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www.aurorainrete.org numero 32 Anno V - gennaio 2012 Periodico di informazione e cultura italiana per gli italiani residenti all’estero IN QUESTO NUMERO ... ... ED ALTRO ANCORA Giornale per l’unità comunista AURORA AURORA AURORA AURORA RECENSIONE Volante Rossa, una storia da riscrivere Intervista a M. Recchioni di Renzo Grosselli pp. 12-13 Editoriale LA LUNGA MARCIA CONTRO IL CAPITALISMO: RICOSTRUIRE IL SAPERE CRITICO COLLETTIVO Siamo entrati a pieno titolo nel XXI secolo. Un XXI molto differente da quel che ci aspettavamo. Una Unione Europea molto differente dall’Europa della sicurezza sociale e del welfare, che solo due decenni fa era stata promessa ai cittadini dei vecchi e nuovi paesi membri. Nel conflitto fra capitale e lavoro, il capitale ha stravinto; sbaragliato i diritti del lavoro e dei lavoratori. L’ideologia liberista è talmente pervasiva e onnipresente, da non essere neppure più riconosciuta come tale. L’“eccesso di democrazia” del secolo scorso, era necessario ai governanti, finché - almeno nell’immaginario collettivo di ampi strati della popolazione - vi era l’aspirazione e la speranza di poter costruire una società che non fosse basata esclusivamente sulla logica del profitto; dove le scelte politiche non fossero esclusivamente determinate dalla legge di mercato, dalla logica del saccheggio e del massimo arricchimento, ma si potessero perseguire valori come eguagli- anza, fraternità, equità, finché vi erano paesi che propugnavano modelli sociali alternativi al capitalismo. Le decisioni politiche ed economiche, le leggi, venivano non solo sottoposte al dibattito e al voto di consigli eletti dal popolo, ma perfino discusse e negoziate. Oggi, invece, non è più necessario un modello di democrazia fondato su istituzioni demo- cratiche partecipative, fondate su meccanismi di delega e di rappresentanza rappresentativi e proporzionali; sulla possibilità di abrogare decisioni impopolari tramite democrazia diretta. La politica e l’economia di un numero sempre maggiore di paesi Europei può essere finalmente di fatto commissariata dal potere finanziario. I loro governi e i loro programmi sono imposti dalla “triade”: Banca Centrale Europea, Commissione Europea (dominata dal direttorio franco-tedesco); Fondo Monetario Internazi- onale. La “democrazia” è archeologia. In Grecia il primo ministro George Papandreou aveva annunciato un referendum sulle misure di austerità. È stato deposto. I banchieri hanno preso il potere, cominciando da Italia e Grecia. Letteralmente, nella figura di due ex-banchieri e membri della Trilaterale: Lucas Papademos e Mario Monti. Il loro compito è garantire quell’ottemperanza ai diktat della “Triade”: ossia spazzare via ogni protezione sociale, principi e valori che siano di intralcio al pieno dispiegarsi della legge del profitto, dello sfruttamento, del saccheggio. Il loro compito – ora che sono stati spazzati via o assimilati i soggetti che sono portatori delle istanze e rappresentanze sociali - è di contrastare la caduta del saggio di profitto, raschiando il fondo del barile: approfondendo le differenze sociali e lo sfruttamento, ossia di portare all’estremo quelle politiche e quel modello sociale capitalista senza “lacci e laccioli” che ha portato alla crisi attuale all’impoverimento di massa e all’approfondimento delle differenze sociali. In altri termini di perseverare in quelle ricette e comportamenti sciagurati per i lavoratori e i cittadini, ma redditizi per banche, grandi capitali e rendite finanziarie. Redditizi per chi ha inondato i paesi in crisi di titoli derivati, acquisendo enormi rendite finanziarie, poi quando queste si sono tramutate in perdite, salvato dal fallimento grazie al finanziamento statale, creando voragini nel debito pubblico, che improvvisamente “deve essere rapidamente sanato” a spese dei lavoratori. Grazie all’assenza di dibattito parlamentare; a una legislazione realizzata tramite decreti legge; all’assenza di opposizione e di proposte alternative da parte dei partiti; alla mancanza totale di critica da parte dei media, è stato assegnato un potere praticamente assoluto ad un esponente in prima fila del fronte neoliberista: all’International Advisor di Goldman Sachs, al di Perla Conoscenza – Coordinatore del numero 32 (segue a pagina 2) CHE FARE? Beni comuni: Battaglia politica cruciale del XXI secolo di Perla Conoscenza pp. 8-9-14 Come porsi di fronte alle rivolte, e renderle costruttive di Italo Belga pp. 3-4 LOTTE CONTRO IL LIBERISMO Perché le (nostre) bandiere danno così fastidio di Andrea Albertazzi p. 5 Il pubblico impiego verso lo sciopero generale di Simone Rossi p. 8 CAPITALISMO ASSASSINO UK: Basta un Sì di Simone Rossi p. 7 Grecia: cavia del processo neoliberale per l’Europa di Vassilis Primikiris p. 16

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www.aurorainrete.org

numero 32Anno V - gennaio 2012

Periodico di informazione e cultura italiana per gli italiani

residenti all’estero

in questo numero...

...ed altro ancora

Giornaleper l’unità comunista

AURORAAURORA

AURORAAURORA

recensioneVolante rossa, una storia da riscrivereintervista a M. recchioni

di Renzo Grosselli pp. 12-13

editoriale

La Lunga marcia contro iL capitaLismo: ricostruire iL sapere critico coLLettivo

Siamo entrati a pieno titolo nel XXI secolo. Un XXI molto differente da quel che ci aspettavamo. Una Unione Europea molto differente dall’Europa della sicurezza sociale e del welfare, che solo due decenni fa era stata promessa ai cittadini dei vecchi e nuovi paesi membri. Nel conflitto fra capitale e lavoro, il capitale ha stravinto; sbaragliato i diritti del lavoro e dei lavoratori. L’ideologia liberista è talmente pervasiva e onnipresente, da non essere neppure più riconosciuta come tale.

L’“eccesso di democrazia” del secolo scorso, era necessario ai governanti, finché - almeno nell’immaginario collettivo di ampi strati della popolazione - vi era l’aspirazione e la speranza di poter costruire una società che non fosse basata esclusivamente sulla logica del profitto; dove le scelte politiche non fossero esclusivamente determinate dalla legge di mercato, dalla logica del saccheggio e del massimo arricchimento, ma si potessero perseguire valori come eguagli-anza, fraternità, equità, finché vi erano paesi che propugnavano modelli sociali alternativi al capitalismo.

Le decisioni politiche ed economiche, le leggi, venivano non solo sottoposte al dibattito e al voto di consigli eletti dal popolo, ma perfino discusse e negoziate.

Oggi, invece, non è più necessario un modello di democrazia fondato su istituzioni demo-cratiche partecipative, fondate su meccanismi di delega e di rappresentanza rappresentativi e proporzionali; sulla possibilità di abrogare decisioni impopolari tramite democrazia diretta.

La politica e l’economia di un numero sempre maggiore di paesi Europei può essere finalmente di fatto commissariata dal potere finanziario.

I loro governi e i loro programmi sono imposti dalla “triade”: Banca Centrale Europea, Commissione Europea (dominata dal direttorio franco-tedesco); Fondo Monetario Internazi-onale. La “democrazia” è archeologia. In Grecia il primo ministro George Papandreou aveva annunciato un referendum sulle misure di austerità. È stato deposto.

I banchieri hanno preso il potere, cominciando da Italia e Grecia. Letteralmente, nella figura di due ex-banchieri e membri della Trilaterale: Lucas Papademos e Mario Monti. Il loro compito è garantire quell’ottemperanza ai diktat della “Triade”: ossia spazzare via ogni protezione sociale, principi e valori che siano di intralcio al pieno dispiegarsi della legge del profitto, dello sfruttamento, del saccheggio. Il loro compito – ora che sono stati spazzati via o assimilati i soggetti che sono portatori delle istanze e rappresentanze sociali - è di contrastare la caduta del saggio di profitto, raschiando il fondo del barile: approfondendo le differenze sociali e lo sfruttamento, ossia di portare all’estremo quelle politiche e quel modello sociale capitalista senza “lacci e laccioli” che ha portato alla crisi attuale all’impoverimento di massa e all’approfondimento delle differenze sociali.

In altri termini di perseverare in quelle ricette e comportamenti sciagurati per i lavoratori e i cittadini, ma redditizi per banche, grandi capitali e rendite finanziarie. Redditizi per chi ha inondato i paesi in crisi di titoli derivati, acquisendo enormi rendite finanziarie, poi quando queste si sono tramutate in perdite, salvato dal fallimento grazie al finanziamento statale, creando voragini nel debito pubblico, che improvvisamente “deve essere rapidamente sanato” a spese dei lavoratori.

Grazie all’assenza di dibattito parlamentare; a una legislazione realizzata tramite decreti legge; all’assenza di opposizione e di proposte alternative da parte dei partiti; alla mancanza totale di critica da parte dei media, è stato assegnato un potere praticamente assoluto ad un esponente in prima fila del fronte neoliberista: all’International Advisor di Goldman Sachs, al

di Perla conoscenza – coordinatore del numero 32

(segue a pagina 2)

cHe FAre?Beni comuni: Battaglia politica cruciale del XXi secolo di Perla Conoscenza pp. 8-9-14

come porsi di fronte alle rivolte, e renderle costruttive di Italo Belga pp. 3-4

Lotte contro iL LiBerisMoPerché le (nostre) bandiere danno così fastidio di Andrea Albertazzi p. 5

il pubblico impiego verso lo sciopero generale di Simone Rossi p. 8

cAPitALisMo AssAssinoUK: Basta un sì di Simone Rossi p. 7

Grecia: cavia del processo neoliberale per l’europa di Vassilis Primikiris p. 16

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(segue editoriale) – La Lunga marcia contro iL capitaLismo

presidente per l’Europa della Commissione Trilaterale (creata da Rockefeller al tempo della Guerra Fredda per fare trionfare il modello capitalista neoliberista): Mario Monti.

Dato l’incarico ad un prete pedofilo di gestire un asilo infantile, lo lascereste “lavorare” dichiarando: “aspettiamo i risultati prima di giudicare”? Vi mer-avigliereste se scopriste che perseverasse nelle sue abitudini?

Su mandato della BCE e delle grandi banche creditrici è stato dato l’incarico di governo a chi propugna l’obbediente sottomissione alle dottrine neoliberiste che infiniti guai stanno seminando in tutto il mondo; a chi sostiene la “legge del mercato” sia un modo equo di distribuire lavoro e risorse1 e vuole ridurre tutto a merce. Vi meravigliereste se stravolgesse leggi e Costituzione repubblicana per portare all’estremo le dottrine liberiste alle quali ha dedicato tutta la sua vita? Vi meravigliereste se le misure di questo governo “tecnico” fossero funzionali a questo, ossia: liberalizzazioni e deregolamentazione, riforme del “mercato” del lavoro e degli ammortizzatori sociali, tutte politicamente e ideologicamente determinate?

Le prime prevedibilissime misure sono: riforma del lavoro (= legittimazione della precarietà lavorativa, riduzione dei salari, deregolamentazione); la liberaliz-zazione (= deregulation) dei servizi pubblici; taglio dei servizi sociali (= taglio dei salari indiretti); aumento dell’età pensionabile, blocco dell’indicizzazione ai prezzi dell’importo della pensione (= esproprio dei salari differiti); riconferma delle norme vigenti sull’immigrazione (= approfondimento delle divisioni di classe, casta, etnia); allocazione delle frequenze (= completamento del monopolio berlusconiano delle reti televisive, controllo dei media).

Ma non finisce qui: l’alleanza fra proprietà privata (società private, multi-nazionali, centri bancari e finanziari) che ha bisogno di massimizzare profitti e rendite, e il governo a loro succube, è alla ricerca di sempre nuove occasioni di mercificazione e privatizzazione. La fase successiva dell’attacco si sposta sul terreno seguente: il saccheggio e la spoliazione da parte dei privati dei servizi e dei beni pubblici e comuni. Ossia realizzare la trasformazione dei beni comuni in merci e fonte di profitti per oligopoli e multinazionali, imporre leggi di privatizzazione dei beni pubblici e che ne impediscano la tutela rispetto alla spoliazione de parte dei privati. (vedi articolo a pag.14 «Beni comuni: Condividerli e proteggerli. Battaglia cruciale del XXI secolo»).

LA SCONFITTA È CULTURALELa vittoria conseguita dal fronte neoliberista non è economica, ma puramente

ideologica: avere creato una coltre ideologica che presenta immagini capovolte della realtà. Avere diffuso la convinzione che la profonda crisi economica-finanziaria attuale non sia una crisi strutturale del modello liberista, ma che sia nostra responsabilità, che i lavoratori abbiano preteso troppi diritti e garanzie. Cioè che la responsabilità sia del salario differito accantonato dai lavoratori in una esistenza di sfruttamento subalterno. Se crolla la borsa e le banche, se lo spread sale, è colpa della spesa pubblica e delle pensioni, non degli immensi profitti delle corporation e delle rendite finanziarie, delle sciagurate politiche di deregolamentazione. Aver convinto tutti che la soluzione della crisi italiana passi solo da una obbediente sottomissione all’Europa e alle dottrine neoliber-iste che infiniti guai stanno seminando in tutto il mondo, che sia meglio avere imprese aperte con infimi salari e nessuna garanzia, piuttosto che disoccupati. Che occorra che l’Europa partecipi insieme ai paesi di tutto il mondo alla corsa al ribasso dei salari e diritti, all’aumento dello sfruttamento, a farsi concorrenza nella riduzione delle tassazione sul capitale e sulle rendite.

Si afferma uno stato autoritario post-democratico che riduce le strutture rappresentative e della democratiche (taglio delle province, dei parlamentari), e persegue una lucida e consapevole de-politicizzazione dei cittadini, imputando questa situazione anziché al sistema capitalista e al mercato, alla politica.

Richiedendo la fine di ogni genere di intervento politico.Nell’assenza del pensiero critico i mantra liberisti espressi dal presidente del

consiglio sono accettati da tutti: «più crescita, più liberalizzazioni, più concor-renza, più flessibilità»; perfino lodati per il loro “stile”: «eliminare il profondo dualismo del mercato del lavoro italiano con effetti negativi in termini di equità ed efficienza» (= i giovani poco garantiti e vecchi troppo garantiti, togliamo le garanzie del secolo passato che limitano lo sfruttamento e i profitti, necessari per l’economia).

La prima responsabilità di questa assenza di politica e di pensiero critico è l’inadeguatezza attuale dei partiti. Ma senza cultura politica, strategia e organiz-1 Eppure un docente universitario di economia, che è stato Commissario Eu-

ropeo alla Concorrenza e al Mercato Interno per 10 anni, qualcosa dovrebbe sapere del potere degli oligopoli e delle grandi multinazionali; qualche dubbio su questa ottimale allocazione di risorse operato automaticamente da un mercato “finalmente senza vincoli” dovrebbe averlo.

zazione, ogni forma di reazione e protesta, si riduce ad una semplice rivolta; non vi è possibilità di impatto politico e di modificare la realtà.

PD e SeL sono assolutamente incapaci di una analisi e progettualità politica. I discendenti più “moderati” del Partito Comunista Italiano sono diventati liberisti fuori tempo massimo, hanno perso gli strumenti per comprendere delle trasformazioni attuali della società e dei poteri che si stanno affermando.

La più audace richiesta del PD al governo (da loro votato sempre e comu-nque) è di perseguire a qualunque prezzo (aumento dello sfruttamento, dei tempi e degli anni di lavoro, degrado ambientale) una crescita economica, dannosa per i cittadini e per il pianeta, insostenibile nel medio-lungo periodo!!

LA LUNGA MARCIA: PER LA FORMAZIONE DI UNA INTEL-LIGENZA COLLETTIVA

In pochi mesi, questo governo potrebbe rendere irreversibile la logica neoliberista, modificando leggi, smontando la Costituzione, intervenendo sul “senso comune”, con il sostegno dei partiti e fra l’indifferenza di moltitudini ormai depoliticizzate.

In questa situazione, non vi è spazio per tatticismi, occorre intraprendere una lunga marcia, simile a quella che dovette intraprendere l’Armata Rossa cinese, per sfuggire all’assedio delle forze controrivoluzionarie, e che – anche se prezzo di anni di stenti e perdite - la portò alla vittoria.

Occorre ricominciare a fare Politica, ricostruire una rappresentanza politica, far rinascere un Parlamento che non sia esclusivamente la catena di trasmissione dei voleri del mercato, riconciliare la società civile con la società politica.

Sanare la spaccatura profonda tra realtà e sua falsa rappresentazione. I diritti sociali (duramente conquistati nel secolo scorso) non sono immutabili, sono socialmente determinati. L’incapacità di riconoscerli come tali, conduce alla loro perdita. È necessario comprendere la realtà per poterla trasformare, occorre strappare la cortina ideologica che ci avvolge e riformulare un pensiero critico. Occorre comprendere l’organizzazione del lavoro e gli strumenti di dominio e di estrazione di rendite e di profitto del XXI secolo. Una neces-sità fondamentale, di fronte a una crisi economica, sociale e politica che ha scompaginato e sovvertito i paradigmi, i concetti e le certezze che negli ultimi decenni hanno orientato lo stesso pensiero critico. Occorre saper formulare proposte e alternativa concrete.

È necessario quindi un poderoso lavoro di formazione collettivo, che si trad-uca in azioni e rivendicazioni politiche che fermino il programma di distruzione delle strutture collettive e si contrappongano alla logica del mercato puro.

Oggi vi sarebbero i mezzi tecnologici, per ricreare una intelligenza collet-tiva. È possibile creare strumenti distribuiti e autonomi di autoformazione, per riunire e ricomporre le intelligenze critiche rimaste. È possibile una mettere in rete quei ricercatori, accademici, studenti e attivisti di movimento che hanno conservato ancora un barlume di capacità critica e autocritica. È possibile at-tivare un dibattito pubblico e distribuito elaborando e approfondendo concetti, linguaggi e categorie che le esperienze teoriche e pratiche dei movimenti hanno espresso in questi ultimi anni. È possibile creare 10, 100, 1000 Università in rete, la cui frequentazione e interazione può avvenire da casa, quando si ha la possibilità. Le prime esperienze di Università distribuita e permanente, capaci sia di contaminare l’Università ufficiale, sia di creare e formare la nuova coscienza diffusa stanno sorgendo.2

Nel frattempo occorre attivare battaglie concrete facendo leva attorno alle contraddizioni più evidenti. e conquistando spazi dove le contraddizioni siano più evidenti non sottomessi alla legge del profitto.

Per il suo potenziale rivoluzionario teorico e di prassi, il primo terreno di battaglia può essere attorno ai servizi di interesse generale e ai beni comuni. Occorre prendere coscienza politica della contraddizione tra privatizzazione e beni comuni, identificarli, arrestarne il saccheggio e rivendicarli come bene collettivo non sottoposto alla logica del mercato.

In questa ottica, è da sostenere l’iniziativa per la creazione di una carta “costituzionale” Europea dei beni comuni (le battaglie per essere efficaci ormai si devono condurre almeno a livello Europeo), che verrà lanciata l’11 Febbraio al teatro Valle a Roma da Ugo Mattei e Alberto Lucarelli,3 una opportunità per mettere insieme le reti esistenti per elaborare e declinare collettivamente l’analisi e l’azione politica su questi temi.

2 Come esempio di esperienze significative cito solo l’esperimento di autofor-mazione dell’“Università Nomade” Commonware http://uninomade.org/commonware/ e i corsi di Formazione in rete della Fondazione Teatro la Valle Bene Comune http://www.teatrovalleoccupato.it/ .

3 Vedi anche l’articolo a pag. 14 “Beni comuni. Condividerli e proteggerli. Battaglia cruciale del XXI secolo”

AURORA – n. 32 – Anno V – gennaio 20122

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AURORA – n. 32 – Anno V – gennaio 2012 3

Uno degli aspetti più interessanti dell’ultimo ventennio iniziato grosso modo con la fi ne dell’Unione Sovietica è stato, in parallelo all’instaurazione trionfale del capitalismo assoluto di cui ora si stanno vedendo le più tragiche conseguenze, il sorgere sempre più frequente di movimenti, agitazioni, disordini, rivolte nel cuore stesso di quell’Europa autoproclamatasi da tempo “culla della democrazia e della libertà”. Solo per parlare di questi ultimi anni, abbiamo visto esplosioni di rabbia tanto violenta come apparentemente irrazionale e indiscriminata a Genova, a Parigi, ad Atene, a Londra, a Barcellona, a Roma... e tutto lascia pensare che questo “ancora è niente”, di fronte a un deterioramento sempre più rapido e disastroso della situazione economica e sociale del continente. Questi e altri episodi si sono sviluppati a volte al margine di manifestazioni “autorizzate” di vari movimenti politici, sindacali, civici etc. con il classico meccanismo di “infi ltrazione/provocazione/degenerazione del corteo”, meccanismo nel quale si è vista o creduta di vedere persino la mano dell’orchestrazione esterna da parte del potere che cerca qualunque pretesto per reprimere i movimenti. O sono avvenuti come risposta diretta ad abusi della polizia, a imposizioni e restrizioni delle autorità, o in seguito a tensioni inter-etniche se non razziste, etc. Tra una cosa e l’altra, si può dire che si sta avverando la cupa visione di Hans Magnus Enzensber-ger che nei primi anni novanta del secolo scorso, prendendo spunto dalle esperienze della Jugoslavia dilaniata internamente ed esternamente, parlava di “prospettive di guerra civile” in tutto il mondo, compreso l’Occidente, dove “qualunque vagone della metropolitana può diventare improvvisamente una Bosnia in miniatura”.

Parlando di rivolte, rivoluzioni e din-torni, si vede come è fi n troppo facile fare riferimento a personaggi che appunto le rivoluzioni le hanno veramente pensate e fatte e come tali sono diventati delle icone troppo spesso semplifi cate e manipolate, come il Lenin del “Che fare” e di “Stato e rivoluzione”, il Mao della “lunga marcia” e della “rivoluzione culturale” che “bombarda il quartier generale”, o il Che Guevara “guerri-

gliero eroico e romantico”; qualcuno poi va anche oltre citando altri personaggi che magari non hanno fatto vere e proprie rivoluzioni ma che hanno dato il nome a certi attrezzi che in esse si usano, come i sovietici Molotov (ministro degli esteri) e Kalashnikov (progettista industriale)... ma appunto, ragionare per citazioni di questo o di quell’altro, o per slogan, se non per sogni e velleità, aiuta a ben poco, sia a pensare, sia ad agire. Anzi, c’è il rischio di rimanere prigionieri della mitologia e quindi paralizzati di fronte alla realtà.

E qual’è la realtà? È quella che ci siamo fi n troppo abituati a vedere in quello che si denominava “Terzo Mondo”, ovvero in quei paesi soggetti e sottomessi da secoli al dominio capitalista-colonialista-imperialista della solita minoranza di paesi “ricchi” del “Primo Mondo”, con tantissime persone sfruttate e ridotte in condizioni di miseria materiale ed intellettuale, con così poco o nulla da perdere che possono essere disposti a fare qualunque cosa, dal vendersi per pochi soldi al primo padrone, fi no... a reagire e a rivoltarsi, molte volte in modo spontaneo, violento e irrazionale, provocando spesso grande impatto sul momento ma con inevitabile sconfi tta e nessun cambio di condizioni di vita, se non peggioramento.

di Italo Belga – BRUXELLES Questo articolo si può commentare sul blog di AURORAAURORA all’indirizzo:

http://aurorainrete.org/wp/3203

DALLE RIVOLTE ALLA RIVOLUZIONE

Come porsi di fronte alle rivolte, come renderle costruttive in una prospettiva comunista: organizzazione e direzione

CHE FARE?

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AURORA – n. 32 – Anno V – gennaio 20124

Ecco, questa realtà negli ultimi vent’anni è sbarcata in modo sempre più clamoroso anche nella “ricca” Europa, che si ritrova a dover pagare il conto delle follie ultra-liberiste del capitalismo trionfante senza più alcun freno né interno degli Stati, né esterno di un contro-potere socialista. Perché, per eff etto dei meccanismi capitalistici di ricerca del massimo profi tto sempre e comunque, di sfruttamento e di esclusione sociale fi no alla ghettizzazione, di compressione degli spazi di sviluppo e di speranza delle persone per un futuro migliore personale e collettivo, quello che sta avvenendo anche in Europa è che si stanno trovando sempre più persone nella pericolosissima situazione di non avere poco o più nulla da perdere, specialmente i giovani “clas-sici” (fi no ai trent’anni) ma sempre di più anche quelli che giovani non lo sono più, senza esser abbastanza anziani per ottenere una pensione decente (tra i quaranta e i cinquant’anni): senza lavoro o con un lavoro precario senza soddisfazioni né di salario né di professione, pur mettendo-ci tutto l’impegno possibile di studio e/o di lavoro; senza possibilità di indipendenza vera in una casa che non sia un lusso fuori portata; senza vere risorse di sviluppo personale, essendo bombardati continuamente da informazione falsa e di-storta, da stimoli consumistici, da ricatti sociali “o mangi questa minestra…” dettati dall’insicurezza personale e collettiva... senza neanche speranza, poi, che le cose possano cambiare in meglio a breve scadenza, per semplice “progresso” com’era avvenuto negli ultimi sessant’anni in pratica.

Di che meravigliarsi allora se, con frequenza sempre più accelerata, stanno scoppiando disordini e rivolte un po’ dappertutto, dai più vari tipi di scintilla – che può essere un ragazzo che muore per violenza della polizia, o per un decreto governativo ingiusto, o un corteo degenerato…? Anzi, si po-trebbe dire al contrario che ci sarebbe da meravigliarsi perché queste cose non succedono con ancora maggiore frequenza, date le condizioni oggettive sempre più diffi cili di tante persone e di interi pezzi di società. Eppure, quando succedono queste cose, tanti e troppi si aff rettano a scandalizzarsi e “condannare”, a destra come anche in certa sinistra che alla violenza del sistema sa rispondere solo con un generico “pacifi smo” o “non-violenza” che sa tanto di conformismo opportunista nei riguardi del potere. I comunisti invece, che non sono generica “sinistra”, sanno bene che niente succede per caso e che ci sono precisi meccanismi sociali che generano, richiamano e alimentano la violenza, e piuttosto che limitarsi a “condannare”, pensano a identifi care e denunciare le vere cause di tutto questo. Che non sono altro che quelle legate al capitalismo e il disagio sociale e personale che esso provoca, un sistema egoista e irrazionale che genera reazioni spesso anch’esse irrazionali ed egoiste: come quando appunto in certi moti di rivolta si mescolano spesso elementi di semplice teppismo o saccheggio, manifestazioni di negazione dell’agire collettivo, del’”ognuno per sé per chi ne

può approfi ttare meglio”, e che diventano alla fi ne i migliori alibi per il potere per la repressione e la criminalizzazione di ogni tipo di movimento di lotta.

L’unica cosa che si può e si deve veramente fare, come comunisti ma anche solo come dissidenti del sistema, è vedere come porsi di fronte alle rivolte, come renderle costruttive in una prospettiva di lotta reale e di trasformazione dello stato di cose presente: in una parola, farle diventare elementi di rivoluzione, e non di semplice sfogo di rabbia. E qui sì che ci vuole, una citazione del Lenin del “Che fare” che ci

avverte, sempre, che “senza teoria rivoluzionaria, non c’è movimento rivoluzionario”... non c’è rivoluzione, al più appunto si hanno delle rivolte, più o meno estese e violente, ma che comunque come tali lasciano il tempo che trovano - distruzioni personali e materiali a parte - e che anzi possono essere addirittura controproducen-ti per un vero movimento rivoluzionario, perché aizza-no e giustifi cano i peggiori istinti repressivi del potere

e allontanano persino quelli che potenzialmente dovrebbero parteciparvi per primi.

E come avere una teoria e un movimento rivoluzionari vivi e attivi, senza una organizzazione, un partito... un Partito Comunista, magari? Perché qui si tratta di un tema chiave: la direzione delle rivolte. Nei due sensi dell’espressione: sia in quello di “dirigere organizzativo”, sia in quello, ancora più importante, di “dirigersi, andare verso un dove, un qualcosa”. L’organizzazione è necessaria per avere dei piani, delle risorse, delle responsabilità, delle forme di agire, che esistono nella pratica politica e sociale quotidiana ma che diventano specialmente effi -caci nelle lotte, quelle che si partecipa a far sorgere - nei luoghi di lavoro, nei quartieri, nelle iniziative... – e in quelle che sorgono spontaneamente e improvvisamente da una scintilla qualsiasi, ma mai inaspettatamente, perché sappiamo bene che non c’è pace sociale senza giustizia e la giustizia (né sociale, né giuridica, né politica) non esiste sotto il capitalismo. Dobbiamo essere sem-pre pronti, come comunisti, con la nostra organizzazione, a partecipare nelle lotte e nelle rivolte per contribuire fattivamente a che vengano dirette verso ciò che le fa diventare rivoluzioni, chiarendo che il vero nemico non è, o non è solo, il poliziotto violento, o il negozio pieno di roba sempre più inaccessibile, o il tale politicante arrogante: ma è il sistema al servizio del quale sono tutti questi elementi, il sistema capitalista e i suoi centri di potere che vanno conosciuti e combattuti scientifi camente, non con l’espressione estemporanea di rabbia violenta ma come ci insegnano i nostri migliori compagni di sempre – da seguire non mitizzandoli ma applicando i loro insegnamenti all’oggi e al domani – e contrapponendo allo stato di cose presente dei pezzi di alternativa di società, pezzi di socialismo da costruire nelle piccole e le grandi cose.

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La diffi denza rispetto ai partiti politici “tradizionali” o ai partiti tout-court non si osserva soltanto nella diff usa antipolitica italiana. Lo abbiamo potuto verifi care nella manifestazione degli “indignati” del 15 ottobre a Bruxelles, alla quale abbiamo partecipato con le nostre bandiere e in più occasioni ci è stato chiesto – in modo più o meno educato – di non mostrarle; come anche ai militanti dei partiti della sinistra belga e francese anch’essi alla manifestazione. Ci è stato detto che con le nostre bandiere non portavamo rispetto al movimento degli indignati o – paradossalmente – che non si trattava di una manifestazione “politica” (sic!). Questo ostracismo che viene fatto sempre più spesso nei confronti delle bandiere di partito (e in particolare verso le bandiere comuniste) dai cosiddetti “movimenti” deve farci rifl ettere in modo non superfi ciale.

Si è aff ermato, in tempi recenti, un orientamento volto ad escludere sempre più frequentemente le bandiere di partito dalle manifestazioni in modo quasi automatico, senza una discussione preliminare, specialmente nelle occasioni che raccolgono le forze che si collocano – per usare una semplifi cazione – a sinistra del Pd. Questo per evitare di creare contrasti o negare la possibilità di misurare la presenza e la visibilità delle varie forze politiche. In alcuni casi è bene ricordare che la diffi denza rispetto alle bandiere non è soltanto nei confronti dei partiti, ma anche dei sindacati. Nella manifestazione del 15 ottobre a Roma si è raggiunto un accordo e ci sono stati spezzoni di corteo ben contrassegnati da bandiere di partito (come quello della Federazione della Sinistra) e di sindacato (la FIOM).

L’impressione è che si voglia fare di tutta l’erba un fascio e considerare tutti i partiti alla stessa stregua: inutili, corrotti e venduti. Rispetto, ad esempio, alle parole d’ordine della mobilitazione degli

indignati questo non è aff atto vero: i partiti comunisti, pur con gli errori di certe scelte tattiche, hanno sempre sostenuto e sostengono che il capitalismo produce ingiustizie e ineguaglianze, spesso in solitudine e in forte controcorrente al pensiero dominante, anche di qualcuno che oggi si dice “indignato” e che fi no a ieri vivacchiava beatamente nell’appoggio ai soliti partiti di destracentrosinistra o persino nell’indiff erenza e nello scherno di chi, invece, si impegna da sempre perché le cose cambino.

I comunisti, quindi, hanno il sacrosanto diritto di parteci-pare come tali ad una manifestazione che, fi nalmente, raccoglie centinaia di migliaia di persone che fanno proprie quelle critiche al capitalismo. Questo, ovviamente, senza voler “mettere il cappello” su una manifestazione organizzata da altri; ma senza neanche accettare minimamente alcun diktat da parte di nessuno. Non si può infatti negare il diritto ai militanti di un partito comunista di scendere in piazza con le proprie bandiere, quando poi magari quello stesso partito ha organizzato pullman da tutta Italia – senza ovviamente controllare se i passeggeri erano “tesserati” – per far partecipare il massimo numero di persone alla manifestazione. Così come non si può pensare di realizzare un servizio d’ordine utile ad evitare esiti come quello di Roma ed isolare i provocatori, senza essere organiz-zati. Non a caso lo spezzone con il servizio d’ordine più effi ciente era quello della FIOM.

C’è un altro elemento che si può percepire nell’atteggiamento che alcuni gruppi hanno nei confronti dei partiti: si giudicano gli stessi – a prescindere dalla collocazione politica – come apparati burocratici che, se gli fosse dato troppo spazio, andrebbero a com-promettere lo spontaneismo e l’appeal stesso dei movimenti. Ma l’esperienza insegna che, senza una concreta organizzazione, le per-

sone che si impegnano nei movimenti possono disperdersi tanto facilmente quanto si sono radunate e la mobi-litazione ha lo spazio di un mattino. Senza un’organizzazione che sappia dare una coerenza e una continuità alle battaglie e alle lotte si rischia di non cambiare nulla, e il movimento non progredisce e non ha risultati politici e sociali rilevanti.

Il rifi uto dei partiti come rifi uto dell’organizzazione fa parte di una logica che come comunisti dobbiamo respingere. Noi comunisti concepia-mo il partito come l’elemento sogget-tivo indispensabile alla lotta di classe per il superamento del capitalismo e il rapporto dialettico con i movimenti non deve essere né di subordinazione, né di autoscioglimento negli stessi.

di Andrea Albertazzi – BRUXELLES Questo articolo si può commentare sul blog di AURORAAURORA all’indirizzo:

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LOTTEcontro ilLIBERISMO

PERCHÉ LE (NOSTRE) BANDIERE DANNO COSÌ FASTIDIOI comunisti italiani di Bruxelles

alla manifestazione del 15 ottobre 2011

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AURORA – n. 32 – Anno V – gennaio 20126

A fine novembre, per la quarta volta in meno di un anno l’Esecutivo del Regno Unito, sostenuto da una maggioranza parlamentare liberal-conservatrice, assisterà ad una mobili-tazione contro le politiche di riduzione della spesa pubblica e di privatizzazione dei servizi pubblici. Dopo le manifesta-zioni studentesche del dicembre 2010, l’imponente corteo sindacale del 26 marzo e lo sciopero di 750mila dipendenti pubblici in giugno, le sigle sindacali del pubblico impiego stanno organizzando uno sciopero generale per spingere il Governo a rivedere la propria proposta di riforma della previdenza ed un cambiamento delle condizioni contrattuali per i dipendenti della pubblica amministrazione. La data prevista è il 30 novembre. All’inizio del mese, quando non ancora tutti i sindacati di categoria avevano consultato gli iscritti sull’opportunità o meno dello sciopero, si stimava una adesione intorno ai tre milioni di lavoratori, pari a circa la metà della forza lavoro nel settore pubblico. Nel caso le stime fossero confermate, si tratterebbe dell’azione collettiva dei lavoratori più imponente dagli anni ‘80, quando i sindacati subirono il pesante attacco del Governo dei Conservatori di M. Thatcher.

Le contrattazioni tra il Governo ed i rappresentanti del lavoratori sulla riforma previdenziale proseguono dal mese di febbraio, senza che le parti siano riuscite a raggiungere un accordo. Il nodo più controverso riguarda l’indicizzazione dei contributi a carico dei lavoratori, passando dal RPI (Retail Price Index) al CPI (Consumer Price Index); pur essendo entrambi indici di rilevazione dell’inflazione, il CPI non include voci come, ad esempio, gli affitti o le rate dei mutui, pertanto il calcolo dell’inflazione tramite questo indice risulta general-mente inferiore rispetto a quello del RPI. Conseguentemente il passaggio dal CPI al RPI comporterà un adeguamento delle pensioni al ribasso sull’inflazione. Già con il sistema attuale in vigore le pensioni mediamente superano di poco le 100 sterline alla settimana, un valore che pone gettando molti anziani al di sotto della soglia di povertà. Attualmente circa 2,5 milioni di pensionati si trovano in questa situazione, pari ad un quarto del totale. Un ulteriore effetto della riforma previdenziale sarà un innalzamento dell’età del pensionamento dagli attuali 65 ai 68 anni nel corso di tre decenni; senza contare che l’ina-deguatezza delle pensioni spinge molti lavoratori a rimanete attivi oltre il 65° anno d’età, per mantenere un livello di vita decente. Infine, sulla base delle valutazioni effettuate dai sin-dacati, i lavoratori perderanno mediamente 16mila sterline a causa della modifica alle modalità di indicizzazione; saranno

soprattutto i lavoratori a reddito medio-basso a subire gli effetti della riforma.

Secondo l’Esecutivo le modifiche sono rese necessarie dal progressivo incremento dei costi previdenziali e dalla necessità di contenere la spesa pubblica; i sindacati, per contro, evidenziano come lo Stato britannico spenda per le pensioni una quota del PIL inferiore a quella registrata nelle economie avanzate dell’Europa e sottolineano che l’attua-zione della riforma varata nel 2007 in seguito ad un accordo con il Governo a guida laburista produrrà un significativo ridimensionamento degli oneri previdenziali a carico dello Stato. Quest’ultimo dato sembra esser confermato dall’esito dell’indagine della commissione parlamentare guidata da Lord Hutton, secondo cui l’incidenza della previdenza del pubblico impiego diminuirà dall’attuale 1,9% sul Prodotto Interno Lordo a circa 1,4% entro gli anni 2040.

Il buon esito dello sciopero sarà importante non solamente per evitare l’ennesima macelleria sociale a scapito dei dipen-denti pubblici, ancora una volta dipinti come privilegiati; esso potrebbe rappresentare un punto di svolta dopo trent’anni di politiche neoliberiste che hanno già privato i lavoratori del settore privato di una previdenza statale degna e li ha spinti nella previdenza privata, uno degli strumenti con cui gli operatori della finanza hanno drenato risorse dalle tasche dei cittadini e dall’economia reale per alimentare il sistema della speculazione che è alla base dell’attuale crisi.

di Simone Rossi – Londra Questo articolo si può commentare sul blog di AURORAAURORA all’indirizzo:

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LOTTEcontro ilLIBERISMO

Regno UnitoIl pUbblIco ImpIego veRso lo scIopeRo geneRale

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AURORA – n. 32 – Anno V – gennaio 2012 7capitalismoassassino

di Simone Rossi – Londra

Il periodico The New Statesman, nel numero uscito l’8 settembre 2011, ha aperto con il titolo “Cameron contro le campagne”, riferendosi alla disputa che per la prima volta potrebbe opporre il partito attualmente al governo alle co-munità rurali, storicamente schierate verso il centro-destra. Motivo di questa contrapposizione è la bozza di riforma della legislazione che regola l’attività pianificatoria, che l’Esecutivo ritiene necessaria per il rilancio dello sviluppo economico del Paese e per uscire dalla crisi economica iniziata nel 2008.

Uno dei pilastri della riforma è il “sì” automatico alle richieste di permesso per costruire, intendendo con ciò creare uno strumento per snellire le procedure e per sostenere la ripresa del settore edilizio, considerato essenziale nel quadro economico nazionale. All’atto pratico questa procedura impli-cherebbe che l’autorizzazione ad edificare sarebbe concessa in prima istanza; solo successivamente – in casi di controversie o di conflitto con gli strumenti pianificatori esistenti – gli enti locali avrebbero la possibilità di richiedere modifiche ai progetti presentati o opporre un diniego. Nei fatti il ruolo ed il potere di controllo delle amministrazioni locali sulla gestione e sulla pianificazione del territorio sarebbe ridotto, così come la possibilità dei cittadini di far valere la propria opinione, a favore di una presunta priorità dell’attività edifi-catoria, nascosta dietro il pretesto del rilancio dell’economia e della produzione di nuovi posti di lavoro. Quale sia l’idea di sviluppo dell’Esecutivo è ulteriormente esemplificato dal lancio di un programma di sostegno al settore edilizio tramite il sostegno alle famiglie ed agli investitori che desiderino acquistare un immobile, tramite agevolazioni e garanzie per l’accesso ai mutui bancari. Si tratta di una riproposizione dello stantio modello “credito e mattone”, fondamentalmente sterile, che ha posto le basi per lo scoppio dell’attuale crisi economica.

Concretamente l’Esecutivo, sempre incline a corteggiare imprenditori e speculatori – a prescindere da quale sia il partito al governo – si arrogherebbe il diritto di far prevalere gli interessi di pochi a svantaggio delle comunità locali ed a dispetto della presunta vocazione localistica della coalizione di governo. Senza contare che questa proposta di riforma è in netto contrasto con il principio della Big Society, la società civile che dovrebbe divenire protagonista della cosa pubblica e motore del decentramento amministrativo.

La risposta dei cittadini e di quella che comunemente si indica con il nome di «società civile» non si e fatta attendere. Infatti, la riforma sta incontrando un’accesa opposizione nelle contee e nelle cittadine rurali, che generalmente rappresentano lo zoccolo duro dell’elettorato conservatore. Tra i più forti oppositori della proposta spicca il National Trust for Places of Historic Interest or Natural Beauty, l’organizzazione nazionale per la tutela del pa-trimonio paesaggistico e storico del Regno Unito, equivalente al nostrano Fondo per l’Ambiente Italiano; essa conta poco meno di quattro milioni di aderenti ed è noto per aver assunto una collocazione politicamente moderata in passato, poco incline ad assumere posizioni nette nel dibattito politico.

Una delle obiezioni mosse dal National Trust è che l’appro-vazione della riforma metterebbe a rischio le ampie aree rurali che ancora oggi si trovano nel Paese, in particolare le fasce verdi mantenute attorno ai grandi centri urbani, denominate cinture verdi (green belt), sopravvissute ai decenni del boom economico e utili a controbilanciare la pressione sul territorio esercitata dagli insediamenti più densamente popolati. Per la propria collocazione, prossima alle città e delle arterie di comunicazione, queste fasce sono estremamente appetibili per la realizzazione di investimenti speculativi. Timori analoghi sono espressi dai comitati costituitisi nei centri urbani, dove i parchi e le aree verdi potrebbero esser colpite dalla nuova ondata edificatoria, specialmente nelle aree di maggior pregio.

A questa opposizione dal basso, tuttavia, manca una conno-tazione sociale che metta in dubbio il fondamento ideologico alla base della riforma stessa; infatti comitati e le organizzazioni sollevano l’obiezione per cui gli interventi di «rigenerazione» urbana dovrebbero innanzitutto interessare le aree industriali dismesse. A differenza di quanto visto per altre riforme poste in essere dal Governo, che tendenzialmente penalizzano e puniscono prevalentemente le fasce sociali orientate più a sinistra, l’Esecutivo potrebbe rivedere la propria posizione, come in parte ha già fatto, e ricorrere a più miti consigli per evitare lo scontro con la propria base elettorale. Molto pro-babilmente si tratterebbe di modifiche che smorzerebbero il malcontento nelle zone rurali conservatrici e lascerebbe la mano libera ai soliti noti nelle zone urbane abitate dai ceti medi e dal proletariato.

Il classico divide et impera che ha permesso la macelleria sociale negli ultimi trent’anni.

basta un “sì”Il governo britannico alle prese con la riforma della legislazione pianificatoria

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AURORA – n. 32 – Anno V – gennaio 20128

Che fare?

Beni comuniBattaglia politica cruciale del XXI secolo

La presa di coscienza dell’esistenza dei beni comuni, beni la cui gestione e il diritto di uso deve essere comune, può attivare un percorso di liberazione dalla legge del profitto. L’esistenza dei beni comuni è stata a lungo negata dagli economisti neoliberali. Oggi, diventato impossibile negarne l’esistenza, si tenta di ridurli a casi eccezionali e di circoscriverli al minimo per continuare a saccheggiare quei beni il cui status di beni comuni continua ad es-sere negato. Infatti, lo status di bene comune non è caratteristica intrinseca del bene, ma è determinata storicamente dai rapporti di produzione e dai rapporti di forze (in particolare dalla forza di farli percepire come tali lacerando la cortina stesa dall’ideologia dominante). In altre parole dipende dalla forza delle lotte.1

Lotte che - auspicabilmente - si sviluppano seguendo un per-corso evolutivo:1. inizialmente vi è una reazione e una volontà di difesa dell’am-

biente e di riconquista di diritti e spazi pubblici democratici;2. successivamente, grazie un lavoro di partecipativo di riflessione

e di analisi collettiva, si ha una presa di coscienza e si indivi-duano quali siano i beni comuni da rivendicare;

3. infine si rivendica e conquista l’autogoverno dei beni comuni, creando gradualmente uno spazio del “comune”, la cui gestio-ne sia comune e il cui utilizzo non sia soggetto alla legge del profitto. Queste pratiche (locali e globali), insieme alla loro diffusione, possono diventare un momento costituente di po-litiche e di modelli economici alternativi, scardinando il duali-smo proprietà privata - proprietà pubblica.

Il saccheggio

Il capitalismo maturo del XXI secolo, in profonda crisi, mette in opera tutti gli strumenti al fine di estrarre maggior plusvalore possibile. Da una parte incrementa lo sfruttamento nella produ-zione materiale, con il taglio dai salari diretti, indiretti (servizi) e differiti (pensioni), taglio dei diritti, delocalizzazioni e preca-rizzazioni; dall’altra dispiega completamente i processi di globa-lizzazione e di mercificazione e punta su attività dove può otte-

1 Un chiaro esempio è fornito dai decreti del governo Monti, al quale la troika ha richiesto con le privatizzazioni di far ricadere ogni risorsa naturale, ogni bene comune, ogni servizio pubblico sotto l’ambito del profitto privato. La vittoria del referendum sull’acqua ha evitato che l’acqua ricadesse nell’ambito delle privatizzazioni; la reazione ambienta-lista ha evitato che la salvaguardia della coste marine fosse ulteriormente ridotta a favore della trivellazione petrolifera.

nere la maggiore valorizzazione e accumulazione del capitale; in particolare i processi di finanziarizzazione e di espropriazione e sfruttamento del «comune».

Insieme alla speculazione finanziaria, il terreno dei «beni co-muni» è oggi il principale luogo dove si dispiegano i processi di valorizzazione e accumulazione del capitale. In particolare con lo sfruttamento dell’ambiente e con le attività di produzione im-materiale legate alla conoscenza, dove un pugno di oligopolisti globali possono estrarre immenso valore dalle informazioni e dal lavoro estratto dal lavoro di enormi masse di utenti. Con il prete-sto di un «rigore di bilancio» si saccheggiano quei «beni» non de-clinabili in termini di proprietà privata, dall’istruzione all’acqua, dalla salute alle pensioni, per trasformarli in generatori di rendite finanziarie.

Ma il terreno dell’espropriazione e del saccheggio a fini di profitto privato dei servizi pubblici e dei beni comuni è anche il terreno dove questa espropriazione e sfruttamento mostra le sue contraddizioni e diseguaglianze.

Sulla difesa dei beni comuni assistiamo a battaglie di mas-sa: dalla lotta per l’acqua, all’università e alla scuola pubblica; da quella per l’informazione critica a quelle contro lo scempio e il consumo del territorio; dalla lotta contro la privatizzazione della rete internet a quella contro l’esproprio delle informazioni generate dagli utenti. Da queste lotte stanno sorgendo i primi tentativi di resistenza radicale ad un capitalismo di rapina globale; in particolare al suo assunto che pretende “naturale e efficiente” privatizzare ogni risorsa e assegnarla in proprietà privata. Questo paradigma liberista fino a poco fa era stato invece introiettato e assorbito senza alcuna critica, permettendo una graduale priva-tizzazione di tutti i beni comuni, sia materiali (quali l’acqua, le risorse naturali, il territorio, …) che immateriali (informazione, saperi, conoscenza, scuola, cultura, scoperte scientifiche).

La Commissione rodotà

Solo a partire dal 2007 abbiamo assistito all’intervento rifor-mista illuminato della Commissione Rodotà, incaricata di ridefi-nire un quadro normativo dei beni. La Commissione si è sempre riferita allo spirito della Costituzione Repubblicana. Ha superato il dualismo fra bene pubblico - bene privato con l’introduzione dei beni comuni; ha preconizzato le tendenze economiche e politiche del saccheggio dei beni comuni alle quali stiamo assistendo.

di Perla Conoscenza – Bruxelles Questo articolo si può commentare sul blog di AURORAAURORA all’indirizzo:

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AURORA – n. 32 – Anno V – gennaio 2012 9

Le conclusioni della Commissione citano: “i cambiamen-ti tecnologici ed economici verificatisi fra il 1942 ed oggi hanno reso obsoleta la parte del Codice Civile relativa ai beni pubbli-ci”, “importanti tipologie di beni sono assenti. Tale assenza ad oggi non è più giustificabile. In primo luogo i beni immateriali, sono divenuti oggi nozione chiave per ogni avanzata economia”, “Altre tipologie di beni pubblici sono profondamente cambiate negli anni: si pensi ai beni necessari a svolgere servizi pubblici, come le c.d. “reti”, sempre più variabili, articolate e complesse. I beni finanziari, tradizionalmente obliterati”, “Inoltre le risorse naturali, come le acque, l’aria respirabile, le foreste, i ghiacciai, la fauna e la flora tutelata, che stanno attraversando una dram-matica fase di progressiva scarsità”, “la gestione del patrimonio pubblico, anche a causa delle difficoltà … in cui si trovano gran parte dei bilanci pubblici europei, richiede, … la garanzia che il governo pro tempore non ceda alla tentazione di vendere beni del patrimonio pubblico, per ragioni diverse da quelle struttu-rali o strategiche, ... ma per finanziare spese correnti.”

Con grande acutezza, la Commissione Rodotà per defi-nire quali i beni vadano definiti come beni comuni, è partita dal loro valore d’uso: “L’analisi della rilevanza economica e so-ciale dei beni individua i beni medesimi come oggetti, materiali o immateriali, che esprimono diversi «fasci di utilità». Di qui la scelta della Commissione di classificare i beni in base alle utilità prodotte” “Si è prevista, anzitutto, una nuova fondamentale ca-tegoria, quella dei beni comuni, che non rientrano stricto sensu nella specie dei beni pubblici, poiché sono a titolarità diffusa”. “Ne fanno parte, essenzialmente, le risorse naturali, come i fiumi, i torrenti, i laghi e le altre acque; l’ aria; i parchi, le foreste…”. “Vi rientrano, altresì, i beni archeologici, culturali, ambientali.” ”i quali, a prescindere dalla loro appartenenza pubblica o privata, esprimono utilità funzionali all’esercizio dei diritti fondamentali e al libero svi-luppo delle persone e dei quali, perciò, la legge deve garantire in ogni caso la fruizione collettiva, diretta e da parte di tutti, anche in favore delle generazioni future”.

La Commissione ha preso atto dell’esistenza dei beni comuni immateriali: “le concessioni sullo spettro delle frequenze; ed anche di una serie di beni finanziari (crediti pubblici, partecipazioni) ed immateriali (marchi, brevetti, opere dell’ingegno, informazioni pub-bliche, e altri diritti) su cui sembrava necessario agire attraverso una riforma generale del regime proprietario di riferimento”.

Infine identifica esplicitamente il carattere alternativo rispetto ad una logica esclusivamente di mercato:

“Non siamo di fronte ad una questione marginale o settoriale, ma ad una diversa idea della politica e delle sue forme, capace non solo di dare voce alle persone, ma di costruire soggettività poli-tiche, di redistribuire poteri. È un tema “costituzionale”, almeno per tutti quelli che, volgendo lo sguardo sul mondo, colgono l’in-sostenibilità crescente degli assetti ciecamente affidati alla legge “naturale” dei mercati.” (Stefano Rodotà).2

La Commissione in particolare propone:1. “La revisione [della legislazione] al fine di includervi, come beni,

anche le cose immateriali”;2. “La distinzione dei beni in beni comuni, pubblici e privati”;3. “La previsione della categoria dei beni comuni, cioè delle cose che

esprimono utilità funzionali all’esercizio dei diritti fondamentali nonché al libero sviluppo della persona” (che completerei con: “o di interesse generale economico e sociale”).

Le conclusioni, rivoluzionarie per quei tempi, passano inos-servate, e il governo successivo – con il ritorno di Berlusconi - insabbia la proposta.

2 Vedi anche il recente intervento http://www.teatrovalleoccupato.it/il-valore-dei-beni-comuni-di-stefano-rodota

Le battaglie per l’acqua come bene comune e la difesa dei servizi pubblici

Solo a distanza di anni, a partire dall’acqua (bene comune per eccellenza) e dalla difesa dei servizi pubblici, il concetto di bene comune, nella accezione della Commissione Rodotà, diventa sen-so comune e si trasforma in una rivendicazione che acquisisce sempre più peso e sostanza. Su questa base si riescono a raccoglie-re un milione di firme che permettono di indire il referendum. Nel giugno 2011, 26 milioni di cittadini votano per affermare l’acqua come bene comune e per una sua gestione partecipativa e senza logiche di profitto.

Dopo la vittoria referendaria, si avviano pratiche locali di ge-stione dei beni comuni come la costituzione di «Acqua Bene Co-mune a Napoli», in sostituzione della vecchia S.p.A. che gestiva le risorse idriche. Vedendo le battaglie per l’acqua e l’ambiente (nate autonomamente dai partiti) la classe politica comprende che la terminologia dei beni comuni può formare la base fondamentale per riguadagnare credibilità; per presentare una modello che ab-bia elementi che vadano oltre la proprietà pubblica o privata e che superino il rapporto esclusivo tra proprietario e bene, per formare un nuovo modello partecipato di gestione dei beni comuni.

Intorno a questi temi comincia a ricoagularsi un polo di sini-stra. A gennaio si convoca il «Forum dei comuni per i beni co-muni» dove si incontrano amministratori di sinistra e movimenti. Partecipano tutti i partiti del centro-sinistra: la Federazione della Sinistra, SEL, IdV e perfino una parte del PD.

Sulla spinta del successo del referendum, si lancia una rac-colta di firme a livello europeo per richiedere una carta Europea dei beni comuni (European Citizen’s Initiative for a European Charter of the Commons) sfruttando il nuovo strumento legisla-tivo (European Citizen’s Initiative). Questo strumento permette unicamente di postulare alla Commissione Europea di proporre una direttiva (i cui contenuti definisce autonomamente) la quale seguirebbe il processo legislativo ordinario (quindi passando dal Parlamento Europeo).

(segue a pagina 14)

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AURORA – n. 32 – Anno V – gennaio 201210

RIFONDAZIONE A CONGRESSOIl dibattito nel PRC

L’VIII Congresso del Partito della Rifondazione Comunista è fi ssato a Napoli dal 2 al 4 dicembre 2011 e mentre scriviamo, si sta concludendo la fase dei congressi di Circolo e di Federazione, con la discussione e il voto sui tre Documenti Congressuali Nazionali, in tutta Italia come anche qui da noi in Europa. Non c’è molto da dire, sinceramente, sul contenuto di questi documenti in aggiunta a quanto già osservato da vari compagni nel dibattito precongres-suale. Le analisi della situazione sono sostanzialmente coincidenti e condivisibili, come del resto è giusto che sia da parte di compagni comunisti pur con diverse “sensibilità”: la crisi del capitalismo che non è un’altra delle tante ma è proprio la crisi del sistema, forse persino la defi nitiva; la necessità e urgenza del superamento verso un nuovo modello di società (socialista?) prima che sia troppo tardi; e le anomalie e le necessità speciali del nostro paese Italia con i vent’anni di berlusconismo dopo il craxismo e l’andreottismo e tutto il resto. Le diff erenze, signifi cative - e dirimenti - si riferiscono invece, inevitabilmente, al CHE FARE sulla base di tali analisi.

Il Documento 1 “di maggioranza”

Il documento 1, quello “di maggioranza” - essendo stato sotto-scritto dal 90% della dirigenza nazionale del Partito - parla ancora e di nuovo di “fronte democratico”, di “alleanza per cacciare Ber-lusconi” con i soliti della “sinistra” o presunta tale, come ennesimo marchingegno tattico per “rientrare in Parlamento”, in continuità con quanto si è fatto - come Rifondazione Comunista o in generale come Federazione della Sinistra - nelle tornate amministrative del 2010 e del 2011. Proposta, però, che si è vista clamorosamente smentita dalla realtà - se ancora ce ne fosse bisogno, dopo le espe-rienze dei governi nazionali di “centrosinistra” del 1996-2001 e del 2006-2008 che qualcuno continua a non voler ricordare e capire - dopo la nascita del governo Monti appoggiato pienamente dal “centrosinistra” di PD e IdV (con i voti in Parlamento) e di SEL (con l’attendismo benevolente e ambiguo di Vendola). E allora, questa “maggioranza” di Rifondazione Comunista ha ripiegato sulla nuova parola d’ordine del “costruire da sinistra l’opposizione al governo Monti”. Una proposta fi nalmente chiara e apprezzabile, che va contro non solo le destre (che non sono solo quelle di Berlusconi, anzi, quelle incarnate da Monti sono anche peggiori) ma anche contro quelle “sinistre” compiacenti e accomodanti. Di questo va certamente dato atto alla dirigenza del PRC, come pure del fatto che

tale posizione è stata più pronta e netta di quella dell’altro Partito comunista dentro la Federazione della Sinistra, che ha invece par-lato di una presunta “discontinuità positiva” e “apprezzato il livello professionale ed intellettuale dei ministri”. Ma resta, ancora una volta, l’idea e la realtà di dirigenti che navigano a vista, che sono molta tattica e poca o nulla strategia, che stabiliscono “la linea” sui titoli dei giornali e la cambiano con fi n troppa disinvoltura e superfi cialità, centrando la loro azione politica su elettoralismi e istituzionalismi. Vedremo se questo ripensamento reggerà la prova, appunto, delle prossime convocazioni elettorali, nelle amministrative

di Mario G. Cossellu – BRUXELLES Questo articolo si può commentare sul blog di AURORAAURORA all’indirizzo:

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CONGRESSI

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AURORA – n. 32 – Anno V – gennaio 2012 11

della primavera del 2012 e, prima o poi entro l’estate del 2013, nelle politiche. E non dimentichiamo, poi, che la correzione di rotta in corso d’opera non va ad incidere nelle dinamiche di voto dei documenti congressuali, con buona pace di chi ha sostenuto un documento che oggi si riconosce superato, almeno in parte, dagli stessi che l’hanno redatto e proposto agli iscritti.

I Documenti 2 e 3 “di minoranza” o alternativa

Gli altri due documenti congressuali nazionali - presentati rispettivamente, il 2º dalle aree di “FalceMartello” e “ControCor-rente”, e il 3º da ciò che è rimasto dei gruppi che sostennero la Terza Mozione sull’unità dei comunisti nel precedente Congresso di Chianciano del 2008 - sono d’accordo invece nel respingere una volta per tutte le ipotesi di fronte, alleanza, accordo, o come si voglia chiamare, con il “centrosinistra”, proponendo di spingere per la costruzione e sviluppo di un vero e proprio Partito comunista di classe, alternativo di nome e di fatto al sistema capitalista e ai suoi sostenitori “di destra” e “di sinistra”. I due do-cumenti “di minoranza” si diff erenziano tra loro per l’estensione e l’approfondimento analitico (meglio strutturato e lavorato nel tempo il 2º, mentre il 3º è stato preparato e presentato un po’ all’ultimo momento, dopo il fallimento di ipotesi di emendamenti sostanziali al primo documento, o di documento alternativo unico) e per alcuni aspetti specifi ci, come la valutazione della situa-zione internazionale (le cosiddette “rivoluzioni arabe” e dintorni), la concezione del Partito e, soprattutto, la “questione comunista”, ovvero la necessità e l’urgenza della riunifi cazione dei diversi soggetti comunisti in un nuovo, grande e forte Partito Comunista. Ma, tutto sommato, queste diff erenze non sono così signifi cative quanto il deciso carattere alternativo di entrambi i documenti rispetto a quello della dirigenza attuale di Rifondazione Comunista.

I risultati in Italia e in Europa

Su questi documenti sono stati chiamati ad esprimersi gli iscritti al Partito e i risultati sono praticamente già delineati, attribuendo all’incirca un 80% dei voti validi nei Congressi di Circolo al do-cumento 1, il 15% al documento 2 e il 5% al documento 3. La vittoria della linea di maggioranza era abbastanza scontata, ma è signifi cativo sottolineare che la sua entità è risultata abbastanza al di sotto di quella che si era espressa a livello dirigenziale; e anche il fatto che meno del 40% degli aventi diritto (gli iscritti del 2010 e del 2011) hanno eff ettivamente partecipato ai congressi ed esercitato il diritto di voto, abbastanza meno quindi della quota usuale di partecipazione nei congressi precedenti, gia di per sé bassa, intorno al 50%. Tutto questo dimostra, ancora una volta, come il perdersi in tatticismi e politicismi si paga, come sempre, con lo scollamento dalla realtà militante; e speriamo sinceramente che la dirigenza non si limiti a “festeggiare la grande vittoria” ma che ricordi che essa può molto facilmente trasformarsi in una vittoria di Pirro - come quella della dirigenza di Fausto Bertinotti nel congresso di Venezia del 2005 - se non si tiene conto dell’entità e delle istanze di chi ha votato contro, e di chi non ha votato proprio e si allontana sempre più o defi nitivamente dal Partito.

Anche le compagne e i compagni dei Circoli e delle Federa-zioni in Europa (Benelux, Germania e Svizzera) di Rifondazione Comunista hanno partecipato attivamente al Congresso, tra ottobre e novembre, discutendo e votando i documenti - in maggioranza per il Documento 1, ma con importanti risultati anche per gli altri due, in particolare in Belgio e nel Regno Unito, da sempre più attivi e combattivi - ed eleggendo i propri delegati (4 in totale) al Congresso Nazionale di Napoli. Come al solito, anche qui all’estero si ripercuotono i problemi generali del Partito, in particolare la scarsa partecipazione e lo smarrimento (se non rabbia) di fronte alle incertezze ed errori di linea politica, specialmente poi tenendo conto di quanto qui sosteniamo e applichiamo la linea dell’unità comunista nei fatti e quanto aborriamo i politicismi e i tatticismi. E non dimentichiamo che a questo aggiungiamo sempre le nostre

storiche rivendicazioni di maggiore attenzione e appoggio da parte dei compagni in Italia, per poter davvero conoscere, riconoscere e valorizzare il nostro essere Italiani all’estero che vivono in realtà complesse e signifi cative e che tanto contributo positivo potrebbero dare alla vita del Partito tutto. Ma è importante comunque aver partecipato al momento di discussione e riorganizzazione che porta sempre il congresso del Partito, internamente - sui documenti e sul rinnovamento degli organismi dirigenti a tutti i livelli territoriali - ed esternamente, nei confronti degli altri compagni comunisti italiani - anche loro parallelamente a congresso, e in continuo confronto dialettico con noi - e delle altre organizzazioni della sinistra comunista, anticapitalista e alternativa con le quali abbiamo relazioni nelle nostre realtà all’estero. Oltre che, naturalmente, con le diverse comunità italiane con le quali e per le quali siamo presenti e lavoriamo come comunisti.

Non ci resta ora che aspettare i risultati fi nali del congresso - con i report dai compagni là presenti - e gli sviluppi della situazione tra la fi ne di questo anno 2011 e l’inizio del prossimo 2012 che potrebbe vedere l’ulteriore aggravamento della crisi sistemica del capitalismo, la sua sempre più distruttiva reazione contro i popoli (tra strette di “austerità”, imperialismo e guerre) e l’irrompere sempre più urgente della necessità di pensiero e azione radicalmente alternativi.

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AURORA – n. 32 – Anno V – gennaio 201212

di Renzo M. Grosselli

COMPAGNI: VOLANTE ROSSA UNA STORIA DA RISCRIVERE Il libro di Recchioni cerca la verità sul Tenente Alvaro e i suoi: «Fascisti e partigiani non furono la stessa cosa» – intervista all’Autore

Giovani ex operai e partigiani tra il 1947 e il 1949 furono artefi ci di tre omicidi e

di un sequestro di personaggi compromessi con il regime di Mussolini

Tra il novembre del ‘47 e il gennaio del ‘49 portarono a termine tre omicidi, un sequestro di persona e altri reati minori. Gli obiettivi erano personaggi del Milanese coinvolti col regime fascista. Molti infi ne furono presi, una trentina le condanne. Tra loro anche i personaggi più in vista della Volante rossa, organiz-zazione paramilitare legata al Partito Comunista, ex partigiani ed operai, giovanissimi: Giulio Paggio (nome di battaglia «tenente Alvaro»), Natale Burato e Paolo Finardi vennero condannati all’ergastolo. Il Partito li aiutò a raggiungere Praga dove sarebbero rimasti per decenni. Lavori duri ed umili per anni, condizioni di vita diffi cili. Poi alcuni di loro (in Cecoslovacchia si erano rifugiati 500-600 fuoriusciti politici) lavorarono a Radio Oggi in Italia che raggiungeva tutti i punti della Penisola. Qualcuno degli ex ragazzi della Volante fu graziato da Gronchi e da Saragat ma i leader dovettero attendere Sandro Pertini per ottenere la grazia. Si era già nel 1978. Giulio Paggio a quel punto decise di rimanere a Praga. La vicenda è al centro del volume di Massimo Recchioni, «Il tenente Alvaro, la Volante rossa e i rifugiati politici italiani in Cecoslovacchia», edizioni Derive Approdi, 17 euro. L’autore, per anni vissuto a Praga, presenterà il suo volume alla biblioteca della Fondazione Museo Storico, domani, alle 17.La tesi principale, Recchioni, è quella che la vicenda della Volante rossa deve essere stori-cizzata.

«È necessario storicizzare, non si può prescin-dere da questo parlando di un periodo in cui si era appena conclusa una guerra. Di solito vicende come questa terminano con la vittoria dei buoni e la punizione dei cattivi. Cosa che in Italia non avvenne. Perché il sistema economico non era cambiato e gli interessi che avevano sorretto quel regime c’erano ancora. Fu invece colpevolizzato, da subito, il movimento partigiano: i partigiani furono dipinti come una minoranza che voleva prendere il potere con le armi. Molti esempi possi-bili. Quello di Junio Valerio Borghese, leader della

X° Mas, specializzato in punizioni ai partigiani, che ben presto venne lasciato libero di agire, fi nendo con l’essere protagonista di trame eversive nel nostro Paese. E Gaetano Azzariti, sostenitore al tempo del regime di leggi fascistissime, membro del Tribunale della razza e che aveva fatto carriera in magistratura. Dopo la guerra fu uno che contribuì alla redazione del testo di legge sull’amnistia, fi rmata da Palmiro Togliatti e poi fu nominato dal presidente della Repubblica Gronchi alla Corte Costituzione, dove divenne presidente. La Corte Costituzionale, l’entità che avrebbe dovuto giudicare le leggi dell’Italia antifascista. Lui, che avrebbe dovuto perseguire la legislazione fascista! Nessuno di loro venne perseguito. A Modena, secondo i dati raccolti dall’Anpi, tra il 1948 e il 1956 al 9% degli imputati, sostanzialmente ex partigiani, vennero comminati il 90% degli anni di galera».l nemico non era già più il fascismo, il mondo era diviso in due blocchi e di là c’era l’Unione Sovietica del comunismo. De Gasperi sarebbe volato negli Stati Uniti, la Democrazia Cristiana avrebbe lasciato la compagnia di socialisti e co-munisti.

«I ragazzi della Volante rossa crebbero con un senso della giustizia negata. Grazie all’amnistia di Togliatti gente come Borghese fu liberata. In anni successivi le cose continuarono in questo senso e potrei osservare che pure i protagonisti degli “anni di piombo” sono in parte fi gli di quegli anni. A diff erenza della Germania, dove anche chi porta in giro una svastica va in

Ripubblicato da un articolo del quotidiano «l’Adige» (Trento) - 6 ottobre 2011

1948. LA VOLANTE ROSSA A MIAZZINA (VERBANIA)

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AURORA – n. 32 – Anno V – gennaio 2012 13

galera e l’appartenenza al partito nazista è un reato vero, da noi girano liberamente gadget fascisti. La legge sul partito fascista non è stata applicata. In Belgio e Francia presero i collaborazio-nisti e li misero al muro, in Italia non successe nulla di simile. Nemmeno tra i giudici ci furono epurazioni. Chiaro che con loro i risultati dei processi erano già scritti».Volante rossa, condannati anche per tre omicidi.

Non giustifi co le loro azioni. Ma non si può prendere una pagina della storia, strapparla dal libro e leggere solo quelle righe. Come fanno in tanti oggi, penso a Giampaolo Pansa ma anche a tanti altri. Così cambia il senso del tutto. Nel nord del Paese furono centinaia gli omicidi di quello stampo al tempo. Quei ragazzi per tre omicidi pagarono un prezzo che nessuno ha pagato.Altra tesi del suo libro è quella dell’opportunismo del Partito Comunista che usò, accompagnò all’estero e poi abbandonò quelli della Volante rossa.

«La posizione del Pci va conte-stualizzata. Si veniva da Yalta, dal Congresso di Salerno, si sapeva che l’Urss non sarebbe potuta venire in soccorso del Pci. Di qui la doppiez-za del partito. La politica uffi ciale doveva essere una, ma molti non vedevano di buon occhio ciò che ve-niva fatto. Una posizione ambigua, il Pci che fi no a poco tempo prima era un partito clandestino, aveva molte anime. Il partito al tempo fece molto per i ragazzi della Volante, che vennero fatti uscire dall’Italia».Una storicizzazione a tanti anni di distanza serve?

«Il Pci avrebbe dovuto farla pri-ma. Storici e giornalisti che hanno preso quei fatti e li hanno raccontati in quel modo, con altri intenti, non avrebbero potuto farlo. Fu quella mancata azione del Pci che aprì davanti a gente come Pansa delle pra-terie, per mettere in discussione non solo la Volante ma l’intera Resisten-za. La storia è stata così cancellata. Si doveva dire che la Resistenza fu un fatto di popolo e contribuì a sconfi ggere il vero nemico, il nazifascismo che aveva portato a morte milioni di persone. Quella mancanza ha fatto i suoi bei danni e si è giunti a paragonare fascisti e partigiani. Cosa che ha prodotto enormi danni nel tessuto politico-culturale italiano. A un ragazzo delle superiori, se parli dei danni del fascismo ti risponde: «Ma anche i partigiani...». La colpa del Pci è stata quella di non dire in tempo che atti come quelli della Volante rossa miravano comunque a fare quella giustizia che altri non stavano portando avanti. La Germania Federale non era comu-nista ma i nazisti li puniva. Noi abbiamo cercato la pacifi cazione nazionale solo sulla carta. E siamo ancora un Paese diviso, tra fascisti ed antifascisti. La riconciliazione è possibile ma prima devi dire chi fu il carnefi ce e chi la vittima».

Quegli ex ragazzi a Praga parteciparono, al loro livello, alla realizzazione di uno stato socialista. Un’altra sua tesi pare essere quella che, dopo più di 20 anni dalla caduta del Muro, è l’ora di riaprire anche il dibattito sul «comunismo realizzato».

«Alle prime elezioni libere nei Paesi ex comunisti, i partiti comunisti scomparvero. Alle seconde tornarono ad essere molto votati, talvolta diventando i partiti più votati. Giuseppe Sterpin, nel libro, racconta di come nel 1989 la rivoluzione di velluto fu opera di intellettuali e studenti. Non della classe operaia che in nessun periodo e in nessun luogo aveva conosciuto una condizione migliore. I minatori prendevano più dei medici. Dal 1989 i liberi professionisti hanno decuplicato i loro redditi mentre gli operai li hanno visti diminuire».Si dice che Derive Approdi sia casa editrice vicina all’Auto-nomia operaia.

«È una piccola casa editrice, ca-pillarmente distribuita in Italia che si è specializzata in pubblicazioni sulle lotte operaie e sulla Resistenza, cosa che altri non fanno. Io non mi sono posto il problema. Sono an-dato da loro e loro hanno accettato di pubblicare i miei lavori, da altri rifi utati».Tra le pagine belle del libro, la let-tera al padre della fi glia di Giulio Paggi, morto a Praga, esule fi no alla fi ne.

«Dal punto di vista intimistico e personale fa il riassunto di quanto scrivo. Quelli della Volante erano uomini coraggiosi, retti, conseguenti con quanto pensavano e vissero così sino alla fi ne dei loro giorni».

RADIO PRAGA

«I rifugiati a Praga - scrive Rec-chioni - portarono avanti anche una battaglia nel campo dell’informazio-ne. Una radio che trasmise in Italia per 21 anni. Un paese in cui per

anni ci fu una radio a senso unico. Una parte politica, per far sentire la sua voce fu costretta all’estero, a trasmettere notizie da Praga.“Oggi in Italia” portò avanti battaglie contro la Legge truff a, la ricostituzione del Partito fascista». Praga, città speciale in quegli anni. «Un crocevia di artisti, intellettuali, politici: da Neruda a Che Guevara a Teodorakis. Praga era diventata un laboratorio politico e culturale di grande livello. Anche col contributo di molti intellettuali italiani che lì si erano rifugiati». Anche questa vicenda fa parte della storia narrata, attraverso documenti ma soprattutto attraverso una serie numerosa di interviste, da Massimo Recchioni. Le Brigate Rosse, si disse, trovarono spazio in quella Praga. «Ho studiato i documenti dei processi Moro-Ter e Moro-Quater. È completamente falso che Curcio e Franceschini si siano addestrati in Cecoslovacchia.

1948. LA VOLANTE ROSSA DURANTE UNA MANIFESTAZIONE A PIOLTELLO (MILANO).

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L’elaborazione dei principi-base e di un sistema normativo, da sostenere successivamente nei confronti di Commissione e Parla-mento, potrebbero risultare da un lavoro collettivo di dibattito e approfondimento (da svolgersi durante la raccolta delle firme, e durante le successive battaglie verso il Parlamento Europeo), con il pieno coinvolgimento dei movimenti e delle comunità.

Anche se i rapporti di forza oggi sono sfavorevoli e probabil-mente non si adotterà una legge in favore dei beni comuni, questa iniziativa permetterebbe di promuovere due-tre anni di profondo dibattito e di dure battaglie le quali, se collettive, contribuirebbe-ro a una presa di coscienza di massa in Europa.

Presa di coscienza, che – secondo il promotore della campa-gna – “in particolare permette di cominciare a riflettere che oltre ai due modelli, ovvero «quello dello Stato sovrano e quello della pro-prietà privata», che operano di concerto nel garantire la continui-tà dell’accumulazione del capitale, vi è il comune, caratterizzato al contrario dal libero accesso al suo godimento evitando così di con-segnare i «beni» così censiti alla logica, «sempre in agguato, della mercificazione»�.

Vecchie e nuove recinzioni. La conoscenza come bene comune

Le battaglie per i beni comuni cominciano solo ora a include-re l’aspetto digitale e cognitivo, punto cruciale per l’accumulazio-ne del XXI secolo. Sappiamo che l’industrializzazione legata alla nascente industria tessile impose la recinzione delle terre fino ad allora comuni, e la loro trasformazione in pascoli.

Tali recinzioni furono veri e propri atti di rapina istituzio-nalizzata nei confronti di intere popolazioni, che si trovarono improvvisamente impoverite, a causa dell’esproprio delle risorse comuni utilizzate per secoli. Oggi gli stessi processi di recinzione e di esproprio si verificano nel settore dell’economia cognitiva, con la valorizzazione di conoscenza e saperi, con la riduzione a merce dei dati generati dagli utenti e delle loro relazioni sociali.

Questi beni cognitivi, o «digital commons», sono cruciali per lo sviluppo dell’economia e della società del XXI secolo e sono oggi il motore essenziale del “capitalismo cognitivo”. Dobbiamo quindi identificare, proteggere e rendere fruibili questi beni, pri-ma che l’operazione di recinzione e appropriazione sia conclusa. Operazione che avviene tramite la legislazione, ma prima ancora facendo accettare come naturale la loro assegnazione come pro-prietà e le limitazioni al loro uso, limitazioni che hanno l’unica ragion d’essere nella necessità di uno sfruttamento da parte del mercato a danno di un uso generale. Le questioni relative all’im-portanza, all’utilizzo (non necessariamente alla proprietà) e alla gestione dei beni comuni digitali, quali la conoscenza o i dati personali (individuali o aggregati) sono complesse e spesso sfug-gono alla comprensione generale.3 “Nell’economia del XXI secolo, il processo di creazione e accumulazione di valore ha origine nella struttura reticolare, network, che è rappresentata dall’insieme di flussi e relazioni che generano una cooperazione sociale, senza la quale non avrebbe luogo il processo produttivo e di valorizzazione. Nel capita-lismo cognitivo non esiste quindi una produttività individuale, ma piuttosto una produttività collettiva o sociale (intelligenza collettiva). Ne consegue che la dicotomia individuale-collettivo perde qualsiasi rilevanza nel momento stesso in cui la produzione è intrinsecamente produzione sociale fondata sul general intellect.” [Fumagalli 2011].

3 Al contrario, alle istituzioni sono ben chiari: il 27/1/2011, la commis-saria V.Reding presentando la proposta di direttiva sulle regole per la protezione dei dati ha esordito affermando che “Oggi, i dati personali sono diventati uno dei beni di maggior valore delle società. I dati sono la moneta dell’economia digitale�

“La tendenza alla crescita del capitale chiamato immateriale è stret-tamente legata allo sviluppo delle istituzioni e del salario socializzato e dei servizi collettivi del Welfare. In particolare sono i servizi di Welfare che hanno permesso il dispiegarsi dell’istruzione di massa e giocato un ruolo chiave nella formazione di una intellettualità dif-fusa o intelligenza collettiva: quest’ultimo rappresenta la parte più significativa dell’aumento del capitale chiamato intangibile o cogni-tivo; capitale cognitivo che è oggi l’elemento essenziale della crescita e la competitività di un territorio” [Vercellone 2011]. La conoscenza (il general intellect di Marx) diventa quindi, in una economia ba-sata sulla conoscenza, la principale forza produttiva immediata, creata grazie al Welfare, ma poi estratta, privatizzata, recintata, aggregata e utilizzata per generare profitti privati. E’ questa logica di valorizzazione che va compresa e ri-socializzata con l’istituzione “del comune”.

Testi di riferimento

Come abbiamo visto, a questa rinnovata centralità del tema del comune è corrisposta una ricca discussione, sia all’interno del pensiero economico classico che all’interno del pensiero critico. Una discussione che ha portato all’ evolversi dei concetti, evi-denziando con sempre maggiore chiarezza la sua inconciliabilità rispetto alle logiche di mercato e alla organizzazione sociale del capitalismo.

Da un lato il premio Nobel per l’economia a Elinor Ostrom per il suo libro “Governing the Commons”, (seguito da “Under-standing Knowledge as a Commons”) ha marcato l’ingresso dei «beni comuni» anche nel mainstream accademico e scientifico, dall’altro Antonio Negri & Michael Hardt con Comune. Oltre il privato e il pubblico” ha definito «il comune» nell’ambito del capi-talismo cognitivo e della produzione «biopolitica».

PRINCIPALI RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI SUI BENI COMUNI

Agrain, Philippe; Cause commune, l’information entre bien commun et proprietè, fayard, 2005, pp. 270.

Cacciari, Paolo (a cura di); La società dei beni comuni - Una rasse-gna, Ediesse, Roma, 01/2011, pp. 192.

Fumagalli, Andrea; Bioeconomia e capitalismo cognitivo, Carocci, 2007, pp. 228.

Fumagalli, Andrea; L’analisi del processo bioeconomico di accumula-zione, introduzione all’economia politica del postfordismo: dal capi-talismo industriale al capitalismo cognitivo, dispense, Università di Lecce, 2011, pp. 56.

Hardin, Garrett; The tragedy of the commons, Science, #162, 1968, p. 1243-1248

Hess, Carlotte & Ostrom Elinor; Understanding Knowledge as a Commons, From Theory to Practice, MIT press, 2006, pp. 381.

Lucarelli, Alberto; Beni Comuni, Dalla teoria all’azione politica, Dissensi edizioni, 2011, pp. 416.

Mattei, Ugo; Beni comuni, Un manifesto, Laterza, 09/2011, pp. 358.

Negri, Antonio & Hardt, Michael; Comune. Oltre il privato e il pubblico (Commonwealt), Rizzoli, 2010, pp. 432.

Negri, Antonio; Inventare il comune degli uomini, Derive Approdi, 11/2011. pp. 224.

Ostrom, Elinor; Governing the Commons: The Evolution of Insti-tutions for Collective Action, Cambridge University Press, 1990, pp.280

Ricoveri, Giovanna; Beni Comuni vs. Merci, Jaca Book, 01/2010, pp. 120.

Vercellone, Carlo,; Capitalismo Cognitivo, Conoscenza e finanza nell’epoca postfordista, manifestolibri, 2006, pp. 293

(segue da pagina 9)

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AURORA – n. 32 – Anno V – gennaio 2012 15

PdCI: La FederazIone euroPa e IL Congresso

La Federazione europa La Federazione Europa del PdCI “Via Rasella” è stata per dieci anni

presente in una decina di Paesi europei. Nel tempo la base sociale del partito si è diversificata, come si è

diversificato il fenomeno dell’emigrazione e la composizione sociale degli emigrati. All’emigrazione del passato, principalmente proletari in cerca di lavoro (quali i minatori delle miniere di carbone in Belgio), si affiancano i loro figli (ora in attività quali la ristorazione), ancora vicini alle nostre idee, anche grazie all’attività del partito. A loro si affianca la nuova emigrazione, in particolare lavoratori cognitivi, che senza prospettive in una Italia clientelare e in declino si trasferiscono dove grazie alla maggiore ricerca, sviluppo e innovazione tecnologica, trovano maggiori opportunità: studenti, ricercatori, lavoratori nelle nuove tecnologie, in multinazionali, in istituzioni e organizzazioni internazionali.

La Federazione ha svolto due ruoli:• per imembri delle comunità italiane presenti nei vari Paesi europei è

stata un luogo di in/formazione politica, riflessione e confronto; luogo di assistenza e difesa dei diritti degli emigrati;

• per i nostri compagni residenti in Italia (a cominciare dal partito) hafornito la possibilità di conoscere meglio la realtà vissuta dagli emigrati, e luogo di osservazione in Europa.

Ha condiviso questi obiettivi con i compagni di Rifondazione Comunista, realizzando in comune dibattiti, gruppi di lavoro, iniziative, siti web http://pcieuropa.org/wp/ , partecipando insieme a manifestazioni (ad esempio http://www.pcieuropa.org/eventi/noausterity/manif/index.html ), arrivando - in alcuni Paesi europei - a condividere sedi e riunioni.

Con questi obiettivi e con spirito unitario, i compagni della Federazione hanno creato Aurora, rivista cartacea e in rete, ora al numero 32. Aurora nasce inizialmente come mensile di politica e cultura della Federazione Europa del PdCI; con l’ingresso in redazione dei compagni di Rifondazione, e in seguito di compagni indipendenti, diventa patrimonio di tutta la sinistra anticapitalista. Oggi Aurora ha una versione stampabile http://www.aurorainrete.org/ e una versione web commentabile e tradotta in 13 lingue, http://aurorainrete.org/wp/ .

un’affinità con gli organismi dirigenti del PdCI, mai concretizzata

I compagni della Federazione si sono integrati con le realtà sul territorio, lavorando insieme ai partiti e alle organizzazioni dei Paesi di residenza che ne condividevano le idee e le battaglie. Alle attività ha partecipato un numero sempre maggiore di compagni di cittadinanza non italiana. Questo è dovuto o all’abbandono della cittadinanza italiana a favore di quella del paese ospitante, o al risultato di battaglie e scelte di vita fatte in comune con compagni di altra nazionalità (vi sono molte coppie di nazionalità diversa). Inoltre, il lavoro sul territorio ha portato e porta, naturalmente, alla partecipazione attiva in partiti e organizzazioni politiche locali.

Questa situazione era in contrasto con lo statuto del Partito dei Comunisti Italiani, che proibiva sia l’iscrizione di cittadini non di nazionalità italiana, sia il doppio tesseramento e quindi l’iscrizione ad altri partiti stranieri. Il Congresso della Federazione avvisava dunque la necessità, la scorso autunno, di armonizzazione lo Statuto del Partito, richiedendo di inserire opportune deroghe alle regole generali statutarie.

Al suo Congresso, il Partito dei Comunisti Italiani ha infatti riconosciuto fondate le richieste della Federazione Europa e le accoglieva modificando il suo Statuto nei seguenti punti:

• possono iscriversi al Partito dei Comunisti Italiani tutti coloro che,cittadine/i italiane/i o straniere/i ne condividano lo statuto e il programma politico;

• èammessalacontemporaneaiscrizionealPartitoeadaltraorganizzazionepolitica. Le/gli iscritte/i all’estero, al fine di svolgere attività politica sul territorio, integrarsi e collaborare attivamente nei partiti esteri, possono tesserarsi presso di essi e candidarsi in partiti non italiani.

Putroppo, invece, resa nota la composizione degli organismi dirigenti, i compagni d’Europa si sono resi conto - con estremo disappunto - che non era stato inserito alcun rappresentante della Federazione PdCI Europa “Via Rasella” nel Comitato Centrale, né in alcun altro organismo dirigente. Non si è insomma ritenuta necessaria alcuna rappresentanza né in un Comitato Centrale di ben 139 membri, né fra i 5 componenti del dipartimento Esteri (tutti anche membri del CC e della Direzione) responsabili di centri studi e di cooperazione, con le deleghe di Asia, America Latina, Medio Oriente e Mediterraneo; Asia; Africa; perfino Russia e Paesi dell’area ex-sovietica. Ma delega e delegato per l’Europa sono assenti, mentre negli organismi dirigenti vi è spazio perfino per il rappresentante di una Sezione aperta a Cuba da poche settimane.

Così è negata la rappresentanza e con essa la possibilità di richiamare l’attenzione su temi e questioni specifiche dell’emigrazione, si sono cancellati anni di storia e di lotte dei comunisti italiani nel vecchio continente; questi ultimi, inoltre, non possono contribuire - nelle sedi preposte - alla riflessione ed all’elaborazione politica portando le idee e proposte scaturite dalla condizione dei compagni in Europa, condizione talvolta di osservatori privilegiati, che non vivono la cortina ideologica che si vive in Italia.

I dubbi in europaL’impressione che il Partito guardi altrove, insieme alla difficoltà di

condividere le blande posizioni attendiste e di non-opposizione rispetto al governo Monti emerse durante il congresso, porta i compagni in Europa a chiedersi se rinnovare l’adesione ed il supporto al PdCI (facendoli propendere piuttosto per il NO).

Le crisi permettono trasformazioni politiche, sociali e economiche, altrimenti impossibili; provocano lacrime e sangue per chi le subisce, ma sono straordinarie opportunità politiche per chi dispone di una egemonia ideologica e di rapporti di forza favorevoli. Questo governo implementa incontrastato le ricette economiche di classe imposte dalla troika europea, piegando tutto alla logica del massimo profitto e del gradimento dei mercati: tagli al Welfare, aumento delle tasse, riduzione dei salari (diretti, indiretti e differiti), privatizzazione dei servizi pubblici, saccheggio dei beni comuni. Smantella il sistema di diritti e protezioni sociali ottenuto grazie alle lotte e all’esistenza di un forte Partito Comunista.

I compagni, che più sperimentano l’effetto di queste ricette, come i compagni greci, hanno già abbandonato il PdCI.

Non si possono accettare queste ricette di classe come “scelte tecniche e necessarie”, e mettere la sordina alle critiche e a una analisi generale (“per evitare di scivolare verso posizioni massimaliste e velleitarie”) solo al fine di rimanere ancorati a parte della coalizione di governo. Siamo sicuri che alla fine l’analisi marxista (che nel nostro partito non manca) ponga termine a queste insanabili contraddizioni (eufemisticamente chiamate “duttilità tattiche”); porti il partito a prendere una posizione meno ambivalente e soprattutto a elaborare collettivamente e battersi per modelli economici e sociali realmente alternativi.

La nostra valutazione delle politiche del governo Monti è espressa con sufficiente chiarezza nell’editoriale di questo numero.

dal delegato della Federazione Europa

CONGRESSI

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AURORA: Giornale per l’unità comunista

Collettivo di redazioneAndrea Albertazzi (B), Claudia Cimini (CZ), Perla Conoscenza (B), Mario Gabrielli Cossellu (B), Roberto Galtieri (B), Massimo Recchioni (CZ),Simone Rossi (UK), Ivan Surina (GR), Massimo Tuena (CH)Ha collaborato a questo numero: Vassilis Primikiris

Grafica e impaginazione: Lorenza Faes

Tel. +32-477-258-765 – [email protected]: questo numero 1,00 e – arretrati 1,50 e

AURORAAURORA

Disponibile in rete http://www.aurorainrete.org e su carta nelle migliori sezioni e circoli comunisti in Europa

Commentabile sul blog di Aurorahttp://www.aurorainrete.org/wp

Questo giornale rifiuta il copyright: tutto il materiale è liberamente riproducibile, è richiesta soltanto la menzione della fonte.

QUeSTo nUMeRo è STATo CHIUSoIL 6 FeBBRAIo 2011

di Vassilis Primikiris

Grecia: cavia del processo neoliberale per l’Europa intera

Viviamo un periodo mai visto prima, non solo per la Grecia, ma per tutta l’Europa.

La crisi economica che la Grecia sta vivendo, non rappresenta un ulteriore fenomeno nazionale isolato, ma un problema europeo, una crisi europea del modello neoliberale di sviluppo. Un modello di sviluppo il quale si è basato, da venti anni a questa parte, sui teoremi principali del neoliberalismo, e cioè sulla divinizzazione del mercato e della competitività (privatizzazioni, liberalizzazione dei mercati ecc.), su di uno Stato ridimensionato all’esasperazione, privo di un’importanza reale, economica e sociale (demolizione dello stato sociale, patto di Stabilità ecc.) e sulla flessibilità dei rapporti lavorativi (incoraggiamento dell’occupazione parziale, direttiva Bolkenstein, ecc.) I risultati di questo espe-rimento neoliberale erano già visibili prima dello scoppio della crisi. Il Patto di Stabilità, vera mannaia dello stato sociale, ha portato ad uno sviluppo ridotto e incompatibile con i bisogni reali; ha comportato, nel contempo, un aumento della disoccupazione, mentre il tentativo di arrestare l’inflazione ha esercitato insopportabili pressioni sui redditi dei lavoratori ed è stato tradotto dai governi di destra e socialdemocratici come la tanto attesa opportunità di arginare il costo del lavoro. Allo stesso tempo, le forme di lavoro flessibile e la liberalizzazione dei mercati, invece di portare ad una distribuzione più razionale del tempo di lavoro e delle risorse economiche, hanno invertito i termini di coesione sociale e del modello sociale europeo del dopoguerra.

Chi crede che la crisi riguardi solo la Grecia si sbaglia di grosso. La crisi appartiene all’intera Unione Europea. Non è stato compreso che ormai troppi problemi si sono accumulati dalle decisioni prese in diversi momenti dall’UE e che ormai tali problemi l’hanno condotta in una via senza uscita, alla quale la Sinistra si era opposta e della quale aveva dato preavviso.

Il peso della crisi è stato trasferito dai mercati, sulle spalle del mondo del lavoro e dello stato sociale. La Grecia, come abbiamo sottolineato anche nel partito della Sinistra Europea, ha svolto il ruolo di cavia in questo esperimento.

Nei ultimi tempi si sentono molte bugie sui lavoratori Greci.La stessa cancelliera Merkel, come molti altri leader, mentono in modo

vergognoso ai contribuenti dei propri paesi, sostenendo che i greci vengono pagati per poltrire e passare tutto l’anno in vacanza.

Tutti costoro dovrebbero chiederci scusa perché oggi i greci hanno il periodo di vacanza più breve e il reddito di gran lunga più basso nella zona euro.

Devono, inoltre, ammettere che i prestiti a carico dei contribuenti di questi paesi non servono a pagare gli stipendi e le pensioni dei greci, ma per salvare bancarottieri e finanziare le banche in via di fallimento, tanto in Grecia quanto in Germania e in Francia.

La Grecia è arrivata alla crisi a causa della totale immunità fiscale degli ingenti patrimoni e del capitale e a causa delle enormi spese per la difesa. A causa del sac-

cheggio inflitto allo stato greco da contratti scandalosi stipulati con società greche o con multinazionali come la Siemens, la quale è coinvolta in casi di corruzione. Non certo perché desse stipendi troppo alti. É vero semmai il contrario.

Sono questi i presupposti da cui il governo sedicente socialista è partito per rendere il paese prigioniero del Fondo Monetario Internazionale e della lobby neoliberale dell’Unione Europea.

Da allora, la Grecia si trova in un circolo vizioso di recessione profonda, con tragiche conseguenze sociali. E questa crisi si sta espandendo e riproducendo nel resto d’Europa.

La politica di recessione e di distruzione sociale imposta alla Grecia, e gradualmente anche agli altri paesi, non è una soluzione per risolvere il problema del debito. Al contrario, il debito della Grecia è aumentato in modo dram-matico. Oggi, si discute ancora una volta per un ulteriore taglio del debito, accompagnato però da nuove dure misure anti-sociali, le quali porteranno ad una maggiore recessione.

E’ stupido credere che una crisi possa essere superata con misure di aus-terità che approfondiscono la recessione. Per la Grecia il 2012 sarà il quarto anno di recessione. Non si vedeva una cosa simile dai tempi dell’ occupazione nazista.

Di conseguenza, la questione è il rovesciamento immediato delle politiche di austerità e un congelamento (una moratoria) del saldo del debito finché non esisterà una soluzione europea, per la cancellazione di una grande parte del debito, con condizioni analoghe alla regolazione per la cancellazione del debito tedesco nel 1953, dove era prevista una clausola di sviluppo per il saldo del debito rimanente.

Le ricette del vertice europeo non ci soddisfano per niente. I leader dell’Europa sono imprigionati nel proprio dogmatismo neoliberale senza via d’uscita.

Stanno sacrificando i diritti e cancellando le conquiste di decenni. L’esperimento greco, che distrugge diritti lavorativi e assicurativi e svende il patrimonio pubblico, è pronto per essere esportato. I più deboli tra i paesi europei, vengono spinti nel precipizio per salvare i banchieri.

Dobbiamo impedire questo disastro. E’ arrivato il momento di finirla con il neoliberalismo e aprire vie alternative per un ‘Europa democratica e sociale, emancipata dalle costrizioni del guadagno e dei mercati.

Bisogna creare un fronte di salvezza dei popoli d’Europa. Il Partito della Sinistra Europea la nostra casa comune il GUE/NGL, ha indicato la via verso un’Europa alternativa:

Ristrutturazione del debito a livello europeo.Prestito diretto degli stati dalla Banca Centrale EuropeaImposizione di un controllo pubblico del sistema bancario e finanziario.Ridistribuzione della ricchezza e sostegno allo stato sociale.Politiche che si possono ottenere solo con il rafforzamento del movimenti

di resistenza sociale, che facciano fronte al nemico comune: l’avido e cinico neoliberalismo. Nei giorni scorsi, in Grecia, centinaia di migliaia di lavoratori, piccoli liberi professionisti, disoccupati, studenti universitari e studenti delle scuole, anziani, hanno letteralmente inondato le strade delle città greche. Solo le lotte sociali di massa, insieme ad un programma di transizione condiviso e sostenuto a livello europeo, possono cambiare il futuro.

Ci dobbiamo a impegnare a coordinare la nostra azione internazionale, affinché, insieme alle forze del movimento popolare, possiamo salvare i nostri popoli e le nostre società. Impegniamoci a proteggere la democrazia prima che sia troppo tardi per l’Europa.