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    2008 NdAPressCopertina: elaborazione e progetto grafico di Marco DUbaldoe GianlucaAlessandrini

    NdAPressVia Bagnacavallo 1/A, 47900 Riminitel. +39 0541 682186; fax. +39 0541 683556www.ndanet.it; [email protected]

    ISBN 978-88-89035-21-4

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    La questione militareAutonomia operaia. Scienza della politica. Arte della guerra 7

    1960-1969Il potere devessere operaio 21

    1970-1973Democrazia il fucile in spalla agli operai 41

    1973-1976Creare, organizzare, diffondere il contropotere operaio armato 63

    1977-1979La guerriglia diffusa. Parte prima 85

    1977-1979La guerriglia diffusa. Parte seconda 105

    1980-1984Crisi, tramonto, sconfitta 133

    Il politico al tramonto? 157

    Bibliografia 187

    INDICE

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    LAQUESTIONE MILITAREAUTONOMIA OPERAIA. SCIENZA DELLA POLITICA.ARTE DELLA GUERRA

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    Molti citano il detto di Eraclito:Polemosdi tutte le cose padre. Ma pochi, citandolo, osano pensare alla guerra civile.(Carl Schmitt,Historiographia in nuce: Alexis de Tocqueville)

    Con ogni probabilit, a chiunque prender tra le mani questolibro, verr spontaneo porsi una domanda: Per quale motivo,con tutto ci che accaduto e accade nel mondo, occuparsi cosdiffusamente di un fenomeno, se non marginale neppure ecces-

    sivamente noto, come le vicende dellAutonomia operaia italia-na e perch, per di pi, farlo scegliendo la questione militarecome io narrante dellintera vicenda?. Interrogarsi sul perchdedicare tempo ed energie alla stesura di un testo simile piche legittimo e una qualche risposta, al fine di invogliare lipo-tetico lettore ad andare oltre la quarta di copertina, il caso difornirla.

    Partiamo pertanto da quella che una contingenza non tra-scurabile. Il 2008 il quarantesimo anniversario del 68 e una

    serie infinita di ricorrenze, apologetiche, critiche, revisioniste,demonizzanti si prospettano allorizzonte. Dando una rapidascorsa ai titoli degli innumerevoli convegni, dibattiti, incontri evia dicendo in allestimento nel nostro paese sembra che almenoun aspetto sia tranquillamente eluso: il ruolo ricoperto dallaclasse operaia in queste vicende. Unlapsus non secondario che,di per s, gi un buon indicatore di molte cose, a partire soprat-tutto dal mutamento dei rapporti di forza che si sono venuti adeterminare tra classi dominanti e subalterni nel mondo attuale.

    Non diversamente da altri campi, anche ildiscorso storico nonpu sottrarsi a quelli che, con un lessico un po datato ma nonper questo sorpassato, sono riconducibili ai rapporti di potere

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    tra classi sociali subordinate e classi sociali dominanti. Il discor-so storico non mai un campo neutro poich, in quelle che inapparenza appaiono come dispute oggettive ascritte al mondo

    anodino della ricerca scientifica, compare sempre prepotente-mente un elementopolitico. Il passato continuamente ripensatoe riscritto in virt del presente e ha sempre degli effetti pratici o,per essere maggiormente esplicitipolitici.1 Basti pensare, rima-nendo nellambito del nostro paese, al cambiamento di rotta chela ricerca storica ha maturato rispetto, solo per ricordare lesem-pio forse maggiormente noto, ai combattenti della Repubblicasociale italiana.2 Pertanto, rimettere al centro del discorso storicola presenza della classe operaia, apparso gi di per s un moti-

    vo sufficientemente valido da invogliare alla stesura del testo.Tuttavia, ricorrenze a parte, altre cose erano in ballo. Consi-derare la classe operaia elemento centrale del 68 italiano si portaappreso per lo meno un altro paio di questioni. La prima e ovviadomanda che viene da porsi la seguente: Su quale linea dicondotta si era mossa la classe operaia prima del 68?. La secon-da, a maggior ragione ancora pi importante, non poteva cheporsi in questi termini: Che cosa maturato dentro la classeoperaia nel corso del 68 e soprattutto dopo?.

    Da qui lesigenza di un duplice percorso. Dapprima andare aritroso, allinizio degli anni Sessanta del secolo scorso quando laconflittualit operaia, dopo il lungo inverno degli anni Cinquan-ta,3 tornava inaspettatamente protagonista, imponendosi comesoggetto politico centrale e per di pi di lunga durata. In linea dimassima, mentre lesplosione del 68 in gran parte del mondooccidentale stata uneruzione imprevista e impensabile per leclassi dominanti, in Italia, al contrario, non pochi indicatori po-tevano far presagire che le lotte interne alle fabbriche una qual-

    che ricaduta sullintero panorama politico e sociale del paeseprima o dopo lavrebbero avuta. Cos puntualmente accaduto.Per questo, ripercorre lagenealogia dei comportamenti operaiantecedenti al 68, unesigenza non priva di interesse proprioin virt del protagonismo operaio durante gli anni della conte-stazione.

    Una presenza pesante e al contempo imbarazzante che, almenoper quanto concerne il panorama italiano, ha indirizzato il 68 ita-liano verso orizzonti molto diversi rispetto a quelli, sostanzial-

    mente tranquillizzanti, dei numerosi 68 del mondo. In Italia lelotte operaie si intersecano con la rivolta generazionale e, alme-no in gran parte, la egemonizzano, le conseguenze non tarderan-

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    no a farsi sentire, aprendo sullanomalia italiana degli anni Settanta.Da qui lobiettiva sensatezza di analizzare le lotte operaie del dopoil 68. Abbandonando cos la contingenza dellennesimo anniversa-

    rio di turno, la ricercasi trovata proiettatanei fatidicianniSettantadove, molti indicatori, sembravano confermare lacutizzarsi di unaradicalit operaia che, a partire dallaccumulo di forza tesaurizzatoin fabbrica, si riversava allesterno spostando lasse del conflitto suun altro terreno. A partire dalle lotte dellAutunno caldo del 1969 ilpunto di vista operaio focalizza il suo sguardo sulloStato, ponendocos inequivocabilmente la questione del potere. Lasciatasi senzatroppi rimpianti il 68 alle spalle, la classe operaia in tutta la suaautonomia poneva, senza troppe mediazioni, la questione tutta poli-

    tica dellassalto al cielo.LAutonomia operaia stata una componente non trascurabi-le di tutto questo percorso e in alcuni momenti persino centraleed egemone, e questo libro cerca di renderne conto. Detto cirimane per da spiegare perch affrontare il tema a partire dallaquestione militare. Per non incorrere in malintesi meglio sgom-brare da subito il campo da possibili equivoci di sorta. Laque-stione militare, il che tanto ovvio quanto banale, presuppone lapredisposizione al combattimento ma, ed questo il punto,

    ancora prima di ci deve mettere a fuoco la figura delnemico.4

    Quindi, a un esame solo un poco pi attento, laquestione milita-re non altro che la messa in forma, nella sua declinazione piacuta, delconflitto politico.Senza ilpolitico,il militare non pu tro-vare alcuna forma di legittimazione pubblica e leventuale suoesercizio diventa immediatamente competenza del codice pena-le comune ma, allo stesso tempo, senza ilmilitare non pensabi-le neppure ilpolitico. Centrale, pertanto, lesatta configurazio-ne delnemicosu cui altrettanto necessario non creare confusio-

    ne. Questo, a maggior ragione, in unepoca dove luso spregiu-dicato e improprio delle parole conoscono una stagione fin trop-po felice. Una citazione di Carl Schmitt, colui che con ogni pro-babilit ha reso al meglio il concetto dinemico, sembra in gradodi sgomberare il campo da ogni equivoco di sorta, ascrivendo laquestione militare nella dimensione che le spetta:5

    Nel concetto di nemico rientra leventualit, in termini reali, diuna lotta. Questo termine va impiegato prescindendo da tutti imutamenti casuali o dipendenti dallo sviluppo storico della tec-nica militare e delle armi. La guerra lotta armata fra unit poli-tiche organizzate, la guerra civile lotta armata allinterno di

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    ununit organizzata (che proprio perci sta diventando proble-matica). Lessenza del concetto di arma sta nel fatto che essa uno strumento di uccisione fisica di uomini. Come il termine dinemico anche quello di lotta deve essere qui inteso nel senso diunoriginariet assoluta. Esso non significa concorrenza, nonlotta puramente spirituale della discussione, non il simbolicolottare che alla fine ogni uomo in qualche modo compie sem-pre, poich in realt lintera vita umana una lotta e ogni uo-mo un combattente. I concetti di amico, nemico e lotta acqui-stano il loro significato reale dal fatto che si riferiscono in modospecifico alla possibilit reale delluccisione fisica. La guerra con-segue dallostilit poich questa negazione assoluta di ognialtro essere. La guerra solo la realizzazione estrema dellosti-

    lit. (Carl Schmitt,Il concetto del politico)Questo il filo rosso che il testo segue, usando le vicende dellAu-tonomia operaia come modello paradigmatico. Nei primi tre capi-toli il lettore trover, attraverso un sintetico riepilogo delle princi-pali lotte operaie e proletarie dellepoca, le vicende intorno allequali, la questione del potere politico, aveva posto come neces-sit non pi rimandabile la soluzione dellaquestione militare.Centrale per tutta una fase storica che si colloca tra i primi anni

    Sessanta e la seconda met degli anni Settanta del secolo scorso, la figura concreta delloperaio massa intorno alla quale li-potesi delpotere operaio si posta con non poco realismo. Unacondizione che repentinamente muta. Attraverso una rapidaristrutturazione, le grosse concentrazioni operaie, vere e propriebasi rosse delpotere operaio, sono smantellate e la figura del-loperaio massa fortemente ridimensionata. La fabbrica inizia aperdere la sua centralit politica e, con lei, legemonia che avevapotuto vantare ed esercitare sullinsieme delle classi sociali sub-

    alterne. Una trasformazione che modifica alla radice la scenapolitica e sociale, con tutte le conseguenze del caso. in questocontesto che, dallipotesi dellaguerriglia operaia si delinea il pas-saggio verso laguerriglia diffusa. A ci sono dedicati due capito-li, per molti versi centrali, del libro.

    La fine delloperaio massa in quanto elemento strategico delconflitto di classe segna qualcosa di pi che la semplice estinzio-ne di una figura operaiaconcreta, piuttosto coincide con una verae propria nuovagrande trasformazione che, per molti versi, pu

    considerarsi lincipit di un mondo allinterno del quale siamotuttora immersi. Per questo, insieme alle vicende dellAutono-mia operaia, nei capitoli sullaguerriglia diffusa sono prese in con-

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    siderazione anche ipotesi, sia teoriche, sia politiche non ricondu-cibili unicamente allarea dellAutonomia operaia. Senza scoprireeccessivamente le carte sufficiente ricordare che, prendendo a

    spunto le vicende ruotanti intorno al Movimento del 77 con tutte leretoriche che si portato appresso, si cercato di ragionare intor-no ad alcune formulazioni teoriche e analitiche elaborate in quelperiodo da Michel Foucault e, in maniera del tutto speculare, a ciche lateoria e laprassi della RoteArmee Fraktion avevano messo apunto nella Repubblica federale tedesca. Ipotesi messe a confron-to con quanto, nel frattempo, si andava delineando in Italia intor-no allarea dellAutonomia operaia. Il quinto capitolo chiudeprendendo atto che la fine delloperaio massa, se da un lato

    comporta il tramonto del programmapolitico del potere operaio,dallaltro apre su unipotesi di guerriglia diffusa a tutto campola cui connotazione non sar pi lorizzonte della politica bensil sociale. Unaffermazione gravida di conseguenze perch spo-sta lambito dellaguerra dal piano concreto delpoliticonellin-determinatezza della pluralit sociale. in tale contesto, dovetutti i gatti diventano bigi , che laquestione militare tende, e non po-trebbe essere altrimenti, ad assumere una completa autonomiain un fare caotico e privo di finalizzazioni. Inizia esattamente in

    tale frangente a delinearsi un filone di pensiero che, nel giro dibreve, prender del tutto le distanze dal mondo delpolitico insenso proprio.

    Prima di provare a tirare qualche conclusione si rapidamen-te cercato di dare conto delle ricadute che, la crisi delloperaiomassa, ha comportato per le Organizzazioni comuniste combat-tenti. Nel sesto capitolo, a partire dalle ricadute seguite alla scon-fitta della classe operaia Fiat nellautunno del 1980 (una sconfit-ta che, anche da un punto di vista simbolico, sancisce la definiti-

    va chiusura di unesperienza di lotta ventennale), sono stateprese in considerazione le diverse elaborazioni teoriche e politi-che formulate dalle Brigate rosse e da Prima linea nel tentativodi rilanciare unipotesi guerrigliera forte sul piano militare equantitativamente non irrilevante ma apertamente in crisi sulpiano politico. Una crisi che, tra gli effetti immediati, ha com-portato un susseguirsi di rottura e scissioni fino alla completaimplosione.

    Nellultimo capitolo, infine, si sono dapprima sommariamen-

    te delineati gli approdi ai quali giunta la teoriapostoperaista e,in seconda battuta, si cercato di riannodare le file di alcunidiscorsi, a partire dalle intuizioni di Michel Foucault e della Rote

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    Armee Fraktion, abbozzati in precedenza, in relazione alla realtche lera delcapitalismo globaleha determinato.

    Nel testo si utilizzato un certo numero di testimonianze.6

    Arilasciarle sono state donne e uomini, in prevalenza legati allavoro di fabbrica, che per molti versi richiamano alla mente ladimensione deimilitanti politici di base. Testimonianze preziose ingrado di restituirci, senza fronzoli e sbavature, il clima di une-poca. Sono state le storie e le lotte di questa massa anonima maprofondamente intrisa di senso e coscienza storica e politica che,con ogni probabilit, hanno convinto e ispirato Jean Luc Godarda mettere in scenaCrepa padrone che tutto va bene, un film che,

    oggi, neppure un folle si sognerebbe di girare. Unulterioredimostrazione di come i rapporti di forza tra le classi influenzi-no, in maniera non secondaria, anche mondi, quali larte e la cul-tura, apparentemente distanti dagli affanni del mondo.7 Nelleinterviste raccolte emerge unepoca che oggi, pi che lontana,sembra non essere mai esistita anche se, per molti versi, lera delcapitalismo globaleha ulteriormente reso pi acuto il conflitto tracomando capitalista e subalterni.

    La guerra tra capitale e lavoro salariato, non diversamente dal

    passato, continua a tessere le trame dei rapporti tra comandocapitalista e subalterni e i posti di lavoro sono pur sempre la car-tina tornasole che ne sintetizza al meglio i rapporti di forza. Lasicurezza sul lavoro, pertanto, ne rappresenta un indicatore nonsecondario. Il numero di infortuni e di morti bianche ha rag-giunto oggi numeri a dir poco imbarazzanti anche se lecitosospettare che le statistiche siano, quanto meno, incomplete. Aidati ufficiali, gi di per s impressionanti, bisogna aggiungereuna variabile di difficile quantificazione rappresentata dal

    numero di lavoratori e operai invisibili, in quanto clandestini nelcaso del proletariato migrante o semplicemente perch in neronel caso degli indigeni, la morte dei quali, in non pochi casi, sonofatte passare nelle vesti accidentali di eventi esterni ed estraneial mondo del lavoro. Per quanto a prima vista possa sembrarestrano lesercizio o no delpotere operaiopassaanche per un estin-tore. Una semplice boutade? No. Fatti recenti sono l a dimo-strarlo. Per questo, in unepoca che ha emarginato il lavoro sala-riato e reso invisibile gli operai sembra per lo meno doveroso

    compiere unoperazione, per quanto modesta possa essere, dirottura e apertamente inpolemicaalle retoriche dominanti dedi-cando il libro a: Angelo, Antonio, Bruno, Giuseppe, Roberto,

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    Rocco, Rosario,8 i sette operai morti accidentalmente sul lavo-ro alle acciaierie della ThyssenKrupp.9

    POST SCRIPTUM

    Mentre questo lavoro stava per essere dato alle stampe un enne-simo operaio perdeva la vita. Il fatto, di per s, non sarebbe statodegno di particolare attenzione, un banale dato statistico chenon faceva altro che allungare la macabra lista mortuaria diven-tata ormai pura routine. In fondo, in cinque anni di guerra in Iraqsono morti 4000 soldati statunitensi circa la met degli operai

    caduti nel nostro paese nello stesso periodo e anche la morte, seinflazionata, non fa pi notizia. Tuttavia, il morto in questione,un breve momento di notoriet riuscito a ottenerla. Loperaio,Luigi Roca di 39 anni, non caduto sul lavoro, morto per suici-dio. La sera del 12 marzo 2008 si impiccato. Operaio a tempodeterminato, in una fabbrica del gruppo ThyssenKrupp (la Bercodi Rocca Canavese) aveva appena avuto la conferma che il suocontratto non sarebbe stato rinnovato. Davanti lo spettro delladisoccupazione, per di pi in unet dove la riqualificazione e la

    ricollocazione produttiva pura illusione. Nella pi totale solitu-dine matura il gesto estremo lasciando alla moglie un messaggiodaddio che, per la sua sobriet, vale la pena di riportare: Hoperso il lavoro e con quello la dignit. Scusami. Parole che nonhanno bisogno di commenti. La succinta biografia di unuomoinfame10 in grado di raccontare qualcosa di non secondario sullacondizione dei subalterni, o di alcune sue quote non secondarie,nel mondo contemporaneo.

    La prima cosa che salta agli occhi quanto il governo dei

    viventi si sia profondamente modificato. Nel caso di LuigiRoca, il modello delfar vivere e il lasciar morire,11 sembra essersirealizzato a pieno. Nei suoi confronti, lazienda, non intervienecon alcun atto autoritario, non lo licenzia semplicemente staccala spina. Improvvisamente, loperaio messo da parte, si ritrovanella condizione di singolo, di individuo solo e isolato, senzaalcun legame con una qualche dimensione collettiva e la stessafamiglia, che nelle retoriche pubbliche attuali conosce i fasti dellasacralit, pi che un rifugio sicuro sembra essere veicolo di in-

    quietudini irrisolvibili. Del resto, la moglie, anchessa unope-raia e di fronte alle prosaiche incombenze della vita quotidianacon cui, loro malgrado, quote cospicue di popolazione, ogni

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    giorno sono costrette a combattere una guerra mesta e silenzio-sa sempre sullorlo della disfatta, il magro salario non in gradodi risolvere pi di tanto. Limmagine del focolare, come luogo

    sicuro e confortevole in grado di arginare i drammi del mondo,cara ai sociologi della famiglia e agli uomini politici perbene erispettabili, tra i subalterni, in non pochi casi, si sfalda veloce-mente tra rate, affitti, bollette, spese mediche insostenibili e cosvia alle quali con sempre pi difficolt si riesce a far fronte. Manon solo. A mancare non solo il denaro, il che sarebbe gi di pers un problema non da poco, a venire meno il senso delladignit personale.12

    Lespulsione dalla fabbrica non produce rabbia, odio, voglia

    di lottare ma colpa e perdita di stima nei confronti si se stesso.Lunica cosa che, realisticamente, loperaio suicida riesce a met-tere a fuoco il fallimento della sua esistenza e di ci chiedescusa alla moglie. Poi la fa finita. Una condizione e una situazio-ne che ha ben poco di eccentrico ma che, oggi, accomuna milio-ni di individui anche se nessun collante sembra in grado ditenerli uniti. Una conseguenza obbligata dellapostmodernit?Forse. Tuttavia, se guardiamo con un po di attenzione allevicende secolari del movimento operaio e proletario, la condi-

    zione attuale nuova solo in parte. Chiunque prenda o riprendatra le mani il testo di Engels13 sulla classe operaia inglesedellOttocento trover una fotografia dei mondi subalterni che,fatte le tare del caso, non sembra troppo dissimile dallodierna.La formazione della Classe operaia in quanto soggetto storicoe politico, in quantoclasse per s per dirla con Marx, stata benlontana dal coincidere con la sua dimensione sociologica. Glioperai senza politica, come anche in questo caso ricorda Marx,non sono altro checapitale variabile e fino a quando questa con-

    dizione rimane la loro unica dimensione ben difficilmente pos-sono sottrarsi ai destini dellInferno di Manchester . Solo lassun-zione della dimensione delpolitico in grado di far s che gliindividui si emancipino dal loro isolamento per divenireio col-lettivo. Bisogna forse ricordare che, nel mondo attuale, sono isubalterni a vivere una condizione priva di legami sociali e poli-tici forti, mentre il comando capitalista sembra aver rafforzato,piuttosto, il senso dellagire collettivo in quanto classe dominan-te. Senza la Comune di Parigi e lOttobre sovietico ben difficil-

    mente, il Novecento, sarebbe stato il secolo della Classe operaia.Gli operai avrebbero continuato a esistere senza alcuna prospet-tiva storica, e quindi politica, consumando le loro esistenze tra

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    giornate lavorative abnormi e sbornie colossali. Se questa condi-zione, che ilCapitale avrebbe ampiamente sponsorizzato, haconosciuto ipotesi e destini diversi, se lospettro operaio arriva-

    to a scuotere le fondamenta del mondo capitalista, solo in virtdella dimensionepolitica che, nel corso della sua storia, ha matu-rato. In qualche modo si torna sempre l.

    Il passaggio da mera classe sociologica a classe politica possibile solo quando un blocco sociale, senza sbocchi politici,evolve in blocco di potere. Ma lipotesi della conquista del poterepolitico storicamente possibile e realisticamente perseguibilesolo se, concettualmente ancor prima che praticamente, si sonochiaramente delimitati i campi dellamicizia e dellinimicizia e se,

    tra questi due campi, come ricordava Mao Tse Tung, tracciata unachiara linea di demarcazione. Anche in questo caso, per non lasciaredubbi o malintesi di sorta su quanto si affermato, sembra oppor-tuno riportare una citazione di un autore, Carl Schmitt, distantedal movimento operaio ma acuto e geniale teorico politico.

    La sola questione dunque questa: esiste un nemico assoluto, echi in concreto? Per Lenin la risposta era immediata, e la suasuperiorit su tutti gli altri socialisti e marxisti deriva propriodallaver preso sul serio il concetto di inimicizia totale. Il suo con-creto nemico assoluto era lavversario di classe, il borghese, ilcapitalista occidentale e il di lui ordine sociale in ogni paese ovefosse al potere. Sapere chi era il proprio nemico fu il segreto del-leccezionale forza durto di Lenin. (Teoria del partigiano, pag. 74)

    Da ci consegue che la formulazione teorico-politica (o per dirlacon Lenin: Senza teoria rivoluzionaria, non esiste movimentorivoluzionario) la sola condizione in grado di emancipare isubalterni da una dimensione prettamente sociologica che li

    condanna a unesistenza sostanzialmenteimpolitica. stata que-sta presenza al contempo teorica, politica e organizzata che hafatto del Novecento il secolo della Classe operaia ma, e anche inquesto caso il ricorso a una citazione di Carl Schmitt quantomai dobbligo, tutto ci stato frutto di unpensiero politicocapa-ce di trasformare loggettivo ed endemico conflitto del modo diproduzione capitalista in soggettivit politicapartigiana :

    Lirregolarit della lotta di classe mette in discussione non sol-

    tanto un piano, bens lintera costruzione dellordinamento po-litico e sociale. Nel rivoluzionario di professione russo Leninquesta nuova realt divenne consapevolezza filosofica. Lal-

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    leanza della filosofia con il partigiano realizzata da Lenin sca-ten inaspettatamente nuove, esplosive forze, producendoniente meno che il crollo dellintero mondo eurocentrico, cheNapoleone aveva sperato di salvare e il Congresso di Vienna direstaurare. (Teoria del partigiano, pag. 75)

    Certo, la teoria politicapartigiana non pu resuscitare i morti eneppure impedirne di nuovi ma pu far s che la disperazione sitrasformi in odio, la solitudine in organizzazione, la disistima inorgoglio. Il che, parafrasando Sieys,14 gi qualcosa.

    Note

    1 Per rendere al meglio il ruolo che ildiscorso storicoriversa, in quan-to autentico strumento bellico, nelle lotte di e per il potere del presente forse il caso di riportare un paio di passi tratti da Foucault M.,Bisognadifendere la societ, Feltrinelli, Milano 1998, il testo che, con ogni proba-bilit, definisce con maggiore lucidit la permanente tensione bellige-rante che fa da sfondo a ogni narrazione della storia. lappartenenzaa un campo la posizione decentrata a permettere di decifrare laverit e di denunciare le illusioni e gli errori attraverso cui vien fattocredere gli avversari fanno credere che ci si trova in un mondo ordi-nato e pacificato. Pi mi decentro, pi vedo la verit; pi accentuo ilrapporto di forza, pi mi batto, e pi la verit si dispiegher effettiva-mente dinanzi a me, e allinterno di questa prospettiva della lotta, dellasopravvivenza o della vittoria. E per contro, se il rapporto di forza libe-ra la verit, la verit a sua volta entrer in gioco, e sar in ultima anali-si ricercata, solo nella misura in cui potr diventare effettivamenteunarma allinterno del rapporto di forza. La verit mette a disposizio-ne la forza, oppure provoca uno squilibrio, accentua le dissimmetrie e

    infine fa inclinare la vittoria da una parte piuttosto che dallaltra: laverit un sovrappi di forza e si dispiega solo a partire da un rappor-to di forza. Lappartenenza essenziale della verit al rapporto di forza,alla dissimmetria, al decentramento, alla lotta, alla guerra, iscrittaanche in questo tipo di discorso. (pag. 50) Se la verit storica semprela verit della parte contro il tutto ne consegue che ben poco sensohanno le retoriche scientifiche che, in virt di una presunta equidi-stanza ed estraneit dalle parti in causa, si autorappresentano comeparte terza, quindi obiettivamente estranea al conflitto, e in grado per-tanto di mettere a regime una verit vera. Nel campo storico, forse pi

    che altrove, Foucault, e non si pu che concordare con lui, intravede illegame indissolubile trapotere e sapere. sempre unpotere a informare ea mettere in circolo il discorso delsapere, non il contrario. Ilpotere non

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    n sordo, n cieco n, tanto meno, acefalo e rozzo ma, al contrario, solounicamente attraverso il suo esercizio che ilsaperesi illumina. Sotto taleprofilo, la citazione con cui si conclude la nota, oltre a essere esplicativa folgorante. Al contrario, dietro le forme del giusto quale stato istituito,dellordinato quale stato imposto, dellistituzionale quale stato accet-tato, si tratta di scoprire e di definire il passato dimenticato delle lottereali, delle vittorie effettive, delle disfatte che lasciano il loro segnoprofondo anche se sono state dissimulate. Ci si impone di ritrovare il san-gue seccato nei codici, e non, dietro la fugacit della storia, lassoluto deldiritto. Non questione di riferire la relativit della storia allassolutodella legge o della verit, ma di trovare linfinito della storia dietro la sta-bilit del diritto, le grida di guerra dietro la formula della legge e la dis-simmetria delle forze dietro lequilibrio della giustizia. (Pag. 53)

    2 Basti pensare a un testo come Pansa G.,Guardiani della memoria,Sperling & Kupfer, Milano 2007, scritto da un autore ascrivibile a pienotitolo al mondo dellintellighenzia liberal-democratica. Ma forse, a ren-dere al meglio limportanza che riveste il discorso storico nel definire ilpresente politico e culturale pi che a scrivere ex novo il passato, il testodi una canzoneIl Cuoco di Salscritto da un cantautore, Francesco DeGregori, particolarmente amato dal pubblico e dal ceto liberal-progressi-sta. Grazie a un profilo vagamente esistenziale e lacerante (il dram-ma di dover scegliere al quale luomo comune, suo malgrado, statoobbligato dagli eventi a lui in fondo estranei) il testo prova a ricomporrela frattura della Guerra civile proponendo una nuova riconciliazione ericomposizione allinterno di un mondo dentro il quale, ormai, regnasovrana la pace, al cui mantenimento deputato il ruolo della memoria.La canzone inserita nellalbumAmore nel pomeriggio, Sony 2001. Non del tutto secondario notare leaffinit elettive tra il cantautore e il novelloPartito democratico il cui ceto politico al governo tra il 2006 e il 2008,com noto, si particolarmente distinto per la generosa profusione difondi e risorse alle forze armate, gli onerosi contratti stipulati con gli eser-citi privati (pi noti come contractors) assoldati per proteggere gli inte-ressi nazionali presenti negli scenari di guerra, oltre che uno spiccato

    entusiasmo per ogni intervento militare in giro per il mondo.3 Per una buona panoramica su questo periodo storico si possonovedere: Accornero A.,Gli anni 50 in fabbrica, De Donato, Bari 1976;Pugno E., Garavini S.,Gli anni duri della Fiat, Einaudi, Torino 1975; FoaV.,Sindacato e lotte operaie, in Storia dItalia, Einaudi, Torino 1973; esem-plificativo per inquadrare lo scenario dellepoca pu essere larticolo diMigone G.G.,Stati Uniti, Fiat e repressione antioperaia negli anni cinquan-ta, Rivista di storia contemporanea, n. 2, 1974.

    4 Amicizia, amico, concreto, indeterminatezza, inimicizia, ne-mico, politico, in tutto il testo sono sempre utilizzati nellaccezione sch-

    mittiana. Cfr. Schmitt C.,Le categorie del politico, Il Mulino, Bologna 1972 eGalli C.,Genealogia della politica: Carl Schmitt e la crisi del pensiero politicomoderno, Il Mulino, Bologna 1996.

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    5 Un autore che, come facilmente potr osservare un qualunque let-tore, nel testo ricorre con non poca frequenza Lenin. Il motivo, inop-portuni dogmatismi a parte, facilmente spiegabile attraverso la lettu-ra della citazione che segue: Ci che Lenin poteva apprendere daClausewitz, e impar fino in fondo, non soltanto la famosa formuladella guerra come continuazione della politica. anche il riconosci-mento che la distinzione dellamico dal nemico la cosa pi importan-te, e determina tanto la guerra quanto la politica. Solo la guerra rivolu-zionaria , per Lenin, vera guerra, perch nasce dallinimicizia assoluta.Tutto il resto gioco convenzionale. La distinzione fra guerra (Vojna) egioco (Igra) sottolineata dallo stesso Lenin in una nota a margine di unpasso tratto dal cap. XXII del secondo libro (Chiave del paese)(Schmitt C.,Teoria del partigiano, Adelphi, Milano 2005). Il testo al qualefa riferimento Schmitt ovviamente Clausewitz von K.,Della guerra,Mondadori, Milano 1970. in questo senso che lattualit di Lenin dif-ficilmente ignorabile a meno che non si prenda sul serio in considera-zione lipotesi che lera delpolitico bellamente tramontata.

    6 Per una discussione sulluso delle testimonianze in ambito antro-pologico, sociologico e storico si veda Dal Lago A., De Biasi R. (a curadi), Un certo sguardo. Introduzione alletnografia sociale, Laterza, Roma Bari 2002.

    7 Il riferimento al modo in cui Gramsci, aspetto presente un poovunque nella sua produzione intellettuale, ha posto la questione. Per

    una discussione su questi temi si veda Bermani C.,Gramsci gli intellet-

    tuali e la cultura proletaria, Colibr, Milano 2007.8 Riportare il nome degli operai morti ignorandone il cognome non

    frutto di una svista ma di una scelta precisa al fine di fotografare la con-dizione oggettiva nella quale, i subalterni, sono obiettivamente ascritti.Per molti versi, una volta persa lidentit diClasse storica e politica, glioperai nelle nostre societ tendono sempre pi a essere percepiti comemassa indistinta e senza volto, qualcosa che, in qualche modo, sembrarenderli simili alla condizione dinon persona dei popoli colonizzati. Infondo potrebbero essere tutti tranquillamente chiamatiGiuseppe cos

    come, per esempio, durante loccupazione coloniale dellAlgeria, per ifrancesi era ovvio, normale e in fondo naturale chiamare ogni algerino Mohamed, cfr. Mandouse A.,Preveniamo la guerra del Nordafrica, Esprit,aprile 1947, in Cahen J., Pouteau M.,Una resistenza incompiuta. La guer-ra dAlgeria e gli anti-colonialisti 1954-1947 , Vol. I, pagg. 14-19, Il Sag-giatore, Milano 1964. Esistere, vita biologica a parte, sempre qualcosache rimanda a una dimensione pubblica, ossia politica. Com notoser-vus non habet personam, una condizione che gli deriva dal suo essereesterno ed estraneo alla vita dellapolis. La condizione operaia e pi ingenerale dei subalterni, oggi, sembra precipitare sempre pi in una con-

    dizioneesistenziale simile.9 Nella notte tra il 5 e il 6 dicembre 2007 un incendio si improvvi-samente sviluppato allinterno della fabbrica, coinvolgendo otto operai.

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    forma la vergogna si trasforma in orgoglio. Il licenziamento non pipercepito come fatto individuale, come fallimento personale ma perquello che in realt : un episodio del conflitto di classe e per questo nonva tenuto nascosto a nessuno, tanto meno al figlio il quale, proprio daquellevento, ne dovr trarre non tanto una generica lezione di vita, maun insegnamento concreto in grado di prepararlo e forgiarlo alle batta-glie che anche lui sar chiamato a combattere. La canzone, infatti, ter-mina con: O cara moglie, io prima ho sbagliato, d a mio figlio che ven-ga a sentire, che ha da capire cosa vuol dire, lottare per la libert. Ildramma superato. La famiglia unita ma non la famiglia/simulacroa essere salda, non il vincolo matrimoniale che compie il miracolo,piuttosto il legame di classe, che attraversaanche la famiglia operaia,a non far precipitare levento in tragedia. Ma questa famiglia, a suavolta, non una monade chiusa indifferente e diffidente verso il mondoma inserita allinterno di relazioni sociali, dentro una collettivit orga-nizzata che vivr il licenziamento delluno come qualcosa che va a toc-care lintero corpo della classe. Alloperaio, neppure per un attimo sem-bra venire in mente il suicidio non perch sia un tipo particolarmentetosto ma perch, nel suo essere classe, come tale affronta la situazio-ne. La differenza, non da poco, sta tutta l. lassenza di tale dimensio-ne che apre alla tragedia. La morte di Luigi Roca, sotto questa luce, piche un suicidio lennesimo omicidio involontario consumato dalladittatura del comando del capitale.

    13 Engels F.,La situazione della classe operaia in Inghilterra, EditoriRiuniti, Roma 1992.

    14 Sieys E.J.,Che cosa il terzo stato?, Editori Riuniti, Roma 1992.