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Laura Cadamuro EMIGRAZIONE, FAMIGLIA E RISORSE IN VAL DEI MÒCHENI (TRENTO) Laurea Triennale

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Laura Cadamuro

EMIGRAZIONE, FAMIGLIA E RISORSE IN VAL DEI MÒCHENI (TRENTO)

Laurea Triennale

Emigrazione, famiglia e risorse in Val dei Mòcheni (Trento) 145

INDICE DELLA TESI INTRODUZIONE 1. TERRITORIO E COMUNITÀ

1.1. Collocazione geografica 1.2. Cenni storici

1.2.1. La storia del Trentino 1.2.2. L’influenza della colonizzazione sull’economia 1.2.3. Il problema demografico 1.2.4. Origine e sviluppo degli insediamenti mòcheni

1.2.5. Il modello di colonizzazione dell’abitato 1.2.6. L’organizzazione civile 1.2.7. L’organizzazione ecclesiastica 1.2.8. I secoli XIX e XX

1.3. Aspetti linguistici 1.3.1. Le minoranze linguistiche in Italia 1.3.2. Origine del termine “mòcheno” 1.3.3. La particolare concezione degli avverbi di direzione

2. AMBIENTE E RISORSE

2.1. L’economia di montagna 2.2. L’organizzazione del territorio 2.3. La proprietà del maso 2.4. Attività agricole e silvo-pastorali

2.4.1. L’agricoltura 2.4.2. Allevamento e pastorizia 2.4.3. La divisione sessuale del lavoro 2.4.4. Il bosco

3. L’EMIGRAZIONE

3.1. Le fonti 3.2. La popolazione

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3.3. Le forme dell’emigrazione 3.3.1. L’emigrazione definitiva 3.3.2. L’emigrazione temporanea 3.3.3. L’emigrazione stagionale

3.4. Le cause dell’emigrazione 4. ASPETTI DEMOGRAFICI

4.1. Famiglia e aggregato domestico 4.1.1. Definizione di aggregato domestico 4.1.2. Classificazione degli aggregati domestici

4.2. Le fasi del ciclo di sviluppo della famiglia 4.2.1. Il dibattito 4.2.2. Forme e diffusione degli aggregati domestici

4.3. Matrimonio e celibato CONCLUSIONI Fonti iconografiche Elenco delle abbreviazioni Riferimenti bibliografici

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Sintesi della tesi Le ipotesi presentate nella mia tesi di laurea sono frutto di un lavoro di raccol-ta, analisi, classificazione e confronto di un insieme di dati relativi alla demo-grafia e all’economia della comunità mòchena tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento. Tali dati sono stati raccolti nel Censimento della popola-zione redatto da parte dell’amministrazione asburgica nel 1910 e nei Registri Passaporti relativi agli anni che vanno dal 1888 al 1905, entrambi conservati presso l’Archivio di Stato di Trento; inoltre, ho consultato i Registri dei nati conservati presso l’Archivio diocesano tridentino prendendo in considerazione i nati dei paesi di Frassilongo, Fierozzo e Palù del Fèrsina negli anni compresi fra il 1821 e il 1910. Per quanto riguarda gli aspetti demografici, ho indagato in particolare quale fosse la composizione dell’aggregato domestico nella società mòchena degli inizi del secolo scorso, individuando l’adozione di un sistema di famiglia con-giunto che prevedeva la coabitazione della coppia di genitori con due o più fi-gli sposati. L’assunzione di questa specifica tipologia di organizzazione fami-gliare è strettamente legata ad un regime di proprietà che prevedeva la tra-smissione indivisa dei possedimenti famigliari solamente a uno o due figli del-la coppia in modo da evitare l’eccessiva parcellizzazione dei terreni. Queste strategie possono essere lette come mezzo per ottenere il massimo rendimento da un territorio che pone dei limiti concreti all’esercizio delle attività agricole e pastorali. Ho indagato pertanto l’influenza che il regime di proprietà eserci-tava sul sistema di organizzazione famigliare e in che modo il matrimonio e il celibato definitivo agissero come meccanismi regolatori finalizzati ad equili-brare la disponibilità di risorse presenti nella Valle. Per quanto concerne invece gli aspetti economici, i dati più importanti ri-guardano l’emigrazione. Nello specifico, è emersa l’esistenza di una doppia emigrazione stagionale, una invernale di merciai ambulanti e una estiva di braccianti agricoli; inoltre, è stato possibile classificare gli emigranti in base a specifiche caratteristiche che hanno messo in rilievo il ruolo che l’emigrazio-ne esercitava all’interno della società mòchena, influenzando e creando dei le-gami con molteplici aspetti della vita della comunità.

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ANNO ACCADEMICO: 2007-2008 RELATORE: Prof. Glauco Sanga CORRELATORI: Proff. Gianfranco Bonesso, Renzo Derosas e Italo Sordi

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L’EMIGRAZIONE […] 3.3.3. L’emigrazione stagionale La Valle ha conosciuto, per almeno due secoli, una particolare forma di emigra-zione stagionale, il commercio ambulante, che ha costituito uno degli elementi più importanti e caratterizzanti dell’economia mòchena. Nonostante però la notevole importanza che il commercio ambulante ha rive-stito per la Valle, le fonti scritte che danno informazioni su questa attività sono poche e datate. Ancora oggi, una data o un periodo in cui gli abitanti della Valle iniziarono a praticare il commercio ambulante non sono stati individuati con precisione. Don Francesco Tecini, nella sua “Dissertazione intorno alle popola-zioni alpine tedesche del Tirolo meridionale e dello Stato veneto”1 ultimata nel 1821, colloca l’inizio dell’emigrazione stagionale a circa sessant’anni prima della data in cui scrive, che può quindi “essere individuata grosso modo nella seconda metà del XVIII secolo, quando in consi-derazione della crisi economica agro-silvo-pastorale aggravata dalla cessazione dell’attività estrattiva mineraria, il governo di Vienna concesse delle licenze speciali alle zone depresse dell’alta Val del Fèrsina, bassa Valsugana e altopiano di Lavarone, che consentivano il commercio stagionale su tutto il territorio dell’Impero austro-ungarico.”2

Gli abitanti della Valle beneficiarono quindi delle riforme attuate da Maria Te-resa d’Austria che li autorizzò ad esercitare liberamente il commercio ambulan-te, ma è probabile che questa misura abbia semplicemente ufficializzato un’attività già in gran parte diffusa, come dimostrano dei documenti che risal-gono alla fine del XVIII secolo. Queste fonti attestano una presenza consistente di ambulanti già alla fine del Settecento. In particolare in tre documenti con-servati presso l’Archivio del Bersntoler Kulturinstitut di Palù del Fèrsina ven-

1 F. Tecini, Dissertazione intorno alle popolazioni alpine tedesche del Tirolo meridionale e dello Stato veneto, 1860, II ed. 2 R. Morelli, Identità musicale della Val dei Mòcheni, 1996, 75.

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gono riportati dei precisi riferimenti a questa attività. Il primo documento, da-tato 28 ottobre 1795, consiste in un “Promemoria delle spese della compagnia di venditori di pitture su vetro con i nominativi dei quindici aderenti”3. Il se-condo, risalente all’ottobre 1786, risulta essere una “Cessione di Cristiano figlio di Cristiano Laner di Fierozzo avuta da Pietro Laner suo zio con donazione e ri-nuncia” all’interno del quale vengono riportate le seguenti parole, “Inoltre esso Pietro rinunzia ad ogni ragione che pretender potesse sopra il denaro e pe-culio che il nipote tiene separatamente essendo quello stato accumulato colla di lui indu-stria stando fuori casa e negoziando per la Germania.”4 Infine, nel terzo documento del 13 dicembre 1790, il quale consiste in un reso-conto di un’assemblea dei “giurati del quartier di mezzo, del quartier di là den-tro e del quartier di qua fuori” rappresentanti di ogni sezione del villaggio di Fierozzo, vengono annotati gli individui che non vi parteciparono a causa del commercio, “convocati in pubblica Regola previo l’avviso loro dato secondo il solito, ieridì dal pieter asserenti formare la totalità dei vicini detratti trenta e più che si trovano in lontanissime parti per causa di commercio.”5 L’attività del commercio ambulante veniva praticata esclusivamente dagli uo-mini, i quali la definivano comunemente con l’espressione dialettale trentina di “nar sul ziro”6. Nel Censimento del 1910 e nei Registri Passaporti di fine Otto-cento viene definita invece con il termine di “industria traffico girovago” e gli individui che la esercitavano vengono classificati come “Hausierer”. Giorgio Fe-rigo ha sottolineato come la terminologia con la quale essi vengono classificati sia molto importante infatti vanno fatte, “distinzioni necessarie tra i Landmaterialisten (commercianti di campagna) e gli Sta-dtmaterialisten (commercianti di città); e, fra i primi, tra chi conduceva gli affari, inta-scava denari e aveva alle dipendenze uno o più lavoranti (il patrone), chi portava da sé la sua crassigna7 e bussava alle porte (l’Hausierer), ed il servitore che per un salario sup-poniamo misero portava le mercanzie altrui (il Träger).”8 Gli ambulanti partivano per il loro giro alla fine di ottobre o all’inizio di novem-bre, immediatamente dopo la festa di Ognissanti, e rimanevano lontani da casa fino alla primavera, solitamente fino a Pasqua, determinando così un’emigra-

3 BKI, Filzerhof, n. 41, 1795 ott. 28. 4 BKI, Filzerhof, n. 56, 1786 ott. 16. 5 BKI, Filzerhof, n. 61, 1790 dic. 13. 6 S. Piatti, Palù-Palae. Frammenti di storia, 1996, 727. 7 Sinonimo di “craizera”. 8 G. Ferigo, La natura dei cingari. Il sistema migratorio dalla Carnia durante l’età moderna, 1998, 236.

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zione stagionale che si svolgeva durante i mesi invernali. Nonostante le parten-ze e i ritorni degli ambulanti avvenissero in concomitanza a dei periodi impor-tanti per la cristianità, i ritmi del movimento migratorio non sembrano essere stati determinati dal calendario liturgico perché , in primo luogo, di anno in anno le partenze e i ritorni non avvenivano sempre nello stesso giorno e, in se-condo luogo, la stagionalità del commercio ambulante è legata alle fasi del ciclo agricolo e pastorale. Probabilmente il fatto di identificare l’inizio e la fine della stagione migratoria con momenti religiosi aveva prevalentemente un valore pratico, cioè quello di determinare un periodo circoscritto e di renderlo ricono-scibile e identificabile a tutti i membri della società. D: In che periodo svolgevano questa attività? R: Facevano questo lavoro in inverno perché d'estate avevano ‘ste masi, lavoravano un po’ il terreno qua. Partivano diciamo a novembre fino a fine marzo, metà aprile, fino a Pasqua. D: La partenza o il ritorno erano legati a dei momenti religiosi? R: No. No... anche perché qua in paese... sì, tutti religiosi, tutti cristiani, tutti credenti ma praticanti... fin là, insomma.9 In inverno, prima di partire, gli ambulanti si riunivano in compagnie composte di un numero variabile dai venti ai trenta uomini. Inizialmente prendevano in-sieme il treno a Trento in direzione di Brunico, Merano, Vipiteno, Innsbruck ma soprattutto di Salisburgo, dove aveva sede la ditta Junger che costituiva il principale fornitore delle merci che poi essi rivendevano10. Inizialmente com-merciavano solamente delle “fragili figure d’argomento sacro dipinte sul cristal-lo boemo di Langenau”11, successivamente invece essi differenziarono il tipo di merce. Alla fine dell’Ottocento ogni ambulante aveva il suo tipo di merce e la sua zona. Presso la ditta Junger, una volta depositati i pochi denari che avevano in tasca, essi si rifornivano della merce a seconda del luogo in cui erano diretti. Chi commerciava nella Baviera o nell’Alto Tirolo acquistava immagini sacre di-pinte su vetro, chi era diretto in Boemia si riforniva di cotone, stoffe e di tutto ciò che serve per cucire, chi partiva per l’Ungheria e la Russia acquistava della piccola merceria di uso famigliare, o ancora, chi commerciava in Germania prendeva degli oggetti in ferro e dei piccoli attrezzi agricoli12. Una volta ottenu-ta la merce, essi partivano con un pacco oppure con la craizera sulle spalle13, a seconda che commerciassero stoffe o altri oggetti. Quest’ultima è una specie di piccola cassettiera munita di molteplici cassettini necessari a contenere le merci

9 Intervista con Lorenzo Nischler di Roveda del 29 aprile 2007. 10 C. Fabbro, I Mòcheni: ritorno nella Valle incantata, 2003. 11 F. Tecini, Dissertazione intorno alle popolazioni alpine tedesche del Tirolo meridionale e dello Stato veneto, 1821. 12 A. Gramatica, Escursioni nella Valle del Fèrsina, 1886. 13 Cfr. Foto 12, 13, 15 e 16.

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che poi venivano vendute, veniva portata sulla schiena e fermata con due cin-ghie di pelle. R: La craizera era ancora più pesante del pacco perché dovevano portarla tutto il giorno, anche quando era vuota. Avevano sempre quel peso, e così era per tutto l’inverno.14 Al momento di raggiungere le destinazioni in cui avrebbero rivenduto gli ogget-ti acquistati dallo Junger, gli ambulanti si separavano dalla compagnia assieme alla quale erano arrivati e conducevano individualmente la loro attività. Sola-mente alcuni erano accompagnati da un garzone, scelto prima della partenza tra i giovani fra i sedici e i diciotto anni del paese, che serviva loro come aiuto per trasportare la merce. Questi ragazzi avevano tutti un’età inferiore ai di-ciott’anni, infatti, dopo quell’età, i giovani iniziavano a svolgere l’attività per conto loro e quasi sempre era il padre ad avviare il figlio al lavoro. D: L’attività si svolgeva in gruppo o da soli? R: Singolarmente. D: Nemmeno con l'aiuto dei figli? R: Sì, ce n’erano... c’erano quelli che andavano insieme papà e figlio. Però non andavano mai assieme per... per lavoro, diciamo. Partivano tutti assieme quelli che facevano que-sto lavoro, però dopo, quando arrivavano al paese, sempre singolarmente.15 Gli Hausierer bussavano ad ogni porta, andavano di casa in casa nel Tirolo te-desco, in Carinzia, Stiria, Baviera, Boemia e Sassonia, ma arrivavano anche fino all’Ungheria e alla Russia, per vendere le merci più varie come filo, aghi, spilli, immagini sacre, nastri, stoffe e molti altri piccoli oggetti. Nei loro viaggi essi trovavano spesso ospitalità dai contadini dove potevano mangiare e dormire, in modo da ridurre un po’ le spese, ma la loro vita era fatta di stenti e privazioni. L’attività degli ambulanti, e più in generale l’emigrazione stagionale alpina, presentava le caratteristiche culturali tipiche della marginalità storica, “I marginali sono identificati sotto il profilo economico dall’estraneità alle attività pro-duttive; sotto il profilo sociologico dal vagabondaggio; sotto il profilo culturale dall’uso di una lingua speciale, il gergo. Non “lavorano”, cioè non svolgono attività produttive socialmente riconosciute, ma si dedicano ad attività parassitarie o illecite; o ad una sorta di terziario “superfluo”, fatto di spettacoli, piccoli commerci o servizi, del tutto contiguo alla truffa e all’accattonaggio. Non hanno fissa dimora all’interno di un territorio defini-bile come area di sfruttamento, perché sono nomadi o itineranti (come gli ambulanti, che tornano solo periodicamente alla propria residenza)”16

Inoltre gli ambulanti, negli ambiti territoriali in cui esercitavano la loro attività, rappresentavano una realtà esterna sia alla società che li accoglieva ma anche

14 Intervista con Elio Moltrer di Fierozzo San Felice del 5 maggio 2007. 15 Intervista con Lorenzo Nischler di Roveda del 29 aprile 2007. 16 G. Sanga, Un modello antropologico dell’emigrazione alpina, 1997, 122.

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alla società agricola della Valle, dove invece ritornavano per svolgere i lavori a-gricoli e pastorali estivi, analogamente a coloro che non emigravano. A sottoli-neare la marginalità di questi soggetti il fatto che parlassero un gergo, il quale in origine era una lingua di caccia e quindi esclusivamente maschile, così come erano attività esclusivamente maschili il commercio ambulante e le altre attivi-tà che popolavano il mondo della “piazza”. Purtroppo né dalle fonti, né dagli in-formatori sono riuscita a sapere se esisteva un gergo degli ambulanti e quali fossero le sue peculiarità. Ciò non stupisce visto che il gergo, nonostante fosse conosciuto e usato solo dai marginali, non si configurava come una vera e pro-pria lingua segreta ma piuttosto veniva usato per la comunicazione normale e quotidiana tra gerganti, senza essere limitato alla comunicazione illecita o pro-fessionale, e quindi è magari possibile che alcune espressioni come “nar sul zi-ro”, “craizera” o “Krumern” fossero inizialmente espressioni gergali proprie del commercio ambulante che, nel corso del tempo, sono entrate nel linguaggio comune in riferimento esclusivamente a quel tipo di attività. Man mano che ottenevano dei guadagni li spedivano alla ditta Junger che face-va anche da banca, da recapito e da tramite per le notizie ed eventualmente per spedire denaro alla famiglia. La ditta Junger per gli ambulanti mòcheni rappre-sentava, in un certo senso, ciò che i Remondini hanno rappresentato per i per-tegànti tesini17, anche se, all’inizio del Novecento, essi iniziarono a rifornirsi anche da altre ditte di Bolzano e di altre città del Tirolo. Alla fine della stagione invernale essi si ritrovavano, in un giorno stabilito al loro arrivo, nuovamente a Salisburgo dove si presentavano alla ditta Junger che scontava loro le merci in-vendute e consegnava ai venditori il loro assegno che veniva poi diviso fra tutti, infatti, “le rese di conto si fanno sul tavolo di un’osteria in Austria o nella Stiria con un pezzo di gesso”18. Infine, verso Pasqua essi facevano ritorno al loro vil-laggio e durante il periodo estivo si dedicavano al lavoro dei campi, così come facevano coloro che non erano emigrati durante l’inverno. Tornando dai lunghi viaggi, essi portavano con sé, come ex voto, delle pregiate monete votive che vengono tutt’ora esposte una volta l’anno; sono infatti utilizzate per impreziosi-re il mantello della Madonna del Rosario, portata in processione dai coscritti la prima domenica di ottobre19. Per emigrare e quindi per poter svolgere la loro attività, gli Hausierer avevano bisogno del passaporto, il quale veniva rilasciato dal Capitanato distrettuale di Trento. Ho preso in esame quattro Registri Passaporti che riportano il totale dei permessi rilasciati tra il 1888 e il 1892 e tra il 1896 e il 1905. Sono necessarie però due precisazioni. In primo luogo, il tipo di documento che veniva rilasciato poteva essere un passaporto vero e proprio oppure una Carta di Legittimazione. Quest’ultima, presente anche in alcuni Stati dell’Italia preunitaria con il nome

17 I. Fietta, Con la cassela in spala: gli ambulanti di Tesino, 1987. 18 S. Piatti, Palù-Palae. Frammenti di storia, 1996, 728. 19 Cfr. Foto 18.

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di “carta di passaggio” o “carta d’iscrizione”20, era una sorta di carta d’identità21 che permetteva all’intestatario di viaggiare all’interno dei territori dell’Impero austro-ungarico, cioè di passare da un dipartimento all’altro oppure da un di-stretto all’altro dell’Impero. Da parte degli emigranti, questa forma di autoriz-zazione veniva preferita al passaporto per il suo costo inferiore ma, rispetto ad esso, aveva delle limitazioni, infatti aveva la validità di un solo anno e consenti-va di muoversi esclusivamente tra province dell’Impero, quindi non al di fuori dei domini asburgici. I confini della monarchia si estendevano, nel 1840, per una lunghezza di circa 6600 km. Essi furono definiti e ridefiniti nel corso del tempo da diverse e molteplici vicende politiche e belliche, e la loro implicazione nel creare un’identità nazionale merita un discorso a parte. Ciò che va però sot-tolineato ai fini del presente lavoro è che i confini della monarchia asburgica non avevano solamente un valore simbolico per l’Impero. La loro funzione eco-nomica e fiscale era di gran lunga la più importante su tutte, “si faceva il con-trollo delle merci prima di quello delle persone e della nazionalità”22. A testi-monianza di ciò, il fatto che, fin dall’ascesa al potere degli Asburgo nella metà del XIV secolo, l’Impero fu il centro dei traffici commerciali sia tra est e ovest che tra nord e sud dell’Europa. Fin dalla loro creazione, i confini servirono a controllare l’importazione e l’esportazione di merci attraverso l’imposizione di dazi doganali. Di conseguenza, quando nel 1801 venne introdotta una prima forma di tessera indicante l’identità personale di un individuo, le frontiere do-ganali e commerciali erano già state istituite da secoli. La Carta di Legittima-zione fu introdotta invece in sostituzione del passaporto nel 1857, data che se-gnò, come scrive Edith Saurer, “la fine del passaporto per i viaggi all’interno del paese”23, il quale, da quella data, non fu più obbligatorio per gli spostamenti all’interno dei territori dell’Impero. Tuttavia, come vedremo nei paragrafi suc-cessivi, dai documenti risulta che alla fine dell’Ottocento e nei primi anni del Novecento anche per viaggiare in Austria e in Ungheria veniva rilasciato un passaporto, almeno per quanto risulta dalle fonti relative ai commercianti am-bulanti mòcheni. In secondo luogo, nei Registri viene citata anche la professio-ne dei richiedenti ma non viene specificato se questa sia la professione svolta al paese oppure quella che andranno a svolgere da emigranti. Infatti, solo una parte di loro viene annotata come “trafficante girovago”, termine utilizzato nei documenti per indicare la professione di ambulante, mentre la parte rimanente viene registrata utilizzando l’espressione generica di “contadino”. Quest’ultimo elemento, unito al fatto che la maggior parte dei passaporti veniva rilasciata nei

20 M. Meriggi, Sui confini dell’Italia preunitaria, 2005, 45. 21 Nella Carta di Legittimazione venivano indicati età, statura, viso, capelli, occhi, naso, nome, luogo d’origine e destinazione dell’intestatario. 22 E. Saurer, Una contraddizione sistematica: i confini della monarchia asburgica tra Sette e Ottocento, 2005, 29. 23 E. Saurer, Una contraddizione sistematica: i confini della monarchia asburgica tra Sette e Ottocento, 2005, 33.

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mesi immediatamente precedenti l’estate, potrebbe far pensare che gli abitanti dei villaggi mòcheni praticassero anche un’emigrazione stagionale estiva come braccianti. Cole e Wolf24 hanno documentato un’emigrazione stagionale di braccianti agricoli dal Tirolo verso altre parti d'Europa, in particolare verso la Svevia, nella Germania meridionale, che crebbe di volume per tutto il XVII e il XVIII secolo, raggiungendo il suo apice tra il 1880 e gli anni Venti del Novecen-to. Tuttavia, ad emigrare erano “in particolare le vittime di secoli di suddivi-sione della terra, rimaste con proprietà troppo piccole per mantenere le loro famiglie”25, al contrario di quanto accadeva invece nei villaggi mòcheni il cui re-gime di trasmissione dell’eredità tra generazioni mirava principalmente ad im-pedire proprio la polverizzazione dei possedimenti. Inoltre, “tra coloro che emigravano verso queste regioni, vi erano non solo uomini, ma anche donne e bambini”26, mentre a richiedere il passaporto tra il 1888 e il 1905 furono unica-mente uomini. Infine, data l’uniformità delle destinazioni e delle caratteristiche dei passaporti rilasciati e dato che nel Censimento del 1910 pochissime perso-ne vengono classificate come contadini giornalieri, i dati non risultano di facile interpretazione e, soprattutto, non lasciano intendere con chiarezza se fossero presenti due forme d’emigrazione stagionale – una estiva di braccianti e una invernale di ambulanti – oppure se la presenza di questi elementi sia da impu-tare ad altre cause. Una spiegazione potrebbe essere quella formulata da Piatti, secondo il quale la presenza di molte persone classificate nei Registri Passapor-ti come “contadino” è da attribuire al fatto che non tutti, al momento di richie-dere il passaporto, specificarono con chiarezza il motivo del loro viaggio all’estero poiché avevano il “timore di essere costretti a pagare la tassa che all’epoca era posta su ogni attività commerciale”27. Va ricordato però che i viag-gi di natura mercantile erano ben visti all’interno della monarchia asburgica e i passaporti venivano concessi molto facilmente sia ai venditori ambulanti che agli apprendisti28. Tuttavia, il commercio ambulante, dopo la sua “liberalizza-zione” avvenuta nella metà del XVIII secolo, diventò sempre più consistente, basti pensare che intorno agli anni Sessanta dell’Ottocento il comune di Palù aveva chiesto all’autorità austriaca l’introduzione di una scuola tedesca per ra-gazzi dopo i dieci anni in vista del futuro commercio ambulante nei territori di lingua tedesca29. Questo avvenimento è indice del fatto che in quegli anni i mò-cheni dediti al commercio ambulante dovevano essere numerosi; gli ambulanti però non erano numerosi solo nella Valle del Fèrsina ma in tutti i territori dell’Impero che arrivava a contare, alla fine dell’Ottocento, un numero di 20

24 Cole e Wolf, La frontiera nascosta, 1993. 25 Cole e Wolf, ibidem, 1993, 82. 26 Cole e Wolf, ibidem, 1993, 82. 27 S. Piatti, Palù-Palae. Frammenti di storia, 1996, 729. 28 E. Saurer, Una contraddizione sistematica: i confini della monarchia asburgica tra Sette e Ottocento, 2005. 29 S. Piatti, ibidem, 1996.

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mila ambulanti all’interno del solo territorio austriaco30. Nel corso del tempo essi erano diventati talmente numerosi che nel 1903 venne emanata una legge apposita, la quale imponeva severe restrizioni all’esercizio di questa attività. La nuova legge si rese necessaria a seguito delle pretese di coloro che chiedevano l’abolizione assoluta del traffico girovago. Questa attività aveva già subito delle limitazioni negli anni precedenti, infatti, da anni i negozianti stabili dell’Impero austro-ungarico si battevano contro la concorrenza del commercio ambulante, ottenendo in parte dei risultati che comportarono la diminuzione del numero degli ambulanti del 35% dal 1882 al 1899. Fra i territori colpiti più da vicino da questa riforma ci fu anche il comprensorio della Valsugana, gli ambulanti pote-vano infatti continuare ad esercitare la loro attività ma limitatamente alle pro-vince dell’Austria e solamente dopo aver compiuto 24 anni31. La diminuzione del numero di ambulanti è quindi probabilmente da attribuire all’imposizione di queste nuove riforme, infatti, nel 190032 i commercianti am-bulanti erano 64, mentre dai dati del Censimento risulta che il loro numero si era ridotto a 47 solamente dieci anni più tardi. Tuttavia, il numero totale degli “assenti” non è diminuito nel corso degli anni perché il calo degli ambulanti fu compensato dall’avvio, con il nuovo secolo, di un’emigrazione temporanea di minatori verso gli Stati Uniti.

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Fig. 4. Data di rilascio dei passaporti per mesi (1888-1905). Dai Registri è possibile vedere che coloro che hanno ottenuto il passaporto dal 1888 al 1905 sono oltre 300 e molti, nel corso degli anni, hanno rinnovato la loro licenza più volte. Il passaporto aveva una validità variabile che poteva esse-re di uno, due, fino a un massimo di tre anni. Il totale dei passaporti emessi ne-

30 E. Bazzanella, La nuova legge sul traffico girovago e la Valsugana, 1903. 31 E. Bazzanella, ibidem, 1903. 32 AST, Capitanato distrettuale di Trento, Registro Passaporti n. 171 (anni 1896-1900).

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gli anni presi in esame è di 466 e la figura 4 mostra la distribuzione per mese delle date in cui sono stati rilasciati. È evidente che i passaporti sono stati rilasciati per la maggior parte nei mesi di aprile e maggio e in numero considerevole anche nei mesi di marzo, ottobre e novembre. Il fatto che l’emissione dei passaporti si concentrasse nei tre mesi precedenti l’estate è indice di due fattori. In primo luogo, significa che in quel periodo gli ambulanti si trovavano in paese e quindi non emigravano; in secon-do luogo, la diminuzione delle domande coincide con la stagione estiva e in par-ticolare con i mesi più impegnativi dal punto di vista delle attività agricole e pa-storali, in cui era richiesta la massima disponibilità di manodopera. Infatti nel mese di giugno prendeva avvio la stagione dell’alpeggio ma soprattutto era il mese che teneva impegnati gli uomini nell’attività di fienagione; inoltre, anche durante i rimanenti mesi estivi, le attività agricole, svolte dagli uomini, conti-nuavano a ritmi molto sostenuti. La diminuzione del rilascio dei passaporti nei tre mesi invernali è testimonianza dell’assenza degli uomini perché dediti all’emigrazione stagionale invernale. Non è da trascurare, inoltre, la quantità di passaporti rilasciati a ottobre e a novembre, quindi nel periodo immediatamen-te precedente la partenza degli Hausierer, anche se il loro numero era comun-que inferiore a quello dei passaporti rilasciati nei mesi primaverili. Osservando i dati riportati nella figura 4 sembra sia quindi possibile individuare la presenza di due distinte forme d’emigrazione stagionale, una estiva di braccianti agricoli e una invernale di commercianti ambulanti. Tuttavia, un dato molto importante che, da una parte, testimonia l’influenza che il commercio ambulante ebbe non solo sull’economia dei villaggi mòcheni ma anche sugli aspetti legati più direttamente alla demografia e alla popolazio-ne, e, dall’altra, sembra smentire l’ipotesi che potesse essere stata praticata an-che un’emigrazione di braccianti durante la stagione estiva, è l’andamento delle nascite e dei concepimenti. Se gli uomini emigravano durante l’inverno, ci si dovrà attendere che i concepimenti avvenissero nei mesi estivi quando tutti o comunque la maggior parte degli uomini erano in paese. Ho osservato l’andamento delle nascite nei registri dei nati conservati presso L’Archivio dio-cesano tridentino dal 1821 al 191033. Come si vede dalla figura 5, le nascite si concentrano nei mesi di dicembre, gennaio, febbraio, marzo, aprile e maggio, per poi subire un rapido declino. La diminuzione drastica delle nascite nei mesi di settembre e ottobre coincide ad una riduzione dei concepimenti nei mesi di dicembre e gennaio, cioè nei mesi in cui gli uomini erano assenti a causa dell’emigrazione stagionale invernale; al contrario, infatti, le nascite si concentrano nel periodo che va da dicembre a maggio, e quindi significa che i concepimenti sono avvenuti tra marzo e agosto, mesi in cui gli uomini erano in paese perché non impegnati nell’attività del commercio ambulante.

33 ADT, Registri dei nati, n. 82, 83, 93.

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200

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Genn Feb Mar Apr Magg Giu Lug Ago Sett Ott Nov Dic

Fig. 5. Distribuzione mensile delle nascite (1821-1910).

0

50

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150

200

250

300

10/19 20/29 30/39 40/49 50/59 60/69

Fig. 6. Totale degli emigranti per fasce d’età (1888-1905).

Fasce

d’età

%

10/19 12

20/29 34

30/39 22

40/49 19

50/59 11

60/69 2

TOTALE 100

Dai Registri Passaporti è possibile vedere inoltre a che età gli uomini emigrava-no. Più del 30% sul totale di coloro che ottennero il passaporto aveva un’età compresa tra i 20 e 29 anni, e, anche se la loro quantità decresce con l’aumen-

Emigrazione, famiglia e risorse in Val dei Mòcheni (Trento) 159

tare dell’età, il numero degli emigranti rimane consistente fino ai 50 anni. Inol-tre, se consideriamo che molti giovani tra i 14 e i 18 anni erano dei “garzoni” che aiutavano gli ambulanti adulti, è significativo il fatto che pochi ragazzi emi-grassero, e questo elemento conferma sia che i figli venivano avviati all’attività non prima dei 18 anni, sia che le restrizioni introdotte dalla legge del 1903 limi-tarono effettivamente l’emigrazione dei ragazzi più giovani. Un altro elemento da sottolineare è che, in diversi casi, coloro che ottennero il passaporto erano padre e figlio oppure fratelli ma essi fecero richiesta di emi-grare in anni diversi. Questo fattore è probabilmente da attribuire alla volontà – nel caso essi facessero parte dello stesso aggregato domestico – di alternare la loro assenza in modo che un uomo rimanesse a casa per occuparsi della condu-zione della famiglia e per svolgere quelle attività invernali che erano di compe-tenza esclusivamente maschile, come ad esempio la macellazione maiale e il ta-glio della legna. Infine, per quanto riguarda le destinazioni in cui gli emigranti si recavano a svolgere la loro attività, su 466 passaporti rilasciati, 336 avevano come meta l’Austria e l’Ungheria, in 91 di questi, alle mete appena citate, si aggiungeva la Germania e 19 erano invece Carte di Legittimazione, che permettevano quindi di viaggiare tra province dell’Impero ed erano state rilasciate soprattutto a ra-gazzi di età inferiore ai 20 anni. Le altre mete dell’emigrazione erano l’Europa, in 126 casi, l’America in sole 2 occasioni ed, infine, in altri 2 casi il passaporto è stato rilasciato con destinazione “Austria, Ungheria, Germania, Italia, Svizzera e Francia”.

Austria, Ungheria, Germania

Europa Altro

Fig. 7. Destinazioni degli emigranti.

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Nel determinare un’emigrazione diretta in modo così massiccio soprattutto ver-so i territori dell’Impero Austro-ungarico e nei paesi di lingua tedesca, ha sicu-ramente influito, per i mòcheni, il fatto di parlare una lingua di origine bavare-se. Come scrive Giuliana Sellan, “Del resto, le relazioni tra gli ambulanti mòcheni e la gente delle Valli tedesche sono sempre stati facili: la lingua parlata è simile, la cultura contadina accomuna lo stile di vita, e la lunga pratica di commercio nelle medesime zone permetteva di coltivare anche per generazioni le relazioni amichevoli instaurate da nonni, padri e zii.”34

I dati emersi dai Registri Passaporti possono essere integrati e confrontati con le informazioni che otteniamo dal Censimento del 1910. Gli uomini censiti co-me “assenti temporaneamente” e classificati come “Hausierer” sono 47. Come detto sopra, il loro numero era sensibilmente diminuito rispetto agli anni pre-cedenti ma continuava a costituire quasi il 20% sul totale degli aggregati dome-stici in cui fosse presente almeno un maschio in età da emigrazione e ciò signi-fica che almeno un uomo ogni cinque famiglie era lontano da casa in quel mo-mento. L’emigrazione di ambulanti stagionali fu un’emigrazione diversa rispetto a quella dei minatori, con caratteristiche precise e più definite, che confermano le tendenze individuate nei Registri Passaporti degli anni precedenti appena de-scritte. In particolare, il Censimento riporta molto precisamente i luoghi in cui si trovavano gli assenti. Tutti erano emigrati all’interno dei territori del Tirolo, per alcuni viene riportato come destinazione solamente “Nord Tirolo”, per gli altri viene indicato molto spesso anche la città oppure il distretto di destinazio-ne. Le mete più citate sono il Voralberg e la Carinzia, la città di Kössen nel Ki-tzbühel, Salisburgo e Sankt Johann, situato nel distretto di Salisburgo, ed infine la valle di Zillertal. L’unica discordanza fra i dati ricavati dai Registri Passaporti e quelli riportati nel Censimento del 1910 riguarda l’età degli ambulanti, infatti sembra ci sia sta-to un innalzamento dell’età in cui gli uomini emigravano. Le figure 8 e 9 mo-strano la distribuzione del numero di ambulanti per fasce d’età e permettono di fare un confronto tra la situazione del 1910 e quella degli anni che vanno dal 1888 al 1905. L’elemento che appare più evidente è l’assenza, nel 1910, di am-bulanti di età compresa tra i 14 e i 19 anni. Un secondo elemento di divergenza è riscontrabile nella fascia d’età che va dai 20 ai 29 anni. Mentre negli anni 1888-1905 si nota una prevalenza molto accentuata di emigranti di età compre-sa fra i 20 e i 29 anni, i quali arrivavano a costituire ben 1/3 del totale, nel 1910 il loro numero non solo si ridusse di molto ma addirittura risulta inferiore ri-spetto al totale degli ambulanti che avevano un’età compresa fra i 30 e i 39 an-ni, i quali a loro volta costituivano, nel 1910, 1/3 del totale degli emigranti. Inol-tre, nella figura 9 si nota una diminuzione, uno scarto molto consistente e netto 34 G. Sellan, La malga? Bruciatela!, 1993, 100.

Emigrazione, famiglia e risorse in Val dei Mòcheni (Trento) 161

del numero di ambulanti in due occasioni: tra coloro che avevano più di 30 anni rispetto alla fascia d’età che va dai 20 ai 29 anni e tra coloro che superano i 50 anni rispetto alle due fasce d’età che comprendono gli uomini fra i 30 e 49 anni. Invece, nel 1910, la distribuzione degli ambulanti nelle varie fasce d’età è più equilibrata e il loro numero si discosta di poco se prendiamo in considerazione le tre fasce che vanno dai 20 ai 49 anni. Infine, non è da trascurare che nel 1910 un numero consistente di ambulanti superava i 60 anni, soprattutto se si consi-dera che nessun giovane sotto i 20 anni risultava assente in quel momento.

0

5

10

15

20

25

30

35

40

14/19 20/29 30/39 40/49 50/59 60/69

Fig. 8. Percentuale di assenti temporanei per fasce d’età

Fasce d’età

ambu-lanti

% 14/19 - 20/29 23 30/39 27 40/49 22 50/59 17 60/69 11

nel 1910.

0

5

10

15

20

25

30

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14/19 20/29 30/39 40/49 50/59 60/69

Fig. 9. Percentuale di assenti temporanei per fasce d’età dal 1888 al 1905.

L. CADAMURO 162

Va però ricordato che il Censimento presenta una “fotografia” dell’anno in cui è stato redatto e purtroppo non ho trovato dati che si riferissero agli anni imme-diatamente precedenti al 1910, al fine di verificare se ci sia stata un’evoluzione che ha portato all’innalzamento dell’età degli emigranti, oppure se questi dati siano puramente frutto di avvenimenti casuali e quindi da considerare in rife-rimento limitatamente a quel preciso momento storico. Per cercare di verificare questa ipotesi ho suddiviso il numero degli emigranti, oltre che per fasce d’età, in due grandi gruppi, a seconda che essi siano emigrati negli ultimi anni dell’Ottocento o nei primi anni del Novecento. La figura 10 riporta i valori cal-colati in percentuale e permette di trarre due conclusioni. In primo luogo, il grafico evidenzia che effettivamente negli anni che vanno dal 1900 al 1905 il numero degli ambulanti di età compresa fra i 30 e i 49 anni aumentò e, di con-tro, diminuì invece la percentuale di emigranti che avevano dai 14 ai 19 anni e dai 20 ai 29 anni. In secondo luogo, l’ipotesi secondo la quale “l’emigrazione interessa principalmente la fascia d’età compresa tra i 15 e i 30 anni”35 non sembra trovare conferma in questo caso perché, nonostante la percentuale di ambulanti che avevano fra i 20 e i 29 anni abbia prevalso sulle altre sia nell’Ottocento che nel Novecento, il numero di giovani ambulanti di età inferio-re ai 19 anni era molto modesto ma soprattutto l’emigrazione interessò in modo consistente gli uomini fino ai 50 anni d’età, e quindi ben oltre i 30 citati sopra.

0

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30

40

14/19 20/29 30/39 40/49 50/59 60/69

1888-1899 1900-1905

Fig. 10. Percentuale di assenti temporanei per fasce d’età e per anno. A questo punto, avvalendomi dei dati raccolti, cercherò di rispondere alle se-guenti domante: a che tipo di famiglia appartenevano gli ambulanti? L’emigra-zione coinvolse tutte le famiglie o solamente una certa tipologia? La proprietà e il regime di trasmissione dell’eredità hanno causato o condizionato il tipo di

35 P.P. Viazzo, Comunità alpine, 1990, 325.

Emigrazione, famiglia e risorse in Val dei Mòcheni (Trento) 163

emigrazione? Emigravano solamente gli uomini rimasti celibi oppure anche quelli sposati? Nel 1910 ben la metà del totale degli ambulanti viveva in famiglie nucleari. Questo dato può essere però causa di interpretazioni erronee in quanto le fami-glie, dal momento della loro formazione e lungo il corso della loro esistenza, non hanno mai la stessa struttura ma subiscono delle trasformazioni, attraver-sano delle fasi. Tratterò l’argomento che riguarda le fasi della famiglia nel capi-tolo successivo ma è necessario precisare che, in quanto mi servivano degli strumenti per poter catalogare i vari stadi del ciclo di vita della famiglia, ho uti-lizzato le categorie formulate da Peter Laslett36, il quale aveva ridotto le forme di aggregato domestico a cinque gruppi: solitari, senza struttura, semplici, este-si e multipli. Nelle pagine che seguono utilizzerò il termine di aggregato dome-stico “multiplo” per indicare la residenza di due o più unità famigliari coniugali imparentate che possono essere costituite sia da due fratelli sposati, sia dalla coppia di genitori che coabitano con eventuali figli non sposati e con uno o due dei figli sposati e le rispettive famiglie37. Come detto poco sopra, il numero degli ambulanti che viveva in famiglie nucle-ari costituiva la metà del totale e quindi si potrebbe pensare che ci sia un lega-me tra questa tipologia di famiglia e l’emigrazione stagionale ma, “a causa della mortalità della generazione più anziana, persino in società in cui la fami-glia a ceppo è un’istituzione di fondamentale importanza culturale, è possibile registrare solo un numero limitato di unità di questo tipo.”38

Infatti, anche nei villaggi mòcheni del 1910, le famiglie nucleari erano molte di più rispetto alle altre categorie, basti pensare che il loro numero era doppio ri-spetto alle famiglie estese e quattro volte quello delle multiple. Per avere quindi un dato più realistico e per cercare di capire se l’emigrazione abbia interessato una forma di famiglia in particolare, ho suddiviso il numero di ambulanti in ba-se al tipo di aggregato in cui vivevano e ho quindi calcolato la loro incidenza sul numero di aggregati domestici di quel tipo.

Tab. 5. Percentuale di ambulanti per tipo di aggregato domestico (1910).

Tipo di agg. domestico

Totale aggregati Percentuale di ambulanti per tipo di aggregato

Semplice 187 13 % Esteso 87 13 %

Multiplo 40 34 %

36 P. Laslett, Household and family in past time, 1972. 37 Per una trattazione più approfondita si veda il paragrafo 4.1.2. 38 R. Netting, In equilibrio sopra un’alpe: continuità e mutamento nell’ecologia di una co-munità alpina del Vallese, 1996, 297.

L. CADAMURO 164

Come si vede dalla tabella 5, la proporzione di ambulanti che vivevano in ag-gregati domestici di tipo multiplo era molto superiore rispetto alla percentuale di coloro che vivevano in famiglie nucleari ed estese. L'ipotesi sostenuta da molti studiosi, secondo cui forme complesse di famiglia sono maggiormente compatibili con l'emigrazione rispetto alle famiglie nucleari, sembra quindi tro-vare riscontro anche in questo caso. Secondo Viazzo, “la scoperta che nelle aree rurali di tutto il mondo gli emigranti tendono a provenire da famiglie numerose è quasi sempre stata vista come una riprova del fatto che aggregati domestici complessi hanno, rispetto a famiglie nucleari, una maggiore capacità di pro-muovere (o permettere) l’emigrazione”39 Anche nel 1910 infatti, le famiglie multiple erano maggiormente interessate dall’emigrazione rispetto alle altre; inoltre, è interessante notare che gli aggre-gati domestici semplici ed estesi in cui erano presenti degli ambulanti erano mediamente più numerosi rispetto agli altri: l’ampiezza media dei gruppi do-mestici (semplici ed estesi) interessati dall’emigrazione era di 6,5 componenti, rispetto ai 4,6 degli aggregati non interessati dall’emigrazione. È possibile quindi individuare una correlazione tra emigrazione e complessità del gruppo domestico. Tuttavia, gli studiosi hanno sottolineato l’importanza di questo le-game in società in cui veniva praticata un’emigrazione stagionale estiva. Duran-te i mesi estivi, la richiesta e l’impiego di manodopera nei lavori agricoli e pa-storali era massima e, visto che l’età da lavoro coincideva spesso con l’età da emigrazione, se fossero emigrati degli uomini che appartenevano ad aggregati nucleari, sarebbe venuto a mancare a queste famiglie un elemento fondamenta-le per l’attività del gruppo domestico. Invece, ad essere maggiormente interes-sati dall’emigrazione erano gli aggregati domestici complessi, in cui la forza-lavoro maschile era sicuramente più numerosa, e i quali, di conseguenza, pote-vano “permettersi” di privarsi di un uomo durante l’estate, soprattutto se con l’emigrazione esso apportava una fonte di guadagno aggiuntiva nell’economia famigliare. Però nella comunità mòchena, dato il tipo di emigrazione invernale praticato, che non toglieva manodopera al lavoro agricolo ma anzi era scandito proprio dai ritmi delle attività agricole e pastorali, non necessariamente doveva sussistere un legame tra forme di famiglia ed emigrazione. Infatti in questo ca-so, l’emigrazione è stata probabilmente maggiormente favorita dal sussistere di forme complesse di famiglia ma non determinata da esse. Sembrerebbe quindi che, “una tale correlazione rifletta non tanto la maggiore capacità degli aggregati domestici complessi di affrontare il problema dell’assenza degli emigranti, quanto piuttosto la loro tendenza a comprendere una proporzione maggiore di scapoli e mariti giovani.”40

39 P.P. Viazzo, Comunità alpine, 1990, 321. 40 P.P. Viazzo, Comunità alpine, 1990, 322.

Emigrazione, famiglia e risorse in Val dei Mòcheni (Trento) 165

Un’altra ipotesi accreditata nella letteratura antropologica afferma che “gli sca-poli tendevano ad emigrare molto più frequentemente rispetto agli uomini spo-sati”41. Dai dati del Censimento del 1910 risulta però che fra gli ambulanti, colo-ro che erano sposati o vedovi costituivano il 76% del totale. Anche in questo ca-so sarà opportuno tenere conto del fatto che questa fonte mostra una fase, un momento preciso della storia della comunità, e perciò nell’analisi tratterò di-stintamente gli ambulanti in base alle diverse tipologie di famiglia cui apparte-nevano. Per quanto riguarda gli aggregati domestici semplici, ad emigrare era-no soprattutto gli uomini sposati e l’emigrazione toccava solo marginalmente i celibi; gli emigranti che vivevano in famiglie di tipo esteso erano tutti sposati; invece, per quanto riguarda gli aggregati multipli, vediamo che la proporzione fra uomini sposati e non, all’incirca si equivale.

Tab. 6. Assenti suddivisi per stato civile e tipo di aggregato domestico (1910).

Tipo di aggregato Ambulanti coniugati o vedovi

% celibi

% semplice 40 9 esteso 24 - multiplo 12 15 TOTALE 76 24 Visti da un’altra prospettiva, questi dati mettono in evidenza che gli ambulanti sposati provenivano soprattutto da aggregati domestici di tipo semplice ed e-steso, mentre i 2/3 dei celibi che emigravano vivevano in aggregati multipli. Per capire meglio chi erano gli ambulanti le tabelle 7 e 8 mostrano la loro distribu-zione per fasce d’età e per tipo di aggregato domestico e se essi fossero o meno proprietari.

Tab. 7. Distribuzione degli assenti temporanei per fasce d’età e tipo di aggregato domestico (1910).

Tipo di aggregato

14/19 20/29 30/39 40/49 50/59 60/69 Totale

semplice - 3 5 6 7 2 23 esteso - 2 4 2 1 2 11 multiplo - 6 4 2 - 1 13 TOTALE - 11 13 10 8 5 47

41 P.P. Viazzo, ibidem, 1990, 325.

L. CADAMURO 166

Tab. 8. Assenti suddivisi fra proprietari e non e per tipo di aggregato domestico (1910).

Tipo di aggregato Ambulanti proprietari

% nessuna proprietà

% semplice 42 5 esteso 19 7 multiplo 5 22 TOTALE 66 34 I dati presentati nella tabella 8, per quanto riguarda gli aggregati di tipo sem-plice, coincidono con quelli della tabella 6. Nelle famiglie nucleari la maggior parte di coloro che emigravano erano sposati e detenevano la proprietà della casa in cui vivevano e delle terre che spettavano loro nel maso; al contrario, i celibi non avevano alcuna proprietà. Per quanto riguarda gli aggregati domesti-ci estesi si nota invece che, nonostante gli emigranti che vivevano in questo tipo di famiglia fossero tutti sposati, una piccola parte di loro non deteneva nessuna proprietà. A questo punto è necessaria una precisazione. Per aggregato dome-stico di tipo esteso si intende una famiglia composta di una unità coniugale as-sieme alla quale coabitano dei parenti. Questi parenti possono essere dei fratel-li, dei nipoti, degli zii ma anche la madre o il padre vedovi. In quest’ultimo caso, in comunità in cui la famiglia a ceppo costituisce una componente importante della struttura sociale, la categoria di “famiglia estesa” può costituire sempli-cemente la fase successiva della famiglia multipla. Quindi, in questo caso, in una prima fase del ciclo di vita della famiglia, le coppie che coabitano saranno due: quella del figlio sposato e la coppia di genitori; ma successivamente, nel momento in cui venga a mancare uno dei due genitori, la coppia sposata diven-ta, ai fini della classificazione, una sola – quella del figlio – ma di fatto la situa-zione non cambia, soprattutto se a vivere con il figlio rimane il padre che conti-nuerà a detenere il ruolo di capofamiglia e la proprietà, che passerà nelle mani del figlio solo alla morte del genitore. Anche nel Censimento del 1910 ritrovia-mo la situazione appena descritta, la quale determina però un’ulteriore suddivi-sione degli emigranti. Infatti, nel caso in cui l’estensione avesse riguardato la coabitazione di una famiglia coniugale con un parente che non fosse il padre, ad emigrare era il capofamiglia sposato e proprietario della casa e delle terre dell’Hof, e quindi ritroviamo la stessa situazione che interessava le famiglie nu-cleari; ma se l’estensione implicava la coabitazione di un figlio sposato con il padre vedovo, che deteneva quindi la proprietà e rivestiva il ruolo di capofami-glia, allora in questo caso ad emigrare era il figlio coniugato e senza proprietà, come accadeva invece nelle famiglie multiple. Per quanto riguarda, infine, gli aggregati domestici multipli, la maggior parte di coloro che emigravano non possedevano alcuna proprietà. Confrontando questi dati con quelli della tabella

Emigrazione, famiglia e risorse in Val dei Mòcheni (Trento) 167

7 e considerando che i capifamiglia in questo tipo di aggregato avevano un’età elevata, si può affermare quindi che nelle famiglie multiple ad emigrare erano i figli senza proprietà del capofamiglia, e quindi potenzialmente esclusi dall’ere-dità, indipendentemente dal fatto che essi fossero sposati o meno. Di conseguenza, è possibile suddividere gli ambulanti in due grandi categorie: da una parte, i capifamiglia sposati che vivevano in aggregati semplici ed estesi (tranne nel caso in cui il figlio sposato coabitasse con il padre) e che possedeva-no una casa e delle terre nel maso; e dall’altra, i figli, sia sposati che non, che vivevano con il padre in aggregati estesi e multipli e che, non detenendo alcuna proprietà, erano quindi subordinati all’autorità paterna. Ma in base a questi dati, uniti a quelli emersi nei Registri Passaporti, è possibile fare un passo indietro e sostenere l’ipotesi che venissero praticate due tipi diffe-renti di emigrazione stagionale, una estiva e una invernale. Infatti, si presume che ad emigrare durante l’estate fossero i ragazzi più giovani, celibi, e in inver-no i capifamiglia, più anziani, sposati. Di conseguenza, emigrando nei mesi e-stivi, i giovani non sposati non avrebbero inciso sull’andamento delle nascite, determinato invece dall’emigrazione invernale degli uomini sposati. Inoltre, questa ipotesi trova conferma anche nei dati dei Registri Passaporti: ad una maggiore percentuale di passaporti rilasciati prima della stagione estiva corri-sponde una minore età degli emigranti. In altre parole, abbiamo visto che negli anni compresi tra il 1888 e il 1905 ad emigrare erano prevalentemente i giovani di età compresa fra i 20 e i 29 anni, che si presume fossero in gran parte celibi, considerata l’elevata età al primo matrimonio42. L’elevata percentuale di emi-granti appartenenti a questa fascia d’età può essere collegata al numero molto alto di coloro che chiesero ottennero il passaporto nei mesi immediatamente precedenti l’estate. Per quanto riguarda la seconda categoria individuata poco sopra, quella degli ambulanti che vivevano in aggregati di tipo multiplo ed esteso ma privi di alcu-na proprietà, si può osservare un legame tra l’emigrazione e il sistema di tra-smissione dell’eredità. Infatti, non emigravano solamente i celibi che non dete-nevano alcuna proprietà ma anche gli uomini sposati che non possedevano né casa né terre, o non li possedevano ancora, confermando l’ipotesi secondo la quale “non solo un sistema che prevedeva la trasmissione dell’eredità ad un so-lo erede tendesse a rallentare la crescita della popolazione e a frenare la nuziali-tà ma anche a incoraggiare l’emigrazione”43. Tuttavia, nel caso di aggregati do-mestici semplici ed estesi, ad emigrare erano proprio i capifamiglia sposati e proprietari della casa e delle terre dell’Hof, e quindi la conclusione secondo la quale l’emigrazione sarebbe determinata da un regime di proprietà che privile-gia solamente uno o due figli di una coppia non è più sufficiente. Come emerge dai dati, la forma di proprietà e il regime di trasmissione dell'eredità non in-

42 Per un’analisi dei dati relativi al matrimonio si veda il paragrafo 4.4.3. 43 P. P. Viazzo, Comunità alpine, 1990, 289.

L. CADAMURO 168

fluenzavano né determinavano l’esercizio stagionale del commercio ambulante, o almeno non completamente. Ci si dovrebbe attendere che il sistema di succes-sione della proprietà paterna, privilegiando solamente uno o due figli su tutti, determinasse l’emigrazione dei figli esclusi dall’eredità. Nella maggior parte dei casi però, gli ambulanti erano anche i proprietari della casa e delle terre, e an-che nel caso dell’emigrazione dei figli senza proprietà che vivevano in famiglie multiple, l'esclusione dall'eredità era – almeno per qualcuno – solamente una condizione provvisoria. Un elemento costante che emerge dai dati riguarda la tipologia di aggregato domestico in relazione alle caratteristiche degli ambulanti. Con il differenziarsi delle forme di aggregato domestico, si diversifica anche la “tipologia” di chi e-migra, cambia l’età degli emigranti, il loro stato civile e il fatto che essi deten-gano o meno una qualche proprietà. Mentre negli aggregati multipli ad emigra-re erano i figli senza proprietà e, per questo, soggetti all’autorità del padre, i quali probabilmente emigrano proprio perché non possedevano beni loro; nelle famiglie nucleari coloro che emigrano erano i capifamiglia sposati e proprietari della casa e delle terre nel maso. Quindi, è probabile che chi iniziava a praticare il commercio ambulante da giovane continuasse a praticare questa attività per tutta la vita, ma soprattutto sembrerebbe che l’emigrazione stagionale sia legata alle fasi del ciclo di vita della famiglia, e abbia anch’essa una sua ciclicità. Nelle famiglie multiple, in cui l’età del proprietari è generalmente elevata, ad emigra-re sono i figli. Questi, esclusi temporaneamente o definitivamente dall’eredità paterna e soggetti all’autorità del genitore, iniziano ad emigrare e ad ottenere quindi una fonte di guadagno svolgendo questa attività. Con la morte della ma-dre, essi continuano ad emigrare ma anche a rimanere subordinati all’autorità del padre. Se invece continuano a coabitare con un altro parente che non sia il padre, oppure al momento del matrimonio lasciano la casa paterna formando una nuova famiglia nucleare, la conduzione della famiglia passerà nelle loro mani ed essi continueranno ad emigrare e ad integrare l’economia famigliare con i guadagni del commercio ambulante; finché non inizierà ad emigrare uno dei propri figli, che a sua volta compirà lo stesso percorso del genitore. Infine, va sottolineato che nel 1910, l’età media dei capifamiglia era piuttosto elevata e più della metà del totale degli aggregati domestici presenti nei villaggi mòcheni aveva un capofamiglia sopra i 50 anni. Diversamente, gli aggregati semplici ed estesi interessati dall’emigrazione avevano invece un capofamiglia maschio di età piuttosto inferiore rispetto alla media. Questo elemento è da at-tribuire al fatto che l’emigrazione permetteva di ottenere una fonte di guadagno aggiuntiva che probabilmente dava la possibilità di staccarsi prima dall’autorità paterna rispetto a coloro che non emigravano. “Il caso di Gressoney dimostra in modo forse estremo ma esemplare che, per quanto l’emigrazione alpina possa essere stata inizialmente stimolata dalla povertà del terreno

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montagnoso, essa può tuttavia aver costituito una fonte di benessere o anche di sor-prendente agiatezza.”44

Nella comunità mòchena, l’emigrazione stagionale di competenza esclusiva-mente maschile ha determinato, così com’è accaduto in molte altre comunità montane, un particolare regime economico definito di “doppia economia”, che integra il lavoro agro-pastorale femminile in paese con il lavoro artigiano o commerciale maschile fuori dal paese. Mentre le donne restavano in paese a cu-rare l’agricoltura e l’allevamento, gli uomini emigravano, temporaneamente o stabilmente, e mandavano in paese le integrazioni in denaro necessarie al so-stentamento della famiglia. D: Emigravano solo gli uomini? R: Sì, a casa rimanevano le donne... e i bambini. Una volta stavano via magari... quattro, cinque mesi prima di tornare a casa. Non so, sono partiti a novembre, sono venuti a Pa-squa. E in questi mesi non tornavano mai a casa. D: Le donne che rimanevano a casa di cosa si occupavano? R: Si occupavano della stalla, dei quattro lavori domestici, non c’era molto da fare.45 Durante l’inverno, quindi, una parte consistente della popolazione – la metà maschile – era costantemente in movimento. L’altra metà – quella femminile – rimaneva a casa, mentre i rispettivi mariti, padri o fratelli erano impegnati nell’attività di commercio ambulante che li teneva lontani da casa durante tutti i mesi invernali. “Non è esagerato affermare che nelle comunità alpine gli uo-mini e le donne tendevano tipicamente a formare, a causa dell’eccezionale in-tensità dell’emigrazione due sottopopolazioni nettamente distinte”46, fra le quali la componente femminile era generalmente quella più conservativa, sia sul piano culturale che linguistico. Inoltre, il regime di doppia economia impli-cava una specializzazione sessuale del lavoro che costituisce “un dato struttura-le in montagna e una costante delle economie arcaiche”47. Già nelle società ar-caiche di caccia e raccolta esisteva un tipo di economia sessualmente specializ-zato che implicava una rigida separazione dei ruoli e in cui gli uomini erano cacciatori e le donne raccoglitrici. È stato dimostrato in numerosi studi che, an-che nelle comunità delle Alpi, analogamente alle società arcaiche, un regime di doppia economia implicava una specializzazione sessuale delle attività e quindi, mentre le donne si occupavano delle attività agricole e pastorali, gli uomini si dedicavano ad attività esterne, come l’emigrazione.

Per quanto riguarda però il caso della comunità mòchena presa qui in esame, esisteva una specializzazione sessuale delle attività, ma con una differenza ri-spetto alla situazione appena descritta: le donne si occupavano dell’allevamento

44 P.P. Viazzo, Comunità alpine, 1990, 197. 45 Intervista con Lorenzo Nischler di Roveda del 29 aprile 2007. 46 P. P. Viazzo, Comunità alpine, 1990, 182. 47 G. Sanga, Un modello antropologico dell’emigrazione alpina, 1997, 123.

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e delle attività legate alla pastorizia, e in particolare di condurre gli animali all’alpeggio; mentre gli uomini si dedicavano all’emigrazione durante il periodo invernale, ma nei mesi estivi essi ritornavano in paese per occuparsi delle atti-vità agricole. La particolarità di questo caso è costituita dal fatto che, general-mente, nelle comunità delle Alpi interessate dall’emigrazione è molto raro che gli uomini svolgano attività agricole, che competono infatti alle donne; tuttavia, questo aspetto può essere considerato semplicemente come un ripiego sull’agri-coltura determinato da quel processo di “contadinizzazione” della montagna iniziato con “la rottura del sistema omeostatico delle comunità alpine in seguito all’introduzione di colture agricole troppo redditizie, come la patata e il mais, che indussero un aumento demografico non sostenibile.”48

Un altro elemento importante da sottolineare è che, nel caso di aggregati do-mestici estesi interessati dall’emigrazione, ricorre la coabitazione, con il pro-prietario sposato e la sua famiglia, di un fratello maschio non sposato. Il fratel-lo rimasto celibe ha sempre un’età maggiore rispetto a quella del fratello spo-sato con il quale vive, quasi sempre non possiede alcuna proprietà e general-mente è il fratello sposato a svolgere l’attività di ambulante durante l’inverno. Questa figura è presente anche in altre comunità in cui viene praticata un’emigrazione stagionale esclusivamente maschile e la sua presenza è legata alla doppia economia alpina appena descritta. “Il capofamiglia doveva occuparsi dell’azienda agro-pastorale famigliare, doveva inten-dersi di animali e di campagna. Se gli uomini emigravano, è naturale che la direzione dovesse spettare alle donne, o a una figura culturalmente assimilata alle donne, come il barba, che è celibe perché, per dirigere la famiglia in paese strutturalmente deve essere una femmina, non un maschio, come gli emigranti, che si sposano.”49 Quindi, nelle famiglie complesse, quando gli uomini sposati emigravano, il ruo-lo di capofamiglia veniva esercitato da un altro maschio appartenente allo stes-so aggregato domestico, il quale non emigrava ma restava in paese ad occuparsi della conduzione dell’aggregato e delle attività agricole e pastorali. Il commercio ambulante costituì per la società mòchena sicuramente la forma più importante d’emigrazione ed ebbe un ruolo centrale nell’economia della comunità. All’inizio dell’Ottocento questa forma di commercio fu praticata an-che in altri paesi dell’area Perginese, ma con scarso seguito e solamente per brevi periodi; invece fra i Mòcheni, il commercio ambulante fu praticato in mo-do consistente per oltre due secoli e rimase stabile fino agli anni successivi alla Seconda Guerra Mondiale. I mòcheni continuarono a praticare quindi questa attività anche dopo l’unione del Trentino all’Italia, anche se limitatamente alle valli altoatesine della provincia di Bolzano e all’Austria. A partire però dagli an-ni Cinquanta del Novecento la pratica dell’emigrazione stagionale subì una ra-

48 G. Sanga, Un modello antropologico dell’emigrazione alpina, 1997, 125. 49 G.Sanga, Introduzione, 1998, 4.

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pida trasformazione, dovuta principalmente all’introduzione delle automobili nell’esercizio dell’attività del commercio ambulante, che portò prima alla sua trasformazione e poi alla sua definitiva scomparsa negli ultimi decenni del se-colo scorso. Come racconta un informatore, R: Secondo me la fine è stata un po’ graduale. Cioè, quelli più anziani non avevano né macchina, non avevano patente, non avevano niente, sono andati a piedi con ‘sta craize-ra. Man mano che c'erano le macchine, che c'era la patente, allora hanno cominciato a andare con le macchine. A suo tempo, trent'anni fa, trentacinque anni fa, andavano an-cora a piedi. Ma con le macchine, con i furgoni, è diventata una semplice rappresentanza come, non so... come uno fa il rappresentante dell'Eisman, di quelle ditte là insomma. Noi siamo dei semplici commercianti, ci riforniamo dalle fabbriche.50 Elenco delle abbreviazioni ADT Archivio Diocesano Tridentino AST Archivio di Stato di Trento BKI Bersntoler Kulturinstitut, Palù del Fèrsina (TN)

50 Intervista con Lorenzo Nischler di Roveda del 29 aprile 2007.

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