Bivouacs 48 ita

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Anno 44 - n°48 « Un puzzle da ricostruire: restaurare l’unità della persona nei Goum « Aprile 2014 INDICE Editoriale, di Michel David 3 Editorial L’Uomo è … uno : corpo-anima-mente, di Michel Menu 5 L’Homme est … un : corps-âme-esprit Aiutare i giovana costruire la loro unità, di Stéphane de Saint Albin 10 Notre mission, aider les jeunes à refaire leur unité La parabola dell’orecchio interno, di le Michel David 21 Decalogo della quotidianità, di Papa Giovanni XXIII 22 Décalogue de la sérénnité du Pape Jean XXIII I Goum, cemento per la Chiesa, di Christophe Courage 25 L’unità nel Goum e Signore degli Anelli, di Antoine Ravel d’E. 27 L’arco, la pietra e l’amore, di Roberto Cociancich 31 L’arc, la pierre et l’amour Camminare in Terra Santa, sui passi di …Mosè, di Etienne du Fayet 37 La bussola interiore, la unità ritrovata, di Maria Gioia Fornaretto 41

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Anno 44 - n°48

« Un puzzle da ricostruire: restaurare l’unità della persona nei Goum

«Aprile 2014

INDICE

Editoriale, di Michel David 3Editorial

L’Uomo è … uno : corpo-anima-mente, di Michel Menu 5L’Homme est … un : corps-âme-esprit

Aiutare i giovana costruire la loro unità, di Stéphane de Saint Albin 10Notre mission, aider les jeunes à refaire leur unité

La parabola dell’orecchio interno, di le Michel David 21Decalogo della quotidianità, di Papa Giovanni XXIII 22Décalogue de la sérénnité du Pape Jean XXIII

I Goum, cemento per la Chiesa, di Christophe Courage 25L’unità nel Goum e Signore degli Anelli, di Antoine Ravel d’E. 27L’arco, la pietra e l’amore, di Roberto Cociancich 31L’arc, la pierre et l’amour

Camminare in Terra Santa, sui passi di …Mosè, di Etienne du Fayet 37La bussola interiore, la unità ritrovata, di Maria Gioia Fornaretto 41

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Editoriale

Il nostro, è diventato un mondo pat-chwork. In quest’universo sbriciolato, in una società la cui parola d’ordine po-

trebbe essere « decostruzione » non sapendo più dove andare, l’uomo è scombussolato. Alcuni eventi recenti ce lo fanno percepire in maniera cruda ed esacerbata. Su tutte le radio francesi, un ritornello attualmente di moda, suona piuttosto rivelatore : « Je coule, je coule … faut tout refaire à l’intérieur de moi » («Sprofondo, sprofondo… tutto è da rifare dentro di me ». Sappiamo bene che i Goum permettono all’ uomo frantu-mato, scombussolato, spezzettato di ritornare a essere un uomo illuminato - e illuminante.

Fin dal 1972, Michel Menu ci metteva in guardia di fronte alla frammentazione della società e dell’individuo additando il rimedio semplice ed effi cace costituito dai Goum. Il suo messaggio resta attuale più che mai in un’epoca in cui assistiamo alla confusione dei generi, in senso sia proprio che fi gurato. Un’epoca in cui i sofi smi si moltiplicano. Per fortuna una marcia prolungata basta a farli fuori.

Antoine, da esperto cinefi lo e lettore, parte dal Signore degli Anelli per meglio farci co-gliere come la comunità formatasi nel corso di un Goum sia ancora maglio della comunità dell’Anello. I Lanciatori stessi vi troveranno argomenti di meditazione sulla maniera di condurre un Goum dalla A alla Z.

La parabola dell’orecchio interno lascia che la vostra sagacità si renda conto di come la ricerca di unità e di equilibrio sia iscritta fi n dal principio nel cuore stesso dell’uomo ad opera del suo Creatore.

E Maria Gioia Fornaretto mette l’accento su quella bussola interiore che ci guida e ci

rimette sempre nell’asse della marcia.

Però quest’unità non è una cosa innata. Stéphane ci ricorda la missione del Lanciato-re : aiutare i giovani a costruire la loro unità. Per salvare il mondo, Dio fa appello al nostro gusto d’avventura, alla nostra energia e capa-cità trainante, all’esempio della nostra unità, in unione con Lui.

Ed ecco perché Roberto ci ricorda che il Lanciatore di raid è uno che ama, insieme, le persone che si affi dano a lui e i paesaggi attraversati, le pietre e il legno necessari per costruire i bivacchi ; è uno a cui piace unire tutti questi elementi lanciando ponti che sono come archi.

Sì, abbiamo per missione di levigare le nos-tre anime come un diamante il cui scrigno sia formato dal corpo e dall’intelligenza.

La testimonianza di un altro Lanciatore, Christophe, viene a sorprenderci, insistendo sul ruolo particolare dei Goum sulla via verso l’unità della Chiesa. Sì, alla nostra misura, anche noi abbiamo un ruolo da svolgere.

Nulla di strano allora che Etienne ci inviti a mettere i nostri passi in quelli di Cristo, e a cercare nuove strade per camminare in Terra Santa. Cosa c’è di meglio che esplorare nuove terre di avventure? Sì, camminare con Cristo non vuol dire andare a tastoni. Se il cuore è volontario, si va lontano.

Ecco allora che i dieci consigli di serenità di papa Giovanni XXIII, che sarà canonizzato a breve proprio mentre pubblicheremo questo numero, sono da assaporare, giorno dopo giorno. Solo per oggi… un passo dopol’altro.

Michel David31 marzo 2014

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Notre monde est devenu un monde en patchwork. Dans cet univers émiet-té, dans une société où le mot d’or-

dre est celui de la déconstruction, l’homme, ne sachant plus vers où aller, est dans tous ses états. Certains évènements récents nous le font cruellement sentir de manière exa-cerbée. Sur toutes les radios, un refrain à la mode, actuellement, est assez révélateur : « Je coule, je coule … faut tout refaire à l’inté-rieur de moi ». Nous savons bien que les Goums peuvent permettre à l’homme éparpillé dans tous ses états, dans tous ses éclats de redevenir un homme dans tout son éclat.

Déjà, en 1972, Michel Menu nous mettait en garde contre cet émiettement de la so-ciété et de l’individu en indiquant le remède simple et effi cace que constituent les Goums. Message tellement d’actualité par les temps qui courent où nous assistons à une confu-sion des genres au propre comme au fi guré. Epoque où les sophismes sont légions. Mais, heureusement, la marche au long cours les élimine.

Antoine, en cinéphile ou lecteur averti, part du Seigneur des Anneaux pour mieux nous faire saisir comment la communauté d’un Goum vaut bien mieux encore que la communauté de l’anneau. Les Lanceurs eux-mêmes y trouveront quelques sujets de méditation sur la manière de conduire leur Goum de A à Z.

La parabole de l’oreille interne laisse à vo-tre sagacité le soin de mieux saisir comment cette quête de l’unité et de l’équilibre est ins-crite au cœur même de l’homme depuis le commencement par son créateur.

Et Maria Gioia Fornaretto va mettre l’ac-cent sur cette boussole intérieure qui nous gouverne et nous remet dans l’axe de cette

marche.

Pour autant cette unité n’est pas innée. Sté-phane nous rappelle la mission du Lanceur: aider les jeunes à construire leur unité. Pour sauver le monde, Dieu s’appuie sur notre goût de l’aventure, sur notre énergie et notre capacité à entrainer, sur l’exemplarité de no-tre propre unité, en union avec Lui.

C’est d’ailleurs pourquoi Roberto nous rap-pelle que le Lanceur de raid est un homme qui aime tout à la fois les personnes qui lui font confi ance, les paysages traversés, les pierres et le bois nécessaires à la construction de nos bivouacs se plaisant à unir tous ces éléments en lançant des ponts comme des arcs.

Oui, nous avons pour mission de polir notre âme, comme un diamant habité dont notre corps et notre intelligence forment l’écrin.

Le témoignage d’un autre Lanceur, Chris-tophe, vient même nous surprendre en in-sistant sur le rôle des Goums, en particulier, pour l’unité de l’Eglise. Oui, nous avons un rôle à jouer, à notre mesure.

Rien d’étonnant alors à ce que Etienne nous invite à mettre nos pas dans ceux du Christ, en recherchant de nouvelles voies pour cheminer en Terre Sainte. Quoi de mieux que d’explorer de nouvelles terres d’aventure. Oui marcher avec le Christ, ce n’est pas marcher à tâtons. On peut aller loin avec des cœurs volontaires.

Alors, les dix conseils de sérénité du pape Jean XXIII, bientôt canonisé, au moment de la publication de ce numéro, seront à savou-rer, jour après jour. Rien qu’aujourd’hui… pas à pas.

Michel David

Le 31 mars 2014

Editorial

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L’Uomo è … uno : corpo-anima-mentepar Michel Menu

Michel Menu : rivista « Goums » del 15 dicembre 1972Estratti da una rifl essione che non ha perso nulla della sua attualità

Chi può negare che tanti abitanti delle nostre città si lascino asfi ssiare per non dire annientare in una massa

compatta ? Certo, se ne chiacchiera conti-nuamente. Se ne parla qui e là, ma come si parlerebbe di una tempesta su un’isola perduta del Pacifi co. Rari sono quelli che osano guardarne in faccia il dramma. Ep-pure in gioco c’è qualcosa di vitale : se in-fatti le persone si lasciano asservire e as-fi ssiare in massa, è perché hanno perso il loro istinto di conservazione!

Veramente, già varie volte nella storia abbiamo visto, interi popoli andare in-contro al suicidio senza accorgersene… Abbiamo visto intere civiltà inghiottite da cimiteri grandi come la Francia. Roma e Bisanzio sono morte mentre i loro edili discutevano…sul sesso degli angeli. [non accade forse la stessa cosa anche nel 2014 ? ndr] E non c’è di che restare sorpresi : una volta diventati ricchi e sazi, gli uomini perdono non solo la dinamica, ma perfi no la memoria del loro istinto di conserva-zione …

Finalmente cominciamo a comprendere che l’uomo non è uno strano meccanismo fatto di mille facoltà, rifl essi, tensioni, pulsioni, intelligenze più o meno ben connesse o parallele. Adesso sappiamo che l’Uomo è uno: corpo, anima, spirito. Indissociabile. La sua complessità può essere colta solo a patto di considerarlo un tutt’uno in cui intervengono forze biologi-che, psichiche, sociali e trascendenti.

Gli agitatori di masse hanno capito per-

fettamente che un uomo capace di colti-vare la propria unità e di sviluppare coe-rentemente tutte le sue energie mantiene l’intelligenza ben viva e i rifl essi pronti. Quando viene attaccato, si difende. Si ri-bella, sente quando lo si vuole asservire. Un uomo ben integrato è allergico alle schiavitù collettive. È indomabi-le. È davvero un uomo. [Le sane manifes-tazioni organizzate in Francia nel 2013 e nel 2014 ne sono una felice testimonianza, ndr].

Come dire che individui di questo tipo non vanno bene a chi sogna di esercitare un potere assoluto - economico o ideo-logico che sia - sulle masse umane che si concentrano nelle nostre città. Uno così diventa ben presto il nemico da abbattere !... Per poter asservire un uomo ben inte-grato, occorre infatti prima « spezzarlo », o meglio ancora ridurlo… in briciole.

Si può cominciare fi n dai banchi di scuo-la. In Francia la scuola è un’organizzazione gigantesca formata da più di un milione di lavoratori e di responsabili. Nessuno può negare che educhi i ragazzi per settori, a pezzetti, per specialità : un colpetto di ma-tematica o di scienze qui, un colpetto di francese là, un po’ di sport o di educazione civica e perché no ?, anche un pizzico di religione. Non può far male, no? Basta che non si cerchi una sintesi ! Niente che possa unifi care, raccogliere, dare un senso com-piuto a questo guazzabuglio. Per quanto riguarda l’uomo maturo, poi, basterà di-videre il suo Tutto in tre o quattro parti :

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l’uomo al lavoro, l’uomo civile o politico, l’uomo soprannaturale. Friedmann spiega molto bene come, anche nel lavoro, si pos-sa fare a pezzettini un uomo. Lo stesso nel commercio. Per aumentare l’appetito di un consumatore, basta separare per bene l’intelligenza dall’affettività o dal senso pratico. L’esperienza ha provato in molti casi che l’uomo disarticolato consuma di più e quindi rende meglio !

Grazie alla facilità offerta dai mezzi di comunicazione di massa, allo stesso modo, anche i manipolatori s’ingegnano a fare « esplodere il cervello » dell’uomo, facendogli credere di essere informato molto più di quanto l’umanità lo sia mai stata su tutta la faccia della terra : un fl ash su quell’incendio atroce con quindici mor-ti, un veloce giro di tango, due parole sul geniale assassinio, Mozart… 20 secondi, il Papa se si è in crisi di sublime, un in-vito al gratta e vinci, e poi jazz folle, me-teo… [Lo sviluppo dei tablet multimediali moltiplica all’infi nito questo scenario, ndr]. Sottomettendoci a un tale baccano, potete immaginare di fi nire con l’avere il cervello stesso in briciole. Perché di sicuro sapete anche voi che il cervello « prende la struttura di ciò che immagazzina ». Il caleidoscopio fabbrica immancabil-mente teste scoppiate…

Questo sbriciolamento o suddivisione della persona umana, è un virus iniettato-ci consapevolmente per controllarci… La frammentazione mentale degli individui provoca la frammentazione delle società perché genera… l’impotenza. E non è ap-punto ciò che ci sta accadendo oggi ? Non

stiamo forse perdendo il nostro istinto di conservazione ? …

Sembra che, con il tempo, tutto si sis-temi e tutto possa essere dimenticato : inondazioni, guerre sbagliate, fallimenti neri. Eppure, stavolta, più di un esperto ha il presentimento che, in un prossimo fu-turo, avremo sorprese sgradevoli a meno che, dalla massa degli uomini manipolati non sorga un pugno di ribelli in grado di spezzare …chi spezza l’unità della persona umana.

Gli unici che possano restituire una chance alla Chiesa e all’umanità sono co-loro che troveranno un mezzo pratico ed effi cace per ricomporsi nella loro integrità di corpo-anima-cervello. E per giungere a questo scopo, nulla è più utile che fuggire per un certo tempo furi dal baccano.

In pieno desertoogni tanto.

Con un tuffo in profondità nel freddo, nella fame, nella notte, tra le rocce, il sole, la terra madre, la matrice che ha risve-gliato, fatto sbocciare, arricchito la nostra intelligenza e elaborato senza grandi errori il nostro istinto di conservazione.

Quando uno valuta i rischi mortali di disgregazione della persona umana, ca-pisce un po’ meglio perché sono centinaia i giovani che, ogni estate, con i Goum, prendono

La via… del deserto.

In Les Goums, une expérience de liber-té, p.31, nostra traduzione

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L’Homme est … un : corps-âme-espritpar Michel Menu

Dans la revue « Goums » du 15 décembre 1972, Michel nous livre cette réfl exion qui qui n’a rien perdu de son actualité.

Qui pourrait nier que les hommes de nos grandes villes se laissent asphyxier ou même anéantir en

masses compactes ? On en bavarde assu-rément à tout instant. On en parle, ici ou là, mais comme d’un orage sur une île per-due du Pacifi que. Rares sont ceux qui osent en regarder le drame en face. Un drame dont l’enjeu n’en est pas moins… vital, car si les hommes se laissent ainsi asservir et asphyxier en masses c’est parce qu’ils ont perdu leur instinct de conservation !

On a déjà vu plusieurs fois dans l’histoi-re, il est vrai, des peuples entiers marcher au suicide, inconscients… On a vu des ci-vilisations englouties dans des cimetières grands comme la France. Rome et Byzance ont péri, pendant que leurs édiles discu-taient… du sexe des anges. [N’est-ce pas encore le cas en 2014. NDLR] Il n’est rien là de stupéfi ant : une fois riches et gavés les hommes perdent non seulement la dy-namique, mais la mémoire de l’instinct de conservation…

On commence à comprendre, enfi n, que l’homme n’est pas cette étrange mécanique faite de mille facultés, réfl exes, tensions, pulsions, intelligences, plus ou moins bien connectées ou parallèles. On sait, maintenant, que l’Homme est… un : corps, âme, esprit. Insécable. On en pénètre d’autant mieux le complexe qu’on le saisit entier, dans le tout de ses forces biologiques, psychiques, sociales et trans-cendantales.

Les meneurs de foules ont bien compris qu’un homme qui cultive son unité et déve-loppe toutes ses forces en cohérence garde vive son intelligence et… rapides tous ses réfl exes. Quand on l’attaque, il se défend. Il se rebelle, sent qu’on veut l’asservir. Un homme entier est allergique aux es-clavages collectifs. Il est indompta-ble. Il est… lui-même un homme. [Les sai-nes manifestations de 2013 et de 2014 en sont heureusement un témoignage, ndlr].

Autant dire que ce genre d’individu ne

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convient guère à ceux qui rêvent de pouvoir absolu, économique ou idéologique, sur les masses humaines concentrées dans nos vil-les. Il devient, bientôt, l’homme à abattre !... Pour asservir un homme entier il faut, d’abord, le « casser » ou, mieux encore, le mettre… en miettes.

On peut commencer dès l’école, qui est, en France, une organisation gigantesque de plus d’un million de travailleurs et ca-dres. Nul ne conteste qu’on y éduque les enfants par bribes, par petites touches ou par spécialités : un petit coup de maths ou de sciences naturelles par ci, un petit coup de français par là, de sport ou de civisme et même de religion, pourquoi pas ? Qu’est-ce qu’on risque ? Mais surtout… pas de synthèse ! Rien qui puisse unifi er, rassem-bler, donner un sens fédérateur à ce bazar. Quant à l’homme mûr, il suffi ra de sépa-rer son Tout en trois ou quatre : l’homme au travail, l’homme civique ou politique, l’homme surnaturel. Friedmann explique très bien comment, même dans le travail, on peut mettre l’homme « en miettes ». De même dans le commerce. Pour accélérer l’appétit d’un acheteur, il suffi t de bien sé-parer son intelligence de son affectivité ou de son sens pratique. L’expérience a, main-tes fois, prouvé que l’homme désarticulé consomme davantage et paie mieux !

Les manipulateurs s’appliquent éga-lement, grâce aux facilités qu’offrent les médias de masse, à faire « éclater le cer-veau » de l’homme, en lui faisant croire qu’on l’informe mieux que les hommes ne l’ont jamais été sur terre : un fl ash sur l’in-cendie atroce à quinze morts, un coup de tango en vitesse, deux mots sur l’assassin génial, Mozart… 20 secondes, le Pape en crise de sublime, un rappel du tiercé, jazz fou, météo… [Le développement des ta-blettes multi medias multiplie à l’envie ce scénario. Ndlr] Vous devinez qu’on fi nit, en se soumettant à ce tintamarre, par avoir le cerveau en miettes. Car, vous savez, sans doute, que le cerveau « prend la structure de ce qu’il encaisse ». Le ka-léidoscope fabrique immanquablement des têtes éclatées…

Cet émiettement, cette partition de la

personne humaine, est un virus qu’on nous injecte, sciemment, pour nous contrôler… L’éclatement mental des individus provo-que l’éclatement des sociétés, car il engen-dre… l’impuissance. Et n’est-ce pas, juste-ment, ce qui nous arrive aujourd’hui ? Ne sommes-nous pas en train de perdre notre instinct de conservation ? …

Il parait qu’avec le temps tout s’arrange et tout s’oublie : les inondations, les guer-res ratées, les faillites noires. Pourtant, cet-te fois, plus d’un expert en prospective a le pressentiment qu’on se prépare des surpri-ses désagréables si, de la masse des hom-mes manipulés ne surgit pas une poignée de rebelles qui cassent … les casseurs d’unité de la personne humaine.

Seuls peuvent rendre sa chance à l’Eglise et à l’humanité ceux et celles qui auront trouvé le moyen pratique et effi cace de se reconstituer, corps-âme-cerveau, dans leur intégrité. Rien de tel pour y parvenir que la fuite pour un temps hors du tintamarre.

En plein désert. De temps en temps.

Avec une plongée en profondeur dans le froid, la faim, la nuit, les pierres, le soleil, dans la terre-mère, dans la matrice, qui a éveillé, épanoui, enrichi, notre intelligence et mis au point sans trop d’erreurs… notre instinct de conservation.

Quand on évalue ces risques mortels de désintégration de la personne humaine on comprend un peu mieux pourquoi des jeu-nes, par centaines, prennent chaque été, avec les Goums,

le chemin… du désert.

In Les Goums, une expérience de liberté, p.31

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Jubilé des 40 ans des Goums

Mont Chabrio, oaoût 2010

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La nostra missione: aiutare i giovani a costruire la loro unità di Stéphane de Saint Albin

L’individuo, etimologicamente « ciò che è indivisibile », non è spontanea-mente unito o unifi cato. Ci sono delle

personalità tutte d’un pezzo, ma le persone interamente coerenti sono molto rare. Si vede subito quali siano gli uomini e le donne che hanno realizzato la propria unità: sono concentrati, quasi raccolti attorno ad alcu-ne qualità o carismi che saltano agli occhi. L’onestà, la mitezza, la capacità di trasci-nare gli altri e tante altre virtù che, in alcune persone, sono quasi palpabili : si vedono sul volto, si leggono negli occhi, si riconoscono fi n nei minimi gesti. I tratti di carattere dis-tintivi della loro personalità, trasudano da tutti i pori della pelle, dalle parole e dagli atti. E ciò che rende queste persone così spe-ciali, è la profonda unità del loro essere, al di là della maniera di essere di ognuno.

Non si tratta quasi mai di un’unità innata. È il risultato di un lavoro personale, spesso di lunga durata. Questo lavoro comincia per imitazione: il bambino cerca innanzi tutto di assomigliare al proprio padre o alla propria madre, perché li ammira. Il giovane adulto, all’uscita dall’adolescenza, costruisce la pro-pria unità grazie all’azione risoluta della propria volontà nel conformare la persona che è oggi a quella che aspira a diventare domani. Nell’età matura, mantenere tale coerenza è uno sforzo ad ogni istante, e forse è addirittura il lavoro di tutta la vita. Soprattutto nella società moderna, in cui l’unità della persona è minacciata da molti tentativi di divisione. Ma l’unità individuale si rafforza e si nutre anche nella comunione con i fratelli. E questo è uno dei grandi se-greti dei Goum.

La persone umana al centro del pro-getto dei Goum.

Da più di 40 anni, per i Goum, la priorità delle priorità consiste nel restaurare l’unità della persona umana. Invece di grandiose aspirazioni a cambiare il mondo al livello delle nazioni o dell’umanità, la nostra am-bizione riguarda più modestamente e più fondamentalmente la componente più ele-mentare della società, cioè l’Uomo nella sua individualità, la persona umana singolare.

Aiutare anche un piccolo numero di nos-tri contemporanei a ristabilire o a costruire l’ unità, nelle proprie dimensioni fi siche, psichiche, relazionali e spirituali, è il nos-tro modo di contribuire a salvare il mondo. Lo facciamo nel nostro piccolo, una per-sona alla volta: le equipe dei nostri raid superano raramente la ventina di persone. Lo facciamo perché la storia c’insegna che, nei periodi di crisi, bastano pochi uomini a salvare la situazione, a evitare le catastrofi . Nel campo dell’eroismo, non è la quantità che conta, ma la qualità.

Certo, occorre constatare che quelli che affrontano il deserto sono relativamente pochi. Dall’inizio degli anni ’70, i Goum sono stati seguiti da più di 15.000 giovani, ma tutto ciò non è che una goccia d’acqua paragonata ai 65 milioni di francesi, ai 60 milioni di italiani o ai 7 miliardi di abitanti del pianeta.

Perché costruire o portare a compi-mento la propria unità ?

Nei nostri raid, l’esperienza del deserto permette di ricollocare – nell’asse verticale

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! – tutte le dimensioni dell’essere umano : corpo, mente e anima. L’obiettivo è l’Uomo diritto in piedi, nel pieno possesso di tutti i suoi mezzi, che vive, nell’istante presente, una relazione fi liale pienamente assunta con il suo Creatore e delle relazioni fra-terne autentiche con i suoi fratelli e sorelle. Dall’unità della persona dipende infatti anche tutto il resto, come scriveva Michel Menu :

« La vitalità, la creatività, la potenza creatrice della persona umana è indis-sociabile dalla sua unità. La dispersione fi sica o mentale, lo sfarfallamento senti-mentale, la confusione tra immaginario e reale, disintegrano totalmente l’individuo. Di fronte a un’epidemia del genere, non ci può essere salvezza senza una ricos-truzione degli individui nella loro unità. L’Europa oggi ha bisogno innanzitutto di uomini e donne con i piedi per terra ! Di viventi in carne ed ossa che, avendo essi stessi ripreso contatto con il reale, diven-tino a loro volta dei punti di riferimento culturali, degli esploratori. Per riprendere contatto con il reale, meccanicamente parlando, occorre cominciare a rompere totalmente con l’astrazione, con il culto e la cultura dell’immagine, con lo spettaco-lo. Occorre passare agli atti che rendono verità e potenza ai nostri corpi, libertà alle nostre menti, nutrimento ai nostri deside-ri soprannaturali e autenticità alle nostre relazioni umane »(1).

Nella prospettiva antropologica cristiana - che è la nostra - l’unità tra corpo e anima è la conditio sine qua non della felicità. Se tale unità s’incrina o viene a mancare, se il corpo e l’anima sono in disaccordo, ca-diamo nell’insoddisfazione esistenziale, nel malessere, nel disordine. Papa Giovanni Paolo II ha detto : « la persona, corpo com-preso, è integralmente affi data a se stessa e, nella sua unità di anima e corpo, costi-tuisce il soggetto dei propri atti morali. Il corpo e l’anima sono indissociabili : nella persona, nell’agente volontario e nell’atto deliberato, è solo insieme che il corpo e

l’anima permangono o si perdono (2) ». Questa misteriosa unione di corpo e anima, l’incarnazione, distingue l’Uomo dalle altre creature spirituali, permettendogli di tras-mettere la vita e di partecipare all’opera creatrice di Dio.

Dispersione, mancanza di verità : costruire la propria unità è una sfi -da.

Molti giovani entrano nell’età adulta come a tentoni. Toccano un po’ dappertu-tto, fanno esperienze di ogni tipo, consu-mano in tutti i campi : emotivo, sessuale, culturale, spirituale ecc. Se hanno ricevuto un’educazione appena appena centrata su dei valori come la responsabilità, il rispetto e la prudenza, eviteranno le esperienze troppo stigmatizzanti o senza ritorno, quelle che segnano la psiche in profondità, alterando il giudizio e la capacità di rimet-tersi in discussione. Questo sfarfallamento tende comunque a ritardare la maturità e il defi nitivo ingresso nell’età adulta con la padronanza di sé e il dono di sé che ne deri-vano. Nel frattempo, un giovane può gioca-re a uno o a più ruoli, cambiando maschera in funzione delle situazioni. Va per campi, soffre di strabismo, adotta atteggiamenti e valori contraddittori. Non è sempre auten-tico in qualsiasi circostanza ma a volte mente. Non è padrone della propria vita. Non è pienamente felice.

La vera felicità, infatti, mille volte più du-revole di quelle procurateci da tutti i pia-ceri passeggeri passa attraverso un lucido sguardo su se stessi. Come una metamor-fosi, il passaggio dall’adolescenza all’età adulta richiede una fase d’introspezione, nel corso della quale il giovane s’interroga su ciò che egli stesso è e poi sceglie o ac-coglie ciò che diventerà. Occorre costruirsi, compiere delle scelte. Se queste ultime sono orientate al compimento della propria vocazione, la felicità è assicurata.

Il raid Goum è il luogo ideale per cam-biare il proprio sguardo su se stessi. E per compiere scelte semplici, ma fondanti. Nel

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cuore a cuore della meditazione e metten-dosi a servizio degli altri Approfi ttando del cammino di lungo corso e del silenzio per effettuare una rilettura dei segni che accompagnano l’esistenza. Scoprendo, a contatto coi fratelli e le sorelle, altri modi di essere, in verità. Effettuando la propria rivoluzione copernicana e comprendendo che non siamo il centro del mondo. Acco-gliendo il perdono di Dio nel sacramento della riconciliazione che fa crescere la parte di luce che è in noi. Facendo inoltre indie-treggiare le zone d’ombra, per correggere ciò che va corretto e fare coerenza tra gli atti e il desiderio di vivere una vita bella, di servire, amare ed essere santi. Insomma, accordando la propria vita al progetto di Dio, per diventare il « servo inutile » dei Suoi disegni.

Restaurare l’unità « corpo-mente-anima » è quindi una bella ambizione che tende all’essenziale. Grazie allo sforzo e all’es-senzialità che caratterizzano l’esperienza Goum, ci liberiamo da ciò che ci incatena al quotidiano. Ci raddrizziamo, riprendiamo possesso di noi stessi. In qualche giorno, possiamo riequilibrare i nostri ritmi che la vita moderna e il peccato tendono a defor-mare. Il raid è l’occasione di discernere e di rimettere sul tappeto le cattive abitudini dell’uomo vecchio di cui dobbiamo svestirci per rivestire l’uomo nuovo. Ci dà l’opportu-nità di aggiustare la mira, di raddrizzare il timone di un’esistenza che forse ha un po’ perso la bussola. L’unifi cazione passa attra-verso la conversione. Ognuno di noi infatti è peccatore e non può fare altro che rattris-tarsi constatando come l’apostolo Paolo che « io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio (3) » . Dobbiamo continuamente riaccordare l’agire con gli impegni presi, e con il nostro ideale.

La sfi da dell’unità nel mondo mo-derno.

Le tecniche moderne non sembrano ac-corciare solo le distanze, ma anche lo scor-rere del tempo. I ritmi della vita moderna sono accelerati. Siamo sempre più pluri-fu-

nzionali come i nostri computer, se non che l’Uomo ha un cuore solo, contrariamente a tutti i microchip di cui sono muniti i nostri numerosi schermi. I bisogni fondamentali però restano ciò che furono fi n dai tempi delle caverne. Come ha scritto Padre Etien-ne Roze (4), « cercare di adattare i ritmi profondi dell’Uomo – fi sici, psicologici o spirituali che siano – ai ritmi della tecnica moderna sempre più rapida, signifi ca ris-chiare di esplodere ».

Un’esplosione del genere fa parte degli obiettivi dell’ideologia moderna che, secon-do una falsa visione della libertà e del pro-gresso, incita a cedere a qualsiasi pulsione istintiva, ad abbandonare ogni prudenza nel dirigere la propria vita e ogni modera-zione nel consumare, che si tratti di cibo, di droghe, di divertimenti, ma anche degli… altri. Nella dottrina post-sessantottina, poter « scoppiare » è lo scopo, è la parola d’ordine di eterni adolescenti, egocentrici e narcisisti, incapaci di gestire la propria forza vitale e di amare in verità. Tentazione e rischio tanto maggiori quanto più siamo ormai tutti connessi in permanenza e non con il trascendente, ma con l’immediatezza di Internet. Il mondo virtuale ha sempre più il sopravvento sul mondo reale. Tra pannelli pubblicitari, televisione, compu-ter, telefoni e altri tablet, la vita moderna è ritmata dall’istantaneità e dall’onnipresen-za dell’informazione. Siamo in un perenne divertimento. E la dipendenza è alienante, soprattutto per le giovani generazioni, più abituate a « chattare » con gli amici sui social network che non a vivere insieme a loro nel mondo reale.

Tale fuga nel virtuale, con la ricerca esas-perata di occasioni per scoppiare, nasconde una grande paura della vita e dell’avvenire. Il consumo sfrenato di rumori e d’informa-zioni futili permette di sfuggire alla realtà del presente, di fuggire dalle proprie res-ponsabilità. È paradossale che in questa società superconnessa, tanti uomini e don-ne soffrano di solitudine. La paura d’impe-gnarsi fa danni nel cuore dei giovani adulti di oggi.

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Perciò, permettere all’Uomo moderno di staccare per ritrovarsi è decisamente utile. Non c’è nulla di simile allo sforzo, al confronto con la natura, alla riscoperta del silenzio e della presenza dell’altro, per libe-rarsi, per riprendere coscienza della nostra essenza divina e della nostra vocazione alla felicità, fi n da quaggiù e per la vita eterna, al fi ne di partecipare pienamente all’opera creatrice di Dio secondo il progetto che lui ha per noi. Senza alcun dubbio, la felicità che sperimentiamo alla fi ne di un raid pro-viene dal fatto che siamo di nuovo unifi cati, coerenti con noi stessi, in comunione con il Creatore, ma anche uniti ai nostri fratelli e sorelle Goumier.

Insieme : la dimensione collettiva dell’unità.

Spesso i giovani Goumier sono colpiti so-prattutto dalla qualità delle relazioni intes-sute fra di noi. La coesione che nasce dopo qualche giorno di cammino, di gioie e di pene condivise, ricorda lo spirito di corpo che unisce le squadre sportive o militari che hanno vissuto dei momenti forti e li hanno superati insieme. L’avventura strin-ge i legami. La forza del collettivo si mani-festa quando, prendendo coscienza della propria debolezza, ognuno trova conforto nella presenza dell’altro. Nella fatica, gli sguardi vengono in aiuto delle parole per sostenere chi soffre, compatire e incorag-giare la volontà che sta cedendo.

All’interno di un’equipe durante un raid viviamo una qualità di relazioni umane ben diversa da ciò che ognuno di noi spe-rimenta di solito nel suo quotidiano. Le amicizie forgiatesi durante un Goum sono piene di rispetto e di discrezione e quindi sono anche autentiche. Con la vita di ser-vizio e grazie ai sacramenti, la coesione diventa comunione fraterna. La dimen-sione spirituale dona alle nuove amicizie una profondità inaspettata. Le iscrive nella durata, sul piano dell’eternità, nella Comu-nione dei Santi. La conversione di ognuno nella propria interiorità gioca la sua parte nell’elevare le anime e nell’approfondire gli

scambi. Alla fi ne del raid, i Goumier sono stupiti dalla bellezza della loro unità, men-tre, per la maggior parte, otto giorni prima non si conoscevano affatto. La comunione e l’amore fraterno illustrano il comanda-mento di Cristo : che « tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te » (Gv 17,21).

Dopo gli adii, inevitabili, l’unità tra i membri di un’equipe di raid si ravviva in occasione di ritrovi più o meno regolari. Può inoltre allargarsi, in seguito, agli altri Goumier, membri di quell’informale co-munità fraterna che formiamo, e che ama coltivare queste relazioni attraverso delle serate o dei week-end. La parola « insieme », spesso usata come fi rma nei nostri scam-bi epistolari ormai diventati elettronici, il-lustra il desiderio che l’unità permanga nel tempo e che continuiamo a vivere nella Co-munione dei Santi di cui facciamo intensa-mente esperienza durante i nostri raid.

Una vocazione, una chiamata.

Proprio in quanto contribuiscono a ri-mettere in piedi l’Uomo, i Goum compiono un’opera socialmente utile. Modestamente ma con decisione, sono consapevoli di com-piere una missione santa, di rispondere a una chiamata di Gesù, il Cristo. Per salvare il mondo, Dio si serve del nostro spirito di avventura, della nostra energia e capacità di trascinare e dell’esempio della nostra unità personale in unione con Lui. Rispondere a questa chiamata è un impegno che ci rende responsabili dei giovani che portiamo con noi nel deserto. È un’opera bella quella di accompagnare sui ripidi sentieri verso l’unità una piccola tribù di « corpi-men-ti-anime », chiamati dal Signore a vivere pienamente la loro vocazione di uomini e donne liberi e padroni delle loro vite.

(1) A La Belle Etoile, Toussaint 1991

(2) Veritatis Splendor, 1993

(3) Rm 7,15

(4) in Spiritualité des raids Goums au désert

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L’individu, étymologiquement « ce qui est indivisible », n’est pas spon-tanément uni, ou unifi é. Il y a des

personnalités entières, mais les personnes entièrement cohérentes sont rares. On re-marque les hommes et les femmes qui ont réalisé leur unité : ils sont concentrés, com-me rassemblés autour de qualités ou cha-rismes qui sautent aux yeux. L’honnêteté, la douceur, la capacité d’entrainer, et bien d’autres vertus, sont quasiment palpables chez certaines personnes : elles se voient sur leur visage, se lisent dans leur regard, se reconnaissent dans leurs moindres gestes. Ces traits de caractère, éléments distinctifs de leur personnalité, transpirent par tous les pores de leur peau, dans leurs paroles et dans leurs actes. Ce qui rend ces personnes si remarquables, c’est l’unité profonde de leur être, au-delà de leur façon d’être.

Cette unité est rarement innée. Elle ré-sulte d’un travail personnel, souvent de longue haleine. Celui-ci commence par l’imitation : l’enfant cherche d’abord à ras-sembler à son père ou à sa mère, qu’il ad-mire. Le jeune adulte sort de l’adolescence en construisant son unité par l’action réso-lue de sa volonté, pour mettre en confor-mité la personne qu’il est, aujourd’hui, et la personne qu’il aspire à devenir, demain. A l’âge mûr, le maintien de cette cohérence est un effort de chaque instant, peut être même le travail de toute une vie. Surtout dans la société moderne, où l’unité de la personne est la cible de multiples tentati-ves de division. Mais l’unité individuelle se renforce et se nourrit aussi de la commu-nion avec nos frères. C’est l’un des grands secrets des Goums.

La personne humaine au cœur du projet des Goums.

Depuis plus de 40 ans, la restauration de l’unité de la personne humaine est la priorité des priorités pour les Goums. Loin de toute aspiration grandiose de changer le monde à l’échelle de nos nations ou de l’humanité, notre ambition se porte plus modestement et fondamentalement, sur la particule élémentaire de la société, l’Hom-me dans son individualité, la personne hu-maine prise à l’unité.

Aider un petit nombre de nos contempo-rains à rétablir ou à construire leur unité, dans ses dimensions physiques, psychi-ques, relationnelles et spirituelles, est no-tre façon de contribuer à sauver le monde. Nous le faisons à petite échelle, une person-ne après l’autre ou presque : nos équipes de raids excèdent rarement la vingtaine. Nous le faisons parce que l’histoire nous apprend que dans les périodes de crise, il suffi t de quelques hommes pour sauver la situation, pour éviter les catastrophes. Dans le do-maine de l’héroïsme, ce n’est pas la quan-tité qui compte, mais la qualité.

Il faut bien constater qu’ils sont relative-ment peu nombreux ceux que tente le dé-sert. Si les Goums ont accueilli plus de 15 000 jeunes depuis le début des années 70, cela reste une goutte d’eau à l’échelle des 65 millions de Français ou des 60 millions d’italiens ou des 7 milliards d’habitants de notre planète.

Pourquoi construire ou parfaire son unité ?

Dans nos raids, l’expérience du désert

Notre mission : aider les jeunes à construire leur unité par Stéphane de Saint Albin

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permet de remettre dans le bon axe – ver-tical – toutes les dimensions de l’être hu-main : le corps, l’esprit et l’âme. Notre but, c’est l’Homme debout, en pleine posses-sion de ses moyens, vivant dans l’instant présent une relation fi liale assumée avec son Créateur, et des relations fraternelles vraies avec ses frères et sœurs. Car de l’uni-té de l’homme dépend tout le reste, comme l’écrivait Michel Menu :

« La vitalité, la créativité, la puissance créatrice de la personne humaine est in-dissociable de son unité. La dispersion physique ou mentale, le papillonnage sen-timental, la confusion entre image et réel, désintègrent totalement l’individu. En face d’une pareille épidémie, il n’est pas de sa-lut sans reconstitution des individus dans leur unité. Ce dont notre Europe a le plus besoin, aujourd’hui, c’est d’hommes et de femmes qui aient les pieds sur terre ! De vivants en chair et en os qui, ayant eux-mêmes renoué le contact avec le réel, de-viennent des points de repères culturels, des éclaireurs. Pour renouer contact avec le réel, il faut, mécaniquement parlant, commencer par une rupture totale avec l’abstraction. Avec le culte et la culture de l’image, avec le spectacle. Il nous faut en passer par des actes qui rendent à nos corps leur vérité et leur puissance, à nos esprits leur liberté, à nos appétits surna-turels leur nourriture et à nos relations humaines leur authenticité. »

Dans la perspective anthropologique chrétienne qui est la nôtre, l’unité entre le corps et l’âme est la condition sine qua non du bonheur. Que cette unité vacille ou fasse défaut, que le corps et l’âme ne soient plus en phase et c’est l’insatisfaction exis-tentielle, le mal-être, le désordre, la chute. Dixit le pape Jean-Paul II (2) : « la person-ne, comprenant son corps, est entièrement confi ée à elle-même, et c’est dans l’unité de l’âme et du corps qu’elle est le sujet de ses actes moraux. Le corps et l’âme sont indis-sociables : dans la personne, dans l’agent volontaire et dans l’acte délibéré, ils de-meurent ou se perdent ensemble ». C’est

cette union mystérieuse entre le corps et l’âme, l’incarnation, qui différencie l’Hom-me d’autres créatures spirituelles, lui per-met de transmettre la vie et de participer à l’œuvre créatrice de Dieu.

Dispersion, manque de vérité : construire son unité est un défi .

De nombreux jeunes entrent dans l’âge adulte en tâtonnant. Ils touchent à tout, font des expériences, consomment dans tous les domaines : émotionnel, sexuel, culturel, spirituel, etc. Pour peu qu’ils aient reçu une éducation centrée sur des valeurs, telles que la responsabilité, le respect et la prudence, ils auront évité les expériences trop marquantes ou défi nitives, qui affec-tent profondément la psychologie, altèrent le jugement et la capacité à se remettre en cause. S’il ne porte pas à conséquence grave, ce papillonnage tend à retarder la maturation et l’entrée défi nitive dans l’âge adulte, celui de la maitrise et du don de soi. En attendant, le jeune joue un ou plusieurs rôles, change de masque en fonction des situations. Il batifole, louvoie, adopte des attitudes et des valeurs contradictoires. Il n’est pas vrai en toute circonstance, il tri-che. Il n’est pas maître de sa vie. Il n’est pas pleinement heureux.

Car le bonheur véritable, mille fois plus pérenne que ceux procurés par les plaisirs passagers, passe par un regard lucide sur soi. Comme une métamorphose, le passage de l’adolescence à l’âge adulte requiert une phase d’introspection, pendant laquelle le jeune s’interroge sur ce qu’il est puis choi-sit, ou accueille, ce qu’il va devenir. Ensui-te, il faut se construire, faire des choix. S’ils sont orientés vers l’accomplissement de sa vocation, le bonheur est assuré.

Le raid Goum est le lieu idéal pour changer de regard sur soi. Et pour poser des choix simples mais fondateurs. Dans le cœur à cœur de la méditation et en se mettant au service des autres. En profi tant de la marche au long cours et du silence pour effectuer une relecture des signes qui ponctuent son existence. En découvrant au

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contact de ses frères d’autres façons d’être, en vérité. En effectuant sa révolution co-pernicienne et en réalisant que le monde ne tourne pas autour de soi. En accueillant le pardon de Dieu dans le sacrement de ré-conciliation, qui fait grandir en soi la part de la lumière. En faisant reculer aussi les zones d’ombre, pour corriger ce qui doit l’être, et mettre en cohérence ses actes et son désir de mener une vie belle, de servir, d’aimer, d’être saint. Bref, en accordant sa vie au projet de Dieu, pour devenir le « ser-viteur inutile » de ses desseins.

Restaurer l’unité « corps-esprit-âme » est donc une belle ambition, qui vise l’essentiel. Avec le dépouille-ment et l’effort qui caractérisent l’expé-rience Goum, nous nous libérons de ce qui nous enchaine au quotidien. Nous nous redressons, nous reprenons possession de nous-mêmes. En quelques jours, nous pouvons recadrer ce que les rythmes de la vie moderne et le péché tendent à défor-mer dans notre vie. Le raid est l’occasion de discerner et de remettre en cause les mauvaises habitudes de l’homme ancien dont il nous faut nous dévêtir afi n de re-vêtir l’homme nouveau. C’est l’opportu-nité d’ajuster le cap, de redresser la barre d’une existence plus ou moins déboussolée. L’unifi cation passe par la conversion. Car chacun de nous est pécheur et ne peut que se désoler, comme l’apôtre Paul, de consta-ter que « le bien que je veux, je ne le fais pas; mais le mal que je hais, je le fais (3) » . Il nous faut en permanence réajuster notre agir à nos engagements, à notre idéal.

Le défi de l’unité dans le monde mo-derne.

Les techniques modernes raccourcissent non seulement les distances mais aussi, semble-t-il, la course du temps. Les ryth-mes de la vie moderne s’accélèrent. Nous sommes de plus en plus multitâches, com-me nos ordinateurs, sauf que l’Homme n’a qu’un seul cœur, contrairement aux puces électroniques qui équipent nos multiples écrans. Nos besoins fondamentaux restent

ce qu’ils ont toujours été depuis le temps des cavernes cependant. Comme l’écrivait le Père Etienne Roze (4), « essayer d’adapter les rythmes profonds de l’Homme, qu’ils soient physiques, psychologiques ou spiri-tuels, sur les rythmes de la technique mo-derne toujours plus rapide, c’est risquer l’explosion ».

Une telle explosion fait partie des buts de l’idéologie moderne qui prône, dans une fausse vision de la liberté et du pro-grès, de céder à toutes les pulsions instinc-tives, d’abandonner toute prudence dans la conduite de sa vie et toute modération dans la consommation, qu’il s’agisse de nourriture, de drogues, de divertissement mais aussi d’autrui. Dans la doctrine post-soixante-huitarde, « s’éclater » est le but ultime, le maitre mot des éternels adoles-cents, égocentrés et narcissiques, incapa-bles de maitriser leur force vitale et d’aimer en vérité. Cette tentation et ce risque sont d’autant plus grands que nous sommes do-rénavant connectés en permanence, non pas à la transcendance, mais à l’immédia-teté de l’Internet. Le monde virtuel prend de plus en plus le pas sur le monde réel. Panneaux publicitaires, télévisions, ordi-nateurs, téléphones et autres tablettes, la vie moderne est rythmée par l’instanta-néité et l’omniprésence de l’information. Nous sommes dans le divertissement per-manent. Et la dépendance est aliénante, surtout pour les jeunes générations, qui sont plus habitués à « chatter » avec leurs amis sur les réseaux sociaux qu’à vivre avec eux dans le monde réel.

Cette fuite dans le virtuel et la recher-che des occasions de s’éclater cachent une grande peur de la vie et de l’avenir. La consommation effrénée de bruit et d’infor-mation futile permet d’échapper à la réalité de l’être au présent, de fuir ses responsabi-lités. Il est paradoxal qu’en cette société de l’hyper-connectivité, tant d’hommes et de femmes souffrent de solitude. La peur de s’engager fait des ravages dans le cœur des jeunes adultes d’aujourd’hui.

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Permettre à l’Homme moderne de dé-brancher pour se retrouver est donc to-talement utile. Rien de tel que l’effort, la confrontation avec la nature, la redécou-verte du silence et de la présence de l’autre, pour se libérer, pour reprendre conscience de notre essence divine et de notre voca-tion au bonheur, dès ici-bas, et pour la vie éternelle, afi n de participer pleinement à l’œuvre créatrice de Dieu selon le projet qu’il a pour nous. Indubitablement, le bon-heur que nous expérimentons en fi n de raid vient de ce que nous sommes de nouveau unifi és, en cohérence avec nous-mêmes, en communion avec notre Créateur, mais aussi en union avec nos frères et sœurs Goumiers.

Ensemble : la dimension collective de l’unité.

C’est souvent la qualité des liens tissés entre nous qui frappe le plus les jeunes Goumiers. La cohésion qui nait au bout de quelques jours de marche, de peine et de joie partagée, n’est pas sans rappeler l’es-prit de corps qui soude les équipes de spor-tifs ou de militaires qui vivent des moments forts et se dépassent ensemble. L’aventure soude. La force du collectif s’impose lors-que, prenant conscience de sa faiblesse, chacun trouve réconfort dans la présence de l’autre. Dans l’effort, les regards vien-nent au secours des paroles pour soutenir celui qui souffre, compatir et encourager la volonté qui fl anche.

Nous vivons au sein d’une équipe de raid une qualité de relations humaines qui tran-che avec ce que chacun à l’habitude d’ex-périmenter au quotidien. Empreintes de respect et de discrétion, les amitiés qui se forgent en Goum sont authentiques. Avec la vie de service et grâce aux sacrements, la cohésion devient communion fraternelle. La dimension spirituelle donne à ces ami-tiés nouvelles une profondeur inattendue. Elle les inscrit dans la durée, à l’échelle de l’éternité, dans la Communion des Saints. La conversion que chacun vit sur le plan intérieur participe à l’élévation des âmes et

permet d’approfondir encore les échanges. A la fi n du raid, les Goumiers s’émerveillent de la beauté de leur unité, alors que la plu-part ne se connaissaient pas huit jours plus tôt. La communion et l’amour fraternel qu’ils vivent illustrent le commandement du Christ : « soyez un comme mon Père et moi nous sommes Un » (Jean, 10,30).

Après les inévitables adieux, l’unité entre membres d’une équipe de raid s’entretient à l’occasion de retrouvailles plus ou moins régulières. Elle s’étend ensuite, naturelle-ment, aux autres Goumiers, membres de la communauté fraternelle informelle que nous formons, et qui aime à cultiver ces liens à l’occasion de soirées ou de week-ends. Le mot «ensemble», souvent utilisé en signature de nos échanges épistolaires devenus électroniques, illustre la perma-nence que nous voulons donner à notre unité dans le temps, et notre désir de conti-nuer à vivre dans l’esprit de la Communion des Saints, dont nous faisons si intensé-ment l’expérience pendant nos raids.

Une vocation, un appel.

Parce qu’ils contribuent à remettre l’Homme debout, les Goums font œuvre de salut public. Modestement mais réso-lument, ils ont conscience de remplir une mission sacrée, de répondre à un appel de Jésus, le Christ. Pour sauver le monde, Dieu s’appuie sur notre goût de l’aventure, sur notre énergie et notre capacité à entrainer, sur l’exemplarité de notre propre unité, en union avec Lui. Notre réponse à cet appel nous engage, il nous rend responsables des jeunes que nous entraînons au désert. C’est une belle œuvre que de conduire sur les chemins escarpés de l’unité une petite tribu de « corps-esprits-âmes », appe-lés par le Seigneur à vivre pleinement leur vocation d’hommes et de femmes libres, maîtres de leurs vies.

(1) A La Belle Etoile, Toussaint 1991

(2) Encyclique Veritatis Splendor, 1993

(3) Romains 7,15

(4) in Spiritualité des raids Goums au désert

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Sappiamo tutti che il senso dell’equi-librio ha la sua sede nell’orecchio interno, in stretta connessione con

la visione oculomotrice e con la pianta dei piedi. Se l’orecchio interno ha un minimo difetto, tutto l’edifi cio umano ne risente. Fastidioso per un Goumier il quale, fedele all’etimologia del nome che porta, “cam-mina eretto”!

Mantenere l’equilibrio è un processo inconscio e automatico che permette di sta-re in piedi facilmente e di spostarsi senza te-mere di cadere. In generale, non prestiamo molta attenzione al nostro equilibrio. Va da sé. L’unica regola è che il centro di gravità deve essere sempre in proiezione tra i due piedi e tutto questo viene chiamato poli-gono di sostentamento. Non appena il centro di gravità fuoriesce da tale poligono, il corpo non è più in equilibrio e aumenta il rischio di caduta. Il cervello ci permette di ristabilire la buona posizione.

Per mantenere l’equilibrio, il cervello riceve continuamente informazioni prove-nienti dagli organi dei sensi. I ricettori sensoriali siti nella pianta dei piedi e i mus-coli dello scheletro lo informano dei movi-menti e della posizione del corpo nello spa-zio. Anche gli occhi intervengono inviando immagini nette di ciò che ci circonda an-

che quando siamo in pieno movimento. Orbene, l’occhio è come una macchina fo-tografi ca : qualsiasi movimento dovrebbe in teoria produrre un’immagine sfuocata. Ma esiste un rifl esso che permette all’oc-chio di adattarsi. Non appena muoviamo la testa verso destra, il globo oculare si sposta a sinistra. E non appena muoviamo la testa verso sinistra, l’occhio va a destra. In questo modo, nonostante i movimenti della testa, l’immagine rimane sempre sta-bile sulla retina, mantenendo all’immagine che vediamo la sua nettezza.

Tale adattamento è possibile grazie alle orecchie che svolgono un ruolo essenziale poiché la loro parte posteriore racchiude un vero e proprio centro dell’equilibrio : il vestibolo. Il vestibolo è formato da tre canali semicircolari disposti nelle tre dire-zioni dello spazio. L’interno di questi canali è pieno di un liquido che contiene dei cris-talli. Muovendo la testa, il liquido si sposta, i cristalli sono registrano il movimento e stimolano i captatori sensitivi di cui sono tappezzati i canali.

Allora, attraverso il nervo vestibolare, le orecchie inviano gli impulsi al cervello. Questi impulsi sono equivalenti quando la testa sta immobile, ma quando si muove, sono diversi fra loro. Nel caso in cui una

Vertigine : la parabola dell’orecchio interno di Michel David

L’essere umano è una pura meraviglia e il suo corpo è in se stesso un universo che non fi -niamo mai di esplorare. In un’epoca in cui emerge un senso di confusione programmato– in particolare confusione tra i generi - che giunge fi no a provocare le vertigini, sorprende notare ad esempio come il senso dell’equilibrio del corpo umano riposi su qualcosa di sem-plice e insieme complesso. Conosco un Goumier che, nella propria carne, ha sperimentato quanto segue. Questa parabola dell’orecchio interno può mettere in luce l’attuale difetto della nostra società e quindi il suo rimedio. Che colui che vuole aprire le proprie orecchie… comporenda quanto segue e lo trasponga… come gli pare.

Suite en page 24

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Decalogo della quotidianità di Papa Giovanni XXIIISolo per oggi cercherò di vivere alla gior-nata senza voler risolvere i problemi della mia vita tutti in una volta

Solo per oggi avrò la massima cura del mio aspetto, vestirò con sobrietà, non alzerò la voce, sarò cortese nei modi, non criticherò nessuno, non pretenderò di migliorare o disciplinare alcuno, tranne me stesso.

Solo per oggi sarò felice nella certezza che sono stato creato per essere felice non solo nell’altro mondo, ma anche in questo.

Solo per oggi mi adatterò alle circostan-ze, senza pretendere che le circostanze si adattino tutte ai miei desideri.

Solo per oggi dedicherò dieci minuti del mio tempo a qualche buona lettura, ricor-dando che, come il cibo è necessario alla vita del corpo, così la buona lettura è ne-cessaria alla vita dell’anima.

Solo per oggi compirò una buona azione e non lo dirò a nessuno

Solo per oggi mi farò un programma che forse non riuscirà a puntino, ma lo farò e mi guarderò dai due malanni: la fretta e l’indecisione.

Solo per oggi crederò fermamente nonos-tante le apparenze che la Provvidenza di Dio si occupa di me come se nessun altro esistesse al mondo.

Solo per oggi farò almeno una cosa che non desidero fare, e se mi sentirò offeso nei miei sentimenti farò in modo che nes-suno se ne accorga.

Solo per oggi non avrò timori, in modo particolare non avrò paura di godere di ciò che è bello e di credere alla bontà.

Posso ben fare per dodici ore ciò che mi sgomenterebbe se pensassi di doverlo fare per tutta la vita. Basta a ciascun giorno il suo affanno.

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Rien qu’aujourdhui, J’essaierai de vivre exclusivement la journée sans tenter de ré-soudre le problème de toute ma vie.

Rien qu’aujourd’hui, Je porterai mon plus grand soin à mon apparence courtoise et à mes manières: Je ne critiquerai personne et ne prétendrai redresser ou discipliner personne si ce n’est moi-même

Rien qu’aujourd’hui, je serai heureux dans la certitude d’avoir été créé pour le bon-heur, non seulement dans l’autre monde, mais également dans celui-ci.

Rien qu’aujourd’hui, je m’adapterai aux circonstances sans prétendre que celles-ci se plient à mes désirs

Rien qu’aujourd’hui, je consacrerai dix mi-nutes à la bonne lecture en me souvenant que, comme la nourriture est nécessaire à la vie du corps, la bonne lecture est néces-saire à la vie de l’âme.

Rien qu’aujourd’hui, je ferai une bonne ac-tion et n’en parlerai à personne.

Rien qu’aujourd’hui, je ferai au moins une chose que je n’ai pas envie de faire et si j’étais offensé, j’essaierai que personne ne le sache

Rien qu’aujourd’hui, j’établirai un pro-gramme détaillé de ma journée. Je ne m’en acquitterai peut-être pas mais je le rédige-rai et me garderai de deux calamités : la hâte et l’indécision.

Rien qu’aujourd’hui, je croirai fermement - même si les circonstances prouvent le contraire - que la Providence de Dieu s’oc-cupe de moi comme si rien d’autre n’exis-tait au monde.

Rien qu’aujourd’hui, je ne craindrai pas et tout spécialement, je n’aurai pas peur d’apprécier ce qui est beau et de croire en la bonté. Je suis en mesure de faire le bien pendant douze heures, ce qui ne saurait pas me décourager, comme si je pensais que je devais le faire toute ma vie durant.

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Décalogue de la sérénité du bienheureux Jean XXIII

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delle due orecchie sia malata, se i cristalli dei canali si sono staccati e spostati, il cer-vello riceve informazioni sbagliate: è un confl itto sensoriale. Il cervello crede che la testa si muova e, per compensare, induce un movimento dell’occhio nel senso opposto, il che costituisce una delle cause delle vertigini. Il tutto è chiamato nistag-mo. Esistono vari tipi di vertigine, e sono tutti sintomi di cui occorre cercare la causa reale.

Fra i diversi tipi di vertigine, la vertigine parossistica posizionale benigna (VPPB) è la più frequente : colpisce un terzo dei pa-zienti affetti da vertigini.

Si tratta di una vertigine rotatoria, spes-so violenta di apparizione rapida (tra i 3 e i 20 secondi), talvolta accompagnata da nausea. Appare in seguito a una variazione di posizione della testa, sempre la stessa, e il caso più frequente è la rotazione della testa in decubito dorsale, ma può interve-nire anche in posizione eretta con la testa in iper-estensione oppure, al contrario, con la testa piegata verso terra. Un paziente su quattro lamenta inoltre problemi di equi-librio mentre cammina. È molto fastidioso in caso di lunghe marce.

Vediamo la cosa un po’ più da vicino. All’interno dell’orecchio, dentro il vestibo-lo osseo, troviamo quindi due sacche piene di endolinfa, un liquido ricco di potassio, povero di sodio e quasi totalmente privo di calcio Queste due sacche sono l’utricolo e il sacculo : sono gli organi otolitici. Per quan-to riguarda il processo, possiamo andare ancora maggiormente nei dettagli : l’uomo è un universo in sé, e un universo di cui non abbiamo mai fi nito di scoprire i segreti.

I tre canali semicircolari sono tra loro perpendicolari, il che permette che siano disposti secondo i tre piani dello spazio per individuare le accelera-zioni angolari. Ci sono il canale anteriore, il canale laterale e il canale posteriore.

Anche questi canali sono pieni di endo-linfa. Ognuno di essi comincia con l’utricolo

e termina con una vescica (rigonfi amento posto nell’utricolo). In questo rigonfi amen-to si trovano le cupole incaricate di regis-trare le accelerazioni angolari. Le cupole sono innanzitutto una sostanza gelatinosa composta di cristalli di carbonato di cal-cio (CaCO3) che si chiamano otoliti. Rac-chiudono delle ciglia collegate con cellule cigliate, a loro volta connesse con assoni del nervo cocleo-vestibolare, cioè del nervo che collega l’orecchio interno alla corteccia cerebrale. È tutta una storia…concentrata in qualche mm3 !

Gli otoliti sono quindi dei cristalli che possono distaccarsi e andare a spasso in uno dei canali circolari, provocando così le vertigini. Paradossalmente, le vertigini più comuni sono quelle che sopraggiungono mentre si è sdraiati e che svegliano una persona verso le cinque del mattino. Tutto sembra allora girare da ogni parte. Il letto si mette in verticale. La persona si siede e ricade sul letto. È un po’ come chi scende da una giostra di quelle che girano, nelle feste di piazza.

Allora bisogna andare da un fi siotera-pista o da un otorino che, grazie a precisi movimenti rotatori, permette agli otoliti di tornare nell’utricolo, di dissolversi e poi di cristallizzarsi di nuovo sulle pareti. In un certo senso è il principio del sifone.

Per due o tre notti, il paziente dovrà dor-mire in posizione semiseduta per evitare che i cristalli ritornino nei canali. Magari poi bisognerà rieducare la memoria visiva, nel caso in cui, per compensare lo squili-brio dell’orecchio, ci sia stata una prepon-deranza visiva.

Ma – direte voi - cosa c’entra tutto ciò con la nostra società e con i Goums ? Dove stanno fuori metafora il poligono di sos-tentamento, il vestibolo, l’endolinfo, gli otoliti? Cercate e troverete. Il redattore di questo articolo attende con impazienza i vostri suggerimenti.

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Durante il raid scintilla alla Sainte Baume nell’autunno 2008, stavo parlando con un vecchio Goumier

dei frutti meravigliosi che si possono os-servare nei Goum. Ci sembrava che tali ric-chezze fossero tanto numerose e varie da sfuggire in gran parte alle nostre intelligen-ze umane. Forse ci vorranno ancora molte generazioni di Goumier per scoprirle tutte come altrettante manifestazioni dell’amore di Dio attraverso questo movimento cris-tiano.

Una di tale ricchezze può stupirci (ma la vita di fede c’insegna che al Signore piace sorprenderci): si tratta dell’unità della Chiesa o dell’unità dei Cristiani che si ma-nifesta attraverso i Goum.

Le divisioni tra Cristiani, così come le di-visioni che feriscono la Chiesa, sono state dolorosamente presenti in ogni epoca. Oggi lo Spirito lavora per l’unità e il Santo Pa-dre ricuce instancabilmente gli strappi nel mantello di Cristo. In quest’opera di unità, anche i Goums svolgono già la loro parte.

I Goum, cemento per la Chiesadi Christophe Courage

« Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me me-diante la loro parola: perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato » (Gv 17, 20-21).

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In effetti, nel Goum, l’unità della Chiesa o dei Cristiani non si manifesta soltanto nel condividere la fatica o nel vivere la fraternità. La fraternità Goum, che in una settimana fa di una ventina di perfetti sco-nosciuti una piccola comunità di fratelli e sorelle non basta come spiegazione. Si può andare oltre osservando come i Goumiers provengano da tutti gli orizzonti (profes-sioni, origini, età, ecc.) ma anche da tutte le correnti che formano la ricchezza della Casa del Padre. Cattolici di ogni apparte-nenza e cristiani di altre confessioni, cat-tolici impegnati da sempre o da un mese, giovani in ricerca che ritrovano il senso del loro battesimo, persone in cerca di una vocazione o di un senso alla vita, giovani giunti lì per caso (è stato anche il mio caso !), qualunque siano le loro opinioni, il loro posto nella Chiesa o il loro cammino di fede, tutti sono uniti su un unico sentiero verso il Padre.

Questa situazione non è frutto di un puro caso. Ciò che ci unisce, infatti, è innanzitu-tto il Vero, nel senso di assenza di artifi cio.

L’ispirazione dei Goum, sicuramente pro-

veniente dall’alto, fa sì che i nostri raid e il

modo in cui vengono lanciati e vissuti siano

un’esperienza autentica, un momento du-

rante il quale non ci si può mentire, né a

vicenda né a se stessi, un momento fatto

per camminare verso Dio e per scoprire se

stessi. E poi, oltre al principio, c’è la sua

applicazione : il Lanciatore cerca di fare in

modo che ognuno si senta accolto, e questo

è un fattore di unità tra tutti. Stampa un

bel libretto di canti in cui ciascuno potrà

trovare qualche canto classico di chiesa

che conosce già e a volte imparerà a far

tacere i suoi gusti per cantare insieme con

gli altri. La djellaba, sorprendente da por-

tare per chi la usa per la prima volta, non è

un’uniforme ma è essa pure fonte di unità

in quanto, ricollocandoci nella condizione

di poveri, spinge ognuno a essere prima di

tutto uno sguardo e un volto luminoso.

Così ciascuno scopre l’altro e, guardan-

dosi dai pregiudizi, impara ad amare la

Chiesa qualunque essa sia, a rallegrarsi

della quantità di dimore che esistono nel-

la Casa del Padre, dimore che si rivelano

complementari se, invece di farsi concor-

renza, camminano insieme su uno stesso

sentiero del Causse per ritrovarsi la sera

per la veglia, a invocare la benedizione del

Signore quando, attorno a noi, ogni cosa si

addormenta.

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In fi losofi a, l’unità spinta all’estremo potrebbe far pensare a PLOTINO (205 - 270 d.C), fi losofo greco che enuncia

il principio dell’UNO e, in un certo senso, prefi gura il Dio della fede cristiana. Più vicino a noi, nell’immaginario di alcuni, l’unità evocherà «l’unico anello». Si tratta dell’oggetto magico che si trova al centro dell’intreccio del Signore degli Anelli (The Lord of the Rings) di John Ronald Reuel TOLKIEN. Il romanzo in tre volumi (e i fi lm eponimi, soprattutto i due usciti nel 2001 e nel 2003) è solo un racconto per bambini in un mondo magico con i suoi hobbit, i suoi mostri e i suoi nani ? TOLKIEN prima di tutto è un grande professore d’università inglese che insegnava fi lologia (lo studio di una lingua scritta)a Oxford. La sua opera letteraria, il cui libro principale è Il Signore degli Anelli è di una ricchezza, di una raf-fi natezza e di una coerenza così grandi da inaugurare un vero e proprio nuovo stile letterario. Così, alla luce dorata dell’unico anello, l’idea di unità potrà essere meglio compresa anche per quanto riguarda la nostra avventura Goum.

Nel nostro mondo contemporaneo, l’unità è diffi cile da trovare (I) e proprio in questo contesto, i Goum sono un mezzo per ritrovarla (II).

I. L’unità perduta del nostro mondo

Attualmente l’unità è rarissima da vivere nel quotidiano delle nostre esistenze, an-che se, d’altra parte, si manifesta insidio-samente un pericoloso tentativo di unifi ca-zione.

A. L’assenza di unità fi sica nell’edo-nismo e di unità intellettuale nel re-lativismo

Il Goum è un mezzo per ritirarsi, tempo-raneamente e volontariamente, dal mondo. Possiamo così rivolgere uno sguardo più perspicace su noi stessi, sugli altri e sul mondo. Fra le grandi tendenze contem-poranee, c’è anche quella dell’edonismo, della ricerca del piacere per se stesso, da dissociare con cura dall’autentica ricerca di felicità. Il corpo allora si trova a essere diviso. Michel QUOIST lo spiega in Réussir (Riuscire):

« L’uomo atomizzato è quello la cui sen-sibilità è esasperata ; l’emotività, la sen-sibilità, l’immaginazione sono spaventate ; tutte le sue facoltà sono indiciplinate e agiscono senza più controllo, cercando ognuna per conto suo di che nutrirsi al di fuori delle leggi dello spirito e dell’ideale. Si tratta di una vera e propria esplosione e dispersione di ciò che costituisce l’essere

L’unità nel Goum alla luce del Signore degli Anellidi Antoine Ravel d’Esclapon

Unità è una parola strana. Sembra respiri una certa neutralità, la freddezza della scienza, per esempio nell’espressione « unità di misura ». Ma questa pa-rola evoca anche l’armonia, la coerenza, l’omogeneità, la completezza, tutti va-lori connotati positivamente. L’unità potremmo defi nirla come la caratteristica di ciò che è o forma una cosa sola, un tutto sostanziale e coerente, oppure anche ciò che sta insieme.

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profondo dell’uomo. Non c’è più uomo ». Nel Signore degli Anelli, gli Orchi, ad esem-pio, sono creature spaventose, trasformate in macchine da guerra. In origine, erano Elfi mutilati. Così la Creazione è stata sfi -gurata nella sua unità originaria per essere brutalmente strumentalizzata a servizio del male.

Sul piano intellettuale, è molto di moda oggi pensare che tutte le opinioni hanno lo stesso valore, a scapito quindi di qualsiasi unità. Questa ideologia del relativismo vie-ne presentata come suprema tolleranza, dal momento che nessun confl itto può nascere tra persone che, pur avendo idee diverse, accettano di considerarle di uguale valore e quindi di non imporre nulla agli altri. Non c’è più nulla di fondamentale in bene o in male, di fondamentalmente buono o cat-tivo, ma tutto è questione di punto di vista personale. Per alcuni, l’aborto sarebbe un bene, per altri un male. Lasciamo ognuno libero di considerarlo come meglio crede! Tale ideologia si pensa ineluttabilmente contraria a ogni autentica verità. Pensare che chiunque possa avere la sua verità re-lativa e temporanea signifi ca alla fi ne ne-gare qualsiasi verità assoluta e defi nitiva che però, imponendosi a tutti, creebbe l’unità.. Paradossalmente, i partigiani del relativismo non tollerano altri punti di vis-ta, diversi dal loro... E questo paradosso o contraddizione mostra l’ignominia profon-da di tale ideologia abbietta. Ma ben oltre una questione di retorica, questo modo di vedere mette in dubbio l’unità della realtà e

della verità per illudersi in verità e in realtà che sono pure e semplici proiezioni dei de-sideri di ognuno, riconducibili a una certa irrazionalità .

B. La corruzione dell’unità nell’as-servimento

Nella trama del Signore degli Anelli, l’anello unico è tale perchè: « Tre Anelli per i re degli elfi sotto il cielo, Sette per i signori nani nelle loro dimore di pietra, Nove per gli uomini mortali destinati a trapassare, Un Anello per il Signore tenebroso sul suo trono oscuro, nel paese di Mordor dove si allungano le ombre, Un Anello per gover-narli tutti, Un Anello per troverli, Un Anel-lo per condurli tutti quanti e legarli insie-me nelle tenebre ». Come a dire che l’anello realizza l’unità asservendo a sé tutti quanti. La potenza nefasta dell’anello consiste nel distruggere tutti quegli elementi che carat-terizzano l’identità di ciascuno e, attraver-so questa mutilazione, ci rende tutti simili gli uni agli altri in maniera artifi ciale, dal momento che non c’è più nulla che ci dif-ferenzi (paese, lingua, religione, cultura, famiglia, coppia, identità sessuale...).

A proposito di questo sotterfugio del Ma-ligno, in un settore limitato ma signifi cativo della nostra epoca, il matrimonio ad esem-pio viene distrutto dall’interno snaturan-dolo e dall’esterno con il concubinato. La sessualità viene distrutta dall’interno con la negazione della elementare determina-zione sessuale (ideologia detta del gender), e dall’esterno con la liberalizzazione dei

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costumi ; la patria viene distrutta dall’in-terno con la negazione di qualsiasi iden-tità nazionale e dall’esterno è dissolta nella mondializzazione. La cultura è distrutta dall’interno con la falsifi cazione ideolo-gica e dall’esterno con il fuggevole scin-tillio dell’informazione mediatica. La fede è distrutta dall’interno con la tentazione della tolleranza senza limiti e dall’esterno con il materialismo ateo. La decostruzione propria della post-modernità è totale e as-soluta. Cerca di distruggere la persona per farne solo un individuo continuamente interscambiabile all’interno di relazioni puramente mercantili, un individuo come produttore o come consumatore. La per-sona umana diventa una pura e semplice « unità » come un’unità di misura. Mille persone uguale a mille altre persone, quan-do sono diventate – come, nel racconto, i cavalieri serventi dell’Anello – cioè degli spettri interiormente svuotati di ogni sos-tanza, dignità o personalità.

Un Goum può essere un effi cace rimedio a questa situazione, e sembra fatto per res-taurare la nostra unità.

II. L’unità restaurata nel Goum

Il Goum è una pedagogia che si fonda su alcuni principi e un’esperienza di grande semplicità. Il Goumier vi trova in partico-lare l’unità in se stesso e poi l’unità della comunità.

A. L’unità della persona

Nel Goum, ci troviamo in un ambiente, spaziale e temporale, di grande semplicità : è una marcia di una settimana, di bivacco in bivacco, in una regione desertica dal vasto orizzonte. Lo spazio, ad esempio, fa l’unità, poiché i limiti, le frontiere, le pe-riferie non esistono più e noi stiamo in un continuum tra marce e bivacchi. Allo stesso modo anche il tempo del Goum è uno poi-ché rifi utiamo tutto ciò che segna gli orari. Viviamo l’attimo presente in maniera fl es-sibile e distesa. E ciò contribuisce a creare un’unità interiore, una coerenza tra quanto

facciamo, quanto diciamo e quanto pen-siamo. Anche rispetto alle apparenze, il Goumier non si nasconde dietro le illusioni dell’apparenza cosmetica o sociale, per-ché il deserto lo porta a essere se stesso. L’assenza di gioielli o il silenzio volontario sulla propria professione permettono di rifare l’unità attorno a qualcosa di diverso dall’apparenza illusoria secondo un confor-mismo collettivo più o meno cosciente.

L’unità è percepibile ovunque per colui che cerca di osservarla e, in particolare, si trova nella nostra relazione con Dio. Dio, ad esempio, non si esprime con delle pa-role, ma con una Parola, il suo Verbo fatto carne. Un altro esempio è quello del pro-feta Geremia che riceve la sua missione con questa espressione : « la parola di Yhwh mi fu rivolta in questi termini » (Ger 1, 4), an-che se l’annuncio può accadere in più volte « una seconda volta mi fu rivolta la parola di Yhwh » (Ger 1, 13). L’unità della Parola plasma in modo luminoso il fi glio di Dio che c’è in ogni persona umana, nell’unica per-sona di Cristo pane spezzato nelle nostre eucaristie Goum. L’unità nella verticalità di questa relazione sfocia nell’orizzontalità della relazione con i miei fratelli e sorelle Goumier. Vi ritroviamo la struttura della Croce e, nell’unità, noi stiamo al centro di essa.

B. L’unità della comunità

Nel Signore degli Anelli, l’idea di comu-nità è forte, naturalmente innanzitutto con « La comunità dell’anello », titolo del primo dei tre libri che formano il racconto. La comunità è composta da tutti i popoli (uomini, hobbit, elfi e nani) : ci sono quindi grandi differenze fi siche e culturali oltre a forti personalità. Ma la comunità fonda la sua unità proprio sullo scopo comune di proteggere il portatore dell’anello nella sua missione che sarà utile a tutto il mondo libero. Ognuno, forte o debole che sia, ha il suo posto. In particolare : « Almeno per un tempo, disse Elrond, bisogna prendere questa strada, ma sarà durissima da per-

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correre. E né la forza né la saggezza po-tranno portarci lontano. I deboli possono tentare questa impresa con le stesse spe-ranze di riuscire dei forti. E accade spesso la stessa cosa anche per gli atti che muo-vono le ruote del mondo: a compierli, sono mani molto piccole e lo fanno perché è loro dovere, mentre gli occhi dei Grandi sono rivolti altrove ».

Nel Goum, formiamo una comunità. Ognuno è ricco della propria persona-lità e non l’annulla, anzi l’approfondisce nel servizio degli altri. Una voce d’oro, ad esempio, darà la nota di un canto e un’al-tra voce d’oro indicherà qui e là la strada da percorrere. La djellaba che portiamo, gli zaini allineati, i bidoni d’acqua o i Goumier che dormono a stella cullati dalla volta ce-leste sono segni visibili dell’unità ritrovata. Basta che l’uno o l’altro trasgredisca la re-gola per un falso motivo e l’unità è perduta : uno ha troppo caldo per portare la djella-ba, un altro ha troppo freddo per dormire fuori, un altro ancora ha troppo fame per non portarsi dietro le barrette energetiche. Oppure – ed è cosa più grave – se un Lan-

ciatore invia al tesoriere dei Goum solo una parte delle quote... L’unità muore sotto gli egoismi individualisti di ciascuno. Eppure siamo chiamati a essere in comunione, sia mistica che fi sica, e lo siamo solo nella misura della libera adesione di ognuno al destino comune, a una realtà che ci pre-cede e che è una per natura, assoluta per estensione, defi nitiva per eternità, totale per spazio, infi nita per dimensioni e ultima per fi nalità.

Durante il Goum, cerchiamo di offrire ai Goumier il senso profondo e auten-tico dell’unità attraverso la pedagogia dell’esempio a ogni istante. Essere uno con se stessi e con il prossimo è un’esigenza assoluta per chi vuol essere un vero disce-polo del Signore, per camminare verso la Gerusalemme celeste : « Gerusalemme, è costruita come città unita e compatta ! » (Sal122 (121), 3)

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Nel famoso libro di Italo Calvino « La città invisibile », c’è un dialogo tra il Gran Khan e Marco Polo, dialogo

nel quale quest’ultimo descrive una città fantastica e misteriosa che ha visitato du-rante il suo lungo viaggio. Il Gran Khan è molto curioso e gli chiede di continuare il racconto dandogli maggiori dettagli e infor-mazioni. È particolarmente avido di preci-sioni. Allora Marco Polo gli descrive il ponte e la curva dell’arco che sostiene le pietre. Il Gran Khan insiste : « Perché mi parli tanto della curva ? Io mi faccio domande sulle pietre, invece ». Marco gli spiega: « Senza l’arco, il ponte non starebbe su ». Dopo un lungo momento di rifl essione silenziosa, il Gran Khan conclude : « Certo ! Ma senza la pietra, l’arco non esisterebbe… »

Questo breve dialogo riassume perfet-tamente una delle questioni fondamentali che l’uomo deve affrontare ogni volta che , prima di lanciarsi in una grande impresa, comincia a ragionare sulle relazioni fra il fi ne e i mezzi. Ne abbiamo tutti l’esperien-za : quando ci lanciamo nella piccola ma straordinaria avventura di un raid Goum, la nostra prima preoccupazione è quella di cercare i mezzi materiali necessari alla riuscita dell’operazione. Chi di noi non ha conosciuto una certa ansia per trovare le djellabas, i bidoni dell’acqua, le tappe del percorso, per stampare i libretti dei canti (chantiers dans l’original: erreur ?) o per andare in cerca di qualche esperto Gou-mier ? Certo, si tratta di elementi indis-pensabili senza i quali il raid non potrebbe esistere, Però l’organizzazione materiale –

per quanto effi cace essa sia - non basta a fare un raid !

Queste operazioni preliminari possono essere paragonate al trasporto di una gros-sa quantità di pietre sulla riva di un fi ume. L’ingegnere che vuol costruire un ponte sa bene che la vera e propria impresa comin-cia solo dopo. Per questo ha bisogno di un progetto, di un’idea forte che gli permetta di disporre tutte queste pietre in un certo ordine senza il quale sarebbero ammuc-chiate in un ammasso informe [Potremmo fare la stessa osservazione a proposito della costruzione di un altare di pietra ndr]. Un raid Goum perciò si realizza quasi da solo [non c’è da è da augurarselo! ndr], basta prevedere un itinerario, delle tappe, un orizzonte all’interno del quale le giornate di marcia prendano pian piano il loro signi-fi cato e, passo dopo passo, ci rendano più comprensibile il senso di una stanchezza la quale, altrimenti, potrebbe sembrarci im-motivata e perfi no assurda.

Un po’ di tempo fa, ho avuto la fortuna di potermi fermare a lungo di fronte all’ab-bazia di Sant’Antimo osservandone la fac-ciata. Ci si accorge allora che il portico non è del tutto terminato e lascia intravedere alcune pietre ancora allo stato grezzo, non lavorate. Un fatto del genere nulla toglie alla bellezza di un capolavoro del gotico francese costruito nel cuore nascosto della Toscana.

Ma questa sorta di frattura mi ha spesso fatto rifl ettere sull’origine e sul segreto di una bellezza scaturita da materiali tanto

L’arco, la pietra e l’Amoredi Roberto Cociancich

Nella rivista Bivouac della Pentecoste 1998, il nostro vecchio Goumier Roberto sottolineava che non si può costruire un ponte senza saper traccaiare un arco con la pietra. Non è forse la vocazione del Lanciatore quella di offrire in pros-pettiva l’unità stessa di un Goum?

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poveri e semplici… Chi cerca il segreto della bellezza solo nei materiali con cui è stata costruita l’abbazia senza conoscere il motivo per cui sono stati messi così uno so-pra l’altro, fatalmente si troverà un giorno di fronte a un mucchio di pietre fumanti di cui nulla più dirà l’antica bellezza.

Chi cerca il segreto di tale bellezza nei vecchi disegni o nei progetti dell’architetto dell’epoca, forse può avvicinarsi un po’ di più al mistero della bellezza di una grande abbazia, ma non riesce a penetrarlo fi no in fondo… Il segreto di Sant’Antimo (come di tutte le grandi cattedrali) non sta solo nel suo disegno o progetto architettonico, ma in un terzo elemento che sfugge anche ai computer più sofi sticati i quali, come ben sappiamo, non sono mai riusciti a creare una cattedrale degna della nostra ammira-zione. Occorre assolutamente un terzo fat-tore : umano, unico ed esclusivo.

È il fattore dell’armonia, del ritmo, del potere di mettere insieme, di unire e fon-dere i materiali, le forze, le idee che danno all’opera un aspetto nuovo, mai visto e che non si vedrà mai più con questi stessi ele-menti. Per giungere fi n qui, occorre chia-ramente conoscere a fondo i materiali, le tecniche di costruzione, le regole estetiche. Occorre una visione intellettuale, razionale, meditata e maturata, del movimento come della statica. È perfi no necessario, in un certo senso, lasciar parlare il proprio cuore, i sogni, e direi anche il proprio amore per le pietre nascoste che costituiscono le fonda-menta della costruzione. Ma, in realtà, l’ar-chitetto ama profondamente le pietre della cattedrale non per la loro natura di pietre, ma per ciò che queste pietre potranno di-ventare ed esprimere una volta tagliate e scolpite, una volta che avranno trovato il loro posto previsto nell’edifi cio.

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Così anche un Lanciatore di raid non è solo un tecnico dei materiali e neppure un ingegnere. Innanzitutto è un uomo che ama le persone con cui cammina per strada, che ama i paesaggi che attraversa, le pietre che calpesta, il legno di cui si serve per accen-dere il fuoco e gli ingredienti che usa per cucinare. Ciò che conta per lui è unire tutti questi elementi, dar loro un senso, un’ar-monia, un ideale di bellezza. Il segreto pro-fondo sta nel ritmo di tutte queste attività Goum : un ritmo che stia a uguale distanza dall’indolenza e dall’attivismo frenetico, che colga ogni cosa nella sua bellezza sin-golare e che riesca a fare di tutte in un ma-gnifi co coro.

Per questo allora, il Vecchio Goumier si all’alza all’alba, non solo per contemplare le stelle (stelle che vede, comunque !) ma per preparare l’alba di un nuovo giorno e per accendere il fuoco (ma non solo per

quello…) e per preparare la colazione (ma neppure soltanto per quello)… capite ! L’importante, alla fi ne, è riuscire a trovare il tempo per guardare i propri compagni, (anche quelli che sono stanchi, hanno i piedi rovinati o brontolano un po’…). Guar-darli e far loro capire la profondità dell’ami-cizia e dell’amore che nutriamo per loro, e non solo per ciò che sono attualmente, ma per ciò che possono diventare… di grande, anche se, per il momento, non credono di poter essere ciò che sono.

Nessuno può costruire un ponte senza saper tracciare un arco con le pietre. Ma è solo se amiamo la pietra e l’arco che quel ponte diventerà una costruzione destinata a unire qualcosa di molto più importante che non due rive …

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Dans le livre fameux d’Italo Calvino « La cité invisible », on trouve un dia-logue entre le Grand Khan et Marco

Polo, dans lequel celui-ci décrit la cité fan-tastique et mystérieuse qu’il a visité pendant son long voyage. Le Grand Khan est très curieux et il lui demande de continuer son récit en lui donnant plus de détails et d’in-formations. Il est particulièrement avide de précisions. Marco Polo lui décrit alors le pont et la courbe de l’arc qui soutient la pierre. Le Grand Khan insiste : « Pourquoi me parles-tu tant de la courbe ? C’est au su-jet de la pierre que je m’interroge. » Marco explique : « sans l’arc, le pont ne pourrait pas se soutenir ». Après un long temps de réfl exion en silence, le Grand Khan conclut alors : « Assurément ! Mais sans la pierre, l’arc n’existerait pas… »

Ce bref dialogue résume bien l’un des thèmes fondamentaux que l’homme doit affronter chaque fois qu’avant de se lancer dans une grande entreprise, il commence à raisonner sur les relations entre la fi n et les moyens. Nous en avons tous l’expérience : quand on se lance dans cette petite mais ex-traordinaire aventure qu’est un raid Goum, notre première préoccupation est de cher-cher les moyens matériels nécessaires à la réussite de l’opération. Qui d’entre nous n’a pas connu quelques anxiétés pour trou-ver djellabas, jerricans, étapes du parcours, pour éditer le carnet de chantiers ou pour recruter quelques Goumiers expérimentés ? Il est hors de doute que ce sont là des élé-ments indispensables, sans lesquels le raid ne pourrait pas exister. Il ne suffi t pas pour

autant d’une organisation matérielle, si ef-fi cace soit-elle, pour faire un raid !

Ces opérations préliminaires sont com-parables au transport d’un grand nombre de pierres sur la rive d’un fl euve. L’ingé-nieur qui veut construire un pont sait très bien que c’est alors, et alors seulement, que commence la véritable entreprise. Il a donc besoin d’un projet, d’une idée forte qui lui permette de mettre toutes ces pierres en ordre, pierres qui autrement crouleraient dans un tas informe. [Nous pourrions avoir la même réfl exion pour la construction d’un autel en pierres. Ndlr]. Ainsi un raid Goum se réalise presque tout seul [ce qui n’est pas souhaitable, ndlr], à condition de prévoir un itinéraire, des étapes, un hori-zon à l’intérieur duquel les journées de rou-te prennent peu à peu leur signifi cation et, pas à pas, nous rendent plus compréhensi-ble le sens de notre fatigue qui, autrement, pourrait nous sembler sans raison et même absurde.

J’ai eu la chance, il y a quelques temps, de pouvoir m’arrêter longuement devant l’abbaye de Sant Antimo et d’en observer la façade. On s’aperçoit alors que le por-che n’est pas tout à fait terminé et laisse entrevoir quelques pierres encore à l’état brut, non travaillées. Ce fait n’enlève rien à la beauté de ce chef d’œuvre du français gothique qui a été construit au cœur caché de la Toscane.

Mais cette espèce de fracture m’a fait souvent réfl échir à l’origine et au secret de cette beauté, qui tient à des matériaux

L’arc, la pierre et l’Amourpar Roberto Cociancich

Dans la revue Bivouac de la Pentecôte 1998, notre vieux Goumier Roberto sou-lignait que l’on ne peut construire un pont sans savoir tracer un arc avec la pierre. N’est-ce pas là la vocation du Lanceur qui permet ainsi de mettre en perspective l’unité même d’un Goum…

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si simples et si pauvres… Celui qui cher-cherait le secret de la beauté dans les seuls matériaux avec lesquels a été construite l’abbaye et sans connaître pourquoi on les a empilés se trouverait fatalement en face d’un tas de pierres fumantes dont rien ne pourrait dire l’antique beauté.

Celui qui chercherait le secret de la beau-té de cet édifi ce dans les vieux dessins ou dans les plans de l’architecte de l’époque pourrait peut-être approcher un peu plus du mystère de la beauté de cette grande ab-baye, mais il ne réussirait pas à le pénétrer jusqu’au fond… Le secret de Sant Antimo (et de toutes les grandes cathédrales) ne réside pas seulement dans son dessin ou dans son projet architectural, mais dans un troisième élément qui échappe même aux ordinateurs les plus sophistiqués, qui n’ont jamais, comme on sait, réussi à créer une cathédrale digne de notre admiration. Il y faut absolument un troisième facteur, hu-main, unique et exclusif.

C’est le facteur de l’harmonie, du rythme, du pouvoir d’assembler, d’unir et de fondre les matériaux, forces et idées qui confèrent à l’œuvre un aspect nouveau qu’on n’a jamais vu et qu’on ne verra ja-mais plus avec ces éléments. Pour en arri-ver là, il faut évidemment connaître à fond les matériaux, les techniques de construc-tion, les règles de l’esthétique. Il faut une vision intellectuelle, mûrement réfl échie et rationnelle, du mouvement et du statique. Il est même nécessaire, d’une certaine ma-nière, de laisser parler son cœur, ses rêves et, dans un certain sens, son amour pour les pierres cachées qui constituent les fondations de la construction. Mais, en réalité, l’architecte aime profon-dément les pierres de la cathédrale, non à cause de leur nature de pierre, mais pour ce que ces pierres pourront devenir et exprimer lorsqu’elles auront été taillées, sculptées et qu’elles auront trou-vé leur place prévue dans l’édifi ce.

Ainsi, un Lanceur de raid n’est pas seulement un technicien des matériaux ni

même… un ingénieur. Il est avant tout un homme qui aime les personnes avec qui il marche sur la route, qui aime les pay-sages qu’il traverse, les pierres qu’il foule à ses pieds, le bois dont il se sert pour al-lumer le feu et les ingrédients qu’il utilise pour la cuisine. Ce qui compte pour lui, c’est d’unir tous ces éléments, de leur donner un sens, une harmonie, un idéal de beauté. Le secret profond réside dans le rythme de toutes ces activités Goums : un rythme, loin de l’indolence ou de l’activis-me frénétique, qui cueille les choses dans leur beauté singulière et qui parvient à les transformer en un chœur magnifi que.

Ainsi donc, le Vieux Goumier se lève à l’aube, non seulement pour contempler les étoiles, (étoiles qu’il voit quand même !) mais pour préparer l’aube d’un jour nou-veau et pour allumer le feu (mais pas seule-ment pour cela…) et pour préparer le petit déjeuner (mais pas seulement non plus)… vous comprenez ! L’important, en fi n de compte, c’est de réussir à trouver le temps de regarder nos compagnons, (même ceux qui sont fatigués, qui ont les pieds abîmés ou qui râlent un peu…). De les regarder et de leur faire comprendre la profondeur de l’amitié et de l’amour que nous leur portons, non seulement pour ce qu’ils sont présentement, mais pour ce qu’ils peuvent devenir… de grand, même si, pour l’instant, ils ne croient pas pouvoir être ce qu’ils sont.

Personne ne peut construire un pont sans savoir tracer un arc avec des pierres. Mais c’est seulement si nous aimons la pierre et l’arc que le pont deviendra une construc-tion destinée à unir quelque chose de bien plus important que deux simples rives…

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La Giordania non è certo ai primi posti nella classifi ca delle destinazioni tu-ristiche e quando si parla di terra

Santa, si pensa sempre e solo alla parte a ovest del Giordano ; eppure…

Eppure, ciò che formava la Transgiorda-nia già prima dell’indipendenza del regno hashemita (22 marzo 1946 con la fi ne del mandato britannico sulla parte transgior-dana della Palestina mandataria) è proprio la terra dell’esodo del popolo ebraico (Deu-teronomio, Numeri, Giosuè) la terra che ha visto morire Mosè, la terra del battesimo di Cristo, la terra delle prime comunità cris-

tiane sorte al di fuori della Palestina.

Le ricerche archeologiche, principal-mente nel secolo scorso, hanno permesso di portare alla luce numerose vestigia dell’epoca antica greco-romana, con un nu-mero impressionante di chiese, ma anche con tracce della media età del bronzo verso il 1500 a.C., cioè all’epoca di Mosè.

La storia dell’esodo si svolge nel sud del paese. Infatti, dopo aver attraversato il « mar rosso » il popolo ebraico è risalito, prima verso il nord – verso nord-est per ag-girare i regni di Moab e di Edom e poi verso

Camminare in Terra Santa, sui passi di …Mosè E dei primi cristianidi Etienne du Fayet de la Tour

Dopo aver trascorso quattro mesi in Giordania per motivi professionali, mi è venuta voglia di tornare un po’ indietro a farvi scoprire questo paese e questa esperienza e - perché no ? - farvi così venir voglia di lanciare un raid proprio lì.

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nord fi no ad arrivare al Monte Nebo, a una decina di chilometri dall’antica città di Ma-daba. Come non desiderare di immergersi in questa storia percorrendo l’attuale strada del re ? In un certo qual modo, la Giorda-nia ha ancora la fortuna di non aver subito gli assalti della modernità e del turismo. Le distese ocra e rosa dell’altopiano giordano sono un invito permanente alle marce di lungo corso durante le quali si torna in-dietro di 3000 anni in un batter d’occhio !I beduini incontrati qua e là credo non vi-vano in ma-niera molto diversa da allora. Poi ci si immerge in un wadi dai rilievi sorprenden-ti per sco-prirvi zone verdeggian-ti, un po’ di frescura e di umanità, in mezzo a un universo mi-nerale. Infi -ne, il Monte Nebo si offre al pellegrino con la sua ve-duta sulla valle del Giordano, su Gerico e la Terra Santa. E là, naturalmente, ci si sente portati a meditare sulla fede. Immaginare Mosè che, a 120 anni dopo avere per anni sopportato l’impazienza, l’infedeltà e l’in-disciplina del popolo ebraico, ha dovuto fermarsi sulla soglia per aver egli stesso mancato di fede nel momento in cui doveva far sgorgare l’acqua per il popolo assetato ! E la mia fede, allora, com’è ? Sono vivo nella fede ? Io che… ci sono caduto dentro da piccolo, che fi ducia accordo a Dio ? Sono davvero capace di abbandonargli la mia sorte oppure ho sempre bisogno di una piccola sicurezza che mi leghi alla terra ?

Io così pieno di certezze dogmatiche, sono capace anche di credere che mi concederà ciò che gli domando ?

Per fortuna possiamo consolarci scen-dendo per la strada sinuosa che conduce a quella Betania oltre il Giordano dove Gio-vanni Battista ha battezzato suo cugino Gesù. Rifl ettendoci, papa Francesco ha pro-prio ragione : anche a me piacerebbe ricor-darmi la data del mio battesimo ! Il fi ume non scorre più nel luogo esatto del battesi-

mo di Cristo così com’è stato iden-tifi cato, ma q u a l c h e decina di metri più in là ci si può immergere, di fronte alla sponda israe l iana dove si trova un luogo pre-parato per i battesimi per immer-sione, sotto la vigilanza delle guar-

die di frontiera armate che da entrambe le rive si osservano come cani e gatti.

Pensando a Giovanni Battista, non di-menticheremo di lasciare la strada princi-pale per recarci a Macheronte, antica piaz-zaforte di Erode e luogo della decollazione del Precursore.

Del resto, a Madaba la chiesa della decol-lazione ci ricorda questo evento. La messa in arabo in quella parrocchia è piena di fer-vore !

La storia di Madaba è decisamente ori-ginale. Già citata nella Bibbia, è stata una città fi orente in epoca romana, bizantina e

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omayyade. Distrutta poi dal terremoto del 746, cadde nell’oblio fi no al 1880 quando alcune famiglie cristiane emigrarono da Kérak, in seguito a una lite tribale. Le fa-miglie si sistemarono allora nel luogo dove restavano delle pietre da costruzione già squadrate e cominciarono a costruire le loro case.

I dintorni di Madaba, quali il Monte Nebo, Khirbet Al Mukhayyat, Um Al Ras-sas più a sud e ancora altri siti meno co-nosciuti, conservano numerosi tesori di quell’arte dei mosaici che innalza Madaba al rango di capitale del mosaico al pari di Ravenna. La città possiede il più grande mosaico circolare del mondo, sul pavimen-to della chiesa della Vergine. Rappresenta una personifi cazione del mare, Thalassa.

Il mosaico più visitato di Madaba è la Carta di Palestina, sul pavimento della chiesa di San Giorgio. Risale al VI sec. d.c. e costituisce la rappresentazione di riferi-mento per i siti antichi e per la topografi a di quella regione formata da Giordania, valle del Giordano, Mar Morto e Palestina come anche per la città di Gerusalemme.

Ma tutto ciò non deve farci dimenticare che, effettivamente, le prime comunità cristiane sono venute ad abitare in queste contrade vicine a Israele. In tutto il paese, non c’è un solo sito archeologico che sia privo delle tracce di parecchie chiese, più o meno ricche di mosaici, tra le quali, la più antica e la più bella, è forse la chiesa di San-to Stefano a Umm ar Rasas, un sito dichia-rato patrimonio dell’UNESCO, ben lontano dall’esser stato totalmente esplorato dagli archeologi. Quella che, dai Giordani, è considerata come la più vecchia chiesa del mondo, si trova nel nord della Giordania, a Rihab nel distretto di Mafraq. Si tratta della chiesa di San Giorgio vittorioso e ri-sale al 230, mentre la sua catacomba è del periodo tra il 33 e il 70. Pare che i cristiani siano venuti a rifugiarvisi fuggendo dalle prime persecuzioni. Infi ne, risalendo verso il nord, si giunge alla bella città di Umm

Qais, costruita nel luogo dove sorgeva l’an-tica cittadina di Gadara. La città fu chiama-ta anche Antiochia e faceva parte delle città della Decapoli. Le sue rovine sono più sor-prendenti ancora di quelle di Jerash (l’an-tica Gerasa, altra città della Decapoli),per via delle loro pietre nere e bianche. I van-geli sinottici (a seconda delle traduzioni) esitano tra Gadara e Gerasa come luogo del miracolo del branco di porci nei quali Gesù scacciò i demoni espulsi da un indemo-niato: il branco di maiali in cui si rifugia-rono fu poi precipitato nel mare. Il mare di cui si parla è il lago di Tiberiade che si trova a parecchi chilometri da lì ! Comunque, da questo bel posto si può vedere l’altopiano del Golan e, quando il cielo è limpido, an-che il algo di Tiberiade e perfi no il monte Tabor !

Ma torniamo nel sud della Giordania per-ché descrivere questo paese senza evocare il Wadi rum sarebbe come parlare di un diadema dimenticando uno dei suoi gioielli ! Larghe vallate sabbiose da cui emergono letteralmente delle montagne dai picchi maestosi di colori che vanno dal giallo chiaro al nero intenso con una dominante di rosso. Inutile provare a dire quali colori infuocati si rivelino al tramonto prima di spegnersi sotto il cielo puro della notte, con la via lattea più bella che mai. Capiamo perché a Lawrence d’Arabia questa zona sia piaciuta e ci lasciamo andare a immaginare i magi che passarono di qui sulla via verso Betlemme.

Davvero in Giordania c’è tutto per un pellegrinaggio o un raid sui passi della fede ! Tanto più che la libertà religiosa qui viene rispettata; e in certi luoghi, il suono delle campane risponde alla voce del muezzin.

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La bussola interiore, garanzia dell’unità ritrovatadi Maria-Gioia Fornaretto

Traduit de «La Croce del Sud», année 13, numéro 39, Épiphanie 2011

Noi, di solito, quando diamo indi-cazioni in città diciamo: “Al primo semaforo a destra, prosegui fi no

alla rotonda e poi prendi la terza uscita” e così via…

Mi sono fermata a pensarci quando un collega mi ha raccontato di popoli che de-fi niamo primitivi e che vivono in zone de-sertiche: il loro orientamento è basato sui punti cardinali: Nord, Sud, Est, Ovest. Un modo di concepire lo spazio talmente ra-dicato in loro che non viene meno neppu-re quando sono in ambienti chiusi. Sanno sempre dove si trovano rispetto al Nord come se avessero una bussola interiore, e si riferiscono ad esso persino tra le pareti di una casa. E pensare che io, se vengo in-terrogata a bruciapelo, non so dove sia il Nord quando sono all’esterno, fi guriamoci al chiuso!

Una tale aderenza al sistema magnetico terrestre può apparire impossibile, ma immagino che, abituandosi fi n da piccoli, essa diventi una parte integrante del siste-ma percettivo, come può essere per i mu-sicisti l’orecchio assoluto, per cui sanno esattamente dove è un suono nella scala musicale.

Il racconto del mio collega, che può ap-parire solo una stravagante curiosità etno-antropologica, ha suscitato in me una se-rie di rifl essioni sul nostro rapporto con lo

spazio e con la vita in generale. Mentre noi ci muoviamo rispetto a dei punti di riferi-mento relativi, queste popolazioni hanno dei riferimenti “assoluti”.

Mentre noi mettiamo al centro del nos-tro camminare noi stessi e ciò che abbia-mo costruito, loro si pongono in un siste-ma molto più grande, il quale, tra l’altro è condiviso da tutti.

Mentre noi siamo persi se vengono a mancare i piccoli segnali che utilizziamo (basta che devino una strada e anche il navigatore va in confusione!), loro sanno sempre dove sono e dove vogliono anda-re.

Mi chiedo se questi atteggiamenti ri-mangano riferiti solo all’orientamento nello spazio o se, alla fi ne, coinvolgano anche altre sfere dell’essere nel mondo, per arrivare alla concezione di esistenza stessa.

Mi chiedo quali siano i nostri punti di riferimento della vita: sono relativi all’io, al dove mi trovo adesso e fi no al prossimo incrocio? Oppure sono assoluti, indipen-denti dal mio stato attuale e validi per tutti coloro con i quali condivido il mio cammi-no (che possano riconoscerlo o meno)?

Nel Goum almeno ci proviamo ad orien-tarci con la bussola e pensando ai punti cardinali: questo è uno dei tanti insegna-

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menti dei raid. La scarsa abitudine pe-raltro ci costringe a individuare punti di riferimento noti e a cercare sulla carta. È facile perdersi altrimenti, ma pian piano si impara, e già alla fi ne della settimana ca-pita di avere la consapevolezza di dove sia il Nord, anche senza guardare.

Nel Goum dichiariamo Gesù il nostro punto cardinale: colui la cui parola e i cui gesti sono le parole e i gesti con i quali ci confrontiamo per scegliere il nostro cam-mino nella vita. Anche di questo aumenta la consapevolezza nella settimana del raid, al punto che spesso la si porta con sé una

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volta tornati a casa.

Nella vastità del cammino fi sico dun-que si afferma poco a poco un sistema di riferimento molto più ampio del nos-tro sguardo. Occorre poi esercitarsi nella quotidianità, orientandoci con l’assoluto

pure nei piccoli passi che dirigono i nostri giorni “normali”, per vivere con la bussola interiore che ci permette di muoverci sen-za esitazioni nella vita. Ed ogni tanto, se ci perdiamo, si può pregare che ci guidi una stella apposta per noi!

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Revue irrégulodomadaire – Dépôt légal en cours. Supplément gratuit à A La Belle Etoile. Edité par Groupes de plein air, association agréée. Président : Didier Rochard. Directeur de la publication : Christophe Robin. Rédacteur en chef : Michel David. Ont collaboré à ce numéro : Michel David, Michel Menu, Stéphane de Saint Al-bin, Christophe Courage, Antoine Ravel d’Esclapon, Roberto Cociancich, Etienne du Fayet de la Tour, Maria Gioia FornarettoAbonnements à A La Belle Etoile : Christophe Robin, 17 Lotissement Saint-Pierre - 82200 Moissac. 2 ans - 8 numéros - 20 euros (par chèque à l’ordre de GPA)Contact : [email protected]