedito di professare la fede (abbiamo unamico convertito al cristianesimo che è fuggito tra noi perchétemeva la morte) quando fenomeni di fondamentalismo costi-tuiscono una delle minacce più gravi del nostro tempo?

Può valere il nostro esempio per aiutare a far nascere la libertàreligiosa in quei paesi?

Si può chiedere le reciprocità?Sarebbe un discorso lungo da affrontare e forse costituirà

materia di dialogo epistolare nei prossimi anni. In un dialogo conuno dei giovani mussulmani accolti in parrocchia un giorno ildiscorso è caduto su Gesù e il giovane credente ha detto con unsospiro: Gesù, questo è il problema! Mi pareva di risentire ilmuezzin di Betlemme che dal minareto a due passi dalla grottadella Natività ripete: non date figli a Dio, non date figli a Dio...Anche i fratelli islamici, pur in un dialogo ancora da costruire aiu-teranno la parrocchia a ritrovare il nostro monoteismo, la fede inun solo Dio, Comunione infinita di amore del Padre, del Figlio edello Spirito Santo, ci aiuteranno a ritrovare il filo comune contutti i figli di Abramo, ci aiuteranno soprattutto a fissare lo sguar-do su Gesù lo scandalo e il tesoro della nostra fede!

La sfida delle sette

Cara parrocchia, ho preferito parlare di sfida più che di dialo-go perchè ti confesso che è uno dei dialoghi più difficili in questomomento. Sarebbe molto importante per te capire perché tantesette nascono e si moltiplicano e a quali esigenze rispondono:probabilmente scopriremmo delle lacune che anche noi abbiamocontribuito a creare!

Per molte parrocchie il confronto più immediato è con i «testi-moni di Geova». Sai bene che a volte lo scontro prevale sul dialo-go ma credo dobbiamo sempre più in parrocchia passare dalloscontro alla testimonianza.

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Possiamo cara parrocchia affrontare la sfida delle sette ed inparticolare dei testimoni di Geova, in un clima di grande serenitàe tolleranza e nel rispetto del sacrosanto diritto della libertà reli-giosa, imparando anzitutto da loro la necessità della catechesi iti-nerante in parrocchia : potranno essere certamente diverse lemodalità ma, così come le missioni già fanno, non può esseresolo la visita pasquale l'incontro nelle case: visita permanente didonne credenti, centri di ascolto, alcune suore che si consacranoalla missione itinerante in modo che tutti coloro che desideranoun dialogo religioso non debbano incontrare solamente i testi-moni di Geova. A volte, la gente li accoglie per poter avere un dia-logo che, specie in momenti di grave dolore non riesce ad averecon altri.

C.p., quanto più tu diventerai una comunità parlante e i tuoicristiani sapranno rendere ragione della propria fede, tanto piùsarà possibile un confronto sereno con le sette ed in particolarequanto più la bibbia tornerà ad essere il pane quotidiano, tantopiù sarà evidente la strumentalizzazione che alcuni gruppi fannodella parola del Signore! Se è vero, come dice Gerolamo, che l'i-gnoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo, non c'è dubbio che,nutriti fin dall'infanzia delle S.Scritture, i tuoi figli non si lasce-ranno strappare il tesoro della fede cristiana!

Per vincere(passami questa parola molto mondana) la sfidadelle sette occorre una parrocchia missionaria in tutte le sue com-ponenti e di questo vorrei ragionare con te nell'ultima parte delnostro colloquio.

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Capitolo terzoLA PARROCCHIA OGGI

TRA SPIRITUALISMO E CARITÀ

Cara vecchia parrocchia,di fronte alla complessità della vita moderna, alla fatica di ani-

mare le realtà temporali, spesso puoi cadere nella tentazionedello «spiritualismo», di una preghiera disincarnata dalla carità.

La preghiera è stata e resta il centro della tua vita: segnavi con«Ave Maria» i ritmi del giorno e della preghiera, e anche dopo ilconcilio il rinnovamento della liturgia ha ridato nuovo vigore aituoi tempi di preghiera.

Non sarà mai troppa la preghiera e come potrà diventare unrischio per la tua vita se Gesù ha detto: «Senza di me non potetefar nulla»?

Mi pare, per esperienza, che vi siano due tipi di preghiera: lapreghiera di chi cammina e chiede la forza del Signore per il viag-gio incominciato e la preghiera di chi sta fermo e chiede al Signo-re di fare quello che lui non ha alcuna voglia di intraprendere.

Se il mondo non bussa continuamente alla porta della parroc-chia, se la nostra vita in parrocchia non è impregnata di carità,staccata dai soldi, se non sente la preoccupazione del disoccupa-to o non sogna le follie della carità, la preghiera (che deve essereil cuore ed il centro di tutto) finisce per essere ripetitiva e stanca.

Come un grido che non genera vita!

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Tu cara parrocchia navighi non tra preghiera e carità, perchéentrambe sono essenziali per la tua vita, non tra liturgia e carità,entrambi essenziali come i polmoni per respirare, ma tra certodevozionalismo e carità.

Soprannaturalismo disumano

Don Primo parla di «soprannaturalismo disumano»: è unadenominazione forte, provocatoria, come è il suo modo.

Di fronte alle resistenze e alle delusioni, molte anime delicate e pocoinclini all’azione, si rifugiano nell’attività puramente religiosa...Il Signore mi guardi dal diminuire un iota la fiducia nei mezzisoprannaturali - da noi non possiamo far niente - mi riferisco esclu-sivamente a quel genere di fiducia presuntuosa e passiva, alla qualevolentieri qualcuno si appiglia in quanto essa non ci compromette inalcun modo, mentre ci tiene in un’area dove la religione e tutto ilresto non esiste...Si sopprime un termine, il mondo, cioè un campo dove il Signorevuole che lavoriamo.Ci si estrania da esso, mentre per darci illusione del nuovo e del vivosi moltiplicano le devozioni.(op. cit. pag. 36)

Oggi, anche sotto la spinta di una sensibilità che ricerca edesalta le emozioni spirituali, si può facilmente credere di potermisurare la verità e la bellezza della preghiera dalla forza dei sen-timenti che genera, dal senso di gioia e di pace che ne segue, dal-l’intensità della gente che vi partecipa, siamo tentati anche in casanostra di imitare una spiritualità carica di pesanti ipoteche.

Intendiamoci: lo Spirito soffia dove e come vuole e tutto ciòche nasce dallo Spirito è urgente e necessario per la vita dellaChiesa.

Ma la parrocchia, credo, predilige e sente più vera una pre-ghiera che, senza eliminare intensità e bellezza, sfoci in un forte

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impegno di missione e carità.

Preghiera, anima della carità pastorale

Cara vecchia parrocchia,non diremo mai che la preghiera guasta: solo una grande,

intensa preghiera può dare all’apostolo la forza di aprire i cantie-ri, di gettare ponti, di aprire strade nuove.

Basta pensare a Teresa di Lisieux, patrona delle Missioni: cisono missioni in ampiezza e missioni in profondità.

La preghiera è l’anima della carità pastorale:

Mi sono stancato di tutto, fuorché di fare il parroco. Vuol dire che èil nostro vero mestiere: che la famiglia la troviamo solamente conuna chiesa sul cuore che ti schiaccia e ti porta.(op. cit. pag. 9)

La chiesa sul cuore esige una continua preghiera perché azionee contemplazione si fondano insieme, per tenere duro, per rico-minciare ogni giorno.

Uno stile di preghiera

Cara vecchia parrocchia,ognuno ha il suo modo di amare e di pregare, tu hai il tuo che

ti è più confacente, più proprio.Alcuni cercano luoghi lontani, isolati, per la preghiera, carichi

di emotività. Non c’è alcun male. Tu preferisci suonare la campa-na tra le case e, se fosse possibile, fare di vetro qualche tuo muroperché l’operaio o l’impiegato che parte per il lavoro possa get-tarvi lo sguardo e magari fermarsi un istante con te.

Alcuni cercano espressioni di preghiera forti, vibranti, moltocoinvolgenti, capaci di riscaldare e scuotere gli animi: ed in que-sto non c’è niente di male ma, al contrario, tanto da imparare.

Tu preferisci uno stile di preghiera semplice e familiare, forse

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anche un po’ riservato, ma sempre vero come le carezze dei geni-tori ai loro figli adolescenti.

Alcuni chiedono guarigioni e miracoli e il buon Dio è cosìgrande che per lui è quotidiano ciò che sembra impossibile.

In casa tua, cara vecchia parrocchia, si chiedono soprattutto imiracoli della carità e un «prodigo» che torna è già un miracolocome uno storpio che cammina.

Alcuni scelgono i momenti di preghiera, tu, per lo più, ti lasciguidare dai ritmi di vita della tua gente: sacramenti, matrimoni,funerali, feste, circostanze varie segnano i ritmi della preghieraparrocchiale; possono sembrare gesti consumati: sono espressio-ni di fede e di solidarietà occasioni preziose di prima evangeliz-zazione.

Questo peraltro non ti impedisce di avere un tuo ritmo di pre-ghiera che plasma la tua vita di ogni giorno: la lectio divina sulVangelo del giorno, l’eucarestia quotidiana, la liturgia delle orespecialmente delle Lodi e del Vespro, il Rosario che ci tiene legatia Maria Madre della Chiesa e delle nostre comunità parrocchiali.

Il cuore «nascosto» della parrocchia

È morto recentemente Don Giuseppe Dossetti: un maestro dipreghiera.

Lo ricordo a Gerico: una preghiera intensissima nella notte euna vicinanza estrema alla vita di Israele e dei Palestinesi, allaChiesa Italiana, alla sua diocesi di Bologna. Mai mi sono sentitocosì dentro la vita, ecclesiale e sociale del nostro paese e capivoche quella passione per la vita sociale e politica proveniva dallapreghiera.

Egli vedeva anche in parrocchia un’intensa preghiera «mona-stica» calata in profondità dentro la vita della gente, una spiritua-lità incarnata.

La parrocchia, diceva, ha un cuore: rubando un po’ di spazio

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alla notte ci si ritrova all’alba, nella chiesa parrocchiale, per la«lectio divina» e l’Eucarestia, nella quale è tutto».

Il mistero è l’Eucarestia del Cristo nel quale è tutto: tutta la crea-zione, tutto l’uomo, tutta la storia, tutta la Grazia: tutto Dio, ilPadre, il Figlio e lo Spirito Santo: per Gesù Dio e uomo, nell’attooperante in noi della sua morte, della sua resurrezione e della suagloriosa Ascensione.(dalla piccola regola della famiglia dell’Annunziata)

Questo consente di rifare il tessuto cristiano della parrocchia.Il «cuore» della vita della parrocchia è l’Eucarestia feriale e

quotidiana, celebrata possibilmente prima del lavoro per lasciareampio spazio, la sera, ai servizi di evangelizzazione, precedutadalla «lectio divina» fatta assieme e dalla celebrazione delle lodi.

Questo momento di preghiera è partecipato dai presbiteridella comunità, dai diaconi, che non dovrebbero mancare nep-pure nelle comunità più piccole, dai ministri che, istituiti o non,esercitano un servizio stabile nella comunità, dai laici, uomini edonne, soprattutto quanti sono più impegnati nel vivere lo speci-fico della propria vocazione laicale nella professione, nella politi-ca, nei vari ambiti della società.

L’ora mattutina ci ricollega alla grande tradizione monasticache oggi chiede di essere coniugata con le esigenze della vita dellasocietà industriale.

Questo momento, se accolto anche da appartenenti a gruppied associazioni, può favorire un’intesa di fondo e un riconosci-mento decisivo attorno a ciò che è assolutamente comune a tuttii battezzati e diviene sorgente di comprensione e di pace.

Le coppie cristiane, specie quando hanno i bimbi ancora pic-coli, si alternano nella preghiera con un arricchimento spiritualevicendevole e un grande esempio per i figlioli, quando possonovi partecipano insieme per rinsaldare la vita di coppia.

La parrocchia ha un «cuore» antico a cui diamo nuova vita allesoglie del 3° millennio: un «cuore» capace, negli anni, di soste-

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nere l’impegno dei missionari della nuova evangelizzazione.Coloro che nella comunità vivono nella verginità, nel celibato

o nella vedovanza trovano nel ritmo della preghiera una precisaregola di vita e una famiglia spirituale che comprende e sorreggela loro scelta di donazione a Cristo.

Un incontro aperto dalla «lectio divina» sul vangelo del giornocome scuola quotidiana e permanente di ascolto delle Scritture,seguita dalla celebrazione delle lodi come ringraziamento e offer-ta della giornata, concluso con la celebrazione dell’Eucarestiaofferta per tutta la comunità, rinsalda i partecipanti nella fede enella mutua appartenenza ecclesiale.

Questo «cuore pulsante» di tutta la vita liturgica, catechetica ecaritativa della parrocchia recupera il tesoro mai interrotto che hacaratterizzato da secoli la vita delle parrocchie: non più legandoesclusivamente la messa quotidiana al ricordo dei morti ma anzi-tutto vivendola come forza indispensabile per la vita della Chie-sa.

La presenza dei cristiani stabilmente impegnati e dei fratelli esorelle occasionali, specie di quelli più umili, impedisce di sentir-si «gruppo a parte» ma ci educa all’umiltà e al servizio.

La lectio divina riconduce alla grande tradizione dei padri chemai si è persa nella Chiesa e prepara i catechisti, i lettori e tutti iministri della Parola ad un annuncio semplice, saporoso, nonlibresco del testo.

Per questo tutti i tuoi operatori pastorali si impegnano ad esse-re presenti alla lectio anche alternandosi nei periodi di maggioredifficoltà.

Pregare è compromettersi

Ma la preghiera conduce sempre all’impegno, alla carità, all’a-more: pregare è compromettersi.

Pregare è come una dichiarazione di amore che anche oggiresta dichiarazione impegnativa: nasce subito una vita insieme.

Pregare, specie quando la preghiera si nutre di vangelo, ci

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mette in movimento verso la carità. O se non lo facciamo diven-ta subito richiesta di misericordia.

La Provvidenza ha bisogno di collaboratori in coloro che lapregano: altrimenti si resta ad un livello di bambini che, riunitiinsieme per il pasto, ringraziano Gesù del cibo che dona loro e lopregano di portarlo a chi non l’ha; non sapendo, l’innocenza èsempre perdonata, che, grazie allo Spirito che è in noi, dobbiamoessere noi a dividere e a portare il cibo che la terra produce pertutti i bambini del mondo.

Ecco la profezia:

I lontani non si possono interessare con una preghiera che non divie-ne carità, con una processione che non aiuta a portare le croci del-l’ora. Senza volerlo, li spingiamo sulle strade di una carità senza Dioe di una attività sociale senza preghiera.(op. cit. pag. 37)

Cara vecchia parrocchia, abbiamo in questi decenni sperimen-tato a sufficienza che una attività sociale senza preghiera finisceper servirsi della parrocchia e per inaridire ogni prospettiva di ser-vizio.

Non vorremmo che nei prossimi anni qualcuno ci rimprove-rasse di una preghiera senza carità.

Se è vero che non si dà spirito di orazione che non generi vitadi carità, nella parrocchia il legame tra preghiera, carità e missio-ne si fa visibile e sperimentabile. Diventa metodo di vita.

Domenica, icona della parrocchia

Cara vecchia parrocchia,forse è esagerato dire che tu abbia un’ «icona» che riproduca il

tuo mistero.La tua icona è la domenica. Un giorno in cui si riflette la tua

vita, si intensifica, si celebra, si comunica.

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La domenica è la decima del nostro tempo, offerto a Dio.Un giorno per vivere insieme preghiera, carità e missione. Da

sempre la domenica è il tuo giorno: quasi non esisteresti tolta ladomenica.

Oggi, in una società profondamente cambiata ti viene affidatoun grande compito: immaginare e sperimentare in modo creativocome nel mondo moderno può vivere questo giorno.

Domenica in una società post-industriale

Ricreare lo spazio della domenica in una società post-indu-striale è uno dei compiti più essenziali della parrocchia, nelrispetto di tutti, ovviamente, e sapendo che le motivazioni reli-giose non sono le idee guida del commercio, del turismo, dellosport e della vita di gran parte delle famiglie.

Una minoranza di famiglie, viva e creativa, può diventare pro-posta in un paese o in una città: proposta nell’uso del tempo libe-ro, nell’organizzazione del «riposo», nel divertimento, nel gusto enello stile della preghiera.

Da sempre i cristiani, come civette, hanno intravisto nellanotte possibilità nuove di cammino: oggi è particolarmenteurgente salvare la domenica, in una società moderna, con il lavo-ro creativo delle comunità parrocchiali.

Di qui potrebbero nascere anche stili di vita riconosciuti comeproposte valide per l’uomo di oggi, credente e non. Il vero, ilbello, il buono, presto o tardi è riconosciuto da tutti come tale. Ladomenica è gioioso dovere per il cristiano ma è un bene per tutti.

Certo i cristiani, nel rispetto di tutti, dovranno anche chiedereper legge il minimo indispensabile per vivere la domenica: lo sichiede come diritto fondamentale della persona umana!

Nella domenica si fa visibile e sperimentabile il profondo lega-me fra preghiera, carità e missione.

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Al cuore della Domenica l’Eucarestia

C.p., non sempre le nostre messe domenicali sono preparate evissute al meglio ma non c’è dubbio che l’Eucaristia vissuta inmodo consapevole e gioioso sia il momento, più bello delladomenica e permetta di vivere l’esperienza più completa di pre-ghiera.

La domenica e l’Eucaristia «fanno» la parrocchia: se crediamofino all’estremo in questo giorno e viviamo tutta la ricchezza delmistero tu o cara parrocchia vivi e rifiorisci: d’altra parte sono per-sonalmente convinto che se non è questo che fa vivere la parroc-chia, qualsiasi progetto pastorale, anche innovativo, non sarà cheun medicamento che per un po’ copre il dolore..

Eucarestia domenicale e preghiera

Cara vecchia parrocchia,di domenica la preghiera raggiunge il suo massimo e trova la

sua sorgente.Già alla vigilia, la sera del sabato, la famiglia entra nella dome-

nica con il sacramento della riconciliazione, con uno sguardo allaParola del Vangelo se già nella settimana non c’è stato modo dipregare.

Perché non ritrovarsi già al risveglio insieme con i figli per unmomento di dialogo, di intimità e di preghiera?

Ma è soprattutto nell’Eucarestia che la preghiera raggiunge ilsuo culmine.

La dolcezza di canti alternati tra il coro e l’assemblea, la cora-le dei bambini che vi apporta la chiarezza delle loro voci, tuttal’assemblea che canta motivi semplici ma sempre dignitosi in cuisi riconosce e gioisce, la presenza nel coro parrocchiale di uomi-ni e donne di tutte le età, tanti giovani che suonano vari strumentiper sostenere il canto di tutti: ecco una prima bella esperienza dipreghiera nella celebrazione.

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Poi la pausa ampia per l’esame di coscienza, entrare in unprofondo silenzio nel proprio cuore, portare davanti al Signore ilproprio peccato e quello della chiesa e degli uomini dell’univer-so, invocare il perdono con un sincero pentimento, il proponi-mento di ritrovare il senso più vero del sacramento della riconci-liazione; tutto questo dona una grande pace dal momento chenon siamo mai degni di accostarci all’altare del Signore.

Potremmo, senza retorica, cara parrocchia, cantare con stupo-re la bellezza della preghiera nell’Eucarestia domenicale: la forzaconcisa e solenne delle orazioni; l’ascolto vero, perché capito egustato, della Parola di Dio, specie del Vangelo che rimane comeun sigillo per tutta la comunità sulla fronte, sulle labbra e sulcuore; il servizio dell’omelia insieme difficile ed esaltante, l’ab-braccio con i vivi e i morti nella preghiera universale che il diaco-no introduce e stimola la comunità a proseguire, la splendidaprofessione di fede scritta quando ancora i cristiani non eranodivisi e che oggi, come fiume fecondo, ci porta il tesoro immuta-bile della Tradizione. Offrendo il Sacrificio e mangiando il suoCorpo, lo Spirito ci rende capaci di non vivere più per noi stessima per Lui..e per i fratelli. La prehiera più alta ci apre alla caritàpiù esigente!

Eucarestia domenicale e carità

Già la preparazione accurata del «tuo» giorno stimola tanti ser-vizi e diventa esercizio di carità.

Anche i tanti ministeri liturgici sono preghiera e carità insieme.Quanta carità attorno all’Eucarestia domenicale: l’aiutarsi con

i bambini piccoli per permettere alle giovani coppie di partecipa-re all’Eucarestia senza gravare sempre sui nonni; un padrino ouna madrina del battesimo che se ne fanno carico o una famigliaamica o un giovane che ama la gratuità ed il volontariato; unatelefonata affettuosa agli amici ricordando loro il giorno delSignore ed invitandoli a far festa con noi come il pastore con lapecorella ritrovata invita gli amici ed i vicini.

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Poter accompagnare alla Messa della comunità vecchi o perso-ne malate come gesto di condivisione e di carità e rimanere lorovicini nella celebrazione.

Preparare in chiesa testi e strumenti per aiutare non-vedenti,sordomuti, sordo-ciechi e non far mancare la traduzione gestualeper i sordomuti, almeno in qualche chiesa.

Curare la presenza stimolante e affettuosa dei «piccoli», idisturbati psichici, che spesso mancano all’incontro domenicale esono per noi il segno più vivo oggi della sofferenza e della solitu-dine dell’uomo moderno.

Ripensare e riproporre gesti di attenzione ai bambini che par-tecipano alla messa con gli adulti rendendoli protagonisti con uncanto, un loro disegno, una brevissima riflessione per loro, unaliturgia della Parola «separata» e curata in modo esemplare.

L’esercizio, mai interrotto la domenica, della condivisione conla raccolta delle elemosine per le varie necessità della propriachiesa e del mondo intero; per le tante iniziative di volontariatoche la comunità sostiene e promuove, per le missioni, per neces-sità urgenti e impreviste.

La presenza del diacono o di chi per lui che al termine dellamessa evidenzia non solo incontri da tenere ma le necessità cor-porali e spirituali emerse e le urgenze a cui la comunità è chia-mata.

La comunione e la visita ai malati che gli accoliti e i ministristraordinari dell’Eucarestia fanno nelle case e che diviene anchegesto di carità e di attenzione ai fratelli anziani e malati.

E poi ancora in qualche occasione l’invito a pranzo rivolto aduna persona sola o sofferente per passare un’ora di gioia e di pace.

Una visita ad un parente o ad un ammalato per fargli trascor-rere anche solo un momento di serena amicizia.

La domenica è intrisa di carità: sono i piccoli gesti che costrui-scono il grande amore!

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Eucarestia domenicale e missione

Anche la missione parte dall’Eucarestia.Le monizioni dei ministri e l’omelia del sacerdote o del diaco-

no fatta con lo sguardo rivolto a chi fa fatica a credere e cerca direcuperare l’essenzialità della proposta cristiana, così la preghierasempre puntuale per chi cerca il volto di Dio e lo sguardo sempreaperto al mondo intero, ai poveri della terra, ai missionari chesono partiti dalla nostra chiesa, ci ripropongono l’urgenza di sen-tirci ed essere missionari.

Cara vecchia parrocchia,ogni domenica gioisci con i tuoi figli presenti ma con lo sguar-

do vai fuori dalla chiesa, a quanti per varie ragioni non sono conte a celebrare l’Eucarestia, a quanti non praticano e li porti nelcuore.

La parrocchia missionaria non rinuncia mai a guardare aimolti, a tutti quelli che sono a lei «affidati».

Anche tra coloro che vivono in te molti sono in ricerca, dub-biosi, catecumeni: le monizioni del sacerdote e dei ministri, il lin-guaggio dell’omelia tiene sempre davanti agli occhi chi cerca lafede ed in qualche modo chiede un primo annuncio.

L’accoglienza dei fratelli e delle sorelle che vengono da altrecomunità e portano la loro testimonianza ad una chiesa sorellaallargano l’orizzonte della parrocchia.

Guardando l’icona della domenica tu ritrovi continuamente illegame profondo tra spiritualità e missione e diventi davvero par-rocchia «missionaria»: ogni parrocchia oggi è terra di missione ela missione caratterizza il metodo e il progetto della parrocchiadel futuro.

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Parrocchia «apripista»

Una parrocchia per il nostro tempo è come una costruttrice dinuove strade per il Vangelo.

...il tentare delle strade che non sono poi nuove - son le grandi stra-de dei santi d’ogni tempo, le vere strade della Chiesa, che è di tuttii tempi - diventa almeno un dovere disperato.(op. cit. pag. 39)

Un dovere disperato ed insieme una grande gioia aver avviatoquesto dialogo apostolare con te per rinnovarti profondamentesul tronco antico e fecondo.

Tu, ne siamo certi, hai ancora un grande servizio da compiere:hai risposto ai bisogni di una società contadina, ora devi rispon-dere alle sfide di una società post - industriale.

La prospettiva è affascinante. Il Concilio e tutti i documentidella Chiesa, a partire dalle grandi encicliche, ne hanno tracciatedi strade nuove e formidabili.

Oggi più che mai i documenti precedono la vita - sono bellis-simi, ma molti restano lettera morta, e non è un problema di ideee di contenuti: manca il metodo per calarli nella vita vissuta delpopolo di Dio.

Le strade cristiane del mondo si tracciano camminando con integritàdi fede, con passione di apostolo, con audacia di carità, con discipli-na di figlioli.E – non illudiamoci – son strade di dolore prima che strade di con-quista e di gloria.(op. cit pag. 37)

Vorrei riprendere queste tracce di Don Primo e farne i puntiriassuntivi delle grandi strade della parrocchia di domani.

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CON INTEGRITÀ DI FEDE

Cara parrocchia,tocca il cuore sentirlo dire da un prete che aveva avuto soffe-

renze e incomprensioni da parte della Chiesa e che si firmava«obbedientissimo in Cristo».

Si può soffrire per la fede, ma non la si può offendere.L’integrità è un bene, l’integrismo no.Anche dopo il Concilio, coloro che, stretti nelle difficoltà o

spinti dal rinnovamento hanno messo in discussione alcuniaspetti della fede, già ora hanno poco da dire.

La verità, il dogma, nella parrocchia non può essere mai nasco-sto, annacquato, sminuito, ma va riscoperto, compreso, ricondot-to dentro la concretezza e la complessità della vita delle persone.

L’uomo moderno è alle prese con questioni radicali: l’amore ela famiglia, il dolore, la persona umana e le sue manipolazioni, legrandi fratture sociali, la solitudine.

Il dialogo con questo uomo non avrebbe possibilità di svilup-parsi se non fossimo altrettanto radicali.

Il rischio grande per te, o parrocchia, è quello di essere nellafede come il dottore della mutua di una volta: ci si va per le cosescontate poi si va a consultare lo specialista. Abbiamo tanti incon-tri con il rischio della mediocrità, senza precisione di contenuti ealla fine un messaggio sbiadito, incolore, difficile da accogliereper chi si trova di fronte a drammi e scelte di vita davvero moltograndi. Parrocchiale non può essere più sinonimo di dilettanti-smo, di infantilismo, di pressapochismo, almeno per ciò cheriguarda la fede!

La formazione permanente dei tuoi operatori pastorali è que-stione fondamentale. Oggi tutto invecchia in fretta ed anche l’an-nuncio della Parola va continuamente ripensato.

Perché non pensare ad una settimana estiva di ferie con unocchio alla formazione permanente? Con incontri tenuti da per-sone molto preparate che ci ridonano il gusto e l’ampiezza delle

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problematiche spirituali? Molte tue consorelle già lo fanno.Oggi le cose difficili, severe, hanno più probabilità delle cose

facili di essere attuate, come un vangelo integrale è molto piùappetibile in parrocchia di tanti momenti di routine privi di pas-sione e di verità.

Cercatori appassionati di verità

Dio è mistero sempre, anche per chi crede rimane il totalmen-te altro.

Quanto più Dio si avvicina all’uomo, tanto più la sua lucediviene abbagliante. Non siamo gente che possiede Dio ma genteche lo cerca appassionatamente. In questo le parrocchie hannograndi responsabilità: cercatori delusi, cercheranno altrove.

I parrocchiani spesso non si stupiscono più di fronte all’incre-dibile evento e per certi versi dovremmo stupirci più di chi credeche di chi non crede: il cristiano comune, divenuto adulto nellafede, sente il bisogno di studiare, di approfondire, di non ripete-re stancamente delle verità dove non si sente, né la lotta con Dio,né la passione della ricerca del suo Volto.

A volte, anche in chiesa, specie in quella parrocchiale, sidimentica il mistero: spesso si chiacchiera, tutto diviene ordina-rio, banalizzato.

Le nuove generazioni ci spronano a recuperare il bisogno diintimità e di silenzio.

La parrocchia è il luogo dove si può ritrovare nel silenzio sia lalotta del ricercatore che la contemplazione del credente!

È davvero bello cara parrocchia, entrare in una delle tue chie-se ordinate, semplici, belle e trovare gente in adorazione davantiall’Eucarestia.

Alcune delle tue comunità si son date l’impegno di una adora-zione permanente e continua, a volte anche notturna. Un segna-le splendido: in ogni ora del giorno entri in una chiesa parroc-

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chiale e trovi qualcuno, un uomo, una donna, un giovane, unbimbo che a nome di tutti è lì davanti al segno più grande dell’A-more per entrare in se stesso, rappacificarsi con la coscienza, leg-gere la vita alla luce del Vangelo.

Mi piace anche pensare allo stupore di chi, passando nel cuoredella notte, (in tante piccole città, per fortuna, ancora è vivibile lanotte!), vede illuminata la chiesa parrocchiale e fratelli e sorelleche pregano: cercatori appassionati della verità.

Con lo sguardo fisso su Gesù

Cara vecchia parrocchia,cercavo una parola del Vangelo per riassumere il cammino

della fede in parrocchia ai nostri giorni e mi son fermato a quel-la del Battista: «chi possiede la Sposa è lo Sposo...» ma l’amicodello Sposo esulta di gioia alla voce dello Sposo. Egli deve cresce-re e io invece diminuire (Gv. 3, 29.30 passim).

Immagino un grande e antico mosaico del Cristo pantocrator:Lui troneggia immenso e la Chiesa piccola ai piedi del trono.Oggi più che mai devi ricentrare e focalizzare tutto su di Lui. E tusentirti piccola ai suoi piedi.

In questo la laicità è provvidenziale: sei nata per Lui, lavori conLui e per Lui, esisti per Lui.

L’uomo moderno è geloso della sua umanità. Teme che qual-cuno possa violarla, tarparle le ali, mettervi una museruola,restringere gli spazi della libertà.

A volte il cristianesimo è visto come non pienamente umano.Dobbiamo riscoprire l’umanità di Gesù: quando sono in ami-

cizia con Lui preferisco chiamarlo «il più umano degli umani»;questo mi piace molto.

Un uomo capace di abbracciare tutti e tutto della vita degli altriuomini. Capace di svelarci una umanità più vera e più grande.

Credo che i nostri giovani non accoglieranno Gesù se non losentiranno sempre come...

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«il più umano degli umani»

Il più umano degli umani...perché valorizza ogni creatura non per ciò che ha di diverso

dagli altri ma per ciò che ha assolutamente in comune: la vita, ladignità della persona, la capacità di amare; umanissimo se raf-frontato con uno stile di vita in cui per affermarmi devo rimarca-re le differenze. Io valgo perché ho ciò che tu non hai. !

Il più umano degli umani...perché non fa preferenze di persone e chiede a tutti assoluta-

mente le stesse cose; cambia solo la modalità: quel che non è veroper i piccoli, non lo è per i vecchi; quel che conta per gli eteroses-suali vale anche per gli omosessuali; quel che caratterizza gli spo-sati vale per i celibi; quel che è chiesto al ricco vale anche per ilpovero: nessuno è scusato, nessuno condannato, nessuno è pove-rino, nessuno è mostro.

Il più umano degli umani...perché Egli va verso i più perduti degli uomini, i piccoli, gli

esclusi, i malati, i peccatori: sceglie gli ultimi perché nessunopossa sentirsi escluso, perché condivide tutto della nostra uma-nità: la sofferenza e la violenza, l’ingiustizia e la morte, fino allacroce. Totalmente umano fino a offrirci di condividere la sua stes-sa vita.

Il più umano degli umani...perché essendo Egli il tessuto di tutte le cose ed avendole Lui

create e redente, non ci può essere vera contraddizione tra ciò cheha scritto nel nostro cuore e dentro la nostra pelle e ciò che cichiede nel Vangelo. Questa umanità di Gesù oggi in parrocchia vacontinuamente riscoperta nel dialogo, nella guida spirituale, nelconfronto con i fatti e le situazioni della vita.

Penso sia un punto indispensabile di quel progetto culturalecosì presente nel cuore dei nostri vescovi.

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La prova del male

Cara vecchia parrocchia,la realtà, lo scandalo del male che la televisione ci porta ogni

giorno, che tocca, ferisce la vita di tutti noi, è il grande problemaper accogliere la verità di Dio.

Come si può affermare che l’amore di Dio è più forte del male?Specie quando la religione stessa sembra all’origine delle guerre,di violenze, di antichi rancori?

A volte in parrocchia, in tante occasioni, si dicono parolevuote di fronte al male. È difficile farsi vicini nel dolore: spesso sisoffre nel vedere la comunità parrocchiale latitante, lontana.«Non so cosa dire»; la vicinanza di tutta la comunità è preziosaper sostenere chi è nel dolore.

C’è un silenzio affettuoso più forte di molte parole ed è tristequando, proprio in seguito a grandi sofferenze, alcuni tuoi figliabbandonano la fede.

Il «perché» del male ci è nascosto, ma ci è data la possibilità didargli un senso: possiamo trasformare il dolore in amore.

È uno dei tuoi compiti più delicati quello di aiutare chi è den-tro il male ad offrirlo, a farne offerta di amore: è la verità piùmisteriosa e più consolante: anche la lacrima più nascosta puòessere trasformata in un misterioso atto di amore.

Così è prezioso anche il servizio di aiutare chi è attorno a chisoffre perché tragga dal male un grande invito a vivere, ad amarea non sciupare in alcun modo la vita.

C’è oggi un rischio in parrocchia che poi ferisce l’integrità dellafede: il pensare che l’essere liberi dal male o la sua guarigione siasegno della benedizione di Dio.

Dio e il male: attraverso il male si giunge all’intimità con Dio.Il male non è esterno all’uomo, non è esterno a Dio.

C’è del manicheismo, in parrocchia, in giro: quasi voler essereindenni da ogni male, considerare il male come lontananza da Dio.

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Attraverso la croce siamo stati salvati. Una sofferenza trasformata in dono d’amore senza limiti: la

ricerca ossessiva del miracolo di guarigione (tutto è possibile aDio!) offusca a volte una verità più profonda: che Dio ama tan-tissimo anche quelli che non guarisce e quelli per i quali (sonotanti) non c’è alcun gruppo a chiedere guarigioni come sono idannati della terra, a milioni, ogni anno.

Il mistero del male si immerge in quello della croce: anche Egligridò e fu esaudito non con la guarigione ma con la forza dioffrirsi al Padre per generare un mondo liberato dal male e dallamorte.

Con integrità di fede: la fede integra è nuda di fronte al mistero.

Il dramma della catechesi parrocchiale

C.v.p.non ti sembri esagerato parlare di dramma: sai che non mi

manca l’ottimismo: se parlo di dramma puoi ben credere che ionon sia esagerato!

Posso sbagliarmi ma, per quanto mi giri attorno, vedo che lacatechesi parrocchiale, a tutti i livelli, non morde, non fa presa,non fa crescere.

Convegni, riflessioni, sussidi, catechismi hanno in questi annidel post Concilio acceso speranze spesso assai presto naufragate.

Anche i tuoi parroci più attenti parlano di catechesi sclerotiz-zata: «quando la catechesi è intaccata, il motore di una comunitàcristiana, prima o poi, va in avaria. La parrocchia si trova sull’or-lo di una grave malattia, proprio perché la catechesi è debole,incompleta e occasionale.» (A.Fallico, Le cinque piaghe della par-rocchia italiana, Catania 1995, pag.85)

Cara parrocchia, non mi piace parlare di dramma e poi nonindividuare segni di speranza e di rinnovamento. Ve ne sono, cer-tamente anche di molto belli. A livello di bambini, di ragazzi, diadolescenti.Il mio è solo un grido per incoraggiare ogni tentativo

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possibile di rinnovamento: credo che tu questa sofferenza la portidentro non da oggi

Una catechesi troppo scolastica, che non diventa esperienza divita che (per quanto ancora?) abbraccia la quasi totalità dei bam-bini quando la gran parte delle giovani famiglie è perlomeno inricerca.Te ne accorgi ogni anno in occasione della prima Comu-nione: quasi un lembo di deserto che progressivamente cresce trail sacramento ancora richiesto per i figli ed il vuoto religioso dellafamiglia.

Con gli adolescenti la difficoltà più grande consiste nel nonaccompagnamento al di fuori della parrocchia: incontri, espe-rienze, intense e toccanti svaniscono immediatamente quando siritrovano soli senza una mediazione che li aiuti nella scuola, neltempo libero, nel lavoro ad acquisire mentalità ed atteggiamenticoerenti.

Ripartiamo, cara parrocchia, con la catechesi degli adulti, unasorta di formazione permanente della comunità.

Potrà mai esserci integrità di fede senza una catechesi capace diiniziare alla vita cristiana per poi dare una formazione perma-nente?

Formazione permanente in parrocchia

C.v.p.per rinnovare la nostra catechesi ai ragazzi, agli adolescenti, e

in tutti i cammini di prima evangelizzazione, dobbiamo impara-re a vivere con gusto e frutto personale la nostra catechesi di adul-ti per la formazione permanente.

Maestri e discepoli

Nella misura in cui ci facciamo discepoli, sapremo farci anchemaestri.

Discepoli partecipando ad una catechesi per tutta la comunità,

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che nei modi, nei contenuti, nello stile divenga come l’icona e lospecchio di ogni altra catechesi in parrocchia.

La catechesi degli adulti dovrebbe, a mio avviso, rispondere aquesti criteri:

Criterio delle porte aperte

Una catechesi che pur ponendosi come formazione perma-nente di tutti gli uomini e le donne che servono e vivono nellaparrocchia, partecipata quindi dai presbiteri, dai diaconi, dai laiciimpegnati nel sociale ed in politica, dai ministri, dai catechisti, datutti i volontari e gli operatori pastorali, è una catechesi aperta atutti, in chiesa, a porte aperte, annunciata col suono delle campa-ne come di domenica, in modo tale che ognuno possa entrare inogni momento e parteciparvi come accade per la messa.

Criterio della continuità

Criterio della continuità, con un ritmo settimanale, senzainterruzione estiva o di altro genere.

La discontinuità non aiuta a creare uno stile di formazione eduna abitudine all’incontro.

La parrocchia ha il senso dell’eterno ed idealmente occorre unprogramma di formazione ciclico che consenta negli anni di avereun cammino sicuro, così come accade per tanti altri aspetti dellavita cristiana ed in primo luogo per quel gioiello della liturgia.

Criterio della sistematicità:

È necessario infatti che in modo ciclico, lungo tutto l’arco diuna vita, i grandi temi della fede siano esplorati ed approfonditicon una certa organicità, in modo che aspetti fondamentali nonvengano trascurati.

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Criterio della adattabilità

Vi sono infatti situazioni particolari in ogni tua comunità,determinate dai tempi liturgici, da avvenimenti propri a quellaparrocchia: feste, urgenza di una particolare catechesi, temi pro-posti dai vescovi, documenti del Santo Padre, avvenimenti socia-li di rilievo: tutti questi fatti richiedono di essere tenuti presentinella catechesi della comunità, senza peraltro stravolgerla nellacontinuità e nel metodo.

Criterio della spiritualità:

Un momento di formazione permanente va visto come pro-lungamento e preparazione dell’Eucarestia domenicale, ilmomento più alto della preghiera di ascolto della comunità enon può essere quindi disgiunto da uno stile di preghiera, rifles-sione, contemplazione.

Criterio della partecipazione

I tuoi adulti non possono vivere con frutto un momento for-mativo senza sentirsi partecipi e protagonisti: questo esige chenell’incontro comune di formazione permanente vi sia concreta-mente la possibilità di esprimersi liberamente, in un gruppo assairistretto, e di approfondire senza remore gli aspetti trattati, maga-ri alternando un momento comune a tutti e poi successivamentela riflessione a piccoli gruppi.

La proposta

C.v.p.,l’incontro di catechesi e di formazione permanente in parroc-

chia è costituito da una lettura continua, attualizzata, spiritualedella S. Scrittura del Nuovo e Vecchio Testamento, cosicché ognifratello e sorella della comunità, nell’arco della sua vita, possa

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nutrirsi di tutta la Parola di Dio!

C.v.p.,ti parlo di lettura della S. Scrittura nel senso più ampio del ter-

mine che comprende certamente la lettura ordinata dei libri, unaesegesi essenziale e corretta, una lettura attenta alla «lettera» chesi serve di tutto ciò che ci può aiutare a comprendere il senso(anche se il lavoro vero e proprio di esegesi con l’uso dei necessa-ri strumenti di analisi sta a monte, da coloro che guidano l’in-contro o che possono accostare il brano nella lingua originale);talora sarà necessaria una introduzione o un vero studio biblicosu qualche aspetto, talora una lettura più sapienziale e spiritualea modo di lectio-divina, talora una lettura che divenga vera e pro-pria esperienza di preghiera.

Una lettura «popolare», senza mai scadere nella banalità, mache necessariamente rinvia alla scuola teologica per l’approfondi-mento, una lettura viva e attualizzata e nel contempo rispettosadel testo che deve restare in primo piano.

Lettura spirituale ed ecclesiale perché fatta nello Spirito che neè stato l’ispiratore e che ora è dato ai cristiani, pastori e laici incomunione tra loro.

Questa proposta, come ti dicevo, è preparazione e prolunga-mento ideale dell’Eucarestia domenicale, anche quando i testiproposti per la catechesi non coincidono con la liturgia dellaParola della domenica!

C.v.p.,ritengo superfluo a 30 anni dal Concilio e scrivendoti proprio

nell’anno di Cristo che è riscoperta del suo volto nascosto nellarivelazione, motivare la necessità per te di nutrirti della Parola diDio: più difficile per me invece parlarti di questo incontro vissu-to secondo quei criteri che dicevamo, come momento di cateche-si vera e completa.

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Bibbia e catechesi

Se è vero che la Scrittura letta con fede e interpretata secondola tradizione cattolica ci apre in ogni sua pagina al mistero di Cri-sto, della Chiesa, della storia, ed è quindi «insegnamento» nelsenso forte del termine, è altrettanto vero che un chiaro intentocatechistico ha presieduto alla stesura di molti libri del Vecchio edel Nuovo Testamento.

Gli scritti del Nuovo Testamento focalizzano spesso alcuneurgenze della comunità alla quale erano diretti, cercano di chiari-re comportamenti morali o aspetti della fede minacciati dall’ere-sia per cui è possibile tracciare un itinerario catechistico partendodai libri sacri così da ripercorrere tutti i misteri della salvezza etutte le verità della fede.

C.v.p., insieme alla lettura personale, quotidiana, continuadelle Scritture, nella catechesi per la formazione permanente dellacomunità tu puoi ripercorrere tutta la Scrittura. Ricordi? (capisciche qui non è proprio giovanissimo chi ti scrive...) Abbiamo ini-ziato tanti anni fa con il Vangelo di Marco per chiederci chi èGesù, poi la prima lettera ai Corinti per un primo approccio allaChiesa, poi di nuovo il Vangelo di Giovanni e le Lettere perapprofondire il mistero di Gesù e subito gli Atti degli Apostoli perapprofondire ancora il nostro essere Chiesa.

I primi cinque anni sono volati!E poi, con fedeltà, via via alternando Vecchio e Nuovo Testa-

mento, abbiamo potuto ripercorrere i cinque libri del Pentateuco,le grandi Lettere di Paolo e alcune della tradizione paolina, perriprendere poi il Cantico, il Libro di Ruth, Ester, Giuditta, poi leLettere cattoliche e l’Apocalisse per riprendere poi il Vangelo diLuca, l’intero Libro del profeta Isaia, il Vangelo di Matteo e il pro-feta Geremia...

Ogni parrocchia può fare un suo percorso: se si progettasse alivello vicariale ci potrebbe essere più facilmente lo scambio diambone ed anche alcuni momenti di approfondimento o unaintroduzione tenuta da un «maestro», potrebbe essere fatta insieme.

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La catechesi degli adulti così concepita integra scrittura, tradi-zione, magistero. La lettura spirituale della Bibbia si apre, dopo lacomprensione del senso, all’approfondimento e alla sintesi ope-rata dalla tradizione.

Si possono prendere testi dei padri e documenti del Magisteroe tra essi una attenzione costante va riservata al Catechismo. Tra-dizione e magistero entrano così al loro posto nella catechesi: visono già in circolazione commentari della scrittura che colleganola spiegazione con testi dei padri e del magistero così da ripercor-rere tutto il Concilio e le encicliche del Papa.

Nulla vieta poi che in un programma pluriennale ci si soffer-mi a lungo su un aspetto alla luce del magistero della Chiesa.

Incontro di formazione permanente e anno liturgico

Una catechesi degli adulti così configurata permette un colle-gamento con la Liturgia sia nella scelta dei testi-guida che posso-no tener conto della liturgia festiva e dei tempi forti dell’annoliturgico.

Così nulla vieta che il momento settimanale di catechesi possatrasformarsi in una celebrazione penitenziale o in un momentodi preghiera: in tal caso la Parola del Signore diviene libro di pre-ghiera e riferimento per l’esame di coscienza. Tali momenti aiuta-no a capire il sacramento come momento di massima attualizza-zione della Parola sempre efficace di Dio.

Una griglia per leggere i fatti della della vita

Con il passare degli anni tale catechesi fondata su una letturaspirituale della Parola di Dio diviene per il singolo e per la comu-nità come uno specchio dentro cui leggere tutti i fatti della vita,avvenimenti di gioia e di dolore, problemi sociali, ideologie, avve-nimenti della nazione e problemi ecclesiali: tutto questo trova ungiudizio puntuale e non dettato dall’emozione del momento.

Soprattutto l’ascolto del Vangelo ci apre necessariamente agli

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spazi sconfinati della carità, della solidarietà, della condivisioneverso i poveri.

Un momento per scoprirci appartenenti

Questa proposta di catechesi settimanale ha un carattere«popolare», partecipata da tutte le componenti del popolo di Dio:è giusto che nella chiesa fratelli di diversa cultura e situazione sitrovino insieme davanti al Vangelo. Può divenire momento di rac-cordo tra i gruppi e le varie iniziative della parrocchia.

Catechisti, lettori, accoliti, operatori della carità, educatori deiragazzi ecc. trovano qui il pane buono per il nutrimento spiritua-le e poi logicamente si ritrovano fra loro per svolgere meglio ilproprio servizio.

Così rimane l’importanza dei corsi per catechisti, corsi di teo-logia per laici, iniziative diocesane di vario livello e quant’altroaiuti a gustare la fede!

L’accompagnamento

Questo momento così prezioso potrebbe affievolirsi senza ungrande lavoro di accompagnamento affidato in modo specialissi-mo ai presbiteri, ai diaconi, ai lettori e a tutti coloro che amanola «Parola».

La proposta di partecipare alla catechesi va fatta in modo diret-to e personale, portando la propria personale esperienza; è neces-sario creare prima, durante e dopo l’incontro un clima forte diamicizia, di appartenenza, di collegamento pastorale, di verifica.

Vanno accolti con affetto sincero quanti si avvicinano per laprima volta, facendoli subito sentire parte di una famiglia; curareparticolarmente l’invito per i nostri familiari, vicini di casa o dilavoro, assicurando loro un sostegno concreto nella fase inizialeperché non si scoraggino.

C.p., il sacerdote responsabile della comunità sarà sempre pre-sente, introduce, attualizza, conclude con la preghiera e potreb-bero esserci tanti collaboratori per la catechesi biblica qualora egli

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non fosse disponibile: alcuni confratelli amici o collaboratori, isuoi diaconi, i lettori, donne consacrate o non che abbiano fami-liarità con le Scritture, biblisti disponibili, monaci che vivonovicino alla parrocchia.

Facendo un programma annuale diventa possibile il sostegnoe l’aiuto fraterno nell’ambito di unità pastorali che si possonocostituire per questo ambito così importante. Per favorire la par-tecipazione attiva di tutti si può alternare un momento comune esuccessivamente un incontro in piccoli gruppi anche nella stessachiesa.

Che ne pensi, cara vecchia parrocchia?

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CON PASSIONE D’APOSTOLO

Una parrocchia missionaria

Cara vecchia parrocchia,nei momenti più critici si ricuperano i doni più grandi. La

drammaticità della fede nel nostro tempo ne favorisce la missio-narietà. Chiamato a ridefinire la mia fede, riscopro come ogniuomo è chiamato a rincontrare Gesù. Una fede per il cosmo, pertutti.

Una parrocchia missionaria nel territorio, nell’ambiente che lacirconda, aperta al mondo.

Come all’inizio, la missionarietà è il segreto della chiesa. Permolti motivi è calato l’impegno missionario in questi anni ‘80 e‘90; a volte siamo più preoccupati di distinguerci tra noi che divivere l’urgenza della missione: nei confronti di chiese sorellepovere o lontane ho visto pochi missionari e missionarie partire,qualche sacerdote fidei donum solamente, persino i volontarilaici sono ormai pochi nel terzo mondo.

La missionarietà è il metodo che fa rifiorire la parrocchia: laparrocchia del domani sarà necessariamente una parrocchia mis-sionaria.

La missione: uno stile pastorale

Si è prima di tutto missionari dentro, nel cuore: sentendocichiamati e mandati, scoprendo che tutto quel che ci è sussurratoall’orecchio va gridato sui tetti, credendo che ogni uomo puòaccogliere il Vangelo, pregando come Teresina di Gesù per i mis-sionari.

Anche la parrocchia è sempre in missione. Tutto ciò che scopri,va ridonato, nella stessa comunità parrocchiale. Pensa se tuttiquelli che fanno un’esperienza di fede, di vita, di incontri dices-

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sero: «come posso riportare in parrocchia questo che ho scoperto,sperimentato, vissuto?» Il cantiere brulicherebbe di progetti e ilpastore farebbe veramente il presbitero, l’anziano che modera,coordina, mette in comunione.

Cara vecchia parrocchia,un problema fondamentale delle nostre comunità oggi è

quello dell’accompagnamento pastorale.È importante non solo cosa facciamo, ma come lo proponia-

mo, come accogliamo chi aderisce alle proposte, come accompa-gniamo coloro che iniziano i vari cammini spirituali.

Tutti, a partire dai preti e dai diaconi, per perseverare in uncammino di fede, hanno bisogno di essere sorretti, accompagna-ti.

Ogni operatore pastorale dovrebbe chiedersi, una volta fissatauna qualche iniziativa: «come posso coinvolgere i miei fratelli?»Come, attraverso questa proposta, posso creare legami di amici-zia, di stima, di rispetto per le persone che per prime aderiranno?»È l’animo del missionario che da vita ad una comunità cristiana.

Il missionario dopo aver generato la fede sa che deve accom-pagnarla. Siamo tutti accompagnatori e tutti presi per mano inparrocchia. Un progetto pastorale, anche nobile e necessario, noncammina senza un grande lavoro di insieme.

Famiglia al centro della parrocchia missionaria

Cara vecchia parrocchia,la famiglia ti richiede tanta formazione e tanta attenzione: va

posta sempre al centro della tua vita.La missione in parrocchia parte dalla famiglia e pone al centro

la famiglia.Accanto alla formazione e all’accompagnamento spirituale,

tanti piccoli gesti possono dire quanto tu apprezzi e stimi la vitache è nella famiglia.

I parrocchiani apprezzano quando la loro vita di famiglia èriconosciuta come valore.

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Nell’anniversario di nozze, anche civili, di ciascuna delle tuefamiglie non fai mai mancare una lettera affettuosa della comu-nità, un gesto graditissimo anche se atteso. Sei vicina alla nascitadi un figlio, gioisci di un posto di lavoro finalmente raggiunto,per un amore finalmente realizzato, per lo sviluppo di un’azien-da, per una meta professionale raggiunta, per un figlio che ritro-va la via di casa.

Le tue feste, sempre aperte a tutti, del papà e della mamma, lafesta degli anniversari ogni anno, gli sponsali, per il fidanzamen-to e la cura dei giovani che si preparano a nozze, la celebrazionedel matrimonio, costituiscono le tue gioie e valorizzano il donopreziosissimo della famiglia.

La missione della famiglia inizia nell’ambiente della casa edegli amici.

Il cristiano comune parla, trasmette, contagia: questo è essen-ziale che accada oggi.

I cristiani convertiti ce lo insegnano ogni giorno: sono conta-giosi e immediatamente un convertito al Vangelo diventa missio-nario.

Vi sono al contrario laici preparatissimi che vivono come lepiramidi nel deserto, colonnelli senza esercito, perché non rie-scono a contagiare il loro ambiente.

Certo il neofita con la sua freschezza ha una marcia in più perfarlo, ma a tutti è chiesta la missione nel proprio «oixos».

Cara vecchia parrocchia qui si innescano tanti progetti pasto-rali tendenti a formare piccoli gruppi, cellule ecclesiali di base perrendere tutti corresponsabili e compartecipi della missione dellaChiesa.

Ogni progetto è buono quando pone in missione la parroc-chia, per lo più sono strade di prima evangelizzazione.

Nel rinnovamento della parrocchia in piccole comunità, alcu-ni privilegiano il territorio, altri la condizione di vita, in specialmodo la famiglia.

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Gruppi famiglia

I gruppi famiglia sono un modo di mettere la famiglia al cen-tro della missione. Sono nati ormai da molti anni, stimolati dal-l’Azione Cattolica, e sono diventati un riferimento per la spiritua-lità coniugale. Ricordi? Si era partiti con i corsi diocesani per ifidanzati prossimi al matrimonio. Essi hanno costituito unmomento importante per l’annuncio del Vangelo della famiglia:spesso però erano una breve parentesi, si concludevano con lenozze, erano partecipati da un numero eccessivo di coppie chenon favoriva l’incontro personale. I tuoi gruppi famiglia aprivanonuovi spazi e colmavano una grande lacuna pastorale.

Questi gruppi sono poi diventati un modo di renderti missio-naria tra le tue famiglie, specialmente tra le giovani coppie. Sonopropedeutici ad una partecipazione più matura alla tua vita dichiesa.

Le famiglie oggi, specialmente quelle giovani, sono per lo piùricche di valori umani ma si pongono con molti dubbi di frontealla fede e vi è una parte assai consistente di coppie o non cre-denti o che fanno fatica a credere. Questo, almeno per noi, hafatto sì che i gruppi famiglia tenessero costantemente presentequesto dato di partenza.

Essi si pongono quindi come luogo di prima evangelizzazioneattraverso uno stile e un metodo più rispondente alle esigenzespirituali della coppia che si trova all’inizio di un cammino spiri-tuale.

Si moltiplicano per gemmazione: dopo diversi anni alcunecoppie del gruppo diventano animatrici di nuovi piccoli gruppi.

Gruppi Nazareth

I tuoi gruppi famiglia li potremmo chiamare gruppi Nazarteh:per sottolineare lo spirito di famiglia, l’assenza di ogni fattostraordinario se non il lavoro, la casa, gli amici, la comunità cri-stiana.

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Il criterio di aggregazione in piccoli gruppi non è dato dal ter-ritorio (famiglie di un palazzo, di un quartiere, di una zona pasto-rale) ma da alcuni bisogni reali tra famiglie, affinità, amicizia,legami di appartenenza maturati nella vita, i gruppi famiglia sonoa servizio delle famiglie; nascono per rispondere a dei bisogni emuoiono quando si son date risposte o si è stati incapaci di darle.Nascono dalla vita, e muoiono perché la vita che nasce o checambia lo esige.

Per questo i gruppi famiglia sono molteplici, diversi, comple-mentari. Durano alcuni anni e poi devono di nuovo aprirsi algrande campo della Chiesa. La famiglia moderna ha in genere ungruppo di amici, per lo più coppie con i quali si vive una certa vitadi comunione, ci si vede con una certa regolarità e che costitui-scono un punto importante di riferimento.

Altri incontri, come quelli dei gruppi Nazareth, non possonodunque essere un tentativo di semplice aggregazione tra coppiema devono offrire degli stimoli molto forti e rispondere a bisognimolto concreti sia sul piano della vita di coppia, sia su quelloecclesiale e di fede. Solo così riescono a trovare spazio ed anche acoinvolgere più o meno direttamente il giro di amici nel gruppofamiglia.

Oggi ci si muove solo quando si vede subito lo scopo e la con-cretezza dell’incontro; un incontro dura nel tempo se risponde aldesiderio di sanare le «ferite» che sono dentro e inquietano ilcuore. Questo ci ha condotto a concepire il gruppo famiglia comeluogo che risponde ai bisogni concreti delle famiglie che s’incon-trano a cominciare da quel bisogno fondamentale che è riscopri-re il senso e il valore della famiglia stessa. Di qui l’intuizione e lanecessità di dare ai gruppi famiglia un’identità pastorale rispon-dente ai bisogni della parrocchia.

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Una parrocchia: tanti gruppi famiglia

Cara vecchia parrocchia,i bisogni emergono facilmente quando si guarda con attenzio-

ne alla vita delle tue famiglie.

Luna di miele

Le coppie giovanissime sentono forte il bisogno di un gruppodi amici che le aiuti a dialogare tra loro, ad aprirsi agli altri, a con-templare la grandezza del matrimonio da poco celebrato. A voltesoffrono di solitudine e cercano uno scambio sereno di idee sullaimpostazione della vita familiare. Se provengono da paesi e cittàdiversi sentono anche il bisogno di socializzare con le famigliedel quartiere; e questo specialmente per quelle di modeste condi-zioni economiche che non possono permettersi grandi cose e pre-feriscono gesti semplici di vita e di fraternità.

Giovani famiglie

Una seconda esigenza sembra quasi naturalmente scaturire dalbattesimo dei figli. Dopo la preparazione al sacramento fatta dalsacerdote e da alcune famiglie, le coppie vengono invitate a con-tinuare un itinerario spirituale.

Alcune di loro sentono la responsabilità di come educare e dicome trasmettere la fede nei primi anni di vita del bambino. Sonomesi fondamentali per la strutturazione della personalità delbambino anche da un punto di vista spirituale ed è raro trovareaiuti adeguati per questi primissimi anni di vita.

C’è anche il desiderio di riscoprire il dono immenso del figlio:quante volte lacrime furtive scendono sul volto delle madri quan-do percepiscono in tutta la sua portata cosa significhi aver gene-rato per la vita eterna una creatura!

Parlare insieme dei bambini, sostenersi nelle inevitabili diffi-coltà, aiutarsi a non trascurare la vita di coppia intenti unicamen-

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te ai figli, essere più attenti ai bambini che soffrono e che sonointorno a noi: ecco alcuni dei bisogni reali e concreti che sonoalla base di diversi gruppi di giovani famiglie.

Primi passi nella fede

L’esperienza del sacerdote e dei catechisti, cara vecchia parroc-chia, insegna che la prima comunione e la prima confessione deifigli sono per la famiglia un momento di grande disponibilità el’acuirsi di esigenze spirituali. In questi anni può nascere un grup-po famiglia molto bello per fare un cammino di riscoperta deisacramenti, soprattutto Confessione ed Eucarestia, di evangeliz-zazione, soprattutto per quelle famiglie che, pur non essendo pra-ticanti, desiderano riprendere un cammino di fede insieme grazieai figli.

C’è spesso tra coppie una conoscenza a motivo della scuola edei figli e questo può favorire il loro incontro.

Non mancano bisogni veri per genitori con figli di questa età:aiutarsi nell’educazione, essere attenti e capaci di accogliere lefamiglie con situazioni difficili facendo un cammino che nonescluda nessuno, sostenere eventuali bambini ammalati o conhandicap ed educare i propri figli a solidarizzare con loro, farsivivi con i responsabili dell’amministrazione per sottolineare esi-genze o proposte per tutto il quartiere, educarsi all’affidamento,all’adozione e all’adozione a distanza, aprirsi ai bambini delmondo attraverso le missioni.

Gruppo figli adolescenti

Vi è poi un bisogno forte: aiutare i figli adolescenti. Si puòcostruire un laboratorio attorno a questa domanda di molti geni-tori ridando fiducia e protagonismo ai genitori stessi e mettendoin secondo piano gli esperti, che sono pure necessari. L’incontrar-si diventa anche un’occasione di verifica per i genitori al fine diesaminare il proprio ruolo educativo in ordine alla affettività, al

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tempo libero, alla crescita con le conseguenti crisi della religiositàadolescenziale. Il gruppo accopagna dall’esterno e con l’aiuto deicatechisti ed esperti i «fidanzatini in erba», le prime esperienzeaffettive degli adolescenti così decisive per una prima educazioneall’amore, alla comunicazione dei sentimenti, ad un modo vero eresponsabile nel vivere la sessualità.

Gruppo figli giovani

Anche un gruppo di genitori i cui giovani partecipano assidua-mente alla vita della comunità alla quale essi stessi collaboranopartecipando ai campi scuola e ad altre iniziative, potrebberoritrovarsi tra loro per riflettere su come crescere con i figli che cre-scono.

Gruppo fidanzati

Imparando dai gruppi famiglia, anche i fidanzati prossimi almatrimonio si ritrovano per uno o due anni insieme con una cop-pia animatrice per la preparazione prossima alle nozze. Questiincontri sono caratterizzati da un clima di grande amicizia espontaneità e costituiscono per le coppie un modo di riprenderedopo anni un dialogo spirituale, di aprirsi spesso ad una vera con-versione attraverso gli incontri, il dialogo con la coppia e con ilsacerdote, i ritiri, gli incontri di festa, l’amicizia vera che nasce trale coppie.

C.v.p., anche il gruppo adulti di azione cattolica potrebbeacquisire maggiormente la fisionomia di gruppo famiglia purrimanendo fedele ai contenuti e al metodo dell’associazione

Dalla vita e dalla fantasia pastorale possono nascere altri grup-pi se vi saranno coppie animatrici disposte a prepararsi e a rinno-varsi: un gruppo che accetti di preparare con stile catecumenale ilbattesimo dei loro piccoli, gruppi ricerca di famiglie che deside-rano fare un cammino di riscoperta della fede, gruppi famiglia a

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sostegno della missione, e quant’altro potrà suscitare la fantasiadello Spirito..

Le famiglie si autoevangelizzano

Cara vecchia parrocchia,i gruppi famiglia sono un’idea per la nuova evangelizzazione e

tendono a trasformare la parrocchia in piccole comunità familia-ri. Le famiglie si autoevangelizzano.

Ogni coppia è chiamata ad essere protagonista della vita delgruppo nella preparazione e nella conduzione degli incontri, neldibattito, nei momenti di preghiera, nelle iniziative fraterne e dicarità. La coppia animatrice, benché necessaria, anima il protago-nismo di tutte le singole coppie: non chiama, fa chiamare; nonprepara, fa preparare, e così via. Il segreto è scoprire il dono diogni coppia e metterlo subito a frutto nel gruppo. Solo se ognicoppia sente il gruppo come «suo», inciterà altri amici, prenderàiniziative, e così via.

La coppia animatrice

Per la nascita del gruppo è estremamente importante la sceltae la disponibilità della coppia animatrice: è una coppia più matu-ra nella fede e più cosciente nella sua appartenenza ecclesiale. Ilsacerdote la propone o lei stessa si offre o qualche famiglia la sug-gerisce. Alla coppia animatrice si richiedono innanzitutto virtùumane ed una intensa preghiera che sola può trasformare i grup-pi in luoghi di prima evangelizzazione. La coppia animatrice nondeve anzitutto preoccuparsi del numero, delle persone o delladurata del gruppo, ma della qualità ed intensità dell’esperienza.

Questo non impedirà alla coppia di far sì che le famiglie sianosempre avvisate personalmente anche quelle che saltuariamentesono intervenute. L’importante (è questo davvero un segreto diriuscita) è che la coppia animatrice abbia come scopo primario diservire la famiglia e non il gruppo, senza secondi fini, in modo

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laico e concreto, così che tutti possano capirlo senza peraltro mainascondere la fede con tutte le esigenze che essa richiede.

Può essere molto utile un confronto tra coppie animatricidella parrocchia e non, per verificare lo stile, le difficoltà, le pro-poste e programmare l’insieme della vita dei gruppi Nazareth.

È essenziale che la coppia animatrice sia sentita dalle altre cop-pie come molto vicina per sensibilità ed esperienze altrimenti sicrea un muro che impedisce l’apertura del cuore.

Spetta alla coppia animatrice, specie all’inizio, riproporre lostile del gruppo famiglia. Durante gli incontri la coppia responsa-bile è custode del tempo e del metodo di lavoro scelto, guida ilgruppo con tatto, ma con fermezza attraverso i vari momenti del-l’incontro, intervenendo per fermare gli interventi troppo lunghio per riportare la comunicazione sul tema proposto.

Insieme al sacerdote propone l’invito a partecipare al gruppoalle famiglie che hanno mostrato qualche sensibilità spiegandocon chiarezza le finalità e le modalità del gruppo Nazareth. Se c’èuna risposta significa che è stato colto un bisogno ed inizia la vitadel gruppo famiglia.

Il sacerdote e il gruppo famiglia

Il modo con cui il sacerdote si relaziona con le coppie di ungruppo famiglia ha delle caratteristiche diverse da quelle cui èstato abituato spesso nella pratica pastorale: nel gruppo famiglia,infatti, il sacerdote si mette su un piano di parità con gli altrimembri del gruppo pur senza venir meno allle proprie prerogati-ve e al proprio ministero sacerdotale.

Nella vita di un gruppo ci sono delle iniziative che il sacerdo-te, nei limiti del possibile, non deve prendere: non tocca a luiinfatti ricordare gli impegni e le scadenze (questo è compito dellacoppia responsabile) e neppure deve essere sempre lui a tenererelazioni, fare conferenze, avere l’ultima parola su un argomento.Al contrario, come adulto tra adulti, pur restando responsabiledei catechisti, porta nel gruppo i carismi del ministero e, come

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segno della comunità, svolge la funzione di congiunzione ecomunione con gli altri gruppi parrocchiali. Egli permette inoltrela complementarietà dei due carismi: quello del celibato e quellodel matrimonio, rendendo così il gruppo autentica esperienza dichiesa.

Nello svolgersi della vita del gruppo famiglia dobbiamo ascol-tare molto le idee dei più «piccoli» nel gruppo senza lasciar cade-re le intuizioni che lo Spirito Santo suscita nel cuore dei fratelli.Anche questo è un segreto!

La vita dei gruppi Nazareth

L’incontro quindicinale in parrocchia o nelle case è il momen-to fisso del cammino. Accanto a questo momento dovrebbero fio-rire contatti e incontri personali, momenti di fraternità, e soprat-tutto tanta vicinanza e solidarietà tra le famiglie nei momenti dif-ficili o significativi della vita.

Ogni gruppo può privilegiare un metodo a seconda deimomenti e delle necessità: non dovrebbe mai mancare una edu-cazione alla Lectio Divina che permette di trasformare in pre-ghiera quanto si è scoperto insieme.

Avendo in genere i gruppi molti bambini occorre pensare unpiccolo itinerario anche per loro durante gli incontri con personepreparate perché sentano come momento di gioia il radunarsi deiloro genitori.

Il segreto della riuscita del gruppo famiglia sta nella capacità distupirsi reciprocamente dei doni che ogni coppia porta con sé purnella diversità di lavoro, cultura, etc.

Lo stupore genera amicizia e rispetto: questo sentimentoprofondo del cuore se c’è si vede! Di qui nasce il gusto di stareinsieme, di parlare dell’esperienza con gruppi di amici; se l’am-biente familiare è contagiato dall’esperienza del gruppo vuol direche le famiglie si sentono accolte e fanno un’esperienza autenti-ca.

Pur essendo i gruppi Nazareth gruppi di famiglie, questo non

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va inteso in modo esclusivo: parliamo di famiglie in senso estesocosì da comprendere qualche persona anziana legata a questecoppie, persone sole, coppie irregolari o in situazioni difficili chela vita ci ha posto accanto.

Una testimonianza confortante

Cara parrocchia, questi due anni di gruppo Nazareth sono statia dir poco meravigliosi. Essi infatti sono stati sicuramente deter-minanti per il nostro avvicinamento alla Parrocchia e a Dio.

Tutto è nato in modo così semplice e spontaneo che ci siamosentiti coinvolgere pian piano in un’esperienza favolosa, doveDio ci è entrato nel cuore come mai avremmo pensato che acca-desse.

Ma ciò che è più sconvolgente è che è bastato dire un sempli-ce sì alla sua chiamata (perché il gruppo Nazareth è sicuramenteuna chiamata) perché Egli cambiasse tutta la nostra vita.

Gli incontri, i colloqui, lo scambio di idee, la lettura del Van-gelo ci hanno insegnato quali sono i veri valori della vita e quan-to bisogno abbiamo di avere Dio sempre vicino. La famiglia, l’a-micizia, la collaborazione tra le persone, l’aiuto al prossimo: que-ste sono le cose per cui vale la pena di lottare.

Abbiamo imparato a vedere oltre il nostro naso, dove la fami-glia non comprende solo marito e moglie ma abbraccia tante per-sone che si sentono unite tra loro. Ed è per questo che in occa-sione di avvenimenti belli gioiamo insieme ed insieme ringrazia-mo Dio. E quando qualcosa di speciale accade a qualcuno di noi,tutti ne veniamo coinvolti e ci ritroviamo insieme per dargliconforto, anche con una sola e semplice preghiera.

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Famiglie «fidei donum»

Nella propria città

La famiglia in quanto tale oggi è sempre più soggetto dellamissione della chiesa.

L’evangelizzazione e l’azione missionaria trovano nella fami-glia il primo e insostituibile referente. Se valorizzata come Chiesadomestica, la famiglia cristiana offre un grande contributo all’e-vangelizzazione già con il suo essere, ancor prima che nel suofare. Una migliore integrazione della famiglia nell’opera dellanuova evangelizzazione aiuta le stesse famiglie a sentirsi mag-giormente responsabili e dà all’azione della Chiesa più incisivitàe concretezza.

Già nel fidanzamento sarebbe bello aprirsi ad orizzonti mis-sionari: nella formazione dei fidanzati al matrimonio cristiano èancora poco evidenziato il valore missionario del sacramento. Lagrazia del matrimonio sostiene gli sposi nel cammino di santità eli rende protagonisti della missione della chiesa in quanto testi-moni della comunione trinitaria e interpreti dell’amore salvificodi Cristo verso la Chiesa e l’umanità. Tra i giovani che si prepara-no al matrimonio saranno dunque da favorire esperienze missio-narie nello spirito di uno scambio e di un arricchimento tracomunità cristiane di antica e di recente costituzione. Oggi siaprono possibilità inedite alle famiglie di farsi missionarie: anchequella di mettere alcuni anni della loro vita di coppia a serviziodella chiesa nella propria città o presso altre chiese sorelle nelterzo mondo.

Una scelta ovviamente che va maturata insieme anche con ifigli che costituiscono una preziosa quanto delicatissima presen-za. Per analogia potresti chiamarle famiglie «fidei donum».

La famiglia cristiana si trova spesso ad annunciare il Vangelonella quotidianità e nella ferialità della vita arrivando là dovespesso le strutture pastorali non riescono ad arrivare. La storiadella chiesa conosce anche esempi luminosi di famiglie che si

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sono rese disponibili per andare nei luoghi di prima evangelizza-zione. (C.E.I., Sulle orme di Aquila e Priscilla, Roma 1997, pag.22)

Cara vecchia parrocchia,è davvero grande la disponibilità delle tue famiglie quando

hanno un cuore missionario! Rivelano una generosità incredibilee quello che sembrerebbe impossibile si realizza come dimostra-no segnali confortanti in diverse comunità del nostro paese.

L’intuizione di una famiglia di vivere una esperienza di tipomissionario nella propria città nasce dal fatto che a volte unacomunità parrocchiale o più parrocchie desiderano attuare unprogetto che richiede un più grande impegno ed una presenza piùcontinua e vi possono essere una o più famiglie che, sostenutespiritualmente e materialmente dalle altre, mettono a disposizio-ne alcuni anni della loro vita per un servizio di evangelizzazionee di carità nell’ambito della parrocchia. Può anche accadere didover spostare la propria abitazione per risiedere nella casa che lacomunità si è data per quel progetto. Missione e carità si fondo-no insieme: spesso infatti sono le necessità dell’accoglienza edella carità verso i più diseredati a far nascere la vita in comune dipiù famiglie, segni di speranza dentro le nostre città.

Ad gentes

Il nostro tempo ha aperto tanti spazi alla famiglia che solo ierisembravano impossibili, data la delicatezza e la complessità dellavita coniugale in ordine alla casa, al posto di lavoro, alla educa-zione dei figli, alla vita di coppia. Anche nella parrocchia la fami-glia è ormai soggetto di evangelizzazione, carica di ministerialitàcome famiglia nel suo insieme.

Può la famiglia aprirsi alla missione come nel secolo scorsohanno fatto tanti consacrati, uomini e donne?

È vero che nel Nuovo Testamento conosciamo famiglie impe-gnate nella missione, capaci di viaggiare, spostarsi, assumere veri epropri impegni missionari. Non a caso una bozza degli uffici e ser-vizi nazionali C.E.I. si intitola: «Sulle orme di Aquila e Priscilla».

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Nel nostro cuore c’è una intuizione carica di conseguenze:vista l’estrema urgenza nella Chiesa cattolica di missionari dopoil Concilio Vaticano II, visto l’esempio che viene da alcuni movi-menti e associazioni ecclesiali che inviano famiglie per la missio-ne, crediamo che sia giunto il momento che anche le parrocchie,in una chiesa diocesana, possano esprimere famiglie missionarie.

Le famiglie «per la missione» possono far proprio lo statutodei sacerdoti «fidei donum» i quali, benché incardinati in unachiesa locale, per alcuni anni offrono un servizio missionario inuna chiesa sorella bisognosa di aiuto.

Perché non immaginare famiglie «fidei donum» inviate da unachiesa locale e accolte in un’altra chiesa per un tempo determina-to, con un servizio preciso ed una preparazione adeguata?

Ovviamente non vanno esclusi fratelli e sorelle non sposatiche intendono consacrarsi alla missione come inviati della Chie-sa diocesana. I loro tempi forse potranno essere anche più ampi.

Ma la novità pastorale è data dalla figura di una famiglia «inmissione».

Il lavoro ed il turismo hanno messo già da tempo gli uominiin comunicazione tra diversi continenti: non potrebbe essere ilmomento di una grande stagione missionaria in vista del grandeGiubileo del 2000? Uno scambio tra chiese ed anche, per quantoè possibile, un sostegno ai nostri sacerdoti «fidei donum»?

Con chi condivide la possibilità di questo progetto pastorale,occorre avviare un grande e serio lavoro per approfondire i variaspetti legati alla scelta della missione, i criteri richiesti alle fami-glie che partono, la necessaria preparazione delle coppie ed even-tualmente dei figli, l’individuazione degli obiettivi, anche se poiandranno verificati in loco con chi già opera in missione; i pro-blemi legati al mantenimento del posto di lavoro, gli aspetti assi-curativi, economici, sanitari...

Ovviamente un sogno così grande non potrà realizzarsi senzauna grande e insistente preghiera. Dovremo invitare a pregare igruppi missionari presenti nelle nostre parrocchie ed i contem-plativi che vivono lo spirito di S. Teresina di Gesù Bambino.

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Attorno a questo progetto potranno ritrovarsi tantissime fami-glie e giovani con l’adozione a distanza, con l’aiuto a chi parte,con visite anche brevi alle famiglie in missione, creando così unarete di collaboratori missionari.

Laici missionari: identità e presenza in missione

Cara parrocchia,come tutti i grandi avvenimenti di chiesa si precisano man

mano, ma già ora alcune intuizioni sono maturate. A Piombino ilcentro interregionale di formazione dei missionari laici è legatoad una parrocchia (sorpresa o te l’aspettavi?) per imparare a cam-minare con i ritmi della gente comune.

È importante non partire come singoli ma come piccola fra-ternità (due famiglie o una famiglia con qualche fratello o sorel-la) per essere una presenza di Chiesa in ascolto, povera, fraterna,che conosce e rispetta la cultura che incontra, inserita nella Chie-sa locale, vicina alla gente di cui studia la lingua, corresponsabile.

Si va per coscientizzare e per evangelizzare con l’annuncioesplicito e con una forte testimonianza di vita

dove l’annuncio è impedito.La promozione umana deve essere necessariamente preceduta

da un periodo iniziale di amicizia e di conoscenza reciproca. Vafatta comunque con i loro mezzi, con i loro ritmi, con professio-nalità.

Anche se la vocazione di un missionario laico è «a vita» sonoimportanti tempi abbastanza lunghi: alcuni sono disposti a licen-ziarsi dal lavoro affidandosi completamente al Signore e allacomunità; in diverse diocesi si suggerisce la permanenza di alcu-ni anni, quanti sono compatibili con il mantenimento del postodi lavoro.

C.p., strade davvero nuove e splendide si aprono ora davanti ate m, sono certo, ti accompagneranno per tutto il terzo millenniodell’era cristiana!

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Parrocchia aperta al mondo

Si può già intuire che la missionarietà sarà sempre più la carat-teristica della parrocchia del domani.

Chi torna dalla missione porterà sempre nel cuore i fratelli cheha incontrato e continuerà ad animare una sensibilità missiona-ria in parrocchia.

È più facile, dopo aver visto, sentire vicini quei fratelli e quellesorelle, creare occasioni di scambio, mobilitare i giovani attornoa piccoli progetti concreti. La missionarietà apre la mente, mostrala bellezza e la missionarietà della chiesa, ci fa guardare conrispetto esperienze diverse ed ugualmente ricche di chiesa.

L’educazione alla mondialità e la risposta alle grosse domande che cigiungono dal sud del mondo sono dimensioni fondamentali, in par-ticolare nell’ottica di una chiesa missionaria. Si ravvisa l’esigenzache i problemi della missione ad gentes e della solidarietà interna-zionale siano sempre più presenti negli interventi pastorali dellaCEI, anche utilizzando l’apporto congiunto dei tre organismi (Uffi-cio nazionale per la cooperazione missionaria tra le chiese, Caritasitaliana, FOCSIV) che possono fungere da supporto culturale attra-verso riflessioni ed esperienze sviluppate in questi anni. Alcuni deipercorsi qui elencati sono da studiare e approfondire, altri sono piùimmediatamente proponibili:- Impegno riguardo al debito internazionale dei paesi poveri:«...nello spirito del libro del Levitico (25, 8-28), i cristiani dovran-no farsi voce di tutti i poveri del mondo, proponendo il giubileo comeun tempo opportuno per pensare, tra l’altro, a una consistente ridu-zione, se non proprio al totale condono, del debito internazionale,che pesa sul destino di molte nazioni» (TMA 51; EV 14/1805); atale sforzo dovranno affiancarsi misure atte a favorire processi divera democratizzazione.- Scambio di doni tra chiese all’interno della cooperazione missio-naria, superando interessi particolare e offrendo il meglio in terminidi risorse umane ed economiche attraverso reciprocità. Anche l’inse-

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rimento in Italia di sacerdoti, religiosi e religiose delle chiese del suddel mondo (e ultimamente anche dall’est) va posto in questa pro-spettiva, senza tuttavia dispensarci dal verificare in che misura l’im-missione di risorse umane da altre chiese è causata da nostre caren-za vocazionali e dalla perpetuazione di servizi di sempre più diffici-le gestione.- Lavoro congiunto nelle diocesi a sostegno di gemellaggi (in parti-colare con chiese del sud del mondo e dell’est europeo), progetti disviluppo, microrealizzazioni...- Rilancio, in particolare tra i giovani, del volontariato internazio-nale e del «laicato missionario».- Diffusione di proposte quali il commercio equo e solidale, i bilancidi giustizia, le forme di finanza etica, l’economia di comunione ecc.,sviluppando un adeguato supporto culturale e informativo a sosten-go di queste nuove piste di solidarietà.(Comitato Nazionale per il Giubileo del 2000, Amore preferenziale per i poveri, in «Il Regno», 1997, pag. 397)

Servizio temporaneo in missione

C.p., inizialmente erano un gruppo di medici e paramedici chedesideravano mettere le loro ferie per un servizio temporaneo inmissione, poi anche altri fratelli e sorelle, specie giovani, hannointutito l’importanza di questa scelta, piccola e grande insieme. Inalcune diocesi (penso a Trento, ma il loro impegno missionario èa tutt’oggi straordinario) è diventato un servizio coinvolgente pertante parrocchie!

Possono essere esperienze estive o, se si forma una collabora-zione di più persone nello stesso luogo, si potrebbero scagliona-re le ferie in modo che vi sia una certa continuità nel servizio.

Vi è intanto una preparazione che matura una sensibilità mis-sionaria superando l’idea di un turismo religioso con telecamerache a volte affatica le comunità di missione, e scandalizza i pove-ri che essi servono.

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Questo piccolo e iniziale servizio missionario è consapevoledella propria incapacità di risolvere problemi tanto gravi, qualequello dell’aiuto ai popoli del terzo mondo, e si propone allora,più semplicemente, di creare un ponte tra noi e il mondo deinostri missionari, quasi una elemosina data guardando negliocchi chi la riceve, al fine di una vicinanza sempre più forte ainostri missionari, sacerdoti e laici, e come piccolissimo segno diun nuovo modo di concepire la vacanza: alcune giovani coppiesono andate in viaggio di nozze ! Chi torna porta la missione nelcuore e con altri fratelli continua una sensibilità missionaria.

È più facile, dopo aver visto, sentire vicini quei fratelli e sorel-le incontrate, mantenere i contatti, impegnarsi nell’adozione adistanza, stimolare il volontariato interno e internazionale.

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CON AUDACIA DI CARITÀ

Parrocchia «casa della carità»

Cara vecchia parrocchia,credo, e perdonami se stravedo per te, che non ci sia altra

espressione di chiesa dove la carità, in tutte le sue forme, possaessere vissuta nella concretezza di vita delle persone: malattie, fal-limenti economici, sofferenze familiari tra le coppie o coi figli,cadute morali che angosciano il cuore e la vita trovano nellacomunità parrocchiale una porta aperta e cuori sensibili e vicini.

Direi che in parrocchia non occorre tanto cercare per vivere lacondivisione e la solidarietà: basta non chiudere la porta a chibussa.

Ogni tipo di sofferenza oggi bussa alla tua porta: disturbi emalattie psichiche che impoveriscono totalmente la persona, soli-tudini esasperanti di vecchi soli, bambini bisognosi di sostegno eaffidamento famigliare.

E le folle degli immigrati che da anni, ad ogni ora, suonanoalla tua porta.

Mai dire: «non posso farci niente»: lasciamo sempre uno spi-raglio aperto per la carità. Se la tua porta è socchiusa i poverientrano e cambiano la tua vita.

Per te accogliere le persone, ascoltarne il dolore, lenire ancheun poco le ferite, non ha niente a che fare con l’assistenzialismo.

Per te è accogliere il Signore che bussa, acquistare degli amiciche ci accoglieranno un giorno nella casa del Padre.

Comunque ogni piccolo gesto di carità verso i poveri è una for-tuna per noi, perché copre una moltitudine di peccati e metteanche a nudo la nostra incapacità di amare i vicini e i colleghi:aiutando gli «ultimi» è più stridente e visibile l’incapacità diamarci tra «vicini».

Audacia e follia della carità: la carità come l’amore è sempre unpo’ folle: se misuri il tuo dono, la tua carità non sarà certo «audace».

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Un bagaglio leggero

Sai per esperienza quanto è forte il rischio di appesantirti.Volendo fare opere di misericordia con un bagaglio pesante ti

carichi di pesi che non riesci a portare e che ti costringono adimenticare altri aspetti del Vangelo.

Il missionario ha un bagaglio leggero. Il pensare che posse-dendo tanto possiamo donare di più, è una pia illusione. Per que-sto le nostre comunità dovrebbero puntare al minimo vitale,tanto da poter porre dei segni di speranza e di amore, altrimentil’assillo dei debiti o la pesantezza delle strutture finisce per pre-valere sulla gioia e la libertà di servire.

Un bagaglio leggero dunque a livello di strutture da gestire inproprio, a livello di conto in banca, a livello di iniziative di carità.Non ti nascondo: facile a dirsi, difficile a farsi.

È già difficile decidere lo stile della Chiesa parrocchiale: uscen-do da case dove tutto è curato, anche il sopramobile, non possia-mo certo lasciare la chiesa indecorosa, ma ogni lusso sarebbe unaffronto e una dimenticanza verso i tanti che non hanno nem-meno un tetto o vivono sulla soglia della povertà! Per non parla-re di tutte le altre strutture della parrocchia che dobbiamo semprecommisurare sulla vita dei più poveri dei fratelli!

Una constatazione l’hai fatta tanta volte: i tuoi ricordi più bellisono per i periodi di massima semplicità, in genere, legata agliinizi: ti bastava una baracca, uno scantinato, poche stanze ma contanta vita e tanto entusiasmo! Ti sentivi più vicina alla gente e piùvicina ai poveri del mondo. Ogni giorno è per te un grande com-pito: comporre, insieme a tutti i parrocchiani, l’incontro tra sem-plicità e necessità, tra il bagaglio leggero ed i segni concreti dellavita nuova. I sussidi più moderni sono sempre utili se non diven-tano «ingombranti»: lo sono quando diventano più importantidel fine per cui sono stati acquistati.

La parrocchia...seppe, in ogni tempo, acclimatarsi e usare i sussididell’epoca senza lasciarsi ingombrare da essi. Ci vuol bene una terra

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senza dogane, senza passaporto, senza tessere. La casa dell’animanon può avere la stess’aria della casa degli uomini. Si può essere delproprio tempo senza rinunciare ad essere uomini spirituali e intelli-genti.(op. cit pag. 44).

Senza correzione fraterna in parrocchia non è facile mantene-re un bagaglio leggero...

Viviamo in un mondo drammatico: io sono persuaso, e credolo sia anche tu che nel giorno del giudizio il Signore ci chiederàconto dei bimbi morti per fame o per l’indifferenza del nostrotempo, le opere di misericordia saranno per noi l’unico appiglioquando sarà messa a nudo la tragica inconsistenza di tante realtàdella nostra vita.

In ogni parrocchia un segno di gratuità e di accoglienza

È cambiata in questi anni la parrocchia ed è cambiata anche lagente: le case sono più piccole, più chiuse, c’è più diffidenza e piùpaura.

Ogni parrocchia ha una chiesa ed una casa, magari provviso-ria, una baracca: è la casa di Dio tra le case degli uomini; un’idea:porre in ogni parrocchia un segno di gratuità e di accoglienza,una piccola casa - famiglia. La gente vive sempre più chiusa nellesue case, le ville sono difese da cani terribili, almeno nell’aspetto!La casa di Dio è senza muro di cinta, libera dalla paura dell’altro,del nuovo.

Una piccola casa di accoglienza accanto ad ogni parrocchia, unpiccolo segno di gratuità in un mondo dove tutto si paga, è sola-mente un segno, capace di risvegliare il grande dono dell’ospita-lità in ogni casa; interroga comunque i cristiani a non lasciare unasola casa inutilizzata: pensa quante nuove famiglie potrebberoformarsi se trovassero a prezzi modesti un affitto dove iniziare lapropria vita coniugale.

Così ci esorta il comitato nazionale per il Giubileo..: «Dobbia-

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mo realizzare strutture di accoglienza a livello diocesano e nelleparrocchie di dimensione significativa, che visualizzino la caritàcome percezione della presenza di Dio nei poveri, così come sono«visibili» il luogo della presenza del Signore nella Eucaristia e glispazi dedicati all’attività catechistica e formativa. Ciò impegna aripensare la progettazione delle strutture parrocchiali, in modo dadar vita ad «opere segno» in risposta ai problemi del territorio.Ilgiubileo potrebbe segnare l’inizio di uno stile nuovo nella pro-gettazione delle opere parrocchiali attraverso spazi da riservarealle opere di carità».

I cristiani comuni e i mille volti della carità

Tutti e ciascuno in parrocchia siamo chiamati all’audacia dellacarità. Secondo il proprio dono e la propria vocazione.

In qualunque situazione di vita è possibile scoprire un grandeappello ad amare. Anche in situazioni oggettivamente difficili.

Pensa, cara parrocchia, alle situazioni di celibi e nubili di fatto,non per scelta. Non è facile finché si resta tra coloro che sonsospesi tra una possibile famiglia e la vita da «single», una voltaaccettata però la propria situazione, si aprono grandi prospettivedi carità. Disponibilità di tempo, libertà di movimento, qualchepossibilità economica proveniente dal lavoro o dalla famiglia,consentono di vivere una vita dinamica, oblativa, serena.

Tu ne conosci tante di persone così: padri e madri di tanti figlinon generati nella carne ma con l’audacia della carità, donnevedove o separate che non cercano un nuovo matrimonio e risco-prono come vocazione e nuova chiamata quel che era nato comedolore o difficoltà insanabile nella vita di coppia.

Tu puoi fare davvero molto per valorizzare queste persone aiu-tandole a trasformare in servizio di amore situazioni di vita chehanno lasciato ferite profonde nel cuore.

Negli anni settanta era culturalmente più facile per i giovanicompiere gesti di gratuità e di volontariato ma anche oggi di fron-te a proposte precise ed esigenti alcuni rispondono con il corag-

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gio proprio della loro età; anche in questo è decisivo l’accompa-gnamento di alcuni adulti altrimenti si finisce per compiere gestiisolati che non incidono nella formazione e nella crescita dellapersona.

Famiglia «aperta»...e ospitale

È un termine diffuso, anche troppo: necessariamente indicatante cose. Presuppone una forte coesione nella coppia: ci si puòaprire tanto più quanto si è uniti e ci si vuol bene.

Se la parrocchia è ospitale, anche la famiglia può esserlo; in unmondo come il nostro, l’ospitalità diventa una grande opera dimisericordia. Nei prossimi decenni si avrà una richiesta continuadi questa carità.

A volte una camera e un bagno consentono a dei poveri disopravvivere: vi sono stanze vuote nelle nostre case e sono stanzetristi. Come quando si vedono quei saloni tipo museo, inutiliz-zati, coperti da teli per proteggerli dalla polvere: sono carichi ditristezza.

Il bello delle tue famiglie, cara parrocchia, sono i tanti bambi-ni. Come alcuni gruppi ecclesiali li puoi riconoscere dalla gene-rosità nell’accogliere i figli nel matrimonio: famiglie con tantibimbi attorno al tavolo sono una scena indimenticabile.

Anche le famiglie della parrocchia si caratterizzano per averetanti bimbi. Aperte alla vita.

Pur richiedendo tanta fatica, i bambini sono il segno di unavita spesa nell’amore.

Custodi irreprensibili della vita all’interno della coppia, soste-gno preziosissimo per incoraggiare altre coppie a portare avantiuna gravidanza, vicini e disponibili al dramma di bimbi non sani.

In questi ultimi anni, in tante tue comunità, hai scovato gestiincredibili di coraggio e di amore alla vita pur sapendo quantasofferenza e quanta tristezza ti hanno procurato quelle offese allavita consumate anche tra le tue famiglie.

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In questo ultimo decennio tante famiglie si sono rese disponi-bili per l’affidamento di bambini.

Un segno bellissimo e di grande gratuità quello di non pren-dere un bimbo per sé ma di offrirgli il proprio servizio.

Specie per gli affidamenti difficili si è rivelata preziosa la par-rocchia con i suoi gruppi famiglia che hanno sorretto dall’esternola famiglia affidataria, che ha avuto anche il sostegno di istituzio-ni, creando un bel rapporto privato-istituzioni.

Diverse tue famiglie hanno comprato una casa vicino o nel tuostesso palazzo per potersi più facilmente aiutare in questo delica-to compito, altre si sono unite in una sorta di comunità familia-re allargata perché nel rispetto della intimità e della privacy diogni nucleo, fosse possibile dar vita a forme di maternità e pater-nità spirituale.

Penso che San Giuseppe rida contento dal Paradiso vedendoche oggi tanti ricopiano il suo modello di padre affidatario!

Le adozioni sono più difficili, per questo ricercatissime.Quelle internazionali sono molto delicate ed esigono strade

rette e trasparenti perché a volte abbiamo peccato nei confronti dibimbi impoveriti nei tanti paesi del mondo.

Ci sono comunque esperienze bellissime: i genitori adottivi sisentono impegnati a sostenere in ogni modo i bimbi nel paese diorigine con una grande lotta per rimuovere le cause dell’ingiusti-zia: a te, cara parrocchia, il dovere di accoglierli e seguirli in modotutto particolare.

So che in alcune adozioni ti sei commossa fino alle lacrime nelvedere coppie con tre o più figli adottare serenamente bimbi sie-ropositivi e bambini down.

Fantasia della carità in vista del Giubileo

La fantasia e l’audacia della carità non conosce confini: lanascita in tutto il mondo ed anche in parrocchia di case famigliaper dare un affetto a chi non l’ha, case di accoglienza dove giova-

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ni e famiglie si ritrovano in fraternità per aprire il loro cuore e laloro casa a chi fa fatica a vivere, le tantissime organizzazioni divolontariato che spesso sono la faccia bella e solidale del nostropaese.

In questi ultimi anni la Caritas parrocchiale è diventata in teun servizio di propulsione e di spinta per tante idee ed iniziativea volte raccolte solo da pochi, perché la carità, ancor più se auda-ce, dona tanta gioia anche se richiede tanto sacrificio.

Cara parrocchia, ti stanno giungendo proposte interessanti perquesto triennio di preparazione al duemila, stimoli per cercarenuovi stili di vita, scanditi dai riferimenti che la Terzio millennioadveniente ci propone .

Nel primo anno (1997):- Destinazione costante di una percentuale del proprio reddito a finidi condivisione e solidarietà (preferibilmente sostenendo iniziativecomunitarie)- Offerta di parte del proprio tempo libero settimanale per anzianisoli, malati di AIDS, bambini handicappati..., suggerendo possibil-mente alcuni criteri: individuazione di povertà e bisogni più diffusisul territorio, coinvolgimento attraverso gruppi di volontariato, occa-sione di formazione operativa e motivazionale.- Rinuncia periodica ad un pasto, con finalizzazione per realizza-zioni concrete.- Ferie o vacanze «alternative»: servizio in paesi poveri, in regionid’Italia meno sviluppate, ma anche la possibilità di inserire nellapropria vacanza o villeggiatura persone povere o svantaggiate.- Diverso modo di festeggiare compleanni, anniversari di nozze e diavvenimenti, all’insegna della sobrietà e della condivisione.- Diffusione della proposta dell’affido di minori e altre forme di acco-glienza familiare, anche temporanea e occasionale.

Nel secondo anno (1998):- Assistenza domiciliare, costante e continuativa, di persone sole e

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con problemi.- Impegno nel sociale per cambiare le logiche di potere in logiche digiustizia, di pace, di fraternità, di rispetto e garanzia dei diritti ditutti a partire dai più deboli e meno tutelati.- Lettura attenta della situazione del proprio territorio per cogliere lecaratteristiche più significative e le indicazioni di tendenza dellasocietà- Attività socio-culturale e politica intervenendo soprattutto dove sipuò incidere sulla salvaguardia dei diritti e sulla tutela dei più debo-li, a partire dall’attenzione alle voci specifiche nei bilanci degli entilocali come pure all’organizzazione e al funzionamento dei servizisociali, assistenziali e sanitari di base.- Uso propositivo e critico dei mass media e ricerca di forme di comu-nicazione alla portata di tutti, valorizzando il positivo a partire dalladimensione locale.

Nel terzo anno(1999):- Riflessione e confronto su alcune povertà emergenti per operare unadiffusa sensibilizzazione, contrastare la colpevolizzazione non moti-vata dei soggetti e «riconciliarsi» con queste realtà anche quando ciòcomporta gesti profetici e scelte da pagare di persona.- Avvio di forme di condivisione: fondo di solidarietà tra famiglie piùo meno fortunate, bilanci comunitari inter-parrocchiali e gemellag-gi tra famiglie e comunità del nord e sud dell’Italia, iniziative antiu-sura, forme di riconciliazione con chi è senza casa, superamento dilogiche di esclusiva difesa dei propri patrimoni o addirittura di incre-mento speculativo.- Proposta di forme di reinserimento sociale per i detenuti di lungapena, offrendo l’approntamento di servizi e strutture a supporto dellareintegrazione sociale, lavorativa e familiare. Sostenere le famigliedei detenuti.(Comitato nazionale per il giubileo del 2000,Amore preferenziale per i poveri,in Il Regno n°13, pag. 397-398)

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La società del gratuito

L’avventura del mondo diventa tragica perché mancano anime cri-stianamente avventurose.All’avanguardia non ci sono più i segni del Cristo: almeno non siscorgono. Pare che sia stato sciolto il corpo dei pionieri, mentre unasanta arditezza dovrebbe formare lo sfondo dell’apostolato moderno.(Primo Mazzolari, I lontani, pag.43-44)

Sognando con profeti

Dalla qualità della vita, alla civiltà dell’amore, alla società delgratuito.

La denominazione è di Don Oreste Benzi, un profeta deinostri giorni; la realizzazione è nei segni che già l’attualizzano enel sogno che ogni credente porta nel cuore.

I profeti, così diversi, si assomigliano tantissimo:

Un altro motivo di speranza, oltre alla corrispondenza della societàdel gratuito alla natura più profonda dell’essere umano, è rappre-sentata dai segni di un fermento in atto nella società.Di fronte all’arroganza del potere politico ed economico e all’acuirsidelle contraddizioni sociali si sta formando una reazione popolareche contiene forti potenzialità. Dopo l’illusione delle ideologie deglianni ‘70 e il riflusso nel privato degli anni ‘80, si diffonde semprepiù, soprattutto a livello giovanile, il bisogno di aggregarsi per darvita a mondi vitali nuovi, basati su nuove relazioni e non più sull’i-deologia.E in questo cammino di ricerca che fioriscono comunità basate sullacondivisione di vita, imprese sociali che dimostrano come si possaprodurre con efficienza senza inchinarsi alla logica del profitto,forme di risparmio etico, famiglie e professionisti che tengono per séil necessario per vivere e restituiscono il resto ai poveri, famiglie chesi aprono all’accoglienza di bambini, handicappati, anziani.Oggi più che mai, mentre nelle forze politiche l’esigenza di un rin-

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novamento da tutti proclamato si scontra con la scarsità di proposteconcrete per un nuovo modello di società, c’è bisogno di promuovereun cambiamento dal basso attraverso la proposizione di nuovimodelli di vita.(Don Oreste Benzi, Relazione introduttiva al convegno internazio-nale su «Società del gratuito», pro manuscripto.)

C.v.p., anche nella tua vita stanno nascendo segnali di unanuova società, a livello di famiglia, a livello di impresa, a livellodi quartiere e di città.

Società del gratuito a livello di famiglie

La società del gratuito in famiglia passa attraverso l’organizza-zione familiare. È anche una questione di «bilancio»: bilancio inordine all’uso del tempo, bilancio in ordine all’uso dei soldi,bilancio in ordine alla priorità delle scelte.

Io credo che tutto inizi dai consumi.

Consumo critico

Non ho tempo qui di illustrare né tanto meno di sviluppare, ilcircolo virtuoso prodotto, nell’ambito del bilancio familiare, daun tenore di vita più essenziale e rigoroso, volto a soddisfare dav-vero i bisogni primari e comunque più importanti, anche se sonoconvinto che, intorno a queste intuizioni, sia possibile costruireun preciso «modello» economico.

È soprattutto la dilatazione dei consumi, indotta con autenticibombardamenti di persuasione occulta, la causa principale deglistress e dei dissesti delle nostre famiglie. Quando bisogni che sonoassolutamente superflui, e in taluni casi addirittura dannosi, ven-gono spacciati per essenziali, tutto diventa più complicato: unlavoro in casa non basta più a soddisfare queste esigenze semprecrescenti; entrambi i genitori devono lavorare, e, addirittura, quan-

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do ne esistono le condizioni si ricorre ad un secondo lavoro.Non c’è più tempo e spazio per la famiglia, i figli, che molto

spesso crescono allevati da nonni e baby sitter, figuriamoci se c’ètempo per scelte di solidarietà, di gratuità e di condivisione.

I figli vanno educati e non frustrati ad uno stile di sobrietà,che, in taluni casi, può significare rinunciare a qualcosa, anche seè una gara dura.

Bilanci di giustizia

Il segreto, il dato di partenza, è comunque, quello di una mag-gior morigeratezza e sobrietà nei consumi familiari.

Ciò innanzitutto determinerà una minor esigenza di entrate,con minor assillo per «i soldi che non bastano mai» con maggiordisponibilità di tempo per la famiglia e di tempo e di denaro dadedicare a coloro che non riescono a soddisfare nemmeno i biso-gni più elementari.

Ciò, soprattutto, consentirà a tutta la famiglia, avendo cura dicoinvolgere anche i figli, di coltivare e far esplodere il gene dellagratuità.

Non deve esistere credente nel Cristo risorto non orientato eteso a gesti di solidarietà e gratuità e che, nel limite delle sue con-dizioni e situazioni, non dedichi almeno un «pezzo» di se stessoe della sua giornata al servizio gratuito di amici e fratelli più biso-gnosi. In fondo è questo, solo questo, il nostro «pass» per la viaeterna.

Il gene della gratuità sta già mobilitando il cuore ed anche lavita delle tue famiglie: alcune di queste imparando anche da altrigruppi e movimenti ecclesiali, si sono date una regola di vita percui tutto ciò che può essere dato (il superfluo) viene messo in unacassa comune perché non vi siano bisognosi tra noi.

Come la preghiera è la decima del tempo offerto a Dio, così ladecima dei beni viene donata a servizio dei fratelli: è bellissimopensare che anche i due spiccioli della vedova creano la societàdel gratuito e fanno rifiorire la speranza di questa umanità!

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Alcune tue famiglie, specie giovani, hanno scelto di abitare incase vicine, a volte in uno stesso condominio, per sorreggersinella accoglienza dal momento che si ha enorme bisogno di aiutoreciproco per questa. Iniziative di condivisione, specie in grandicittà, sono così diventate possibili grazie ad un sostegno «condo-miniale».

Cenobio familiare

Altre famiglie, non solo giovani, si sono date regole di vitacomune per creare una sorta di cenobio familiare per sorreggersinella preghiera e nell’uso dei beni: una sorta di monachesimomoderno dove famiglie, ma anche celibi o persone consacrate,vivono insieme, nel rispetto della privacy familiare, o si ritrovanoinsieme in una casa comune mettendo in comune i loro beni.

C.v.p., questa strada non ha alcuna pretesa di esclusività mavuole porsi come una possibile via per alcune famiglie cristiane,così come un tempo la nascita del monachesimo non fu l’affer-mazione della vera ed unica via di realizzazione del cristiano mal’intuizione forte di un segno dei tempi, una delle strade possibi-li attraverso cui alcuni cristiani possono contribuire alla costru-zione del Regno di Dio.

Occorre chiedersi allora: in che modo realizzare l’evangelico«nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, maogni cosa era fra loro comune»? Come realizzare una scelta di vitache non sia elitaria ma al contrario sia alla portata di tutti? Comeconciliare l’esigenza di spazi e tempi riservati alle singole fami-glie, accanto a spazi e tempi comuni? Penso ad una comunità dicristiani che si caratterizzi internamente per un forte amore per laParola e per la preghiera e verso l’esterno per una ospitalità prati-cata, sia per brevi soggiorni che più a lungo, nei confronti di gio-vani, anziani o famiglie in difficoltà. Penso ad una comunità dicristiani che sia punto di riferimento per le tante famiglie di oggisbandate o in difficoltà, che faticano a restare unite, ad essereaperte alla vita, che non riescono a dare un senso spirituale forte

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alla propria esistenza, che non sanno educare alla fede i proprifigli.

C.v.p., so che non ti sorprendi: anche i primi monaci eranolaici che cercavano una vita rigorosamente evangelica in unmondo che sembrava sfaldarsi, insieme non per fare ghetto: allo-ra molti di loro furono a salvare i tesori della società classica esicuramente i nuovi «monaci» potranno custodire tanti valori chesono pure presenti in questa società di fine millennio.

Società del gratuito a livello di imprese

Il gene della gratuità

C.v.p.cosa sono i geni?No, non mi riferisco ad Albert Einstein o a Guglielmo Marco-

ni, ma a quelle unità biologiche ereditarie che contengono tuttele informazioni relative ad un individuo. Gli esperti del ramodicono che sono dei segmenti del DNA cromosomico.

Insomma, è attraverso questo patrimonio genetico che le per-sone ereditano, dai genitori i capelli biondi o gli occhi azzurri,anche se cronache recenti ci dicono che gli individui - per fortu-na non ancora gli esseri umani - possono essere clonati, e quindi,il colore degli occhi e dei capelli possono anche prenderlo dalloscienziato che li ha prodotti.

Spero che il povero Mendel non si rivolti nella tomba a sentir-mi parlare così della sua eccezionale scoperta, - si sa, gli scienzia-ti sono sempre un po’ snob - ma, forse se ci si riflettesse bene,capirebbe che questo mio «minimo» ragionamento potrebbeschiudergli orizzonti impensati.

Come noi, credenti nel Cristo risorto, ci ripetiamo spesso,accanto ad una paternità e ad una maternità carnale, ci sonoanche una paternità e, perché no, una maternità spirituali. In checosa consistono? Semplicemente, nella «generazione» alla fede

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dei nostri figli: figli nella carne e non.Con tutte le conseguenze che ciò comporta.Sappiamo bene che la fede è puro dono del Signore, e la gene-

razione alla fede non può essere che Sua, ma sappiamo altrettan-to bene che il Signore si serve degli uomini: per piantare e per irri-gare, anche se poi, indubitabilmente, è Lui che fa crescere.

È dunque dal «patrimonio genetico spirituale» con cui siamoriusciti e riusciremo a «marcare», nella maniera più indelebilepossibile, i nostri figli spirituali, e che i nostri padri spirituali sonoriusciti ad imprimere su di noi, che dipendono l’autenticità, latensione evangelica e il «tasso di profezia» delle comunità cristia-ne.

Nell’ambito del patrimonio genetico del credente, sono con-vinto che un posto a parte meriti il gene della gratuità. Quello dellagratuità è un tema che viene da lontano, nella storia della salvez-za, a partire dalla creazione del mondo fino alla croce, che, tra letante letture possibili, credo possa essere considerato anche ilmassimo gesto di gratuità della storia del creato.

Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date, dice Gesù aisuoi. È necessario che qualcuno spieghi ai credenti che quellodella gratuità è un imperativo evangelico, non un’opzione traaltre. Deve pervadere le nostre scelte, deve essere trasversale allenostre azioni e al centro delle nostre preoccupazioni. Insomma,la gratuità dev’essere nel DNA del cristiano di parrocchia.

Rimuovere le cause dell’ingiustizia

Prima di tutto dobbiamo metterci d’accordo su quale sia «l’in-giustizia» di cui parliamo, dato che non facciamo riferimento alleingiustizie, ma alla ingiustizia, quasi si trattasse di una per anto-nomasia, di una sintesi delle ingiustizie possibili.

Ebbene, «l’ingiustizia» a cui facciamo riferimento, almeno io lavedo così, è l’ingiustizia distributiva.

Il buon Dio ha dato in dote all’umanità una montagna dirisorse abbondantemente in grado di sfamare e far vivere in

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maniera più che dignitosa, tutti i sei miliardi di essere umani checalcano le loro orme su questo pianeta, insieme a tutte le altrespecie viventi.

Il problema poi è sorto quando è nata la statistica, che, a quelche ne so è una invenzione umana, che è quella curiosa scienzaper cui - come già qualcuno ha detto - se uno mangia due polli euno non ne mangia nessuno è come se entrambi avessero man-giato un pollo. La prudenza, poi, ha sempre sconsigliato ai fauto-ri di questa scienza di andare a chiedere l’opinione di quello «sta-tisticamente sazio», per evitare reazioni verosimilmente scompo-ste, ma questo interessa a pochi.

Tra la marea di dati statistici, (e ci risiamo con la statistica) dicui disponiamo, tra la molteplicità di immagini che ci sono stateproposte (l’economia dei due terzi - 1/3 della popolazione mon-diale che dispone dei due terzi delle risorse -, che, nel frattempoche ci siamo distratti un attimo, è diventata l’economia del-l’80/20%, ecc.).

Ci chiediamo: «Possiamo far finta di continuare a non saperee a non vedere? Noi in assoluto, ma, in particolare, noi che dicia-mo, in verità un po’ spudoratamente, di credere che Gesù è mortoin croce per ogni uomo?» Il nostro amico D.Oreste dice che ilsilenzio dei «buoni» è il principale fiancheggiatore di questasocietà disumana.

Può anche la parrocchia dare un suo personale contributo arimuovere le cause dell’ingiustizia?

La disuguaglianza, la sperequazione, l’ingiustizia distributiva,non esiste solo a livello di macrocosmo mondiale: imperversaanche dietro l’angolo della nostra casa, del nostro quartiere, dellanostra città.

C.v.p., sicuramente devi uscire dallo scacco e dall’inganno del-l’impotenza, che porta a farci concludere che di fronte all’im-mensità del problema, tanto vale non far niente.

Sicuramente devi spolverare e mettere in azione il «gene dellagratuità», che personalmente, ritengo essere il motore principale«della ribellione necessaria e della rivoluzione possibile».

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Il gene della gratuità non è scontato né automatico nell’uomo.Non fa parte del patrimonio genetico carnale, ma solo del patri-monio genetico spirituale, che non è patrimonio comune a tuttigli uomini, ma prerogativa dei cristiani, o almeno così dovrebbeessere. Voglio solo dire che, se non cominceremo a prendere sulserio la Parola del Signore, non riusciremo mai e poi mai, ad inci-dere, neanche un po’, sulle cause dell’ingiustizia distributiva. Soload una mobilitazione generale e «militante» dei credenti in Cristorisorto possiamo affidare la speranza.

Sono consapevole che non sarà né ora, né presto.Ma nel frattempo, che fare?Nel frattempo, cominciare a seminare qualche germoglio della

società del gratuito!

I have a dream

C.v.p., voglio raccontarti un sogno. Non so perché ho deciso diraccontartelo, forse perché tanti ti hanno scritto e non volevorimanere escluso da questo dibattito aperto, da questa collabora-zione con te...

Tutto è successo in una di queste prime calde notti d’estate:una giornata piena in azienda, sono arrivato molto tardi a casa,uno sguardo tra il tenero e il preoccupato di mia moglie perché lacosa succede ormai spesso, una doccia e poi l’anticamera delsonno davanti al televisore che, quella sera, in seconda serata, tra-smetteva uno di quei dossier pieni di cifre preoccupanti alle qualici siamo un po’ abituati: non era la prima volta che sentivo quel-le parole e quelle cifre; «Nella società del profitto il potere econo-mico, politico, finanziario ha come fine principale se stesso.

Le leggi che lo regolano non tengono conto dell’uomo, del suobene, del suo progresso. « e poi le cifre «Nel Nord del mondoabbiamo un miliardo e duecento milioni di persone (cioè il 23%della popolazione mondiale) che sono padroni dell’84% del PIL.Nel Sud del mondo abbiamo quattro miliardi cento milioni dipersone (il 77% della popolazione mondiale) con il 16% del

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P.I.L. Tremilacinquecentottanta persone nel mondo possiedono il45% del P.I.L. del mondo «, e concludeva con queste parole cheascoltai con un certo fastidio: «una concentrazione di potere chedà luogo ad un sistema di oppressione strutturale ed arrogante,capace di autolegittimarsi facendo passare lo sfruttamento siste-matico per lecito guadagno, la costrizione al sottosviluppo perarretratezza culturale, la penetrazione economica per aiuti allosviluppo.»

Poi andai a letto (i miei erano già tutti in braccio a Morfeo) esulle prime non riuscivo a prendere sonno: ti accennavo al fasti-dio accresciuto dal fatto che ho sempre lavorato tanto, mi sonfatto da solo essendo figlio di gente povera, ho cresciuto delleaziende con stile familiare, ho dato lavoro a tante famiglie: quel-la sera non mi sentivo proprio l’affamatore di bambini del suddel mondo!

Tu sai bene(anche se non mi piace il chiasso ed il.mettermi inmostra)che quando posso non mi tiro indietro se si può fare unpo’ di bene e ho collaborato con te in tante iniziative di solida-rietà.

Ora, è vero, l’agiatezza, gli impegni, mi hanno un po’ allonta-nato dalla tua vita più attiva...

Ti dicevo, non so se suggestionato da questi pensieri, mi sonoaddormentato ed ho fatto un sogno....

Mi trovavo in mezzo a tanti giovani operai tutti di pelle nera ecapii che ero in Africa, in un’azienda molto simile alla mia sia peri prodotti sia per l’impostazione del lavoro; giravo un po’ smarri-to per i vari reparti ed incontro un mio tecnico, stimato, che lavo-ra con me da anni, che mi guarda e mi saluta appena come fareb-bero due persone che lavorano assieme e si sono appena lasciate..

Ero sorpreso e preoccupato anche nel sogno: gli operai aveva-no nei miei riguardi quell’atteggiamento tipico del dipendenteverso il suo datore di lavoro, un atteggiamento al quale peraltroero abituato..

A colpo d’occhio vidi che l’azienda era competitiva e benavviata. Il mio cervello lavorava nel sogno: non capivo perché ero

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lì e perché fosse nata quell’azienda in quel luogo.Pensai, in prima battuta, trattarsi di una joint-venture che

avevo già realizzato nell’est europeo e che aveva fruttato bene purcon qualche rischio. Dai reparti, nel sogno, passo agli uffici: sor-ridenti e graziose ragazze con variegati colori, tutti su uno sfondoscuro, mi accolgono compite. Non sembravano notare il turba-mento e la meraviglia che mi aveva preso: mi dicono di duetelefonate da parte di una scuola professionale e di un non lon-tano ospedale che mi ringraziavano perché, a loro dire, gli avreidestinato tutti gli utili dell’azienda una volta pagate le spese e gliammortamenti. Mi ringraziavano e mi invitavano entrambi ailoro consigli perché potessi verificare di persona quanto stavanofacendo con quei soldi.

Ero sorpreso nel sogno ma sentivo anche una grande leggerez-za: in fondo l’imprenditore era l’unica cosa che sapevo fare ecredo assai bene; non mi dispiaceva essere là e avere trasformatola società del profitto almeno in quell’angolo in una società delgratuito.

Pensavo questo guardando, senza parlare, le scurette ragazzedell’ufficio e poi mi svegliai di botto, nel cuore della notte, agita-to come quando da bambini si fanno sogni inquietanti.

Solo un sogno?

Non capii subito se era realtà o sogno quel che avevo visto,guardai mia moglie che per fortuna non avevo svegliato e ripen-sai a quel mio strano sogno.

Mi sembrò una bella utopia e subito pensai: «e ci sarà un luogoinvece dove è possibile, l’avrà già fatto qualcuno, e se fosse unsegno di svolta per il mio mestiere di imprenditore?»

Mi alzai, piano, per bere qualcosa e sbirciare con affetto nellastanza dei bambini che dormivano saporitamente.

Pensai alle folle sterminate di bimbi dei paesi poveri delmondo...

Pensai a te, c.v.p., dove da ragazzo ascoltavo con ammirazione

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i missionari e mi affaticavo alle raccolte di carta e stracci per ilterzo mondo.

Decisi che non volevo lasciare cadere quel sogno.Puoi immaginare che il resto della notte l’ho passato a pensa-

re serenamente a questa «visione».Mi son fatto un po’ di conti: ho capito che nella mia posizio-

ne di imprenditore la mia famiglia ha più del necessario per vive-re; lavorare il resto degli anni per accumulare altri denari mi sem-brava inutile per me e rischioso per i miei figli che vorrei cresces-sero sani e amanti del sacrificio. D’ora in poi, mi son detto, pote-vo lavorare con soddisfazione per aiutare altra gente: ho rivistocon chiarezza ingiustizie di cui avevo già preso coscienza: il per-verso meccanismo del commercio internazionale che prendematerie prime ai paesi più poveri al minor costo possibile; d’altraparte capivo che senza una scuola seria ed una sanità organizzatanon ci potrà essere un riscatto per i poveri se non si interveniva acambiare le regole del gioco come nel sogno avevo intravisto.

Sognando ad occhi aperti

Da quella notte sogno ad occhi aperti la possibilità di diventa-re un imprenditore cristiano: non ho più pace: sto cercando se visiano già esperienze nel mondo a livello di piccole e medieimprese; ho scritto al Ministero del Commercio Estero per verifi-care quali leggi regolano questa materia.

Soprattutto noto che la cosa non mi sembra poi così assurda:molti miei colleghi lo fanno già per puro profitto, non potrei iofarlo come seme di una società del gratuito?

Ho iniziato a parlarne in famiglia, ma ora ho deciso di aprir-mi con te c.v.p.: senza il tuo sostegno e quello di tante tue fami-glie so che il sogno non potrà diventare realtà.

Dalla società del profitto alla società del gratuito: ti rendiconto di quanto sei in grado di inquietare il cuore di un impren-ditore con questi tuoi discorsi?

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Società del gratuito a livello di quartiere e città:la banca del gratuito.

Tra i tanti semi di nuova società che stanno nascendo, ti rac-conto una mia esperienza, nata nel quartiere della parrocchia

C.v.p., potresti dar vita, tra la tua gente, alla «Banca del gratui-to»: lo scopo, che il nome stesso evoca, è quello di seminare qual-che seme della «società del gratuito», che costituisce un elementofondante di quel «modello economico sociale» radicalmenteevangelico che emerge a partire dai primi capitoli degli Atti degliApostoli (At.2 - At.4).

La società del gratuito in un mondo come il nostro è una sfidaincredibile ed anacronistica, ma, al tempo stesso, è una intuizio-ne profetica. Sicuramente non potranno essere cambiati in radicei meccanismi che regolano economia e società del mondo in cuiviviamo, ma altrettanto sicuramente va preso atto che esistonoambiti, disponibilità, situazioni -marginali finché si vuole- in cui,appunto, qualche seme della società del gratuito può essere spar-so, può attecchire ed essere fecondo, e può costituire un segno.

Il richiamo al concetto di banca, invece, è, per certi versi, para-dossale - ma il paradosso è la categoria principale del linguaggioevangelico - e richiama un organismo che intermedia e traffica, inquesto caso i doni e i «talenti» per metterli a disposizione di chifa più fatica ad andare avanti.

A tutti coloro che vorranno collaborare, è richiesto, compati-bilmente alle proprie condizioni di vita, di mettere a disposizio-ne gratuitamente una parte del proprio tempo, la propria profes-sionalità, la propria casa - qualora ne sussistano le condizioni -, osemplicemente un contributo economico, al fine, ad esempio, dicreare reti di solidarietà, amicizia, assistenza nei confronti di chine ha più bisogno; svolgere la propria opera presso le case diaccoglienza, presso famiglie affidatarie o altri centri di assistenza;accogliere in famiglia minori e persone in difficoltà, effettuareadozioni a distanza, seguire e disbrigare pratiche presso uffici,offrire assistenza ed amicizia a persone sole, visitare ammalati,

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rappresentare le istanze di persone bisognose e portare avantiun’azione politica e di sensibilizzazione sulle tematiche sociali.

Si tratta, insomma, di «depositare» presso la Banca del gratui-to la propria disponibilità, al fine di incrociarla con i bisogni cheemergono.

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CON DISCIPLINA DI FIGLIOLI

Cara vecchia parrocchia,il linguaggio anticato di Don Primo ha un suo fascino ed una

sua precisione.Discepoli e figli: alla sequela di Gesù ci riconosciamo tutti figli

di Dio e fratelli con Lui e tra noi. La nostra è una disciplina fra-terna:

La parrocchia pur essendo un organismo che ha bisogno d’ordine edi disciplina, non si costruisce né si difende more castrorum.(op. cit. pag. 43).

Noi oggi preferiamo parlare di comunione ecclesiale: terminebellissimo con un solo vizio, che ognuno lo intende a partire dalproprio punto di osservazione quando invece il termine suggeri-sce, con coraggio, di riconoscere ciò che è comune a tutti per poirispettare le differenze di ognuno.

Ciò che ci accomuna è l’essere davvero fratelli, più che se fos-simo nati da una stessa madre e questo genera necessariamenteuno stile di vita dove si costruisce ogni giorno la libertà interiore,la correzione reciproca, l’unità di intenti, l’obbedienza a chi tra ifratelli è padre in nome di Cristo.

Il coraggio di parlare e di proporre

Ogni cristiano comune in parrocchia ha sciolto il nodo dellalingua che lo rendeva silenzioso e ha trovato il coraggio di parla-re e di proporre.

La critica tra fratelli ha senso solo se nasce da un amore gran-de e da una appartenenza sincera.

La critica in genere ha valenza negativa: dissento da qualcosa,da qualcuno. In realtà è sempre positiva quando di fronte a situa-zioni complesse e a volte drammatiche vi sono proposte diverse;

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ancor più preziose se complementari.Il nostro «don» è davvero un maestro in questo.

La stessa esigenza spirituale dei migliori parrocchiani può indurre intentazione, poiché, lo dico una volta per sempre, la critica agli uomi-ni più che alle istituzioni, non vuol dire comunemente animo indi-sposto o avverso. Chi vuol bene, ha una vera e sofferta sensibilità, perché egli portanello sguardo e nel cuore l’immagine della parrocchia ideale.(op. cit. pag. 21)

Il parrocchiano che parla e propone ed è disposto a sporcarsile mani (ché di gente che suggerisce ad altri di fare ve ne sono aschiere!) deve trovare un ascolto pronto e affettuoso.

Le iniziative più fresche, più rispondenti all’animo della gente,nascono in genere da suggerimenti di fratelli o sorelle che hannotrovato il coraggio di far sentire la loro voce. Qui diventano pre-ziosi gli spazi e gli organismi di partecipazione perché la voce dinessuno sia dimenticata.

Coraggio di parlare e di proporre ne serve tanto in parrocchia.Con tanta tenacia e pazienza.

Noi, abituati ai fast-food, vogliamo tutto e subito; abbiamointuito l’importanza di una cosa e vorremmo che tutti subito larecepissero ed iniziassero ad agire.

Ci vuole pazienza!Non tutti arriviamo nello stesso tempo a capire l’urgenza di

quella proposta. Occorre pazientemente riproporre, rimotivare,cercare consenso. Le idee non possono essere fatte piovere dal-l’alto ma devono maturare nell’incontro personale o di gruppo; ilcuore deve restare libero e sereno se davvero lavoriamo per ilSignore!

Non avere paura, ma continua a parlare e non tacere, perché io sonocon te e nessuno cercherà di farti del male, perché io ho un popolonumeroso in questa città... (At. 18, 9-10)

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Correzione fraterna in parrocchia

La necessità della correzione nella parrocchia è palese: coloroche fanno fatica a credere ci possono perdonare tutto ma non lamancanza di correzione fraterna tra noi ed il conseguente perdono.

Quando intravvedono in noi il gusto che i fratelli o le sorelleabbiano fallito o si trovino in difficoltà o sentono che parliamodi altri fratelli dietro le spalle, si allontanano con un profondodisgusto per la parrocchia e per la religione.

La sede della correzione fraterna può essere nella verifica deicammini pastorali, nei rapporti personali, negli organismi colle-giali; ma è soprattutto nell’ascolto comunitario delle Sante Scrittu-re che la Parola di Dio diventa un giudizio sulla vita che stiamovivendo e l’ascolto della Parola potrebbe sempre più diventare illuogo della correzione di rotta per recuperare gli atteggiamenti piùveri, ben sapendo che tutti siamo sotto il giudizio del Vangelo.

C’è un fascino nei monasteri quando si entra nella stanza dellaconfessione o sala del capitolo. Anche in te, o parrocchia, la litur-gia penitenziale o il consiglio pastorale possono divenire i luoghiprivilegiati per precisare e correggere i nostri rapporti personali edil servizio in comunità.

Il discernimento fraterno con i pastori

Cara parrocchia,credo che una comunità parrocchiale, viva e corresponsabile,

avrà sempre tanti progetti in cantiere: è necessario proporre conlibertà, confrontarsi apertamente, ascoltare le osservazioni di chipoi deve lavorare al progetto, accettare con umiltà la decisione dicolui al quale spetta l’ultima parola su quanto si è proposto. Enon mettere mai le nostre persone davanti al servizio della comu-nità. Penso alla catechesi così difficile, così anemica, così pocoincisiva: ogni proposta di rinnovamento va esaminata con atten-zione, specie quando viene da chi poi è disposto a sacrificarsi. Inostri consigli senza questo spirito missionario e di rinnovamen-

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to finirebbero per essere più un impedimento che un aiuto allatua vita di parrocchia.

Il discernimento con i pastori nella parrocchia di oggi e didomani sarà difficile e prezioso: in una comunità viva, propositi-va, creativa, assai simile alla comunità di Corinto, il rapporto conl’apostolo conosce necessariamente la dolcezza ed anche l’ama-rezza, ma è indispensabile alla fecondità della missione.

Cara parrocchia, in questi anni ho incontrato non solo pretiappesantiti dalla fatica di essere centro di riferimento e di comu-nione, ma ho visto anche tanti laici soffrire per la parrocchia per-ché non riuscivano ad avere un dialogo franco ed aperto con ipastori.

Spesso si dice: i vecchi, i piccoli, si scandalizzano: è il ritornel-lo quando c’è qualcosa di nuovo in parrocchia. In realtà i sempli-ci e gli umili sono i primi a capire il nuovo che cerca di rinnova-re la vita.

Né il nuovo è accettabile perché nuovo, né il vecchio da conservarsiperché vecchio (op cit pag. 44).Si richiede un discernimento fraterno con i pastori perché non

resti mortificata l’iniziativa del singolo cristiano e il camminounitario dell’insieme.

Il coraggio di saper camminare in solitudine

Spesso in parrocchia occorre saper camminare anche in solitu-dine, vi sono tante strade che la chiesa ha già indicato da tempocome strade essenziali e che pochi iniziano a percorrere. Chi parteè sempre un po’ solo: ma se la Chiesa chiede, qualcuno deve par-tire.

All’inizio c’è tanta solitudine, poi pian piano il progetto sichiarisce, qualcuno si entusiasma, nasce una vita.

In genere chi dice «i tempi non sono maturi» è sicuramente inbuona fede, ma di scarsa sensibilità: se ti guardi bene attornotante cose che ti sembran novità son già vecchie: abbiam peccatopiù per difetto che per eccesso in questi anni del post-Concilio!

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Cara parrocchia, se osservi la vita di tutti i santi, anche di quel-li «cresciuti» in parrocchia, ti accorgi che sono tutti dei cammina-tori solitari nel grande solco della fede: anche madre Teresa, donBosco, il Cottolengo, l’abbè Pierre, don Oreste, all’inizio eranoproprio soli: il coraggio di partire in solitudine dice libertà da noistessi, totale fiducia in Dio, consapevolezza di «lavorare» per Lui!

Profeti in parrocchia?

Anche la parrocchia può avere i suoi profeti, come ogni espe-rienza di chiesa ha avuto i suoi. Capisco che la parrocchia ha ilsapore dell’ordinario ed il profetismo dello straordinario: inverità non è così. Senza profeti non si rinnova la parrocchia. Ilvero profeta è ancorato al passato, vive intensamente e taloradrammaticamente il presente, è proiettato ed apre al futuro.

Chi è profeta oggi in parrocchia?Ogni cristiano comune, con una identità essenziale, ha nel

cuore come una ferita quando pensa alla vita di fede, alla comu-nità cristiana: qualcosa che vorrebbe con tutte le forze realizzareinsieme ai fratelli. Una ferita maturata da un peccato cui è seguitoil pentimento, o da una intuizione che in un momento della vitail Signore ha inoculato nel cuore. Come un segno in profondità.

Bisogna far emergere la ferita del cuore, verificare con i fratelli ela guida spirituale se viene da Dio, se è conforme al Vangelo, se ènel segno della missione e del rinnovamento della parrocchia e poitradurla in vita: parlarne in comunità, trovare un piccolo nucleoche ci creda davvero, proporla ai pastori e al Consiglio Pastorale,verificare che contribuisca alla comunione di tutto il Corpo. Pro-feta è ogni uomo e ogni donna che nella società che cambia rapi-dissimamente sa custodire con forza e serenità le cose che noncambiano nella fede e nella morale, profeta è colui che sperimen-ta nella fede che non può non fare ciò che gli arde nel cuore, comeuna febbre, come un fuoco che non si può contenere. E in ogniparrocchia il Signore di profeti e profetesse ne suscita tanti poichétutti dal battesimo abbiamo la possibilità di essere profeti!

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Gli organi collegiali della parrocchia

Consiglio pastorale parrocchiale

Il C.P.P. è un grande dono del Concilio: parla di collegialità, dicorresponsabilità, di comunione tra ministri ordinati e fratelli esorelle laici. Tutte le cose belle sono difficili: penso che, dall’altodella tua esperienza, di consigli parrocchiali ne hai visti tanti nelpost-Concilio, diversi per scelta, per funzionamento, ma tutti conuna vita assai difficile. All’inizio erano eletti tra tutti i battezzaticome una sorta di elezione democratica, poi erano eletti dai mes-salizzanti (scusami la brutta parola), poi per lo più venivano for-mati dai responsabili dei vari servizi della comunità. Ogni solu-zione era criticabile ma pur creando una nuova mentalità di chie-sa i nostri consigli parrocchiali hanno sempre avuto una vita unpo’ stentata. Dopo quasi trent’anni di esperienza non ti nascondoun po’ di fatica: oggi, in vista del Giubileo dobbiamo certamenteripensarli come qualcosa di vivo a servizio della tua vita.

Gruppi di servizio

Penso che, tutto sommato, prevedendo anche alcuni momen-ti di assemblea di tutta la comunità, il Consiglio parrocchiale sial'espressione dei tanti servizi che la comunità esprime per coordi-narli e metterli tutti in comunione attorno al Vangelo e all'Euca-restia. I vari gruppi di servizio sono le braccia del C.P.P., se, sonodavvero vivi nella parrocchia:

Accanto ai presbiteri, ai diaconi, ai ministri, il gruppo di ani-mazione liturgica, il cuore della parrocchia, che anima tutti i ser-vizi del giorno del Signore, dal decoro della Chiesa, alla corale, aiministranti, ai molteplici servizi e proposte per la formazioneliturgica, i ritmi quotidiani e settimanali di preghiera ed in parti-colare l'Eucarestia feriale e la lectio divina, il calendario della let-tura continuata delle Scritture, la liturgia delle ore, la preghieramariana, l'adorazione continuata e notturna della Eucarestia;

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il gruppo di animazione vocazionale, prezioso perchè ognichiamata del Signore trovi risposte pronte e coraggiose;

il gruppo di animazione missionaria per animare e coordi-nare i servizi missionari della comunità ed

il gruppo Caritas per animare la carità di tutti ed indicare lenuove frontiere dell'amore, sono le «braccia» della parrocchia ecollaborano strettamente con quanti si sono consacrati alla mis-sione e ai vari servizi di condivisione nel volontariato e nella casafamiglia;

i vari gruppi di coordinamento della catechesi, che sono la«voce» della parrocchia: dei bambini, degli adolescenti, in modotutto particolare dei giovani, della formazione degli adulti, deiservizi per anziani e malati, della catechesi in preparazione aisacramenti, della catechesi itinerante;

i vari gruppi di pastorale familiare che sono il «tesoro» dellaparrocchia che animano, oltre i gruppi Nazareth, tutto ciò cheriguarda la vita e la centralità pastorale della famiglia;

i piccoli gruppi che animano l'Ecumenismo, il dialogo con inon credenti, i cammini catecumenali che sono gli «orizzonti» ele speranze della parrocchia;

il consiglio economico parrocchiale indispensabile perchétutta la comunità viva evangelicamente l'uso dei soldi e l'utilizzodelle strutture;

i tanti servizi di ministerialità diffusa nel popolo di Dio chesono il segno della creatività della parrocchia: dall'Oratorio, alCentro Sportivo, a mille altre forme di attività e di servizi.

Non potranno mancare nel C.P.P. anche rappresentanti dicoloro che non svolgono servizi all'interno della parrocchia maimpegnati da cristiani nelle varie realtà sociali possono dare uncontributo prezioso alla programmazione pastorale. Quanto piùla comunità sarà creativa e profetica, tanto più saranno necessarigli organi collegiali della parrocchia!

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La parrocchia porzione della Chiesa Diocesana

Cara vecchia parrocchia,anche se sei grande per abitanti e vitalità, non puoi mai

dimenticare di essere una piccola porzione della Chiesa locale; seiimmagine autentica di Chiesa solo in quanto legata alla Chiesadel Vescovo, alla diocesi.

Allora per te il rapporto parrocchia-Vescovo, parrocchia-dioce-si è essenziale.

Ripenso con commozione alle tante visite pastorali dei vesco-vi nelle parrocchie tue colleghe. pur sperdute, segno di un legamesacramentale profondissimo.

Di qui il tuo legame con il Vescovo e le altre comunità parroc-chiali e non, nella Chiesa locale.

Oggi si parla di unità pastorali: tu sai che a volte abbiamo pec-cato di autosufficienza: ognuno il suo campanile, impenetrabilecome le vecchie torri campanare.

Cara parrocchia, lo diciamo sottovoce, a volte una conoscenzaincompleta del metodo e del progetto della parrocchia crea dellesituazioni di stallo: linee comuni della diocesi che non vengonoattuate e sembrano rifiutate quando in realtà la diocesi aiuta laparrocchia a vivere, la conferma, la collega alle altre realtà diChiesa.

Ti sarai accorta. Ti han sempre amata i Vescovi con amore dipredilezione ma, ultimamente, è nata una passione: non so se perpaura di perderti o perché hai bisogno di cure molto profonde.

Ogni vita che nasce in te non può crescere e portare fruttosenza la benedizione del Vescovo: direttamente, attraverso i tuoisacerdoti, i tuoi diaconi, con i delegati ai vari incontri in diocesiegli segue, corregge, esorta, promuove la vita che è in te. La suapersona è per te un «Padre» e la sua presenza e la sua.parol.a.sono un dono e un impegno per te.

A volte vi possono essere tensioni, sofferenze reciproche mal’esempio del nostro «don» ci ricorda che si può obbedire in Cri-sto e che la verità prima o poi viene a galla; ricordo quando per

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la prima volta un direttore dell’Osservatore Romano fece un pagi-none su don Mazzolari anche se preferì allora non firmare lanostra lettera sulla parrocchia per le sue difficoltà con la Chiesa

Più spesso possiamo essere come parrocchia motivo di soffe-renza per il Vescovo: quanto più una comunità è viva, tanto menoè facile la comunione e l’obbedienza, tanto più è preziosa, neces-saria, feconda

Non si può separare il Vescovo da quella realtà della diocesiche sono le sue braccia pastorali.

Mi pare che nel rapporto parrocchia-diocesi vi possa essere unpeccato per parte: il peccato della parrocchia è quello di pensare dipoter elaborare il metodo e il progetto pastorale prescindendo dalcammino che lo Spirito suscita nella Chiesa locale: l’ispirazioneper estrarre doni dalla miniera, per gettare ponti, per porre altrilavori nel cantiere, viene da un popolo che cammina con il Vesco-vo e legge i segni dei tempi in quel luogo, in quel momento.

Il peccato a volte degli uffici diocesani è quello di non partiredalla vita delle singole comunità, quasi fossero sezioni staccatedell’ufficio, proponendo modelli e riflessioni generali, anchebelle, ma che non tengono conto dei cammini intrapresi

Parrocchia: immagine autentica di Chiesa

Tu cara parrocchia sei un organismo vivente ed una differiscedall’altra. Occorre, come con una persona, partire sempre dalriconoscere la vita che c’è in te: non si può uniformare la vita delleparrocchie! Vi sono in ognuna incontri che la grazia suscita neimodi più imprevedibili e che segnano poi a lungo tutto il restodella vita. Credo che.il primo compito della diocesi sia quello diriconoscere, sorreggere, allargare la vita che nasce.

Se il DNA è comune in ogni parrocchia in quanto porzioneautentica di Chiesa, la fisionomia poi è diversa da parrocchia aparrocchia.

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Una volta era solo il prete a determinarne la.fisionomia: oggisono certo i sacerdoti, i diaconi, le famiglie., gli incontri che si sonfatti, le testimonianze che han lasciato segni profondi, vicende didolore che hanno determinato svolte, riprese, che hanno configu-rato in certo modo la vita. Si potrebbe quasi ricostruire la storiaspirituale e pastorale di ogni parrocchia!Considerare le diversitàricchezze nell’unica Chiesa locale può essere un metodo prezioso.

Valorizzare la storia, cogliere i segnali di novità e di rinnova-mento perché tutto quello che di vero, di bello, di buono nascein una parrocchia, nasce per la diocesi, per tutta la Chiesa locale!Solamente da questo atteggiamento di accoglienza vera del vissu-to di ciascuno, potranno nascere le convergenze e le unità pasto-rali. Il punto dolente te lo leggo negli occhi: e quando una par-rocchia è agonizzante dal punto di vista della sua vitalità?

Lì si tratta di scavare nella miniera, con l’aiuto di tutta la chie-sa locale: anche nella parrocchia più «fredda» vi sono laici capacidi farla vivere, magari in forma iniziale, se vengono aiutati allacorresponsabilità.

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LA PARROCCHIA A SCUOLA DAI GRUPPI E MOVIMENTI

C’è stato un momento,cara parrocchia,in cui sono stato molto geloso dei movimenti e delle associa-

zioni che nascevano accanto e fuori di te.Più che gelosia, santa(sic!) invidia!Avremmo voluto lo stesso entusiasmo in parrocchia, la stessa

folla, la stessa capacità di organizzazione e di sacrificio. Alcuni diloro dicevano che tu saresti finita presto. Poi ho capito che eranostati mandati a te per imparare il tuo rinnovamento.

Oggi, superati i tempi della polemica, tu devi imparare daigruppi e dai movimenti pur restando te stessa.

Anche i parroci che in passato hanno sposato l’una o l’altraesperienza e messo la parrocchia sotto quello o quell’altro cari-sma, l’hanno capito.

Tu resti te stessa e rispetti e favorisci la loro esperienza auto-noma da te, senza catturarli, senza lasciarti catturare.

Questo riconoscersi cordialmente come esperienze autentichedi Chiesa, capaci tutti di generare la vita e la santità, non vuol direignorarsi o peggio farsi del male.

È possibile lo scambio di «ambone» tra gruppi, associazioni eparrocchie: tu movimento vieni in parrocchia a parlare della tuaesperienza e mi chiami nel tuo gruppo per conoscere la vita dellamia. Ognuno ha da dare e da ricevere.

Nel rispetto dei cammini formativi di ogni movimento e asso-ciazione, sono sopratutto i momenti di preghiera che ci leganocome l’Eucarestia quotidiana: un sol pane, un sol corpo, una solaChiesa.

I locali in comune: strutture vuote sono un peccato: uno stes-so spazio può ospitare esperienze diverse di Chiesa quando c’èchiarezza e rispetto vicendevole.

Spirito di amicizia e grande collaborazione e comuni impegnicaritativi: ognuno rimane se stesso ma siamo membra di un unica

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Chiesa diocesana, unita attorno al vescovo.A livello diocesano si fa stretta la partecipazione a tutti i

momenti di pastorale di settore della chiesa diocesana: pastoraledella famiglia, della carità, del lavoro, della scuola, della cateche-si, della liturgia, delle vocazioni, delle missioni, della pastoralegiovanile, della sanità, nell’ecumenismo, nei ministeri laicali.

Abbiamo in comune tutte le grandi sfide della Chiesa delnostro tempo!

In ogni esperienza di Chiesa ciò che distingue non è mai esclu-sivo e quanto più è chiara la coscienza della propria «spiritualità»,tanto più è facile il dialogo e il confronto con tutte le esperienze«sorelle» di Chiesa.

In questi ultimi anni spesso le parrocchie, non avendo unmetodo, un progetto, una regola di vita spirituale, assumevano difrequente l’uno o l’altro dei carismi proprio di quel gruppo omovimento.

Oggi non è più così: tu, cara parrocchia, riconosci apertamen-te e con simpatia, ciò che la Chiesa riconosce, sei felice se qual-cuno dei «tuoi» matura in quel movimento un cammino di fede,e nel contempo vivi serenamente il tuo progetto!

È talmente vasto il campo per la semina che c’è spazio e lavo-ro per tutti!

Si vive un ecumenismo con le altre confessioni cristiane,dovremmo ben viverlo tra noi!

La parrocchia «copia» dai movimenti e delle associazioni

Credo anche che tu oggi debba imparare dai movimenti, asso-ciazioni, almeno da quelli più vivi.

Copiare i doni di Dio non è peccato.Vuol dire anzitutto riconoscere che si tratta di grazia!Quando si andava a scuola si poteva copiare in modo intelli-

gente o a «pappagallo»Parlando seriamente con te si tratta di far proprio ciò che nei

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secoli ha arricchito la vita della Chiesa.Ciò che è proprio non è mai esclusivo.Copiare, imparare senza «mimetismi».

Guardarsi dal mimetismo, cioè imparare dagli altri senza copiaredagli altri(op cit pag. 43)

Don Primo lo diceva nei confronti di tutte le realtà perché tuttihanno del bene da darci ma credo valga anche tra cristiani cheabbiano metodi ed esperienze diversi.

Il credere, perché si è custodi della verità, di possedere anche l’intel-ligenza gratuita di essa e la migliore maniera d’usarla, è orgogliofarisaico.(op cit 43)

Non staremo a fare i conti su chi ne ha avuto di più di orgo-glio in questo post - Concilio nel servire nella propria porzione diChiesa: ora ci accorgiamo che abbiamo bisogno di tutte le vocidel coro anche se vi può essere qualche stonatura.

Cara vecchia parrocchia,la sincerità è base di ogni rinnovamento.Se oggi parliamo della centralità della cultura, dell’urgenza dei

cammini catecumenali, di riscoprire la forza e la presenza delloSpirito, l’esigenza dell’ecumenismo, l’impegno per la pace, lodobbiamo anche a tante realtà di chiesa che il Signore ha suscita-to in mezzo a noi in questi anni: movimenti, associazioni e varierealtà ecclesiali non parrocchiali.

Molte di queste associazioni e movimenti diventano oggi ordi-ni religiosi moderni dove gli aderenti vivranno integralmente illoro carisma e la loro spiritualità ma la parrocchia, mantenendoil suo metodo, si arricchisce ed impara.

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ConclusioniLA PARROCCHIA - CANTIERE

È una lunga lettera, cara vecchia parrocchia, ti chiedo perdono,ma ti assicuro che ho fatto fatica a sfrondare le tante cose chefanno anche oggi di te una bellissima realtà di Chiesa. Tu diraiche sono innamorato e l’amore, si sa, è cieco!

Rischi, sfide, non mancano! Sotto certi aspetti la situazioneancora è drammatica ma non disperata.

Ti sono ancora aperte grandi opportunità se si scava nellaminiera, se si gettano ponti e si ha il coraggio di aprire il cantieredella Parrocchia.

Come le mura della Chiesa esigono sempre nuovi cantieri dilavoro, la Parrocchia comunità va considerata un cantiere perma-nente, aperto, come in certe grandi basiliche antiche dove nonmancano mai i lavori, anche profondi, di ristrutturazione.

La presenza di un gruppo di laici, vivi, preparati, partecipi,coinvolti in una certa vita comune, genera l’effetto della parroc-chia - cantiere, laboratorio di pastorale.

Un cantiere è qualcosa di incompiuto, anche di un certo disor-dine ma è pur sempre qualcosa che nasce e che cresce quandopromuove ed incoraggia le vocazioni laicali per il bene di tutta lacomunità.

I piani pastorali unitari sono utili ed importanti per offrireorizzonti unitari, favorire confronti, sottolineare le urgenze verso

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cui tutti devono muoversi.Ma essi esigono poi la fatica di aprire «cantieri» in parrocchia

per sperimentare quel che si è colto come urgente e necessario perla vita delle persone.

Un cantiere fa al pensionato l’impressione d’un mondo in rivoluzio-ne, come il passaggio dal fiore al frutto pare, a chi non è contadino,un malanno della pianta.(op. cit. pag. 38)

Non erano più facili i tempi all’inizio del Concilio ma losguardo profetico di Papa Giovanni XXIII° poté dire nel suodiscorso di apertura del Vaticano secondo: «Dissentiamo dai pro-feti di sventura...» e fù veramente primavera per la Chiesa.

Cara parrocchia, c’è un grande sogno che sta per diventarerealtà: anche oggi può rifiorire la vita nella parrocchia. Nella chie-sa la stagione della primavera non finisce mai perché Lui l’ha pro-messo.

Nel passaggio dal primo al secondo millennio sono stati ingran parte i monaci gli infaticabili operai della prima evangeliz-zazione. Negli anni che traghettano verso il terzo millennio sonosoprattutto i laici, le famiglie, gli artefici della nuova evangelizza-zione!

Lavorare nel cantiere

L’invito per tutti è di lavorare nel cantiere.La parrocchia, per rinnovarsi, ha bisogno dei tanti che si sono

allontanati o di quelli che l’han sempre vista da lontano. È unodei pochi posti dove non c’è disoccupazione: se lavorare nella«vigna» è frutto della Grazia a volte occorre farsi avanti, offrire consemplicità il proprio dono: non sempre chi già vi lavora è capacedi intuire il desiderio di chi vorrebbe offrire un servizio! L’impor-tante è lo Spirito di servizio.

Cara parrocchia in quanto piccola porzione ma immagine

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autentica della Chiesa locale, ti si addice il titolo di sposa di Cri-sto.

Il rapporto tra Cristo sposo e la Chiesa sposa guida ed illumi-na il matrimonio cristiano e può illuminare anche la tua vita:

ora se nella coppia la diversità è complementarietà e vicende-vole ricchezza, tanto più lo sarà nella comunità parrocchiale!

Guai se siamo degli innamorati dei piccoli schemi, dei quadri benallineati e manovrati come in piazza d’armi nei giorni di rivista!(sic!)Chi lavora sul serio ha volto, mani e abito, linguaggio tutt’altro cheda cerimonia e spesso si trova con nulla di consistente davanti, nean-che quel poco che il passato gli offriva.Se non ha la forza di camminare lo stesso e di sperare contro le faci-li previsioni della gente troppo savia che s’improvvisa profeta perscansare ogni servizio, non è un operaio degno! (op. cit. pag. 38)

Dobbiamo cercare chi lavora sul serio, chi si sporca le mani, enon scansa il servizio, tanto più è umile.

A volte, scherzando, si dice che in parrocchia c’è chi ha la voca-zione a vescovo e non a diacono: quella del «sorvegliante» più chequella del «servo»!

Il vero operaio è quello che cammina nonostante le difficoltàe non quello che molla di fronte alla tentazione di scappare inconvento!

Senza morderci a vicenda

C’è nella parrocchia o tra parrocchie un certo disprezzo della«vita» come hanno molti giovani, il sabato sera.

S’impara l’arte del distruggere più che del costruire.Come nei primi tempi di un condominio c’è la terribile paura

che l’altro mi impedisca di vivere, così tra noi si guarda consospetto il lavoro dell’altro, nel timore che crei scandalo, confu-sione o si sovrapponga al nostro.

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Si finisce per inaridire, soffocare.un’idea, una iniziativa, unprogetto nel grande cantiere della chiesa. C’è ben sempre unresponsabile nel cantiere che vigila sulla bontà del lavoro e se imateriali sono buoni: ognuno di noi deve giovarsi del lavoro del-l’altro.

Ieri, (anzi l’altro ieri, che il tempo scorre veloce), il timore del-l’ideologia (eri per forza comunista o anticomunista) segnava ilsospetto su ogni tentativo pastorale nuovo.

Oggi, ci si guarda con un certo sospetto perché difficilmentetutto rientra nei nostri schemi.

In parrocchia con il grembiule

L’allegoria è di don Tonino Bello. Oggi siamo tutti un po’ piùumili in casa tua. L’avrai notato. Dal momento che nessuno ha lachiave magica per risolvere il problema.

Un tempo, quando in parrocchia cambiava il prete, spessoaccadeva che, in buona parte, si distruggeva quel poco che si eracostruito pensando che ormai le cose prendevano il verso giusto...

Oggi i più saggi custodiscono gelosamente quel poco sapendoche costruire non è facile per nessuno.

Ti occorre una mente lucida e un cuore grande, alle soglie delmillennio, per aprire strade nuove alla rievangelizzazione e allacarità.

Sapendo che ogni tentativo mette in luce un aspetto e ne tra-scura un altro!

Se qualcuno, per scusare la propria accidia spirituale o per nonesporre la propria anima al pericolo di perdersi, pretende veder chia-ro e sicuro, pronto a gridare al fallimento del tentativo per ogni passosbagliato e per ogni esperienza che va ripresa, non si metta neppurein strada.(op. cit. pag. 38)

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Se il fine è ben fermo e l’intenzione è pura e retta, i mezzi sonsempre provvisori e da perfezionare.

Penso ai tanti tentativi a livello di metodo, per ridare la Bibbiaai cristiani di parrocchia e per avere accanto all’Eucarestia unmomento settimanale fisso, aperto a tutti di ascolto delle SacreScritture, senza interruzione nel periodo estivo, come per laMessa.

Penso alle tante esperienze di catechesi sempre da reimpostaree da riprendere.

Il grembiule del parrocchiano che lavora, è quello dell’artigia-no nella sua bottega che non può fare niente in serie o con cate-na di montaggio.

Per questo ogni parrocchia, pur ponendosi mete comuni, ècosì unica, con un tocco tutto suo, come i prodotti che esconodalla bottega dell’artigiano che segue la tradizione antica e la rin-nova per l’esigenza dell’oggi

Soffrire per la parrocchia

Non c’è chiesa che nasca o cresca senza un prezzo, senza la sof-ferenza di qualcuno.

Il rinnovamento della parrocchia in vista del giubileo ha unsuo prezzo: c’è un soffrire che conoscono quanti danno la vita perla Chiesa.

Alcuni tuoi parrocchiani, anche generosi, pensano che unaproposta debba subito trovare consenso e di fronte a fratelli osorelle che.nicchiano si disamora ben presto. Sembra che la sto-ria del chicco che deve morire sotto terra valga solo per i bambi-ni del catechismo. Per non dire che il buon Dio spesso ci regalanella comunità le cose che gli chiediamo quando abbiamo smal-tito quel po’ di personalismo e vanagloria che mettiamo dapper-tutto come il peperoncino in certe pietanze!

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Il Calvario e il Cireneo

Il calvario ha le sue cadute e le sue ignominie e chi non sa compa-tirle non può neppure fare da Cireneo a Gesù, che muore ogni gior-no nel nostro mondo disumanizzato.(op. cit. pag. 38)

Già, il Cireneo: se penso a quale immagine evangelica parago-narti, cara vecchia parrocchia, sono sempre indeciso.

Nei momenti più sereni ti paragono alla strada verso il Tabor,dove è possibile vedere lo splendore di Gesù (la mia parrocchiaideale l’avrei chiamata «la trasfigurazione»):, altre volte, piùmodestamente, ad un sicomoro dove, salendo, si può vedere Gesùche passa e invitarlo alla nostra cena.

Non mi dispiace neppure quella del cireneo: quasi per caso sientra dentro un mistero che ha segnato per sempre la vita; anchenoi, in parrocchia, ci troviamo da sempre e quasi per caso a fare iCirenei a Gesù che cammina ancora fra le nostre dimore.

«Chi mette mano all’aratro e si rivolge indietro...»«Gli uccelli dell’aria hanno un nido, le volpi una tana...»«Lascia che i morti seppelliscano i loro morti...»«E quando avrete fatto ogni cosa dite: sono un servo inutile...»(op. cit. pag. 39)

C.p., come avrai notato non sono molte le citazioni del Van-gelo nel nostro testo di riferimento ideale che dopo sessanta anniho ripreso in mano per dialogare con te.

A sorpresa il nostro «don» pone qui insieme ben quattro paro-le evangeliche accuratamente scelte: certamente erano per luiespressive e riassuntive dell’animo di chi cammina e lavora in par-rocchia.

Ho detto l’animo: ma chi può descrivere l’animo di un apostolo?M’accontento dell’aria che l’animo nostro dovrebbe respirare se vuol

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ricostruire la parrocchia. (op cit. pag.39)

Anch’io, se me lo consenti, vorrei metterle a modo di saluto diquesta, spero utile, conversazione.

Chi mette mano all’aratro e si rivolge indietro...

Nella parrocchia vero il 2000, cantiere e laboratorio di evange-lizzazione, il primo impegno da prendere è non voltarsi indietro,non interrompere ciò che è iniziato, il tenere duro «con pazien-za».

Ci si può voltare indietro in tanti modi: si inizia una proposta,si rimane in pochi, si interrompe.

Quanti gruppi biblici hanno seguito questa traiettoria! Oquante esperienze catechistiche innovative si sono interrotte!

La molteplicità e frammentarietà delle proposte impedisce diandare fino in fondo. Si rimane a livelli di grande superficialità;l’incomprensione tra pastori e fedeli che tarpa le ali alle intuizio-ni di entrambi i quali continuano a discutere mentre la città èespugnata. Esperienze innovative di catechesi che non giungonoa maturare un progetto e rimangono «esperimenti»; ministeri chesi interrompono e servizi che si lasciano così che come operatoripastorali non diventeremo mai preparati ma resteremo semprenovizi ed insicuri; fratelli e sorelle che partono con entusiasmoma non trovano l’accompagnamento e la guida spirituale e ilsostegno di una fraternità e alla fine si sentono aridi e svuotati nelloro servire in parrocchia!

Gli uccelli hanno un nido, le volpi una tana

Vi sono tante forme di insicurezza e ve n’è una che rende forti:quella che nasce dal lasciarsi guidare dai segni che Dio ci invianella vita della parrocchia. Il metodo si può sempre ridefinire, ilprogetto è sempre aperto: siamo più liberi degli uccelli del cielo e

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più mobili delle volpi che ricercano la loro tana.Essere fedeli al cuore mutevole. e insondabile dell’uomo e

all’ascolto di un Dio libero e imprevedibile ci rende tutti insicurie leggeri.

Chi dice che la vita della parrocchia è all’insegna della fissità edella ripetitività denuncia una triste realtà che non ha però alcu-na seria giustificazione.

La comunità parrocchiale attenta ai «segni dei tempi», letti efiltrati con la Parola di Dio è continuamente in atteggiamento dinovità e di rinnovamento.

Dobbiamo ritrovare tutti leggerezza e capacità di sognare.

Lasciateci sognare: dicono i tuoi preti e i tuoi laici più vivi e piùconsapevoli.

Quella che abbiamo abbozzato è la parrocchia del presente.Anzi ci sono ritardi imperdonabili a trent’anni dal Concilio.Quale sarà la parrocchia del futuro?

Dobbiamo sognarla insieme perché abbia l’apporto di tutti.

Lascia che i morti seppelliscano i loro morti

È una frase forte di Gesù che ripropone l’urgenza del Regno. C’è un male cronico: la lentezza con cui in parrocchia ci si

muove e basterebbe così poco, tante volte, essendovi grandelibertà di movimento. Vale anche qui il detto: ogni lasciata èpersa! Ci sono grazie che non tornano anche nella vita della par-rocchia.!

A volte, in taluni fatti, si vede chiaramente il da farsi: poi ritor-na la semioscurità e i contorni svaniscono. È urgente in parroc-chia non attardarsi anzitutto in ogni forma di discussione senzafrutto.

Quando l’incendio divampa in casa sarebbe sciocco chi conti-nuasse a guardare la televisione ma anche chi si fermasse a discu-tere su quale soprammobile lasciare e quale portare in salvo!

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E quando avrete fatto ogni cosa dite: sono un servo inutile

Vi sono regole non scritte nella vita di parrocchia: spesso le ini-ziative più belle son quelle che non hai pensato ma hai soloaccolto; Lui... fa di tutto perché non ci arroghiamo dei meriti.

Lavoratori seri sì, ma l’architetto è Lui...Le cose che desideri te le dona quando meno te l’aspetti.È gelosissimo del suo primato su tutto.Anche la parrocchia del futuro è opera sua: a noi è chiesto il

coraggio di renderla aperta e missionaria, capace di accogliere ilnuovo. Il problema è poter dire di aver fatto tutto quello che erapossibile fare....

Ma se tutti siamo inutili servi in quanto strumenti nelle suemani, tutti diventiamo ugualmente necessari per collaborare conLui. La parrocchia non seleziona mai. Sono necessari tutti anchei bambini con il loro chiasso e la loro allegria. E forse può esserestato utile anche il nostro colloquio a più voci che desidero chiu-dere con l’ultima pagina di «Lettera sulla parrocchia» di DonPrimo Mazzolari.

Ti chiedo scusa della lunghezza, ti ringrazio della pazienza,Cara Vecchia Parrocchia.

Voglio chiudere benché il discorso sia appena avviato. È bene che ildibattito resti sui punti fondamentali, a costo di parere teorico edinconcludente.Il mio non è che un invito. Indicare dei rimedi e delle strade è moltoe niente, se i rimedi non vengono ben applicati, se le strade non ven-gono camminate per arrivare, ma solo per dire che ci muoviamo.Il professionismo, sottospecie di fariseismo, sta in agguato anchenella parrocchia, mentre il laicismo - pensiero e vita staccati da ognisenso religioso - può essere superato soltanto da un audace laicatocattolico, al quale spetta, come compito principale e urgente, diricreare cristianamente la vita della parrocchia senza portarla fuoridalla realtà e senza imporle delle mutilazioni in ciò ch’essa possiededi buono, di vero, di grande, di bello.

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Bisogna ritrovare il coraggio di porsi in concreto i veri problemi del-l’apostolato parrocchiale.Molti temono che la discussione prenda la mano all’azione. In certispiriti superficiali purtroppo è possibile. Ma nei cuori profondi chevivono con pura passione questa grande ora cristiana (cuori che sen-tono in tal maniera sono legioni dentro e ai margini della chiesa) ladiscussione, anche se vivace, è sempre una protesta d’amore e undocumento di vita.Il papa ha bisogno di gente che «non corra invano» e sappia rispon-dere con un presente consapevole e operoso.

Un laico di Azione Cattolica(la Lettera è firmata 4 Novembre 1936 e fu pubblicata nel 1937)

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POSTFAZIONE

Sebbene scritta al singolare, alla maniera di una confessione odi una confidenza, questa lettera alla parrocchia è frutto di uncammino vissuto insieme da molte persone in una comunità cri-stiana parrocchiale e riflette esperienze e propositi maturati nelcorso di molti anni.

Abbiamo preferito partire da una esperienza concreta persuscitare un confronto sul tessuto vivo della parrocchia bensapendo che tanti problemi hanno un contesto ampio e com-plesso e non possono essere rinchiusi nell’ambito «parrocchiale».

Vuol essere la nostra una fotografia fatta col cuore di chi amae lavora in parrocchia, sognando ad occhi aperti a partire dai tantisegni positivi che sperimentiamo ed intravediamo. Un sogno adocchi aperti ma anche un esame di coscienza ad alta voce eviden-ziando i limiti e l’urgenza di un profondo rinnovamento.

Non ci siamo posti il problema se la parrocchia sia ormaisuperata ma siamo partiti dal presupposto della sua attualità epreziosità per il futuro della Chiesa, senza assolutizzarne l’espe-rienza e con una grande apertura verso esperienze autentiche ecomplementari di chiesa.

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Pur conoscendo le problematiche attuali e le proposte sulmodo di reimpostare la vita delle parrocchie e ritenendo comun-que indispensabili alcune di quelle intuizioni metodologiche,abbiamo scelto la pista di rinnovare la parrocchia ricuperando ciòche da sempre e almeno in questi ultimi secoli ha costituito latipicità della sua presenza e in modo particolare la celebrazionevera e degna dell’Eucarestia feriale e nel giorno del Signore.

Quasi una sfida. Quel che non riesce ad operare una celebra-zione vera e degna del «mistero», nessuna altra proposta, in tempilunghi, potrà rinnovare la parrocchia.

Con celebrazione vera e degna intendiamo prendere sul serio,fino all’estremo, le conseguenze di tale mistero.

Poiché nella chiesa nulla di ciò che è proprio è esclusivo, rite-niamo che la parrocchia debba imparare da altre grandi esperien-ze di chiesa.

Dal grande magistero dei Padri e dalla multiforme esperienzamonastica del primo millennio trarre l’imperativo di mettere alcentro di tutta la preghiera, la carità e la vita, l’ascolto sapiente,orante, spirituale, profetico della Bibbia.

La centralità della Santa Scrittura nella vita della parrocchiacome base di tutto l’annuncio, la catechesi, la formazione spiri-tuale, l’evangelizzazione della cultura e l’inculturazione dellafede.

Dai grandi movimenti religiosi del secondo millennio la par-rocchia ha progressivamente imparato la necessità di una «regoladi vita» che generi l’obbedienza e l’appartenenza tra i membri piùconsapevoli della comunità parrocchiale e che si risolva in cam-mini spirituali comunitari, in una fraternità di persone aperta efedele: quasi il «cuore» della parrocchia.

Dai movimenti e associazioni del nostro secolo ed in partico-lare del post-Concilio sta faticosamente imparando la necessità diun profondo rinnovamento, di creare legami veri di appartenen-

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za tra i suoi «figli», di darsi un metodo ed un progetto capaci digenerare una sua «spiritualità», di riscoprire l’urgenza della cen-tralità della cultura, della riscoperta del battesimo e di camminidi iniziazione, di riscoprire la forza e la operatività dello Spiritonella comunità e nella preghiera, l’urgenza dell’ecumenismo edella fraternità con tutti, l’impegno per la pace e per l’ambiente.

Questa proposta ci sembra meritevole di attenzione perché èpossibile in ogni parrocchia, anche di modeste dimensioni, senzaperaltro frenare il cammino già iniziato di unità pastorali ed unacollaborazione più profonda tra parrocchie.

La nostra esperienza è maturata in una parrocchia di non gran-di dimensioni, alla periferia di una piccola città di provincia, dinuova fondazione e dunque abbastanza libera da legami e tradi-zioni che rendono difficile il rinnovamento

Il nostro intento è quello di aprire un dialogo tra parrocchie invista del Giubileo. Un dialogo ed uno scambio di esperienze.Oggi infatti è sempre più necessario confrontarsi sul metodo e sulprogetto della parrocchia per far nascere convergenze che genera-no cammini comuni.

Parrocchia S. Famiglia, Agosto 1997

P.S. Per continuare il dialogo il nostro fax è: 0721. 861911

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INDICE

PRESENTAZIONE di Mons. Angelo Comastri 5

CARA VECCHIA PARROCCHIA TI SCRIVO 9

Un momento favorevoleAnzitutto la parrocchia60 anni fa... lettera sulla parrocchia

Capitolo primoLA PARROCCHIA OGGI TRA ORGANIZZAZIONE E VITA 15

I rischi della parrocchia 16Primum vivere

PROMOZIONE DEL LAICATO 20Parrocchia miniera 20

Ausiliari o collaboratoriAudaci o servizievoliEterni discenti o corresponsabili

IDENTIKIT DEL CRISTIANO COMUNE IN PARROCCHIA 26Una sfida culturale quotidiana 26

Amare la parrocchia 28

Una fraternità aperta e fedele 29

Pluralismo sociale e politico 31

Fratture sociali e passione per l'uomo 32

Con la Bibbia in mano 33

Un linguaggio stile famiglia 34

Fedele a Dio e all'uomo 35

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MINIERA DI VOLTI NUOVI IN PARROCCHIA 36I giovani. Il volto di Gesù che cerca 36

Accompagnamento vocazionaleUn cammino serioFidanzamento come tempo di grazia

I diaconi. Il volto di Gesù che serve 41Le mogli dei diaconiUn nuovo colpo d'ali

I ministri. Il volto di Gesù che annuncia 45Ministri o missionari?

Le donne. Il volto di Gesù che accoglie 48Volti di donnaDonna e nuove forme di catechesiL’ordo virginum

Le coppie di sposi. Il volto di Gesù che ama 54Una famiglia normaleFamiglie vere

UN LAICO CLERICALIZZATO? 57Fuga mundiEcclesiocentrismoLeaderismo

Capitolo secondoLA PARROCCHIA OGGI TRA SEPARAZIONE ED INCARNAZIONE 60

LA SECOLARIZZAZIONE E LA PARROCCHIA 62Parrocchia e mondo moderno 66

Lascia pur fare...Attivismo separatistaSeparatismo culturale

La via del dialogo 69

I cerchi attorno la parrocchia 71

DIALOGO CON GLI ADOLESCENTI 73Gli amici del «muretto» 74

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Noi e la parrocchia 76

Un favore: riferisci questo agli adulti 78

PARROCCHIA - PONTE: UN PONTE CON I LONTANI 81Esistono i lontani? 81

Come la parrocchia dialoga con i lontani 83

Basta il dialogo? 84

I CRISTIANI DI RITORNO ED I NUOVI BATTEZZATI: CAMMINI CATECUMENALI 86

Cristiani di ritorno 86L’animo di chi tornaIl desiderio di ricominciare da capoLa festa del ritorno

Un cammino di catecumenato per i nuovi battezzati 90Un progetto di tutta la Chiesa localePre-catecumenatoCatecumenatoMistagogia

Il catecumenato rinnova la parrocchia 95

DIALOGO TRA CREDENTI E NON CREDENTI 97Esiste il non credente? 97

Dialogo tra credenti e non credenti in parrocchia: la cattedra dei non credenti 98

Il dialogo più intimo... 101

IL PONTE DELL’ECUMENISMO 103Intuizioni 103

Nuova presa di coscienzaParrocchia ed Ecumenismo nel Concilio e post-ConcilioUna nuova consapevolezza

Proposta: lettera aperta alle parrocchie 107Grande impulso Ecumenico alle soglie del terzo millennioPuò la parrocchia diventare protagonista in questo grande cammino Ecumenico?Le parrocchie attuino gemellaggi tra Chiese sorelle

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Prospettive: Ecumenismo di popolo. 110

La parrocchia e i fratelli ebrei 112

La parrocchia e l’Islam 112

La sfida delle sette 113

Capitolo terzoLA PARROCCHIA OGGI TRA SPIRITUALISMO E CARITÀ 115

Soprannaturalismo disumanoPreghiera, anima della carità pastoraleUno stile di preghiera

Il cuore «nascosto» della parrocchia 118Pregare è compromettersi

Domenica icona della parrocchia 121Domenica in una società post - industriale

Al cuore della domenica l’Eucarestia 123Eucarestia domenicale e preghieraEucarestia domenicale e caritàEucarestia domenicale e missione

Parrocchia apri pista 127

CON INTEGRITÀ DI FEDE 128Cercatori appassionati di verità 129

Con lo sguardo fisso su Gesù 130

La prova del male 132

Il dramma della catechesi parrocchiale 133

Formazione permanente in parrocchia 134I criteriLa propostaBibbia e catechesiL’accompagnamento

CON PASSIONE D'APOSTOLO 142La missione: uno stile pastoraleFamiglia al centro della parrocchia missionaria

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Gruppi famiglia 145Gruppi NazarethUna parrocchia: tanti gruppi famigliaLa coppia animatriceIl sacerdote e il gruppo famigliaLa vita dei gruppi Nazareth

Famiglie «fidei donum» 154Nella propria cittàAd gentesLaici missionari: identità e presenza in missione

Parrocchia aperta al mondo 158

Servizio temporaneo in missione 159

CON AUDACIA DI CARITÀ 161Parrocchia «casa della carità» 161

Un bagaglio leggeroIn ogni parrocchia un segno di gratuità e di accoglienzaI cristiani comuni e mille volti della caritàFamiglia aperta ed ospitale

Fantasia della carità in vista del Giubileo 166

La società del gratuito 169sognando con i profeti

La società del gratuito a livello di famiglie 170Consumo critico Bilanci di giustiziaCnobio familiare

La società del gratuito a livello di imprese 173Il gene della gratuitàRimuovere le cause dell'ingiustiziaI have a dream

La società del gratuito a livello di quartiere e città:la banca del gratuito 180

La banca del gratuito

CON DISCIPLINA DI FIGLIOLI 182Il coraggio di parlare e di proporreCorrezione fraterna in parrocchiaIl discernimento fraterno con i pastoriIl coraggio di saper camminare in solitudineProfeti in parrocchia?

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Gli organi collegiali della parrocchia 187Consiglio pastorale parrocchialeGruppi di servizio

La parrocchia porzione della Chiesa diocesana 189

Parrocchia immagine autentica di Chiesa 190

LA PARROCCHIA A «SCUOLA»DAI GRUPPI E DAI MOVIMENTI 192

La parrocchia «copia» dai movimenti e associazioni

ConclusioniLA PARROCCHIA - CANTIERE 195

Lavorare nel cantiereSenza morderci a vicendaIn parrocchia con il grembiuleSoffrire per la parrocchia Il Calvario e il CireneoChi mette mano all'aratro e si rivolge indietroGli uccelli hanno un nido,le volpi una tanaLascia che i morti seppelliscano i loro mortiE quando avrete fatto ogni cosa dite:sono un servo inutile

POST-FAZIONE. 205

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Progetto grafico: �al�idon - Rimini

Finito di stampare nel mese di settembre 1997presso Grafiche Tevere - Città di Castello (Perugia)