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UFFICIO COMUNICAZIONE/URP Direttore Dr Sandro Cortese Rassegna Stampa 06,07 e 08 Ottobre 2012 A cura dell’Ufficio Comunicazione/URP

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UFFICIO COMUNICAZIONE/URP Direttore Dr Sandro Cortese

Rassegna Stampa

06,07 e 08 Ottobre 2012

A cura dell’Ufficio Comunicazione/URP

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• . ^ i , . 1 Proseguono le indagini dei Carabinieri che hanno già portato alia denuncia di 21 persone che timbravano e poi sì aliontanavanodal lavorc

In attesa della magistratura l'opinione pubblica ha già emesso la sua sentenza di condanna: «Licenziateli»

ì Carabinieri sono tornati a! poliambulatorio per acquisire altri atti II blitz di giovedì mattina al poliambulatorio

Rosaria Marraffa

Il giorno dopo il blitz al poliambu­latorio, che ha portato alla denun­cia di 21 dipendenti dell'Asp per assenteismo, dalla città si alza un coro di sdegno. C'è chi è alla ricer­ca di un lavoro, e propone il licen­ziamento in tronco di tutti e 21 di­pendenti, e chi lavora e non accet­ta di dover pagare le tasse per ga­rantire lo stipendio a chi non ha voglia di lavorare.

Le indagini dei Carabinieri, in­tanto, continuano. Ieri i Carabi­nieri sono tornati al poliambula­torio acquisendo altri documenti. Si cerca, soprattutto, di fare luce sul furto della macchinetta che se­gna le presenze. E proprio da que­sto episodio hanno preso il via gli accertamenti degli uomini del maresciallo Pietro Santangelo, culminati nel blitz di giovedì mat­tina. Agli atti ci sono anche foto­grammi e le risultanze dei pedina­menti che spiegano come si sia ar­rivati a ipotizzare per 21 dipen­denti, tra cui anche dei medici, il reato di truffa.

Si sono così ripetute le scene e i

commenti dell'operazione "In-di-pendenti comunali". Non andare al lavoro e percepire regolarmen­te lo stipendio non è, evidente­mente, per alcuni dipendenti pubblici qualcosa di cui vergo­gnarsi. Al riguardo è stata alquan­to dura la reazione dei cittadini di Pizzo: «In un contesto sociale do­ve un posto di lavoro è quasi una fortuna ed è molto ambito -l'amara riflessione di una corsista che giovedì mattina era impegna­ta proprio in un corso di aggiorna­mento presso la sala conferenze del nosocomio napitino - è assur­do che chi ne è beneficiato faccia il furbetto a scapito degli utenti co­stretti a incassare quella "assen­za" e rientrare senza aver conclu­so nulla. È giusto che siano inter­detti dal luogo di lavoro e si proce­da con nuove assunzioni».

In tanti sono d'accordo su una punizione esemplare - anche at­traverso il licenziamento - al fine di "educare" gli altri dipendenti pubblici sull'importanza di "con­servare" un diritto che non tutti hanno: quello di un lavoro.

Di sicuro, qualcuno dei 21 di-oendenti ASD avrà modo di chiari­

re la sua posizione, mentre ad al­tri non rimarrà che assumersi le proprie responsabilità.

L'operazione dei carabinieri è decollata lo scorso giugno ed sta­ta coordinata dal capitano Stefa­no Di Paolo e da qualche giorno era passata di mano al suo succes­sore al comando della Compa­gnia, il capitano Diego Berlingie-ri. Il lavoro discreto degli uomini del maresciallo Santangelo ha permesso di accertare che, dopo aver timbrato, qualcuno si dedi­cava alla spesa o a commissioni varie, altri allo shopping e altri an­cora, non paghi del relax delle fe­rie, si davano all'abbronzatura lungo le spiagge napitine. Giove­dì alle 10, quando è scattata l'ope­razione, i Carabinieri hanno dap­prima chiuso le porte e, qualche dipendente che stava rientrando dal bar per la pausa caffè ha acce­lerato un po' il passo per com­prendere meglio ciò che stava av­venendo. Ancora una volta, qual­cuno ha tirato un sospiro di sollie­vo pensando di essere al "riparo" per quel giorno, ignaro però che le indagini valutano ben quattro

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mesi di intercettazioni ambienta- dall'accusa di truffa ma il tribuna- condannato quei "furbetti" che li, telecamere e pedinamenti. \e peggiore da affrontare sarà fuggono dai doveri senza, tutta-

Dovranno ora difendersi l'opinione pubblica che ha già via, rinunciare allo stipendio. <*

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D i ITO. nfìfìnho 3 f Is P n m m ì c c i A R O Ho! I ' A c n US \^ O l I U v?s SC OISO v U l ì E ; S M O O S U ! i v \A\s\l r\*D%J

Rilancio dei servizi sanitari, mancanza di corrette relazio­ni sindacali, utilizzo dei fondi della contrattazione , buste paghe più leggere nonostan­te i carichi di lavoro sempre più pesanti e mancata convo­cazione della delegazione trattante per la sottoscrizione dei contratti collettivi azien­dali fermi ormai da quattro 3iT.ni.

Sono questi alcuni dei ri­lievi che i segretari territoriali Molinaro (Cgil Fp), Lo Gatto (Cisl Fps), Pafumi (Uil Fpl) Soldano (Fsi) e Comitato (Fials) muovono alla Com­missione straordinaria dell'Azienda sanitaria provin­ciale la quale «sembra inten­zionata - si legge in una nota dei rappresentanti sindacali -a fare orecchio da mercante. La Commissione, peraltro, più volta cambiata nella sua composizione non può prose­

guire sulla strada del non cambiamento facendo lavo­rare i dipendenti nella confu­sione organizzativa e oltre tutto, non corrispondendo puntualmente ai lavoratori le indennità per le effettive pre­stazioni svolte».

I segretari territoriali au­spicano che la Commissione prema con più forza sull'ac­celeratore del cambiamento dell'Azienda sanitaria. «Ci aspettiamo - prosegue la no­ta - il rilancio dei servizi sa­nitari. Purtroppo nei due an­ni di gestione commissariale, nulla o quasi è avvenuto, an­che se si è avuta l'opportunità di sanare l'organizzazione dei servizi e del lavoro con il Piano di rientro regionale e con il nuovo atto aziendale, più volte modificato unilate­ralmente, senza una vera concertazione , con le parti sociali». •« (Li.)

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Interessati autisti, infermieri e ausiliari. Rappresentanti sindacali ricevuti dal responsabile risorse umane dell'Asp che ha assicurato la risoluzione del caso

I ritardi dovuti al cambio del sistema informatico. La protesta: «Risparmiano su di noi, perché non tagliano i fitti»

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Gli uffici dell'Azienda sanitaria di via Dante Alighieri

Da cinque mesi non percepi­scono le indennità. Autisti, per­sonale infermieristico e ausilia­ri in servizio al Suem 118 ieri mattina hanno fatto sentire la loro voce ponendo al vaglio dell'Asp un problema che si protrae, ormai, dal mese di maggio.

Rappresentanti sindacali di categoria sono stati ricevuti dal responsabile risorse umane dell'azienda che ha assicurato loro che non appena il nuovo sistema informatico integrato -che comprende pure le retribu­zioni dei dipendenti - comin­cerà a girare a pieno regime ogni disfunzione sarà risolta. Pertanto, secondo l'Asp, si trat­

ta di problematiche tecniche che necessitano solo di alcuni aggiustamenti. Anche perché, sulla base di quanto è stato evi­denziato dallo stesso direttore sanitario Francesco Miceli, il nuovo prodotto informatico «è estremamente migliorativo».

Ma il problema posto dal personale del 118 ha di fatto acceso i riflettori anche su una serie di questioni sulle quali la stessa Azienda sanitaria è chia­mata a riflettere, anche alla lu­ce delle scarse risorse finanzia­rie a disposizione.

Nel corso della loro protesta, i dipendenti oltre alla mancata corresponsione degli emolu­menti riguardanti indennità di

rischio, nonché altre spettanze concernenti il lavoro straordi­nario, il trasporto di organi, di sangue e altri servizi, hanno voluto evidenziare le scelte po­co oculate in materia di tagli e di sprechi. «Ma possibile che qui si pensa di risparmiare su di noi e poi si sperpera tanto denaro consentendo dei fitti passivi faraonici? Ma perchè l'Asp nonostante tante struttu­re nate per ospitare addirittura ospedali, mi riferisco ai locali di Pizzo, per non parlare di Ni-cotera e Soriano che magari so­no più distanti, preferisce con­tinuare a spendere tanti soldi per pagare affitti di locali per magazzini, uffici sanitari e di-

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partimenti vari? Perché nessu­no tira fuori queste spese? A noi comunque non interessa di chi sono questi locali e se ci so­no degli interessi sotto banco». Osservazioni che arrivano da parte di personale che opera in un settore tra i niii delicati del­la sanità, ovvero il servizio di emergenza, chiamato a sop­portare anche minacce e ritor­sioni da parte di chi vorrebbe sotto casa un'ambulanza ad ogni costo anche per una sem­plice febbre.

«Sì, ci sentiamo sotto tiro -dicono - qui non c'è la cultura del 118, nessuno si rende con­to che il nostro esclusivo obiet­tivo è quello di fronteggiare le situazioni di emergenza. Ma è difficile far passare questo messaggio. La gente chiama il 118 per qualsiasi cosa, la medi­cina sul territorio non esiste più. Non ci si affida né ai me­

dici di base e, tantomeno, alle guardie mediche, per tutti c'è il 118. Non è possibile andare avanti in queste condizioni. E quando ci rifiutiamo di manda­re le ambulanze allora ci mi­nacciano, ci dicono che ci de­nunciano...».

Ma non è tutto, il personale del 118 si fa interprete anche di tante altre situazioni che mettono in serio pericolo lo stesso servizio di emergenza. «Abbiamo un ospedale senza posti letto e nello stesso tempo con reparti che sono stati chiu­si negli anni precedenti e servi­zi ridimensionati. In queste si­tuazioni e in presenza di caren­za di posti letto le nostre ambu­lanze non fanno altro che ope­rare giornate intere in trasferi­menti di pazienti. Da Lamezia i sririG 3 vjSrsnzsrOj 3 ViOscnzo.., agli ospedali più sperduti della

Calabria e anche di fuori regio­ne quando si tratta di proble­matiche psichiatriche».

Una situazione gravissima che espone a un lavoro imma­ne il personale del Suem «ma ciò nonostante non abbiamo mai preso il premio di produt­tività. Invece per quanto ri­guarda i dirigenti e responsabi­li di Dipartimento viene tutto corrisposto. Noi abbiamo un monte ore di straordinario, ma capite bene che di fronte ai continui trasferimenti il monte ore viene subito raggiunto da parte di tutti».

Insomma per autisti, infer­mieri e ausiliari del Suem non solo ritardi nel pagamento del­le indennità, ma anche tante altre problematiche che neces­sitano di interventi immediati, prima che sia troppo tar­di. ^ (n.l.)

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Il ritorno dei carabinieri. L'inchiesta su Pizzo vede altre nove persone ancora da identificare

Assenteisti, secondo giorno all'Asp Uno dei ventuno indagati rischia l'incriminazioneper danneggiamento

Chi spariva

di giorno

e tornava di notte

di PIETROCOMITO

C'ERA chi arrivava in un uf­ficio in costume, timbrava, andava in spiaggia e rien­trava solo per registrare l'uscita. Cera chi andava a fare la spesa, pagava le bol­lette, andava a fare shop­ping in orari di lavoro. E c'era addirittura chi, di gior­no, disertava il posto di lavo­ro, benché teoricamente presente, ma ricompariva di notte. Probabilmente, so­spettano gli inquirenti, per... imboscarsi lontano da occhi indiscreti. Un'umani­tà variegata quella spiata per mesi dai carabinieri del­la stazione di Pizzo, al po­liambulatorio che sorge a poche centinaia di metri dal loro quartier generale. Un'indagine che i militari del maresciallo Pietro San-tangelo hanno avviato sin dal mese di giugno, monita-rando, attraverso il "grande fratello" allestito attorno al presidio sanitario della città costiera ed il loro servizi di pedinamento, ogni movi­

mento. Quanto necessario per dare riscontro ai sospet­ti e alle soffiate, che raccon­tavano di molti dipendenti tutt'altro che stakanovisti. Loro, i militari della Bene­merita, alla Procura di Vibo valentia ne hanno segnalati ventuno. E' il sostituto pro­curatore Vittorio Gallucci ad occuparsene e la sua è un'indagine di quelle a por­te girevoli. Perché tra quei ventuno ci sarebbero alcuni dipendenti - tra operatori e ufficiali sanitari e ammini­strativi - che di stare in uffi­cio non ne avrebbero voluto in corpo. E ce ne sarebbero altri sgamati fuori molto più di rado, forse per ragioni di servizio. E, anche se fosse per altro, una scappatella dal luogo di lavoro, una tan­tum, astrattamente, la si po­trebbe perdonare. Insomma il numero degli indagati po­trebbe scendere. Ma potreb­be anche salire, perché ven­tuno sono i segnalati alla Procura e poi iscritti sul li­bro nero, ma altri dieci di­pendenti sono attenzionati in via di identificazione. Una volta identificati, infatti, gli inquirenti do­vranno confron­tare quanto a lo­ro risulta e quan­to, invece, si rica­va dai fogli pre­senza. Molto di­

penderà dai do­cumenti acquisi­ti, sempre su or­dine del pm Vittorio Galluc­ci, negli uffici dell'Azienda sanitaria dove, dopo il blitz di giovedì, i carabinieri ieri sono tornati. S'indaga per truffa e falso, già. Ma alme­no uno potrebbe passare guai anche per il danneg­giamento aggravato della macchinetta marcatempo divelta e messa fuori uso lo scorso 9 settembre. Un fatto strano, anomalo. Quel gesto forse rivela che qualcuno, tra i presunti furbetti del cartellino di Pizzo, aveva fiutato qualcosa. L'unica circostanza certa è che pun­

tata su quella macchinetta i carabinieri ave­vano sistemato una microcame­ra e, quindi, il danneggiamen­to è stato filmato in presa diretta. Inchiesta avan­

ti, dunque. Anche ieri i mili­tari dell'Arma hanno inter­rogato numerose persone informate sui fatti, passan­do in rassegna, praticamen­te, tutti i dirigenti sanitari. Tra qualche settimana del lavoro su Pizzo saranno tratte le conclusioni.

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I carabinieri davanti alla sede dell'Azienda sanitaria di Vibo

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« DAVVERO da raccontare l'odissea di un iscritto Ci-sal costretto a subire l'ar­roganza di un dipendente dell'Asp e e i ritardi del ri­chiesto intervento delle forze dell'ordine ». E ' quan­to scrive il segretario Filip­po Curtosi, che racconta la storiadiP. A. che «nei gior­ni scorsi si è portato presso lo sportello ticket». Pagato il ticket, unitamente alla moglie, raggiungeva il centro prelievi di viale del­la Pace. «Erano le 9,40-so­stiene Curtosi - quando un

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La denuncia

Un caso di diritti violati>

addetto, peraltro privo di tesserino di identificazio­ne, allapresentazionedelle prescrizioni mediche ri­spondeva che non sarebbe stato possibile effettuare i prelievi né lasciare il conte­nitore in cui erano state raccolte delle urine in quanto fuori orario. Pre­messo che l'orario di chiu-suradelservizioerafissato perleore 10,comedelresto indicato nel cartello espo­sto all'ingresso del servi­zio, l'utente non compren­deva l'atteggiamento del­l'addetto che addirittura lo

invitava a rivolgersi al pri­mario per chiedere l'auto­rizzazione all'espletamen­to degli esami di laborato­rio. Al cospetto di questa assurda asserzione, il si­gnor P. A. protestava legit­timamente rivendicando il suo diritto alla prestazio­ne. Di fronte all'ulteriore diniego, il signor P.A., alle 9.49, telefonava al 112 rac­contando l'accaduto e chie­dendo un intervento della volante. Per tutta risposta sièsentitodirechel'esigui-tà della denuncia non con­sentiva l'invio sul posto di

una pattuglia e che lo stes­so avrebbe dovuto recarsi presso la Caserma per esporre denuncia. Rag­giunta in via P.E. Murmu-ra, dopo un'ora di defati­gante attesa, il signor P. A. si sentiva dire che la de­nuncia non era possibile effettuarla per l'assenza del militare addetto. Scon­fortato non gli restava che portarsi alla Questura do­ve, finalmente, veniva rac­colta la sua deposizione ».

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Sanità, la denuncia delle organizzazioni di categoria che contestano la commissione straordinaria

«Calpestate le corrette relazioni sindacali» Tradite le aspettative di cambiamento in un comparto da sempre in crisi

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L'ingresso dell'ospedale "Jazzolino" di Vibo Valentia

Ignorate le diverse richieste d'incontro

«LA commissione straordinaria dell'Azienda sanitaria provinciale di Vibo Valentia disconosce le cor­rette relazioni sindacali» . E' quanto denuncianoinunanotacongiuntai segretari di Cgil-Fp, Cisl-Fps, Uil-Fpl, Fsi e Fials, Cecé Molinaro, Lello Lo Gatto, Domenico Pafumi, Dome­nico Soldano e Nino Comito. Conte­stano come a fronte della reiterata richiesta di «convocazione della de­legazione trattante per la sottoscri­zione del contratti collettivi azien­

dali, fermi da quattro anni», la commissione faccia «orecchio da mercante e unilateral­mente utilizza fondi della contrattazione ed

avviaprogetti, coinvol­gendo una minima parte di personale, pre­levando le somme dal fondo della produttivi-tàdei dipendenti. Ilsin-dacato scrive alla Com­

missione per chiedere notizie sul mancato pagamento, sin dal mese di giugno, delle prestazioni di emergenza-urgenza effettuate dai lavoratori di pronta reperibilità ed in interventi d'urgenza, in lavori notturni feriali e festivi ed in lavori diurni prestati in giorni festivi e «nessuna risposta viene data, pur avendone sollecitato il pagamento delle indennitàdovute. La mancan­za di relazioni sindacali all'interno dell'Asp vibonese- si legge nel docu­mento - ha instaurato un malcon­tento generale e sofferente agita­zione nel personale, che si vede co­stretto in un momento di ristrettez­ze economiche, per il già tagliato stipendio dal blocco daparte del Go­verno, dei contratti nazionali fino al 2015, a dover lavorare in precarie situazioni organizzative, per altro in momenti di emergenza urgenza, e non trovarsi nella già alleggerita

busta paga le indennità per lavoro prestato in emergenza-urgenza, a causa della poca attenzione sulle problematiche che riguardano l'or­ganizzazione del lavoro e le risorse economiche del personale dipen­dente».

La Commissione straordinaria non può «proseguire sulla strada del non cambiamento, facendo la­vorare i dipendenti nella confusio­ne organizzativa e, oltre tutto, non corrispondendo puntualmente ai lavoratori le indennità per le effetti­ve prestazioni svolte, aggravando ulteriormente le precarietà e i disa­gi anche economici, per la poca at­tenzione del Commissione dimo­strata anche attraverso la non sot­toscrizione dei contratti collettivi aziendali, arretrati di quattro an­ni».

Eppure i sindacati avevano «au­spicato il cambiamento e il rilancio dei servizi sanitari erogati alla col­lettività, ma purtroppo, in questi quasi due anni di commissaria­mento, nulla o quasi - affermano i sindacalisti - è avvenuto, anche se si è avuta l'opportunità di "sanare" l'organizzazione dei servizi e del la-voro,conilpianodirientro regiona­le e con il nuovo atto aziendale, più volte modificato unilateralmente, senza una vera concertazione, con leparti sociali. Si èproseguito sulla vecchia strada del nulla cambiare per consentire il collocamento delle strutture complesse e semplice, non sulle reali necessità sanitarie del territorio, anche attraverso la creazione di una funzionale rete sa­nitaria territoriale, masulle risorse professionali in forza». I sindacati, però, «non si rassegnano a questo stato di cose, bensì rilanciano con forza la volontà di arrivare ad una ottimizzazione del servizio sanita­rio vibonese, per sconfiggere anche l'emigrazione sanitaria e lo sperpe­ro della denaro pubblico sanitario, rivendicando il diritto alla concer­tazione e alla contrattazione, pure in questi ultimi tre mesi di commis­sariamento dell'Asp vibonese.

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La grande idea di Nazzareno Salerno... NELL'ASSORDANTE silenzioche avvolge lo spazio aereo calabrese, si registra, improvviso l'appassio­nato "decollo" del consigliere re­gionale Nazzareno Salerno da Ser­ra San Bruno il quale, con mano­vra spericolata, hacongetturatola (ri) costituzione della Provincia di Catanzaro (Vìbo Valentia e Croto­ne. .. solonelnome).

Nonostante sianotoquantopos-sano osare taluni piloti di "certe" Compagnie, rileviamo come tale manovrarasentidisforarelasfera della prudenza, intesa come affi­dabili tà. Secondola talen tuosaipo-tesi del predetto, infatti, dovrem­mo essere ben felici nell 'esserepri­vati di Prefettura, Questura, Co­mando provinciale di Carabinieri, Guardia di Finanza, Cfs, Vigili del Fuoco, Asp, Direzione provinciale del Lavoro, Uff. Scolastico Provin­ciale, Ragioneriaprovinciale dello Stato, Agenzie delle Entrate, Agenzia provinciale Poste Italia­ne, Motorizzazione Civile, Fra, Ca­mera di Commercio, Ufficiprovin-cialiInpsedInail,Aci, CroceRossa Italiana, Ordini e Collegi profes­sionali, sezioni provinciali asso­

ciative ed altro (oltre duemilaposti di lavoro in meno... milioni di euro di reddi tipercepiti e spesi altrove).

Il governo Monti decide che le Province siano "enti inutili" (ma non tutte... Si dà il caso) ed ecco che, vivace assai, il consigliere re­gionale Salerno ne auspica una nuova(?), bella, grande eprodutti­va: come un Asse di vecchia memo­ria: laGrande Catanzaro.

Nelle aspettative proprie e della Compagnia solamente, in ogni ca­so. Siamo convinti che se il consi­gliere Nazzareno Salerno avesse dovuto rispondere al territorio e nonallasegreteriadelpartitod'ap-partenenza, sicuramente avrebbe contrastato sul nascere tale gran­diosa invenzione. Amando così tanto il territorio di Catanzaro, trasferisca la propria residenza in quelluogoe da quelleparti si faccia eleggere, alleprossime tornate.

Si ribadisce, per coloro i quali non avessero ancora ben compre­so, come l'abolizione della nostra Provincia e di quelle e. d. minori(?) nonporterebbealcunodei tantiau-spicati benefici per lo Stato (i ri­

sparmi sono irrisori, in effetti) ma sarebbe soltanto titolata a compli­care maggiormente la vita a quei cittadiniche vivonogià "spericola­ti".

L'idea di Salerno avrà effetti de­vastanti per il nostro territorio, conl'inevitabile ricaduta in termi­ni occupazionali ed economici, ol­tre che inprestazione di servizi re­si a cittadini, imprenditori e com-mercian ti. Le gestioni della viabili­tà, dello smaltimento dei rifiuti, dell'edilizia scolastica, della pro-grammazioneeconomicadel terri­torio torneranno nelle competen-zedellaProvinciadi Catanzarocon conseguente danno in termini di rappresentanza, difficoltà buro­cratiche, lontananza delle Istitu­zioni, indebolimen to del con trollo, scarsa presenza sul campo, can­cellazione dell'identità di un Terri­torio. Sarebbe interessante cono­scere, al riguardo, l'opinione di parlamentari e consiglieri regio­nali eletti nel territorio vibonese tutti.

Il Comitato Spontaneo per la tutela

dellaProvinciadi Vibo

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Piperno: «Lavorano senza gli indumenti idonei»

Lavoratori della Ecoshark schierati contro l'azienda

LO Slai Cobas nella perso­na del coordinatore provin­ciale, Nazareno Piperno, si rivolge all'Asp di Vibo Va­lentia, ai sindaci dei comu­ni di Pizzo, Tropea, Rom-biolo, Jonadi, Filandari, Mileto, San Calogero, Lim-badi, Zambrone, Ricadi e Spilinga, oltre che, per co­noscenza, al Prefetto di Vi­bo Valentia e alla stessa azienda Ecoshark per sot­toporre all'attenzione degli stessi la tragica situazione in cui si versano i lavorato­ri dipendenti della azienda, «costretti - si legge nella missiva - di fatto a lavorare privi della pur prescritta sorveglianza sanitaria e con indumenti di lavoro as­solutamente inidonei allo scopo, perché non omolo­gati o perché palesemente fuorimisura».

Tale situazione, già più volte denunciata dalla stes­sa organizzazione sindaca­le, espone i lavoratori alle conseguenze pregiudizie­voli facilmente immagina­bili . Con questa segnalazio­ne, quindi, lo Slai Cobas in­tende sensibilizzare i Co­muni e gli organi preposti

Nazzareno Piperno (Slai Cobas)

ad intervenire «per ripri­stinare una situazione di legalità e far cessare gli abusi ed i gravi inadempi­menti di cui l'azienda in questione si rende ogni giorno protagonista - rile­vando oltretutto - come la responsabilità di eventuali patologie o infortuni che dovessero verificarsi per i motivi sopraccitati, a dan­no dei lavoratori, non potrà che ricadere a carico degli stessi Enti per omessa vigi­lanza».

Lo Slai Cobas, in­tende anche pren­dere posizione ri­guardo all'annoso problema dei ritar­di nel pagamento degli stipendi dei lavoratori, «che-si legge nella lettera -per responsabilità diretta dell'azien­da ha determinato un degrado econo­mico delle loro fa­miglie e ciò non può essere più tol­lerabile, in quanto è già difficile arri­vare a fine mese qualora gli stipen­

di fossero corrisposti con puntualità. Inoltre - conti­nua la nota - assistiamo giornalmente a livelli cul­turali bassi dell'azienda, infatti - denuncia lo Slai Co­bas - quando i lavoratori vanno a chiedere di essere retribuiti succede spesso che i titolari dell'azienda ri­volgendosi ai lavoratori "con spirito da patata", ri­spondono: forse per Natale sarete retribuiti ».

ambr. sca. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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Contratti collettivi bloccati da 4 anni Sindacati vs Asp « Sordi alle richieste, nulla è cambiato

I contratti collettivi aziendali «so­no fermi da quattro anni». Per que­sto le organizzazioni sindacali si erano mosse al fine di incontrare la controparte, l'Asp di Vibo Valentia, e procedere ad una nuova sottoscri­zione. Ma davanti si sarebbero tro­vate un muro di gomma. Lo sosten­gono, in un comunicato stampa congiunto, Molinaro (Cgil), Lo Gat­to (Osi), Pafumi (Uil), Soldano (Fsi) e Comito (Fials). A loro parere «la commissione straordinaria disco­nosce le corrette relazioni sindaca­li», e farebbe «orecchio da mercan­te» utilizzando «unilateralmente fondi della contrattazione» ed «av­viando progetti, coinvolgendo una minima parte di personale, prele­vando le somme dal fondo della produttività dei dipendenti, repli­cando alla richiesta delle organiz­zazioni con il diniego perché, ad av­viso della commissione, la progetta­zione non rientra fra le materie del­la concertazione-contrattazione, ignorando che le somme vengono sottratte alla contrattazione e non prelevate, come maggiore spesa, dal bilancio dell'azienda, citando a "ca­

saccio" norme legislative non rien­tranti nella materia in specie per forviare sulla problematica contrat­tuale e proseguire con il vecchio si­stema dell'elargire denaro di perso­nale, cui è obbligata la contrattazio­ne». Ma i cinque sindacalisti non si fermano qui. E chiedono alla com­missione «notizie sul mancato pa­gamento, sin dal mese di giugno, delle prestazioni di emergenza-ur­genza effettuate dai lavoratori di pronta reperibilità e in interventi d'urgenza, in lavori notturni feriali e festivi ed in lavori diurni prestati in giorni festivi e nessuna risposta viene data, pur avendone sollecita­to il pagamento delle indennità do­vute». Questa situazione avrebbe instaurato un «malcontento gene­rale e sofferente agitazione nel per­sonale». Il giudizio sulla terna pre­fettizia è duro: «La commissione straordinaria, per altro più volte cambiata nella sua composizione, riteniamo non possa proseguire sulla strada del non cambiamento, facendo lavorare i dipendenti nella confusione organizzativa e, oltre tutto, non corrispondendo puntual­mente le indennità per le effettive

»

prestazioni svolte, aggravando ul­teriormente le precarietà e i disagi anche economici, per la poca atten­zione dimostrata anche attraverso la non sottoscrizione dei contratti collettivi aziendali, arretrati di quat­tro anni». Le organizzazioni sinda­cali - conclude la nota - «nel mo­mento dell'amaro evento dell'inse­diamento della commissione per le gravi e negative vicende della sani­tà vibonese, hanno auspicato il cambiamento, ma purtroppo, in questi quasi due anni di commissa­riamento, nulla o quasi è avvenuto, anche se si è avuta l'opportunità di "sanare" l'organizzazione dei servi­zi e del lavoro, con il piano di rien­tro regionale e con il nuovo atto aziendale, più volte modificato uni­lateralmente, senza una vera con­certazione. Si è proseguito sulla vec­chia strada del nulla cambiare per consentire il collocamento delle strutture complesse e semplice, non sulle reali necessità sanitarie del ter­ritorio, anche attraverso la creazio­ne di una funzionale rete sanitaria territoriale, ma sulle risorse profes­sionali in forza».

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Alberto Sarra

Giuseppe Mercyrlo CATANZARO La sua posizione era stata stral­ciata mentre quella degli altri coimputati era proseguita rego­larmente. Ora le due strade pro­cessuali si sono riunite. Il giudi­ce dell'udienza preliminare di Catanzaro Maria Rosaria Di Gi­rolamo (cancelliere Paola Mon­dello) ha rinviato a giudizio l'ex assessore e attuale sottosegre­tario alle Riforme della Regione

Calabria, Alberto Sarra, nell'ambito dell'inchiesta su presunti abusi connessi alla no­mina del primario di neurochi­rurgia dell'ospedale di Reggio Calabria.

Nell'udienza di ieri pomerig­gio la difesa aveva chiesto di rinviare il procedimento in atte­sa che la Cassazione decida in merito alla richiesta di ricusa­zione presentata nei confronti della stessa Di Girolamo che in precedenza si era occupata del caso, quando nei mesi scorsi emise il provvedimento caute­lare con il quale il sottosegreta­rio è stato temporaneamente interdetto dai pubblici uffici, provvedimento poi revocato dal tribunale del riesame il 30 mag­gio scorso. La Corte d'appello respinse la richiesta di ricusa­zione che ora è pendente in Cas­sazione. Ma dopo una breve ca­mera di consiglio il giudice ha respinto la richiesta. Dopo la re­quisitoria del pm Gerardo Do-minijanni e l'intervento della di-fesa, il rinvio a giudizio.

La posizione di Sarra, come accennato, era stata stralciata nelle scorse udienze mentre

erano stati rinviati a giudizio per gli stessi fatti l'ex presidente della Regione, Giuseppe Chia-ravalloti, gli ex assessori regio­nali Saverio Zavettieri e Gian­franco Luzzo, e un medico dell'ospedale di Reggio Cala­bria, Saverio Cipri. Proprio ieri mattina, davanti al Tribunale collegiale di Catanzaro, sarebbe dovuto iniziare il processo ma per un difetto di notifica a una parte civile, l'ex direttore gene­rale dell'Azienda ospedaliera Bianchi Melacrino, Renato Ca-rullo, l'udienza è stata rinviata al 22 febbraio, lo stesso giorno per cui è stata fissata la prima udienza per Sarra. Quel giorno, con molta probabilità, i due procedimenti saranno unificati.

Secondo l'accusa, Sarra, nel febbraio 2005, avrebbe minac­ciato Carullo per costringerlo a nominare Cipri quale primario del reparto di neurochirurgia. Chiaravalloti, Zavettieri e Luz­zo, sono accusati di tentata con­cussione perché avrebbero mi­nacciato Carullo di revocargli l'incarico di direttore generale poiché si era opposto alla nomi­na di Cipri. *

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dietro le Quinte

«In 15 anni non si è mai fatto un

bando dì gara I fornitori erano sempre gU stessi»

LOCRI (RC) Soltanto chi lo ha vissuto, chi ne ha bazzicato i piani alti, può raccontale l'in­ferno dell'ospedale di Locri. Solo chi lo ha toc­cato con mano, e ora ne custodisce i segreti, può svelare il mistero deEa tac o il malaffare che, come una cappa, regna sovrano su quel nosocomio. Solo chi c'è stato, chi ne ha assa­porato l'ebbrezza del comando, può dar con­to delle clientele che hanno governato il fiume di denaro pubblico sperperato e negato ai ma­lati. Maurizio Marchese, dal 2004 al 2008, ha prestato servizio aB'Asl 9, ricoprendo il ruolo di direttore amministrativo. Oggi, dunque, può dire la sua. Quando si racconta ai giudici del Tribunale ufficializza una ovvietà: «In 15 anni non si è fatto un bando di gara. Anche quando si trattava di acquistare prodotti gene­rici, i fornitori erano sempre gli stessi. Ho più volte scritto all'ufficio competente, ma mi è

stato riferito che c'erano dei problemi tecnici ». Denaro, soltanto denaro. Favori, soprattutto favori che ingrassano il pacchetto voti. Morti, anche morti ammazzati. Bombe, pure quelle: due di­sinnescate. Dicono fossero per la moglie e il fratello del definito Francesco Fortugno, primario del Pronto soccorso

ucciso in un agguato. Pistole, una. E' stata rinvenuta dalla poBzia di Sdemo. La chiama­vano Asl 9, ma era un bunker in cui volevano starci in tanti. Tutti si azzannavano per ima nomina. Tutti ad abbordare quei miliardi di euro che, ogni anno, ingozzano la vorace Lo-cride. Partiti, clan di 'ndrangheta, funzionari da strapazzo. Destra, sinistra, centro, transfu­ghi, chi era di là e ora è passato di qua, chi era di qua e adesso se ne sta di là, capimafia che hanno sistemato pargoli e fidati, autorevoli manager. Sono inarrestabili, i reucci della sa­nità made in Locride. Dove, un tempo, gli ospedali aprivano come i supermercati. Due nel raggio di tre chilometri, uno a Locri e imo a Siderno, agli altri niente. Due bestioni am­massati per compiacere goffe logiche di cam­panile, intorno il vuoto. Quando ne hanno az­

zoppato uno, i poEticanti han­no guidato la rivolta. Nel no­socomio più ispezionato al mondo, per la Dda di Reggio, prestava servizio come capo­sala anche il mandante del de­litto Fortugno, Alessandro Marciano. Dopo la morte del politico, il prefetto Basitone

suggerì il commissariamento per mafia: «Nel­le corsie deD'Asl 9 lavorano figli, mogli, nipoti e parenti di boss della ndrangheta. In questo ospedale - annotò nella sua relazione - ha svol­to la sua professione il medico Gino Marino, morto ammazzato».

il.fil.

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Il buco nella sanità si allarga con decreti ingiuntivi e cause in tribunale. A Reggio sono 1.200 all'anno

I giudici: «Atti alla Corte dei Conti » A un medico VAsp ha riconosciuto il debito ma è stato trascinato in giudizio

Dietro l'angolo un presunto

danno erariale

di PASQUALE VIOLI

LOCRI - Il Tribunale di Locri tra­smette gli atti alla Corte dei Conti per presunto danno erariale cau­sato da una mala gestione all'in­terno dell ' Asp 5. Come si fa a crea­re un buco milionario all'interno del comparto sanità in Calabria? La risposta imporrebbe un'anali­si complessa, ma i metodi "usati" per sperperare i soldi pubblici so­no svariati.

Uno di questi, forse tra i più uti­lizzati dalle amministrazioni del­le varie Asp, è quello di portare in Tribunale i contenziosi con i pa­zienti , pratica che può essere con­divisa, ma anche di andare spes­so davanti un giudice trascinati da dipendente o da un fornitore dell'Azienda sanitaria che vanta un credito che gli spetta palese­mente. Così una spesa di poche migliaia di euro, tra interessi e spese legali, lievita fino a sfiorare la doppia cifra. E la stima delle cause perse dalle aziende sanita­rie nei confronti dei ricorrenti sfiorail 75%, almeno inprovincia di Reggio Calabria. Insomma ogni 4 cause iniziate da fornitori o dipendenti delle Asp la sanità calabrese ne perde 3.1 costi rad­doppiano, anzi triplicano e il di­savanzo aumenta. Il dato positi­vo, a secondo di come lo si legge, è che gli uffici legali, fuori e dentro le Aziende sanitarie provinciali,

lavorano. E che la sanità calabre­se non stia in piena salute lo cer­

tificano anche le delibere della Corte dei Conti. L'ultima è datata 20 luglio 2012 e riprende in più occasioni l'imperativo del blocco delle assunzioni per incarichi esterni di qualsivoglia genere o motivo, assunzioni bloccate al­meno fino al 31 dicembre 2014. La Corte dei Conti si esprime in li­nee generali rivolgendosi a tutta la sanità pubblica calabrese, ma il parere depositato il 20 luglio scorso è in linea perfetta con un precedente "invito" fatto sempre dal Tribunale amministrativo ri­spetto alle assunzioni non in li­nea con il piano di rientro. In pro­vincia di Reggio Calabria la si­tuazione diventa più acuta e "pe­ricolosa" con casi specifici ben co­nosciuti, con assunzioni decreta­te illeggittime e con dipendenti o ex dipendenti pronti a trascinare in tribunale l'azienda pubblica. Intanto sul territorio reggino i decreti ingiuntivi presentati nei confronti delle Asl prima, e del-l'Asp poi, si attestano sui 1.200 all'anno, con un picco che ha sfio­rato i 5 mila ricorsi nel 2009. A conti fatti si può capire quanti siano i soldi usciti dalla casse pubbliche solo per cause legali. Il gioco è semplice e diabolico: si ac­cumulano debiti, si va in Tribu­nale e si paga più di quello che è dovuto con interes­si e affini. L'ultimo caso, uno di quelli che si accoda al mi­gliaio del 2012, si consuma al Tribu­nale del Lavoro di Locri dove un giu­dice ha condannato l'Azienda sanitaria al pagamento dei danni dopo il ricorso di un medi­co di base a cui dal 2000 l'ex Asl numero 9 ha illeggittimamente non riconosciuto il pagamento

delle quote di 29 pazienti da lui re­golarmente tenuti in quota di utenti. Per ben 11 anninonostan-te le richieste del dottore fossero legittime l'Azienda ha risposto "picche", accumulando interessi e quanto altro. Poche settimane fa la sentenza del Giudice del la­voro ha quantificato le poche mi­gliaia di euro che all'inizio si do­vevano al medico in qualcosa co­me 32 mila euro (60 milioni di vecchie lire se si fa riferimento al 2000) tra soldi da riconoscere al dottore, interessi, spese legali e consulenze. In più ha trasmesso gli atti alla Corte dei Conti per le eventuali ipotesi di danno eraria­le. E questo perchè la vicenda ap­pare due volte strana: da una par­te era chiara la ragione del medi­co che si trovava a dover dare as­sistenza a 29 pazienti regolar e-mente iscritti ai regitstri, una as­

sistenza palese­mente dimostrabi­le ma non ricono­sciuta economica­mente, dall'altra l'ex commissario straordinario del-l'Asp Rosanna Squillacioti, oggi direttore generale dell'Azienda sani­

taria di Reggio Calabria, non solo con un documento ufficiale «ave­va riconosciuto - come scrive il giudice - la fondatezza delle pre­tese del ricorrente, ma ne aveva anche ordinato la liquidazione per non incorrere in ulteriori ag­gravi di spesa». Invece qualcuno, probabilmente l'ufficio legale dell'Ente, ha deciso di ricorrere con una «ratio - scrive ancore il giudice nella sentenza - che non è dato comprendere, generante un danno erariale che si sarebbe po­tuto evitare facilmente».

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CARTELLA CLINICA DIGITALE

I dati sanitari sono miei e li voglio subito La dematerializzazione dei rapporti con le istituzioni, il cosiddetto switch off, ovvero l'abolizione di ogni interazione fisica e cartacea, è uno strumento potentissimo per semplificare la vita dei cittadini, riducendo il costo e il peso della burocrazia, facendo risparmiare tempo e denaro, migliorando la qualità di tutti i servizi erogati. Notevoli risparmi, quindi, dovrebbero arrivare anche dalla digitalizzazione delle cartelle cliniche da parte delle strutture sanitarie. Come si legge nel decreto, «A decorrere dal 1° gennaio 2013, la conservazione delle cartelle cliniche può essere effettuata, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, anche solo in forma digitale..., le disposizioni del presente articolo si applicano anche alle strutture sanitarie private accreditate».

NEW ECONOMY & SANITA'

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In un file tutta la storia del paziente Obiettivo: dematerializzare cartelle cliniche e prescrizioni mediche, attivando anche il fascicolo sanitario. Il tutto con la logica del «tecno-riuso»

di Francesca Cerati

Tecnicamente è lo scenario ideale. Le norme relative al­la Sanità - vale a dire fasci­colo sanitario, cartella clini­ca e ricetta tutti in formato

digitale - descritte nel decreto Svilup­po appena approvato, sotto il profilo tecnologico vanno nella direzione di of­frire una migliore qualità del servizio al paziente e contemporaneamente di ri­durre i costi a carico del Servizio sanita­rio nazionale.

In diverse regioni le piattaforme in­formatiche per realizzarle già esistono, anche se non in maniera omogenea. «Mancava però un quadro normativo che desse una forte spinta, anche in ter­mini di riuso di alcune best practise -commenta Luca Buccoliero, docente del dipartimento di Marketing dell'Uni­versità Bocconi e ricercatore del Cer-mes Bocconi -. Il decreto, in pratica,

traccia un percorso virtuoso e rapido, condiviso e imposto per legge. Anche se il riuso - concetto di cui si parla da 15 anni - non è a costo zero, possiamo pe­rò immaginare un abbattimento impor­tante dei costi di prototipizzazione. Sen­za questo presupposto il volume econo­mico di innovazione sarebbe decisa­mente impegnativo. Basti pensare che ci sono ancora regioni che hanno seri problemi di anagrafe dell'assistito, pa­recchi passi indietro rispetto al fascico­lo sanitario elettronico...».

A livello di infrastrutture di base, quin­di, il primo passo è rappresentato dal mettere ordine all'anagrafe degli assisti­ti, anche se l'obiettivo 2014 è quello di arrivare all'unificazione della carta d'identità elettronica con la tessera sani­taria. Senza entrare nei problemi orga­nizzativi che sottende questa modalità, e che coinvolge Pinteroperabilità delle Asl, dei comuni e delle regioni, da un punto di vista tecnologico, la gestione del rapporto delle istituzioni col cittadi­no potrebbe passare da una modalità strategica alternativa: il mobile.

«Senza fornire al cittadino l'ennesi­ma card, ognuno di noi possiede già una

sim che garantisce lo stesso tipo di rico­noscimento» spiega Buccoliero. Il cellu­lare, insomma, si presta molto bene allo scopo anche perché tutto quello che "viaggia" sulla propria sim è sicuro.

«Questa è la strategia adottata dagli Stati Uniti - continua l'esperto -. Hanno scelto di mettere al centro del sistema il paziente e in un'ottica di efficienza e di efficacia, spingono sull'e-health e su tut­ti i servizi a valore aggiunto erogabili at­traverso supporti digitali».

Di fatto, offrono un'infrastruttura leg­gera di base e completamente web. Così, il progetto diventa più semplice e fattibi­le e non richiede grandi infrastrutture regionali. In questo modo, poi, si respon­sabilizza anche il paziente sulla propria salute» aggiunge Buccoliero che sottoli­nea tra l'altro che proprio il cittadino, in questa nuova riorganizzazione digitale potrebbe essere la chiave di volta: «Io, Stato, fornisco uno spazio (fascicolo sa­nitario digitale) e tu, cittadino, - se vuoi - puoi popolarlo inserendo i tuoi dati sa­nitari». «Si tratta di una modalità econo­mica per il sistema sanitario e facilmen­te riconoscibile: ci sono informazioni certificate inserite dal medico e quelle non certificate inserite dal paziente».

Un "caso" italiano interessante da que­sto punto di vista è l'azienda sanitaria di Chiavari, che per il fascicolo sanitario ha adottato un sistema che ha chiamato "conto corrente salute", ovvero un'infra­struttura sulla quale ogni assistito è libe­ro di gestire i suoi dati. Questa potrebbe essere una soluzione se una regione de­ve partire da zero. «Occorre iniziare a pensare a piattaforme che possono esse­re impiegate direttamente dal cittadino o nelle quali il cittadino ha un ruolo mol­to forte. E la via più percorribile per ge­stire il rapporto con il cittadino è quella di sfruttare la tecnologia più diffusa in assoluto: il cellulare appunto».

«Se la logica - precisa Buccoliero - è offrire un servizio al cittadino, allora ra­gionevolmente, sia l'autenticazione del­la persona sia l'utilizzo del sistema che viene creato dovrebbe prevedere un ca­nale sullo smartphone, che può essere sotto forma di app o sito web, dai quali si può visionare anche la cartella clinica».

«Pensiamo a una realtà come il Giap-

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pone - conclude l'esperto - il mobile è il canale tecnologico sul quale si sviluppa tutto, dall'accettazione in ospedale alle informazioni, fino all'archiviazione dei referti. Questa è la tendenza da qui a qualche anno, pertanto il progetto sani­tà digitale italiana dovrebbe includere questo requisito. Anche perché ormai tutti hanno un cellulare».

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L'alternativa potrebbe essere quella di far viaggiare le informazioni via smartphone

* PAROLA CHIAVE

Fascicolo sanitario elettronico Il fascicolo sanitario elettronico (Fse) è l'insieme di dati e documenti digitali di tipo sanitario e sociosanitariogenerati da eventi clinici presenti e trascorsi riferibili all'assistito. Oggi il Fse è presente o in fase di realizzazione in gran parte delle regioni, anche grazie a progetti finanziati e coordinati a livello nazionale, interegionale ed europeo.

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RACCOLTA FONDI PER LA RICERCA

Oggi in 100 piazze italiane la giornata per i malati di sclerosi

È oggi la «Giornata Nazionale dedicata alla Sia», promossa da Aisla Onlus in ricordo del primo sit-in dei malati di sclerosi late­rale amiotrofica a Roma nel 2006, giorno in cui vennero avanza­te al Ministero della salute precise richieste per la difesa della cura e dell'assistenza ai malati. Aisla Onlus sarà presente in oltre 100 piazze italiane grazie a centinaia di volontari, per promuo­vere la campagna di sensibilizzazione e di raccolta fondi. Fino al 14ottobreconunsmssolidaleocon una chiamatadel valore di2 o 5 euro al 45505 sarà possibile dare un ulteriore contributo. La giornata è alla sua quinta edizione e h a ricevuto l'alto patronato del Presidente della Repubblica e il patrocinio della Associazio­ne Nazionale Comuni Italiani. I finanziamenti raccolti soster­ranno uno studio biennale il cui obiettivo è elaborare un model­lo di counselling clinicogenetico specifico per il paziente affetto da malattia neurodegenerativa come la Sia, non escludendo ul­teriori possibili applicazioni ad altre malattie neuromuscolari.

NO PROFIT & ISTRUZIONE

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IL BLITZ

Quel "terremoto del 17 maggio

v

Ventisei persone indagate tra sindaci presidenti di società e funzionari dell'Asp

Il pm Michele Sirgiovanni

diGIANLUCAPRESTIA

VIBO VALENTIA - Il blitz scattò all'alba del 17 maggio scorso. In due direzioni. Da un lato si sareb­bero apposti i sigilli alle infra­strutture: ben 57 apparati idrici. In pratica tutta la filiera idrica del territorio vibonese e di parte di quella catanzarese che si allaccia­va all'invaso dell'Alaco ramifican­dosi sul territorio. Un bacino arti­ficiale malato, quello di Brognatu-ro, nato male e peggiorato con il passare dei decenni. Un lago di gomma che per lustri ha fatto sgorgare il fluido simil-traspa-rente dai rubinetti dei vibonesi. Non così, però, negli ultimi tempi quando il colore tipico dell'acqua ha lasciato spazio a cromaticità in­quietanti. E così anche a questa struttura erano stati apposti i si­gilli. L'altra direzione intrapresa dagli investigatori del Nas e del Repar­to operativo del­l'Arma fu quella che portò al seque­stro di voluminosi

incartamenti nelle sedi dei vari enti in­teressati dall'in­chiesta: Sorical su tutti, ma anche le AspdiViboeCatan-zaro. E ancora l'Ar-pacal.

In tutto 26 inda­gati tra i quali spic­cavano i nomi del­l'attuale sindaco di Catanzaro Sergio Abramo, finito nel­l'inchiesta in quali­tà di ex presidente della società a capi­tale pubblico-pri­vato, così come il presidente prò tempore del Cda, l'amministratore delegato e il diret­tore generale tecni­co dell'azienda che aveva la gestione dell'invaso. Non da meno l'Arpa-cai, col direttore attuale e prò tem­pore del dipartimento di Vibo. Coinvolte anche due Asp con il di­rigente dell'unità operativa igie­ne, alimenti e nutrizione del di­stretto AspdiSoverato, deldiretto-re pro-tempore del dipartimento di prevenzione Asp di Vibo nonché del dirigente dell'unità operativa di igiene della nutrizione dell'A-zienda.E,infine,ilprimocittadino di Vibo, Nicola D'Agostino, il suo predecessore FrancoSammarco,e il collega di Santa Caterina allo Jo-nio Domenico Criniti.

Era un'"Acqua sporca" quella che arrivava nelle case della gente tanto che la Procura di Vibo, nella persona del sostituto Michele Sir­giovanni, avevaasuotempoawia-to accertamenti a seguito proprio di quelle segnalazioni che, sempre più numerose e accese nei toni, si estendevano a macchia di leopar-dosul territorio. Epianpianosiin-sinuava nella mente delle persone che ben presto qualcosa sarebbe avvenuto, anche perché in prece­denza qualche avvisaglia in tal sensosieraavuta: ad esempio il se­questro del serbatoio di "Tiro a se­gno" nel capoluogo di provincia nel quale venne portata alla luce una situazione sconcertante tan­

toché lostessoSirgiovanniscrive-va che le notevoli carenze igienico sanitarie e strutturali «non pote­vano non essere notate». L'unico intervento sarebbe poi stato ese­guito soloSmesi dopo. E,ariguar­do, il magistrato aggiungeva che «sei controlli fossero stati eseguiti in modo sistematico nel tempo, non si sarebbe giunti alla disastro­sa situazione accertata dalla stes­sa Azienda sanitaria». Ma quella di "Tiro a segno" non fu certo l'uni­ca situazione degradante. Nella relazione del capitano Giovanni Trifilò vennero messe nero su bianco particolari a tratti sconcer­tanti: presenza di ruggine, escre­menti ed animali. Unostatus figlio diunasostanziale «inadeguatezza dell'intero sistema di potabilizza­zione dell'invaso dell'Alaco alle li­

nee di adduzione e distruzione ai ser­batoi di accumulo, alcuni dei quali ge­stiti dalla Sorical, altri direttamente dai Comuni inte­ressati».

Il quadro com­plessivo emergen­te dai controlli era stato confermato dagli ultimi so­pralluoghi esegui­ti pochi giorni pri­ma dell'emissione degli avvisi di ga­ranzia sia nell'area vicina albacino che in alcuni serbatoi a valle dell'impianto stesso quali ad esempio il sedi­mentatore di Bro-gnaturo, il serba­toio-ripartitore di Vallelonga, il cam­po pozzi di Gero-carne, sul cui retro passa la condotta dell'Alaco e, infine, il serbatoio soprae­

levato diS. Angelo di Gerocar ne. Le accuse ai singoli. Abramo,

Camo e Del Re, sono indagati per inadempimento di contratto di pubbliche forniture. Abramo, Geppino Camo, Maurizio Del Re, Sergio De Marco, Giulio Ricciuto,

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Ernaldo Antonio Biondi, Vincen­zo Pisani e Massimiliano Fortuna, sono indagati per cooperazione di persone nel delitto colposo, in rife­rimento all'art 439: avvelenamen­to colposo di acque. Biondi per fal­sità ideologica commessa da eser­centi servizi di pubblica necessità; Mariano Romeo, Beniamino Maz­

za, Giacomino Brancati, Rubens Curia, Silvana De Filippis e Rosan­na Maida per omissione di atti d'ufficio; Ricciuto, Domenico e Pietro Lagadari per concorso di persone nel reato doloso, interru­zione di pubblico servizio; Maria Stefania Caracciolo, Fabio Pisani, Camillen, Francesco Catricalà,

Francesco Massara, Cesare Pa-squaeFortunatoCarnovale,omis-sione d'atti d'ufficio; Caracciolo e Criniti per abuso d'ufficio. Sam-marco e D'Agostino, infine, avreb­bero consentito l'erogazione d'ac­qua nonpotabile.

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Completati i lavori alla condotta idrica Acqua potabile proveniente dall'Alaco giungerà nel serbatoio di Longobardi

IL sindaco Nicola D'Agostino, affianca­to dal dirigente dei Lavori pubblici Pa­squale Scalamogna, ha incontrato nei giorni scorsi gli ingegneri Sergio De Marco e Giulio Ricciuto, rispettivamen-tedirettoredell'Areaoperativaerespon-sabiledelcompartimentocentrosudper laSorical. Nel corso della riunione, svol­tasi presso la sala giunta di Palazzo Lui­gi Razza, i presenti hanno sottoscritto il documento con il quale Sorical è stata autorizzata ad immettere acqua prove­niente dall'acquedotto Alaco - Sambuco nel serbatoio comunale di Longobardi. Contemporaneamenteèstato dato man­dato all'area tecnica del Comune di ef f et-tuaretuttiicontrollieleverifiche,anche fiscali, sulla nuova utenza che si ritiene aggiunta a quelle già comprese nella convenzioned'utenza.

La decisione è stata presa alla luce di tutte le analisi di verifica che sono state ben più numerose e dettagliate rispetto a quelle di semplice routine, effettuate dalla Sorical e dal laboratorio Calabria service, incaricato dal Comune. Analisi che hanno confermato la potabilità del­l'acqua erogata dalla Sorical attraverso lanuova condotta. Scalamogna, inoltre, ha chiesto all'Asp di effettuare dellepro-

prie analisi sulla rete servita dal serba­toio Longobardi. In esitoatali analisi, se favorevoli, sarà finalmente possibile re­vocare l'ordinanza sindacale del 17 ma­gio dello scorso anno, tutt'ora in vigore, che vieta lo utilizzo per scopi umani ed alimentari dell'acqua erogata a Vibo Marina. La realizzazione della condot­ta, lunga 1,5 km, per un costo comples­sivo di circa 2 70mila euro a totale carico della Sorical, risolve un problema che Vibo Marina si trascinava sin dal 1991. Per l'obiettivo raggiunto il sindaco ha rivolto un ringraziamento ai cinque consiglieri di Vibo Marina i quali «sin dalla loro elezione hanno seguito con at­tenzione il problema idrico che gravava sullafrazionedi Vibo Marina, recandosi spesso di persona nei pressi del serba­toio di Longobardi per verificare le criti­cità in atto e non solo per informare la popolazione, ma soprattutto per atte­nuarne, con l'aiuto dei tecnici comunali le conseguenze negative. Va sottolinea­to - ha concluso il primo cittadino - che sono stati gli stessi consiglieri a solleci­tare l'adozione di provvedimenti che ri­solvessero il problema, come appunto la realizzazione della condotta ora ultima­ta Ha Qr»-pinal «

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Infettati negli ospedali Lasciati soli dalla Regione In Calabria sono più di 1000. Vivono con 600 euro al mese quando va bene

Sono più di mille i calabresi che hanno attraversato questo calvario. Mille e cinquanta per la precisione. Sono persone malate di epatite, hiv, cirrosi.

Hanno solo una colpa: essersi fidati di uno Stato cialtrone e superficiale. Uno Stato che fino agli anni '90 ha fatto circolare nei nostri ospedali litri interi di

sangue infetto. Oggi i malati da sangue infetto prendono circa 600 euro al mese ma in Cala­bria anche meno e da due me­si non prendono nulla.

Soli, malati e senza indennizzo... In Calabria sono centmaia.Contagiaù dal sangue infetto, la Regione li ignora

COSENZA Immaginate la scena: un padre di famiglia entra in un ospe­dale pubblico per un intervento. Ches-sò, un trapianto o una semplice appen­dicite Al momento del risveglio trova le facce sorridenti dei familiari, degli ami­ci. Poi attende il verdetto del medico: tutto bene, l'operazione è riuscita. Il pa­dre di famiglia, allora, riprende la sua vita: lavora, ama, perde tempo, si di­verte, piange, sorride. Ma un bel gior­no, magari in occasione di un banalis­simo check-up medico, gli dicono che qualcosa nei valori del sangue non va: "Caro signor Rossi, lei ha l'epatite", gli dicono i medici. Oppure l'hiv. Al signor Rossi crolla il mondo addosso. Riper­corre gli ultimi anni, cerca di capire in che modo quella malattia sia potuta en­trare nel suo corpo. Nulla, non ha fatto nulla di strano. Nel frattempo costrin­ge tutti i familiari a fare le analisi nella speranza di non aver contagiato nessu­no. Poi arriva la verità. Quella malattia l'ha presa in un ospedale. Era andato li per farsi curare ed è uscito malato.

Sono più di mille i calabresi che han­no attraversato questo calvario. Mille e cinquanta per la precisione. Sono per­sone malate di epatite, hiv, cirrosi. Han­no solo una colpa: essersi fidati di uno Stato cialtrone e superficiale. Uno Sta­to che fino agli anni '90 ha fatto circo­lare nei nostri ospedali litri interi di san­gue infetto. Ecco, chi in quel periodo lì

ha avuto la malasorte di essere stato operato in un ospedale italiano per un trapianto, un'operazione chirurgica o una semplice trasfusione, ha rischiato grosso. E qualcuno, purtroppo, si è am­malato. E allora quello stesso Stato ha pensato a un risarcimento, una cifra ri­dicola: oggi i malati da sangue infetto prendono circa 600 euro al mese. I più fortunato però. C'è gente che di euro ne prende 550. Il tutto ogni due mesi. E sì, lo Stato infatti vuole verificare ogni bi­mestre l'esistenza in vita di queste per­sone. Un'umiliazione che si ripete sei volte l'anno. Sì, sono vivo, scrivono i malati. E lo Stato versa i soldi. Ma non sempre però. E non tutti. Da due mesi a questa parte molti malati calabresi non vedono un euro. La Regione non ha i soldi. 0 almeno non ne ha per lo­ro. Ma non basta: la Calabria, l'unica insieme ad altre 3 regioni italiane, non ha adeguato la cifra dell'indennizzo. E così i malati calabresi da sangue infet­to prendono 2-300 euro in meno dei "colleghi" della Lombardia, del Lazio, della Basilicata e così via.

E in tutto questo, nessuno dice nul­la. Eppure si tratta di persone fragilis­sime. Spesso il livello della malattia im­pedisce qualsiasi tipo di attività lavora­tiva e quelle due lire che arrivano dallo Stato sono l'unica fonte di reddito. Nes­suno sa che fine abbiano fatto quei sol­di. Molti di loro chiamano ogni giorno.

Ma i telefoni delle segreterie squillano a vuoto. E quando qualcuno si degna di alzare la cornetta, la risposta è sempre la stessa: "stiamo verificando, abbiate pazienza". Certo, pazienza. Troppi nel palazzo della Regione ignorano che quei pochi spiccioli gli servono per

Molti non possono pia lavorare E i loro diritti sono calpestati

campare. Non sanno che molti di loro corrono tutto il giorno da un ospedale all'altro per una dialisi, per una terapia. Appesi ad un'analisi che gli dica: "sì, tutto bene, la sua malattia non peggio­ra". 0 nel terrore che invece no, che la malattia abbia preso il sopravvento e che qualcuno di lì a poco depenni il suo nome dalla lista delle persone in vita. Una vita che non è vita. Elemosinare i soldi, soldi che dovrebbero essere un diritto, è una vera umiliazione. Eppure la sentenza della Corte Costituzionale parla chiaro: alle regioni che avevano escluso la rivalutazione dell'indennità integrativa -quei miseri 100 euro al me­se in più dovuti dalla crescita del costo della vita - ha fatto sa­pere che devono im­mediatamente ade-

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guarsi e dare loro quei soldi. Ma niente, la Regione Calabria non solo non ha aumenta­to quell'indennità ma, come detto, da due mesi a questa parte non ha dato loro

nulla, neanche un euro. E dire che lo Stato ha versato nelle casse della Re­gione sei milioni di euro destinati pro­prio a questa voce. La Regione avrebbe dovuto metterne altri tre - il costo com­plessivo dei malati calabresi è infatti di 9 milioni di euro - ma niente. Quei sol­

di chissà dove sono finiti. Imperizia? Dimenticanza? Nessuno sa nulla. Nes­suno tranne loro che attendono ogni mese un verdetto del medico e un asse­gno che non arriva mai.

DAVIDE VARI

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