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Bollettino dell’Ordine Martinista n. 56 Equinozio di Primavera 2015 La presente pubblicazione non è in vendita ed è riservata ai soli membri dell’Ordine Martinista Stampato in proprio

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Bollettino dell’Ordine Martinista n. 56 Equinozio di Primavera 2015

La presente pubblicazione non è in vendita ed è riservata ai soli membri dell’Ordine Martinista

Stampato in proprio

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2Redazione

Direttore Responsabile: Renato Salvadeo - via Bacchiglione 20 - 48100 Ravenna

SOMMARIOSOMMARIO

ARTURUS - S:::I:::I::: S:::G:::M::: - BREVI ACCENNI RIGUARDANTI LA MESSA IN PRATICA DEL NOSTRO METODO - pag.3

JOHANNES - S:::I:::I::: - L’OMBRA DELLA RAGIONE - pag.7

RE-PRA- S:::I:::I::: - L’ANIMA – IL NOSTRO VERO SÉ - pag.9

GIOVANNI - S:::I:::I::: - PENSIERI E PAROLE IN LIBERTA’ - pag.12

HASIDD - S:::I:::I::: - SIMBOLISMO E MAGIA NELL'OPERA "LA PRIMAVERA" DI SANDRO BOTTICELLI - pag.14

MENKAURA - S:::I:::I::: - PICCOLO ELOGIO DELLA STOLTEZZA - pag.16

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Brevi accenni

riguardanti la messa in praticadel nostro metodo

ARTURUS S:::I:::I:::S:::G:::M:::

Nella riunione del Supremo Collegio dei Superiori

Incogniti Iniziatori tenutosi a Roma in data 13 dicem-bre 2014, si è convenuto, alla luce delle turbolenze,dell’inquinante disinformazione e della confusionecausate dalle malaugurate azioni controiniziatiche,diffuse in modo trasversale in diversi ambiti da partedi alcuni soggetti (ormai ben noti quasi a tutti perl’uso abituale che fanno della menzogna, del tradi-mento, della maldicenza, della calunnia, ecc. finaliz-zate a soddisfare le esigenze della personale, incon-trollabile, cupidigia), che sarebbe stato opportunorendere maggiormente individuabile, comprensibile,la continuità del nostro pensiero, anche all’esternodell’Ordine (sempre con grande prudenza ed evitan-do, per quanto possibile, anche l’accidentale “esibi-zione di piume”), attraverso una maggiore visibilitàdi questa pubblicazione denominata l’Eremita.Per tale motivo, si allargherà progressivamente la pla-tea di coloro a cui questa piccola pubblicazione tri-mestrale (di cui sono il direttore responsabile dall’au-tunno del 2005) verrà resa disponibile (utilizzandoanche gli spazi del nostro sito).Purtroppo, veniamo informati di un ulteriore tentati-vo di mistificazione da parte di chi ha cercato di met-tere in atto un piano di usurpazione (non certo perconflitti riguardanti metodo e/o operatività, ma persemplice brama di potere). Stanno infatti facendo cir-colare (anche tramite personaggi messi fuori dallanostra catena nel 2007. Ovvero, gli stessi che aveva-no creato problemi anche ai tempi di Ventura,

ma che poi, nonostante il parere contrario didiversi SS.II.II. erano stati malauguratamen-te riaccolti in seno all’Ordine nel 1998/99)

una rivista simile alla nostra con lo stesso nome,appropriandosi di nuovo, in modo indebito, di riferi-menti propri dell’ Ordine Martinista di cui loro, perscelta, non fanno più parte (essendosi messi da solifuori dalla nostra catena iniziatica) e gettando, anchetramite tale mezzo, ulteriore confusione tra coloroche ingenuamente entrano in contatto con questa“congrega”.

Tralasciando per ora, questi tristi avvenimenti e ritor-nando alla consueta serenità con cui affrontiamo quo-tidianamente le indicazioni ed i suggerimenti che ciprovengono dai vademecum di ogni grado, cerchiamodi ricordare che alcuni conoscono la nostra “Via”,solo culturalmente, per cui è normale che oltre alleindubbie similitudini, non possano percepirne le sem-plici ma interessanti differenze da tante altre esisten-ti; infatti, la possibile somiglianza tra molteplici indi-cazioni non garantisce di corrispondere a un'effettivacorrelazione di significato.Ad ogni modo, prima di qualsiasi altra dissertazione,credo non sia affatto male iniziare ricordando alcunedichiarazioni di principio come quelle di GérardEncausse (che ha fondato l’Ordine nel 1891):"L'Ordine é essenzialmente spirituale, combatte contutte le sue forze l'ateismo e il materialismo, e, in col-legamento con le altre fratellanze iniziatiche, com-batte l'ignoranza, dà al simbolismo la grandissimaimportanza che gli compete in tutte le serie d’inizia-zioni. Non si occupa di politica e tanto meno di que-stioni di ordine religioso. Permette e facilita gli studi,mantenendo la tolleranza più assoluta".Ovviamente, non possiamo dimenticare anche quelleconseguenti e similari del Protocollo di unificazionedegli Ordini Martinisti d'Italia :" L'Ordine Martinista ha per scopo il perfezionamen-to e l'elevazione spirituale per mezzo dello studio,della conoscenza e della realizzazione della tradizio-ne iniziatica. Combatte con tutte le sue forze l'atei-smo e il materialismo in collegamento con le altre

fratellanze iniziatiche, combatte l'ignoran-

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za e dà al simbolismo la grandissima impor-tanza che gli compete in tutte le serie d’ini-ziazioni. Non si occupa di politica e tantomeno di questioni di ordine religioso. "Si informa allatolleranza nei metodi di studio”.Questo nostro percorso ha quindi caratteristiche pro-prie che ricercano, tramite il coordinamento armoni-co tra l’operatività e lo studio, di favorire la rigenera-zione spirituale di ogni adepto, finalizzata ad una suc-cessiva reintegrazione (non solo singola) nella Graziadel Padre.E’ quindi un metodo che privilegia il “fare” , interio-re ed esteriore, in collegamento continuo con lo “stu-diare” che deve svilupparsi in modo armonico, inte-rattivo, con la pratica, al fine di ritrovare e sperimen-tare le indicazioni suggerite dallo Spirito, in ognitempo ed in ogni luogo; è importante, tra i diversiargomenti, ricercare, comprendere le analogie e leconvergenze presenti nelle religioni, nelle leggende,nelle favole, nelle conoscenze scientifiche, negliscritti dei Fratelli e delle Sorelle di ogni “Via”, che cihanno preceduto, ecc. (quindi, non solo quelli dellanostra che ovviamente privilegiamo: in primis quellidel Filosofo Incognito L.C. de Saint Martin). A proposito del fare, sin dalle prime battute, dopo l’i-niziazione d’Associato, siamo stati invitati a verifica-re quando eravamo poco allenati a concentrarci equanto debole fosse la nostra volontà “a freddo”. Seabbiamo tentato di fermare i propri pensieri, fissandol’attenzione su qualche cosa, su qualche semplice ele-mento fino a quando fosse scomparso tutto ciò che locircondava e la mente avesse immaginato soltantol’oggetto preso in considerazione, possiamo aver con-statato che non era affatto semplice. Soprattutto,abbiamo verificato che, nonostante presumessimo diessere dotati di chissà quali capacità, il non lasciarsivincere dalla distrazione proveniente dai pensieriestranei che irrompevano continuamente, nonostantei nostri sforzi, poteva essere conseguito solo perpochi secondi. Ciò potrebbe averci scoraggiato, ma ci è stato proba-bilmente spiegato che si trattava di una situazione“normale” per chiunque non fosse mai stato allenatoa farlo.

Ci è stato indicato anche qualche metodo,similmente a come si ci si organizza per unallenamento ginnico.

Ci è stato anche detto (o per lo meno lo abbiamoletto) che occorreva un impegno quotidiano (piccolo)per riuscirci e che per nessun motivo/scusa dovevamorinunciarvi. Infatti si sarebbe trattato di un appunta-mento e di una pratica di pochi minuti al giorno (iostesso preciso con i miei figlioletti di programmareper queste prove, con una condizione minima masistematica e senza deroghe, di cinque minuti).In alcuni casi, abbiamo scoperto di non essere nean-che in grado di fare una cosa così semplice (il rispet-to del programma), sulla quale però avevamo enun-ciato tante buone intenzioni. Pensiamoci bene. Quando abbiamo fallito, abbiamodimostrato a noi stessi (e non certo ad altri) di nonavere la forza di volontà per riuscire a ritagliare ed agestire cinque piccoli minuti del nostro tempo; eppu-re, spesso non abbiamo proprio voluto comprenderlo.Così, magari ancora intrisi della tipica supponenza dicoloro che si sono formati ad interagire solo con l’e-sterno, sull’onda della volontà stimolata dall’energiaoscura delle passioni, abbiamo iniziato a tentare lapratica delle meditazioni strutturate; queste sono ele-menti importantissimi che costituiscono la base por-tante del nostro cammino e che per nessun motivodevono essere sostituite da altre, sia riguardo agliargomenti, che per il metodo (ovviamente si possonovariare le tecniche propedeutiche al rilassamento, alfine di ottenere un risultato sempre migliore).In prima istanza, potremmo aver scoperto altre coseinteressanti:• Che non riuscivamo a concentrarci sull’argomento• Che ci addormentavamo facilmente• Che i temi su cui indagare, non di rado, ci sembra-vano cose lontane da noi.• Che continuavamo ad esprimere giudizi sulle coseche ricordavamo ed in cui eravamo stati coinvoltiemotivamente, quindi a trovare giustificazioni o con-danne per i nostri comportamenti, in funzione degliinsegnamenti, della morale, delle consuetudini a cuieravamo stati formati.

• Che ci dimenticavamo o saltavamo gli

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argomenti “in scaletta”.• Che non completavamo il programma.Insomma, che “giocavamo” a fare iMartinisti, continuando ad essere esattamente comeprima dell’iniziazione, senza accorgerci (nella miglio-re delle ipotesi) che non stavamo mettendo in praticaalcun nuovo insegnamento; ci stavamo limitando alle“buone intenzioni”….. e magari solo per questa sem-plice, sciocca fantasia, corroborata da qualche nuovalettura, pensavamo di stare camminando sulla nuovavia.Non è escluso, poi, che continuando in questo modo,si abbia avuta la cupida curiosità di voler accedere allivello d’Iniziato Incognito. Così approfittando dellenostre regole, qualcuno ha insistito fino a quando ilsuo maestro non glielo ha permesso.Così ci si è applicata una nuova medaglietta per sod-disfare la nostra vanità.Per fortuna, in questa fase, se i maestri egregorici (chehanno sicuramente una visione ben più ampia dellanostra, in merito alla motivazione della nostra esisten-za ed al nostro possibile ruolo nel complesso “movi-mento di ritorno” dell’umanità) avranno comunqueritenuto valesse la pena di aiutare gli adepti distratti,ed ignavi (almeno tali, sino a quel momento), è possi-bile che assieme all’intermediario interpellato poi nelplenilunio (se ci siamo ricordati di farlo), abbianoagito permettendo che accadesse quanto necessario,affinchè i “distratti” potessero riuscire a prenderecoscienza della personale impreparazione e di comenon stessero dialogando, al contrario di come previ-sto, con la personale interiorità, sempre più approfon-ditamente. Di solito, quando accade di essere gratifi-cati da simili aiuti, si manifestano avvenimenti abba-stanza stimolanti e coinvolgenti, anche se quasi maigradevoli, di primo acchito, dal momento che si vienecostretti ad affrontare concretamente la mancanza diluminosità dei personali pensieri, delle parole, deicomportamenti e soprattutto le conseguenze di tuttociò. In caso di evoluzione interiore, positiva, le possibilitàdi recuperare il tempo perduto sarebbero così dipen-denti dalla possibilità di mettere finalmente in campoquanto necessario e ben codificato, avendo

poi anche preciso riscontro delle conseguenzederivate dalle “catene di pensiero”, sia digruppo che generali in cui ognuno svolgerà un

ruolo attivo (ovviamente se si ricorda di parteciparvinel modo corretto).Se per caso ciò non fosse accaduto, si sarà continuatoesattamente come prima: senza capacità di concentra-zione, senza volontà a freddo, senza approfondire lemeditazioni (e quindi la conoscenza di se stessi), esenza essere in grado d’attirare l’attenzione di qualcheluminoso intermediario, avendo (forse) letto più libri,avendo fantasticato tanto di più, autoconvincendosiassurdamente di far parte di una “magica (quantoimprobabile) élite”.Per coloro che, al contrario, avranno seguito e messoin pratica diligentemente i suggerimenti contenuti nelnostro metodo, è possibile che la scoperta progressivadi sé stessi abbia prodotto una lenta ma inesorabilemutazione di personalità. Conseguentemente, non èaffatto raro che senza accorgersene, i comportamentipersonali abbiano cominciato ad assumere progressi-vamente caratteristiche come: pazienza, bontà, man-canza d'invidia, calma, nessuna vanità, ordine, nessu-na ambizione, tranquillità, non pensar male degli altri,essere giusti, amare la verità, essere silenziosi, crede-re a ciò che si sa, ecc.In tal modo, sarà stato anche abbastanza naturale ten-tare d’impegnarsi nella ricerca tipica del livello diSuperiore Incognito.In tale ambito, avranno continuato ad essere speri-mentate le meditazioni strutturate, e soprattutto gliesercizi di meditazione, concentrazione e visualizza-zione, che avranno raggiunto forza e stabilità di note-vole consistenza, con particolare importanza se si avràavuto finalmente la consapevolezza e la capacità diapplicare praticamente quanto é nascosto dietro lamassima riportata nei suggerimenti della nostra via:“Il cervello é indipendente dallo spirito; lo spirito éindipendente dell'anima e l'anima dipende dallo spiri-to". Forse ci sarà stato d’aiuto comprendere sino infondo, anche questo concetto: "Lo spirito è puro quan-do sorge dal nulla. Il fatto stesso di prendere un corpolo rende impuro perché il corpo lo avvolge nella mate-

ria".

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In questo livello si sarà constatato quanto ilmetodo suggerito dal nostro Ordine possaessere naturale ma lento; infatti, spessorichiede anni di pratica per immobilizzare con pro-gressivo successo la mente che é abituata a vagabon-dare, che si ribella e che lotta ferocemente contro iltentativo d’immobilizzarla. In pratica si tratta d’im-pedirle di suggerire in continuazione, idee spessocontrarie alla meditazione stessa e che disturbano lameditazione, rendendo inutili gli sforzi per concen-trarsi. E' semplicemente una via per la ricerca del Sé.Ovviamente, per chi avesse continuato a mantenere lamentalità di colui che si limita ad appiccicarsi meda-gliette da esibire vanitosamente come piume, nessuntentativo di applicazione con successo del nostrometodo sarà avvento. In tal modo, la personalità nonsarà mutata, magari ci si sarà convinti di averlo fatto,solo in funzione dei libri letti, nel carpire e nell’esibi-re un “sapere preso a prestito”, forse assumendo addi-rittura anche atteggiamenti da “guru”, inventandosie/o aggiungendo/sostituendo pratiche al “corpus” ori-ginario che purtroppo per molteplici motivi, non si èaffatto compreso (probabilmente pratiche anche cor-rette nella loro essenza, ma decisamente estranee alpercorso originale, ben predisposto). Così facendo, cisi sarà allontanati dalla via dell’Ordine Martinista esaranno stati indotti a farlo anche coloro che avrannoseguito quegli insegnamenti impropri.Questo può accadere anche o soprattutto tra coloroche hanno ricevuto la straordinaria responsabilità ditrasmettere la via iniziaticaLe conseguenze comportamentali di una simile situa-zione interiore sono state purtroppo manifestate tranoi, da più soggetti, durante la recente crisi che benconosciamo (che però avrà una svolta risolutiva,importante anche al prossimo Convento), ma che èiniziata, è bene capirlo, ben prima della morte diVergilus (Sebastiano Caracciolo).Coloro che però molto umilmente e con costanzaavranno seguito i suggerimenti riportati nei vademe-cum, trasformandoli in vita vissuta quotidianamente,avranno anche scoperto progressivamente, la incredi-bile gioiosa sensazione (sino alle lacrime) di quandoavranno preso consapevolezza di potersi alza-

re, di riuscire a muovere qualche passo. Perloro, forse, sarà stato possibile elevarsi inte-riormente (condizione indispensabile) sino a

riuscire ad attirare anche l’attenzione di qualcheintermediario ancora più luminoso dei precedenti edintavolare quel dialogo che da tanto tempo desidera-vano poter intraprendere.Se è accaduto, si è trattato di qualche cosa di assolu-tamente personale ed oggettivamente non comunica-bile, ma anche straordinariamente concreta.Se tutto ciò è avvenuto, se abbiamo intuita, “vista”qualche scintilla di “verità”, probabilmente abbiamocominciato a comprendere (almeno un poco) chisiamo e quali possano essere le responsabilità chedobbiamo assumere verso noi stessi e verso gli altri;sempre più consapevoli che in questa od in altre vitenon abbiamo tempo infinito per fare ciò che potreb-be/dovrebbe essere necessario realizzare.... non soloper noi stessi.

ARTURUS S:::I:::I:::S:::G:::M:::

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L’OMBRA

DELLA RAGIONE

JOHANNES - S:::I:::I:::

Il nostro tempo ci fa assistere, con amaro sgomento,

allo straripare della moda “occultistica” e a conse-guenti pratiche pseudo-stregoniche, che, in soggettipsichicamente deboli, che sono le vittime designate diciarlatani e prevaricatori, possano favorire l’insorge-re di turbe mentali, o, comunque, di stati di angosciae di plagio. Se è ben vero che fra ingannato ed ingannatore vi èsempre una sorta di complicità perversa, che è diffi-cile superare, vi è, fra i doveri tradizionali dei marti-nisti, quello di intervenire, qualora sia possibile, con-tro la corrente del male. I soggetti di questa antica eoggi rinnovata forma di malvagia stregoneria, sonouna genia piena di cinismo, di egoismo dispregiantequalsiasi benevolenza e compassione umana, tantopiù nella considerazione che i loro soggetti sonoespressione piena della dolente e debole umanità deinostri giorni.La difficoltà di quest’opera non è certamente l’azionecontro questa razza di pseudo-maghi, considerando lanaturale e conseguente vigliaccheria della loro men-talità, e considerando soprattutto che nonostante lamala fede ed il cinismo questi figuri sono più super-stiziosi dei loro stessi clienti e qualsiasi elementareprocedimento psichico li può terrorizzare, quanto lasostituzione del supporto che rappresentavanocomunque per le loro vittime. Colui che si rivolge al ciarlatano nel tentativo di risol-vere le proprie difficoltà purtroppo ha quasi sempreaffinità psicologiche (anche se inverse) con il ciarla-tano stesso e la paura che nutre nei suoi confronti nongli impedisce nel contempo una torbida ed a volteinsormontabile fiducia. Questo fa sì, in genere, che il ciarlatano hapiù successo ed è più efficace quanto sia più

rozzo e volgare. Con questi soggetti intervenire è inutile,anche se un tentativo è comunque doveroso.

Nei rari casi in cui la personalità dei soggetti è recu-perabile, l’intervento crea una pericolosa forma ditransfert nei confronti dell’operatore, per cui è neces-saria una infinita pazienza per convincere che nessu-no può risolvere i problemi di vita, sia pratici che psi-cologici, di un’altra persona, senza perlomeno un’at-tiva e tenace collaborazione. E’ sconsigliabile qualsiasi tentativo di operare conprocedimenti magico-rituali alla presenza del sogget-to, in quanto da un punto di vista sottile le sue com-ponenti astrali sono certamente fragili ed alterabilicome quelle psicologiche e qualsiasi tipo di interven-to potrebbe essere negativo. L’unica modalità è la costanza della presenza moralee psicologica, lo smantellare gradualmente, attraver-so la logica ed il ragionamento razionale le incredibi-li superstizioni che in genere questi soggetti hannoappreso dai ciarlatani, il ricostruire una personalitàsulle basi della libertà interiore, della volontà attiva edell’accettazione responsabile delle proprie difficoltàesteriori ed interiori come ineluttabili componentidella condizione umana.Più grave ed irrimediabile è il caso di personalità piùforti ed intelligenti, ma interiormente mal equilibrateo degenerate, che, partendo dalla volgare stregoneriaciarlatanesca, credono di evolversi in più sofisticateavventure intellettuali ed operative esponendosiall’influsso di psichismi deteriori, da cui non ci si sot-trae se non attraverso una costante armonia interioree l’equilibrio spirituale.Il primo passo di queste personalità è l’accesso a cir-coli spiritici, nei quali si ha una candida (quanto noninteressata) fiducia nelle pretese rivelazioni ed inse-gnamenti di entità degnantesi di mostrare veritànascoste. Ma non vi è verità per l’uomo, se non quella perso-nalmente sofferta, meditata ed infine guadagnata conil dominio e l’equilibrio di se, lo studio e l’ascesiintellettuale. Ciò che queste pretese entità possono

donare apparentemente, prendendo in cam-bio i preziosi succhi fisici, animici e spiri-

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tuali dei partecipanti, è di gran lunga inferio-re a ciò che si può apprendere da un libricci-no in un angolino, anche se in ciò è richiestoun minimo sforzo mentale. Un ulteriore passo di queste personalità a volte bril-lanti, ma nel contempo mediocri, consiste nella lorovelleità di bussare con insistenza alla porta degliOrdini Iniziatici, che dovrebbe rimanere eternamentechiusa di fronte alla profanità dilagante, ma che pur-troppo qualche volta viene aperta dai profani chesono dentro e che dovrebbero essere respinti conforza là dove è il loro posto, perché è oggi sempre piùurgente e doveroso prendere le distanze da coloro chenel loro gracchiare superstizioso perché ignorante, sivestono delle bianche piume dell’iniziazione, e deli-mitare a segni sempre più chiari l’essenza e la porta-ta delle metodologie iniziatiche. Nella ritualità martinista, come nel suo insegnamentoesoterico, oggi tanto più importante quanto più, avolte, dimenticato, non vi è niente di “occultistico”,ma solo secondo la terminologia dei nostri MaestriPassati, una Chose, ineffabile quiddità che non è pos-sibile rivelare attraverso la parola, e che viene tra-smessa con un metodo che permette l’affinarsi pro-gressivo di quella sensitività intuitiva il cui grado equalità sono eminentemente personali ed interiori.La riservatezza di questi metodi di realizzazione deri-va da una secolare esperienza di incomprensioni epersecuzioni e dalla necessità di esposizione gradua-le e selettiva della dottrina che non si basa su affer-mazioni dogmatiche ma su allusioni ed analogie.Fondamentale è il concetto dell’unità dell’uomo conla natura ed il piano divino, unità che l’uomo può rea-lizzare in se lottando con l’illusione della separazionee con ciò che è effettivamente negativo e separativo.Questa via non è percorribile attraverso il gusto delfenomenico o delle pratiche magiche egoiche, cheesaltano e gonfiano la personalità dell’operatore finoall’ossessione psichica, al plagio dei propri simili piùdeboli, all’evocazione dei mostri del subconsciosenza risalita all’IO cosciente e volitivo ed alla cor-rente del bene. Se la meta dell’iniziazione sono il risveglio e la cono-scenza, questi non potranno essere raggiunti

né attraverso la scimmiottatura rituale digruppuscoli occultistici nati dalla decompo-sizione di un corpo sociale decadente né

dalle pseudorivelazioni di pseudo entità sublunari.Ogni rito, ogni forma, ogni cerimonia è il necessariogirello con cui trasciniamo il nostro spirito ancorainfantile, attraverso la difficile e faticosa ricerca dellamaturità e del completamento, fino a che la nostravolontà imparerà a camminare con le sue propriegambe. Vera magia è quella dell’arte che segue ed anticipa ilcammino della natura, l’alchimia infinita dell’uomoche trasmuta se stesso in se stesso; ancor più quell’a-more tanto più invocato quanto meno sentito, fuocoche sa bruciare la brama dell’ego separante l’uomodall’uomo e dalla natura.Con chi si avvicina alle grandi correnti iniziatiche perl’avventura della ricerca del sé, in buona fede ed inte-riore umiltà, abbiamo il dovere di condividere ilnostro duro pane spirituale. A questi vogliamo direche se abbiamo scelto la via martinista è perché l’ab-biamo sentita congeniale ed affine a noi stessi, ma chenon crediamo che sia unica, indispensabile e perfetta,così come non sono stati e non sono perfetti coloroche nel passato e nel presente l’hanno perseguita etramandata. Ma vi è comunque un’incredibile abbon-danza di bellezza, sapienza e verità in questa via, chedifenderemo ancora più aspramente contro la superfi-cialità e la profanità dei tempi, perché non vogliamorappresentare lo specchio in cui si riflettano i drammi,le frustrazioni, le insufficienze, le illusioni, le bramedi una società che ha perso la fede nel razionale, manon ha ancora imparato ad avvicinarsi allo spirito senon attraverso la superstizione, l’ignoranza e la stupi-dità. Ma poiché crediamo nella reintegrazione univer-sale quando i tempi dello spirito ritorneranno, questadifesa sarà benevolente ed anche fraterna verso colo-ro che non sanno quello che fanno.Ma coloro , invece, che ben sanno quello che fanno,agli emissari dell’ombra e della controiniziazione,sapremo ben indicare quel sole invitto che dissolve laputredine nel fulgore di fuoco della sua luce.

JOHANNES - S:::I:::I:::

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L’ANIMA

IL NOSTRO VERO SÉ

RE-PRA- S:::I:::I:::

Al momento della nascita l’abbiamo dimenticato,

ma essenzialmente noi siamo anime/ Luce divina (Or,pl. Orot) e non corpi (Vaso, Klì, pl. Kelim). Bisogna risvegliare e ampliare la nostra coscienza aquesta verità profonda, che può trasformare radical-mente le nostre vite.Noi non siamo italiani, o francesi, o inglesi: il nostroluogo di nascita rappresenta soltanto il punto di entra-ta dell’anima in questa dimensione terrena: ma noiveniamo dal mondo spirituale, dall’En Sof, l’Infinito:e all’En Sof siamo destinati a ritornare, ad un livellodi coscienza divina più elevato.L’anima divina/ Luce/ Or che dimora nel nostro corpocostituisce dunque la nostra vera essenza, il nostrovero Sé: il corpo è semplicemente un veicolo che per-mette all’anima di esprimere i suoi poteri spirituali,che la protegge dalla grossolanità materiale di questomondo. Il corpo/ vaso/ kli dunque è solo un servitoredell’anima/Luce e deve quindi sottostare al suogoverno, e non il contrario, come purtroppo spessoaccade quando la nostra coscienza è assopita. L’anima immanente pervade totalmente la nostrastruttura fisica (i cabalisti usano la metafora dellascarpa che avvolge il piede, l’estremità inferiore delcorpo: allo stesso modo il corpo contiene l’estremitàinferiore del ramo della nostra anima che siestende in basso dalla sua radice spiritualesuprema. La Radice dell’anima quindi è Lucetrascendente, mentre il suo ramo incarnato èLuce immanente. Il corpo fisico funge da

barriera, da filtro, tra l’anima immanente(l’aspetto di Dio chiamato Elohim, la cuighematria 86 corrisponde alla parola ebraica

HaTeva, la natura) e l’anima trascendente, la nostraradice divina (il Nome Divino a quattro lettere, ilTetragramma, la radice di ogni realtà). Se non ci fossela barriera del corpo [la cui funzione è analoga allostrato di ozono fisico che ci protegge dalle radiazionitroppo intense della luce solare] l’anima immanenteverrebbe inondata da un eccesso di Luce spiritualetalmente potente da disintegrare il vaso/corpo che laospita.Nel momento in cui veniamo espulsi dal grembomaterno, l’anima dimentica la sacra missione che èvenuta a compiere in questo mondo terreno: dobbia-mo quindi metterci in ascolto della nostra voce divi-na interiore per scoprire lo scopo della nostra vita.Molto spesso invece ci lasciamo assordare dalla voceurlante dei nostri istinti più bassi, del nostro ego, ilnostro antagonista interiore che ci sfida per farci cre-scere.Quando riusciamo a contrastarlo e vincerlo l’anima faun passo avanti. L’anima è la cosa più importante delmondo, è la nostra coscienza, il nostro livello di con-sapevolezza di Dio [i vari livelli dell’anima, si riferi-scono ai vari livelli di coscienza del divino che abbia-mo, dal più basso nefesh – anima immanente al piùelevato – Yechidà, Dio, la Radice di tutto], l’anima èla catena dei nostri pensieri, delle nostre parole, dellenostre azioni. Importantissimo quindi tenere puro ilnostro pensiero (che influenza l’universo spirituale diBriah, l’universo delle anime), il nostro linguaggio(che incide sull’universo spirituale di Yetzirà, l’uni-verso degli angeli) e le nostre azioni che influisconosu Asyah, l’universo fisico in cui viviamo. Solo laparte non rettificata spiritualmente della nostra animasi incarna in un corpo, la parte già rettificata rimanein Alto. Quindi tutti nasciamo con un livello molto

basso dell’anima che dobbiamo riparare emigliorare tramite i nostri pensieri, paroleed azioni. È necessario quindi trasformareil nostro corpo in un luogo estremamentepuro perché la Shekinà, l’anima divina,

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possa dimorarvi degnamente: non si può fardimorare la Presenza Divina in un luogo spor-co ed inquinato, impuro e contaminato dapensieri e parole negative, dal comportamento nega-tivo e dal cibo dannoso e in eccesso, fumo, alcol, vizisfrenati, etc. Il corpo va considerato il Tempio dell’a-nima, un Santuario interiore in cui l’anima divinapossa dimorare in tutta purezza. Se non ci prendiamocura del nostro Tempio/ corpo e lo facciamo diventa-re un luogo di raccolta di ogni tipo di impurità, laShekinà ci abbandonerà e la nostra anima ne sarà dan-neggiata gravemente.La volontà, il Ratzòn, è l’espressione della più pro-fonda santità della nostra anima. Come dice il verset-to, “Ner Hashèm nishmàt adàm” ovvero “L’animadell’uomo è la Luce di Dio” (Libro dei Proverbi20:27). L’anima ci illumina interiormente come unacandela, vincendo ogni forma di oscurità. E come ilRatzòn– la Volontà Divina è la radice di tutta laCreazione, allo stesso modo il nostro Ratzòn-Volontàè la radice della nostra personalità. Noi siamo lanostra Volontà. Il Ratzon-Volontà, cioè la SefiràKeter - Corona (che corrisponde all’organo fisico cra-nio) - illumina le altre due Sefirot che insieme a Keterformano la triade delle Sefirot mentali: Chokhmà-Saggezza e Binà- Intelligenza (corrispondenti rispet-tivamente all’emisfero destro e sinistro del cervello)e da lì discende verso le sette Sefirot/Midot, che cor-rispondono ai 7 tratti fondamentali della personalità.Questi 7 tratti corrispondono ai 7 bracci della Menoràdel Tempio Sacro di Gerusalemme. La loro luce spi-rituale, come la Luce della Menorà, respinge i 7aspetti negativi della personalità. Attingendo al pote-re del nostro Ratzòn-Volontà, “la Luce di Dio” abbia-mo la capacità di eliminare la negatività, vincendoqualsiasi ostacolo. Le 7 qualità/middot dell’animache siamo venuti a sviluppare e migliorare in questavita, sono:Chesed - Amore di Dio, Ghevurà - Timore,Rispetto di Dio, Tiferet - Armonia, Nezach –superare e vincere ogni ostacolo spirituale,Hod – esprimere gratitudine, Yesod - stabili-re relazioni sacre e Malkhut - Preghiera eAttaccamento a Dio, riconoscimento della

Sovranità e governo di Dio sul Suo universo.L’anima scende in questa dimensione infe-riore dell’universo, creata da Dio come stage

per emularlo e diventare come Lui dei creatori eriunificare Cielo e Terra, cioè le lettere Yud(Paradiso/Cielo) ed He (Terra) del Tetragramma divi-no.Mantenere pura la nostra anima determina il ricevi-mento di un livello superiore di santità, così da rive-stirci di radianza superna per comparire di fronteall’Eterno. Tramite questo vestito spirituale ottenia-mo la beatitudine e percepiamo il divino attraversouna lente chiara.Alla fine della nostra esistenza ci liberiamo del nostrovaso fisico, il corpo, che si ricongiunge alla terra e lanostra anima ritorna alla Sua Sorgente, Dio.Il corpo è un involucro, è Luce ispessita, opaca, inorigine faceva parte dell’anima: un giorno verrà rias-sorbito dall’anima.Tutta la materia dell’universo è dotato di un’anima. Ilvaso/ kli pianta come il vaso/ uccello, erba, cane,auto, tavolo: tutta la materia contiene una scintilla diLuce divina che la tiene in vita.Per mantenere l’anima pura un metodo ideale è quel-lo di memorizzare preghiere e salmi, così da poterlirichiamare quando la nostra mente è subissata di mes-saggi dannosi e negativi. Richiamando alla memoriaun salmo e recitandolo mentalmente recuperiamopresto una sensazione di pace, tranquillità e benesse-re mentale.Non facciamoci sviare e distrarre dalle banalità edalla piccolezza della vita che servono solo a farcidimenticare che siamo anime. Dobbiamo svilupparela nostra coscienza così da eliminare la nostra sensa-zione di essere separati da Dio: in realtà siamo tuttiparte di una grande Anima Unica emanata dall’EnSof, l’Unità Infinita di Dio. L’anima è la causa, ilcorpo è l’effetto: cerchiamo di essere sempre la causa

della nostra vita e non l’effetto di compor-tamenti reattivi e negativi. Cerchiamo di vedere il bene in ogni perso-na: è questa la chiave per vivere in pace edarmonia con il resto del creato.Quando preghiamo dovremo sentire, perce-

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pire, la Shekinà, la Presenza Divina nelmondo, davanti e intorno a noi.Libera il tuo cuore e la mente da tutti i pen-sieri estranei e visualizzati di fronte alla PresenzaDivina, scorgi davanti e intorno a te la Luce dellaSua Presenza.Il Salmo 67 – Il Salmo della Menorà è un ottimosalmo da memorizzare e recitare come mantra percalmare e rilassare la mente.Lamnatzé ach binghinò t mizmò r shir. [Al maestro del corso, con lo strumento neghinot, uncanto con accompagnamento musicale]Elohìm iechonnénu vivarechénu iaér panav itànuséla.[Il Signore abbia compassione di noi e ci benedica!Egli Faccia risplendere su di noi il Suo volto per sem-pre!]Ladaat baàaretz darkécha bechol-goìm ieshu’atè-cha.[Così che sulla terra sia riconosciuto il Tuo modo diagire e la Tua salvezza tra tutti i popoli!]Iodùcha amìm Elohim iodùcha amìm kullàm.[Allora, o Signore, le nazioni ti riconosceranno, tuttele nazioni ti riconosceranno!]Ismechù virannenù leumìm ki-tishpòt amìm mishòrul’umìm ba’àretz tanchém séla. [Possano i popoligioire e giubilare perché Tu governi il mondo congiustizia e guidi tutti i popoli sulla terra per sempre]Iodùcha amìm Elohìm iodùcha amimkulàm[Pertanto, o Signore, le nazioni Ti ricono-

sceranno, tutte le nazioni Ti riconosceranno!]Ere tz natenà ie vulà ie vare chènu ElohìmElohénu

[La terra ha dispensato il suo prodotto! Possa bene-dirci il Signore, il nostro Signore!]Ievarechénu Elohìm veire’ù otò kol-afsè-àretz[Possa il Signore benedirci e tutti i più remoti confinidella terra Lo temeranno.]

RE-PRA- S:::I:::I:::

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Pensieri e parole in libertà

GIOVANNI - S:::I:::I:::

“Al primo sguardo che l’uomo vorrà volgere su se

stesso, non gli sarà difficile sentire e riconoscere chedeve esservi per lui una Scienza o una Legge eviden-te poiché ve n’è una per tutti gli esseri (se bene nonsia universalmente in tutti), e poi che anche fra lenostre debolezze, la nostra ignoranza e i nostri erro-ri, noi non ci occupiamo che di cercare la pace e laluce.”L.C. de Saint Martin (da ”Gli errori e la Verità”Pagine Scelte a cura di Aldo de Rinaldis 1908)

Non è sempre facile dare un significato univoco alleparole, esse, infatti, prendono derive legate spessoalle esperienze dei singoli alle consuetudini dell’am-biente in cui si vive. In questa sede vorrei condividere con voi ciò chepenso dello studio, come via per affrancarsi dalla pre-sunzione, dall’ignoranza, dalla superstizione in altreparole, a mio avviso, lo studio rende liberiIn un ambito iniziatico/spirituale, lo studio, credo,non è leggere testi e seguire pedissequamente indica-zione di altri. In quest’ambito, lo studio è un’attività,a mio avviso, articolata e complessa in ultima analisidel Fare. Tale studio/ fare utilizza un metodo che è inprima istanza determinato dal Vitriol ovvero la ricer-ca della scintilla divina che è in noi attraverso la riela-borazione e/o rettifica della nostra materialità/monda-nità verso un ambito spirituale. A questo metodo, meditazione, che va allaricerca del perché del nostro io e del relativocomportamento segue, o forse dovrebbeseguire, l’affiorare del sé o coscienza che ci

guiderà, con il distacco dalle passioni, versola luce o bene, immagine trascendente eincommensurabile del divino.

Tre sono, credo, gli stadi che dobbiamo incon-trare/superare attraverso una costante operazione diumile ricerca: Primo, apprendere ovvero entrare in contatto con l’in-formazione percezione.Secondo, sapere ovvero metabolizzare e ordinare levarie percezioni informazioni. Terzo, conoscere ovvero fare nostro tale patrimoniocognitivo che dovrebbe risvegliare il sé, o scintilladivina, o coscienza, percorrendo la via del Bene edella Luce

Studio quindi che è in primo luogo introspettivo e poiforse in alcuni casi contemporaneamente supportatoda altre esperienze. In altre parole, ricerca personaleconoscenza di sé stessi e verifiche. Poi possibili con-sultazioni proattive di testi e o rituali per un’evolu-zione continua del nostro stato dell’essere.

Ritornando all’assunto principale, cioè che studiarequindi conoscere rende liberi capaci di fare sceltepossibilmente distaccate senza lo stimolo delle pas-sioni, seguirà inevitabilmente l’acquisizione consape-vole delle responsabilità che da queste scelte deriva-no. In un ambito, come già detto iniziatico spirituale leresponsabilità del singolo adepto sono: verso sé stes-si; verso l’Ordine a cui appartiene che lavora alla glo-ria del grande architetto; verso l’eggregora di fratellie sorelle visibili e invisibili, eggregora emanante dicui il fratello è un’antenna. Quest’ultimo, attraverso ilsuo comportamento dovrebbe dare l’esempio nel ten-tativo credo più alto del fare che è quello apparente-mente silenzioso dello sconosciuto che dà e nulla

chiede, che dà senza ricevere riconosci-menti. In un mondo dove il dominio dellapresunzione genera ignoranza madre dellasuperstizione, la libertà non è semplice-mente la facoltà di eseguire ogni nostra

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voglia ed ogni nostro desiderio. La vera liber-tà è la capacità di superare i nostri limiti, cheimpediscono la completa espressione delnostro vero potenziale. Libertà è acquisizione di conoscenza e consapevolez-za, libertà guadagnata con curiosità, intuito, impegno,determinazione. Libertà che sia Studio, analisi inte-riore, riequilibrio fra L’Io e il Sé attraverso le espe-rienze e le verifiche quotidiane nella progressiva spe-ranza, forse, di costruzione di una mentalità tradizio-nale attraverso, il successivo, inevitabile sacrificiodel proprio ego nel tentativo di reintegrazione e o diritorno al padre.

“...Ma significherebbe smarrirsi stranamente nonconcedendo altra idea della libertà: poiché quellacontraddizione negli atti di un essere prova, è vero,che vi è disordine e confusione nelle sue facoltà, manon prova punto che egli sia libero, poiché resta sem-pre a sapere se egli si dà liberamente o non,tanto al male che al bene: ed è in parte peravere male definito la libertà che questo

punto è ancora coperto delle più spesse tene-bre per la maggior parte degli uomini”L.C. de Saint Martin (da ”Gli errori e la

Verità” Pagine Scelte a cura di Aldo de Rinaldis1908)

GIOVANNI - S:::I:::I:::

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Simbolismo e magia

nell’opera “La Primavera” diSandro Botticelli

HASIDD - S:::I:::I:::

Alessandro di Mariano Filipepi detto prima

Botticello e qualche anno dopo Botticelli, nato aFirenze trascorre tutta la sua vita nella stessa cittàtranne un breve soggiorno a Roma per lavorare nellaCappella Sistina dove, esegue un affresco lungo lepareti. Allievo nella bottega del Verrocchio fece partedi quella schiera di maestri fiorentini che fecero delQuattrocento il secolo d'oro. Il dipinto intitolato "LaPrimavera" è l'opera più rappresentativa e magica chepiù esprime la personalitàdell'artista.A suggerirgli la tematicadel'opera è Poliziano da ese-guire in occasione dellenozze di Giovannni Medici,figlio di Lorenzo.Ad una prima osservazionesembra dominare la filosofiaNeoplatonica di Marsilio Fi-cino ma ad una osservazioneattenta diventa evidente larappresentazione dell’amore"Fe-rino" con Zefiro e Clori:uma-no con la figura centraledi Ve-nere umanizzata, edivino con la presenza diMercurio, a sinistra sono raf-figurate le "Gra-zie" che dan-zano a rappresentare l'amore

per la poesia, la musica e l'eloquenza, accan-to a loro sta Ermes.Il dipinto così articolato dà rilevanza al

"quattro" di cui conosciamo il significato è l'impor-tanza.Al centro del dipinto sta Venere che spande fiorisopra di essa Eros che scaglia i suoi dardi.A destra Zefiro afferra Clori. Nella Triade delleGrazie sembra alludersi all'amore che si dona "laLiberalitas".Il dare, il ricevere, il restituire: in termini metafisicil'amore che si dà agli uomini e che gli uomini ricevo-no e restituiscono sotto forma di elevazione spiritua-le sollevato alla contemplazione e all'adorazione.La Primavera appare come la misteriosa allusione delciclo Platonico della vita attiva e contemplativa chetrascende il tempo di eternità. La presenza diMercurio (Ermes) e certe conoscenze di Botticellispingono a pensare che il pittore abbia voluto espri-mere qualcosa che va oltre l'apparenza. Infatti, in quelperiodo giunge a Firenze da Napoli un ebreo di nomeElia del Medigo, esperto di esoterismo e cabala.È lì a Firenze dà vita ad un circolo cabalistico esote-rico riunendo attorno a se Pico della Mirandola, Mar-

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silio Ficino, Angelo Poliziano e forse lo stes-so Botticelli vista l'amicizia con MarsilioFicino, provata dal fatto che la tematica della"Primavera" gli viene suggerita da Poliziano. La pre-senza di Ermes accanto alle grazie è ricca di signifi-cato. Mi chiedo se forse Botticelli era a conoscenza diquel trattato araboandaluso intitolato "Picatrixi" cheriporta un significativo discorso di Ermete sulla co-noscenza e i misteri del cosmo?Dice Ermete: "Quando volli comprendere e portarealla luce i segreti del mondo e misteri della creazione,mi chinai su un pozzo profondo e oscuro da cui usci-va un vento impetuoso, non sono riuscito a scorgerenulla a causa del buio. Accendevo una candela, pervedere meglio, ma il vento la spegneva. Mi apparveallora in sogno un giovane bellissimo che mi parlòcosì: " prendi una candela accendila e mettila in unalanterna di vetro; entra con essa nella caverna e scavaal centro troverai un immagine, tirala fuori ed essafarà tacere il vento del pozzo. Così potrai estrarre isegreti del mondo, la natura perfetta e le sue qualità "gli domandai chi fosse.Mi rispose. Sono la "Natura Perfetta" quando deside-ri parlarmi chiamami con il mio nome ed io ti rispon-derò. Sicuramente Botticelli nel dipinto ha cercato diesprimere la "Natura Perfetta", attraverso la presenzadell'abbondanza dei fiori, delle grazie che rappresen-tano le arti: Venere la bellezza e l'amore; Clori presada Zefiro l'amore che genera, ed Ermes il mistero.Come è noto, per gli antichi saggi e percoloro che si rifacevano alla costellazionesapienzale di Ermete Trismegisto nonché a

Pitagora, Platone, e Mosè. Per i neo platoni-ci, arte, mistica e misteriosofia non erano unalibido sublimata, come vuole il pensiero

moderno secondo le tesi Freudiane, ma erano conce-pite, come il riflesso di una forza fenomenica simbo-leggiata da Eros-Cupido.Il tutto avveniva in una natura perfetta dove la pro-spettiva non era quella di abbandonarsi solo all'istin-to carnale ma soprattutto di inserirsi in un processoesistenziale di conoscenza e creatività.

HASIDD - S:::I:::I:::

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PICCOLO ELOGIO

DELLA STOLTEZZA

MENKAURA - S:::I:::I:::

1CORINZI 1

18 La parola della croce infatti è stoltezza per quelliche vanno in perdizione, ma per quelli che si salvano,per noi, è potenza di D-o. 19 Sta scritto infatti:Distruggerò la sapienza dei sapienti e annullerò l'in-telligenza degli intelligenti. 20 Dov'è il sapiente?Dov'è il dotto? Dove mai il sottile ragionatore di que-sto mondo? Non ha forse D-o dimostrato stolta lasapienza di questo mondo? 21 Poiché, infatti, neldisegno sapiente di D-o il mondo, con tutta la suasapienza, non ha conosciuto D-o, è piaciuto a D-o disalvare i credenti con la stoltezza della predicazione.22 E mentre i Giudei chiedono i miracoli e i Grecicercano la sapienza, 23 noi predichiamo Cristo croci-fisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani; 24ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei cheGreci, predichiamo Cristo potenza di D-o e sapienzadi D-o. 25 Perché ciò che è stoltezza di D-o è piùsapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di D-o èpiù forte degli uomini. 26 Considerate infatti la vostrachiamata, fratelli: non ci sono tra voi molti sapientisecondo la carne, non molti potenti, non molti nobili.27 Ma D-o ha scelto ciò che nel mondo è stolto perconfondere i sapienti, D-o ha scelto ciò che nelmondo è debole per confondere i forti, 28 D-o hascelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato eciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono, 29perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a D-o. 30Ed è per lui che voi siete in Cristo Gesù, il quale peropera di D-o è diventato per noi sapienza, giustizia,santificazione e redenzione, 31 perché, come stascritto:Chi si vanta si vanti nel Signore.1) stoltezza[stol-téz-za] s.f.:

Scarsa intelligenza e perspicacia, man-•canza di sennoDiscorso, azione, atteggiamento stolto•

2) risus abundat in ore stultorum: Il riso abbondasulla bocca degli stolti. - Proverbio latino non classi-co, spesso citato per biasimare chi ride troppo e asproposito.3) stoltezza in Cristo, юродство (jurodstvo): par-

ticolare forma di ascetismo presente nell'esperienzadella Chiesa ortodossa russa.

Fra carestie, guerre e pestilenze nel medioevo c’erapoco da ridere ed è forse per questa ragione che, sov-vertendo secoli di tradizione classica, ove la comme-dia, la satira, il motto di spirito non avevano rispar-miato i potenti di turno, la corrente cambia ed il risodiviene l’ornamento dello stolto, di chi non capisce lagravitas della vita e la serietà che accompagna le per-sone assennate.La definizione di stolto è però assai ambigua in que-sto contesto.Lo stolto è stupido o cattivo? Il dubbio sorge in quan-to nel medioevo la differenza non è così chiara comedovrebbe secondo la nostra moderna percezione.Lo stolto è colui il quale risulti carente di senno (con-dizione naturale e quindi, teoricamente non imputabi-le) ovvero è colui il quale sarebbe in teoria dotato disenno ma che decide di peccare non utilizzando ilproprio raziocinio, seguendo invece la proprianatura?La Stoltezza (Stultitia) può divenire, quindi, addirit-tura un vizio come viene magistralmente raffiguratoda Giotto, nell’affresco databile al 1306 circa facenteparte del ciclo della Cappella degli Scrovegni aPadova.Lo stolto è raffigurato come un giullare con una clavain mano, uomo bestiale che mal si rapporta con laciviltà, ma soprattutto con la società; purtroppo anchel’interpretazione del Maestro fiorentino non chiarisce il dubbio se il personaggio ritratto sia nato stolto, o sicomporti volutamente da stolto.In realtà, per la mentalità medievale la risposta a que-sto quesito non appare così rilevante, in quanto ciò

che interessa sociologicamente è l’efficacia

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essotericadella stol-tezza, nonla sua genesi.In una società che,attraverso fasi ter-ribili di conflitto edi fallimento, stiaf a t i c o s a m e n t ericreando gerar-chie, regole, cer-tezze e sicurezzeperdute da secoli,non vi è spazio perl’anticonformismodella stultitia, perla sua diversità.Non è solo il dis-sennato, lo scemodel villaggio, ilsegnato da D-o

alla nascita ad incarnare il paradigma tradizionaledella stoltezza, ma ancor di più lo si ravvisa nel gestoeversivamente meraviglioso di Francesco mentre sidenuda di fronte al suo vescovo, alla sua famiglia edad Assisi tutta.Anche Francesco è segnato da D-o, porta nella carnelo stigma divino, e la sorte di questo folle del Signoreè a lungo in bilico perché le accuse di pazzia, di stul-titia, sono tante ed autorevoli, seppure, per fortuna,all’esito non prevalenti.Rinunciare alla società, ai beni terreni, parlare di D-oalle Sue creature, una teologia del cuore, della totaleapertura alla luce divina, sono tutti elementi cheinfiammano il cuore dei semplici, ma rimangonosospetti agli occhi dei potenti, i quali tollerano la pre-dicazione francescana quale male necessario perriportare il popolo alla Chiesa, al tempo devastata dauna crisi profonda.Questa tolleranza dimostrata dall’elite nei confrontidella predicazione francescana quale fenomenonecessario della dinamica interclassista (lasciamo chegli stolti fraticelli riavvicinino alla Chiesa le masse,stolte anch’esse) non sarà priva di conse-

guenze, in quanto l’esempio dei poverelli diD-o lungi dal rimanere un fenomeno di cal-colata e ristretta ingegneria sociale, si espan-

derà in modo trasversale in quanto capace di darerisposte immediate, semplici ed esaurienti al bisognodi fede di individui di ogni ceto ed estrazione sociale.A riprova di ciò la visione derogatoria della stultitiain quanto mancanza di senno, di raziocinio, apparecompletamente rovesciata nel mondo rinascimentale,creando un paradosso su cui pochi autori si sono sof-fermati.E’ proprio l’umanesimo, con il ritorno alla centralitàdell’uomo e delle sue facoltà, in primo luogo la facol-tà di ragionare, di razionalizzare, a capovolgere ilconcetto di stultizia quale mancanza di senno.Negli Emblemata di Andrea Alciato (Lyons, MacéBonhomme for Guillaume Rouille, 1550), uno deitesti più popolari della sua epoca, è compresa la laseguente tavola: Sapientia humana, stultitia est apud DeumLa Sapienza umana è stoltezza di fronte a D-o

Quid dicam? quonam hoc compellem nomine mon-strumBiforme: quod non est homo, nec est draco?Sed sine vir pedibus, summis sine partibus anguis,Vir anguipes dici, & homiceps anguis potest.

Anguem pedit homo, hominem eructavit &

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anguis,Nec finis hominis est, initium nec est ferae.Sic olim Cecrops doctis regnavit Athenis,Sic & gigantes terra mater protulit.Haec vafrum est species, sed relligione carentem,Terrena tantum quique curet, indicans.

“Che cosa dovrei dire? Con quale nome dovrei chia-mare questo mostro biforme che non è uomo nè ser-pente? Ma un uomo senza piedi, un serpente senza laparte superiore, può essere chiamato uomo dai piedidi serpente o serpente con la testa umana. L’uomo hadefecato un serpente, il serpente ha vomitato unuomo, l’uomo non ha una fine, la bestia non ha inizio.Così un tempo Cecropo regnò sulla dotta Atene, inquesta forma un tempo la madre terra partorì i gigan-ti. Questa è l’immagine di un uomo assennato, ma cheindica una persona senza fede, interessata solo allecose terrene.”

Ho voluto tradurre l’aggettivo “vafrum” con il termi-ne “assennato”, per meglio sottolineare la tesi propo-sta e la traduzione, seppure estensiva, appare corretta.Vafer è l’uomo intelligente, accorto, scaltro, abile eCicerone utilizza la locuzione “vafer in disputando”per indicare l’abile ed accorto oratore giudiziario.Altrettanto indicativo è l’utilizzo del verbo eructavitper indicare la genesi rivoltante del mostro biformerappresentato dall’uomo vafer ma privo di fede.Per l’umanista, quindi, è la mancanza di fede cherende l’uomo stolto, non la mancanza di senno.Anzi la mancanza di fede non rende l’uomo solo stol-to, lo rende mostruoso, serpentino (con tutte le con-seguenti associazioni con il Serpente) senza inizio néfine (senza capo né coda dal detto popolare) e quindiin ultima analisi malvagio, incompleto, folle e pureun po’ stupido in quanto non si rende conto della suatriste condizione di “vincente” nella società ma per-dente in modo disperato in quella perfezione derivan-te dall’essere speculare all’essenza divina, che è ine-rente alla concezione rinascimentale dell’uomo.Anche la tradizione della Chiesa Ortodossa conoscedinamiche similari. Nel Boris Godunov di Puškin, il santo folle,

il юродивый (jurodivyj) tanto caro alla cul-tura popolare russa, che con la sua stoltezzain Cristo abbatte gli schemi della società

umana, ripete incessantemente la frase “dammi uncopeco, dammi un copeco”.Nel complesso e difficile dramma, ove infuria la bat-taglia dei potenti, dei ricchi, di coloro i quali rappre-sentano il vertici dell’ambizione umana, la meccani-ca e pressante richiesta di una semplice monetina cimostra una delle migliori qualità dello stolto, cioè ilfatto di rimanere impassibile di fronte ai deliri dionnipotenza dell’uomo, al suo affannarsi per ottenerevisibilità e riconoscimento sociale, al teatrino delpotere e dei suoi attori.Il santo folle agisce come un agente devastante che,volutamente ignaro di ciò che lo circonda, chiede allasocietà, tutta presa nei suoi intrighi, di dare almenouna monetina in beneficenza, di spendere, in altreparole, almeno una parte minima di sé stessi nellospirito cristiano.Lo stolto vede le cose per ciò che semplicementesono: tutti lottano per il potere e la ricchezza; moltiaffermano di fare ciò in nome di alti ideali ma da tuttoquesto sforzo, da questa lotta estrema nel materiale,per il povero Cristo non esce neppure un copeco.Lo stesso tema lo ritroviamo, nascosto sotto sembian-ze fanciullesche, in una delle opere d’arte più amatedi tutti i tempi, Mary Poppins, un inno bellissimo arimanere almeno in parte “stolti”, “sciocchi” o, forse,dovremmo dire “puri”.Quante generazioni di lettori/spettatori si sono com-mosse quando “il copeco” dei bambini viene genero-samente donato alla vecchia signora dei colombi sullaporta della cattedrale, invece che essere più “seria-mente” investito nella banca di Mr. Banks?Questa “commozione” è cosa del cuore, del senti-mento, non della ragione.Nel Boris Godunov la sapienza e lo studio sono pre-senti, rappresentati dal saggio monaco Pimen, machiaramente ciò non è sufficiente per elevarsi al puntodi raggiungere il Signore; le doti di Pimen sono sicu-ramente positive e commendevoli, ma la fede chenasce dal cuore appare l’unico requisito necessario,

ma anche sufficiente, a dare senso alla vita

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umana.A questo proposito rileggiamo assieme qual-che pagina de I miserabili ove Balzac (LibroIV Javer sgomento) dipinge con insuperabile mae-stria cosa avviene quando l’”assennato” Javert apre ilsuo cuore alla “stoltezza” della sua situazione:Un malfattore benefico, un galeotto pieno di compas-sione, dolce, soccorrevole, clemente, che rendevabene per male, preferiva la pietà alla vendetta edaveva più caro di perdersi che di perdere il proprionemico, che salvava chi l'aveva colpito, inginocchia-to sulla vetta della virtù, più vicino all'angelo cheall'uomo! Javert era costretto a confessare a se stes-so che un tal mostro esisteva.La cosa non poteva durare.Certo, insistiamo, egli non s'era arreso senza resi-stenza a quel mostro, a quell'angelo infame, a quel-l'orrendo eroe, del quale s'indignava quasi altrettan-to di quanto se ne stupiva. Venti volte, quand'era inquella carrozza a faccia a faccia con Jean Valjean, latigre legale aveva ruggito in lui; e venti volte erastato tentato di gettarsi su Valjean, d'afferrarlo edivorarlo, cioè d'arrestarlo. Nulla di più semplice,infatti; sarebbe bastato gridare al primo corpo diguardia davanti al quale fossero passati: «Ecco unpregiudicato evaso dalla galera!» Sarebbe bastatochiamare i gendarmi e dir loro: «Quest'uomo è pervoi,» e poi andarsene, lasciar là quel dannato, igno-rare il resto e non immischiarsene più. Che di più giu-sto? Javert s'era detto tutto ciò; aveva anzi voluto fardi più, agire e impadronirsi dell'uomo; ma allora,come ora, non aveva potuto. Ogni qual volta la suamano s'era convulsamente alzata verso il bavero diJean Valjean, era ricaduta, come sotto un peso enor-me; ed aveva sentito in fondo al suo pensiero unavoce, una strana voce che gli gridava: «Benissimo!Consegna il tuo salvatore, poi fatti portare il catinodi Ponzio Pilato e lavati gli artigli.»…… La sua suprema angoscia stava nella scomparsadella certezza. Egli si sentiva sradicato; il codice nonera più che un mozzicone nelle sue mani ed egli avevada fare con scrupoli d'una specie ignota. Avveniva inlui una rivelazione sentimentale, completamentedistinta dall'affermazione della legge, fino

allora unica sua misura: rimanere nell'anti-ca onestà non era più sufficiente. Sorgeva unintero ordine di fatti, che lo soggiogava, e

tutto un mondo nuovo appariva alla sua anima: ilbeneficio accettato e reso, il sacrificio, la misericor-dia, l'indulgenza, le violenze della pietà contro l'au-sterità, la preferenza verso certe persone, l'impossibi-lità d'una condanna definitiva e della dannazione, lapossibilità d'una lagrima nell'occhio della legge enon so quale giustizia secondo D-o, che procedeva insenso inverso alla giustizia secondo gli uomini. Egliscorgeva nelle tenebre lo spaventoso sorgere d'unignoto sole morale, che lo riempiva d'orrore e loobbligava, costringendolo, gufo com'era, allo sguar-do dell'aquila…….Senz'essere affatto quel che si dice un volterriano,o un filosofo, o un incredulo, rispettoso, anzi, peristinto, verso la chiesa stabilita, egli la conoscevasoltanto come un frammento augusto del complessosociale. L'ordine era il dogma e gli bastava; da quan-do aveva raggiunto l'età adulta e di funzionario,aveva messo nella polizia quasi tutta la sua religioneed era (impieghiamo qui le parole senza la minimaironia e nella loro accezione più seria) spia come si èprete. Aveva un superiore, ch'era il signor Gisquet;ma non aveva affatto pensato, fino a quel giorno, adun altro superiore, D-o…… D-o, sempre intimo all'uomo e refrattario — eglivera coscienza — alla falsa, divieto alla scintilla dispegnersi, ordine al raggio di ricordarsi del sole,ingiunzione all'anima di riconoscere il vero assolutoallorché esso si confronta coll'assoluto fittizio; l'uma-nità sempre recuperabile, il cuore umano che non sismarrisce mai, questo splendido fenomeno, il piùbello, forse, dei nostri prodigi interiori, Javert locapiva? Arrivava a conoscerlo, se ne rendeva conto?Evidentemente, no; ma sotto la pressione di quell'in-comprensibile incontestato, sentiva che la sua testa siapriva…La fede, come giustamente hanno puntualizzato imistici di ogni tempo, necessita dell’abbandonoincondizionato a D-o, così come il cuore del fanciul-lo si abbandona fiducioso alle cure di un amorevole

genitore.

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Può sicuramente apparire all’uomo modernoun atto di stoltezza di abbandonare la nostrarazionalità, alimentata dai sensi e nutrita dicertezze nascenti dalla nostra formazione e dallenostre esperienze, per seguire totalmente un impulsodel cuore, una commozione profonda ed inspiegabile. Ma questo atto di stoltezza risulta necessario, inquanto alla base della cultura giudaico cristiana, tro-viamo il medesimo gesto collettivamente compiutodal popolo ebraico nella pianura del monte Sinai,come ci narra il Libro Shemot, Parsha Itrò, 19 che quivi propongo nella poetica storica traduzione diSamuel David Luzzato (1871).“Esodo 19 1 Nel mese terzo dall’uscita degl’Israelitidalla terra d’Egitto, in questo giorno [cioè nel primodel mese, nel dì della luna nuova; poiché la voceebraica che vale mese, significa propriamente rinno-vazione] arrivarono al deserto di Sinai. 2 Partiti cioèda Refidìm, arrivarono al deserto di Sinai, e s’ac-camparono nel deserto. Israel accampossi ivi, dirim-petto al monte. 3 Mosè poi salì a D-o. Il Signore cioèlo chiamò, e gli disse: Così dirai alla famiglia diGiacobbe, ed annunzierai ai figli d’Israel. 4 Voi aveteveduto come ho trattato gli Egizi, e come vi alzai(quasi) sull’ali dell’aquile; e vi condussi presso dime. 5 Or dunque se m’ubbidirete, ed osserverete ilmio patto [la mia legge], sarete il mio tesoro fra tuttii popoli. Imperocchè a me appartiene la terra tutta; 6Ma voi sarete per me un reame di sacerdoti, ed unanazione santa. Sono queste le parole, che dirai ai figlid’Israel. 7 Mosè andò e chiamò gli anziani del popo-lo, e mise loro davanti tutte queste cose, ch’il Signoreavevagli comandato (di esporre ad essi). 8 Ed ilpopolo tutto rispose insieme, e disse: Tutto ciò ch’ilSignore ha parlato, eseguiremo. E Mosè rapportò[cioè andò a rapportare] al Signore le parole delpopolo. 9 Ed il Signore disse a Mosè: Io sono perrivelarmi a te in una densa nube, affinché il popolomi oda parlarti, e presti fede anche a te in perpetuo.Mosè allora riferì al Signore le parole del popolo. 10Indi il Signore disse a Mosè: Va al popolo, e fa ch’es-si si santifichino oggi e domani, e si lavino le vesti. 11E siano preparati pel giorno terzo, poiché nel giornoterzo il Signore discenderà alla vista di tutto

il popolo sul monte Sinai.”

Shemot 19.8 viene considerato dagli esegetiun punto fondamentale per la corretta comprensionedel Patto e del rapporto uomo-D-o.E’ la cosiddetta “accettazione del giogo della Torah”,effettuata prima della Rivelazione stessa, il che com-porta un’ubbidienza che non nasce dalla conoscenzae dal ragionamento ma da un salto nel vuoto, da unoslancio del cuore che suggerisce di porsi generosa-mente nelle mani di questo D-o che li ha reclamaticome “Suo” popolo e li ha salvati dall’Egitto.Il popolo, che pure non ha vissuto l’esperienza misti-ca di Moshe al Roveto Ardente, accetta egualmente ilPatto con D-o, ignaro del contenuto dello stesso e siabbandona alla Legge senza averla previamente esa-minata.Pur essendo stravolti dagli eventi recentemente vissu-ti, dai disagi del viaggio, dai pericoli passati, gli Ebreisi affidano totalmente al Signore prima ancora diaverne avvertito direttamente la presenza, come laParsha illustra.E’ una decisione totalmente irrazionale ed è un atto dicoraggio, poiché gli stolti spesso sono anche moltocoraggiosi, di un coraggio tutto particolare.Socrate riteneva che il coraggio fosse una virtù seguidato dal Logos, mentre il coraggio irrazionale erada condannarsi quale stoltezza e dal suo punto di vistail grande filosofo era sicuramente nel giusto.Infatti è il coraggio nell’azione immanente (nel mon-dano) quello descritto da Socrate, mentre è il corag-gio della/nella Fede che richiede il coraggio irrazio-nale, perché solo l’irrazionale, per definizione, puòconnetterci al Trascendente.E’ il coraggio dell’umiltà del cuore, in quanto ci chie-de di abbandonare i nostri punti di forza e le nostrecertezze per un abbraccio con l’ignoto.E’ un atto che, agli occhi del mondo, può apparirestolto, credulone, quasi rozzo.Infatti la semplicità della fede si scontra con le com-plessità (fasulle) del gioco sociale, non attribuisceimportanza alle cose cui tutti aspirano, rende diversinel lessico e nei comportamenti.

Spesso la stoltezza del cuore evidenzia

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anche il lato involontariamente umoristicodelle situazioni umane; facciamo un piccoloesempio.In questa allegra ammucchiata chiamata “globaliz-zazione” uno dei tratti più rilevanti è la sbandieratagrande tolleranza verso i “diversi”.Non vi è dibattito, film, cartone animato, opera let-teraria o figurativa che non abbia come tema la tol-leranza verso chi è diverso da noi e ciò sarebbeassai lodevole se fosse vero.Esercitando un po’ di analisi critica però sovvieneche la tolleranza viene esercitata prevalentementenei confronti di alcuni “diversi”, considerati degnidella massima tutela, mentre altri e segnatamentecoloro i quali predichino temperanza, continenza,rigore interiore, impegno spirituale vengono bollaticon ben altri epiteti e spesso scherniti dalla culturamainstream.Il laicismo/materialismo imperante (anche nellaChiesa purtroppo) accoglie ogni sorta di diversitàtranne quella di chi tuttora scelga la via del cuore, lastultitia della fede accettata ancora prima di esserecompresa.Fanatismo religioso, settarismo, comportamentoreazionario, sono solo alcune delle etichette più cor-renti che questi maîtres à penser riservano daimedia ai folli di D-o, in una frenesia che si sostan-zia in una posizione che potremmo definire neome-dievale e che, a nostro sommesso avviso,nasce dalla medesima esigenza di privarcidel senno della fede per mantenerci

nell’”assennatezza” di cambiare l’auto-mobile ogni due anni, il cellulare ognianno, l’abbigliamento ogni sei mesi etc.

etc., cioè nella razionalità mondana di conformarcial potere costituito (oggi rappresentato dagli inte-ressi economici sovranazionali) senza metterlo indiscussione.A maggior ragione, quindi, è tempo di essere stolti,con il cuore pieno di amore per D-o e con tutto ildiritto di esercitare la nostra razionalità quale pro-dotto della fede, anche se ciò potrà apparire a qual-cuno dissennato o socialmente inaccettabile.L’alternativa? Se non siete convinti tornate adosservare la mostruosa creatura raffigurata nellatavola di Andrea Alciato ....

MENKAURA - S:::I:::I:::

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