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di ETTORE GUERRERA Centro Europe Direct LUPT Università degli Studi di Napoli Federico II Co-Direttore del Coordinamento di Settore “Politiche agricole, sicurezza alimentare, aree rurali” Centro Studi sulla Biodiversità Alimentare LUPT - Università degli Studi di Napoli Federico II Biodiversità e dieta mediterranea tra agricoltura e patrimonio culturale immateriale

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di ETTORE GUERRERA

Centro Europe Direct LUPT Università degli Studi di Napoli Federico II Co-Direttore del Coordinamento di Settore “Politiche agricole, sicurezza alimentare, aree rurali” Centro Studi sulla Biodiversità Alimentare LUPT - Università degli Studi di Napoli Federico II

Biodiversità e dieta mediterranea tra agricoltura e patrimonio culturale immateriale

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Abstract In the last century, thousands of animal races and vegetal varieties have disappeared, and they contributed to satisfy the food needs of populations. This trend is dangerous for the stability of agro-ecosystems and for the agricultural productive systems. The protection of biodiversity is a crucial issue for nature stability, food safety and tutelage of local resources and the rural communities that cultivate them: they have been seen their rights as acknowledged by FAO Treaty only in 2001, through the protection of the traditional knowledge linked to autochthonous agricultural resources and the right to equally participate to the distribution of the advantages, deriving from their use.Agriculture and environment are indissolubly linked. Investing in biodiversity in a globalised system allows to provide for agricultural enterprises a bigger competitiveness, building an economy hinged on the worth of the Italian food great quality.Besides the food value, the intrinsic worth of Mediterranean Diet is linked to the territory and to the biodiversity, because it allows to choose among varieties of the same product, identifying the nutritionally best products, and to fight against the cultural standardisation. Moreover, Mediterranean Diet represents a sort of sustainable development for all the Mediterranean Countries, due to the economic and cultural incidence which the food owns in the whole Region, and to the capacity to inspire a sense of continuity and identity for local population, representing a nutritional model and a model of aggregation and social cohesion which is bequeathed by generations.

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Nell’ultimo secolo sono scomparse in Europa migliaia di razze animali, specie e varietà vegetali che una volta contribuivano a soddisfare il fabbisogno alimentare delle popolazioni. L’impoverimento genetico in atto rappresenta una grave minaccia per gli equilibri naturali, contro la quale si è mossa la comunità internazionale e locale.Dall’inizio del ventesimo secolo oltre il 75% della diversità genetica delle principali colture agrarie è scomparsa. In Italia sono a rischio di estinzione nel settore frutticolo più di 1.500 varietà. la stessa sorte è riservata agli animali domestici, molte razze infatti sono ormai ridotte allo stato di reliquia.Questa rotta negativa è pericolosa per la stabilità degli agro-ecosistemi. mette a rischio i sistemi produttivi agricoli e depaupera i sistemi naturali.È evidente che la tutela della biodiversità è una questione cruciale per la stabilità della natura e per la sicurezza alimentare. Inoltre i progressivi processi di industrializzazione e di concentrazione delle imprese agricole hanno accentuato le disuguaglianze e le sperequazioni rispetto all’agricoltura di piccola scala che le comunità rurali praticano ovunque, principalmente nei paesi del sud del mondo. La perdita di biodiversità, insomma, mette con tutta evidenza in luce problemi non solo ecologici ma soprattutto economici e sociali.Se pensiamo che i problemi causati dai cambiamenti climatici e ambientali siano lontani dalla nostra quotidianità e non ci riguardino, dobbiamo considerare che invece tutto questo si riflette sulla nostra alimentazione e sulla nostra tavola. Nell’ultimo secolo si sono estinte ben 300.000 varietà vegetali, numerose specie/razze animali, mentre molte specie ittiche sono a grave rischio. L’alimentazione di conseguenza evolve verso una standardizzazione, così come la sua qualità e ricchezza. Proteggere l’ambiente diventa importante quindi non solo per evitare l’inquinamento ma per salvaguardare la biodiversità di questi panieri di prodotti che sempre più spesso

non riescono a sopravvivere (anche per le pressioni economiche) e scompaiono.Il mezzogiorno d’Italia ed in particolare la Regione Campania presenta un modello agro-zootecnico assai diversificato nell’ambito del quale le maggiori opportunità sono infatti rappresentate dalle produzioni tipiche di elevata qualità, legate alle zone di provenienza ed alle tecniche di produzione e trasformazione, e che presentano forti legami con il territorio e detengono un ruolo di primo ordine nell’economia eco-compatibile dei sistemi locali di produzione. In queste condizioni le specie/razze autoctone in via di estinzione possono risultare capaci di svolgere un’azione di traino su prodotti ed imprese, e rappresentano un volano per lo sviluppo delle economie locali.

Gli impegni della comunità internazionaleNel corso degli ultimi vent’anni la comunità internazionale ha posto con forza il tema della tutela delle risorse locali e delle comunità rurali che le coltivano nonché degli ecosistemi naturali.Nel 1992 è stata approvata nel corso della conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente, tenutasi a Rio de Janeiro, la Convenzione sulla diversità biologica, con la finalità di prevenire e combattere alla fonte le cause di significativa riduzione o perdita della diversità biologica in considerazione del suo valore intrinseco e dei suoi valori ecologici, genetici, sociali, economici, scientifici, educativi e culturali.Nel 2001 è stato approvato il Trattato Fao sulle risorse fitogenetiche per l’alimentazione e l’agricoltura. Esso rappresenta senz’altro uno strumento importante e innovativo per la tutela delle risorse agricole e l’affermazione dei diritti degli agricoltori. Il trattato pone, tra gli altri, i seguenti obiettivi: la conservazione e l’uso sostenibile delle risorse fitogenetiche per l’alimentazione e l’agricoltura; la ripartizione giusta ed equa dei vantaggi derivanti dalla loro utilizzazione al fine di perseguire un’agricoltura sostenibile; la sicurezza alimentare in conformità alla

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convenzione sulla diversità biologica di Rio de Janeiro.In esso si fa specifico riferimento alla necessità di censire e inventariare le risorse fitogenetiche per l’alimentazione e l’agricoltura e di valutare i rischi che la minacciano. ogni parte contraente il trattato si impegna sulle seguenti azioni:- promuovere la raccolta delle risorse fitogenetiche per l’alimentazione e l’agricoltura e l’informazione pertinente relativa alle risorse fitogenetiche in pericolo o potenzialmente utilizzabili;- sostenere gli sforzi degli agricoltori e delle comunità locali per gestire e conservare in azienda le loro risorse fitogenetiche per l’alimentazione e l’agricoltura;- promuovere la conservazione in situ delle specie selvatiche simili a piante coltivate e delle specie selvatiche per la produzione alimentare;- collaborare alla realizzazione di un sistema efficace e sostenibile di conservazione ex situ, prestando tutta l’attenzione richiesta alla necessità di una documentazione, di

una caratterizzazione, di una rigenerazione e di una valutazione adeguata a promuovere lo sviluppo e il trasferimento di apposite tecnologie al fine di migliorare l’uso sostenibile delle risorse fitogenetiche;- verificare il mantenimento della vitalità, del grado di variazione e dell’integrità genetica delle raccolte di risorse fitogenetiche per l’alimentazione e l’agricoltura.Tra le altre misure il trattato definisce la realizzazione e il mantenimento di sistemi agricoli diversificati che favoriscano l’uso sostenibile della diversità biologica agricola e delle risorse naturali, nonché la necessità di allargare la base genetica delle piante coltivate e accrescere la diversità del materiale biologico messo a disposizione degli agricoltori.Il trattato riconosce la necessità di adottare apposite misure per proteggere e promuovere i diritti degli agricoltori (farmers’ rights), in particolare la protezione delle conoscenze tradizionali che presentino un interesse per le risorse agricole autoctone e il diritto a partecipare equamente alla ripartizione dei vantaggi derivanti dalla loro utilizzazione.

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In Italia il trattato è stato ratificato con la legge n.101 del 6 aprile 2004, che all’articolo 3 cita testualmente ..“le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano provvedono all’attuazione del Trattato...”. in virtù di questo articolo dovevano essere approvate dalle singole Regioni le Leggi Regionali a “Tutela del patrimonio di razze e varietà locali di interesse agrario”.Al fine di perseguire gli obiettivi di tutela e salvaguardia della biodiversità e arrestare il processo di erosione genetica in atto nonché quanto previsto dal Trattato, ogni legge regionale dovrebbe prevedere una pluralità di strumenti funzionalmente legati tra loro, qui di seguito richiamati.

Gli strumenti della Legge RegionaleRepertorio regionale delle risorse genetiche agrarie. In esso vengono iscritte e catalogate le razze e le varietà autoctone regionali , previo parere di apposita commissione tecnico-scientifica.Banca del germoplasma. È il luogo fisico per la conservazione ex situ delle risorse genetiche, in cui vengono mantenute fuori dal campo coltivato le accessioni iscritte al repertorio regionale.Agricoltori ed Allevatori custodi. Persone fisiche svolgenti una funzione di pubblico interesse, che provvedono alla conservazione in situ del germoplasma a rischio di erosione genetica iscritto nel repertorio.Rete di conservazione e salvaguardia della biodiversità. Comprende gli agricoltori custodi e i soggetti affidatari della conservazione ex situ delle risorse genetiche, accomunati dal compito di mantenere in vita il patrimonio di razze e varietà locali di interesse agrario e di garantire l’uso durevole del germoplasma.Ma solamente nel mese di gennaio 20151 la Camera ha approvato all’unanimità la proposta di legge contenente “Disposizioni per la tutela e la valorizzazione della biodiversità agraria e alimentare”, dando

1 Nota: al 7 luglio 2015 la Legge è ancora in corso di esame in commissione al Senato.

il via libera ad un provvedimento che raccoglie il consenso di tutte le forze politiche presenti in parlamento che hanno saputo comprendere l’importanza di dotare il nostro paese di un sistema di norme capace di riconoscere, proteggere, recuperare, organizzare e mettere a sistema la biodiversità agricola e alimentare. Esprimendo, così, la consapevolezza delle potenzialità che ha oggi l’agricoltura ed il valore dell’agroalimentare italiano che è al centro Expo Milano 2015.Una scelta fondamentale, quella di investire sulla biodiversità quale condizione necessaria per le imprese agricole di distinguersi in termini di qualità delle produzioni ed affrontare così il mercato globalizzato salvaguardando, difendendo e creando sistemi economici locali attorno al valore del cibo. Del resto l’agroalimentare italiano, si fonda sui saperi delle nostre comunità e si sviluppa grazie alla ricerca che offre strumenti sempre nuovi di conoscenza della biodiversità. Il riconoscimento delle nostre produzioni tipiche e tradizionali legate al territorio diventa per l’agricoltura italiana, un vero e proprio investimento in competitività.La proposta di legge è frutto di un lungo lavoro di confronto e di contributi provenienti dalle esperienze sperimentali delle Regioni, dalle associazioni e dagli agricoltori custodi. Del resto, promuovere la biodiversità in agricoltura significa occuparsi di sviluppo delle aree rurali, economia, difesa del suolo, di reddito agricolo e di nuove imprese dando valore alle specificità locali, alle produzioni tipiche e al paesaggio.La legge sulla biodiversità arriva proprio in un momento in cui il tema del cibo ha particolare risalto con Expo Milano 2015 e prevede strumenti importanti come l’istituzione dell’anagrafe nazionale, istituita presso il Ministero delle politiche agricole, la definizione di una rete e di un portale e di un comitato permanente per la biodiversità agraria e alimentare. L’obiettivo e’ costruire un circolo virtuoso che, partendo dal riconoscimento

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della figura dell’agricoltore e dell’allevatore custode, attraverso la creazione di comunità del cibo, mette in campo azioni concrete per la tutela delle risorse, l’educazione e la sostenibilità ambientale.Ciò evidenzia come agricoltura ed ambiente sono indissolubilmente legati grazie alla tutela delle risorse genetiche locali dal rischio di estinzione e di erosione genetica. Altri strumenti importanti previsti dalla legge sono: la Rete nazionale della biodiversità agraria e alimentare per la conservazione del germoplasma; il Portale nazionale della biodiversità e il Comitato permanente per la biodiversità agraria e alimentare, presso il Mipaaf e, ancora, dal 2015, il Fondo per la tutela della biodiversità agraria e alimentare per sostenere le azioni degli agricoltori e degli allevatori nell’ambito delle disposizioni previste dalla legge e da appositi indennizzi ai produttori agricoli danneggiati da forme di contaminazione dagli Ogm coltivati in violazione dei divieti stabiliti.Quindi, investire in biodiversità in un sistema economico globalizzato consente di fornire alle nostre imprese agricole una condizione competitiva sempre più elevata, costruendo un’economia imperniata del valore della grande qualità del cibo italiano. Molto importanti sono anche i sostegni previsti alle azioni degli agricoltori e degli allevatori nell’ambito delle disposizioni previste dalla legge, considerato che la filiera zootecnica ha un alto valore aggiunto nel sistema agroalimentare italiano.

È chiaro che in campo agricolo conservare la biodiversità significa produrre alternative, in altreparole tenere in vita forme alternative di produzione in un contesto tutto teso alla standardizzazione.Salvaguardare le risorse autoctone e i semi “nativi” è indispensabile. Le razze, le varietà, i semi in via di estinzione, infatti, portano con sé i semi di un altro modo di pensare la natura e di produrre per le nostre necessità. Uniformità e diversità non sono solo modi diversi di produzione e di uso della terra, ma anche modi diversi di pensare e di vivere.La natura ha fatto della diversità il fondamento della stabilità. L’uomo, riducendo tutto all’uniformità, sta irreversibilmente compromettendo gli equilibri e la stabilità degli ecosistemi in cui è indissolubilmente inserito. La diversità è essenziale per la sostenibilità a lungo termine delle attività agricole. Agro- biodiversità significa mantenere in vita diversità biologica, diversità degli ecosistemi, delle colture e delle culture. È questa la via maestra della coevoluzione del rapporto uomo-natura.Il lavoro di catalogazione delle risorse genetiche animali ha permesso di approfondire il valore intrinseco di antiche razze, talvolta scampate all’estinzione grazie a circostanze fortuite. Il successivo percorso di valorizzazione economica può portare nei casi più favorevoli alla reintroduzione per produzioni tradizionali o di qualità.Anche le Regioni estremamente evolute sia

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dal punto di vista zootecnico che agronomico conservano inconsapevolmente razze fra le più rare e particolari in Italia. Basti pensare ad alcune popolazioni di ovini, segnalati in modo sporadico nella numerosa bibliografia tematica datata e miracolosamente scampate all’estinzione grazie a piccoli gruppi allevati non nel loro territorio di origine e diffusione, bensì nella pianura che l’accoglieva durante il periodo di transumanza invernale delle greggi. Era infatti consuetudine che i pastori, per sdebitarsi del pascolo dei loro armenti, donassero ai proprietari dei terreni alcuni agnelli, che in fortuiti casi hanno dato origine a micro popolazioni pure, scampate per isolamento agli incroci, all’incuria e alle temibili epidemie che falcidiavano e distruggevano i grandi greggi del passato.Ora , però, il pericolo non è più una temibile malattia o la fatica della transumanza ma lo sgretolamento del tessuto allevatoriale che aveva dato origine alle innumerevoli razze zootecniche locali che popolavano il nostro territorio. La minaccia peggiore è il mancato ricambio generazionale. Lo sconsolato segnale che lanciano i tecnici, infatti, a fronte di una miracolosa sopravvivenza di molte razze, è purtroppo una minaccia meno curabile, ossia la mancanza di un ricambio generazionale fra gli allevatori. Troppi i sacrifici, pochi i guadagni, amare le delusioni, tanto che solo la caparbietà e la passione sfrenata di alcuni riesce a opporsi a un destino che sembra già scritto. Non fosse altro perché, seppur stremate dalla consanguineità e dalla competizione impari con le razze cosmopolite, queste razze del nostro passato sono le compagne di molti allevatori che privilegiano e amano la qualità e la tradizione.Queste razze autoctone, degne talvolta di un richiamo alla criptozoologia, devono essere considerate delle vere e proprie risorse genetiche ed economiche, pertanto le Regioni devono usare aggiornati strumenti di catalogazione che possano contare non solo su schede di identificazione contenenti un moderno e snello metodo a descrittori

morfologici, ma anche di più sofisticati e innovativi metodi di identificazione mediante descrittori genetici (microsatelliti e DNA mitocondriale).Il momento della catalogazione, seppure possa sembrare una semplice presa d’atto dell’esistenza della risorsa genetica, rappresenta tuttavia un momento di grande approfondimento, che permette di valutare in modo appropriato il valore intrinseco della razza, inteso come valore della biodiversità che esso rappresenta oltre a valutare la rarità del genoma della risorsa genetica stessa.Da questo punto di partenza inizia il percorso di monitoraggio/censimento e valorizzazione economica della razza zootecnica, che nella più rosea delle ipotesi potrà ritrovare una sua posizione nel panorama zootecnico regionale.Per molti successi ottenuti, permangono tuttora molte criticità che riguardano particolarmente il settore ovino, avicolo e bovino su razze non specializzate soprattutto lungo tutta la dorsale Appenninica e nelle aree rurali più interne. Una sfida ardua che si gioca su piccoli numeri e su allevamenti sospesi a un filo di speranza. Speranza che può e deve trasformarsi in opportunità per giovani allevatori che vogliano cimentarsi in una vera e propria sfida.

Agricoltura e Biodiversità È ormai acquisita la consapevolezza dell’importante ruolo dell’agricoltura, che occupa circa il 50% del territorio nazionale, a favore della tutela della biodiversità. Ed in particolare, sia attraverso la creazione e il mantenimento di particolari habitat naturali o semi-naturali, sia attraverso la conservazione delle risorse genetiche di interesse agrario. L’evoluzione dei sistemi agricoli associata alla grande varietà delle condizioni ambientali del territorio ha, nel corso del tempo, inciso fortemente sulla struttura del paesaggio creando, contemporaneamente, habitat specifici per un grande numero di specie (vegetali e animali) e dando luogo alle aree agricole ad alto valore naturale, ovvero ad

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Nel nostro Paese, queste possono essere individuate tra i prati permanenti e i pascoli delle Alpi e degli Appennini, tra le praterie sub-steppiche del Sud e delle Isole, tra le aree a colture estensive ricche di strutture semi-naturali come siepi, boschetti e muretti a secco del Centro-Sud e interessano circa un quarto della superficie agricola nazionale. Tuttavia, i processi di specializzazione e di intensificazione da un lato e di abbandono delle aree rurali più marginali e delle pratiche agricole tradizionali dall’altro, minacciano il delicato equilibrio tra agricoltura e biodiversità. Contrastare questi processi costituisce pertanto un’azione chiave per arrestare il declino della biodiversità e per promuovere un moderno modello di agricoltura a servizio di tutta la collettività. A tal fine la tutela dell’ambiente è diventata parte integrante della Politica Agricola Comunitaria, attraverso un processo di riforma avviato agli inizi degli anni ’90.In particolare la politica di sviluppo rurale viene individuata quale strumento fondamentale per la conservazione e la valorizzazione delle risorse naturali e paesaggistiche degli agro-ecosistemi.

Nell’attuale periodo di programmazione 2014-2020, il Mipaaf ha reinserito e rafforzato, rispetto alla programmazione del periodo 2007-2013, la conservazione della biodiversità e la tutela dei sistemi agricoli e forestali ad alto valore naturale, tra gli obiettivi prioritari assegnati alla politica di sviluppo rurale. Attraverso il Piano Strategico Nazionale (PSN), che delinea la Strategia Nazionale, ha indicato, di concerto con il Ministero dell’Ambiente e un ampio partenariato ambientale, una serie importante di azioni chiave attorno alle quali le Regioni hanno definito le misure operative sulla base delle esigenze locali. Ciò ha rafforzato in modo consistente l’orientamento in materia di buone pratiche in favore della conservazione degli ambienti naturali e del paesaggio rurale. Le azioni sono incentrate sulla tutela e salvaguardia dei Siti Natura 2000 (direttiva 79/409/CEE e direttiva 92/43/CE), sul mantenimento delle aree agricole e forestali ad Alto Valore Naturale e sulla conservazione delle risorse genetiche animali e vegetali, e vanno attuate secondo una logica di integrazione e concentrazione territoriale degli interventi.Questo approccio è stato rafforzato dopo la riforma della PAC, avvenuta nel 2009 a

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seguito dell’«Health Check», che ha attribuito ulteriori risorse alla politica di sviluppo rurale per affrontare quattro sfide ambientali: la lotta ai cambiamenti climatici, la promozione delle energie rinnovabili, la gestione delle risorse idriche e la tutela della biodiversità. Attualmente, oltre il 40% delle risorse messe a disposizione dai Programmi regionali di Sviluppo Rurale (più di 17 miliardi di euro) è dedicata alle misure a carattere agro-ambientale nell’ambito dell’asse di intervento relativo al «Miglioramento dell’ambiente e dello spazio rurale». Gli interventi previsti dai Programmi di sviluppo rurale, innovativi rispetto alla precedente programmazione, non si rivolgono solo agli agricoltori, ma estendono il sistema di incentivi anche ad Enti di ricerca e a strutture qualificate per le attività di catalogazione e conservazione delle risorse genetiche.

Biodiversità e Dieta MediterraneaLa quinta sessione del Comitato Intergovernativo dell’UNESCO, che si riunì a Nairobi in Kenia dal 15 al 19 novembre 2010, proclamò, la Dieta Mediterranea, Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità’, iscrivendola quale prima pratica alimentare nella prestigiosa lista.Tale importante riconoscimento, coronamento di un iter iniziato quattro anni prima (2006), ha consentito di accreditare quel meraviglioso ed equilibrato esempio di contaminazione naturale e culturale che è lo stile di vita mediterraneo come eccellenza mondiale. Il riconoscimento dell’Unesco alla “Dieta mediterranea” rappresenta una risorsa di sviluppo sostenibile molto importante per tutti i Paesi del Mediterraneo.Il termine “Dieta” che si riferisce all’etimo greco “stile di vita”, rappresenta un insieme di saperi, di conoscenze, di pratiche e tradizioni strettamente interrelate in un continuum, dal paesaggio agrario alla tavola, includendo le colture, la raccolta, la pesca, la conservazione, la trasformazione, la preparazione e, in particolare, il consumo di cibo.

Essa, infatti, incorporando valori diversi in termini culturali, storici, enogastronomici, nutrizionali e salutistici, rappresenta uno stile di vita sostenibile basato sulle tradizioni alimentari e sui valori culturali secolari, con i quali le popolazioni del Mediterraneo hanno creato e ricreato nel corso dei secoli una continua interazione tra l’ambiente culturale, l’organizzazione sociale e l’universo mitico e religioso intorno al mangiare.La Dieta Mediterranea, pertanto, rappresenta per la nostra comunità un elemento fondamentale, di aggregazione e coesione sociale che si tramanda di generazione in generazione, unendo le diverse classi sociali, rappresentando un elemento di coesione per le famiglie.Infatti, il pasto in comune è alla base dei costumi sociali e delle festività condivise da una data comunità e ha dato luogo a un notevole corpus di conoscenze, canzoni, racconti e leggende, nel quale soprattutto le donne svolgono un ruolo indispensabile nella trasmissione delle competenze e delle conoscenze di riti, gesti tradizionali e delle tecniche di coltivazione e trasformazione degli alimenti.La Dieta Mediterranea è caratterizzata da un modello nutrizionale sostenibile, caratterizzato dall’utilizzo dei prodotti del territorio e tipici della nostra comunità, rimasto costante nel tempo e nello spazio, costituito principalmente da olio di oliva, cereali, frutta fresca o secca, verdure, una moderata quantità di pesce, latticini e carne e molti condimenti e spezie, il tutto accompagnato da vino o infusi, sempre nel rispetto delle tradizioni di ogni comunità.Questa pratica alimentare connota il passaggio dal “crudo” al “cotto” e promuove straordinarie interazioni sociali: dal cibo in comune al cibo devozionale e delle feste, dalle musiche alle novelle, dai proverbi alle leggende, a testimoniare in maniera indelebile che “l’uomo e’ – veramente - ciò che mangia”.Pertanto, la Dieta Mediterranea è molto più che un semplice alimento, è un

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modello nutrizionale ispirato ai modelli alimentari tradizionali dei paesi del bacino mediterraneo, in particolare Italia, Francia meridionale, Grecia, Spagna e Marocco e si fonda sul rispetto per il territorio e la biodiversità, garantendo la conservazione e lo sviluppo delle attività tradizionali e dei mestieri collegati alla pesca ed all’agricoltura nelle comunità del Mediterraneo.Il valore intrinseco della Dieta Mediterranea, al di là di quello alimentare, è strettamente legato alla biodiversità, la quale ci permette di poter scegliere tra diverse varietà dello stesso prodotto, sia identificando prodotti

nutrizionalmente ottimali, sia, in casi più drammatici, consentendoci di salvare alcune specie vegetali, attraverso la selezione di varietà più resistenti di altre ad agenti patogeni. In questi casi, l’unica soluzione è la diversità genetica, diversità che è minacciata dalla standardizzazione culturale.La minaccia di oggi al modello della Dieta Mediterranea è costituita non solo da fattori economici – come l’ingresso nei mercati di prodotti importati che costano meno e sono di minore qualità, per cui tenere nei mercati prodotti locali comporta un costo maggiore – ma anche culturali, ad esempio oggi non è

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più scontato per noi consumatori scegliere un prodotto di stagione rinunciando ad uno fuori stagione ed è sempre più forte l’influenza sulle nostre abitudini alimentari del modello anglosassone, riassunto laconicamente come “quello delle merendine”.Parlare di protezione della biodiversità significa mettere sul tavolo concetti scientifici complessi e ricchi di tecnicismi, ma se non si riesce a tradurre questi concetti in un linguaggio comprensibile al grande pubblico, allora la sfida è persa in partenza, perché proprio la complessità del tema fa si che non si possa vincere senza mettere in campo e coordinare forze molteplici ed eterogenee, a tutti i livelli, stimolando anche l’industria alimentare ad adeguarsi ai parametri della biodiversità.In questo senso, si rende necessario uno sforzo di educazione all’alimentazione, una promozione del consumo consapevole, che si svolga sia nelle scuole come nei supermercati, che diventano in questo senso dei veri e propri laboratori didattici, in cui, da un lato, si svolgono attività dirette di educazione al consumo, dall’altro, si forniscono al consumatore delle alternative reali tra cui scegliere, assieme a tutte le informazioni necessarie affinché la scelta possa essere realmente informata.Il riconoscimento da parte della comunità scientifica internazionale del valore della Dieta Mediterranea, quale modello storico di unità dei paesi che si affacciano sul Mediterraneo, rappresenta il riconoscimento di un’idea di identità culturale in grado di unire popoli diversi e un potenziale sociale di influenza positiva su problematiche complesse e cruciali come quelle dell’acqua, dell’energia e del lavoro minorile, tutte legate assieme dal filo della sostenibilità.La “Dieta Mediterranea” , come già ricordato, rappresenta una risorsa di sviluppo sostenibile molto importante per tutti i Paesi del Mediterraneo, per l’incidenza economica e culturale che riveste il cibo nell’intera Regione e per la capacità di ispirare un senso di continuità

ed identità per le popolazioni locali. L’Italia, ed in particolare il Cilento, è il paese che il fisiologo americano Ancel Keys (19042004) autore del libro “Eat well and stay well. the Mediterranean way “ prese come riferimento per codificare il regime alimentare (frutta, verdura, olio d’oliva, ecc.) divenuto poi noto come “dieta mediterranea”; che incorpora ed esprime valori diversi in termini culturali, storici, enogastronomici,nutrizionali e salutistici.Un po’ di storia. Nel giugno del 1966 Ancel e Margaret Keys, insieme ad amici e colleghi provenienti da diversi paesi, inaugurarono la loro casa di Pioppi e festeggiarono gli 80 anni del Professore Paul Dudley White, cardiologo, ricercatore e statista famoso in tutto il mondo.Negli anni che seguirono, a Pioppi presero casa altri illustri colleghi internazionali, anch’essi dedicati al progresso della ricerca e della salute pubblica sulla prevenzione e controllo dell’epidemia della malattia coronaria e altre malattie cardiovascolari, tra cui il Professore Martii Karvonen (Finlandia), il Professore Jeremiah Stamler (Stati uniti) ed alcuni colleghi italiani.Nel 1969, per iniziativa del Professore Keys, con il contributo del Comune, della Provincia e della Regione, Pioppi ospitò il secondo ‘Ten Day Teaching Seminar’ sull’epidemiologia e prevenzione delle malattie cardiovascolari, finanziato dalla Società Internazionale di Cardiologia e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Alcuni anni dopo, a Pioppi si tenne il primo ‘Ten Day Teaching Seminar’ italiano sull’epidemiologia e prevenzione delle malattie cardiovascolari, organizzato dal Consiglio Nazionale delle Ricerche. Da allora altri meeting scientifici furono organizzati su tematiche altrettanto impegnative.Nel 1975, Ancel e Margareth Keys pubblicarono il libro ‘How to Eat Well and Stay Well, the Meditarranean Way’ (‘Mangiar bene e stare bene, con la dieta mediterranea’). In quest’opera magistrale vengono delineati per la prima volta i concetti

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base della dieta mediterranea , quali cibi la caratterizzano, quali sono i suoi vantaggi ed i suoi possibili limiti, seppur pochi. Questo libro fu per buona parte scritto dai coniugi Keys nella loro casa di Pioppi. E proprio in questa casa, in cucina e in sala da pranzo, saggiarono ogni ricetta trascritta durante il lavoro sul campo in Italia, in Grecia e sulla costa mediterranea di Francia e Spagna. Il libro non è solo un approfondito trattato scientifico, ma è anche un buon libro di cucina, pieno di ricette deliziose e salutari per il cuore, molte delle quali tipiche della zona cilentana. Nell’introduzione - ‘Why and How (Perché e come) - al libro “How to Eat Well and Stay Well, the Mediterranean Way”, i coniugi Ancel e Margaret Keys descrivono intensamente la loro prima esperienza con la dieta mediterranea avvenuta a Napoli nel 1952: ... “il cibo comune dei napoletani:

minestrone fatto in casa; molti tipi di pasta, sempre cotta al momento, condita con pomodoro e una spolverata di parmigiano, solo ogni tanto con alcuni pezzetti di carne, oppure con sugo di pesce locale ma senza parmigiano; un bel piatto di pasta e fagioli; molto pane fresco e senza nulla sopra; grandi porzioni di verdura fresca; una piccola porzione di carne o pesce due volte alla settimana; vino e sempre frutta fresca come dessert. Anni dopo, quando fummo invitati a suggerire un tipo di alimentazione che favorisse la prevenzione della malattia coronarica guardammo al passato e arrivammo alla conclusione che la scelta migliore era adottare la dieta degli abitanti di Napoli dei primi anni 50”...Nel 1957, i coniugi Keys studiarono il comune di Nicotera in Italia, vicino alla punta dello Stivale, e alcuni paesi dell’isola greca di Creta.

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A Nicotera, il consumo totale di grassi era basso; l’olio d’oliva costituiva l’unico grasso. Nei paesi cretesi il burro era quasi del tutto sconosciuto, il latte visto come un qualcosa da usare ogni tanto per cucinare, la carne o il pollo venivano mangiati solo una o due volte alla settimana e, nonostante la vicinanza al mare, il pesce di gran lunga più consumato era il merluzzo affumicato norvegese. Per non parlare dell’olio d’oliva. Era l’unico grasso impiegato per cucinare; veniva versato su qualsiasi cibo servito a tavola ed il pane veniva immerso in ciotole d’olio d’oliva messe a tavola. A Nicotera, il livello di colesterolo nel sangue era basso, circa 160 e corrispondeva ad un’alimentazione a basso contenuto di grassi. Anche nei paesi di Creta era basso, inferiore a 200. Nel 1975, i coniugi Keys osservarono: …”In tutti i paesi mediterranei, fin dalle amare privazioni della II guerra mondiale, la dieta comune ha iniziato a cambiare - e non nella giusta direzione - In Italia, dal 1951, il consumo pro capite di carne di manzo e di vitello è aumentato di quasi quattro volte, quello della carne di maiale più di due volte, mentre nel 1971 il consumo di pollo è aumentato più di sei volte e mezzo rispetto al consumo che se ne faceva nel 1951. Il consumo dell’olio d’oliva è raddoppiato; quello degli altri oli vegetali è quintuplicato. In Grecia i cambiamenti alimentari si riflettono nei valori di colesterolo registrati con le nostre indagini effettuate su uomini di mezza età lungo il corso di anni. Il colesterolo, da un valore medio inferiore a 200 nel 1957, è passato a quasi 220 nel 1971. E in tutti i paesi mediterranei l’obesità è in aumento”…La dieta mediterranea degli anni 50 appartiene ormai al passato. Poiché era un tipo di alimentazione deliziosa e salutare per il cuore, che ognuno dovrebbe imitare ed adottare, è necessario descriverla in modo preciso, evidenziarne i suoi innumerevoli punti di forza e i suoi lati problematici, farla conoscere al mondo scientifico ed aiutare le persone in tutto il mondo a provare i suoi piaceri e benefici.

Il classico modello alimentare mediterraneo era composto da verdura, pane, pasta/riso, fagioli, frutta, olio di oliva, vino. Carni fresche e conservate, carni bianche, pesce, crostacei, latticini, dolci venivano consumati solo occasionalmente, in modeste quantità. Questi erano i punti di forza della dieta Mediterranea. È necessario illustrare anche i suoi lati potenzialmente problematici, per capire come impostare l’alimentazione di tipo mediterraneo del XXI secolo: tradizionalmente, pane e pasta erano fatti utilizzando la farina bianca ed erano ricchi di sale; prodotti integrali a basso contenuto di sale sono preferibili (la stessa cosa vale per il riso).L’olio d’oliva e di semi erano usati con moderazione nella maggior parte dei paesi; come tutti i grassi, sono ad alta densità calorica (9 kcal/grammo); modeste quantità vanno bene, soprattutto se consideriamo l’epidemia dell’obesità. Molti cibi della dieta mediterranea erano piuttosto salati; il consumo di sale va limitato per la salute del cuore. Spesso il consumo di vino era eccessivo, soprattutto tra gli uomini; l’alcol va consumato con moderazione.I seguenti tre fattori : eccessivo consumo di sale, abuso di alcol, ed eccessivo introito calorico, sono la causa principale dell’elevata prevalenza per decenni di livelli sfavorevoli di pressione arteriosa (pre-ipertensione, ipertensione) e, se si aggiunge il consumo di sigarette, del tasso elevato di ictus nelle popolazioni mediterranee.È necessario che l’alimentazione di tipo mediterraneo del XXI secolo contenga i seguenti elementi:- verdura, fagioli frutta - pane integrale a basso contenuto di sale - pasta/riso integrale a basso contenuto di sale - piccole quantità di olio d’oliva e di semi- vino con moderazione - modeste porzioni di pesce, crostacei, carni bianche magre, carne rossa magra non conservata- latticini senza grassi e poco grassi, tutte le pietanze senza sale o con poco sale.Necessita , quindi, uno sforzo per fare acquisire dignità culturale alle tematiche

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legate al cibo, al vino ed all’alimentazione nel loro complesso; per individuare e selezionare i prodotti enogastronomici e le modalità di produzione legati al territorio, nell’ottica della tutela e valorizzazione della biodiversità, promuovendone anche l’assunzione a ruolo di beni culturali.Pertanto, la tutela della Biodiversità e la promozione della Dieta Mediterranea

devono camminare di pari passo al fine di educare i consumatori alla cultura alimentare, alla piena coscienza del diritto al piacere ed al gusto ed all’acquisizione di una responsabile capacità di scelta in campo alimentare promuovendo la pratica di una diversa qualità della vita, fatta del rispetto dei tempi naturali, dell’ambiente e della salute dei consumatori.

Convenzione internazionale per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale dell’UNESCO. (Parigi, 17 ottobre 2003).

Ai fini della Convenzione, il patrimonio culturale immateriale è descritto come “le prassi, le rappresentazioni, le espressioni, le conoscenze, il know-how come pure gli strumenti, gli oggetti, i manufatti e gli spazi culturali associati agli stessi – che le comunità, i gruppi e in alcuni casi gli individui riconoscono in quanto parte del loro patrimonio culturale”.Questo patrimonio culturale immateriale, trasmesso di generazione in generazione, è costantemente ricreato dalle comunità e dai gruppi in risposta al loro ambiente, alla loro interazione con la natura e alla loro storia e dà loro un senso d’identità e di continuità, promuovendo in tal modo il rispetto per la diversità culturale e la creatività umana.Gli ambiti del “patrimonio culturale immateriale” sono i seguenti:a) tradizioni ed espressioni orali, ivi compreso il linguaggio, in quanto veicolo del patrimonio culturale immateriale; b) le arti dello spettacolo; c) le consuetudini sociali, gli eventi rituali e festivi; d) le cognizioni e le prassi relative alla natura e all’universo; e) i saperi e le pratiche legati all’artigianato tradizionale.Anche se la pratica alimentare non e’ esplicitamente menzionata all’art.2 (“Definizioni”) della Convenzione,questa e’ da considerarsi parte integrante di tale Patrimonio. La pratica alimentare, infatti, non e’ solo la risposta a bisogni biologici, ma e’ un’esperienza culturalmente elaborata dai gruppi umani lungo l’intero arco della loro storia, trasmessa da generazione in generazione, ed espressione sempre vivente di diversità e creatività delle culture. La pratica alimentare conferisce, pertanto, specifici caratteri di identità e continuità culturale.Grazie al suo inserimento nella Lista, la Dieta Mediterranea rappresenta il terzo elemento italiano presente, insieme all’Opera dei pupi siciliani e al Canto a tenore sardo. Il gruppo di lavoro del Ministero sta ora lavorando, per il prossimo anno, alle candidature de “L’arte della pizza napoletana” e “La coltivazione ad alberello dello Zibibbo di Pantelleria”.