BN26_DARK ROSE

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BLUENOCTURNE ISSN 2035 - 486X Periodico quindicinale n. 26 del 29/10/2010 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi Registrazione Tribunale di Milano n. 118 del 16/3/2009 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171 Prologo 5 6 7 8 9

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Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: Dark Victory HQN Books

© 2009 Brenda Joyce Dreams Unlimited, Inc. Traduzione di Maddalena Togliani

Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto

di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con

Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

persone della vita reale è puramente casuale.

© 2010 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione Bluenocturne

ottobre 2010

Questo volume è stato impresso nel settembre 2010 da Grafica Veneta S.p.A. - Trebaseleghe (Pd)

BLUENOCTURNE ISSN 2035 - 486X

Periodico quindicinale n. 26 del 29/10/2010 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi

Registrazione Tribunale di Milano n. 118 del 16/3/2009 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale

Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione

Stampa & Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti

contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171

Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano

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Prologo

Il futuro Nei pressi di Melvaig, Scozia, 19 giugno 1550 Non sapeva cosa l'avesse destato. Guy Macleod si mise seduto di scatto sul letto, assalito dall'ira di sua moglie. Tabitha s'infuriava raramente, ma questa volta la sua rabbia sembrava non avere limiti. Restò completamente immobile per localizzarla servendosi delle sue facoltà extrasensoriali. Avrebbe dovuto essere ospite della sorella a Edimburgo, ma capì subito che si trovava al-trove, in serio pericolo. Per lei avrebbe dato la vita senza alcuna esitazione. Non perdeva mai la calma, ma questa volta dovette sforzarsi di stare tranquillo mentre la localizzava. Fu allora che percepì il male ben noto. Nero e immenso, pieno d'odio e di malvagità, con cui avevano convissuto per duecentocinquant'anni. Criosaidh praticava una potente magia nera. Tabitha aveva dei poteri ugualmente forti, ma la sua era magia benefica. Criosaidh la stava braccando sempre più determinata, quasi con freneti-ca impazienza e, ultimamente, con rinnovata audacia. La moglie era solita liquidare come esagerati quei suoi timori, ma ora lui si rese conto, forse troppo tardi, di avere avuto ragione.

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Saltò giù dal letto e volse lo sguardo verso la finestra del-la stanza che si affacciava a sud, infilando la léine sul corpo muscoloso e pieno di cicatrici, ricordi di tante battaglie. Il cielo era immoto, di un blu quasi nero, scintillante di milio-ni di stelle. Aguzzò la vista e i sensi si acuirono. Per un i-stante, sebbene la fortezza di Criosaidh a Melvaig fosse a quasi un giorno di viaggio a cavallo, ebbe l'impressione che laggiù il cielo notturno fosse illuminato dalle fiamme di un incendio. A sud c'era uno strano bagliore. Ma non era pos-sibile che fosse visibile. O forse sì? Il potere che Tabitha esercitava sul fuoco l'aveva sempre stupito. Non c'erano dubbi: Tabitha si trovava a Melvaig ed era con Criosaidh. Ogni timore svanì. Infilò gli stivali e poi saltò. Aveva imparato secoli prima l'arte di viaggiare nel tempo e nello spazio. Atterrò in piedi nel grande cortile interno di Melvaig, stordito ma pronto alla battaglia. Il cielo era in fiamme. Incredulo, vide enormi palle di fuoco cadere al suolo. Uomini, donne e bambini correvano terrorizzati verso le porte della cinta muraria nel tentativo di fuggire da quell'in-ferno. Per un attimo lui pensò che il sole si fosse frantuma-to e che i pezzi arroventati stessero cadendo sulla terra, an-che se sapeva che era impossibile. Spostò lo sguardo. L'alta torre centrale che sovrastava tutta la fortezza era in fiamme. Pezzi di lastroni grigi si staccavano dalla costruzione, le pietre crepitavano quando si fracassavano a terra scavando buche infuocate nel cortile. Tabitha gridò. Criosaidh rispose con un ruggito rabbioso. La torre ondeggiò e altri massi in fiamme si frantumarono al suolo. Stavano combattendo. Non aveva il dono della Vista, ma all'improvviso provò

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una strana sensazione di cui spesso gli aveva parlato sua moglie, un déjà vu. Fu come se avesse già vissuto quel ter-ribile momento, anche se sapeva che non era così. Solo una strega sarebbe sopravvissuta quella notte. «Tabitha!» urlò precipitandosi all'interno della torre. Lì fu assalito dal calore del fuoco, che gli bruciò il viso, il petto e le mani. Un muro compatto di fiamme divideva in due la stanza. Sua moglie si trovava contro la parete più lontana, prigioniera delle fiamme, che le lambivano pericolosamente la veste di velluto. Per un attimo rimase paralizzato dall'orrore. Criosaidh si trovava dall'altra parte del muro infuocato, dove le fiamme non si erano propagate. «Sei arrivato tardi, Macleod. È giunta la tua ora... finalmente.» Non era mai stato sconfitto in battaglia, nemmeno una volta in quasi quattro secoli. Il calore l'aveva costretto ad accovacciarsi a terra; si alzò in piedi e le scagliò contro tutta l'energia di cui disponeva, con una rabbia che non aveva mai provato prima. «Muori!» gridò, ma lei si era creata uno scudo protettivo con un incantesimo e l'energia di Macleod fu deviata contro il pavimento prima di sbriciolare il muro dietro di lei. Macleod guardò la sua bellissima moglie che non aveva mai paura nelle difficoltà. Quando incrociò il suo sguardo, udì distintamente il suo pensiero. Sapevo che questo giorno sarebbe arrivato... e anche tu lo sapevi. Pensava di essere sconfitta? «No!» le gridò cercando di colpire Criosaidh. La sua vita era stata piena di sangue e morte, il suo cuore era stato di pietra fino a quando, due secoli e mezzo prima, non era arrivata lei a portare amore e felicità. Tabitha gli aveva salvato la vita. Criosaidh rise sventando il nuovo attacco. «Controlla il fuoco!» urlò Macleod a Tabitha.

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«Ci sto provando» gridò lei. «Ha dei poteri nuovi!» Tabi-tha chiuse gli occhi, concentrandosi con tutte le sue forze. All'improvviso il muro infuocato cominciò a muoversi e si diresse verso Criosaidh. Criosaidh emise un sibilo di stizza. Lui restò immobile. Non poteva controllare il fuoco, ma aveva imparato, tempo addietro, ad aiutare con la mente Tabitha a lanciare un in-cantesimo. L'unione li aveva resi sempre più forti e il male non era mai riuscito a vincere quando diventavano un'enti-tà unica nel pensiero. Non poteva, non doveva sconfiggerli ora. «Fuoco, sii vorace, fuoco, sii rapido. Divora la sgualdrina di Macleod» recitò Criosaidh, furiosa. Mentre proferiva quelle parole, Macleod vide le lacrime solcare il volto di Tabitha. Stava perdendo la battaglia. «No!» urlò lanciando ancora una volta la sua energia contro la strega malvagia. Colta di sorpresa, sussultò per il dolore e fu scagliata indietro contro la parete, ma ormai non aveva più importanza. Tabitha restò immobile, con gli occhi sbarrati, circondata dalle fiamme. Lui afferrò Criosaidh, scuotendola con violenza. «Ferma il fuoco o morirai!» Gli rivolse un ghigno derisorio e svanì. Tabitha gridò. Lui si voltò e vide con orrore che la veste di velluto color lavanda della moglie aveva preso fuoco. Poi le fiamme la avvolsero completamente, lasciando intravedere solo parte del suo volto terrorizzato. Ti amo... La conosceva così bene... L'aveva sedotta duecentocin-quantadue anni prima nel suo piccolo loft di New York e l'aveva portata a Blayde, contro la sua ostinata volontà. Era sua moglie, la sua amante, la sua migliore amica e la sua più

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grande alleata nella guerra contro il male. Era la sua compa-gna in ogni impresa e la madre dei suoi bambini, la nonna dei suoi nipoti. Gli aveva insegnato cos'era l'amore, la pietà e l'umanità. Non aveva mai creduto all'amore prima di lei. Prima di Tabitha era un uomo crudele e spietato. Sapeva che lei avrebbe voluto dirgli di più e che quelle erano le sue ultime parole. Tabitha, però, non riuscì neppure a terminare la frase perché le lingue di fuoco si allungarono fino al soffitto e la divorarono completamente. «Tabitha!» gridò lui. Dopodiché le fiamme scomparvero e restarono solo i re-sti carbonizzati della stanza. Non riusciva a respirare né a muoversi. Sul pavimento, all'altro capo della stanza, vide il ciondo-lo d'oro che la moglie aveva indossato per due secoli e mezzo, l'amuleto che le aveva regalato. Si trattava del pal-mo di una mano con al centro una pallida pietra di luna. Il gioiello era sopravvissuto al fuoco, sua moglie, nono-stante i poteri magici, non ce l'aveva fatta. «No!» E saltò nel tempo.

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Il presente New York, 7 dicembre 2008 Era stato un fine settimana fin troppo tranquillo, si disse Tabby mentre, con sua sorella e un'amica, aspettava in co-da di passare i controlli di sicurezza del Metropolitan Mu-seum. La sera prima sua sorella Sam si era liberata prima del solito ed erano potute perfino andare a cena insieme. Tabby non ricordava l'ultima volta che era successo. La cosa la rendeva nervosa. Sentiva che stava per accadere qualcosa di grave. Anche se era una Rose, non aveva la Vista come sua cugina Brie, ma aveva il dono della premonizione. «È strano» osservò Sam mentre erano in fila, «ci sono stati solo quattro maledetti pleasure crime ieri. Non che mi lamenti, ma era sabato.» Sebbene fossero sorelle, erano diverse come il giorno e la notte: Sam dura e irrequieta, Tabby amabile e tranquilla. Più giovane di due anni, Sam portava i capelli corti, modellati a ciocche appuntite con il gel e platinati, aveva il corpo di Angelina Jolie e un volto non da meno. Tabby era abituata agli sguardi lascivi che attirava la sorella. Non le importava. Sapeva di essere una tipa all'antica. Perfino di sabato sera indossava gonna di lana, maglione di cashmere e filo di per-le. Non possedeva neanche un paio di jeans.

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«Non ci sono stati roghi in nessuno dei cinque quartieri» osservò Sam. «È mezzogiorno e non sono stata ancora chiamata neppure una volta.» Sam, agente dell'UCS, era impaziente. Si sentiva realiz-zata quando andava a caccia per le strade della città. Ma i "roghi" erano dei crimini orrendi in cui vittime innocenti venivano legate a un palo e bruciate, come nel Medioevo. Per quanto strano fosse quel calo improvviso di violenza, non avrebbe dovuto lamentarsi. «Perché sei così tesa? Ho visto con chi eri al bar» esordì Kit sorridendo a Sam. «Era giovane, moro e sexy.» «Molto giovane, molto sexy e molto, molto bravo!» ri-spose Sam ridendo. «Possibile che non abbiano mai amici?» si lamentò Kit mentre faceva l'occhiolino a Tabby. Kit era snella, con i ca-pelli scuri e la pelle chiara. Non si truccava mai perché non ne aveva bisogno. Il viso da sirena e il corpo sensuale cela-vano una personalità brillante e risoluta. Come per Sam, la sua vita era la lotta contro il male. E Tabby non poteva bia-simarla: sua sorella gemella le era morta tra le braccia a Ge-rusalemme, uccisa da un demone. Anche Kit lavorava per l'UCS ed era là che aveva conosciuto Sam. «Aveva un amico» precisò Sam, «ma te ne sei andata pri-ma di poterlo conoscere.» Kit alzò le spalle con noncuranza. «Dovevo andare in palestra per mantenermi in forma.» Tabby non sapeva se Kit fosse all'antica o semplicemen-te ossessionata dal lavoro, in ogni caso la conosceva da cir-ca un anno ed era sicura che non fosse andata a letto con nessuno, proprio come lei. Ma in fondo andava bene così: entrambe vivevano le loro fantasie attraverso Sam. Un e-straneo si sarebbe scandalizzato nel vedere come Sam u-sasse gli uomini, invece Tabby ne era orgogliosa. Era bellis-sima e forte, era lei che decideva e che li scaricava. Di sicuro

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non si sarebbe ritrovata con il cuore spezzato. Tabby si accorse di non provare più quel terribile dolore che le straziava l'anima. Il divorzio e i tradimenti non le fa-cevano più male. Erano passati già due anni da quando a-veva scoperto le bugie e l'adulterio del suo ex marito. Gli aveva dato il suo amore, rispettando alla lettera i voti ma-trimoniali. Era fatta così, al contrario di lui. Ma ora intende-va imparare dai suoi errori. Randall, dopotutto, non era sta-to l'amore della sua vita. Era un pezzo grosso di Wall Street e l'aveva ingannata fin dall'inizio, e secondo il più tipico cliché lei era stata l'ultima a saperlo. D'ora in poi sarebbe stata alla larga dai macho pieni di carisma. A volte desiderava essere capace di trattare gli uomini come faceva sua sorella. Aveva ricominciato a uscire, sce-gliendo solo intellettuali e artisti, ma senza convinzione. Infatti quando si trattava di uomini e sesso, era esattamente il contrario della sorella. Se non si innamorava, non andava avanti. E non si eccitava facilmente. Probabilmente amore e passione non facevano parte del suo destino. Aveva già ventinove anni e avrebbe fatto meglio a concentrarsi sui po-teri che possedeva come ogni donna della famiglia Rose. «Sai, mi piacerebbe combinare tra te e il nuovo del CAD» propose Sam. Tabby le sorrise dubbiosa. Aveva conosciuto MacGregor una volta che era uscito con Sam dal Centro per le Attività Demoniache. «Assolutamente no» le rispose decisa. L'agen-te aveva tutto l'aspetto del macho. «Lasciala fare a modo suo» intervenne Kit. «Magari trove-rà l'anima gemella in qualche libreria.» Tabby provò una fitta al petto, ma sorrise. «È esattamen-te quello che voglio fare.» Kit le si avvicinò. «Mi dispiace. Non conosco Randall e non dovrei prenderti in giro solo perché stai cercando esat-tamente il suo opposto.»

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«Non fa niente» la rassicurò Tabby. «Probabilmente il mio vero amore è un poeta con un dottorato di ricerca.» «Dovrai passare sul mio cadavere!» protestò Sam. «Ti senti bene?» le chiese guardandola da vicino. Sam intuiva sempre quando era turbata. «Mi fa ancora male.» Si riferivano alla loro cugina Brie. Kit probabilmente co-nosceva la storia, ma fece finta di niente. Le donne della famiglia Rose erano speciali. Ognuna a-veva il proprio destino nella secolare guerra contro il male. Per generazioni, le Rose avevano usato i loro particolari po-teri per aiutare il bene. Erano passati solo tre mesi da quan-do Brie se n'era andata per redimere il Lupo di Awe. L'anno prima le aveva lasciate anche la loro migliore amica, Allie, una potente guaritrice, come era scritto nel Libro che le donne della famiglia Rose si tramandavano da generazioni. Tabby sentiva la mancanza di entrambe, ma era anche felice per loro perché non erano sole nel Medioevo. Aveva-no accanto degli Highlander quasi immortali che combatte-vano al loro fianco contro il male. Sam aveva cercato di colmare il vuoto provocato dalla partenza delle due ragazze andando a lavorare all'UCS, l'Unità Crimini Storici del CAD, un'organizzazione governativa segreta, impegnata nella lotta contro il male che devastava la società. Il capo di Sam, Nick Forrester, dirigeva l'UCS con un pugno di ferro e si serviva dei loro poteri. Ma non era più lo stesso senza Al-lie e Brie. Il destino di Tabby era la magia. In ogni generazione di donne Rose c'erano state una Cacciatrice, una Guaritrice e una Strega. Aveva coltivato il suo dono dai quattordici anni, quando sua madre era stata uccisa durante un pleasure crime. Normalmente le Rose entravano in possesso dei loro poteri subito dopo aver conosciuto il loro destino, ma Tabby era l'eccezione alla regola. Sebbene praticasse la ma-

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gia sin dall'adolescenza, i suoi poteri erano ancora inco-stanti, a volte addirittura troppo deboli per essere utili. Tuttavia, come diceva il Libro delle Rose, a tutto c'è una ragione. «Dopo la palestra sono tornata a curiosare tra gli archivi dell'UCS, l'ultimo rogo non mi ha per niente convinta» rac-contò Kit. «Erano solo in tre.» «Si erano drogati con una sostanza che non abbiamo mai visto prima» aggiunse Sam. L'UCS si occupava di tutte le attività demoniache del passato, perfino risalenti a secoli prima. E poiché molti de-moni attuali venivano da epoche lontane, i loro agenti lavo-ravano a stretto contatto con il CAD. Tabby era a cono-scenza dell'ultimo rogo. Una coppia era stata bruciata lega-ta a un palo in una delle zone più chic di Manhattan. Que-gli atroci delitti di solito erano commessi da un'intera gang tra mezzanotte e l'alba. Ma in quel caso il delitto si era veri-ficato alle otto di sera e vi avevano partecipato solo tre membri della banda, due uomini e una donna. Stavano di-ventando più audaci? Era un rogo autentico? La stampa aveva etichettato questi crimini "roghi di stre-ghe", un'espressione che Tabby non amava perché le vit-time erano uomini, donne e bambini di tutte le età e le raz-ze. Ma il male non faceva distinzioni, a meno che non si trattasse di pleasure crime. In quel caso, le vittime erano belle e innocenti. I roghi di streghe avevano creato un tale clima di terrore che nessuno si era accorto che il settanta per cento degli omicidi erano di fatto pleasure crimes. Ciò che spaventava era la crudeltà di quelle gang di ragazzi pos-seduti. Si trattava di bande dei ghetti o ragazzi normali scom-parsi che il male reclutava offrendo in cambio potere e spingeva alla violenza. Ormai regnavano incontrastate per le strade delle città.

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«C'è qualcosa che non mi convince in questi roghi» os-servò Kit. «Verrò all'UCS con te a controllare» decise Sam. Ai controlli di sicurezza Kit e Sam esibirono i tesserini governativi poiché Sam aveva delle armi nella borsa. Sam e Kit erano così pensierose che Tabby intuì che se la sarebbero svignata presto lasciandola sola a vagare per le sale dell'esposizione. «Dov'è la mostra sui Celti?» domandò Sam. Tabby le sorrise, sollevata. La sorella aveva intuito quan-to avesse bisogno di compagnia. «Di sopra.» L'immenso atrio era incredibilmente affollato. Ogni abi-tante di New York sapeva che visitare il Metropolitan il fine settimana era una pessima idea. Attraversarono l'atrio con il pavimento di granito e le colonne lungo i lati fino all'ampia scalinata. Al primo piano non c'era nessuno. Si scambiarono u-n'occhiata avvicinandosi alle teche di vetro. «Strano. Ci do-vrebbe essere una coda di mezz'ora» osservò Tabby. Kit bisbigliò: «È una mostra sull'Irlanda medievale!». Allie e Brie si trovavano nella Scozia medievale con Hi-ghlander appartenenti a una società segreta che proteggeva l'Innocenza. «Stai dicendo che siamo qui per un motivo preciso legato alla Confraternita?» «I primi scozzesi venivano dal regno di Dalriada, cioè l'Ir-landa.» Tabby non le ascoltava più. Con il cuore che batteva for-te, si diresse verso una grande vetrina dove erano esposti vari oggetti: una lunga spada dall'elsa lavorata, due pugnali, una spilla e una coppa. Ma ciò che attrasse la sua attenzio-ne fu una collana. Appena vide la catena d'oro da cui pendeva un ciondo-lo, fu presa da una terribile tensione. Era un talismano a forma di palmo con una pietra opalescente nel mezzo.

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«Stai bene?» le chiese Sam. «Mi sento strana» le rispose Tabby che aveva preso a su-dare. Si chinò verso il vetro per leggere la spiegazione. L'amuleto risaliva ai primi del XIII secolo ed era stato rin-venuto nel 1932 tra le rovine del Castello di Melvaig nelle Highlands nord-orientali della Scozia. Era sopravvissuto alla battaglia di An Tùir-Tara, che significava "la torre infuoca-ta". Il 19 giugno del 1550 un terribile incendio aveva di-strutto la torre centrale del castello. Gli studiosi ritenevano che l'incendio fosse il risultato di un tradimento, uno dei tanti che erano stati perpetrati nell'annosa lotta tra il clan dei MacDougall di Skye e i loro acerrimi nemici, i Macleod di Gairloch. Quella sanguinosa faida era iniziata nel 1201, quando un incendio appiccato dai MacDougall aveva di-strutto la fortezza dei Macleod di Blayde, uccidendo il capo del clan, William il Leone. Tra i pochi superstiti, il figlio quattordicenne. Tabby non riusciva più a respirare e la vista le si anneb-biò. I Macleod di Gairloch... Suo figlio di quattordici anni... Perché quel nome le diceva qualcosa? Facevano parte della storia dei Rose? Ma non conosceva nessuno chiamato Macleod. I suoi antenati provenivano da Narne, nelle Hi-ghlands occidentali. Riusciva quasi a vedere il ragazzo, coperto di sangue, che singhiozzava di dolore. Di colpo si irrigidì. Vedeva l'incendio. Il cielo era nero come il catrame e il castello in fiamme. Terrore e furia. Poi l'immagine cambiò. Il cielo era di un azzurro chiaris-simo. Ardeva solo l'altissima torre centrale. Tabby gridò, travolta dalla rabbia e dal tormento, dalla paura e perfino dall'amore. Avvertiva anche il male.

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«Che c'è?» le chiese Sam, preoccupata. «È meglio che ti sieda!» Tabby l'udì appena. Non aveva il potere di percepire il male, ma ora era il male stesso che la chiamava. E lei si sforzò di vedere, terrorizzata e nel contempo affascinata. All'interno della sua visione comparve una nebbia nera, che assunse la forma di una donna senza volto. «Tabby! Per l'amor di Dio!» La donna malvagia la stava chiamando. Non riusciva a vederle il viso, ma sapeva che aveva il sorriso freddo e lasci-vo del male. Si rese conto di avere paura. L'immagine divenne più nitida: i capelli neri come la not-te sparsi sul mantello le incorniciavano il bellissimo volto. Era un déjà vu, eppure non si erano mai incontrate prima. La donna svanì e lei si ritrovò tra le forti braccia di Sam che la guardava, pallida e preoccupata. «Il male» sussurrò. Sam era incredula. «Tu non puoi percepire il male ma io sì, e ti assicuro che qui non ce n'è.» «È qui, lo sento ora. È una donna.» «È pallida come un lenzuolo. Sta per svenire, deve sten-dersi con i piedi sollevati» si affrettò a dire Kit. Tabby fissò l'amuleto nella vetrina alle spalle di Kit e Sam e protestò seccamente: «Sto bene». «Non ho sentito la presenza del male» ripeté Sam. «Vie-ne dal talismano?» Tabby si inumidì le labbra riprendendo a respirare rego-larmente. «Ha una luce bianca. È un potente amuleto beni-gno.» «Per questo è sopravvissuto all'incendio senza scioglier-si» sentenziò Kit. «Credo di aver avuto una visione» disse Tabby, tremante. Sam era sconcertata. «Ma se non hai nemmeno il dono della Vista!» «È stato come un déjà vu. Ho visto una strega o un de-

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mone donna. La conosco.» Si corresse: «La conoscevo. Così come conoscevo colui che è sopravvissuto al primo incen-dio». «Quale primo incendio?» domandò Sam. «È tutto scritto nella targhetta della vetrina, Sam.» «Ricevo delle vibrazioni positive dal ciondolo. Forse pos-so investigare presso l'UCS» propose Kit. «Il mio istinto mi dice che dovremmo indagare su An Tùir-Tara» suggerì Sam. Le due sorelle si guardarono negli occhi. Qualsiasi cosa vi fosse successa, doveva essere stata terribile. «Vuoi che faccia ricerche anche sulla distruzione di Bla-yde?» chiese Sam. Tabby si sentì gelare. Avvertiva la sofferenza del ragazzo come se fosse una parte di lei. Pensò alla reincarnazione. Nel Libro delle Rose si faceva menzione di vite passate. «Credi che possa essere stata a Blayde o ad An Tùir-Tara nel 1550?» «Non lo so» ammise Sam. «Forse mamma o nonna Sara o qualche altro antenato» aggiunse. «O forse eri tu in un'al-tra vita, anche se non so molto sulla reincarnazione. O ma-gari stai acquisendo il potere di percepire il male attraverso il tempo, come Brie. Sicuramente sei in qualche modo legata a quell'amuleto.» Tabby rimase in silenzio. Il Libro della sua famiglia era chiaro sul fatto che certi avvenimenti non possono essere delle coincidenze. «Odio fare l'uccello del malaugurio, ma era tutto il giorno che presentivo qualcosa di brutto. Come i vampiri in un e-pisodio di Buffy che escono dalla TV e prendono vita nel tuo salotto» commentò Kit. Tabby non riusciva a ridere. Sam e Kit si lanciarono un'occhiata complice. Kit era più un segugio che una cacciatrice: non le dava

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fastidio passare il tempo a spulciare gli archivi dell'UCS a differenza di Sam, che non poteva restare a lungo lontano dall'azione. «Cosa state pensando?» chiese Tabby con una certa agitazione. «Sei ancora pallida. Ti porteremo a casa e cominceremo a studiare il caso.» «Sto bene» protestò Tabby mentre fissava la piccola e scintillante pietra bianca dell'amuleto. «Ma che dici! Non possiamo certo lasciarti qua! Sei quasi svenuta» esclamò Sam. «È come se avessi viaggiato indietro nel tempo mentre eri qui con noi. Non mi piace neanche un po'.» «Resto qua, devo rimanere» affermò Tabby. «Sto bene. Andrò a prendermi dell'acqua e mi siederò davanti a que-st'amuleto a riflettere.» «Continua a non piacermi per niente» ribatté Sam. «Cosa mi nascondi?» le domandò Tabby, fissandola negli occhi. «Non ti nascondiamo nulla, Tab.» Kit aggiunse: «Dovrebbe restare, Sam. Era scritto che ve-nissimo qua oggi. È la prima volta che percepisce il male e, grazie a Dio, è attutito dal tempo. Non è un caso se ci tro-viamo a una mostra sul Medioevo celtico e Melvaig si trova nelle Highlands». «Parli proprio come una Rose» commentò Sam. «Stando con voi, talvolta ho delle sensazioni come una Rose.» «Okay» accondiscese Sam scuotendo la testa. «Sei adulta e si vede che tutto ciò è scritto nel tuo destino.» Tabby si allontanò con loro in cerca di una fontanella. Preferiva l'acqua del sindaco Giuliani a quella in bottiglia. Dopo aver bevuto e salutato la sorella e l'amica, tornò alla mostra. Più si avvicinava alla teca in cui era conservato l'amuleto

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e più si sentiva strana. Le girava la testa, era nervosa, im-paurita e... adirata. All'improvviso fu assalita da un'angoscia che non aveva mai provato. Vibrava di potere guerriero e di rabbia incon-tenibile. Cadde in ginocchio e levò lo sguardo. Un Highlander incombeva su di lei. Era un uomo enorme e muscoloso, scuro di carnagione e capelli e il volto deformato dal furore. La sua faccia era coperta di ustioni e sangue. Tabby indie-treggiò per la paura. Brandiva una lunga spada e aveva un kilt rosso e nero fissato su una spalla. Portava una tunica corta, bruciacchiata e coperta di fuliggine, che gli arrivava a metà coscia. La fissò con gli occhi azzurri pieni di rabbia. Non sapendo se fosse vero o no, lei gli sfiorò le mani. E a quel breve contatto il suo cuore palpitò. Poi lui scompar-ve. Un agente della sicurezza del Metropolitan stava corren-do verso di lei, ciò nonostante non riusciva a staccarsi dalla vetrina. Era turbata fin nel profondo e aveva gli occhi azzur-ri dell'Highlander scolpiti nella mente. Alla fine sussurrò: «Torna indietro, lascia che ti aiuti». L'agente le afferrò un braccio. «Non può appoggiarsi alla teca, signorina. Si sente bene?» Tabby lo udì appena. Si divincolò e corse verso la pan-china più vicina, dove si lasciò cadere. Inspirò a fondo men-tre cercava di riflettere. Doveva lanciare un incantesimo per farlo tornare prima che svanisse nel tempo. Doveva aiutarlo. Chiuse gli occhi e mormorò: «Vieni, Highlander, vieni adesso. Ti guarirò. Vieni da me, Highlander». Sapeva che doveva aiutarlo e che quello era il momento più importante della sua vita. Tabby attese.

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