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STORIC I RIVISTA TRIMESTRALE DELL'ISTITUTO GRAMSCI I GENNAIO-MARZO 1999 ANNO 40 Carocci editore

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STORIC I

RIVISTA TRIMESTRALE DELL'ISTITUTO GRAMSCI

I GENNAIO-MARZO 1999 ANNO 40

Carocci editore

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Note critiche

AUSTERITA ESPOSITIVA E RIELABORAZIONE CREATRICE NEL <<CHRONICON?> DI DOMENICO DA GRAVINA*

Fulvio Delle Donne

Da quando, trentacinque anni fa, Girolamo Arnaldi ha pubblicato il suo la voro sui cronisti della Marca Trevigiana', sempre maggiore interesse e sta to riservato a quella tipologia di compilazioni storiografiche elaborate dai notai soprattutto nei territori e nei comuni dell'Italia centro-settentrionale. A dire il vero, Arnaldi, prendendo in esame il corpus di cronache prodot te in epoca ezzeliniana, non voleva - almeno non preminentemente - fon dare i canoni e delineare i caratteri distintivi di un ?genere cronachistico notarile>> ben riconosciuto e riconoscibile. Eppure, ben presto, si e passati sempre piu a parlare dei <<notai-cronisti>> come di un gruppo piuttosto uni tario nei suoi caratteri distintivi, ma di cui fanno parte personaggi prove nienti anche da differenti contesti storici, sociali, culturali e cronologici. E questa e la prassi seguita, almeno in una certa misura, anche da Marino Zabbia nel suo volume di recente pubblicazione, sotto diversi aspetti assai pregevole. Leggendo il titolo, Notai-cronisti nel Mezzogiorno svevo-angioino. II <<Chro nicon>> di Domenico da Gravina, gia si intuisce in quali termini si vuole af frontare la questione: l'indagine su una cronaca per scoprire le tracce che portano alla comprensione e alla definizione di un piu ampio modello sto riografico. Infatti, il volume non e una semplice analisi del testo di Dome nico da Gravina, perche esso viene osservato da una prospettiva di con fronto con i moduli compositivi di altre opere, anche provenienti da am bienti ed epoche diverse, quali quelle di Buccio di Ranallo, di Riccardo di San Germano, di Angelo Tummulillo, di Giovanni Aylino, di Pietro Aza rio e di Conforto da Costoza. Ma non e neppure uno studio definitivo sul

* M. Zabbia, Notai-cronisti nel Mezzogiorno svevo-angioino. Il ?Chronicon? di Domenico

da Gravina, con presentazione di G. Vit?lo, Salerno, Laveglia (Spiragli, 4), 1997. Il vo

lume rappresenta la rielaborazione del saggio II ?Chronicon? di Domenico di Gravina.

Aspetti e problemi della produzione storiografica notarile nel Mezzogiorno angioino, in

?Annali dell'Istituto italiano per gli studi storici?, 13, 1995-96, pp. 285-360. 1 G. Arnaldi, Studi sui cronisti della Marca Irevigiana nell'et? di Ezzelino da Romano,

Roma, Istituto storico italiano per il Medio Evo (Studi storici, 48-50), 1963.

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complesso delle comuni tecniche narrative adottate dai notai-cronisti del l'Italia meridionale tardo-medievale: ne, d'altronde, potrebbe esserlo, per che troppo differenti tra loro sono quelle opere. Certo, elementi comuni alle diverse compilazioni dei notai-cronisti, ovunque siano state elaborate, sono ravvisabili, anche se bisogna innanzitutto distinguere tra le cronache prodotte nelle citta dominanti, che avevano l'intento di veicolare la propa ganda ufficiale anche attraverso il riordino della documentazione pubblica, e quelle prodotte nelle citta dominate, che, invece, nascondono un piu spic cato interesse per la storia locale o addirittura personale2. Le cronache com poste nell'Italia meridionale, organizzata in Regno, naturalmente, si avvici nano, negli esiti, maggiormente a quelle delle citta dominate dell'Italia cen tro-settentrionale. Quindi, in esse, caratteristici appaiono, generalmente e innanzitutto, i richiami autobiografici, che denotano non una miope chiu sura in se stessi degli autori, ma rappresentano la spia dello stretto legame esistente tra cronisti e ceti eminenti cittadini3. I notai, infatti, apparteneva no per lo piu alle famiglie notabili delle universitates, a quei gruppi di boni homines che sin dai secoli centrali del Medio Evo erano stati chiamati a sottoscrivere i documenti e a cui veniva delegata la produzione della do cumentazione autentica4: quindi, come si puo ricavare anche dal confronto con i coevi libri di famiglia, naturale era la loro propensione a monopoliz zare la conservazione del ricordo delle proprie vicende familiari, che fini vano per determinare anche quelle dell'intera comunit'a cittadina. Ma il no taio - e nel caso specifico Domenico da Gravina - investito della propria dignita dall'autorita monarchica, nel dedicarsi al proprio lavoro di cronista, non poteva fare a meno di tener presente e di indagare la piu ampia si tuazione politica dell'intero Regno, che comunque determinava anche lo svolgersi delle vicende locali5. Insomma, il volume di Zabbia, nell'analizzare il Chronicon de rebus in

Apulia gestis di Domenico da Gravina e nell'inserirlo nella piu ampia cor nice della produzione dei notai-cronisti del Mezzogiorno, parte da un pre supposto ineludibile: delle oltre duecento cronache composte in Italia nel

XIV secolo, circa un quarto e stato composto da notai. Ma basta questo a fare di tali cronache un corpus dalla fisionomia ben delineabile e tale da rendere quelle opere assimilabili tra loro? Basta la simile posizione

2 M. Zabbia, Notai-cronisti, cit., pp. 11-12. 3

Ivi, pp. 47-48, 118-119 e passim. 4

Ivi, pp. 66 sgg., basandosi essenzialmente su F. Magistrale, Notariato e documentazio

ne in Terra di Bari. Ricerche su forme, rogatari, credibilit? dei documenti latini nei secoli

TX-XI, Bari, 1984, e G. Musca, Una famiglia di ?boni homines? nella Terlizzi normanna

e sveva, in ?Archivio storico pugliese?, 21, 1968, pp. 37 sgg. 5

Ivi, pp. 45 sgg., 119 e passim.

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professionale e sociale dei loro autori a far rientrare quelle cronache al l'interno di quel costrittivo recinto di canoni e di tipologie che delimita il campo di un <<genere>>, letterario o storiografico che sia? Si direbbe proprio di no, e di questo sembrerebbe consapevole lo stesso Zabbia, che, gia nelle prime pagine dell'introduzione6, riconosce la notevole variet'a del le forme letterarie adottate, che vanno dalla prosa ai versi; dei moduli narrativi, aulici o memorialistici; dei temi, dipendenti dalle piu differenti situazioni storiche e politiche che si vogliono descrivere; delle tipologie, che spaziano dalla storia universale alla cronaca cittadina; neppure la fun zione e la motivazione della composizione delle opere sono mai le stes se. Ma, piu di ogni altra cosa, a diversificare indiscutibilmente queste ope re tra loro intervengono l'assoluta mancanza di riferimenti, anche impli citi e sotterranei, a modelli comuni e, soprattutto, la mancata consapevolezza dei loro autori di fare parte di un gruppo, il loro gene ralizzato disinteresse per le opere composte dai loro colleghi, dell'esisten za delle quali neanche erano a conoscenza: del resto, queste opere, per lo piu, ebbero assai scarsa o nessuna circolazione. Le opere storiche compilate dai notai-cronisti non hanno caratteristiche co muni tali da renderle un corpus intrinsecamente e indubitabilmente unita rio, almeno non piu di quelle compilate dai chierici, che pure furono mol te. Se ne possono solo rilevare somiglianze, piu o meno vaghe, negli esiti: e credo che neppure lo stesso Zabbia voglia andare al di lIa di questi ri scontri. L'espressione <<notaio-cronista>>, quindi, puo essere usata solo per determinare un particolare sostrato socio-professionale, che per altro non ha nulla di casuale. I notai, come detto, sono rappresentanti dei ceti piu abbienti, e quindi sono tra i pochi che possono permettersi studi di tipo superiore che consentano di appropriarsi dell'abilita' scrittoria e della cul tura giuridica necessarie alla loro professione, i due elementi che nei trat tati di ars notaria risultano imprescindibili e interdipendenti: la nostra sto ria letteraria delle origini e piena di nomi di trattatisti e di poeti che furo no notai. Certo, alcuni notai non poterono fare a meno di estendere la publica fides di cui godevano professionalmente anche al campo della com pilazione cronachistica, quasi che il loro ruolo di garanti della correttezza formale degli atti altrui li rendesse implicitamente adatti anche a farsi os servatori super partes delle vicende che si svolgevano sotto i loro occhi. Ma

molti altri notai non si volsero a tale passaggio. D'altra parte, la publica fi des non era il frutto di una mera investitura formale, ma affondava le pro prie radici nello stratificarsi delle preminenze e delle egemonie sociali dell'<antica Europa>>. La decisione di scrivere una cronaca, allora, doveva essere presa sotto l'impulso anche di altri stimoli, probabilmente diversi per

6 Ivi, p. 8.

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ognuno. Ma quali? Raramente i cronisti rispondono a questa domanda: Ro landino Patavino e uno dei pochi a farlo, e ci dice dapprima che fu indotto a scrivere dall'esortazione del padre, il quale gli aveva anche cedute le note che era andato raccogliendo nel corso della sua vita7, ma, poi, anche che la spinta decisiva gli era venuta da personae religiosae8. II Chronicon di Domenico da Gravina ci e pervenuto acefalo, e quindi non sappiamo se la narrazione fosse preceduta da un prologo, il luogo in cui normalmente gli autori forniscono spiegazioni e chiarimenti sulla propria posizione nei confronti delle vicende narrate e della propria opera. Rima ne aperta, di conseguenza, la questione del motivo che lo ha sollecitato a scrivere e, addirittura - come afferma Zabbia in base alle caratteristiche del le numerose correzioni che si iricontrano nel manoscritto, dovute alla stes sa mano che lo ha esemplato per intero9 - a ricopiare <<in bella>>. Non cre do, comunque, che si sia trattato solo di una naturale, spontanea trasposi zione in un codice letterario della prassi scrittoria acquisita nel quotidiano lavoro di attestazione documentaria. Del resto, l'impresa cronachistica di

Domenico non riporta gli eventi disponendoli secondo il rigoroso ordine della prassi notarile, ma li riorganizza in base alle esigenze di una piu equi librata ed organica esposizione: secondo Sorbelli, il Chronicon dovrebbe es sere chiamato piu appropriatamente ?racconto>> o <<narrazione>>10. Inoltre, sempre secondo Sorbelli, l'opera dovette essere compilata almeno in due diversi momenti'1. Nel codice autografo, infatti, ci sono variazioni nel mo dulo della scrittura, a tratti piu o meno corsiva, e differenze di inchiostro; man mano che si procede nella narrazione, poi, alcuni eventi che inizial mente appaiono cronologicamente molto vicini, in seguito vengono ricor dati come molto lontani. Dunque, una prima parte dovette essere scritta nel giugno-luglio del 1349 e forse a Bitonto, dove Domenico si era ritira to insieme con la sua famiglia: lo stesso Domenico, nella lamentazione sul la morte di Andrea d'Ungheria, riferisce di essere esule"2, cosa avvenuta ver so la meta del 1349, ed esprime il proprio timore di non poter piu riotte nere i propri beni, mentre nel 1350, come lui stesso racconta, li riebbe tutti in seguito alla seconda discesa del re d'Ungheria; inoltre, sempre in quel passo, Domenico ci dice che suo figlio Filippo, nato durante l'invasione del Sanseverino e di Rogerone, quindi nell'aprile o nel maggio del 1349, non

7 Rolandinus Patavinus, Chronica in factis et circa facta Marchie Trivixane, a cura di A.

Bonardi, RIS, VIII, 1, Citt? di Castello, 1905-1908, Prologus, p. 7. 8

Ivi, Prologus, p. 8. 9 M. Zabbia, Notai-cronisti, cit., p. 16. 10

A. Sorbelli, Prefazione a Dominicus de Gravina Notarius, Chronicon de rebus in Apu lia gestis, RIS, XII, 3, Citt? di Castello, 1903, p. XVI. 11

Ivi, pp. XVII-XVIII. 12

Dominicus de Gravina Notarius, Chronicon, cit., pp. 19-20.

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ha ancora compiuto due mesi. La seconda parte del Chronicon, invece, do vette essere scritta alla fine del 1350, o al massimo all'inizio del 1351. A conferma della diversita dei momenti in cui Domenico si dedico al suo lavoro storico sembrano intervenire anche altri elementi. Il Chronicon, in fatti, risulta facilmente suddivisibile in due parti, cosi come fa anche Zab bia nella sua analisi'3. La prima parte e incentrata sul matrimonio tra An drea d'Ungheria e Giovanna, erede di re Roberto, o meglio sulla rovina del Regno che da questo matrimonio deriva: anche se non mancano digressio ni sulla situazione pugliese e sulle vicende di Giovanni Pipino, conte pala tino di Altamura, il fuoco della narrazione e fissato sulla corte di Napoli e sui cortigiani, descritti come lupi che dilaniano le risorse del Regno"4, per poi circoscriversi alla ripresa dell'assassinio di Andrea e alla punizione dei rei. La seconda parte, invece, che ha inizio con la partenza di Ludovico d'Ungheria, venuto nel Regno per vendicare la morte del fratello, e quasi esclusivamente dedicata alla descrizione della situazione pugliese, ed in par ticolare di Gravina, nella ricostruzione delle cui vicende assume una posi zione di tutto rilievo lo stesso Domenico, che risulta essere uno dei mag giori sostenitori della fazione filo-ungherese. Dunque, nella seconda parte della sua opera, Domenico finisce per essere uno dei protagonisti principali della narrazione. Allora potrebbe essere que sto, l'intento autocelebrativo, il motivo che ha spinto Domenico a comporre il suo Chronicon? Forse si, ma non solo. In Domenico c'e una forte pro pensione al ricordo autobiografico, ma sempre come riflesso di una situa zione storica e politica piu ampia". Questo si riscontra gia nella prima par te dell'opera, a proposito del passo sull'assassinio di Andrea, in cui, alla dettagliata descrizione della scellerata impresa, Domenico fa seguire un'am pia digressione lamentevole sulla propria sorte, accomunando i propri do lori a quelli del Regno e di tutti i sudditi.

0 quam miserum regnum istud! quod ad regimen mulierum et infantium est de ductum. 0 quam regnicolas singulos lugere oportet [...] Vidi namque post haec plu rimorum comitum finem malum, morte turpissima dampnatorum, et multorum ma gnatum, principum et baronum, nobilium et popularium utriusque sexus, civitates, castra, provincias et casalia dissipata et pauperiem consecutam. Et ut de me allo quar, ammirando, sed flendo potius, de fortuna conqueror16.

La lamentazione inizia con la rivelazione della causa della disgraziata si tuazione in cui versa il Regno: la sua gestione e stata affidata a donne e fanciulli, coinvolgendo, probabilmente, nel critico giudizio anche il giova

13 M. Zabbia, Notai-cronisti, cit., pp. 23-45.

14 Dominicus de Gravina Notarius, Chronicon, cit., p. 9, rr. 3-4.

15 M. Zabbia, Notai-cronisti, cit., p. 45.

16 Dominicus de Gravina Notarius, Chronicon, cit., p. 19.

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ne Andrea, di cui Domenico, immediatamente prima, aveva descritto la morte con toni, come vedremo, compassionevoli. Poi prosegue con 1'elen co di tutti i soggetti che sono stati coinvolti nella dissoluzione: una climax discendente che va dai magnati ai popolani e poi dalle citt'a ai casali per finire ad effetto, anche fonico, col pauperiem consecutam, che riassume 1'e sito ultimo che tutti gli elementi menzionati accomuna e in cui saremmo tentati di riconoscere un cursus velox. Ma si tratta di una gradazione in trodotta dal vidi, che gia preannuncia il passaggio all'elemento personale, all'ut de me alloquar che segna l'inizio di un nuovo innalzamento di tono che si preannuncia con I'accumulazione correttiva ammirando, sed flendo potius e che viene poi incrementato dall'ampia e lacrimevole riflessione sul la fortuna dell'autore.

Quid igitur in nece innocentis ducis peccavi, qui distare me aextimo ab Aversana urbe, ubi necatus est miser dux ile, usque ad civitatem Gravinae, cuius sum oriun dus, per miliaria centum et ultra? Et forte dicam quod propter alia commissa de licta patior tanta mala. Numquid tam gravia delicta commisi, ut bonis omnibus spo liatus, dirutis domibus et a natione mea eiectus, proditor appelarer? Et forte totum hoc merui ex meo delicto, sed quid meruit dompnus Guilielmus miserrimus frater meus? quid mater communis? quid consors mea, quid soror, dicti ducis commise runt in nece? Et forte fateri volo, quod ex praedictis malis actibus tanta pericula patiuntur et exules sunt mecum effecti, fortuna nostra misera permittente [...] Quid amplius dicam ignoro; et quod deterius est, eiusdem nationis amicos, cognatos, per sequi ducti sumus, velut aemulos capitales. 0 quanta scivit sagax daemon mala trac tare quando de proditione tanti ducis tractavit! Sagaciter providit, quod tanta mala inde necessarium sequi erant. Sed adhuc spem meam, dum vixero, semper habens ad Christum, spero firmiter a tantis angustiis liberari, <<qui sanat contritos corde>>, <<et erigit omnes elisos>>. Ac dum tali fortuna devehor, me consolari oportet, cum plurimos habeam mei casus similes et nationis maioris, iuxta illud verbum poeti cum: ?gaudium est miseris socios habere poenarum>>7.

L'elaborazione retorica dell'intero passo e evidente e rivela un notevole im pegno letterario. La climax, che avevamo visto discendere, si impenna nuo vamente e viene accompagnata dalle ripetute anafore intrecciate di et forte e di quid, nonche dai ripetuti interrogativi retorici, che poi cedono il po sto agli esclamativi. 11 registro espressivo, forse, risulta un po' puerile nel la ripetuta richiesta di Domenico di sapere quale delitto tanto grave ab biano commesso lui o i suoi familiari per subire una sorte tanto penosa. Non puo non farci sorridere di compatimento I'affermazione finale che <<mal comune e mezzo gaudio>>, ma il tono e sostenuto, esaltante, i periodi

17 Ivi, pp. 19-20.

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si susseguono vorticosamente fino alla serie conclusiva delle tre citazioni poste a distanza ravvicinata".

Sicuramente questo passo ci fa comprendere che l'intento dell'autore, al meno in questo punto, non e semplicemente di ripercorrere asetticamente il succedersi degli eventi. Qui Domenico ha tentato di fare opera lettera riamente piu creativa: un tentativo che non sempre e ravvisabile nel corso dell'intero Chronicon, ma che si intravede in alcuni momenti di maggiore significato storico, che si trasformano anche in momenti di maggiore in tensita emotiva. La lamentazione che abbiamo letto, infatti, succede imme diatamente alla descrizione dell'assassinio di Andrea: evento che rappre senta anche il momento centrale della parte iniziale dell'opera. Quella de scrizione, infatti, e preparata da diverse anticipazioni che raffigurano

Andrea, o<agniculus inter lupos>>'9, come destinato a inesorabile morte. Per di piu e molto dettagliata e accurata, anche negli accorgimenti stilistici, sin dall'invito rivolto ad Andrea a recarsi ad Aversa, espresso con il discorso diretto, che qui - indice, forse, di una maggiore elaborazione formale - fa la sua prima comparsa e che diventera piuttosto frequente nella seconda parte della cronaca. Dopo l'invito, segue la narrazione, che si sviluppa in questo modo:

Dux autem miser, animo iuvenili acquiescens verbis fallacibus iniquorum, ad vena tionem eamdem se promisit iturum [...] Proditores autenr nequissimi, qui dicti du cis sanguinem sitiebant, [...] per custodem camerae vocari fecerunt ducem praefa tum, quadam occasione assumpta. Et vocantes eumdem dominum, subito dominus idem excitatus a sompno, tamquam iuvenis, a lecto surrexit, et confidens de hiis clamatoribus, eo quod noverat illos, aperta ianua camerae, statim exivit inermis, quodam iupparello indutus et fine caputeo, calligis tantummodo calciatus. Et egres sus foras in sala, subito proditores iniqui manus iniecerunt in eum, ut eum morte necarent, nam ferro mori non poterat nec veneno, virtute cuiusdam anuli quem sibi donaverat misera mater eius. Dux autem ipse, quia iuvenis fortis erat et levis, visis insidiis suae mortis, viriliter manibus se defendens atque orribilibus vocibus, evasit

manus illorum. Excussis crinibus aureis et facie raspata, ad cameram suam redire festinanter curabat, ut exinde arma reciperet, se ipsum viriliter defensurus [...] Ini quissimus tamen Berterandus filius Caroli Artus, qui potius aliis culpabilem se sen tiebat, dyabolico suffultus spiritu, eumdem ducem potenter accepit, et cum eo luc tans, tenuit ipsum, et convocatis aliis, ipsum ducem ad quemdam gayfum dicti ho spitii supra iardenum portaverunt eumdem et eum crinibus aureis lacerantes et diris calcibus opprimentes, funem sibi immictentes in gutture more furum, suspenderunt eumdem, tenentes sic eum usquequo necaverunt, et demum ipsum in iardeno infe

18 Le prime due sono bibliche: Ps. CXLVI, 3 e Ps. CXLIV, 14. L'ultima ? una senten

za attribuita a Dionisio Catone: cfr. H. Walther, Lateinische Sprichw?rter und Sentenzen

des Mittelalters, G?ttingen, 1963-69, n. 10257. 19

Dominicus de Gravina Notarius, Chronicon, cit., p. 10, r. 17.

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riori a summo usque deorsum praecipitaverunt eumdem; et apertis ianuis dictae sa lae, protinus abierunt, ac si nichil fecissent20.

Anche qui il racconto, in cui si riesce a trovare il modo di inserire il mo tivo fiabesco dell'anello che protegge dal ferro e dal veleno, appare ben ca librato e articolato, quasi contrappuntistico21. L'icastica e movimentata rap presentazione e tutta costruita sul confronto tra la malvagita intrigante e diabolica dei traditori, sempre nequissimi o iniqui e l'ingenuita del miser duca, fanciullo nell'aspetto, ma virile nel tentativo di difendersi e quasi an gelico per i capelli d'oro piu volte ricordati da Domenico. La calma indif ferenza con cui alla fine viene caratterizzato l'atteggiamento degli assassini trova, inoltre, un richiamo in quella piu affannosa di Giovanna, loro com plice, che <<velut delicti conscia, facta confusa, usque mane surgere non cu ravit>> e che ?vultum carentem lacrimis nesciebat erigere>>22. Ma trova an che una contrapposizione nell'ansia timorosa della nutrice di Andrea, che, quando sente la confusione dell'aggressione,

timido animo consurgens a lecto, se faciens ad fenestram, auxilium domino requi rebat, et magnis vocibus, tam ipsa, quam miser dux, totum illud habitaculum con citabant [...] Nutrix autem praefata sentiens cessasse rumorem et inimicos penitus abiisse, accepto lummine, cameram suam egressa est et ad cameram ducis et regi nae accessit, et convocans filium altis vocibus et rumore, nullum recipiebat re sponsum, licet intus regina consisteret. Igitur praefata nutrix in maiori tremore com posita, quaerens dictum ducem per salam et cameras universas loci illius, omnes dormientes in loco illo et monachos etiam excitavit, ut una cum ea quaererent dic tum ducem23.

Il notevole dinamismo, l'estrema cura dei particolari e le contrapposizioni che abbiamo notato conferiscono alla narrazione toni altamente drammati ci. D'altronde, abbiamo gia detto che questo rappresenta il momento cul

minante della prima parte della cronaca, momento che - come gia segna lato - trova gia alcune anticipazioni nelle descrizioni precedenti e, poi, un seguito nella lamentevole digressione dell'autore sulla propria condizione, che proprio da quell'evento trae origine. La digressione serve senz'altro a conferire maggiore enfasi all'intero episodio, ma dalo stesso Domenico do vette essere sentita, in qualche modo, come troppo esulante dalla linea ge

20 Ivi, pp. 15-16.

21 La vivacit? della descrizione non trova riscontro n? in G. Villani, Nuova Cr?nica, a

cura di G. Porta, Parma, 1991, XIII 51, pp. 416 sgg.; n? nel Chronicon Est?nse, a cura

di G. Bertoni-E.P. Vicini, RIS, XV, 3, Bologna-Citt? di Castello, 1908-1917, pp. 131

132; n? nelle altre fonti che riportano l'episodio. 22

Dominicus de Gravina Notarius, Chronicon, cit., p. 16, rr. 28-29 e 31-32. 23

Ivi, p. 16.

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nerale della cronaca, o forse come eccessiva nella ricercatezza formale. Tan to, che, a mo' di giustifica, fu indotto a concludere:

Divertens igitur cor meum ad sequendam materiam incepti dictamminis, sicut au divi, seriosius quam potero, quae sequuta sunt ponam in scriptis. Et licet longum sit omnia ponere seriatim, tamen ad intellectum omnium declarandum ipsius cau sae misterium sequar sub brevitate sermonum de materia modicum quasi nichil ob

mittens24.

Domenico e stato portato ad allontanarsi dalla materia trattata dalle ragio ni del cuore; ma ora deve tornare a ubbidire alla ferrea legge della crona ca. Chissa se Domenico ha seguito il cuore solo nella deviazione dall'argo

mento o anche in quella dal piu austero stile di scrittura, e se con dicta men volesse, quindi, intendere solo la prassi descrittiva o anche l'elaborazione espressiva. In ogni caso, qui Domenico enuncia la propria tecnica storiografica: cio che ha ascoltato dai testimoni - le sue fonti - lo riportera per ordine, senza omettere quasi niente, ma, come se si sentisse rimproverato dopo essersi troppo dilungato, abbreviando l'esposizione.

Allora, sembrerebbe proprio che l'intenzione di Domenico sia quella di ri portare notizie e descrivere eventi in maniera misurata, senza troppi fronzo li stilistici ed orpelli retorici. Ma, di tanto in tanto, I'aspirazione a fare opera letteraria diventa ineludibile e le descrizioni tornano ad essere piu accurate, come a proposito della presa di Foggia, rappresentata vividamente.

Lucescente igitur die, post aurorae horam cunctus exercitus dicti Corradi, pulsatis tubis et bucinis, ut bellicorum moris est, unusquisque ad arma concurrit; et facto inpetu terribili contra cives, armata manu invadunt cives eosdem et cum eis fortis simum proelium inchohatur, et duravit insultus acerrimus quasi usque ad horam diei sextam [...] Antefugientibus igitur civibus Theotonici post terga feriebant, et plurimos occiderunt, plurimos carcerarunt et modici per fugae subsidium evaserunt. Et erat per eamdem terram fletus maximus et stridor gentium, puerorum et mulie rum inexaudibilis ululatus. Occurrerat autem maxima pars mulierum et puerorum infantium ad maiorem ecclesiam dictae terrae, et ibi adunati sunt ultra duo milia

mulierum et infantium puerorum generis utriusque clamantium inimico exercitui, omiserere25 .

Non si possono certo riconoscere ispirazioni classicheggianti in questo pas so, ma il tono, comunque annalistico, almeno inizialmente, si fa ben presto romanzesco: l'illuminarsi del giorno ai primi raggi dell'aurora, il clangore delle trombe sono particolari che gia rivelano una certa rielaborazione crea trice dell'evento. I1 finale, poi, diventa quasi epico nella descrizione pro gressivamente gradante dell'incalzare dei Theotonici, ma soprattutto in quel

24 Ivi, p. 20.

25 Ivi, p. 53.

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la del terrore e della fuga mulierum et puerorum - la frequente ripetizione di quei termini forse guasta un po' la lettura del passo - che culmina nel l'invocazione miserere, che dona dignita da personaggio letterario alle don ne e ai fanciulli foggiani, che, sicuramente, in un momento di panico e di terrore non si sarebbero espressi in latino. Ma, oramai, I'abbrivo e stato preso e anche il conte di Trivento viene caratterizzato come un eroico ca valiere degno delle chanson de geste, pronto a salvare deboli e indifesi:

Mulieres autem praedictae, ut viderunt nobilem dominum illum supplicare pro il lis, licet esset eis incognitus, adhaeserunt se universaliter circa ipsum, clamando: <<Domine, miserere. Nos suscipe commendatas>>. At comes idem statuens se virili ter ante portas ecclesiae, compatiens stridori inexaudibii mulierum et tantorum in fantium parvulorum, alta voce et vultu flebili assecuravit easdem, asserens: <<Nolite timere>>26.

Anche a proposito della descrizione dell'assedio del castello di S. Erasmo a Napoli e della sua presa da parte delle truppe di Giovanna non puo non

colpire l'attenzione rivolta da Domenico ad alcuni particolari che donano vivacita alla scena.

Post autem dies sex, videns regina et Neapolitani neminem per moenia castri osten di tantis diebus, ammirati sunt vehementer et cogitabant aliquem fieri proditionis tractatum. Ultimo assecurati, coeperunt ad ianuam dicti castri se proximare, si ne

minem repositum ibi viderent. Tamen ad portam accedere formidabant. Tamdem unus eorum, factus securior, accessit ad primam portam castri ipsius, et impingens portam viriliter et timide, aperta est ianua ila statim, et fugiit, et respiciens post terga, neminem vidit se sequentem; et assecuratus iterum claustrum ingressus dicti castri usque ad portam secundam. Tunc plurimi ex aliis instantibus, assecurato iti nere, ingressi cum eodem usque ad secundam portam eamdem, et vibrata ianua, statim aperta est parvo inpulsu, et ingredientes claustrum magnum castri eiusdem, neminem eviderunt. Tunc universi ingredientes in illud, et regina cum eis, nullo in vento, laeti facti sunt et quamplurimum ammirati. Et sic Neapolitanorum castrorum et civitatis cessit victoria et dominium reginae iam dictae27.

C'e, qui, una relazione sui dettagli e un uso molto attento di aggettivi che servono a caratterizzare anche emotivamente e psicologicamente i perso naggi che compiono l'azione: colui che va in avanscoperta spinge la prima porta con energia ma anche con timore e, poi, impaurito per quello che potrebbe trovare dietro la porta, scappa, ma girando la testa per vedere se qualcuno lo insegue; assicuratosi che non c'e nessuno alle sue spalle, torna indietro accompagnato dagli altri, che oramai si sono fatti piu coraggiosi, e spinge solo leggermente la seconda porta, che si apre lasciando il campo

26 Ivi, pp. 53-54.

27 Ivi, p. 47.

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alla gioia ma anche allo stupore. Si tratta di una costruzione narrativa che sicuramente contrasta con l'andamento piu scarnamente riassuntivo delle pagine immediatamente precedenti e successive. Si potrebbe pensare che Domenico sia piu fecondo di particolari e impie ghi piu cura nel riportarli quando deve narrare di qualche azione a cui ha partecipato direttamente o di cui ha avuto notizie precise dai testimoni. Ma non sempre accade cosi: ad esempio, a proposito dell'imboscata presso Ascoli Satriano in cui caddero 500 cavalieri di Luigi di Taranto28, Dome nico, pur nominando esplicitamente le sue fonti, i testimoni Iacono Cicco di Cristoforo e Cobello di Altamura, non si dilunga affatto, anche se l'e vento pure poteva offrirgli l'occasione per trasformare ancora una volta la propria cronaca in opera letteraria. Occasione che invece non perde quan do riporta in discorso diretto il dialogo, avvenuto <<per interpositum inter pretem>>, tra il voivoda Stefano e Corrado Lupo29, o quando riporta, natu ralmente sempre in latino, l'allocuzione rivolta al popolo dal giudice Mar tuccio, dopo aver riferito immediatamente prima che egli stesso, il notaio

Domenico, aveva dovuto ?vulgarizare>> per la stessa assemblea alcune epi stole, che tra l'altro non vengono riportate30. Le inserzioni di discorsi di retti, qui e in altri punti, non possono avere, allora, lo scopo di rendere piu oggettiva e documentaria la cronaca, ma solo di elevarne e movimen tame il tono: hanno quindi solo una funzione letteraria, dal momento che, invece, lettere ed atti ufficiali, che di tanto in tanto pure vengono menzio nati, non vengono mai trascritti, contrariamente alla prassi che e possibile riscontrare, circa un secolo avanti, nella prima versione della cronaca di Ric cardo di San Germano. Una funzione letteraria, che, tuttavia, Domenico cerca sempre di reprimere o almeno di non far prevalere in maniera asso luta.

Dunque, scarno rigore cronachistico e aspirazione ad una piu pregnante elaborazione letteraria si intersecano, anche se i due momenti tendono a ri manere, per lo piu, distinti. Nel momento in cui Domenico passa a narra re qualcosa che gli sembra piu significativo o in cui e maggiormente coin volto, il <<cronista>> torna a fare posto al <<letterato>>. Cosi come accade, an cora una volta, nella descrizione della condanna e del supplizio inflitto al giudice Martuccio dai sostenitori di Giovanna, che si sono reimpossessati di Gravina.

Et ecce, sedente curia pro tribunali, adductus fuit miser ille iudex Martucius ad iu dicium, pluribus proditionibus sibi obiectis. Ad quos respondens audacter dicebat: <<Domine iustitiarie, supplico reverenter quod si gratiose me non vultis audire, sal

28 Ivi, p. 55.

29 Ivi, p. 57.

30 Ivi, pp. 59-60.

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tim iustitia media me audite; et siquidem secundum iustitiam sum culpatus, liben ter mori volo; si autem in culpa non sum, me, supplico, liberetis. Et rogo quod hii qui me accusant, ecce ut videtis, mei sunt inimici, quia sine causa desiderant mor tem meam>>. Tunc inimici praesentes accusabant eum dicentes: <<Domine iustitiarie, dignus est mori iudex Martucius velut proditor puplicus dominae nostrae ducissae. Nam pro ipso et suis sequacibus Ungari venerunt Gravinam, omnibus nobis invi tis; quod si negare voluerit, sumus probare parati>>31.

II dibattimento processuale e tutto organizzato in discorsi diretti, forte mente contrapposti, nei quali l'accusato, con la stessa mansuetudine del ca rattere e dei toni usati, rivela la propria innocenza, e gli accusatori, con ac centi farisaici, dimostrano la loro ferina natura. Una grande forza d'animo caratterizza l'atteggiamento di Martuccio, che non appare affatto prona

mente dimesso, nonostante la ripetizione del supplico. Coraggiosamente (au dacter), ma umilmente (reverenter) si appella non tanto al giustiziere ma alla giustizia: media iustitia dovra essere ascoltato e secundum iustitiam dovra essere condannato oppure liberato. Di lato alla contrapposizione tra accu sato e accusatori, poi, si viene a porre la caratterizzazione di colui che deve giudicare, incapace, o forse impossibilitato a prendere una posizione netta.

Quibus capitanius ait: <<Numquid sine causa faciam eum mori? Ecce quod legitime se defendit; nam omnes in simili casu estis>>. Tunc nostri aemuli, in persona totius populi, clamabant: <<Potius moriatur>>. Et quasi fremebant in eum dentibus, ilium devorare volentes. Ut autem vidit capitanius totius populi voluntatem, dictum iudi cem Martucium, ligatis post terga manibus, in turri dicti Angeli domini Gualterii a summo usque deorsum ultra quinquagies exponi praecepit32.

Qui non ci sono citazioni dirette e precise dalle Sacre Scritture, ma il suo atteggiamento e le sue parole ci fanno sovvenire immediatamente di Pila to, soprattutto quello descritto da Luca33. E anche la pronta e implacabile risposta degli accusatori, che digrignano i denti come bestie feroci assetate di sangue, ci ricorda senz'altro quella dei sacerdoti e del popolo che con dannarono Cristo34. Ma il tono si eleva ancora, man mano che il supplizio si avvicina, e la descrizione della condanna dell'innocente assume un'enfa si sempre piu evangelica:

Quibus capitanius ait: <<Ecce disposuimus ipsum moriturum omnino, dampnate ipsum beneplacito vestro. Sanguis eius super vos sit et super filios vestros>>35.

31 Ivi, p. 94.

32 Ivi, p. 95.

33 Cfr. Luc, XXIII 22.

34 Cfr. Matth., XXVII 22-23; Marc, XV 13-14; Luc, XXIII 18-23.

35 Dominicus de Gravina Notarius, Chronicon, cit., p. 95.

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L'anatema finale contro chi vuole spargere iA sangue di un innocente e una citazione piuttosto precisa di Matteo36, ed impone prepotentemente il pa ragone con la crocifissione di Cristo. Oramai i richiami mistici sono evi denti e anche la truculenta descrizione della tortura inflitta, preceduta da quella - quasi un'ascesa al Golgota - dell'esposizione del condannato av viato alla forca, risulta estremamente efficace nel far apparire agiografica l'immagine del giudice Martuccio, caratterizzato quale un santo martire pro tocristiano, che all'empia ferocia dei pagani oppone la salda purezza della fede e della preghiera.

Facto igitur mane, praefati inimici carrectam parari fecerunt et in ea forgiam ar dentibus carbonibus paraverunt, et apponentes carnificem, ipsum iudicem Martu cium miserum apposuerunt in eam vestibus enudatum. Et tantus suo fato invaluit stridor populi contra eum, quod quasi omnes, ut audivi, non vidi, clamabant: <<Pe reat proditor. Sic enim decet singulos proditores>>. Et ductus est per totam terram circum circa et rugas singulas, causa poenae maioris. Audivi namque dici a pluri bus qui viderunt eumdem sic pati, quod tanta contrictione et patientia talia tor menta gerebat, quod non nisi bis Vae clamavit; sed continuo Pater noster et Ave Maria dicebat, quamquam saepius morderetur. Adductus itaque adhuc vivus ad fur cas in medio plateae, tota carne purgatus morsibus tenaliarum, ad furcas illas su spenditur. Et ecce quidam, nomine magister Laurentius Chaccharellus monoculus et claudus, generis utique aemulorum nostrorum, evaginato ense, ipsum percutiebat in tibiis, nitens ilas incidere velut ligna37.

Dunque, Domenico confessa di non aver preso parte alla scena - d'altron de era stato costretto a fuggire per non rischiare di fare la stessa fine - ma di aver sentito le relazioni dei testimoni. Questo, pero, non gli impedisce di ricostruirla e di rappresentarla vividamente; sempre, tuttavia, frenato dal timore che gliene venga rinfacciata la falsita: a piu riprese, e a distanza rav vicinata, quando il supplizio raggiunge il culmine, Domenico rivendica l'au tenticita di quanto raccontato, ripetendo di averlo sentito dalla voce di chi aveva assistito. Eppure, alcuni particolari, seppure veritieri, non possono non essere che il frutto dell'elaborazione artistica dell'autore: cosi Dome nico trasforma i morsi di coloro che volevano coi propri ?dentibus eum de vorare>> nei morsi delle tenaglie, salvando i nemici, comunque ferini nella loro efferatezza, almeno dall'infamia del latente cannibalismo; e nel con cludere, inoltre, la descrizione della tortura, non omette i particolari delle

menomazioni di Lorenzo Caccarelli, a sottolinearne l'inumana, anzi, la su bumana malvagita, che gli fa confondere la viva carne con la morta legna da ardere.

36 Matth., XVII 25.

37 Dominicus de Gravina Notarius, Chronicon, cit., pp. 95-96.

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Ma ecco che ancora una volta, come abbiamo visto accadere ogni volta che l'austero cronista si abbandona all'impeto dell'ispirazione creatrice, la vigi le coscienza di Domenico interviene a riportare la narrazione su un piano piu terreno, piu funzionale.

Hoc autem scripsi ita seriatim, non licet in totum, cum totum scribere longum fo ret; saltim in parte scripsi, ut sit ad memoriam filiorum patris vindictam quaerere et suorum sequacium, qui fuerunt.

Leggendo quest'ultima dichiarazione, comunque legata alla rammemorazio ne di un singolo evento, siamo senz'altro tentati di universalizzarne l'as sunto e, quindi, di ipotizzare che a spingere Domenico a scrivere tutta la sua cronaca sia stato il desiderio di far ricordare agli altri, con l'indelebi lita che la scrittura conferisce al ricordo, le vicende a cui, in maniera piui o meno diretta, ha partecipato. Questo, allora, potrebbe essere il motivo che lo ha spinto ad un'impresa tanto faticosa; o, meglio, uno dei motivi, assieme, magari, all'intento autocelebrativo di enfatizzare il ruolo avuto ne gli eventi descritti, o a quella che viene generalmente riconosciuta come la naturale propensione del notaio a trasporre in ambito storiografico le com petenze e la publica fides acquisite con l'esercizio della sua professione. Si tratta, quindi, di una combinazione di motivi del tutto peculiare e che rivela ancora una volta l'inadeguatezza di schemi troppo generali e onni comprensivi a cui rapportare autori che, pur appartenendo allo stesso grup po socio-professionale, sono troppo differenti tra loro. A questo punto, pero, non possiamo neanche trascurare un tratto ulteriormente caratteriz zante del nostro Domenico: il desiderio, certamente impellente, di acquisi re imperitura memoria con la sua opera. E non grazie alle imprese a cui prese parte attiva: imprese che forse non furono ne epiche, ne gloriose, ma che comunque segnarono la sua vita e quella di molti altri. Ma grazie alle virtu' eternatrici che solo una creazione letteraria puo conferire; perche sen za dubbio - e l'abbiamo visto spesso - Domenico, anche se frenato forse dalla tensione a una piu rigida prassi scrittoria che la professione notarile gli imponeva, dovette coltivare l'inconfessata aspirazione a farsi auctor e a conquistare, con la sua opera, quel surrogato laico della beatitudine eterna celeste che e la gloria immortale terrena.