Augé M. - Straniero a Me Stesso

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Dal fgrande antropologo francese

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PresentazioneBadate, non è un’autobiografia, avverte Marc Augé in apertura del libro.Almeno non nel senso tradizionale. Ci si aspetterebbe invano di trovareabbandoni intimistici, rivelazioni su vicende private o il dispiegamentocompiaciuto della soggettività che fa il bilancio di una vita. Perché non èindifferente che qui a prendere la parola sia un etnologo, ossia chi permestierecoltivaconilproprioiounrapportodirelativaestraneità,ponendosia metà strada tra se stesso e gli altri: una collocazione intermediaparticolarmente felice, che impone un autoritratto in larga misuraimpersonale.Ineffetti,questepaginegremitediimmaginicheriaffiorano,diincontridecisivi,dipaesaggiperduti,dieventidellaGrandeStoriaspessocoltidi scorcio, affidano il loro ritmo sottotraccia a una incalzante variazionesull’idea di luogo.Quello dell’etnologoAugé, innanzi tutto, che si identificaconlosradicamento,colnonesseremaialproprioposto.LasuaitineranzasiconsumaperlopiùinAfrica–nellaregionelagunaredellaCostad’AvorioenelTogodelSud–e inAmericaLatina, làdove i luoghi forniscono lamateriaprima allo studio sul terreno. «Luoghi» significano relazioni sociali, formesimbolichediun’esistenzacondottasottogliocchialtrui,persisteredellegametraviviemorti.Solodopoaverdecifratoperdecenniilsensodeiluoghi,Augéhapotuto, conugualepenetrazione, interpretarecome«nonluoghi»gli spazicollettivi a bassa intensità che caratterizzano il nostro presente globalizzato.Ancorauneserciziodimigrazione,ilsuo,dall’etnologiaaun’antropologiacheallargalosguardoalmondoenonsmettediinterrogarsianchesulleparoleconcui raccontareciòchevede.Così ilviaggiatoredei luoghiedeinonluoghièanche colui che attraversa, in compagnia dei suoi doppi, il territorio dellanarrazione, verificando quanto memoria, scrittura e viaggio sianoindissociabili.MarcAugé,etnologo, tra imaggioriafricanistideinostri tempi,negliultimivent’annièdiventatounafiguradiriferimentoperun’antropologiadellatardamodernità. Tra i saggi tradotti in italiano: Simbolo, funzione, storia. Gli

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interrogatividell’antropologia(1982),Ilsensodelmale.Antropologia,storiaesociologiadellamalattia(conClaudineHerzlich,1986),Unetnologonelmetrò(1992), Nonluoghi. Introduzione a una antropologia della surmodernità(1993), Il dio oggetto (2002), Poteri di vita, poteri di morte. Introduzione aun’antropologiadellarepressione(2003),Ilmetròrivisitato(2009),Chefinehafattoilfuturo?Dainonluoghialnontempo(2009)ePerun’antropologiadellamobilità (2010).PressoBollatiBoringhieri hapubblicato:Disneyland e altrinonluoghi (1999), Il senso degli altri. Attualità dell’antropologia (2000),Finzioni di fine secolo, seguito da Che cosa succede? (2001), Genio delpaganesimo (2002),Diario di guerra (2002),Rovine emacerie. Il senso deltempo(2004),LamadrediArthur(2005),Ilmestieredell’antropologo(2007),Casablanca(2008)eIlbellodellabicicletta(2009).

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NuovaCultura-Introduzioni266

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©2011ÉditionsPayot&Rivages

TitolooriginaleLavieendouble.Ethnologie,voyage,écriture

TraduzionediFabrizioGrillenzoni

©2011BollatiBoringhierieditoreTorino,corsoVittorioEmanueleII,86

GruppoeditorialeMauriSpagnol

SchemagraficodellacopertinadiPierluigiCerri

www.bollatiboringhieri.it

ISBN978-88-339-7083-7

Primaedizionedigitale2011RealizzatodaJouve

Quest’operaèprotettadallaLeggesuldirittod’autore.Èvietataogniduplicazione,ancheparziale,nonautorizzata.

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StranieroamestessoQuestolibrononèun’autobiografia.Lamiavitaprivatanonc’è.Questaassenzasegnaillimitedellibroeneesprimel’ambizione:estrarredaunavitaparticolarealcunielementichesipensanosignificativipermetterliinrelazionegliuniconglialtriecontribuireinquestomodoaunadefinizionepiùgeneraledellascritturaantropologica.

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ImmaginiDi tanto in tantomi si presentano delle immagini, che svaniscono e poi

ritornanosenzaannunciarsi.Nonhannonullaachevedereconun’apparizioneouna rivelazione, le ritrovosenzasorpresa,comecompagnefamiliarichesiaffaccianoognitantoallamiaportaperaveremienotizieepoilarichiudonoimmediatamenteinsilenzioeconunsorriso.Hannouncarattereaneddotico;possodatarealmenoapprossimativamentegliavvenimentichelehannofattenascere.Alcunemi rimandano allamia professione di etnologo, altre no. Illorocaratteredisparatoaumenta lamiaconfusione, tantopiùcheavoltemirisultadifficile raffigurarmi conprecisionegli episodidi cui sono la tracciapiùviva.Nonmiriferiscoaimmaginidellamiaprimainfanzia,singolarmentetenaci,machehogiàavutooccasionediricordareechesonoevidentementelegateallecircostanzedrammatichediquelperiodo:l’esodo,l’occupazione,laLiberazione... Ci sono altre immagini, meno antiche, ma come nascostenell’ombra della mia memoria e pronte a manifestarsi improvvisamentequandomenomeloaspetto.Alcuniindianiavanzanonellapianuradell’Apuré,inVenezuela;noi li incrociamo lentamente; io li salutodal retrodelcamiondovestoinpiedi;lorononsifermano,camminanoinfretta,unodietrol’altro,eioall’improvvisoridodavantiaquestaillustrazioneviventedell’espressione«fila indiana». Di nuovo sul retro di un camion, in compagnia di DenysLombard,direttoredell’EFEO,1edialcunigiovanistagisti,ritorniamodaunagiornata trascorsa nelle rovine di Angkor, stanchi, in vena di chiacchiere eallegri.Una sorsata di allegriamentre scende la notte.Daqualcheparte traBondoukoueAbidjan: unbistrò all’incrociodi due strade,ChezLulu, il cuifascinocolonialeedecadentemihaconquistato findallaprimavoltachecisonocapitatopercaso.Dietroilbancone,sempreilluminatodaun’abat-jourgialla, il padrone, un bianco piccolino pieno di rughe, vecchio e tondo,miserve unamenta continuando amormorare alla nera imponente che gli staaccanto parole intime incomprensibili. Una sera a Kyoto, un hotel«tradizionale»: in un piccolo spazio a cielo aperto su cui si affaccia lamiacamera, un attaché culturale francese e io chiacchieriamo con noncuranzamentre vuotiamo la nostra fiaschetta di sakè. Siamo negli anni ottanta e ci

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domandiamo se l’AIDS distruggerà l’umanità e ucciderà l’amore. Questopensierodàvaloreaiminutichepassanolentamente,allanostradegustazionee ai discorsi che facciamo, forse senza osare crederci veramente.Simpatizziamo.Nonl’homaipiùrivisto,hodimenticatoilsuonomeelasuafaccia,manonquestascenadafinedelmondo.Perchéuntalericordo,perinfedelechesia,enonunaltro?Perchéqueste

immagini,enonaltre?Cosavoglionodame?Perché,coniltempo,sifannopiù insistenti, via via più pressanti, come spinte da non so quale urgenza?Dovessirispondereaquestedomande,nonpotreifarlocheconaltredomande.Lapersonachericorda,dicosasiricorda,edichi?Diunarealtàtroncata,

erosaescolpitadaltempo,ediuniocheingranpartesfugge,dinuovoperl’azionedeltempo,maancheperchésitrattavadiuniomenoricco,diunioche ancora non aveva vissuto tutto quello che ha vissuto la persona che siricordadilui;oppurediuniopiùricco,mariccodipotenzialitàincompiute,sprecate,definitivamenteperdute.Duemillennidimonoteismoeunsecolodipsicoanalisi ci hanno abituati a credere che il senso veniva dal passato, afrugareneinostriricordi,inostririmorsieinostrisognipercercarcilachiavedel nostro enigma irrisolto e del nostro avvenire incerto.Come se, ritornatisulla terra dopo aver bevuto l’acqua del Lete in quantità insufficiente,conservassimoilvagoricordodiaversceltonoistessilanostravitae,conlosguardo rivolto a questomitico passato, non cessassimo di ricercare in noistessil’altrochenesarebbe,findalprincipio,responsabile.Lapersonachescrive,perchéesucosascrive?Nonèforsepertagliareil

nodo gordiano che lega il presente e il futuro a quel passato che lo soffocaperché immagina di esserne l’emanazione? Si scrive con l’intenzione e ilbisognodiessereletti,nonfossechedaunsoloesserealmondo:lascrittura,come qualsiasi parola, è fatta per stabilire una relazione. Ma proprio perquestoimpegnailfuturo,comportaunrischioeapreun’avventura.Etuttavialascritturaèancheriflessiva,unritornosusestessi.Anchequandolascritturasi spoglia di qualsiasi soggettività e assume l’apparenza di una pura ricercaformale,ciòavvienealprezzodiunosforzodirettoadistinguere l’attodellascritturadacoluiocoleichescrive,equestostessosforzoimplicaunritornosusestessi.E lenozionidi riflessioneedi ritornohannonecessariamenteache vedere col passato, indipendentemente da qualsiasi desiderio diautobiografia. Scrivere dunque vuol dire combinare due movimenti, uno

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rivolto verso il futuro e l’altro verso il passato,ma ilmovimento di ritornoacquistaunsensosoltantonell’attocheloproiettaversoilfuturo.Scriverevuoldirestrappareilpassatoalpassato,ricercarenelfuturolafontedelsignificatoetentare,perriprendereleparolediBenjamin,di«dissiparel’incubomitico»sostituendounanascita realeai fantasmidellegenesi.Se ilpiùbel romanzodel mondo è l’Odissea, è perché questa storia di ritorno è al tempo stessoun’avventura e perché alla fine del percorso Ulisse ritrova il suo passatosoltanto nello sguardo del suo cane: in quello sguardo può misurare il suocambiamento.Scrivere vuol dire rovesciare l’ordine delle cause e degli effetti, rimettere

suipiediunastoriachecamminavasulla testa,cercare ilprincipiodel sensodavanti a sé e non dietro di sé. Capisco bene che ci sono ricordi, oautobiografia, in ogni narrazione in apparenza puramente letteraria; capiscobene anche che una lettura attenta a ciò che, del passato e dei traumi delsoggetto,trasparenelpiùpiccolotestotramiteisuoidettieisuoinondetti,èsempre possibile.Ma questa riduzione del testo al suo pretesto, come ogniriduzione del testo al suo contesto, lo tratta come un documento, come larisultantediungiocodi forzepiùantichedi lui, che spiegherebbeal tempostesso la sua genesi e il suo divenire e che, lungi dall’esaurirne il senso, neignora necessariamente il principio essenziale, la ragion d’essere. Perché laletteratura risponde al richiamo dell’avvenire, non a quello del passato, erimaneunaperpetuasfidaalleimpreseintellettualitotalitariechevorrebberovedervi soltanto l’espressione della psiche individuale o della lotta di classe.Queste imprese, quali chepossano essere la loro sottigliezza o la loro forzadimostrativa, si collocano agli antipodi dell’atto letterario vero e proprio;hanno senz’altro un loro interesse,ma questo interesse non ha niente a chevedereconlaletteratura;equestoperché,facendoneunpuntodipartenzaperle loro inchieste, si condannano ad avvicinarsi alla letteratura soltantopervertendola. Bisogna assolutamente abbandonare le lenti freudiane omarxiste, se si vuole sperare di intravedere qualcosa delle cause e dei finidellacreazioneletteraria.Questeimmagini,cheemergonoimprovvisamentedaunmagmadiricordi

che a volte mi risulta difficile identificare e classificare, devo considerarlecomedelle«traccemnesiche»o, siccomemisarebbecomplicatodescriverleconassolutaprecisione,comedeglischermichemidissimulanorealtàsepolte

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più in profondità negli strati geologici dellamiamemoria?No.Anche se èverochehannoachefareconilmiopassato,ancheseèpossibilechevoglianoregolare con quel passato dei conti oscuri, l’essenziale è altrove. Questeimmagini non si riconoscerebbero, ne sono certo, nel ruolo di comparsemascherate del dramma della vita al quale alcuni vorrebbero condannarle echeiostessononpotreiassegnarelorosenonalprezzodiuntradimentoediuna menzogna, distogliendo lo sguardo per non vedere i gesti silenziosi,ripetutiecomplicichedaannimirivolgonodalontano.Imieiinformatorialladiani,nellaBassaCostad’Avoriodegliannisessanta,

usavanol’espressione«agiredadoppio»perindicarel’azionediquegliuominiediquelledonnechesipensava,perqualcheragione,sirivolgesserocontroglialtri,lidivorasserolentamentedall’internooliannientasseroimprovvisamenteconunattaccofulminante.Dicevanoanche,influenzatidaimissionari,«agiredadiavolo».Unatradizioneetnologicaconsolidatafacevaapplicareiltermine«stregone» a questi personaggi, anche se ulteriori distinzioni, ripresedall’antropologiabritannica,stabilivanounadifferenzatraleazioniimputabilialla sola intenzione dei loro autori (witchcraft) e la magia strumentale(sorcery) che, facendo ricorso a oggetti materiali, era destinata a lasciaretracce tangibili. Il termine «stregone», nel caso africano, come d’altrondeanche quello di «diavolo», non dava conto della complessità delle cose nédellasottigliezzadellerappresentazioniedellelinguelocali,chefacevanodelpoterediaggressioneun’espressionepossibile,e inquesto sensonormale,diunacomponentedellapersona,diuna«istanza»,potremmodireprendendoinprestitoilterminedalvocabolariofreudiano,presenteintutti,mainvestitanelcaso specifico di una sorta di virulenza particolare. Questo potere diaggressione avevaunnome specifico (âwa presso gliAlladiani),mentre ciòche la letteratura traduceva con «stregone» o «strega» corrispondeva inalladiano all’espressione «uomo o donna di âwa – âwa onô, âwa yii». Lostesso accadeva in tutti i gruppi vicini. Il nome del potere cambiava,ma larappresentazione,adessoassociata,dellecomponentimultiplediognipersonae del potere di aggressione come modalità particolare di una personaspecifica, era la stessa. Bisogna anche precisare che questo potere diaggressioneerapercepitopiùcomeambivalentechecomenegativo(hospessosentito dire che un buon capofamiglia non doveva esserne privo se volevaproteggere i suoi). E anche che era indissociabile dall’«istanza» che ne era

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portatrice – come tenderemmo a dire –, dato che nella lingua locale i dueelementieranoconcepiticomeintrecciati.DopotuttoancheinCorneillenonsidistinguevatracoraggioecuore(«Rodrigo,haicuore?»).Se apro questo libro con delle considerazioni sulle componenti della

personaafricana,nonèsemplicementeperchéquestecomponentifannopartediuninsiemedirappresentazionimaterialisticheeimmanentidelpoterechemisembranopotercostituire labasediuna riflessionecomparativasuvastascala, come l’ho delineata in Genio del paganesimo,2 e anche il punto dipartenza di una messa in prospettiva dell’immaginario antropologico(l’immaginario degli altri interpretato dall’antropologo) e dell’immaginarioletterario: è piuttosto, e senza pregiudizio per il resto, per riflettere sullanozionedi«doppio»,cheall’epocaavevanoelaboratospontaneamente imieiinformatori e traduttori. Sento il bisogno di domandarmi se quella nozionenonriguardianchefratturediversedaquellechetentavadidefinire,peraltrocon una certa efficacia. È possibile che oggi, alla luce retrospettiva di unalunga esperienza, essa mi aiuti a riformulare i difficili interrogativi cheruotanoattornoalrapportotratestoeautore,traletteraturaeverità,oancora,in un ambito più vicino ai miei interessi immediati, tra antropologia escrittura?Nonignoroaffattoladifficoltàdiunambitocosìcircoscritto,esonotroppo

consapevole del fatto che esso è stato esplorato da molti, non soltanto aproposito dell’antropologia, ma anche della filosofia, per illudermi di poterscoprire qualcosa di nuovo. Ma ogni vita è un percorso a parte, che neincrocia mille altri, tracciando però, in fin dei conti, un itinerario unico.Dunqueforsenonèdeltuttovano,nelmomentoincuilafinedelpercorsosiavvicina,interrogarsisulleragionichel’hannoresopossibileesulsensochehapotuto avere. Allora non farò altro che ritornare su alcunimomenti, alcuniincontri e alcune riflessioni che, a distanza, mi danno l’impressione di«tenersi», sia pure in modo lasco. Entrano in risonanza tra loro. A miainsaputa, si è progressivamente elaborata una storia che non è, a rigor ditermini, la mia, ma che incontestabilmente ha «a che vedere» con la mia;comincioa«intravedere»che,indefinitiva,essaèlasolachesonoingradodiraccontaresevoglioparlaredime,maanchelasolachemisovvienesevoglioparlaredeglialtri.Lafortunadell’antropologoèdiessersiimpostolapresenzaelospettacolo

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deglialtri,primafisicamenteequotidianamente,poiinmodopiùlancinanteeossessivo,attraversol’immaginazioneeilricordo,riattivatiditantointantodanuoviviaggi.Lafortunadell’antropologoèsoprattuttodiaverincontratounaseriediinterlocutori,di«informatori»,sullanaturadeiqualipuòinterrogarsiretrospettivamentesenonlohafattoprima,madeiqualisa,comunque,chealmeno con una parte di loro nei momenti più intensi, e anche quando loscopodichiaratoeradiregistrarelepratiche,lecredenzeelerappresentazionidelloroambiente,haparlatosoltantodell’essenziale:dellavitaedellamorte,dellafortunaedelladisgrazia,delricordoedell’oblio...–attivitàcertamenteirrisoria di fronte alle urgenze del sociale, al turbine dell’attualità e allemutazioni tumultuose che assorbono ufficialmente e più che legittimamentel’attenzionedeglispecialistiin«scienzesociali»,machehal’immensomeritodi averlo aiutato e di aiutarlo ancora a relativizzare il suo egotismo e asforzarsidiprenderesemprelamisuradellecose.Ogniscrittoreviveunavita«doppia»,chericordainqualchemodoiltipo

di esistenza e di influenza che sempre e dovunque sono state attribuite, aprescindere dai nomi utilizzati, agli spiriti forti, considerati capaci diaggredire, disturbare o influenzare i loro simili. D’altronde, i guardianiufficialidellamoraletradizionalehannospessoevocatolanaturaambivalentee sospetta del personaggio dello scrittore, contrapponendo le «buone» e le«cattive» letture, esattamente comepoteva fareunesegeta alladianoquandodistingueva traquelli cheagivano«per il bene»equelli cheagivano«per ilmale». Non molto diversamente dallo «stregone» in Africa o altrove, loscrittore non è inconsapevole: può addirittura arrivare a «mirare» il suopubblico.Malasuainfluenza,quandoneha,glisfugge,epuòignoraretuttodegli uomini e delle donne di cui ha segnato la vita senzamai incontrarli.Dunque lo scrittore lavora,nel senso incui«lavorano»uno«stregone»ounguaritore, soltanto con la speranza di esercitare effettivamente un’influenza,quale che sia. Per lo scrittore, la cosa peggiore è la solitudine, alla qualesfuggesoltantonellaconvinzionediesserelettoalmenodaqualcuno,glihappyfews.Allostessomodo,lasolitudineèlaminacciachepesasucoluiocoleiicui poteri sono efficaci soltanto nella misura in cui rimangono oggetto delsospetto altrui e non sononédefiniti nédenunciati.La solitudine è l’ombrache accompagna quelle due potenze immaginarie che sono lo scrittore e lostregone: entrambi esistono soltanto agli occhi di chi crede in loro.Quandoquegliocchinonlisostengonopiù,sidecompongonoesvaniscono.

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Loscrittoreinteriorizzalafiguradeldoppioelainteriorizza,secosìsipuòdire,doppiamente.Appenaterminati,isuoiscrittisfuggonoalsuocontrolloesi sottopongono all’interpretazione degli altri, i lettori, sui quali esercitanoun’influenza solo a condizione di abbandonarsi completamente ad essi. Illettore resta padrone dell’interpretazione e del giudizio. I tentativi dispiegazione,diesegesiodigiustificazioneincuisilancianoalcuniscrittoriintelevisionehannosemprequalcosadipenoso,nonsoloperchéarrivanotroppotardi,maperchéconfondonol’immaginedegliscrittoristessi:nefannoalorovoltadeilettori,ilcheassomigliaaunaformadimasturbazione,cheperdipiùèesibizionista,opersinoincestuosaquandosipresentanoingruppo.Difrontealfuturo,loscrittoreoccupaunaposizionediattesa,sucuiperdipiùnonhailcontrollo.La figura della «musa», presenza/assenza i cui capricci dettano ilritmo ineguale della scrittura, ha lungamente simboleggiato questa forma didipendenza.Acortodiispirazione,loscrittoreèletteralmenteunpersonaggioin cerca di autore. Scrittore, è una ragione sociale; autore, è un destino.L’autoreèildoppioidealedelloscrittore.Forsequestaèlaragionepercuiavolteaccadecheloscrittoresisentacosìpocoresponsabiledellesuecreazioniedeiloroeffettidameravigliarsieindignarsiquandoglisichiededirenderneconto.Più dice «io», più è doppio. È doppio quando interviene nella sua

narrazionepersottolinearecomplessitàocontraddizionideisuoipersonaggi,comeTolstoj oDostoevskij, per ironizzare sul loro carattere vile e ridicolo,comeDickens,perdissertaresullastoriaelasocietà,comeHugo.Èdoppio,afortiori,quandocrealafinzionediunNarratorechesembraavereilcompletocontrollo della narrazione. Sappiamo bene, noi lettori, che in questi casi èl’autore che si esprime,ma non sappiamoniente di certo sul legame che lounisceallapersonadelloscrittore.Ed’altrapartetuttociinduceacrederechequestolegamenonsiaaffattopiùevidenteagliocchidelloscrittorestesso.Lacoscienzadiquestosdoppiamento,opiùesattamentel’intuizionedelsuo

carattere inevitabile e necessario, è forse ciò che chiamiamo vocazione. Lavocazionenon è garanziadi successo,maquandoviene repressa il sensodifallimentoèassicurato.Lacertezzadiavermancatoqualcosaediaver«fallitonella vita», di essersi lasciati sfuggire la propria occasione, può servire daspiegazione retrospettiva per tutte le vittime dell’esistenza, ed è unaspiegazioneinformadirimorso:quantevolteabbiamoesitatoafareunpasso

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avanti, a lanciarci nell’ignoto, troppo sensibili alla comodità delle posizioniraggiunte e dell’identità acquisita? Se non tutti osano partire, è perché ognipartenzapresupponeunaseparazionedacoluichevorrebberimanereelacuiombra(ildoppio)accompagneràsempreilvagabondopiùrisoluto.

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L’iniziazioneLa partenza di cui parlo qui è essenzialmente mentale, ma, nel caso

dell’etnologo,comportaancheunospostamentonellospazioe,cosaancorpiùimportante,inunospaziodefinitoaprioricomeestraneoepersinostrano.Nel1959, quando Pierre Bonnafé, che preparava insieme a me l’agrégation inlettere, mi ha parlato delle «scienze sociali» e ha pronunciato il nome diGeorgesBalandier,miha lasciato intravedere l’esistenzadiuncampodicuiignoravo tutto e mi ha aperto una prospettiva tanto eccitante quantoproblematica.Ne accennai timidamente al professore di lettere con il qualeavevo fatto il tirocinio per l’abilitazione e che aveva con me un rapportoamichevole.Luisimeravigliòequasisiarrabbiò,consigliandomidipensarciduevolte:permeavevapensatoadunatesisuunautoredelxvisecolo,chesecondoluipotevaaprirmirapidamentelastradaversol’alto,elemievelleitàdiavventuralodeludevano.Eraunperiododifficilepermeeperimieicompagni:all’uscitadall’École

Normaleciaspettavailserviziomilitaree,probabilmente,l’Algeria.Eravamoin molti a pensare che il ritorno del generale de Gaulle nel 1958 fosseavvenutosottolaminacciadeiparacadutistiechelaQuintaRepubblicafosseillegittima.Comunque io ero traquelli che seguivano i corsi dell’InstructionMilitaire Obligatoire, un centro che accoglieva gli studenti delle GrandesÉcoles (Normale, Polytechnique, Centrale) per farne ufficiali della riserva.Quei corsi, almeno allaNormale, di obbligatorio avevano soltanto il nome,ma, anche se ero contro la guerra d’Algeria, non ero abbastanza coraggiosoperimmaginarmicomeuncontestatoredi«base»presodimiradagliufficialiintermedi.Quanto poi ai certificatimedici compiacenti, non ne sopportavol’idea.Nellamiafamigliac’eranomoltiufficiali.Avevodiscussionifurioseconmio zio, ufficiale di marina eroe della seconda guerra mondiale, che eratornatodall’Indocinapochianniprima.Mainfondoloammiravoeavevopergliufficialidellamiafamigliaunastimasincera:ilserviziodelloStatoperlorosignificava davvero qualcosa, avevano il senso del «dovere» e non avevanoagito per fare fortuna. Non ho mai potuto rompere completamente con ilSuper-io militare che avevano fatto nascere in me gli anni quaranta e la

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leggenda familiare. I miei eroi in politica si chiamavanoMendès France oPierre Clostermann, il radicale e il gaullista di sinistra, che avevano sceltoentrambilaFranciaLiberaeavevanocombattutoinaviazione;illoroesempiomi incoraggiava a non vivere contraddittoriamente la mia opposizione allaguerrad’Algeriadaunaparteelamiapreparazionemilitaredall’altra.Nonpossoignorarel’influenzachepuòaveravutosullamiaprecocevoglia

di muovermi l’immaginario familiare nutrito dalla lettura del «Journal desVoyages»edallecartolinepostalichemispedivanolemiecuginedaiquattroangoli dell’Impero. Lamia voglia di andare a vedere cosa c’era altrove eraprecedenteallascopertadell’etnologia.Conalcuniamicidell’ÉcoleNormaleeStanislasAdotévi, che in seguito avrebbe scrittoNégritudes et négrologues,3ancora prima che Pierre Bonnafé pronunciasse davanti a me la parola«etnologia», ci crogiolavamo a immaginare che un giorno non lontano cisaremmo ritrovati tutti all’Università di Cotonou per rifondare lacollaborazione franco-africana. Qualche anno più tardi, il filosofo PierreOsmo, che invece non aveva optato per le scienze sociali, è venuto adinsegnareall’UniversitàdiAbidjan: forseconservavadentrodi sé,comeme,qualchebricioladelsognoiniziale.Dunque lamiaprimaAfricafu l’Algeria,epartiinonpermiascelta,con

qualche libro di etnologia nella valigia per cominciare a colmare le mielacune.All’iniziononebbi il tempodi leggerenulla,manella secondametàdel1962fummoacquartieratiinunatranquillafattoriadell’oraneseescopriiIlpensieroselvaggio.4Perché evocare quel periodo? Almeno per tre ragioni. In primo luogo,

perché fa parte, insieme all’ultimo anno all’ÉcoleNormale e ai due anni diinsegnamento in un liceo parigino, del lungo periodo iniziatico che, date lecircostanze, ha preceduto la mia partenza sul «terreno» – il «terreno», laparola che all’inizio sentii sulla bocca dei miei istruttori militari. AvevoincontratoBalandierper laprimavoltadurante l’annoaccademico1959-60,masonoarrivatoadAbidjansoltantonel1965.Insecondoluogo,quelperiodofu l’occasione di esperienze che, retrospettivamente, mi sono apparseabbastanza vicine a quelle che l’inchiesta etnologica successiva mi ha fattovivere. In terzo luogo, quel periodo, anche se oggi, e da molto tempo, miispira soltantoun sensodi tristezza edi disgusto,mihapermessodi viveredegli istanti intensi di cui non ho mai più ritrovato l’equivalente, se non a

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volte, in modo fuggevole, in un contesto fortunatamente meno violento, inAfricaeinAmericaLatina,quandoilcaratterebaroccoesurrealedellescenea cui assistevo mi faceva quasi dubitare di esserne testimone – come se,poiché la realtàdello spettacolo superava lamiacapacitàdi immaginazione,menetagliassifuoriperlasciareilpostoaunasortadifantasmaanonimo.L’Algeria fu innanzi tutto un paesaggio un po’ sfuocato che ben si

accordava con le nostre incertezze del momento. Eravamo arrivati di nottenella baia diOrano, e all’alba, appoggiati al parapetto, senza troppe parole,lasciavamo che il nostro sguardo vagasse verso le forme incerte della città.Stavano per essere firmati gli accordi di Évian.5 Noi eravamo assegnati adiversi reggimenti, di cui ignoravamo tutto, salvo che alcuni eranorepubblicani o almeno disciplinati, mentre altri meno. Con Daniel Pécaut,filosofo che doveva diventare un eminente sociologo dell’America Latina,Gérard Siebert, ellenista e archeologo, Gérard Lilamand, latinista che sisarebbeconvertitoall’attivitàeditoriale,eunaltropaiodicompagnidistudi,prendevamo coscienza, al momento di separarci, del fatto che ben prestoavremmodovutorecitareunaparte,perpiccolachefosse,inunarecitadicuinonconoscevamoilcopione.Quandosiamosbarcatic’eraunafolla,unafolladi Arabi che ci acclamava. Forse erano stati costretti a venire lì, ma ilmessaggioerachiaro:sicontavasuinuoviarrivatiperopporsiall’OAS6eaisuoicomplici.Ilcolonnellodelreggimentoeilcapitanodelplotonedicuiavreifattoparte

daquelmomentomiavevanopresoconloro;miassegnaronounpostounpo’sopraelevato sulla loro jeep emimisero inmano una carabina – unmodosimbolicodicoinvolgermi,affidandomiapparentementelaloroprotezione.Ioammiravo le linee di fuga della pianura verso le colline all’orizzonte e loscintilliodellaterrasalatadellaSebkha,chedaval’illusionedigrandidistesed’acqua. «Miraggi», mi segnalarono i miei superiori trasformandosi per unmomentoinguideturistiche.Imiei quattromesi nell’oranese si dividono in quattro periodi: due o tre

settimaneinunafattoriaalleportediHammamBouHadjar,unapiccolacittàtermaleaovestdiOrano,neldipartimento(oggiwilaya)diAïnTemouchent;unsoggiornounpo’piùlungoinunacasermadellagendarmeriasituatanella

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stessaAïnTemouchent;qualche settimanaalportodiOrano;poi sei lunghimesi di inattività in una fattoria vicino a Sainte-Barbe-du-Tlélat, a sud diOrano.ArrivatoaHammamBouHadjarfeciconoscenzaconlatrentinadiuomini

che componevano ilmio plotone e fui subito affascinato dallo straordinariocampionariocherappresentavano:piedsnoirs,Arabiemetropolitanidioriginidiverse, un paio di parigini beffardi come Carette nella Grande illusione,alcuni campagnoli... Questo piccolo mondo era costretto a convivere e ciriusciva senza troppa difficoltà. Il sergente maggiore, che si chiamavaMalecaze, era un uomo del Sud-Ovest, giovane, caloroso, affascinante espensierato, con un accento che tradiva la sua provenienza. Il secondograduato era un giovane discreto e affabile, credo uscito dalla HEC,7 unistitutore con degli scatti di umore, che aveva già fatto due anni di leva evoleva soltanto venirne fuori. Il terzo, Pacheco, un pied noir, tenente dicarriera,erauntipomassicciounpo’sbruffone,dilaniatodallasituazionemaferocemente repubblicano e scandalizzato dalle azioni dell’OAS. Pachecoispirava fiducia a tutti, sia al capitano che agli uomini. Il suo aiutante,Paganelli,uncorsomilitaredicarriera,volevadiventareufficialeepreparaval’esameneiritaglidi tempo.Credodiricordarediaverloaiutatoascrivere isuoi temi, qualche volta. Malecaze, Pacheco e Paganelli, che non ho piùrivistodopo il serviziomilitare, eranouomini attraentiper i qualiho subitosentitounaforteamicizia,chesiesprimevainmododifferenteasecondadellerispettiveposizioniedelleconvenzionimilitari.Malecazeerailmioaiutanteeilmiosubordinato:lochiamavopercognomeeluimichiamavacolmiogrado(«tenente», perchénelmododi rivolgersi ai superiori l’esercito promuove ilsottotenentea tenente,comeil tenente-colonnelloacolonnello).Ovviamenteci davamo del voi. Pacheco era tenente,ma svolgeva le stesse funzioni deisottotenenti,dunqueeravamoparigradoecidavamodeltu.Ilcapitanodavadel voi a tutti e noi lo chiamavamo «signor capitano». Questi modi (gliappellativi, il voi o il tu) non avevano niente di personale: si imponevanonaturalmente. Pacheco avrebbe potuto decidere di dare del voi ai giovanisottotenenti,manonerailtipo.Èstatonell’esercitochehoconosciutoperlaprima volta la realtà e l’efficacia dell’a priori del simbolico a cui mi sareiinteressatoinseguito:inquellasituazioneneapprofittavo,perchémalgradolamiainesperienza,mitrovavoassegnatoaunpostoeaunruolodicuinessuno,

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aprescinderedall’etàedalgrado,potevapensaredicontestarelalegittimità.Ladisciplinadegliesercitièinnanzituttounfattodilinguaggio.Ladisciplinaderiva la sua forza dal linguaggio, e in questo modo diventa capace distrutturareununiversodicuinellavitaordinariasipossonosenz’altrocoglierefacilmente i limiti, ma che nei periodi di azione, che sono la sua ragiond’essereelasuafinalitàultima,offreaciascunodicolorochefannopartediquell’universoilconfortoimmediatodelsensoassoluto.Ilsenso,inquestocaso,èlalogicaletteralmenteindiscutibiledellerelazioni

stabilitecheregolanoilcomportamentoeleazionidiciascuno.Questalogicami saltò agli occhi nei primimesi dellamia permanenza nell’oranese e piùtardimisembròdiritrovarla,informeretorichediverse,piùcomplesseepiùsottili,nellesocietàdilignaggioafricane.Il3°ReggimentoCorazzierieracomandatodauncolonnellorepubblicano

ed energico che godeva della piena fiducia dello Stato Maggiore. Il suoreggimentofudunquemoltosollecitatoenoifummopresentisututtiifrontipiùcaldidellaregionediOrano,mentrealtreunitàvenivanolasciateariposo.Fu così che, l’animo inpace, sicurodi esseredalla partedel bene, gaullistaprovvisorio, mi dedicai con zelo, per alcuni mesi, ai miei compiti dimantenimentodell’ordine.In effetti la fattoria di Hammam Bou Hadjar fu un’oasi di pace molto

effimera. Era un luogo pieno di calma. Eravamo alloggiati nelle numerosecostruzioni che attorniavanoun cortile ombreggiato. Salendoper un piccolosentiero attraverso il giardino, si arrivava alla casa dove le proprietarie,un’europeamaturaelamadre,vivevanocondiscrezione,comese,rifiutandosidipensareaglisviluppidegliavvenimenti,volesseronascondersi.Lapresenzadiungiardinierechelavoravalàdaanninutrival’illusionedellacontinuità.Unpomeriggioleduedonneinvitaronoilcapitanoaprendereuntè;luiscelsemeper accompagnarlo e passammo un’ora frivola e inquieta a discutere deiproblemi del momento. Lamadre per la verità era piuttosto taciturna, e silimitavaasospirareeadannuireditantointanto.Eralafigliaadanimarelaconversazione,comeselesuechiacchiere,ilserviziodiporcellanacheavevapreso dalla credenza, i dolcetti e il tono gentilmente mondano dellaconversazione la rassicurassero.Almomento di separarci, la donna disse alcapitanoconvoceseducenteeconunsorrisoincuisierasforzatadimetteretutta lasuacivetteria:«Finchésietequivoi,capitano,nonabbiamopauradiniente».

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L’indomani due dei nostri plotoni partivano per Aïn Temouchent, doveeranoscoppiatigraviincidenti,etregiornidopoavevamotuttilevatoletende.Io facevopartedel primogruppo. Il giornoprima, giornodimercato, un

commandodell’OAS,suun’auto,avevafattoimprovvisamenteirruzionesullapiazza del mercato sparando all’impazzata e facendo numerose vittime. Lasera, un giovane medico militare in permesso, che scendeva in auto versoOranoperimbarcarsi,erastatoaggreditodallafollaeuccisoacolpidipietre.Lamiaunitàhapattugliatolacittàdesertaepoiabbiamopresoposizionenelterrenopiantatoadolivicheseparava laparteeuropeadellacittàdallaparte«indigena».Durantelagiornatailcapitanoèandatoarassicurareilsindacoeuropeoei

rappresentanti del quartiere arabo, spiegando che avrebbe fatto rispettare ilcessate il fuoco in modo imparziale e che saremmo intervenuti controchiunqueavesse tentatodiviolarlo. Ilmessaggio fuaccoltoeprobabilmenterassicuròchiaveva temutoche l’arrivodellanostraunità fosse ilpreludiodiunaspedizionepunitiva.Mentrecistavamosistemandoperpassarelanotteacielo aperto, abbiamo visto emergere dal buio, in silenzio, un gruppo diuominiedonnecongrandivassoidicuscusecaraffeditèallamenta.Questaèunadiquelleimmaginichemiritornaregolarmenteallamente,ancoraoggi,e che tuttavia non sarei in grado di descrivere con precisione: non ricordonessunviso,néilnumerodellepersone.Lascenaèaltempostessoinsistentee indistinta: un cielo notturnopiù chiarodellamassa scura della barriera dialberi che segna l’orizzonte, una presenza accanto a me e delle figureindaffarate; mormorii, suoni di voci soffocate, dei bicchieri che battono, ilrumoredeltèchevieneversato...Poichéloscambiosimbolicosicollocanelsegno della reciprocità, ci si poteva domandare se questa offerta fosse unarisposta al nostro intervento (quella gente viveva chiaramente nel timore dirappresaglie), o se invece avviasse l’apertura di un nuovo ciclo. In quelmomento non pensavo in questi termini,ma sentivamo tutti che quel gestorappresentava al tempo stesso un ringraziamento e una sollecitazione.Comunquesia,qualchegiornodoporiuscimmoabloccareunanuovaazionedi un commando dell’OAS, un membro del quale rimase ucciso. Non cifuronopiùprobleminellaparte arabadella città, eho spessopensatoche ilrispettodellaparoladatafosselacausadirettadiquellacalma.Ci sistemammo inmodo più stabile nei locali normalmente destinati alla

gendarmeriamobile,la«rossa»,acuisifacevacontinuamentericorsoperché

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il comando era sicuro della sua lealtà, mentre i membri della «nera», lagendarmeriaterritoriale,chevivevanosulposto,eranoconsideratipiùlegatiairesidentieuropei,piùomenosimpatizzantidell’OAS.IgendarmimobilieranoandatiaOrano,lasciandoanoilacuradelledonneedeibambini.Sentivamodire che la situazione aOranoera terribile.Veramente,daquandoeravamopartitidaHammamBouHadjaravevamoricevutonotiziesolodirado,anchedi ciò che succedeva vicinissimo a noi. Eravamo chiusi nel nostro piccolomondo, presi quotidianamente in una successione di episodi locali cheassorbivanotuttalanostraattenzione:dueplotonisuquattroeranosempreinallertaedèancheaccadutochetuttifosserochiamaticontemporaneamenteaintervenireinpuntidifferenti.Devoconfessarecheprovavouncertopiaceredurante questi interventi, i cui rischi erano ridotti ma che servivano ainterromperelamonotoniael’inattivitàdellavitadicaserma.Ero perfettamente cosciente del fatto che l’età, l’origine e la durata del

servizio influenzavano la percezione che ciascuno poteva avere degliavvenimenti. Alcuni erano stanchi e volevano soltanto finire il periodo diserviziosenzaguai.Invece,ipiedsnoirsegliArabinonpotevanoviverequelcaosacuorleggero.Ricordoungiovanearabotimidoepocoloquacemacheprese il coraggio a quattro mani, durante un piccolo parapiglia mentresequestravamodellearmibianche,facendomiosservarechebisognavaesseregiusti e non sequestrare soltanto da una parte. Strana discussione nel belmezzo di spintoni e urla: gli ricordai, facendo vari esempi, che eravamosempre stati giusti e imparziali.Midiede ragione,macapivo il suodisagio.Cosìcomeindovinavo,sotto lamascheraimpassibilediPacheco, ilmistodivergognaeditristezzacheloopprimeva.Quandononeravamo«sulterreno»,passeggiavamonelgrandecortiledella

caserma, scherzavamocon i bambini e a volte scambiavamoqualcheparolacon le madri. La presenza di quelle giovani donne ci imponeva un certoritegno.Ilcapitano,moltosensibilealfascinofemminile,inloropresenzanonpotevaimpedirsidifareilgalletto.Eraunuomosimpatico,allamano,dicuinon riuscivoaprenderedavvero sul serio leconvinzioniunpo’ostentate.Sidefinivacattolicoemonarchicoepuressendogiovaneavevagiàsetteoottofiglie e stava per diventare padre un’altra volta: diceva che non avevaintenzione di smettere di procreare finché non fosse riuscito ad avere unmaschio,emostravadinontenereassolutamentecontodelruolodellamoglienell’intera faccenda. Io non potevo fare a meno di pensare che volesse

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soprattutto esibirsi. Poco prima della fine della nostra permanenza ad AïnTemouchent, durante uno di quei pomeriggi di inattività che ci facevanoaugurareunaqualsiasi allerta, indueo tre ci dedicammoa fare gli spiritosidavanti alle mogli dei gendarmi, o piuttosto a incoraggiare un po’vigliaccamenteilcapitanoapavoneggiarsi,cosaincuiluisiimpegnavaconunmistodiingenuitàedispontaneitàabbastanzatoccanti.Vollemostrarequantofosse agile e forte, saltò una panchina, e incoraggiato dal successo provò arifarlo,ma cadde e si ruppeunbraccio. In quei giorni era alla fine del suoperiodo di stanza e stava per tornare a casa per assistere alla nascitadell’ennesimofiglio.Rivedo la scena incui, giornidopo,nello stessocortiledoveavevacompiutolabravatasportiva,conilbraccioingessatoricevette lamedagliaalvalormilitaredallemanidelcolonnello.Lameritava:malgradoisuoilatiinfantilieilsuomachismo,eraunuomointelligente,sveltoeattento,checidavafiducia.Quando una chiamata telefonica segnalava un incidente e trasmetteva un

ordine del comando, nel cortile suonava una sirena e i capi plotoneaccorrevano. La nostra zona di intervento era relativamente ridotta; non homai visto il mare durante tutto quel periodo, anche se era vicinissimo: lenostremissioni(arrestarequalchenotabilesospettatodisimpatieperl’OAS–naturalmente in presenza della gendarmeria locale –, calmare qualchetafferuglioneivillaggi...)nonciportavanoinquelladirezione.DunquenientemihamairicordatolespiaggediCamus,chehosfioratosenzavederle.Forsequestimovimenti,checiparevanosenzaunagrande logica,acquistavanounsignificatopiùglobaleallivellodelreggimentoodelloStatoMaggiore.Alcuni tentarono di approfittare di questa frammentazione

dell’informazione per mettere a segno un «colpo», una provocazione e unregolamentodiconti,dicuifuilì lìperesserelostrumentoinvolontario.Miritrovaiafaredaescainunatrappolatesadaaltri.Questoepisodiodiminuìlamia stima per l’esercito come corpo globale e per l’efficacia della suasimbolica.Mi colpì tanto più perché quando avvenneMalecaze, il sergentemaggiorechetantoapprezzavo,erainpermesso.Quellochelosostituivaeraungranbrav’uomo,madiaspettopiùrozzo;eraappenaarrivatoeconluinonavevo quelle lunghe e piacevoli conversazioni a cui di tanto in tanto milasciavo andare con Malecaze. I rapporti tra un giovane tenente e il suoaiutante sono perfetti per sollecitare l’interesse dell’antropologo. Il sergentemaggioredicarriera,anchesegiovane,haun’esperienzaconcreta;conoscegli

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uomini che comanda, sa parlare con loro e ascoltarli; è un intermediarioindispensabile, autorevole e ideale quando ha le qualità necessarie al suoruolo.Haanche l’esperienzadell’azionee, seè intelligente, sa fargiocare lasuaesperienzasenzascalfire l’autoritàdelsuperiore.Quandoc’eraMalecazeio ero – facendonaturalmente le debite distinzioni, perché la situazione erainfinitamentepiùfacilee ilmioaiutante,puravendoesperienza,noneraunvecchioguerriero–come ilgiovane sottotenente JacquesPerrindi frontealsuo aiutante Bruno Cremer in 317° battaglione d’assalto di PierreSchoendoerffer.Vidi il filmqualche tempodopo(èdel1964).Quelchemicolpìimmediatamente,oltreallaqualitàdelfilmedegliattori,fuilrapportotra i due uomini: non soltanto l’amicizia forgiata nelle prove – una sorta diamicizia-stima, nel senso in cui parla di amore-stima Corneille –, ma unlegame naturale in cui la parola dell’uno si nutre di quella dell’altro eviceversa.SidicecheDumasper scrivereavessebisognodellapresenzadelsuo negro. Nell’esercito certo non era una questione di scrittura, madirettamente di rapporti umani, a volte estremamente intensi: avevol’impressionechedifronteaqualsiasidifficoltàavreipresopiùfacilmenteunadecisione se fosse stato presenteMalecaze. In un certo senso lui fu il mioprimo«informatore».Dunque,ungiorno(pensofossimoinmaggio)ilnostroplotonesitrovòsolo

nellacasermadellagendarmeria.Glialtritreavevanodovutospostarsiinsiemesotto il comando del capitano: non ricordo più il motivo o il pretesto diquell’allontanamento, ma capii presto che non doveva essere casuale. Ci fuun’allerta: bisognava intervenire in una fattoria, di cui mi diedero lecoordinate, per recuperare delle auto rubate. Il pretesto era debole, mal’ordine perentorio. Non riuscimmo a contattare il capitano via radio; ioobbedii all’ordine, incaricando il piccolo gruppo che non lasciava mai lacaserma di informare il capitano appena possibile. Fui completamenteassorbitodagliaspettitecnicidellamissionechemierastataassegnata:lamiaattenzione si concentrò sulla letturadellacartadelloStatoMaggiore,perchénonavevonessunaintenzionediperderminellacampagnaoraneseconlamiajeep e i miei tre semicingolati. Dopo un po’ arrivammo senza incidenti inprossimitàdelpuntochecercavamo,mamistupiiditrovareadaspettarcisulpostoun’ambulanzamilitare.Dall’ambulanza sceseunmedicomilitare a tregallonichemidissecheglierastatoordinatodiprendereposizionelìnelcasole cose si fossero messe male.Mi indicò la posizione della fattoria, che si

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intravedevaunpoconascostatralavegetazionediunacollina,emispiegòchecisiarrivavaperduestrade.«Sefossiinvoi–aggiunse–,miavvicinereidaduelati,maovviamentedecidetevoi».Commisil’erroredifarecomediceva.Fuilsoloerrorechecommisiquelgiorno,credo,maavrebbepotutocostarecaro.Ilconsigliochemierastatodatopuntavachiaramenteamoltiplicareperdue la possibilità di incidenti. Me ne resi conto troppo tardi, anche se lapresenzadell’ambulanzaeidiscorsidelcapitanomedicoinqualchemodomiavevanomessoadisagio.Dunqueordinaialsergentechequelgiornoeraconme di aggirare la fattoria con due semicingolati, dandogli disposizione dievitare qualsiasi provocazione; intanto il mio disagio cresceva di minuto inminuto.Con la jeep e il terzo semicingolato io presi la strada alberata cheportavaall’ingressoprincipale.I minuti che seguirono furono strani, quasi buffi. Noi avanzavamo

lentamente.Improvvisamentevidiusciredallafattoriaunuomoimponenteintuta mimetica, accompagnato da un soldato armato: con un gesto ci fecesegnodifermarciemigridòchepotevoavvicinarmiconunuomo,earmato.Ioscesidallajeep,fecisegnoaunsoldatodiseguirmiemiincamminaiversodi lui. Quando lo raggiunsi si irrigidì sull’attenti, fece un saluto militareimpeccabileesipresentò:«Tenente[sfortunatamentehodimenticatoilnome]dell’ALN». L’ALN era l’Esercito di Liberazione Nazionale algerino. Io loricambiai nello stesso stile: «Sottotenente Augé... dell’esercito francese».Stranacommedia:avevoperfettamentepresentechestavorecitandounruolo,e che contemporaneamente riconoscevo il suo. L’atmosfera diventò piùdistesa.Spiegaial tenentealgerino lo scopodellamiavisita (quella storiadiautorubatechemisembravasemprepiùassurda).Luimiproposedivisitarela fattoria, io accettai ed entrammo. Era una piccola fattoria con un cortiledovesisvolgevanoleattivitàpiùvarie.Alcuniuominipulivanolearmi;altri,uomini e donne che lavoravano nella fattoria, erano intenti a diverseoccupazioni; c’erano galline, cani, ma neanche l’ombra di un’auto. Mi fuoffertodeltèallamentaecominciammoachiacchierare.Ilmiointerlocutoreeragiovaneeunpo’spaccone;parlavacompiaciutodelsuopassatodistudentealQuartiereLatino,delboulevardSaint-Michel,dellaSorbona...Malanostraconversazione fu interrotta bruscamente.L’altrametà del plotone, arrivandodal latooppostodellafattoria,avevacreato ilpanico; spiegai rapidamentealmiointerlocutorecomestavanolecoseemiprecipitaiversoimieiuominipercalmare gli eventuali spiriti guerrieri del sergente, mentre il mio omologo

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riprendevailcontrollodeisuoiuominicheeranostatidisturbatiinpienasiestadall’arrivointempestivodeiduesemicingolati.Siristabilì lacalma,manonpermolto,e iomiconvinsi rapidamenteche

eravamostatiattiratiinunatrappola.Unaereodaricognizionesimiseagiraresopra la fattoria, provocando in tutti un preoccupante nervosismo.Fortunatamente il tutto dava l’impressione dell’improvvisazione: riuscii amettermiincontattoradioconilpilotaegliordinaidirientrareallabase.Mimeravigliai io stesso vedendo che obbediva. Bisogna dire che, rendendomicontoviaviadelruolocheavevosvoltonellavicenda,fuipresodaunaccessodi collera, da una rabbia fredda come non ho mai più conosciuto e la cuisinceritànonpotevasfuggirealtenentealgerino.Fortunatamente,perchédilìapochisecondifudinuovoilpanico.Iltenentemitradusseprecipitosamentequellocheglicomunicavanogliuoministravolticheripiegavanoallafattoria:la Legione Straniera stava attaccando! Io gli proposi di andare insiemeincontroagliassalitori;luiaccettòecilanciammocorrendoattraversoicampi,iogridandoeagitandolebraccia,versoiberrettiverdiche,impressionantiesilenziosi, avanzavano rapidamente verso l’obiettivo. Il tenente che licomandavaordinò l’alt conungestoe ioglidomandai checi facesse lì.Mispiegòchestavanovenendoinnostroaiuto.Glidissichenoncen’eramotivo,che non eravamo stati attaccati, che avevamo semplicemente verificato chenonci fosseroauto rubateechenonavevamochiestonessunaiuto.Nonhomai capito se anche lui fosse complice della montatura, ma comunque fucostrettoafermareisuoiguerrieri.Ilricordodiquestabreveriunionetraitretenenti in piena campagnami rimarrà sempre in mente: gli altri due forseeranoancorapiùgiovanidimee,chissàseatorto,lisentiiimbevutidellamiastessa ingenuità, imbarcati come me in una storia che sfuggiva al lorocontrollo,burattinidi cuinon si sarebbemai saputochi tirava i fili. Il tuttononeraduratopiùdiqualcheminuto,magli avvenimenti incalzavano.Allaradio, imessaggi simoltiplicavano: chiaramentequalcunoera impazientedisapereseeravamostatimassacratipervenireapunire inostriaggressori. Iosalutai il mio ospite, che aveva bisogno di rimettere un po’ d’ordine nelladifesadellafattoria,eraggiunsiilmioplotone.Dilìapochiminutivedemmoarrivarel’interoesercitofrancese.Arrivavanodatutteledirezioni,alcomandodi graduati chiaramente contrariati dalla piega che avevano preso gliavvenimenti, chemi guardavano dall’alto in basso ed erano irritati conmeperchénongliavevofornitoilpretestodiunintervento.Adessoparlavanodi

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occupazione illecita dei luoghi da parte dell’ALN.Ma io sapevo benissimocheerastatacreataunacommissionemistaperoccuparsidiquestogeneredicontroversie,echegliufficiali stizzitichemicircondavanoemiordinavanocontracotanzadifarmidaparteconimieiuominieranodeiprovocatori.Cominciòunlungoperiododiattesa.Alcuniancoranonavevanoperdutola

speranzadipoterdarel’assalto.Improvvisamente,comelacavallerianeifilmwestern,ilmiocapitanoarrivòcontuttal’unità.Noifummotutticontentissimidi vederli, e loro si rassicuraronovedendocheeravamovivi e ilmorale eraalto.Probabilmentenoncisiamomaisentiticosìvicinigliuniaglialtricomequel giorno. Io raccontai quello che era successo al capitano, che erafuribondo, anche se non poteva dirlo apertamente, per il fatto che degliuominidellasuaunitàfosserostatisceltiperfaredaescainquella«trappolaper fellagha». Fellagha: questo termine all’epoca era usato correntemente.Letteralmentesignificava«contadino»,ederaentratonelvocabolariodituttaunagenerazionedigiovanifrancesi,anchenellaformaabbreviatadifell,conuna punta di disprezzo e di aggressività. Sparì rapidamente dal vocabolarioneglianniseguenti,dopoaverviperòoccupatounpostosignificativo.Mentre il tempopassava, iodichiaraialcapitanochenonavreiguidato il

mio plotone all’assalto della fattoria anche se ne avessi ricevuto l’ordine,perché sarebbe statounordine illegale. Il capitanomi feceosservareche ioobbedivo soltantoquandomi facevacomodo.Masapevacheavevo ragione.La nostra discussione finì lì e non ci ritornammo più sopra, tanto più chearrivòl’ordinediritirarsiedunquetuttalamutadovetteritornarealcanileconlacodatralegambe.La sera, in caserma, andai a parlare con gli uomini del nostro piccolo

gruppo. Eccitati dalla giornata intensa, mi mostrarono fieramente il lorobottinodiguerra:dueradioabbandonatedaifellaghasorpresidall’arrivodeisemicingolati.Ricordochemiintristii,perchéquelpiccolofurtoaimieiocchieracomeunamacchiasulcomportamentoesemplarecheavevanoavutoesulsanguefreddocheavevanodimostrato.Feciosservarechesisarebberopotutirisparmiarequelfurto,manoninsistetti.Ricordavolalorosorpresaelaloroincomprensionequando,qualchesettimanaprima,mieroinfuriatoconalcunidilorochesidivertivanoaguardarelecontorsionidiunrospoacuiavevanodatofuocodopoaverlocosparsodibenzina.Erachiaramenteunagiornatadinon-detti. Mi sono a lungo domandato di che proporzioni fosse laprovocazioneecontrochifossestataorganizzata.Qualchetempodopomiè

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stato confidato,ma non ho potuto verificare questa versione, che c’era unavecchiarugginetral’unitàdiparacadutistidellaLegionecheavevamovistoinazioneequellafattoriaalgerina,chesarebbestatadistruttadallastessaunitàpochi giorni dopo. Date le proporzioni dell’operazione (erano comparsecontemporaneamente centinaia e centinaia di uomini, con un numeroimpressionantediufficiali),misonospessodomandatosequellicheavevanoorganizzato laprovocazionenonavesserounobiettivopiùambizioso:punireun’unità lealista (la nostra) e inoltre creare un grave incidente che avrebbepotuto mettere in discussione gli accordi – idea tanto folle quanto vana,sicuramente, ma proprio per questo completamente verosimile nel contestodell’epoca.Nessuno,che iosappia,hamaiparlato innessunasedediquestoincidente,cheinfindeicontinonsiverificò,machemidiedel’impressionediaverinqualchemodovissutolastoriaalcondizionale:noncisarebbevolutomolto per scatenare un dramma che avrebbe potuto essere sfruttato da unaparte o dall’altra.Una certa ingenuità da partemia, e forse anche da partedegliuominicheavevoincontrato,avevadisinnescatolabomba.Lastoriasenzacondizionale,invece,accelerava.Eravamocontinuamentein

movimento, sempre in attività; di lì a poco il nostro compito fu quello dirassicurare i pieds noirs che partivano, pieni di rabbia e di paura, e senecessariodiaiutarli.Nonavevamonessundubbiosucomelecosesarebberofinite,maguardavamo lasituazionecomeinuncannocchiale rovesciato:deldramma percepivamo soltanto una serie di fotografie isolate. Conservol’immagine (evidentemente mi colpì) di una conversazione con una coppiaanzianacheciconfidavaleproprieangosce.Sipreoccupavanoperillorocanelupo,chenonpotevanoportareconloroecheavrebberovolutoaffidarci;mace n’erano fin troppi di questi cani lupo, guardiani dell’ordine quotidianoormai scomparso, che spesso rimanevano i soli occupanti di dimoreabbandonate.Quelcaneneannunciavaaltri,enoinonsapevamochefarcenediquellebestieurlantieaffamate.Perconvincerci,l’anzianasignoracidisseabassa voce, come se qualcun altro potesse sentirci: «E poi ha un bel fiuto:appenaseneavvicinauno, lofiutaprimachesifacciavedereedèprontoasaltargliaddosso».Ritornati a Orano, passammo qualche giorno nello stesso accampamento

conigendarmieiCRS.Ungiovanepiednoiroranesedelplotonechieseunpermessoperandareatrovarelafamigliaemiproposediaccompagnarlo.Fuuna giornata simpatica, calorosa e strana. Pranzammo in famiglia. Dopo

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pranzo andammo alla spiaggia con altri giovani parenti. Quadro familiaresorprendente: ragazzi e ragazze prendevano il sole o facevano il bagno; inquella folla promiscua ho chiaramente identificato dei soldati dell’ALN inmimeticastesisullasabbia,unpo’vergognosieintimiditiinmezzoatuttiqueicorpi seminudi. La sera, rientrato al nostro accampamento, non riuscivo acapacitarmidiaverassistitoaquellescenediquietanormalità.Ilfattochelaspiaggia diOrano fosse ancora frequentata con apparente spensieratezzamidimostrava la coesistenza di storie parallele, ciascuna delle quali sembravacontraddirelealtre,ciascunaconilsuoritmoelasuadurata,lesuecapacitàparticolari di sopravvivenza e di trasformazione.A voltemi sono detto chel’osservazionedella spiaggiadiOranosarebbestataunbuon indicatoredellasituazionegeneraledell’Algeria.Le cose diventarono più chiare qualche giorno più tardi, quando ci

acquartierammo al porto di Orano. I rifugiati in attesa di imbarco siriversaronoinmassasuimoli.Ilnostrocompitoeradipattugliarelazonaperproteggerelacentraledelgaseiserbatoichenonsapevamosefosseropienidibenzinaodigasolio,macercavamoanchedidareunamanoaquellefamigliedisorientateeunpo’impaurite:aquelpuntoeranoipoveriatentarelafuga,iricchi erano già lontani. Era tutto un bivacco; lunghe ore di attesa sialternavanoaimprovvisefrenesiealmomentodell’imbarcoperAlicanteoperMarsiglia:perdiversigiornihaaleggiatosulportoun’atmosferadigioiaeditragedia.Equalchecasoromantico:unaragazzatrovòpocheorediconfortotralebracciadiMalecaze,ilbearnesedalsorrisoseducente.Imolidelportoeranol’ultimorifugioprimadellatraversataversolasalvezza,einattesadellapartenza noi eravamo diventati, con i nostri semicingolati e le nostremitragliatrici, i garanti della sicurezza. Davamo un’apparenza di ordine aquesta disfatta. A una situazione del genere si sarebbe potuto applicare iltermine «delocalizzazione», più tardi usato per indicare i trasferimenti difabbricheall’estero:traunluogoperdutoeunluogosconosciuto,lospaziodelporto era come una parentesi di incertezza. I rifugiati non avevano piùopinioni politiche, né storia, né punti di riferimento: esistevano soltantonell’urgenza e sopravvivevano grazie all’attesa ansiosa di un imbarco a cuicredevanodavverosolounavoltalevatal’ancora.Nelgirodipochesettimaneero passato dalla calma precaria di Hammam Bou Hadjar e dall’intimitàovattatadellacasadoveavevopresoiltèaquelbrulichioincontrollato.Noncivoleva un grande sforzo di immaginazione per vedere tutto un passato che

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crollavainunistante.Avevosottogliocchiletesserediunpuzzlechenessunoavrebbe più potuto ricomporre, la perdita contemporanea del luogo e deltempo,qualcosachesiavvicinavamoltissimoallamorte,unamorteacuituttiqueisenzaterraresistevanocomunquecomepotevano;l’energiasessualedellaeffimerapartnerdiMalecaze,volendocrederealleconfidenzesbalorditedelmioaiutante,eraunaformadiresistenza.Personeditutteleetàsipigiavanoleunecontro lealtrecon fagotti evaligie; lamaggiorparteaveva soloun’ideavaga della sua destinazione; alcuni, di origine spagnola, progettavano dirimanere ad Alicante, sulla riva di fronte. Nel giro di qualche giorno tuttiquestiprimirifugiatifuronoimbarcati.Noicontinuavamoapattugliaresenzascopoilporto.Eraarrivatounnuovo

capitano,unufficialenondicarriera.Appartenevaauncorpointermedio,dicui ho dimenticato la sigla, composto di riservisti riarruolatisivolontariamente. Alcolizzato, logorroico e rauco, incapace di prendere unadecisione, evidentemente aveva ripreso servizio perché non riusciva a farenient’altro. Il momento invece richiedeva sangue freddo, e dunque lapersonalità del nostro nuovo comandante ci preoccupava. Il capitano di unreparto comanda all’incirca centocinquanta uomini, la popolazione di ungrosso villaggio: non sonomolti,ma all’improvviso ha addosso gli occhi ditutti. Come un capo di lignaggio africano, se vuole essere ascoltato devemisurare le parole e controllare l’espressione, perché esercita un potereravvicinato, a viso scoperto. In periodi di guerra o di tensione, il minimonervosismo da parte sua può creare il panico tra le persone la cui sortedipendeinpartedalsuosanguefreddo.Il porto diOranoha un frontemarittimoda cui sono visibili tutte le sue

istallazioni.Ilnostrorepartoeraaccampatoaipiedideiserbatoidicarburanteedellacentraledelgas,esapevamoperfettamentechequestestruttureeranounpericolo.Cidomandavamoognigiornopiùansiosamentechecosacifossenei serbatoi: fortunatamente si trattava di gasolio, perché se fosse statabenzina saremmo stati fritti, per usare un’espressione appropriata. Hoconservato degli avvenimenti un ricordo leggermente diverso da quelloriportatotrent’annipiùtardidaBenjaminStorainunarticolosu«LeMonde»del 27 agosto 1992, Oran ville d’apocalypse. Eravamo stati avvertitiindirettamente, nei giorni precedenti, dell’esplosione che incombeva.L’OASaveva sparato con dei bazooka da boulevard du Front-de-Mer e aveva fattosaltare, al ritmo di uno al giorno, i serbatoi più lontani, che erano vuoti.

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Capivamo perfettamente il significato di quegli avvertimenti, e tentammoinvanodiconvincereilcapitanoadandareincittà,dovesitrovavailrestodelreggimento,perchiederealcolonnellol’autorizzazioneapattugliarelazonainaltoinvecedirimanereinbassoafaredabersaglioaitiratori.Ilcapitanoallafinesideciseadandare,mafuunnientedifatto,operchénonfecenessunarichiestaoperchénonglifudatoascolto.Cifuun’ispezionedellacentraledelgas, ma senza nessun risultato. Bisogna dire che noi sorvegliavamocostantemente lazona.Aquantomi risulta, i serbatoidigasoliononfuronofattisaltarecolplastico,comediceStora:esploseropercolpidibazookacomequelli dei giorni precedenti. Stora parla giustamente dell’intervento deipompieriedeifucilieridimarinadistanzaneiparaggi,aMers-el-Kébir,mal’incendio fu domato soltanto dopo due giorni, e nei primimomenti noi cisentimmoassolutamentesolieimpotenti.Questi dettagli non hanno alcuna importanza,ma aleggiano senza grande

costruttonellamiamemoria.Menerimangonoalcuneimmagini tenaci,nontanto le più spettacolari ma piuttosto quelle che ispiravano brevi istanti dipaura o di sollievo: il gasolio sull’acqua del porto e il timore che prendessefuocoechefossimocircondatidallefiamme;lascopertadiuninterocaricodiacqua di Évian, che saccheggiammo allegramente, in quella fornace, e chebevemmotuttialitri.Eravamo alla fine di giugno e, dopo l’incendio, ci trasferimmo a Sainte-

Barbe-du-Tlélat,aovestdiOrano;dunquenonfummotestimoni,pochigiornidopo, a inizio luglio, deimassacri di europei perpetrati aOrano. Si discuteancora sull’origine esatta degli incidenti che li hanno scatenati: quel che ècertoècheinquelclimapotevasuccedereditutto,tutteleprovocazionieranoconcepibili ed effettivamente concepite. L’irresponsabilità era all’ordine delgiorno.A Sainte-Barbe-du-Tlélat passammo giorni tranquilli e noiosi. Un nuovo

capitano, un aristocratico distinto, un po’ sulle sue ma gentile, sostituì ilpersonaggio che con le sue confidenze lacrimose, tra un bicchiere e l’altro,avevaavvelenatolenostreserate.Ditantointantocivenivanoaffidaticompitidiscorta.Ineffettistavamosmontandolenostreistallazioni,ederauntraslocoingrandestile.IconvogliandavanoversoMersel-Kébir,luogostoricodicuimiavevanoparlatodurantel’infanzia,quandolaflottafrancese,nellugliodel1940,erastataquasicompletamentedistruttadagliInglesi,echeaspettavodivedereconcuriosità.Larealtànonmantennelepromessevagheealtisonanti

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cheilnomeevocava:solohangaremoli,comealportodiOrano.LecasermediSidibelAbbes,doveandaiunavoltaperiltraslocodegliultimimobilidellaLegioneStraniera,mi impressionaronodipiù.LaLegioneerapartita,ma lecaserme erano ancora occupate da un reggimento, e ci trovai, anche lui sulpiede di partenza,Gérard Lilamand, che continuava imperturbabile col suolatino ma trovò il tempo di portarmi a bere un bicchiere alla mensa degliufficialiancoraaperta,ultimoricordodelpassatosfarzo.Ungiorno,davantiallafattoriadiSainte-Barbe-du-Tlélat,unreggimentointerosifermòeGérardSiebert, che dirigeva il convoglio, venne a stringermi la mano e a dirmiarrivederci. Questi brevi incontri furono per me un po’ come l’ultimo attoufficiale della classe 1957 dell’École Normale. A quel punto smettevamodavvero di essere allievi dell’École Normale, per disperderci nella societàcivileediventarecolleghi,einalcunicasiamici,dopoesserestaticompagni.Ilritmotranquillodiquestafinedell’avventurarafforzavalamiaimpressionedi emergere lentamente da una violenta burrasca, e lamia certezza che neavrei conservato nelle orecchie il rumore ancora a lungo.Nel dicembre del1962andai inpermesso,ovviamentecontento,maancora segnatodaquegliundici mesi di una vita imparagonabile a quella che avevo vissuto fino adallora.Nonfuiaffattocontrariatoquando,finitoilpermesso,tornaiaOrano;rividi la mia fattoria con una certa emozione, e subito seppi che ero statotrasferitoaRambouillet.DovevoquestonuovoincaricoalcolonnellochemesiprimamiavevaaccoltoalportodiOranoecheoraeraalministero.Dunquepassai gli ultimi mesi di servizio militare al 501° RCC8 di Rambouillet.L’allegriaelaspensieratezzadeigiovanisottotenentichemicircondavanomistancava.Nonavevofattomolto,nonavevocorsograndirischi,maerostatotestimonediunpezzodistoria,eroinvecchiato.Accantoallacasermac’eraunbar molto frequentato, con il juke-box sempre col volume al massimo.Quell’annoDalidacantava:Quesontdevenueslesfleursdutempsquipasse?Quesontdevenueslesfleursdutempspassé?Era appenanata lamiaprima figlia.Apparentemente erodestinato auna

vita perfettamente tranquilla.Ma dentro di me sapevo che in quegli ultimimesi,veramenteiniziatici,avevofattoun’esperienzairreversibiledicontattoedisolitudine,diintensitàedinoia,cheerocondannatoaproseguire.Partiiper

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l’Africa Nera soltanto tre anni dopo, ma ormai avevo vissuto la miainiziazione. Me ne resi conto via via e, se c’è una cosa che mi sembròfamiliare quando facevo la gavetta di etnologo in Costa d’Avorio, fusicuramentequell’impressionedisentirmiamioagioinunospazioindefinito,dovesiosservanoglialtri tantopiùfacilmente inquantocisi sentealtrinoistessi,comesebastassediventareestraneiasestessipertrovareglialtrimenoestranei–insommailcontrarioesattodell’etnocentrismo.InTristitropiciLévi-Straussfaaquestopropositoun’osservazionealtempo

stesso giusta e ambigua, chemi ha colpito quando, di recente, ho riletto illibro. A proposito dell’etnologo scrive: «Le condizioni di vita e di lavorodell’etnografo lo staccano fisicamente dal suo gruppo per lunghi periodi; labrutalità dei cambiamenti ai quali si espone, produce in lui una specie didisancoramentocronico:maipiùsisentiràacasasuainnessunposto,rimarràpsicologicamente mutilato. Come la matematica o la musica, l’etnografia èunadellerarevocazioniautentiche.Sipuòscoprirlainnoianchesenzachecisiamaistatainculcata».9Maquellochesiscopreinsestessi,nonèpiuttostolanecessitàdiquesto«sradicamentocronico»,ilbisognodiquestauscitadasestessi, che non nasce dall’esperienzama ne crea le condizioni? Che questanecessitàequestobisognosiavvicininoaunavocazionenesonoconvinto,mapossono assumere volti diversi. La scrittura è uno di questi, la scrittura ingenerale e non esclusivamente la scrittura etnografica, anche se è vero chel’etnografia, la cui finalità rimane la produzione di un testo, passa perun’esperienzaoriginaleespecificadirelazioneconsestessieconglialtri.D’altronde, il concetto di vocazione non è semplice.Oscilla tra quello di

dono innato, che rinvia al passato e alla natura, e quello di opera o direalizzazione, che chiama in causa il futuro e la cultura.Ma la vocazione ècomeildestino:sipossonoinvocaresoltantoretrospettivamente,quandocisivoltaversoilcamminopercorsoesicedeallatentazione«autobiografica»dipensarlocomeineluttabile.Alcontrario,nellavitareale,quellochedefiniscela vocazione è piuttosto il desiderio di tentare e, nel senso pregnantedell’espressione,diprovare.Siprovaundesiderioesiprovano(simettonoallaprova) gli strumenti per realizzarlo. Il caso mi aveva immerso in unasituazionedacuiavevotrattodellesoddisfazioni,perquantostupida,orribileedeplorevolemifossesembratapermoltiaspetti,echemiavevaconfortatonel

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mio desiderio di muovermi e di costruire me stesso andando incontro aglialtri. Le immagini che a volte sorgono dentro di me senza preavviso mirimandano tutte a incontri altrettanto inattesi, come sequelle immagini nonfosseroaltrochelareplicatardivadiunpiccolosismaintimo.Finitoilserviziomilitare,presiservizio,adannoscolasticoiniziato,come

insegnantediletterealliceoPaulValérydiParigi.Lavitadiinsegnanteavevai suoi aspetti positivi; avevo studenti che non davano problemi, e spessointelligenti, e l’insegnamento per me era una nuova esperienza. Ma ero adisagio con i miei colleghi, perché l’Africa e la Sesta sezione dell’ÉcolePratique des Hautes Études, dove insegnavano, tra gli altri, gli africanistiGeorges Balandier, Jacques Maquet, Paul Mercier e Denise Paulme, ilgeografo Gilles Sautter e lo storico Henri Brunschwig, monopolizzavano lamia attenzione e lemie speranze. In generale i miei colleghi erano gentili,spiritosi e gradevoli, ma sebbene fossero perlopiù giovani, mi davanol’impressionedipersoneormaiappagateesenzaambizioni.Ioinveceavevolatesta altrove. Intanto scrivevo grammatiche latine e il mio editore mi feceinvitare per due estati in Québec, all’Università diMontreal, dove insegnail’arte della composizione e della versione a un pubblico composto per unabuona metà da ecclesiastici. La vita americana era una scoperta, ma ilQuébec,doveilFLQ,ilFrontediLiberazionedelQuébec,avevailventoinpoppa, mi rendeva molto perplesso, dopo la mia esperienza algerina.Ammiravo la vitalità della gente (negli anni successivi questa vitalità, inparticolaretraledonneelefemministe,sisarebbepiùcheconfermata),mailruolodellaChiesanellerivendicazionidiindipendenzapolitica,comepuregliappelli alla violenza, mi infastidivano: nel 1963-64 alla testa della lottaindipendentista c’erano gli elementi rurali tradizionalisti e il clero, il che aimieiocchicostituivaunadebolezzadelmovimento.Insegnai ancora al liceo nell’anno scolastico 1963-64 e poi fui distaccato

all’ORSTOM, l’Office de la Recherche Scientifique d’Outre-mer,un’istituzione statale creata da Vichy e specializzata nella ricerca sui paesid’oltremare.L’Officecontinuavaafunzionaree,grazieaGeorgesBalandier,che era presidente del Comitato tecnico di sociologia, ottenni facilmente ildistacco dalla scuola superiore, che invece mi era stato rifiutato l’annoprecedente, per integrare la Sesta sezione dell’École Pratique des HautesÉtudes. All’Office si faceva perlopiù ricerca applicata, ma mi fu lasciata

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completa libertà, sicché per diversi anni, straordinariamente fortunati, midedicaiesclusivamenteallemiericercheeaimieilavori,ansiosodirecuperareil ritardo che, a torto o a ragione, pensavo di aver accumulato nella miaformazione. Il primo anno rimasi a Parigi per terminare una laurea insociologia, e questo mi diede l’occasione di frequentare l’università. Unanovitàassoluta,perchéfinoadallorapraticamenteavevoconosciutosoltantole classi preparatorie e rue d’Ulm.10 Finalmente mi lasciavo alle spalle lascuola!Mimisi a giocare allo studente universitario part-time, sapendo chebaravounpo’con imieicompagnipiùgiovani,ma invidiando l’allegriaconcuisiinventavanounavitacomune.Inlorocompagniaperunpo’fecifintadiidentificarmiconilloropercorso,marispettoaloro,comeimieicolleghidiliceo, in qualche modo io ero già «arrivato» e, malgrado la mia pocaesperienza, possedevo un titolo tanto altisonante quanto vuoto: maître derecherche.Eratempodidareaqueltitolouncontenuto,epartire.

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IllitoralealladianoQuestoperiododecisivodellamiaesistenzacominciòcomeunritorno.AvevochiestodiandareadAbidjaninnave.Mipiacevailfascinodesueto

deipiroscafi,chegiàavevoavutomododiapprezzare,incondizionideltuttoparticolari, sulla linea Marsiglia-Orano e, più di recente, sul Queen Mary,rientrandodaMontrealdopounadeviazioneperNewYork.Avevovogliadiprendermi ilmio tempoediaffrontare l’Africaaustralearrivandoviamare,comeimarinaidiDieppe,iDiobois,che,standoaivolumieagliarchivicheavevo consultato alla BibliothèqueNationale, qualche secolo prima avevanoscoperto e poi frequentato i luoghi dove ero diretto.Avevamo scelto ilmio«terreno»inmodopiuttostoarbitrario;erorimastosubitosedottodall’ideadiscoprire il cordonedi sabbia stretto tramaree lagunacheera statounodeiprimi punti di incontro tra Europei e Africani. Georges Balandier, che sipreoccupava di modernizzare l’approccio etnologico, pensava che la lungastoria della regione lagunare, il suo ruolo attivo nei primi anni dellacolonizzazioneelasuarelativaprossimitàadAbidjannefacevanounobiettivoprioritario.AMarsigliami resi contoche ilpiroscafodellacompagniaPaquet sucui

stavoper imbarcarmiera lo stessochemi avevaportato aOrano.Navigavoversolamianuovavitasuunoceanodiricordirecentimagiàlontani.Isalonideserti della prima classe, dove da giovani sottotenenti avevamo vagatointimiditi, adesso erano pieni di famiglie rumorose, di commerciantiindaffaratiedifunzionarientusiastidigodere,sullanaveepoinellevillecheliaspettavano,diunlussoperloroinaccessibile«inmetropoli»,comeancorasi diceva. Ilmio vicino di tavola, un impiegato del registro che rientrava aBouaké con moglie e figli dopo le vacanze scolastiche, mi parlò conentusiasmo della sua vita in Costa d’Avorio. Conosceva a menadito tutti ivantaggi della posizionedi distaccato«oltremare» emi diedemolti consiglisulla gestione della mia carriera futura. Nel 1965 vivevamo un periodoeconomicamente prospero e in tutti i settori regnava un relativo ottimismo.Gli atteggiamenti ridicoli, i tic e lemeschinitàdimolti francesi dellaCostad’Avoriomisisarebberorivelatibenpresto,comepureisegnalididiffidenza

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e di ironia dei funzionari francesi nei confronti degli universitari, deiricercatori e degli intellettuali, per definizione «di sinistra».Comunque sia:anche se le nostre idee non coincidevano sul contenuto del concetto disviluppo e suimezzi per realizzarlo, credevamo tutti in un futuro possibile.Insomma, i diversi personaggi comodamente istallati nella situazionepostcolonialenonsembravanoancoragliultimirappresentantidiunmondoinviadiestinzione.Noneropiù(ononancora)aHammamBouHadjar.Due immagini dominano i miei primi ricordi della Costa d’Avorio. La

prima è quella della mia prima notte in una capanna africana. Jean-LouisBoutillier,chedirigevalaSezionediscienzeumanedell’ORSTOM,mimandòa passare qualche giorno in zona baoulé, nel villaggio dove lavorava PierreÉtienne, etnologo di lungo corso, intelligente e affettuoso, specialista dellaparentelaeamantedelpastis.Sidicevacheavesseconvintogliabitantidelsuovillaggio,Diamelassou,amettereunpo’dipastisnelvinodipalma.Presi iltrenoAbidjan-Bouaké.UnrappresentantefrancesedelladittaBRACODImitrascinò nel vagone ristorante per dimostrarmi, bicchiere alla mano,l’eccellenza e la leggerezza della birra locale: la promuoveva così, dandol’esempio, in quella regione del paese. Arrivato a Bouaké, ne eroperfettamente convinto. Raccontai il mio viaggio a Pierre Étienne, che miascoltòconattenzionemamisuggerìdipassareabevandepiùserie.Nonsopiù di cosa parlammo in quella prima serata al villaggio, probabilmente ditutto.Alla fine andammo a dormire in una capanna, sulla porta della qualeunadellemoglidelcapovenneastenderelasuastuoia;eralamoglielebbrosa;Pierremispiegòmoltoseriamentecheinquelmodoilcaposiassicuravadellavirtù degli ospiti. È l’immagine che mi ritorna in mente di tanto in tanto:quelladonnamalataeinvecchiatasdraiatadavantiallaporta,leultimebattute,lerisate,unavocecalda,unasortadiimprovvisaintimitàinpienanotte,nelmezzodelnulla(almenoagliocchidelnuovovenuto).Igiorniseguentiilmiomentoremifecescoprireiparaggi,introducendomicontemporaneamenteallesottigliezze del matrimonio baoulé. Pierre è morto da molti anni: abbiamovissutoinsieme,econaltri,momentidigrandeintensitàintellettuale,avolteanche dei momenti un po’ folli, ma non dimenticherò mai quel primoincontro.Avevadatoimmediatamenteiltonodelnostrorapporto.LasecondaimmagineèquelladellapirogaamotoreaffittatadaJean-Louis

Boutillier per portarmi tra gliAlladiani.La sua presenzami rassicurava, senonaltroperchépensavochemiavrebbefacilitatoirapporticonleautorità,e

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avevol’impressionecheancheluifossequantomaicuriosodiavventurarsisulcordone lagunare. Ci arrivammo dalla parte della laguna e della foresta,ancora fitta, per poi guadagnare il litoralemarittimo, sabbioso e bordato dialtepalmedacoccodalprofiloesile,cheilventoavolteagitavadandogliperalcuni istanti un aspetto di distinzione fragile e aristocratica. Sapevo (miavevano mostrato alcune fotografie aeree) che all’estremità occidentale, alconfine della regione avikam, il cordone si perdeva nelle paludi, abitate dabufalieelefantinani.Nonnevidimai(bisognavaandareacercarliperaverela fortuna di intravederne uno),ma c’erano. I caimani invece erano in grannumero,eavoltedinottevidibrillareiloroocchirossisullalaguna.QuelgiornoJean-Louiseioeravamotuttomenocheindifferenti.Iosapevo

chestavovivendouninizio;luicapivalamiatensioneesigodevalospettacolocon il buonumore amichevole che l’ha sempre contraddistinto. Per meattraversare la laguna significava superare una soglia e compiere un rito dipassaggio.In realtà, l’accoglienza deimiei colleghimi preoccupava di più di quella

degliAlladiani.Erointimiditodallaloroesperienzaepreoccupatodimostrarlorochesapevoperfettamentediessereunnovizio.Oggitendereipiuttostoapensare che si rimane sempre dei novizi finché si rimane dei ricercatori, el’aperturamentaledeimieinuovicompagnimenedava inqualchemodo laprova. La presenza di Emmanuel Terray mi aiutò. Emmanuel mi avevapreceduto di un anno in Costa d’Avorio. Ci eravamo già incontrati, perchéavevamofrequentatoentrambirued’Ulm,dovemiavevaprecedutoancheinquestocasodiunanno,maciconoscevamopoco.Luierafilosofo,vicinoaLouisAlthusser,cheall’epocaavevaun’influenzanotevolesututtiglistudentidell’École,ebenaldilàdellafilosofiacomebenaldilàdell’Écolestessa.Eravicino anche adAlainBadiou, il cui carisma era già considerevole.Quandoero entrato all’École avevo esitato tra filosofia e lettere,ma alla fine avevooptatoperlasoluzionepiùfacile.Lafilosofiamiavrebberichiestounosforzonotevole, mentre potevo preparare l’agrégation in lettere senza frequentaremolto. Semi lasciai convincere facilmente dal consiglio in questo senso diPierre Bonnafé, letterato anche lui, fu perché, a torto o a ragione, vidi inquella scelta l’occasione di non rinunciare al pensiero speculativo. Il gruppodegli althusseriani all’epoca era compatto e impressionante; venivano citatispessoinomidialcunifilosofiunpocopiùgiovaniemoltopromettenti,comeÉtienneBalibar.UnaseraSartreeravenutoall’Écoleperunaconferenza(non

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era la prima volta che ammiravo la chiarezza della sua argomentazione,sviluppata con un timbro di voce decisamentemetallico).Dopo ci eravamodispersineibistròvicinieiomieroritrovatopercasoaccantoaltavoloacuilamadrediÉtienneBalibarpresentavailfiglioaSimonedeBeauvoir.Questaimmaginemièrimastaimpressa,comeanchequella,qualchetempodopo,diAlthusser appoggiato una sera al parapetto del balcone che dava sul cortiledove noi giocavamo a basket. Immagini aneddotiche,ma la cui persistenzasicuramentenonècasuale.Terray,quandoloraggiunsiinCostad’Avoriodoveinsegnavaall’università,avevadunqueaimieiocchiunadoppiaaureola:quelladell’intellettuale di spessore e quella dell’etnologo che da più di un annolavoravatraiDida,nelnorddellaregionealladiana.Inuncertosenso,lasuapresenzagiustificavalamiaelavalorizzava.Con gli anni ho capito che gli etnologi dellamia generazione avevano in

comune alcune esperienze, che li distinguevano tanto dai loro predecessoriquantodaquellichesarebberovenutidopodiloro.Inprimoluogo,venivamotuttidaaltrediscipline.Siccomenonesisteva,a

parte il diplomadelMuséede l’Homme,un corsouniversitario specifico inetnologia,avevamotuttiunaformazionedifferente:filosofia,maanchelettere,storia o geografia. Avevamo capito che le diverse esperienze intellettuali siaddizionanopiuttostochecontrastarsi.Dunqueeravamorelativamentecoltiemeglio armati di altri per metterci al riparo tanto dalla specializzazioneestrema,cheèilrifugiodeglispirititimidi,quantodalvaniloquiogenericoacuioggisidàspessoabusivamenteilnomedifilosofia.In secondo luogo, avevamo cominciato a lavorare all’indomani

dell’indipendenzadellecolonie;eravamoconvintidellanecessitàdifarestudidi terreno più approfonditi possibile ed eravamo influenzati dai lavoriesemplaridegliantropologibritannici.Alcunidinoihannoavutooccasionediincontrare grandi maestri come Meyer Fortes, Darryl Forde, Edward E.Evans-Pritchard,MaxGluckman, JohnMiddleton, Edmund Leach, RodneyNeedham,LucyMair oMaryDouglas. In seguito JackGoody, di pocopiùgiovane, è stato, aCambridge,unodegli arteficipiù attividiquesti scambi.Cito tutti questi nomi di grandi antropologi soltanto per dare un’idea dellafortuna che rappresentava per noi il fatto di poterli considerare deicontemporanei,alpuntodiriuscireasottoporreadalcunidiloroqualcunodeinostriprimilavori.Negliannisessantaandavanodimodalemonografie.Gliafricanisti parlavano di «etnologia d’urgenza» meno dei loro colleghi che

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lavoravano su terreni più isolati. Resta il fatto che retrospettivamente si èportati a pensare che molte delle monografie scritte negli anni 1960-80,durante il periodo effimero di relativo ottimismo seguito all’indipendenza,appaiano più come il prolungamento di lavori precedenti che non comel’apertura di un nuovo cantiere di ricerca: da questo punto di vista essicostituiscono, malgrado tutta l’attenzione che avevamo per le correntiintellettualipiùrecenti,unasortadiinventarioperchiusuradefinitiva.In terzo luogo,noiavevamoconosciutonuovemode intellettuali.Glianni

sessanta erano quelli dello strutturalismo, del marxismo e del marxismostrutturalisticodiAlthusser.Volevamoesseredegliscienziatinelsensopienodeltermine.InCostad’AvorioJean-LouisBoutillieravevapresol’abitudinediorganizzare piccoli seminari di discussione, a cui partecipavano colleghi dipassaggio o che insegnavano all’università, come gli ivoriani GeorgesNiangoranBouaheHarrisMemel-Fotê,oilgeografoGérardRiou.Eravamoin piena teorizzazione. Ogni dibattito teorico ci sembrava dovesse rientrarenecessariamente nella sfera di influenza marxista, incrociata con ilterzomondismodi SamirAmin e la sua distinzione tra centro e periferia, eancorata al terreno con Claude Meillassoux ed Emmanuel Terray. Lepolemicheeranoaspre,comesonosempre trachiè intellettualmentevicino:MauriceGodelier, che non era ancora partito per laNuovaGuinea e avevascritto un apprezzato articolo sul sistema di produzione asiatico, faceva lalezioneaMeillassoux;igiovanilupicomePhilippeReysifacevanoidentisuipiùadulti.Guardavamodall’alto inbassoideviazionisticomeRobertJaulin,che sosteneva la scomparsa fisica e più ancora culturale delle minoranzeetniche, o Pierre Clastres, le cui opere principali sarebbero comparse neglianni settanta, che vedeva nei gruppi che studiava delle società «contro loStato».Arroganzacontroarroganza,leformuledefinitivefiorivanodatutteleparti.Sareidiventatopiùsensibileallavivacitàdiquestiscontrialmioritornoin Francia. Sull’erba del centro di Petit-Bassam, dove erano raggruppati iricercatoridiscienzeumane,discutevamosoltantotracomplici.Neitrent’anniseguenti, i venti dominanti sono cambiati. Insensibilmente, imarxisti hannotentato di rinnovarsi; hanno seguito ilmovimento, ognuno a suomodo, nonessendocapacidicontinuareacrearlo.Althusser,checieraapparsocomeunliberatore che prendeva le distanze dalla vulgata marxista, si èprogressivamente trasformato, agli occhi di molti, nel simbolo del pensierodottrinario. La postmodernità relativista ha esercitato la sua influenza

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attraversoleformerinnovatedelculturalismoamericano.Gli«scientisti»sonodiventati«arcaici»,ilmodernismofuorimodaeiltemposospetto.Qualichesiano state le nostre rispettive posizioni e le loro evoluzioni, abbiamocomunquedovutoaffrontarequestesfideintellettuali.Infine,alterminedeglianniimmediatamentepostcoloniali,chebenpresto

cisarebberosembratiunaparentesifelice,spensierataechiusa infretta,unaparentesi che ha coinciso con i miei primi anni sul terreno, siamo statitrascinatiprogressivamentenelgrandemovimentodellaglobalizzazione,unodegli aspetti più spettacolari del quale è stato, con l’accelerazione dellacircolazionedeimessaggiedelleimmagini,quellodisconvolgereesovvertireleduedimensionicostitutivediogniuniversosimbolico:iltempoelospazio.Questo fenomenoèdiventato improvvisamenteunoggettodi riflessionepertutti,nonsolopercolorochesifregiavanodeltitolodieconomisti.Spostavaildibattitoemettevatuttisullastessabarca.Sullapirogachemiportavaversoilmioprimoterreno,mirendevoconto

vagamente che mi stavo lanciando in un’avventura di cui non vedevochiaramenteicontorniedicuinonimmaginavoilseguito;mieroimbarcato,letteralmente.Sapevoperòcheilmomentochestavovivendoerauninizioapartiredalquale, inseguito,avreipresolamisuradiquellocheavreifattoechesareidiventato;gustavoilsaporedelfuturoanteriore.Fui presentato al sottoprefetto di Jacqueville, originario delNord, perché

Houphouët-Boigny, da politico accorto, nominava uomini del Nord comeresponsabili amministrativi del Sud e viceversa. D’altra parte, in tutti gliagglomerati ivorianidiunaqualche importanzac’eraunequilibrio,eavolteunatensione,tral’amministrazione,affidataa«stranieri»,ilPartito(PDCi),11ilcuirappresentantelocaleerasempreoriginariodelpaese,eilcapovillaggio,la cui nomina, fin dal periodo coloniale, era oggetto, a prescindere dallatradizionelocale,ditrattativeserrate.TragliAlladianilasituazioneeraancorapiù complessa, in quanto molti responsabili politici ivoriani erano originaridella regione, in particolare Philippe Yacé, presidente dell’AssembleaNazionaleedunquenumeroduedellagerarchiadelpotere.All’epocadelmioarrivoYacé era considerato uno dei pretendenti naturali alla successione diHouphouët. Mi presentarono anche al capo villaggio, Pascal Bonny,discendentediAdjeBonny,ilpiùimportanteericcotrafficantealladianodelxixsecolo.Eraunuomopiccolodallosguardovivace,gobbo,conunnipote

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che insegnava fisica nucleare in Francia. Chiaramente non ero arrivato nelfolto della foresta amazzonica. Nel piccolo villaggio vicino ad Ahua avreiincontrato, di lì a poco, Joachim Bonny, ex ministro dell’EducazioneNazionale e professore di storia, imprigionato da Houphouët-Boigny e poigraziato.Comenellamiafamigliabretone,ilivellidiistruzioneedibenesserevariavanomoltoall’internodiunostessolignaggio.L’annoprecedente,mentrepreparavoquelsoggiorno,avevoconsultatoalla

BibliothèqueNationaleidocumentielecartechepotevanodarmiun’ideadelpassato della regione in cui ero in procinto di andare a lavorare. Sapevodunque che nel xix secolo gli Alladiani avevano avuto intensi scambicommercialicongliEuropei,echelaguerradiCrimea,ostacolandolacacciaallabalena,avevadatoluogoaunboomdelcommerciodell’oliodipalma.Mai primi scambi commerciali risalivano a molto prima. Dei fasti del secolopassato rimanevano soltanto le rovine dei «palazzi» di pietra e mattoni, ledimore«induro»costruitedifrontealmaredaicapidellegrandifamiglieditrafficanti. Quelle rovine, sebbene relativamente recenti e il cui stato eradovuto alla mancanza di manutenzione più che all’azione del tempo,sembravanorinviareaunpassatopiùantico.Prima del xviii secolo, la costa era già abitata da tempo, ma poco

conosciuta.Nellecarteantichesonocomunqueidentificatimoltivillaggi.LarelazionedelSieurduCasse(1687-88)riportatanelvolumediPaulRoussierL’Établissement d’Issiny 1687-1702,12 testimonia dell’importanza degliscambi commerciali, ma segnala anche che non esisteva nessuna basecommerciale europea e che gli Europei non sbarcavano mai sulla costa. IKwa-Kwa,cosìchiamatidallaparolacheusavanopersalutare(ayekwa),eranoconsiderati«antropofagi»dalreverendopadreGodefroyLoyer,mailcavalierDumas, nel 1698, elabora il programma delle relazioni commerciali cheavrebbero dovuto essere stabilite con questa popolazione per contrastare laconcorrenza dei «contrabbandieri olandesi» e delle «navi di Amburgo» nelcommerciodell’oro,dell’avorioedidiversiprodottivegetali.Nelxixsecololetestimonianze si fanno complessivamente elogiative, e la regione alladianadiventerà una delle teste di ponte della colonizzazione francese in Costad’Avorio.Visarannocostruitelaprimachiesa(oggiinrovinacomeipalazzideitrafficanti)elaprimascuoladelpaese.

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Ilsottoprefettoeilcapovillaggiomifecerocapireesplicitamentechenonpotevo rimanere a Jacqueville senza il consenso di Philippe Yacé. Ottennifacilmente un appuntamento con Yacé nel suo ufficio all’AssembleaNazionale.Yacéeraunuomoaltoemagro.Gliocchialidimetallosottileglidavano un aspetto ancora più distinto. Aveva fatto la guerra nell’esercitofrancese e partecipato alla campagna d’Italia. Simostròmolto favorevole almioarrivo,quasitroppo,comevedremo.Midissecheilpadre,chevivevainunvillaggiovicinoaJacqueville,miavrebbeaiutatoecheun’automisarebbevenutaaprendereduegiornidopo.Il giorno stabilito, all’ora fissata, due Mercedes caricarono me e il mio

bagaglio.ArrivammoaJacquevillerapidamente,poichéleautoviaggiavanoatutta velocità e il traghetto ci stava aspettando. All’epoca gran parte deltrasportoviaggiatoriavvenivaconunalanciachepartivadallacittàdiDabou,croceviastradaledacuipartivalastradadelNordversolaregionebaoulé;leauto erano rare, perché non c’erano strade carrozzabili, a parte qualchechilometrodall’imbarcaderofinoadAkroueJacqueville.SololeLandRoverpotevanoaprirsilastradaattraversolepiantagionidicocco,sullasabbiaspessadellitorale.MaPhilippeYacépremevapercambiarelasituazione.Laforestaveniva diradata. Le piantagioni di cocco si sviluppavano rapidamente eavevanobisognodiviedi trasportopiùcomode.Un’impresastava lavorandoall’estensionedellapistasullitorale,sottolaguidadiunfrancesedicuiunpo’piùtardiebbioccasionediapprezzarel’ospitalitàelevirtùculinarie.Mi ritrovai inunagrandevilla, che ilmioospiteaveva fattocostruirenel

cuoredelvillaggio.Questoeradiviso inquartieri,neiquali sidistinguevanodiversi«cortili»,unitàresidenzialiesocialisucuidavanodiverse«capanne»,e separati gli uni dagli altri da alti steccati di bambù.L’intero villaggio erastato ridisegnato inmodo rigorosamentegeometrico suidue latidella stradacentrale, ma rimaneva fedele all’impianto tradizionale. Gli steccati che siintersecavano ad angolo retto ne rendevano facile la lettura anche a primavista.Appena arrivato, un maggiordomo venne a propormi dello champagne.

Declinail’offerta,unpo’nervoso.Un’inchiestaetnologicanonavrebbedovutocominciare in quel modo. Almeno io la vedevo così, mentre in realtà mitrovavo in un luogo strategico, dove, nel corso degli anni, si sarebberomanifestatituttiisegnalidiunosforzosistematicotesoacrearedisanapiantaunpuntodiappoggio«tradizionale»perPhilippeYacé,inmododaspianargli

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lastradadelpotere.Iltitolodi«capospiritualedelle3A»(gliAlladianieduegruppivicini,gliAiziegliAkouri),chepiùtardiYacéconferìasuopadre,inmododapoterlopretendereinereditàallasuamorte,fuunamossapoliticaeinuncertosensopoetica,masenzaalcunfondamentostorico.Effettivamenteinunlontanopassatoeraesistitaunasortadifederazionedicultotradiversigruppilagunari,cheriunivaifedelidelcultodiuncertodio,Begré,cheperòera officiato da un lignaggio del villaggio di Grand-Jacques, la capitalereligiosadel litorale,enondiJacqueville.Forse l’iniziativadiPhilippeYacéerastataispiratadall’esistenzadiquestoanticoculto.Un’iniziativachestavaaindicareun’immaginazioneeunvelleitarismoinfindeiconticomuniatuttigliinventoridi«tradizioni».Dietroognidinastia,dietroogniritoconsacrato,c’èunattodiforza.Lavilladovenel1965esitaiabereunacoppadichampagneinseguitosiè

ingrandita e abbellita. Yacé ha seguito l’esempio di Houphouët-Boigny aYamossoukro. Altri uomini politici ivoriani, in cerca di basi territoriali esimboliche,hannofatto lostesso.Yacésièspinto lontano,facendocostruirenelgiardinodellasuaresidenzaunacriptaenormeconaccantounacappella,doveèstatosepoltoilpadre.LostessoYacéviriposadal1998.SicuramenteYacé non è riuscito ad arrivare fino in fondo alla sua impresa, ma le sueiniziative incompiute hanno comunque avuto degli effetti e continuano adavere un’influenza sulla situazione politica attuale. Nel 2010, durante unatournée politica in vista delle elezioni presidenziali, Alassane Ouattara, ilrivale del presidente Laurent Gbagbo, insieme a un gruppo dimilitanti delpartitodiopposizioneRDR,13èandatoa raccogliersidavantialla tombadiPhilippe Yacé nella sua residenza, accolto dal primogenito del leaderscomparso.Ilpadredelpresidentedell’AssembleaNazionaleinpassatoerastatocuoco

nell’esercito francese. Era un uomo calvo, con una voce stentorea. Feci delmio meglio per spiegargli che intendevo scrivere una storia dei villaggialladiani (questa scorciatoiadella storia,chenoneraunabugiamapiuttostoun’approssimazione,mi servì diverse volte per giustificare lamiapresenza).L’indomanicominciammoilnostrogiroperiquattordicivillaggidellitorale.Ci volleromeno di tre giorni, anche se ogni sera ritornavo almio castello,dove decisi di accettare senza troppe ritrosie i pasti e le bevande che mivenivano serviti. Nella sua Land Rover, Yacé padre sedeva accanto alla

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portiera, armato di un fucile carico,mentre io stavo tra l’autista e il fucile.Ogni tanto chiedeva all’autista di fermarsi, scendeva precipitosamente eordinavaagliuominicheeranoconnoidiabbattereunalberodicoccochesitrovavasultracciatodellastradacheavevaintesta.Gliuominiallorasaltavanogiùdalretrodellajeepedeseguivanol’ordine.Capiiacosaservisseilfucilequando il mio ospite sparò a un montone che attraversava la futura stradasenzaautorizzazione.Inognivillaggioincuiarrivavamo,iresponsabilieranogiàriunitieciattendevanodatempo.Yacémelipresentavarapidamenteepoichiedeva chemi raccontassero la storia del villaggio, interrompendoli senzanessunriguardosenonerad’accordoconloro.Questicolloqui,sesipuòusarequesto termine, si svolgevano essenzialmente in francese, ma io rinunciairapidamente a fare qualsiasi domanda. La sera del terzo giorno avevamofinito. La mia guida aveva l’aria particolarmente soddisfatta. Disperato, loringraziai e lo salutai, preannunciando timidamente che sarei ritornato perverificarealcunidettagli.Non si sarebbe potuto immaginare un inizio più disastroso. Ma, pochi

giornidopo,erodiritornoconun’autodell’ORSTOM.ContrattaiconilcapodiJacquevilleunpostodovefarcostruireunacapannaeincontrail’uomocheil capomi raccomandò come interprete e informatore. Per più di un annocercaidievitare ilpiùpossibiledi incrociareYacépadre; lui rimasesempregentile,maneglisguardicheavoltemilanciavasentivocomeunrimproveroounameraviglia:nonmiavevagiàinsegnatotutto?Chevolevoancora?Fecicostruireunacapannadibambùrelativamentespaziosanelpostoche

mierastatoassegnato,auncentinaiodimetridalvillaggio,vicinoalcampodeipescatorifanti,inomadidelmarevenutidalvicinoGhana.Avevanounagrandeparanzachemettevano inmareognigiorno.Quando rientravano,gliamantidelpescefresco,traiqualianch’io,correvanoafareiloroacquisti.Ledonne affumicavano i pesci che rimanevano e andavano a venderli sulcontinente.Ipescatorialladiani,invece,eranopescatorid’altomareeallargopescavano con la lenza pesci più grossi, soprattutto piccoli squali. Al lororientro, sulla spiaggia accorrevano in molti per aiutarli in caso di bisogno,perchéinquellazonadellacostaleondesonofortiel’operazionepuòrisultaredifficoltosa. Immobili dietro la linea della secca, i pescatori contavano leonde,ilcuiritmoinlineadiprincipioseguivaunacertaregolarità,aspettavanol’onda buona e, quando arrivava, cominciavano a forzare con le pagaie perarrivareariva.

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A volte si vedevano dei grandi pescherecci giapponesi che venivano araschiare i fondali poco lontano dalla costa. Allora Alladiani e Fanti siriversavano sulla riva agitando i pugni contro quegli estranei, che venivano,sottoiloroocchi,asaccheggiarelelororisorse.Ibambinideimieivicinieranocuriosiegraziosi.Mifacevanocompagnia

mentre mangiavo e litigavano per lavarmi i piatti, ma mi resi rapidamentecontocheavevanofameesiprecipitavanosugliavanzi:ossadipollo,crostediformaggioo fondidi scatolette.Cercaidiorganizzareunpo’meglio lecoseperapprofittaresenzatroppodisagiodiquestosoggiornomagico.Lanottemiabituaial fragoredelleondesullaspiaggiavicina.Lamattina

andavoafrugarenellasabbiabagnataperprendere,con labassamarea,unaspeciedipiccolevongole,deliziose.Boniface,ilmio«informatore»,venivaaprendermiprestoecimettevamo

in cammino per il lavoro. Succedeva anche che un avvenimento ci tenessesveglifinoatardi,oanchetuttalanotte.Altrigiorniinvecerimanevamosulposto. Boniface rispondeva alle mie domande, mi teneva al corrente dellacronacadelvillaggioomiinsegnaval’alladiano.Prendevamoltoacuoreilsuomestierediinformatore,neguadagnavauncertoprestigioesuscitavagelosie.In seguitomi resicontoche incerti casierapersonalmentemoltocoinvoltonelle«storie»chemiraccontava.Vissicosì,eoggiho lasensazionechepassarono inun lampo, imesipiù

ricchidellamiavita.

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IlprimoterrenoAvevocominciatoalavoraresenzasaperedavverodovestessiandando,ma

miresicontorapidamentechelecoseacuistavodedicandolagranpartedelmiotempononeranoinutili.InaltrezonedellaCostad’Avorioaltrifacevanoilmio stesso lavoro:disegnavamomappedel territorioe facevamo inchiestesul terreno, che ci davano un’idea abbastanza precisa delle attività agricoledelle diverse famiglie. Sul cordone lagunare la terra era fertile el’alimentazione, basata sulla manioca, non poneva problemi. Anche se lepiantagionidicoccosiestendevanorapidamente,erapossibilecoltivaresottoglialberi.Cominciaiadavvicinarmiallazonadellaforesta,semprestandobenattentoperchéavevovistovarievoltedeimambaverdisgusciareviaalnostroarrivo, e sapevo che il loro morso era mortale. Avevo del siero nella miacapanna,mami avevano detto che chi sopravviveva a unmorso raramentesopravvivevaalsiero.Ciòdetto,nonc’eraunveropericolo,perchéiserpentifuggivanogliuomini.Siparlavacomunquediuncertonumerodiincidenti,dicui erano rimasti vittime dei braccianti che lavoravano a piedi nudi aldisboscamento.Confessocheil lavorodiagronomononmiappassionava,sicchéfuifelice

dipoterdisporrediuntecnicodell’ORSTOMcheconl’aiutodialcunilocaliterminò il lavoro in poche settimane. Identificare tra i lavoratori dellepiantagioni i non proprietari permetteva di far emergere concretamente unaserie di problemi che le prospettive di sviluppo delle piantagioni rendevanoancorapiùacuti.Questocensimentodelleterreavevasensosoltantoinrapportoall’inventario

deilignaggidiJacqueville,cheioiniziaiparallelamente,cortilepercortile,eche si rivelò ricco di insegnamenti. Fui contento di fare questo inventario,perché prestomi pose un problema la cui soluzione non fu particolarmentedifficile ma si rivelò piena di insegnamenti. La società alladiana era«matrilineare» e «patri-virilocale», secondo le definizioni tecnichedell’etnologia. In altri termini, la filiazione passava per le donne,ma i figlivivevano con il padre e le mogli andavano a vivere con il marito dopo lanascita del primo o del secondo figlio. La società alladiana era dunque,

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secondo il vocabolario etnologico, una società disarmonica. Era anche unasocietà«emiarmonica»(fuimoltofierodiaverinventatoquestadefinizione),nella misura in cui il seggio del lignaggio, simbolo del potere (a volte erachiamato pomposamente «trono») non simuoveva, e allamorte del capo ilsuosuccessorenelmatrilignaggiovenivaaoccuparlo,abbandonandoilcortiledel padre. Ogni cortile dunque avrebbe dovuto essere abitato in linea diprincipio da individui appartenenti a matrilignaggi differenti: i figli, chevivevano con il padre, appartenevano al lignaggio dellamadre, comepure ifiglidiquestifigli.Eppure,moltidiquellicheinterrogavoinunostessocortilemidicevanodiappartenereallostessolignaggio.Larispostaalproblemasitrovavanellastoria.Versolafinedelxixsecolo,i

capi di lignaggio avevano dovuto cogliere l’opportunità economica offertadall’aumento della domanda di olio di palma. Si hanno alcune descrizioniimpressionanti della nuova organizzazione e delle diverse attività che neconseguirono. L’olio veniva soprattutto dalla riva nord della laguna, inparticolaredallaregionedida.Bisognavadunquefarattraversarela lagunaaibarili, e poi rotolarli fino al mare. Questo trasporto richiedeva unamanodoperanumerosa.DamoltotempogliAlladianieranoabituatiarisalireversonord,finoaTiassalé,nellaregionebaoulé,pervendere il salemarino,della cui produzione si occupavano le donne, e dai loro viaggi avevanoriportato schiavi di entrambi i sessi. Ma, nel xix secolo, tutti i granditrafficanti alladiani, mentre da una parte presero a comprare un numeromaggiore di schiavi maschi, dall’altra avviarono una politica sistematica diacquisizionedidonne,schiavecomprateodonnedietniepatrilinearisposateincambiodifortidoti,lequalidiederolorounadiscendenzanumerosa,sucuiesercitavano al tempo stesso i diritti di padre e di zio materno. Lamaggioranza degli abitanti dei villaggi alladiani appartenevano a questadiscendenza; subito mi resi conto che di ognuno era conosciuta l’origine.Come in altre regioni della Costa d’Avorio, anche qui si contavano legenerazioni. Prima, seconda, terza generazione: alla lunga i discendentiacquistavano una maggiore autonomia relativa rispetto alla discendenza«diretta»,libera,dicuiglistrateghidellignaggioassicuravanolariproduzione.Questa linea di riproduzione senza intervento di schiavi aveva un nome(etyoko proo, la linea «diritta» o «diretta»), la cui esistenza mostravachiaramenteilcaratterepensatoedeliberatodell’operazione.Ilcensimentopazientedellegenealogierichiesedeltempo,maviaviacheil

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lavoroprocedeva, informatoeguidatodaBoniface,cominciaiadentrareneidettagli degli intrighi e delle passioni che si nascondevano nella vita deivillaggiedei lignaggi.Tuttoquelloche imparavoconfermava lavaliditàdeidibattiti teorici che avevo frequentato nellemie letture, soprattutto di Lévi-StrausseLeach,edunque l’esperienzaconcretamiconvinsedefinitivamentedella serietà della disciplina. I due autori, anche se spesso critici l’unodell’altro, erano d’accordo nel sottolineare l’opposizione tra le relazioni difiliazionee le relazionicreateperalleanzamatrimoniale.Erasenz’altroverochelerelazioniall’internodelmatrilignaggio(lerelazionidifiliazione)eranoproblematiche,teseespessoaggressive,inparticolaretraloziomaterno,capodi lignaggio, e il suo erede potenziale, fratello o nipote uterino. Ed eraaltrettantoverochelarelazionedialleanza,cioèlarelazioneconilpadreoilsuoeredeinlineauterina(larelazioneconilmatrilignaggiodelpadre)erapiùdistesa. In generale,mi si diceva che inquesta societàmatrilineare, in cui iconflittidiinteressesisituavanoprincipalmenteall’internodelmatrilignaggio,qualcunopotevasemprecontaresull’appoggiodeisuoi«paterni»,membricioèdel matrilignaggio del padre, contro gli attacchi dei «materni», cioèappartenentialpropriomatrilignaggio.Unadelleconseguenzedell’endogamiadellignaggio,chederivavadallapoliticamatrimonialedelsecoloprecedente,era che in alcuni casi i «paterni» e i «materni» appartenevano allo stessolignaggio.Nonperquesto le tensionieranomenoforti, al contrario.Mi resisubito conto dell’angoscia che si nascondeva dietro alle formule in uso, aisaluti e al protocollo, alla prudenza dei discorsi, ai non detti e alleinsinuazioni.Tentaidi tracciare legenealogieche risalivanoaiprimigrandi trafficanti,

partendodagliabitantideicortiliesistenti.Raccoglierel’informazionenoneradifficile, ma molto più delicato era rappresentarla. I grandi signori delcommerciodell’olioavevanoavutodecinedidonne(ediuomini)inschiavitù:neimieigraficirappresentavoillegametraglischiavieillorocompratoreconuna linea punteggiata. Privilegiavo le donne, la cui discendenza era ancorapresenteneicortilichecensivo.Nerisultavanograndigenealogieaformadiombrello.Per lagenerazionesuccessiva,al livello immediatamente inferiore,utilizzavo la rappresentazione abituale dei legamidi filiazione e di alleanza,ma anche le linee punteggiate corrispondenti alle nuove acquisizioni. Ingenerale queste genealogie, anche se a prima vista complicate da leggere indettaglio, facevano apparire chiaramente le strategie seguite per il

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mantenimento di una linea diretta e «pura», alimentata damatrimonimisticonglialtrimatrilignaggi,nonchél’endogamiapraticataall’internodelgrandelignaggio, che portava alla riproduzione dei dipendenti, che riunivano neiconfronti del capo del lignaggio la posizione di «figlio» e quella di «nipoteuterino».All’inizioavevoavutointestal’idea,secondolamodadelmomento,difare

un elenco dei «modi di produzione» che si combinavano nella «formazionesociale»alladiana.Eravamoinunperiododitransizione.L’ereditàdiunmododi produzione schiavista era ancora distinguibile,ma ora il fatto economicopiùsignificativoeralosviluppodellepiantagionidicoccoportatoavantidallasocietàdiStatoSODECOCO.Sidelineavaunanuovagerarchiaeconomica:ilconfinetrapubblicoeprivatoeraspessoincertoederafacilesospettarechelanuovaborghesiadiStatoapprofittassepersonalmentedellasituazione.Questaborghesiaprovenivainmolticasidalignaggidischiavi,inquantoeranostatiigiovani discendenti di schiavi a essere mandati a scuola per primi, persoddisfare la richiestadelle autorità coloniali, salvaguardandocosì l’integritàdellignaggiodiretto.Lamodernitàdunqueavevacortocircuitatolestrategiedilignaggio, e alcunidirigentidell’epocaavevanogenitori schiavi.Una sera, alterminediunacerimonia funebre, sentiiunvecchiounpo’ alticcio insultareun alto funzionario, che si metteva in mostra con il suo staff e la suaMercedes,edarglidel«figliodischiavo».Ilfunzionarioimpallidì,distolselosguardoescoppiòinunarisata,comeseavessesentitounabarzelletta,poisiaffrettò a lasciare la compagnia e riprese la stradaverso l’imbarcadero sullasuabellaMercedes.Dicomuneaccordo,senzamaiparlarne,Bonifacee ioabbiamoevitatodi

mettere il naso nelle genealogie dei personaggi politici più importanti delmomento.Luievidentementesapevachecosavisinascondeva,eiononavevonessuna voglia di fargli commettere delle indelicatezze e rispettavo la suatatticaprudente.Discendenti o meno di schiavi, gli Alladiani erano tutti maniaci

dell’interpretazione.L’ideadicontingenzariuscivalorointollerabile;bisognavache ogni avvenimento avesse una causa, ma la causa era sempre concepitacomepertinenteallavolontàumana.Questavolontàera«chiamataincausa»,letteralmente,nelcasodiunavvenimentonegativo,comeunamalattiaounamorte.Laprimaipotesierachel’azionenocivasifosseprodottaall’internodelmatrilignaggio;ma altre ipotesi erano possibili: lamaledizione del figlio da

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partedelpadre,raraeaddiritturaeccezionale,erapresentatacomeforieradieffetti particolarmente distruttivi. Non si poteva neppure escludere che ilmalato o il morente fosse lui stesso la causa della propria disgrazia: che,essendosi messo contro qualcuno di più forte, fosse andato a schiantarsicontro lesuedifese.L’ideadiffusadellasocietàdegli«stregoni»complicavaulteriormente l’interpretazione: gli individui malevoli venivano presentaticomeunasortadicontrosocietà,icuimembri(almenounoperlignaggio)siriunivanodinotte–omeglio,siriunivanoiloro«doppi»–attornoaunodeigrandibombaci,ilcuiprofiloimponenteeratraleprimecosechecolpivanoquando si entrava in un villaggio, per complottare e confondere le traccescambiandosiicrimini,comeinunfilmdiHitchcock.Insomma,aprioritutteleinterpretazionieranopossibili,etuttosigiocavanelloscontrotralepartiincausa.L’ordalia non si praticava più, almeno ufficialmente, ma si continuava a

interrogare i cadaveri, discretamente, ai margini del villaggio. I funerali,questisìeranoteatrali,enelsensoletteraledeltermine.Eranospessocelebratimoltotempodopolamorte,esempredopolaconclusionediun’inchiestasullesuecause.Miraccontaronocheinpassatoc’erastataunalottadipoteretraillignaggiomaternodell’accusatoeilsuolignaggiopaterno(ovverosiaimaternidelpadre),sostenutodaindividuidellastessaetà:lasolidarietàgenerazionaletemperava l’arbitrio e la durezza del conflitto tra lignaggi. Si trattava distabilirechidovessemettere lapolveredi legnorossonellazuccadivinodipalma.Lapolverepotevaessere letale,maeraunaquestionedidosaggio: iltruccostavanelmetterneunpo’dipiùsesivolevasalvarel’accusato,perchéinquestocasolapolvereagivacomeunemetico,eunpo’dimenosesivolevacondannarlo. Se l’accusato vomitava, voleva dire che era innocente, se nonvomitava moriva, e allora voleva dire che era colpevole. Si può capirel’intensità dello scontro tra paterni e materni per avere la responsabilitàdell’azione,el’attenzionechesiconcentravasullapersonacheallafineneeraincaricata.Nelperiododelmiosoggiornosullitoralealladianononesistevanopiùordalie,almenoufficialmente:neicasipiùcomplicati,siportaval’accusatodifronteadAlbertAtcho,ilprofetaguaritorepiùcelebre,chedecidevadellasuasorte.L’accanimentodegliAlladianineltrovarelacausadellamortedichiunque

miaffascinava.Ingenerale,sipotevainterpretarecomesegnodeldesideriodimantenimento dell’ordine, di un rifiuto del contingente e del caso, della

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volontà di riportare qualsiasi avvenimento alla struttura.Perché, anche se siricercavanodeicolpevoli,eraintesochequestifacesseropartedelsistema:misidicevachec’eraalmenouno«stregone»perlignaggio,eilprimosospettatoera lo stesso capo lignaggio, anche se raramente veniva accusato. In realtà,colorosuiqualicadeva l’accusa ilpiùdellevolteeranodei«poveridiavoli»,prividisostegnosociale.Trailsospettoel’accusac’eraunabisso.Hospessoavuto l’impressioneche ipiùefficaci, inquestogiocoperversodi sospetti eaccuse, fossero quelli che si sarebbero potuti chiamare «spiriti forti», cioèindividui che, grazie alla loro posizione di potere nella vita sociale, eranomeno vulnerabili ai sospetti che eventualmente si concentrassero su di loro.Meno dipendenti dalle rappresentazioni collettive, questi individui in alcunicasifacevanoinmododitrarneprofittoesispingevanofinoalasciarcapireagli altri, con una serie di allusioni, silenzi e litoti, che erameglio lasciarlistare.Leirishaparlatodelteatrodellapossessione,maifuneralialladianierano

ancorapiùteatrali,letteralmente,dellescenedipossessionecheavreiscopertopiù tardi in Togo. Quello che veniva messo nuovamente in scena eraesattamente il raccontodellamorte,unveroepropriocopioneelaboratoneimesi dell’inchiesta. In linea di principio, tutti erano d’accordo sulleconclusioni.Ognunorecitavalasuaparte,compresoilmorto,interpretatodaun coetaneo che indossava uno dei suoi abiti, e compreso l’accusato, chevenivainvitatoaripeterelasuaconfessioneo,piuttosto,arecitarenuovamentelascenadellasuaconfessione.Unavoltasonostatotestimonediunepisodioche quelli che erano intorno a me trovarono comico, in quanto l’accusato,invecedirecitarelasuaparte,sirimiseaperorarelapropriacausa:glifecerocapiresubitoilsuoerroreeluirientròneiranghi,dopoaverincassatoqualchereprimenda.Boniface,che,comecominciavoacapire,eracoinvoltoluistessonelgioco

dicuimispiegavaleregoleemicommentavalosvolgimento,mimiseapartedegli arcanidellavitadi lignaggioe, sotto la suaguida,midedicaidipiùastudiarelalogicadellediagnosiedelleaccusechenonacatalogareimodidiproduzione. Dopotutto, mi dissi in un ultimo sforzo di coscienziosomarxismo, anche se la struttura economica rimane determinante, non èillogico studiarne in primo luogo gli effetti più spettacolari sullasovrastruttura.Così,armatodiquestamoraleprovvisoria,dopoaverraccoltogli elementi che, di lì a poco, mi avrebbero fornito il materiale di una

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monografiae tesidi terzociclo,potei lanciarmi, senzapiù limitarmial soloterritorio degli Alladiani, in una ricerca sulle diverse forme del potere dilignaggio, che mi avrebbe portato a incontrare i «profeti guaritori» piùinfluentidellaregione.

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LetreetnologiePer gli etnologi, salvo eccezioni, la durata del soggiorno sul terreno è

relativamente breve in rapporto all’insieme della loro carriera. Per diverseragioni (stanchezza, salute, noia, impegni professionali o allergia allasolitudine obbligata), il terreno propriamente detto spesso rappresenta almassimodueo treanninellavitadiun ricercatore.Perdipiù i soggiorniavoltesonointervallatidapausedurantelequaliilricercatorenonèsulterreno.Questa è una buona cosa almeno per due ragioni. Queste «pause» locostringonoavedereilcontestointuttiisuoiaspetti,evitandolatentazionediconsiderareilluogochestudiacomeunospaziochiusosusestessodasempree per sempre. Inoltre, il fatto di «prendere le distanze» di tanto in tantopermette di porsi delle domande alle quali non si sarebbe necessariamentepensato se si fosse costantemente rimasti sul posto. Aggiungerei poi chel’alternanza di partenze e ritorni dà una dimensione umana alla relazionedell’etnologo con i suoi informatori e con tutti coloro con cui ha condivisoqualche momento di vita quotidiana. Nel senso che il ritorno dimostra laserietà dell’inchiesta e la realtà dell’interesse dell’etnologo per coloro con iqualiesuiqualilavora.Gli«esperti»nonritornanomai.Il mio primo soggiorno presso gli Alladiani è durato quattordici mesi,

intervallatidaalcuniritorniadAbidjan.Dopocircaseimesihocominciatolastesura di una monografia, il che mi ha permesso di rendermi conto dellelacune nelle informazioni che avevo e di tentare di colmarle durante imesiseguenti.SonorientratoinFrancianell’estatedel1967,hodiscussolamiatesidi terzo ciclo (Il litorale alladiano) e sono ripartito per la Costa d’Avorionell’apriledel1968.Dopogliavvenimentidelmaggio,dicuiparleròpiùinlàe chemidiedero l’occasionediosservare inmanieradistaccata,maproprioper questo significativa, quello che rappresentarono per la piccola comunitàdei ricercatori espatriati, abbracciai quella che definirei una etnologia dipercorsoenonpiùdisoggiorno.L’etnologia di percorso, evidentemente, non esclude dei soggiorni più o

menolunghiinundeterminatoluogo,malasuafinalitàèpiùcomparativachemonografica: al centro del suo progetto sta una certamobilità.Ritornato in

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Costad’Avorio,senzaabbandonaredeltuttoJacquevilleeGrand-Jacques,hocominciatoperòapercorrerelalagunaEbrié,fermandomiall’inizioperunpo’aGrand-Lahou,nellaregioneavikam.Volevofareunlavorocomparativoperstudiare il modo in cui le diverse dimensioni delle società lagunariconvergevanoversoquellachepiùtardiavreidefinitouna«teoriadeipoteri».Quellochemiinteressavaerastabilirecome,malgradolenotevolidifferenze,ad esempio rispetto alla filiazione e alle classi di età, per non parlare delledifferenze linguistiche,unostessosistemadi interpretazioneoperava in tuttelesocietàecostituivalachiavedivoltadell’autorità.Questo spiegava il fatto che gli appartenenti a diversi gruppi ricorressero

allostesso«profeta».Iltermine«profeta»,chiaramentepresoinprestitodallaBibbia, indicava dei personaggimolto particolari che tentavano, inmanieraeroica e maldestra, di svolgere un ruolo impossibile, che rappresentavasimbolicamente la situazione coloniale e postcoloniale. Questi personaggiavevano capito che i tempi erano cambiati radicalmente e che gli Africani(perché pretendevano di parlare per tutti gli Africani e non per un gruppoparticolare) dovevano cambiare anche loro. Ma questi profeti subivanoinfluenzedifferentiecontraddittorie.Ilprimodeiprofetiivoriani,quellocherimanevaunmodellopertutti,sichiamavaHarris.VenivadallavicinaLiberia,doveerastatoformatodaipastorimetodisti.Allavigiliadellaguerradel1914,conlaBibbiasottoilbraccio,avevapercorsolaCostad’Avoriodaovestaest,attirando grandi folle. Il suo messaggio era semplice: bisognava bruciare ifeticci, che assimilava a potenze diaboliche, e credere inDio, e nel giro disetteanni«inerisarebberostaticomeibianchi».Iltraumacolonialehaavutoeffettisimiliinaltrepartidell’Africa.Comed’altrondeanchenellaBibbia,laprofezia era sempre a breve termine e ognuno avrebbe potuto vederlarealizzata: il messaggio dunque si rivolgeva a tutti. Harris fu riportato inLiberiamanumilitaridaiFrancesi.TraledueguerrenacqueunaChiesadicuiera ispiratoree acui aderironoufficialmentealcuniprofeti.Traquesti c’eraAlbertAtcho,cheincontraipocodopoilmioarrivoeacuiJeanRouchavevadedicato un film, Monsieur Albert, prophète. I profeti guaritori ivoriani,davanti aiqualicomparivanoalla rinfusamalati eaccusati,parlavanoa tuttiun linguaggio comprensibile, anche quando si rivolgevano a persone diun’altralinguaeavevanobisognodiuninterprete.Maerail linguaggiodellaforza e del potere, il linguaggio degli «stregoni» e dei «controstregoni»: inquesto sensoeranoprofondamentecoinvoltinel sistemadicuidenunciavano

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glieffettinefasti.Avevoincontrato,rapidamente,AlbertAtchoperchéavevoseguito un gruppo di persone del suo stesso villaggio ebrié, Bregbo, che viavevano condotto un accusato, alcuni per farlo condannare, altri perdifenderlo.Bregbo perme fu soprattutto il prolungamento di Jacqueville, ilpuntodiconclusionedeidrammiedelleinchiestechepunteggiavanolavitadivillaggio.Inseguitoincontraiprofetidialtreregioni(NuovoPapa,sulcordonelagunare, al confine tra le regioni alladiana e avikam, Odjo nella regioneadyoukrou,sullarivanorddellalaguna,e,piùbrevemente,alcunialtri).Col passare del tempo capiimeglio quello che rappresentavano i profeti.

Alcunihannosostenuto,esicontinuaasostenere,chegliAfricaninonsiano«entratinellastoria».Inpassatoglietnologihannousatol’espressione«societàsenza storia» a proposito dei gruppi che studiavano, distinguendoli dunqueradicalmente dalle società occidentali da cui provenivano. Ovviamente, daallievodiGeorgesBalandier,ioappartenevoacolorochedenunciavanoquestacategorizzazione.Piùsottilmente,Lévi-Straussavevapropostodidistingueretra società calde e società fredde, secondo il grado di importanza cheattribuivano alla storia.GliAlladiani, i loro vicini immediati e i profetimifornirono l’occasione di elaborare i rudimenti di una antropologiadell’avvenimento che avrebbe potuto contribuire a cambiare, precisandoli, itermini della questione.Che le società africane fossero state sensibili a unastoriacheleaggredivaconunaviolenzaenormeèevidente,elacomparsaintutta l’Africa, al momento della penetrazione coloniale, di movimentisincretistici, di cui i profeti ivoriani erano solo una dellemanifestazioni, lodimostra abbondantemente. Inoltre, tutti i popoli della regione lagunarevenivanoda altre zone, e i loromiti sulle origini evocavano invariabilmenteunamigrazionedovutaaunafugaoaunaguerra.Queipopolisidefinivanocioècomeilprodottodiunastoriafattadiviolenzaedimovimento.Questopassatospiegavaforseanchelalorovigilanzainquietadifronteatuttoquellochepotevainterferireconiloroequilibri.Illoropuntodiriferimentononeratantolastoriaquantol’avvenimento.Ilcontrollodell’avvenimentopassaperlaspiegazionedellesuecause,etuttiisistemidiinterpretazionechehannoachefare con quella che l’antropologia definisce, a volte un po’ pomposamente,eziologia sociale, tendono a ricondurre l’avvenimento alla struttura. Nellamisuraincuiquestaoperazioneriesce,sicreal’impressionechel’avvenimentonon esista, che tutto continui come prima, ed è questo l’ideale cheperseguivanotutteleformediaccusadicuifuitestimonepressogliAlladiani.

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Alterminedelleinchiesteedeiprocessi,siconstatavacheinfindeicontiloziomaternoavevasvoltoilsuoruolodiziomaterno, ilpadreilsuoruolodipadreecosìvia…Il problema però è che non tutti gli avvenimenti si lasciano gestire

intellettualmenteconlastessafacilitàdellamalattiaedellamorteindividuale.L’avvenimentocollettivo,edunque«storico»,èpiùminaccioso.Cisonodueforme:unaformapolitica,quandolamortediuncapo,eafortiorisesitrattadiunreilcuipoteresiestendealdi làdellasferastrettamentedi lignaggio,mette inpericolo l’esistenzadelgruppoinquantogruppofinché ilproblemadella successione non è risolto; e una forma naturale, ad esempio quandoun’epidemia arriva a mettere in pericolo l’esistenza fisica del gruppominacciandolo di annientamento. La prima forma era testimoniata inmodoparticolarmente spettacolare nella Costa d’Avorio orientale, nei regni agnidell’Indénié e del Sanwi, dove lavoravano i miei colleghi Claude-HélènePerroteHenrietteDiabaté;eiostessoavreipoiincontratoinTogoledonneincaricate, tra l’altro, di lottare contro le epidemie di vaiolo. Non potendospiegare l’avvenimento,messi«al limite»,«spallealmuro»,si ritualizzaconpratichediinversione.Unoschiavosostituisceprovvisoriamenteilremorto,ledonneprendono il postodegli uomini edannoal diodel vaiologli alimentiche gli sono proibiti. Il rito di inversione passa al tempo stesso per ilmimetismo,olacaricatura,eperlaprovocazione.Ilremortovieneinsultato,imisfattidella suacortevengonodenunciati, lavanitàe leposedegliuominiridicolizzate, il dio è maltrattato, preso di mira come una marionetta chereagiscemeccanicamentealleaggressionidicuièvittima:Sakpata,ildiodelvaiolo, disgustato dal cibo che gli viene propinato, scappa via, pare con unsorriso,eportaconsélamalattia;suunpianopiùgenerale,sipuòdirecheildioèambivalente,comeApollo,responsabiledellemalattiemaanchecapacedicurarleeguarirle.Inquestirituali lanormavieneribaltata,nellasperanzache nel giro di poco tempo tutto «rientrerà nell’ordine». I riti di inversionecuranoilmaleconilmale,sonodellespeciedivaccinazionisimboliche.Iprofeti-guaritoriivorianisicollocavanocontemporaneamenteaunlivello

individuale e a un livello collettivo; passavano dunque naturalmente dallafiguradi«controstregoni» che svolgevano l’inchiesta chedoveva identificareuncolpevoleaquelladi«profeti»provocatorichemimavanoitrepersonaggieuropeiche,ailoroocchi,simboleggiavanotuttiipoteri:ilprete,ilmedicoel’amministratore.Mal’irruzionecolonialeeraunavvenimentotroppograndee

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troppoincontrollabileperpoterrientrarenellasempliceinchiestabasatasulla«stregoneria», come le disgrazie individuali, o nella vaccinazione simbolica,comeipericolicollettivi.Eraunavvenimentodialtranatura,chemettevainscenaeincausapersonaggibenpiùindecifrabilideicapipoliticiodeglideidellemalattie.Iprofeti-guaritoritentanodicombatteresututtiifronti.Comeguaritoriprendonodimiragli«stregoni»tradizionali,lacuimoltiplicazioneèconsideratacomeunsegnodeitempi;comeprofeti,mimanoinuovipotenti:illorocorpodiventauncorpomimetico,checura,prega,provoca.Alcunifannosfilare i loro assistenti con dei fucili di legno in spalla, imitando l’esercitocoloniale e poi nazionale. Tutti tentano di stabilire con il mondoamministrativo, religioso emedico un rapporto privilegiato, sia nel periodocoloniale che dopo l’indipendenza: hanno bisogno di essere riconosciuti daisimboli del nuovo mondo per farsi riconoscere dai loro fedeli e dai loropazienti. Questo spiega il fatto che vengono visti dalle autorità, quali chesiano, di volta in volta come collaboratori o oppositori. Ciò che tentano disuggerireèchesonoipionieridelnuovomondo,gliagentidiunnuovoinizio.Proclamano la novità, e in questo senso sono effettivamente dei profeti oquantomenodegliannunciatori,masonopiùadattia individuareidisordiniindottidalcambiamentochenonaprenderelamisuraesattadelcambiamentostesso.Se si fa astrazione per un attimo dalle particolarità africane, si

riconosceranno facilmente nei tremomenti che ho descritto gli elementi diunaretoricapoliticachecièrelativamentefamiliare:tralasciola«cacciaallestreghe»,unametaforaormaiconsacratadall’uso,masappiamoperesperienzache l’imitazionepuò essere, a secondadei casi, unapresa in giro innocua econservatriceoppureuna formadi irrisioneomicida.E sappiamoaltrettantobene che gli appelli al cambiamento, alla rifondazione e a un nuovo iniziosvolgonounruolo importantenellaretoricapoliticaosemplicementemoraledella nostra vita pubblica. Le difficoltà dei profeti africani di fronte allosconvolgimento che rappresentava per loro quella prima forma dimondializzazionecheeralacolonizzazione,eranodinaturamoltodiversadaquellechenoi abbiamooggi acapire ilmondoglobale? Inquestomomentononabbiamoforsel’impressionediesserecolonizzati,masenzasaperedachi?E le nostre invocazioni, i nostri scongiuri e le nostre promesse non hannoqualcosa a che fare con uno sforzo tanto ripetuto quanto impotente discongiurarel’accelerazionedellastoria?

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Intanto ero arrivato a Grand-Lahou, un luogo improbabile, un tratto dicordone sabbioso allo sbocco del fiume Bandama scavato dall’erosionemarina, di cui si annunciava già all’epoca, ben prima che si parlasse diriscaldamento climatico, l’inesorabile scomparsa nelle acque del golfo diGuinea. Mi ero sistemato al primo piano di una ex caserma dell’esercitofrancese, permetà diroccata.Molti abitanti nel periodo precedente si eranotrasferiti più all’interno. Rientrando dalle mie peregrinazioni nei villaggi onegli accampamenti più vicini, mi fermavo quasi sempre a bere una birrafrescainunapiccoladrogheriatenutadaunlibaneseconlamoglieeilpadre.Questinegoziantisapevanochecontrariamenteai lorofamiliaripiùfortunaticheliavevanoprecedutinonsarebberopiùtornatiinLibano,anchesefosseroriuscitiametteredapartequalchesoldo.Nonsocomefosserofiniti inquelposto deserto, a seguito di quale fallimento o di quale disgrazia, ma eraevidenteche ipochi franchiCFA14chepotevano raggranellareogni giornocon il loro negozietto non avrebbero permesso loro di andarsene. Eranoarrivati alla finedell’esilio, alla finedella strada, alla finedelmondo, in unvicolo cieco. La donna, ancora giovane, non nascondeva il suo sconforto:rimanevaperoreappoggiataalbanconeadascoltare la radio ivorianadaunvecchioapparecchiodacuiuscivanosuoniappenadistinguibili.Fulìcheunasera, mentre mi godevo la mia birra quotidiana, sentii questa notiziaincredibile:«IlgeneraledeGaullesièrifugiatoinGermania,aBaden-Baden,dalgeneraleMassu».StranomododirientrareinFrancia:appenarisbarcatoinCosta d’Avorio ero subito andato sul terreno, e non sapevo niente dellegiornate del maggio. Volevo rientrare immediatamente ad Abidjan, mal’ultimotraghettoeragiàpartitoedovettiaspettarefinoalgiornosuccessivo.C’erano due centri ORSTOM. Il grande centro di Adiopodoumé, al

chilometro17dellastradaperDabou,aovestdiAbidjan,ospitavaricercatoriinscienzenaturali.Erauna«stazione»conufficielaboratori,maancheville,ungranderistorante,unapiscinaedeicampida tennis.Erostato lìqualchesettimana,appenaarrivato,primadiottenerediavvicinarmiaimieicompagnidi scienze umane, che erano raggruppati attorno al centro di Petit Bassam,nellazona4diAbidjan,vicinoalquartierepopolarediTreichville,abitatoinmaggioranza da bianchi, soprattutto «piccoli bianchi», artigiani ecommercianti,chesiritrovavanoneilorobistròpreferitiequasiesclusivi.Conla benedizione delle autorità e della polizia, si preoccupavano comemeglio

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credevanodella lorosicurezza. I tentatividifurtoeranomolti,ericordocheunmacellaiocheavevaabbattutoacolpidifucileunladromentretentavadiintrodursiincasasuaavevaricevutoicomplimentiufficialidellapolizia.Ad Adiopodoumé c’erano molte giovani coppie con bambini. A volte,

anchesenonmoltospesso,«scendevano»adAbidjanperandarealcinemaoal ristorante. La presenza di alcuni ragazzi celibi, che uscivano spesso per«locali», a volte turbava la pace delle famiglie, e il maggio ’68 fu per unapartediqueiragazziunverotsunami.Avevopotutoconstatare,durantelemieprime settimane ad Adiopodoumé, il carattere formale e protocollare delladisposizione a tavola e dei menu, sempre concepiti secondo il grado e leposizioni.Leresponsabilidisala(lericercatricieranopoche,eledonneeranoperlopiùmoglidiricercatori)eranomoltoattenteaquestidettagli.Quandoeriinvitato a una cena potevi verificare immediatamente se eri stato trattatosecondoiltuorango.Ilcriteriodimisuraeralacarnedivitello.Aglistagistieagli amministrativi, chealcuni avevano la cortesiadi invitare, veniva servitovitellolocale,ottimoperaltro,malocale.Airicercatorititolati,conigallonidimaîtresderecherche(all’ORSTOMc’eraun’inflazionedititoli),venivainveceservito vitello di Niamey, considerato superiore, che si trovava nel grandesupermercato di Abidjan. Il vitello francese poi, venduto nello stessosupermercato ma più caro, stava a indicare la vetta di una carriera, unacarrieraprofessionaleassolutamentecompiutae il riconoscimentodeipariedegli inferiori di grado. Se avevi fortuna (ammesso che fosse davvero unafortuna)poteviritrovartiallostessotavoloconuninvitatodirangopiùelevatoe gustare il vitello francese invece di quello diNiamey che normalmente tisarebbestatodestinato.In questo microcosmo il maggio ’68 fu vissuto con una intensità

straordinaria, sotto gli occhi meravigliati, interessati e intimiditi dei nostricolleghiivoriani.Gliavvenimenticonferironoadalcuniricercatoridiscienzeumaneuncerto

prestigioagliocchidiquellidiscienzenaturali,inquantoingeneralevenivanoconsideratipiùpoliticizzatieconunamaggioreesperienzadiimpegnosociale.NoifummosensibiliaquestonuovoprestigioeconunooduecompagnidiAdiopodoumé, militanti sindacali da tempo, ci mettemmo alla testa dellarivoluzioneeassumemmo il controllodelle assembleegenerali.L’esperienzafubreve. Io fui elettoperportare lenostre rivendicazioni aParigi, cosachemalgradolamiaesaltazionedelmomentomiponevaunproblema:essendoun

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funzionario assegnato a un posto, in teoria non avevo il diritto diabbandonarlo. Ma che importava, era la rivoluzione. In Francia però larivoluzionefinìpresto,enonebbiiltempodifarmitroppedomandenédifarei bagagli. Il direttore generale dell’ORSTOM era già là, insieme al suosegretariogenerale,prontoaconcedercimoltivantaggimaterialiesoprattuttoatrasformarel’annessodiscienzeumanediPetitBassaminunveroepropriocentro di ricerca, concedendogli piena autonomia finanziaria. Per noi ful’occasioneperscoprirechel’amministrazionelocaleimbrogliavasulbilancioecidecurtavaquellochecieradovuto.Daquelmomentoinpoinonavemmopiù problemi a ottenere un’auto o ad assumere un impiegato. Il direttore, ilprofessor Guy Camus, era un uomo autoritario le cui visite provocavanospessodegliscontrispiacevoli,maeraancheunpolitico,dispostoadiscuterecongli«agitatori»ea stabilirecon lorouna sortadi complicità. Jean-LouisBoutillier manovrò ottimamente, e le scienze umane furono le grandibeneficiarie dell’operazione. Vedendo sbarcare il direttore generale non cisentimmomolto rassicurati,maprobabilmente sottovalutavamo lapauracheavevanoavutoidirigenti.Miresisubitocontocheildirettoregeneraletemevasoprattuttodiricevereunacattivaaccoglienza,eilnostrosollievodifrontealsuoatteggiamento sorridenteeamabile faceva ilpaiocon il suodi frontealnostro comportamento «ragionevole». Tutta la storia si concluse con ungrandecocktail,etuttiritornaronoalleproprieoccupazioni.Quelperiodolasciòcomunquequalchetraccia.Infindeicontieravamodei

privilegiatienonavevamo,alivelloprofessionale,rivendicazioniradicali.Malaparolasieraliberata.Sieraliberatanelleassembleeefuoridalleassemblee.Un ricercatore di scienze naturali già avanti con gli anni non smetteva dicercare interlocutori per raccontare che aveva fallito nella vita e che nonbisognavafarecomelui.Moltiavevanovogliadiraccontareleloroinibizioni,le loro timidezze e i lorodesideri.Ci si parlava senzapudori.Per unbreveperiodo, Adiopodoumé fu sul punto di assomigliare ai club di vacanze cheHouellebecqdescrivenelleParticelleelementari.15Poituttosembròcalmarsi,maacambiarefuronoleviteprivate:alcunecoppiesiincrinarono.Nientedioriginale rispetto a quello che si poteva vedere altrove, ma in un ambienterelativamente chiuso le conseguenze di queste fratture furonoimmediatamente percepibili. Anche i più «coscienti» politicamente furonocostrettiavederechelarivoluzioneriguardavasoprattuttoicorpieicostumi.

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Altri due aspetti mi colpirono. La liberazione della parola si ripercosseanche nel rapporto con le autorità. Guy Camus e il segretario generalevolevano capire. Cercavano il contatto, a volte magari in modo maldestro.Non riuscivo a credere alle mie orecchie quando il segretario generale miprese in disparte e mi disse che Emmanuel Terray, di cui conosceva lafamiglia,unagrandefamiglia,unafamigliainfluente,potevapermettersidegliatteggiamenti rivoluzionari che io invece avrei fatto meglio a lasciar stare.Emmanuelselasarebbesemprecavata,sarebbesemprestatounprivilegiato.Insomma,facevaappelloallamiacoscienzadiclasse!Questiuominiavevanoavutopaura(lacosanondurò),equandoirappresentantidell’autorità,perunaragione o per l’altra, hanno paura, si mettono a parlare la lingua dellafranchezza, della comprensione, dell’empatia e della condizione umanacomune–comunquenonsenzaunacertaboria,dicuiprobabilmentenonsiaccorgono,tantoènaturaleperloro.Quegliuominiormai sonomorti, e il ricordodiquell’episodio inqualche

modo mi diverte, ma sul momento il discorso paternalista del segretariogeneralemiavevairritatoequasiumiliato,forseproprioperlapartediveritàche conteneva. Il tempo ha cancellato quelle asprezze e, a conti fatti, nonpossodimenticareche l’ORSTOMmihaoffertoannidi libertàdicuipochitraimieicolleghihannopotutobeneficiare;indefinitivaerastataunafortunanonesseredistaccatoall’EPHE.16Itempieranopiùfacilidioggi,eiosonostato doppiamente fortunato, fortunato in un periodo di fortuna, edoppiamente felice, come si dice in francese, una lingua piena di realismo,cinismoopessimismo,chefadipenderelafelicitàdallafortuna.17Rimasi anche colpito dall’atteggiamento degli Ivoriani. Assistevano allo

spettacolo della nostra rivoluzione con una certa perplessità. Diventaronoosservatori,ilcheeradiperséunribaltamentodiprospettivasignificativo.Disolitoerano iprofessori francesichesi interrogavano,conpiùomeno tatto,sul futuro dell’università ivoriana o su questo o quell’aspetto della politicalocale.Questavolta eravamonoi adiventare l’oggettodegli interrogativi, gliattoridellospettacolo.GliIvorianinonsoloeranoinformatidallastampa,manoi davamo loro, sul posto, un’illustrazione di quello che riuscivamo a fare,delle nostre illusioni e poi delle nostre rinunce, perché ben presto bisognòriconoscere,dopoaver incassato inostri aumentidi stipendio,che sulpianopoliticoil1968,primadidiventareunmito,erastatounfallimento.

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Primadidedicarmidinuovoallapraticadell’etnologiadipercorsochemiavrebbe portato a continuare il viaggio attraverso la laguna e a frequentarealcuni villaggi aizi ed ebrié, avevo appena fatto lamia prima esperienza diquellachesipotrebbechiamarel’etnologiadiincontro.Avoltesiverificaunavvenimentoinaspettato,comeilmaggio ’68,chesi

offre spontaneamente all’interpretazione: l’etnologo, il cui occhio si èesercitato al tempo stesso con l’osservazione prolungata di un gruppoparticolareeconiconfrontiesplicitieimplicitidicuiisuoipercorsiglihannodato occasione, è forse meglio preparato di altri a coglierne gli elementiprincipali o i dettagli rivelatori. Ma d’altra parte l’incontro può non esserefortuito: ad esempio, a partire dagli anni ottanta, a volte mi è capitato divisitare,brevementeoperqualchesettimana,i«terreni»digiovaniricercatoriche facevano la tesi con me. Come il cuculo, facevo il nido nel loro el’informazionechemidavanoerafondamentale,maamiavoltaiofornivolorounosguardonuovoefacevodomande ingenuecheavoltepotevanoaprireoprolungarecertepiste.Glietnologiinglesiavevanounaformulaperdefinireladurata idealediunsoggiornosul terreno: settegiornio setteanni.Diciamo,con una certa approssimazione, che io ho praticato, e a volte combinato, ledueopzioni.L’idea di incontro contiene quella di caso, così come l’idea di etnologia

contienequelladiesperienza.Questaetnologiadiincontro,allaqualemisonodedicato in numerose occasioni, per caso o per scelta, l’ho praticata per laprimavolta, senza rendermene subito conto, durantequei giorni delmaggio’68, nei quali, come nei rituali che presto avrebbero assorbito tutta la miaattenzione, la gestione dell’avvenimento incontrollabile passava perl’inversione delle posizioni abituali.Lemogli dei ricercatori cominciarono afarsi sentire con un’autorità che ricavavano dall’attualità, e gli uominimodificaronoillorodiscorso(ancheseiboyscontinuavanoafarelefaccendedi casa), le autorità abbassarono un poco i toni e noi facemmo finta distrapazzarle, offrimmo il nostro spettacolo invece di osservare lo spettacolodegli altri. Insomma,mettemmo in scena un grande rito. La forza del rito,quando è efficace, sta nel fatto di dare a chi vi partecipa o vi assistel’impressionechequalcosastiacominciando.Daquestopuntodivistail’68fuun rito riuscito, malgrado la sconfitta politica. Il ’68 non ripeteva nulla,inaugurava.Noineavevamolasensazione,ilpresentimento,echecchésenepensi del seguito, oggi sappiamo che quell’anno, in quel mese di maggio,

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qualcosaècominciatodavvero.Quando rientrai a Parigi, nel 1969, avevo concluso l’essenziale dellemie

inchiesteemidedicaiascriverelamiathèsed’État,chetentavadidareformaauna«teoriadeipoteri»applicabileall’insiemedellaregionelagunare.Latesitentava anche di interpretare quello che aveva rappresentato il trauma dellacolonizzazioneedellaconquistasuchil’avevasubito,echeavevadatoluogo,dauncapoall’altrodell’AfricaNera,allacomparsadimovimentisincretistici,messianici e profetici. Questo tentativo si ricollegava ai lavori di GeorgesBalandiersulCongo.Lamiaoriginalità,secen’erauna,stavanellosforzodicogliereilrapportodiquellachechiamavo«l’ideo-logica»dilignaggioconilmessaggio profetico. Questo messaggio mi sembrava riassumersi nellaconstatazione delle debolezze africane, imputate ai «diavoli», cioè nellapersistenza della mentalità tradizionale nascosta sotto parole nuove. Ilmessaggio profetico dunque da un lato era sovversivo (contrastava con gliannunci trionfalistici del giornale governativo «Fraternité-Matin»), madall’altrorimanevaprigionierodiunacontraddizione,inquanto,nonnegandol’esistenzadegli«stregoni»edelleaggressionidapartedei«doppi»,ilprofetarimanevainnanzituttoun«guaritore»cheappartenevaalmondotradizionale,dicuidenunciavaletaremarispettavalalogica.Ilprofetanonfacevaaltrocheminarelamodernitàegiocareconisegnidelnuovomondo.Ineffettiiprofetipiù lucidi si preoccupavano di questa contraddizione, senza però riuscire aformularla chiaramente. Lo stesso Atcho, riconosciuto ufficialmente dallaChiesaharristacomediscendentedelprimoprofetaHarris,midomandòvarievolte se credevo nel suo lavoro; eOdjo, il profeta adyoukrou presso cui inseguito feci alcuni soggiorni,mimandò lamoglie, che contrariamente a luiparlavabeneilfrancese,perinvitarmiadiscutereperalcuneoresulsensodiquello che tentava di fare. Tra parentesi, ho osservato molte volte che aiprofeti piaceva circondarsi di donne più istruite di loro, che servivanosoprattutto da interpreti e portavoce. Non ho dimenticato quella scenaimbarazzante,chemimettevadifronteaunuomoacuiduranteilgiornolerichiesteeilfervoredeipazientidavanolacertezzadiesisterecomeprofeta,mache,nelsegretoenellasolitudinedellanotte,erapredadeidubbi.

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Parigi,Lomé,AbidjanIl ritorno a Parigi non fu facile. Probabilmente per molte ragioni. Ma

soprattuttoperché,avendodesideratoquelritorno,mirendevocontochesieravoltata pagina, e che era necessario che fosse accaduto, perché la routinedell’ORSTOM,perquantocomodadalpuntodivistamateriale,coltempomisarebbe diventata insopportabile. Non insisterò qui sul debito che ho versoGeorges Balandier, che sostenne la mia candidatura alla Sesta sezionedell’École Pratique des Hautes Études. Tuttavia non persi i contatti conl’ORSTOM,doveconservavoamicifedeliedoveinseguitosarebberoentratialcuni miei allievi, giovani colleghi la cui presenza stimolante, su diversiterreni,inseguitomiavrebbeincoraggiatoapraticareun’etnologiadipercorsiediincontri.Retrospettivamente, percepisco il periodo di una quindicina d’anni

trascorso dal mio ritorno in Francia al momento in cui diventai presidentedell’Écolecomeunnuovoperiododilentatransizione.In primo luogo, consolidai la mia posizione istituzionale di etnologo, in

particolarea livello internazionaleededitoriale. Insecondo luogo, imparaiafare seminari e a formare giovani ricercatori, entrando al tempo stesso neimeccanismi di un’istituzione prestigiosa, anche se relativamente piccola. Interzo luogo, continuai a «fare terreno», scoprendo il Togo del Sud, mafermandomisempre,all’andataealritorno,inCostad’Avorio.Infine,apocoapocosi insinuòinmelacertezzacheperesercitareilmiomestiereinmodocompletodovevoperforzascrivere,nonlimitandomiallerelazionisui«datiditerreno»eneppureacomparazioniantropologichesiapursupiùampiascala.Inquestosenso,lapubblicazionediGeniodelpaganesimo,nel1982,18oggimi sembra aver segnato la vera fine di quel periodo: fu al tempo stesso unpuntoconclusivoeunasvolta.All’Écoledevotutto,einparticolareilfattodiavermipermessodilavorare

senzaunosforzoparticolare,tantochemidomandoseilverbo«lavorare»siaquello giusto per definire un’attività fatta di piacere, riflessione, scambi econtatti amichevoli. Quando penso all’École di quegli anni mi tornano inmenteunaseriediimmagini,edevocarleinuncertodisordinemisembrail

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miglioreomaggiocheiopossafareaquellaistituzione,perchéèverochetutteinsiemevannoacomporreunmondoaltempostessoprestigiosoeintimo,dicui non smetto dimeravigliarmi che sia potuto essere, e ancora sia, ilmio.Immagini,dunque,enonunacollezionedinomichebisognerebbeallungareall’infinitosesivolessedareaciascunoilsuopostonellascaladell’amiciziaedell’influenzaintellettuale.Nonèquestalamiaintenzione.Inquestotestononvogliofareunasortadiclassifica,ed’altrapartealcunedellepersonechemisono più vicine non vi sono citate. Si sarà capito: questo mio tentativo digenealogia delmio rapporto con la scrittura è undisegnoo, ancorameglio,una scultura.Cercodi toglieredellamateria allamassadelmiopassatoperfarneemergere loschizzodiunmovimento.Le immaginipersistentichehoevocatoall’iniziosonoforse,daquestopuntodivista,ipuntidiemersionediuna forma sepolta. In ogni casohodecisodi attribuire loro (di immaginareperloro?)questoruolo,nellasperanzadiarrivareaunritrattoinlargamisuraimpersonale, nonun autoritrattomapiuttosto il ritrattodi una«vocazione»,perriprendereilterminediLévi-Strauss.Inaltreparole,unritrattonelqualealtripotrannoriconoscersi, spogliandoloappenadialcunidettagli storicicheappartengonosoltantoame.Duenomieduevolti sono inprimopianonella scena interiore incuimi

vedo arrivare, nel 1970, alla Sesta sezione dell’EPHE: Jacques Le Goff eJean-Pierre Vernant. La loro straordinaria generosità mi lasciò sbalordito.Avevo trentacinque anni: sebbene fossi parigino da lunga data, dopo imieianniafricaniinun’istituzioneabbastanzamarginalemisentivounpo’comeunprovincialechearrivaper laprimavoltanellacapitale.Eroemozionatissimoall’idea di entrare in un vivaio di grandi intellettuali. Ed ecco che miimbattevosubitoinduediloro,etraipiùcelebri,chemanifestavanointeresseper ilmio lavoro, enoncomeduemaestri attenti ebenevoli,macomeduecompagnigiovialiedesiderosidiavereunoscambio.Ilmiracoloconloroerache,senzacheiosmettessimaidirispettarliimmensamente,miimponevanoquel cameratismo in modo del tutto naturale ed esplicito. Non tutti i mieicolleghiavevanoquestodonodelcontattodirettoeimmediato,maJacquesLeGoff e Jean-PierreVernant, che ebbi la fortuna di incontraremolto presto,davano il tono a tutto l’ambiente. Ovviamente, nella vita di un’istituzionecomel’Écolecisonosempreoccasionididisaccordoediirritazioneeanchemotividipreoccupazione,maavoltehol’impressionediaverpassatoquegli

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annisulloslanciodiqueiprimimomentie,senzaperquestoignorarelenuovedifficoltà con cui mi devo confrontare, di sentirmi ancora trasportato dallaspintainiziale.JacquesLeGoffmi prese più direttamente in carico, se così posso dire,

perché poco dopo il mio arrivo diventò presidente della Sesta sezione,succedendoaFernandBraudel,emiaffidò ladirezionedella sezione«Areeculturali». Ciò mi permise di partecipare ogni settimana al comitato cheriuniva il «Consiglio» (formato dal presidente e dai quattro colleghi che loassistevano),iresponsabilidisezioneeilsegretariogenerale.Inquestavestepiù tardi fui associato alle discussioni e alle decisioni che portarono allacreazione dell’EHESS19 e al suo insediamento in boulevard Raspail. Nonvoglio scrivere una storia dell’École né fare confidenze sui miei colleghi(dovessequalcunonongradirelacosa!),maeranecessariosegnalarechesonosempre stato associato al suo funzionamento, in quanto ho fatto parte del«Consiglio» di François Furet, successore di Jacques Le Goff, prima disuccedergli io stesso – cosa a priori nient’affatto scontata, per chi miconoscesseunpo’–einoltreperchéfinoaunpassatorecentel’Écolehafattoparte del mio ambiente intellettuale, affettivo e fisico (ci divido ancora unpiccoloufficioconuncollega).JacquesLeGoff e Jean-PierreVernantmi accolseronei loro seminari. Il

primoall’epocasiinteressavaallerappresentazionidellastregoneriamedievaleeandavaelaborandouna«antropologiastorica».Leanalogieconl’Africamiaiutarono a capire in chemodo avesserooperato i tentativi di assimilazionedeimissionarielesintesiapprossimativedeiprofeti.Ilsecondosipresentavagià come un antropologo delmondo greco, unmondo le cui assonanze conl’Africamicolpivanoemicolpironoancoradipiùquando,pocodopoilmioingressoall’École,inTogoscoprii,neipantheonancoraesistentienellefiguredivine, straordinarie analogie con gli equivalenti greci che Vernant andavaanalizzando.RuggieroRomano,storicospecialistadell’Americaandina,dirigevainquel

periodounprogettomoltoambiziosoperlaCasaeditriceEinaudi:sitrattavadiun’enciclopedia(l’EnciclopediaEinaudi)incuiciascunavoceeraaffidataaunospecialista inscienzeumaneoinscienze«dure»,echesi inserivainunpercorso «in rete». L’idea che tutti gli elementi della conoscenza fosseroreciprocamentecollegatierastimolanteedevidentementecorretta,anchesela

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dimostrazionenonerafacile.Questaavventura,cheduròdiversianni,permefuimportante,anzifondamentale.Accettaidiscriverealcuniarticolitematici(eros, rito, persona...) che mi costrinsero ad assumere un approcciotrasversale, rispettoalquale lamiaesperienzaafricanae l’Africa ingeneraleavevano soltanto valore di esempio. Questi contributi, ripresi in seguito inGeniodelpaganesimo,sicollocavanonelquadrodiunaantropologiageneralenellaquale l’attualità,maanche la letteraturae ilcinema,avevanounvaloreesemplare. Intanto stavo superando lo stadio della descrizione e dell’analisi:cominciavoa«impegnarmi» su alcuni argomenti.Rimango sempreunpocointerdettoquandovedocheinalcuneistituzionispecializzatenellostudiodelfatto religioso a insegnarne la storia sono, in maggioranza, i praticanti dideterminatereligioni,chepurerivendicanolapropriaobiettivitàeimparzialitàscientifica. Io preferivo giocare con le carte in tavola e dichiarare la miaimpermeabilitàaimessaggimonoteisti,senzanascondere,altempostesso,lamia simpatia nei confronti di certi aspetti del pensiero pagano, che a miogiudizio propendevano verso una sorta di materialismo puro. I testi cheprodussiperl’Enciclopedia,sottoformadipiccolisaggi,miliberaronodaunaconcezione troppo rigidamente disciplinare della scrittura. Il gruppo messoinsiemedaRuggieroeraformatodapersonaggiestremamentestimolanti,einparticolare da colleghi dell’École – linguisti, logici, storici... – la cuifrequentazionefuunafestaperlamiamente.Furonoorganizzatideiconvegniin Italia, il primo aModena, e fu a partire da quell’epoca che stabilii conquestopaeseun rapporto ininterrotto, chemiècaroperchéèassociato,neimomenti più intensi, a ricordi, paesaggi, amicizie e idee, con in più unqualcosadiimpalpabilechedàaltuttounsaporeincomparabileecheritrovo,ancoraoggi,soltantoinToscanaoinEmiliaRomagna.All’iniziodegliannisettantapassaiunsemestreaCambridge,su invitodi

JackGoody.TenniunaconferenzaalseminariodiEdmundLeacheandaiaconoscere Rodney Needham a Oxford. Insomma, ebbi l’impressione dientrareafarpartedell’ambiente–unambientedicuiavvertivodistintamentele sottili gerarchie (almeno così la pensavano alcuni), tra settori più«chic»,più autenticamente etnologici, e altri. Io ebbi la fortuna di stabilire con lamaggiorpartediquestisettoridellerelazionicordiali–aiutatoinciòdallamiaappartenenza all’École, dove si concentravano alcune figure tutelari comeClaudeLévi-StraussoLouisDumont.ANanterre,ÉricdeDampierreaveva

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manifestatouncerto interesseper ilmio lavoro.Avevo stabilito relazionidicollaborazione amichevole conMaurice Godelier e anche, ovviamente, conl’africanista Claude Meillassoux. All’epoca organizzavamo grandi convegni,che portarono a importanti pubblicazioni, le quali fecero rumorenell’ambiente, sia inFranciache inAfrica (Freetown,Dakar).Noncredodisbagliaresedicochealloralavitalitàdell’ambienteeramoltopiùevidentedioggi, e le collaborazioni internazionali più regolari. Il Laboratorio diantropologiasocialediventòpermequalcosadimenolontano,eintervennialseminario di Lévi-Strauss. Ero un africanista, ma allora l’africanismo eradifferente. Collaborai con l’équipe riunita attorno a Germaine Dieterlencontribuendoaun’opera collettiva sulprofetaAtcho.La stessa commissioneformata per la discussione della mia thèse d’État dava testimonianza, misembra,diundesideriodiaperturaversoaltriorizzonti,maquali?ConJeanRouch, chemimanifestò la sua stima amichevole, deplorando comunque leesalazioni di struttural-marxismo che credeva di annusare nella mia tesi (eneppuregliavevodettocheneavevodatounacopiaadAlthusser,che,sempregentile,miavevaringraziatocomesenonavessenulladimegliodafarecheprecipitarsi a leggere un testo sui lagunari della Costa d’Avorio), non erod’accordosuniente.Era troppopoetao troppoestetapernoncredereopernondareavederedicredereatuttoquellochegliraccontavanosuglistregonieiguaritori.GeorgesDevereuxerarigorosoeaffascinante,maiononavevounprofiloetnopsichiatrico,ancheseimaterialidicuidisponevoperqualchetempomispinseroadarmiuntonodispecialistainantropologiamedica.Insommacercavomestesso,ilcheerailmenochesipotessechiedereaun

ricercatore:alcunisi trovanotroppopresto.Siparlaavoltedi«periodi»perdefinireilpercorsodiunpittore,assegnandoaciascunouncoloredominante,nelcasodiPicassoilbluepoiilrosa.Inqueiquindiciannicifuronoparecchiperiodi, ma interrotti, ripresi e in alcuni casi sovrapposti: l’EnciclopediaEinaudinecostituì il«bassocontinuo»,ma ilTogone rappresentòunaltro,comeancheilseminario,incuiimprovvisavoapartiredaquelleduecostanti.E,ancoraprima,cifulaFRAN(FormationàlaRechercheenAfriqueNoire),unapreparazione specifica che comprendeva uno stage inFrancia, di cui cioccupammoall’iniziodegliannisettanta,primadipassarelamano.Conservosoprattutto il ricordo dello stage; mi ritornano immagini di una campagnafranceseancoramoltorurale,confortiradici(nelMorvaneinBretagna):glistagisti, ai quali lasciavamo piena libertà di trovare da soli il proprio

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argomentod’indagine,constatavano,spessomeravigliandosi,chefarparlarelagentenonèdifficile.Divenutirapidamentedegliinterlocutori,ingenereeranopienidibuonavolontà,enoiimparavamounsaccodicosesulfunzionamentodi istituzioni come l’Assistenza pubblica, sulla vita dei piccoli comuni, suiproblemidelcatasto,suirapporti trapoliticalocaleepoliticanazionale...Lacampagnaeilvillaggioavevanounarealtàfisicamoltoforte:hosempreavutovoglia di ritornare da solo in quei posti,ma non l’homai fatto.Era,me nerendoconto,un’altraepoca.UngiornoentroinunbistròdelMorvanconunostagista africano e prendiamo un caffè al banco. Tutti gli uomini presenti(c’eranosolouomini)sivoltanoecisquadrano,poisenzafarsinessunsegnodi intesa si alzano e vengono a dare la mano allo stagista, probabilmenteperché il suo colore lo designava come l’estraneo assoluto; diedero lamanoancheame,poituttitornaronoailorotavoliecontinuaronoachiacchierare.In Togo feci conoscenza con un universo differente da quello che avevo

conosciutoinCostad’Avorio.Ivillaggieranograndi,allineatialbordodellestrade. I contadini andavano a lavorare lontano dai villaggi, in zone a voltemoltodistanti,doverimanevanoperperiodipiùomenolunghi.AdAnfouin,dovestabiliiilmio«campo-base»,dovettitrovareunaffittacamere;ogniannoandavoadabitaredaunnotabilediverso,ilcapovillaggio,uncommerciante,ildirettoredelleposte–inqualchemodoeraunavitadiprovincia:ildirettoredelle poste fu molto fiero, un giorno che parlavamo delle difficoltà dicomunicazioneconlaFrancia,dimettermiincontatto,dopodueoredisforzipazienti, con un villaggio dell’Auvergne altrettanto isolato quanto il nostro.Presso un personaggio politico localemolto intraprendente alcuni sacchi dirisoconlastampigliaturaFAO,ammassatinelcortile,servirono,indueotrecasi,allamiaalimentazione.Nelvillaggiovivevounpo’laversionetropicaledi una pièce di Giraudoux. Ogni sera, due o tre minuti prima del buio,centinaiadirondoniuscivanodasottoitettidilamieraconlaprecisionediunorologio a cucù svizzero.Con i loroversi stridenti straziavano leorecchie eperforavanoitimpani,poisidisperdevanonelcieloincercadicibo.E tuttavia avevoanche l’impressionedi essere tornato indietronel tempo,

perché quello che mi circondava non era poi tanto diverso. La laguna diAnecho non era lontana, e neppure il mare; il paesaggio però era statolavorato dagli uomini più che sul litorale alla-diano, dove sopravvivevanoporzioni di foreste fitte. Presto però mi sembrò di avere sotto gli occhi,

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tangibile,tuttociòdicuigliAlladianimiparlavanocomedirealtàscomparse.Qui nessun viso stravolto per evocare i «feticci», nessun bisogno di nomiimportati per designarli: erano i vodun. Stavano dovunque; montavano laguardia all’ingresso di ogni abitazione; ogni abitante aveva il suo; altrivegliavanosullafamiglia;altriancora,postisullapiazzacentraleoaicrocevia,su tutto il villaggio; molti ricevevano su appuntamento, come i medicispecialisti.Nonsifacevanopregarepermostrartiglialtariconsacratiaquestooquelvodunnéperfornirti tutti idettaglideldispositivoincuierainserito:ognivodunavevaipropriprotettorioservitori,lasuaguardiadelcorpo,eleoffertedidiversanaturasiaccumulavanofinoaseppellirlosottounamassadioliedisostanzevarie,checoltemponenascondevanoleformeeicontorni.Ogni vodun aveva la sua dieta, i suoi cibi preferiti e quelli che gli eranoproibiti. Inparticolare l’alcol e il tabacco,molto apprezzati da alcuni, eranodrasticamente proibiti ad altri. Lo stesso valeva per l’olio di palma, pernumerosepiantelocalieperglianimali,dimodochecisipotevadomandaresel’insiemedelpantheonnoncostituisseunimmensoinventariodellerisorseanimalievegetalidiqueiluoghi.Ilcontattodeibokonô(cometradurre?preti,ma anche guaritori e indovini) con il loro feticcio era molto fisico, esingolarmente sensuale; a volte li si poteva vedere abbracciare un vodunenorme,grondanteolioe sangue,conunfuroreche il consumodell’alcoldipalmadecuplicava.Dei recinti chiusi, chiamati «conventi», accoglievano ospiti consacrati a

questooquelparticolarevodun perperiodi cheun tempopotevanoarrivarefino a diversi anni. Ancora oggi la reclusione può durare lunghimesi. Quiscoprii un sistema di costrizione di lignaggio ancor più severo di quelloesistente sulla laguna Ebrié. In effetti era il capo del lignaggio e del«convento» che decideva la «chiamata» di un vodun, lo identificava eidentificavaancheildestinatariodella«chiamata».Mispiegaronocheeraunbuon sistema per mantenere sul posto le giovani donne anche dopo ilmatrimonio. La società qui era patrilineare e patri-virilocale, ma nessunopoteva rifiutare la «chiamata» di un vodun senza esporsi a grandi rischi.DiversedonnechesieranotrasferiteconimaritiaLomé, lacapitale,eranostate«richiamate».Ognivodunavevalasualinguaparticolare,lasuadietaele sue proibizioni specifiche. Le giovani donne imparavano la lingua,rispettavano le proibizioni e indossavano una tenuta riconoscibile, chepermettevadi identificarlequandouscivanodal convento (neiprimimesi la

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reclusioneerainvecetotale).I rapporti tra il sistema religioso, il pantheon e la struttura del lignaggio

eranomoltoevidenti,visibiliinmodospettacolare,eobbedivanoaunalogicadell’interpretazione che avevo già visto all’opera. Ogni avvenimento venivainterpretato e i detentori del diritto di interpretazione stavano a capo deilignaggi ed erano responsabili degli altari religiosi e delle terre coltivate.Quello chemi colpì fu la preservazione di un pantheon straordinariamenteprossimo a quello dell’anticaGrecia, di cui alcuni lavorimolto documentatidavanoun’ideaprecisa,madicuileparoledeibokonôeiritipiùspettacolarisottolineavano la persistenza. Questa forse era dovuta al fatto che quelpantheon era nato in sistemi politici molto strutturati, come i regni Fon oYoruba. Hevieso era il dio del tuono e occupava il vertice nella gerarchia.Legba,diodeicroceviaedeiconfini,dellepiazzeedeimercati,dellefamiglieedegliindividui,avevadecisamentealcunitrattidiHermes.Assistettianumerosesedutedi«possessione»–cosachenonmieramai

successainCostad’Avorio–emisembròdivederviunarelazioneparticolareconiltempo.Quandoleospitidiunconventocomincianoadanzareseguendoil ritmo dei tamburi, non si sa quale di loro il vodun sceglierà, per«cavalcarla» e farla crollare. Nella regione di Anfouin nei conventi c’eranosoltantoospitidonne,mamidisserocheeraunacosarelativamenterecente,ecapitavaditrovareancoradegliospitimaschi.Mauominiodonne,eranotuttivodunsi,cioèmoglidelvodun.Lametaforasessualeeraesplicita,comepurequelladellacavalcaturaedelcavaliere.Unavoltaposseduta,ladonnapotevaentrareinunostatoditrancepiùomenoavanzato,maquandoritornavainséaveva dimenticato tutto, almeno ufficialmente. Questa necessità dell’oblio èattestatadovunque;èunodeicriterideterminantideifenomenidipossessione,che li distingue radicalmente dal sogno, notturno o diurno, di cui è invecedesiderabileconservareilricordoeiminimidettagli,inquantosonochiavidiinterpretazione dell’avvenimento. Ma era possibile un’altra lettura dellapossessione(edeivodun).BernardMaupoil,chehalavoratonegliannitrentacon Gedegbé, il bokonô di Béhanzin, riferisce un’osservazione del suointerlocutore che corregge la metafora del cavaliere e della cavalcatura.Gedegbélaconsiderasoltantoun’immagineeconfidaaMaupoilcheinrealtàilvodunstanelrenedelpossedutoealmomentodellapossessioneglisaleallatesta.Se si accostaquestaosservazionea tutte le indicazionichepresentanogli dèi, i vodun, come degli uomini antichi, degli antenati, non si può non

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percepirelaloronostalgia,chelispingeariprenderepossessodiuncorpocheperaltroforsenonavevanomaiabbandonatodeltutto.Mailvodunnonèunpersonaggio semplice.Comepresso iGreci, spesso riunisce diverse identitàed entrambi i generi. Inoltre, se si cerca di accostare tra loro le indicazionifornite dagli informatori dei diversi etnologi che si sono interessati allaquestione, bisogna fare attenzione al fatto che non è mai l’intero vodun aritornarenelcorpodiunvivo:èsoltantounaparte,certoessenziale,macheper l’appunto ha bisogno di un corpo e di qualche altro elemento perricostituire una persona completa, effimera nel caso della possessione, piùduraturanelcasodiunanuovanascita.Lapossessioneidealedunqueèquellaincuisièpossedutidasestessi,nonspossessatidisémainunasituazionediriconquista del proprio passato più lontano. Di conseguenza l’oblio dopo lapossessioneèd’obbligo,nonperchénonci sipossamaterialmente ricordaredella presenza di un altro in se stessima perché, al contrario, non bisognacredersiundiotroppoalungo.Il tema della possessione è inesauribile, ed è associato in molti modi a

quelli dell’ispirazione, del canto, dellamusica, della creazione, del doppio edel tempo.Loavreiritrovatoannidopo, informediverse, inVenezuelae inBrasile.Èuntemachenonavrebbemaicessatodipresentarsiaimieiocchi,stimolante sia per la riflessione che per l’immaginazione, perché nei diversiluoghinonèmaistatooggettodiundiscorsosinteticocompiutomaèsemprestato enunciato in modo parziale, tanto che se si confrontano le diversedescrizioniessepossonoapparirecontraddittorieodifficilmentecompatibili.Adesempio,seogninascitaimplicaunaformadipossessione(ilritornodellostessodjoto,dicuisipuòseguireconprecisione ilpercorsonellegenealogierealidelBenin),nonècontraddittorioorganizzarenuovecerimonieedanzedipossessione per accogliere degli esseri ancestrali già riciclati dentro corpiviventi?Maquestadomandanonhasensosesiconsideracheilriferimentoaivodun,agliantenati,aglielementidellapersonaeairapportitraviviemortiavviene sempre in un contesto preciso, in occasione di questa o quellacircostanza particolare, di questo o quell’avvenimento specifico, cherichiedonodi essere interpretati.Sono ledomandedell’etnologoa forzare lecoseea rischiaredideformarlenel tentativodi inquadrarleentrouna teoriagenerale, una rappresentazione globale, compiuta e coerente da un capoall’altro,chenonèmaiesistita.Igruppiamerindianipraticanounaculturadelsognoedellavisione,main

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AmericaLatina leeredità sononumeroseediverse: le formedipossessionevenutedall’Africasiritrovanointuttiicultisincretistici.LamiaesperienzainTogodunquemiintroduceva,ancheseancoranonlosapevo,aquell’etnologiadi incontro che avrei praticato qualche tempo dopo, negli anni novanta, inAmerica.Devoinfineparlaredelseminario,attivitàprivilegiatadell’Écoleetermine

dalle connotazioni religiose, che evoca tanto l’organizzazione del ritualequantol’intimitàdiuncolloquioaquattr’occhi.Ilseminariononèuncorso;èun luogo dove si tenta di spiegare a colleghi, a principianti, ad aspirantiricercatorioacultoridellamateriaquelloche si sta facendo,nella speranzache la spiegazione abbia un effetto di stimolo presso i più giovani e possasollecitare riflessioni, osservazioni e suggerimenti di cui tutti potranno poibeneficiare. È il momento in cui un ricercatore tenta di esporre ad altril’origine e le prospettive della sua ricerca, lo stato di avanzamento di quelworkinprogressconilqualeidentificalasuavita.Èunasortadiconfessionepubblica intellettuale,ma proiettata verso il futuro. So perfettamente che inquestomododefiniscounseminarioideale,maquestadimensioneidealeeraeffettivamente presente e tangibile nei seminari più appassionanti a cui hopartecipato. Ovviamente, le caratteristiche del seminario possono variare aseconda delle personalità presenti, come pure delle diverse discipline.Oggipotràsembrarestupefacenteilfattocheiseminaridialcunigrandinomidelpassato si svolgessero praticamente tra pochi intimi, e che addiritturacapitassediprecettaredeigiovanicolleghiperfarelecomparse.Questononvuol dire che non fossero interessanti, al contrario; probabilmente oggiqualcunodiqueivecchierariuditorisirendebencontodellafortunachehaavuto a poter avere degli incontri quasi privati con questa o quella figuraprestigiosa. In compenso la moda può avere l’effetto di moltiplicare ilpubblico, come nel caso di Barthes e di Derrida; la difficoltà allora è diriuscire, come fu per entrambi, a mantenere il carattere di seminario aun’esposizionedicuilapresenzadiungrandepubblicorischiavadisnaturareformaefinalità.Il seminarioèun luogonel sensopienodel termine:vi si ritrovano, anno

dopo anno, figure fedeli e familiari. E ogni anno appaiono volti nuovi. Ditanto in tanto riappaiono vecchi allievi e vecchi colleghi di passaggio. Neimomentipiùintensisipercepiscequestadimensioneritualedelseminario: il

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ritochiaramenteprocededalpassato,nellamisura incui rispettauna formafissa (il responsabile di un seminario detesta cambiare sala), ma è ancheproiettatoversoilfuturo(adesempioaseguitodellapubblicazionediunlibrosullostessotemadelseminario).Ildirettoredelseminariononsempreoccupala scena da solo; può avere degli invitati, ma è comunque lui che, dopol’intervento dell’invitato, apre la discussione e, se ha fortuna e ispirazione,riesce a trovare, nel fervore dell’improvvisazione, una formula felice chequalcunodei presenti terrà amente.L’arte del seminario per diversi aspettinonèlontanadallaperformance,nelsensoartisticoeteatraledeltermine.Il seminario corrisponde alla vocazione originaria dell’École, che non ha

mai rinnegato l’aggettivo «pratica», che la qualificava quando era ancora laSesta sezione dell’EPHE: questo aggettivo vuole ricordare che la ricercaportataavanticoncretamenteèilfondamentodiuninsegnamentodicuiessaèal tempo stesso il punto di partenza e l’obiettivo. Ho sempre pensato chel’esistenza di luoghi precisi deputati all’esercizio di quella vocazione fosseessenziale al mantenimento di una originalità del pensiero e che la loroscomparsasarebbestataunaperditairrimediabile,unsegnodideclino.Nelseminariomisentiirapidamenteamioagio,maancheinquestocaso

bisognadistinguerediversiperiodi.Ilmioretroterradiesperienzaafricanamipermise di esplorare la letteratura di antropologiamedica con un occhio altempo stesso interessato e critico. Il mio principale rimprovero a quelladisciplina era per l’appunto che si presentava come una disciplina, mentrealtrononeracheuninsiemedianalisisuunoggettoparticolare.Questomiorimproverononriguardavasoltantol’«antropologiamedica».Misembravachelosguardoantropologicopotesse,edovesse,applicarsiaoggettidifferenti,tracui la malattia, ma che la portata dell’antropologia venisse enormementeridotta se la si costringeva sotto un aggettivoombrello al riparo del quale sipoteva impunemente ripercorrere la storia della disciplina e delle sueproblematiche come se si scoprissero per la prima volta. La riscopertadell’Americaèungiocoacuiditantointantoglietnologiamanodedicarsi.Iltitolo del mio corso di studi («Logica simbolica e ideologia»)mi era statoispirato dalla mia esperienza ivoriana, ma voleva avere una portata piùgenerale. Era in sintonia con lo spirito dei tempi, in quanto esprimeval’ambizionedipensarecontemporaneamentelastrutturaelastoria.Sta di fatto che negli anni settanta e ottantamedici, psicologi e qualche

psicoanalista vennero ad affiancarsi agli studenti e ai ricercatori più

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classicamenteinteressatiallequestionidell’antropologiacosiddetta«politica».Bisognadirecomunquechelostudiodeiprofetiguaritoriafricanihatantoachevedereconladimensionedel«potere»,ovverodel«politico»,quantoconquella del «medico». Collaborando con Claudine Herzlich, sociologa dellamedicina che lavorava sulle società industriali, mi resi presto conto che lenostrericerchesialimentavanoreciprocamente.Fuiancheincontatto,perragionialtempostessoevidentieambigue,con

alcunirappresentantidellasociologiaedell’antropologia«religiose»,inquantoilmaterialecheavevoraccoltorientravaanchenellacategoria«religione».Lasostanza delle riflessioni che presentavo al seminario era per l’appunto untentativo di mettere in discussione queste categorie, in definitiva piùamministrative che concettuali, ma la cui natura veniva mutata e resa piùcomplicatapropriodallaspecializzazioneedallaprofessionedegliassistentiedeipartecipantialseminario.Dopoipolitici,imedicieireligiosi,sarebberovenuti, ancor prima della pubblicazione di Nonluoghi, nel 1992,20 gliarchitetti. Le mie relazioni con gli architetti sono state sicuramente le piùdurature, tantoèessenziale,oggi, ilproblemadellospaziocostruito,manonperquestohocredutochefosseunbeneinventareun’antropologia«spaziale»,«architettonica»o«residenziale».Tuttiquesti contatti furono straordinariamente stimolanti egrazieadessi,

mi sembra, riuscii a farmi un’idea più completa e complessa della ricercaantropologica, resistendo alla tentazione di compartimentarla in settoriseparati.Daquestopuntodivistalavisioneafricanadellecosemifuutile,perlosforzochemiavevaimpostodipensareinformadicontinuitàladiversitàapparentedegliaspettidelreale.Nonmiidentificavoconquellavisione,cheera piuttosto l’oggetto della mia ricerca, ma certo essa mi costringeva acercareipuntidivistacheledavanounsensopiuttostochesezionarla.Il seminario dunque è per chi lo dirige un luogo di sperimentazione e di

elaborazione. Inoltre, la prossimità degli ascoltatori impone a chi dirige ilseminario una forma particolarmente acuta di coscienza di sé, del propriocorpo e della propria espressione. Quando parla, tutti gli sguardi siconcentranosudilui;anchechiprendeappuntialzaspessolatesta,comeperverificarechel’oratoresiasemprelà.Ipartecipantilotengonod’occhio.Fareunseminariononècomefareunaconferenza.Ildiscorsoèpiùimprovvisatoemenodistante.Lastanchezza,laminimaesitazione,l’imbarazzoveroofalsosi

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leggonoimmediatamentesulvisodichiparla.Ildirettoredelseminariosacheilmodo in cui parla, e anche ilmodo in cui impone la suapresenza, fannoparte del suomessaggio. Agisce un po’ come un attore,ma il suo uditoriolimitato (più similealcabaretcheallaComédieFrançaise) loobbligaanonstrafare: a distanza ravvicinata, la gigioneria e l’ampollosità si riconosconoimmediatamente.Neglianniottantacominciaiadassociarmiadaltripertenereilseminario.

Probabilmente perché avevo una serie di compiti amministrativi e quellacollaborazione mi sgravava, ma anche, e soprattutto, perché permettevaun’altraformadiesposizione,piùvicinaallaconversazione.Incapoaqualcheannosifasentireilbisognodirinnovarelaforma:tenereunseminarioinsiemead altri evita di cedere alla routine. I miei primi partner furono FrançoiseHéritiere JeanBazin,poivenneEmmanuelTerraye infine,neimieiultimianniall’Écoleepoiquandoufficialmenteerogiàinpensione,GérardAlthabe.Tuttiquestipersonaggiavevanoalcuneaffinità intellettuali,maanchecampidi studio distinti e sensibilità differenti. L’avvicendamento delle personerinnovavalatematicaeiltonodelseminario.Ioerocontentodiquestiincontriregolarieprogrammati,perchéeranodellescadenzesettimanalifisse,perchédavano al seminario uno stile di prova teatrale (eravamo stati più o menobravi, cercavamo ogni tanto di fare il punto, di misurare la strada fatta) eancheperchécontinuavano in conversazioninei caffévicini, dove avolte ciscambiavamoleideeeleintuizionipiùstimolanti.Dagliannisettantalesedidell’École sono cambiate spesso, e a volte mi piace ricordarle pensando aibistròdoveandavamoallafinedelseminario,vicinoaruedeTournon,aruede laTour e poi a boulevardRaspail.Nei caffé si univano a noi studenti ecolleghi, e conservo di quelle riunioni, in ogni periodo, un ricordo dieccitazione intellettuale e, alcune volte, di felicità. Con quei compagni diseminario – due sono scomparsi mentre sto scrivendo queste righe – sonoarrivato a un vero scambio intellettuale o quanto meno, dato che qualsiasiincontro intellettuale riuscito deve rimanere incompiuto, aperto all’avvenire,per cui non se ne vedemai il fondo, ho evitato il senso di frustrazione chemoltevoltemihadatolascomparsaprematuradiinterlocutoridicuisentivochepotevanodarmimoltoma con i quali, per timidezza, per pigrizia opercaso, ho tardato troppo ad andare al di là dei primi contatti, di modo chesiamorimasti,secosìpossoesprimermi,allepresentazionieaunabbozzodiincontro. Penso in particolare aRolandBarthes o aMichel deCerteau, dei

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quali ho conosciuto meglio l’opera dopo la loro morte. Forse è più facileimmaginarequalcunochenonsièconosciuto leggendo i testichehascrittocheritrovarequalcunochesièconosciutoattraversolesuepagine,sullequaliormaialeggiaunfantasmasenzavoce.Durante tutto questo periodo presi l’abitudine di fermarmi in Costa

d’Avorio quando rientravo da Lomé o di andarci per brevi missioni (fudurante una di queste che fui ospite di Odjo nella regione adyoukrou). Ilpiacere che mi davano queste incursioni era dovuto molto ai legami diamiciziacheavevoinquelpaese.Amiciziaconexallievidiventaticolleghi,comeJeanJamin,cheraggiunsi

perqualchegiornonellaregionesénoufonel1974,pocoprimadelsuoritornoinFrancia,ocomeJean-PierreDozon,che,dopoaver lavoratonellaregionebété, si interessòanche lui aiprofeti,ma senza limitarsi comemealla zonalagunare. Con questi amici, e altri ancora, ho solcato le piste e incontratogruppi e volti nuovi. Confesso che questi grandi peripli mi diedero grandigioie, a patto che avessero una destinazione precisa, lo scopo di unappuntamentoodiun incontro,che limettesseroal riparodaqualsiasicosapotesseassomigliarealturismo.Mipiacevaguidaresullepiste,raggiungerelavelocità (intorno ai 90 chilometri all’ora) che permetteva di sopprimere levibrazioni della «lamiera ondulata», tenere il gomito sul finestrino e sentiresulla faccia l’aria calda carica di polvere. Più tardi, l’estensione della retestradale asfaltata e l’aria condizionata diminuirono l’intensità di questesensazioni.Conservo, tra le altre, l’immagine di una sosta sul bordo della strada, da

qualche parte nel centro del paese. Una pioggia pesante, calda e densa siabbatte su di me appena scendo dall’auto; faccio un passo a destra e sonoall’asciutto; giro la testa e vedo accanto a me, letteralmente, il sipario dipioggia;mibastafaredinuovounpassoemiritrovosottolapioggiabattente.Midivertoadandareavantieindietro,facendofintadiscostareconungestoorgoglioso il sipario per entrare e uscire. Tutto cessa improvvisamente.Rimane solo un arcobaleno, che sembra attraversare le nuvole spinte dalvento.Amicizia anche con una generazione di Ivoriani che ho frequentato

abbastanza a lungo per sentire la solidità di un legame costruito nel tempo.

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Conoscevo alcune delle difficoltà che dovevano affrontare quelle persone epotevoimmaginareunapartediquellechenonconoscevo.UnodeidrammidellaCosta d’Avorio e di altri paesi africani è che non esiste un gruppo diintellettuali sufficientemente autonomo. Esistono chiaramente fortipersonalità, relazioni, amicizie o inimicizie tra gli uni e gli altri,ma questononbastaacreareunveroeproprioambienteintellettuale.Misembrachedaquestopuntodivistagliartisti,pittoriomusicisti,selacavinomeglio,perchésono meno immediatamente soggetti alla forza di attrazione della politica.Questo era caricaturalmente vero sotto la presidenza di Houphouët-Boigny.Appenaemergevaunintellettualediqualchepeso,nonpotevaesserecheperlui o contro di lui. Nel primo caso, era fagocitato dal governo e diventavaministro; nel secondo diventava sospetto; una posizione intermedia erainconcepibile. La tattica di Houphouët-Boigny (inventare falsi complotti,condannare, imprigionare, poi perdonare, liberare ed eventualmentepromuovere)rendevaduralavitadeglioppositori,maanchedituttiquellicheavrebbero preferito starsene in disparte e invece erano costretti a stare algioco.Gli Ivorianicercavanodicavarselacomemegliopotevano.Dellamiagenerazione, alcuni, dopo aver conosciuto la prigione o i campi dirieducazione, hanno accettato posti importanti o comodi – all’UNESCO oaltrove –, a volte anche posti ministeriali: rifiutare li avrebbe resi sospetti.Altri sono riusciti a ritagliarsiuno spazionel loro lavorodi ricerca, come ilmioamicoHarrisMemel-Fôte,chedagiovaneavevaseguitoSékouTourémache poi dovette rassegnarsi ad alcuni anni di semiesilio parigino per potercontinuare a lavorare. I suoi lavori sul sistema schiavistico in Africa sonoun’opera fondamentale, sfociata in una thèse d’État che rimarrà sempre untestodiriferimento.HomoltaammirazioneancheperHenrietteDiabatéche,sposata con un alto dignitario del Nord passato anche lui per le galere delregime,èautricediun’eccellente tesi sugliAgni.Altri,dipocopiùgiovani,nonhannoavutoun’affermazioneintellettualesimile.IlmiocarissimoamicoMoriba Touré, da cui avevo preso l’abitudine di andare ad abitare quandopassavoperAbidjan, aveva accettatounposto amministrativo importante inSenegal prima di tornare in patria; voleva reinserirsi nel filone della ricercaantropologicadopol’uscitadiscenadiHouphouët,maèmortoinunincidentestradale. Accolsi Laurent Gbagbo, ricercatore di storia, quando si rifugiò aParigiperchéconvintodiessereinpericoloadAbidjan.Sappiamoquelcheèdiventatoinseguito.Nelgennaio2008hoassistitoall’omaggiopubblicoreso

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in Costa d’Avorio a Harris Memel-Fôte, ormai malato e indebolito, chedoveva morire poche settimane dopo. L’omaggio era stato organizzato daLaurent Gbagbo, diventato nel 2000 presidente della Repubblica, che haspesso manifestato il desiderio di onorare le grandi personalità dellagenerazione precedente. In quella occasione erano presenti scrittori comeBernardDadiéeuniversitaricheavevoconosciutobeneneglianniprecedenti.C’eraqualcosadellaconclusionedellaRecherche inquellariunionedifigure,tra cui molte mi sembravano al tempo stesso familiari e invecchiate; c’eraanchequalcosadiunpo’falso:gliintellettualirispondevanoallaconvocazionedelpoliticoe,perquantofossifelicediritrovaredeivecchicolleghicheavevoperso di vista da anni, nonpotevo nondirmi che la libertà intellettuale cheavevosperatonascesseeraancoradilàdavenire.Durantelacrisiivorianagliamicidiierisieranoritrovatiincampiopposti.

DueanniprimadellacerimoniadedicataaHarriseroandatoadAbidjanperun reportageper«LeMonde».La crisi era nelmomentopiù acuto e avevoavuto la fortuna di incontrare vari protagonisti: ovviamente Gbagbo stesso,che non dimenticava il passato e probabilmente ci teneva a fornirmi degliargomenti per perorare la sua causa, alcuni rappresentanti dell’ONU, ilgeneralechecomandavaleforzefrancesieancheilprincipaleoppositoredelmomento,chedilìapocosarebbediventatoprimoministro,GuillaumeSoro:riusciiavederloaggregandomidiscretamentealladelegazionedell’ONUcheandavaadiscutereconluiaBouaké.QueldoppioritornoadAbidjanmiispiròsensazionidifferenti.Daunlato,i

dettagli del contesto politico mi sfuggivano, e non avevo nessuna voglia diprenderepartitoperunaparteoperl’altra;ilmodoincuiinemicidelgiornoprima si riconciliavano il giorno dopo era sconcertante e si era tentati diparlare di scenari «all’africana», nei quali sarebbe stato ingenuo eintellettualmente pericoloso immischiarsi.Ci si domandava che ruolo esattogiocava ilpastoreevangelicoche sembravamoltovicinoalpresidente,ed ioavevo frequentato troppo i sincretismi politico-religiosi per ignorare la lorointraducibilità.D’altrolatoperò,illinguaggioeipuntidiriferimentopoliticifrancesinoneranomaiveramentedistanti.GbagborivendicavaunaposizionediuomodisinistraeavevapresocontatticonilPartitoSocialistaFrancesefindaiprimigiornidellasuafugaaParigi.Nellediscussionicheavevoavutoconluiqualcheannoprima,MoribaTouréavevaespressodubbiesperanzeinunlinguaggio chemi eramolto familiare; Touré eramembro del RDR,ma si

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definiva anche lui di sinistra e sognava un’alleanza con il FPI, il partito diGbagbo,performareun«fronterepubblicano»controilvecchiopartitounico,ilPDCIdeifedelidiHouphouët.21Con lastoricaHenrietteDiabaté, fedelenumeroduediOuattara,illeaderdelRDR,abbiamodiversevoltediscussodipoliticadurante lacrisi, e lei si schierava invariabilmenteadifesadeivaloridellalibertàedellademocrazia.IltentativodirovesciareilregimediGbagboaveva provocato l’indignazione di molti abidjanesi, come Bernard Daidé,perché era illegale, illegittimo e praticamente un colpo di stato: questielementi si definivano non tanto pro-Gbagbo quanto a favore dellaRepubblica. Avevano sfilato per le vie della capitale improvvisando unagigantesca manifestazione per affermare le loro posizioni. Ai miei occhi,ripensando al maggio ’68, il fatto più significativo stava forse in quellariappropriazione, da parte degli Ivoriani, dei principi democratici e dellemanifestazionirepubblicane.L’ambiente intellettuale di cui deploro l’assenza è esistito soltanto sullo

sfondoea livello internazionale.Negliannisessantaesettanta i rapporti traprofessorioricercatorifrancesieivorianieranosorvegliatidall’AmbasciatadiFrancia. D’altra parte, fu sempre da parte francese, grazie all’iniziativa dialcunicolleghi,chefuronoriconosciutiepremiatiimeritidegliIvorianichesidistinguevano:tesi,conferenze,accoglienzaall’IRD(Institutpourlarechercheet le développement, successore dell’ORSTOM), inviti all’École des HautesÉtudes o al Collège de France. Esistevano anche rapporti con i ricercatorighanesi emaliani, e in generale la dimensione africana non fumai assentedalla ricerca ivoriana, ma il più delle volte furono istituzioni francesi ointernazionali a permettere o a facilitare questi contatti. L’assorbimento daparte della politica o il passaggio a un livello internazionale furono e sonoancora il destino degli intellettuali e degli scrittori più brillanti dell’Africaoccidentale, condannati comunque a seguire percorsi individuali. Nella suaforma estrema, questa tendenza si concretizza in una fuga di cervelli,soprattuttoversoleuniversitàamericane,mentrelaexpotenzacolonialeoggimostra,salvopocheeccezioni,un’indifferenzapariall’arroganzadiieri.Daunpuntodivistapersonale,devodirecheinquestiultimianniipochi

giornichehoavutooccasionedipassareinunpaeseeinunacittàcheavevoconosciutocosìbene,etantoamato,mihannoconfermatolasensazionediunfinaledipartitacheavevoprovatogiàallamortediHouphouët-Boigny.Devo

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allecircostanzee,traglialtri,aLaurentGbagbo,ilfattodiaverassistitoallosmontaggio progressivo della scena nella quale avevo vissuto imiei anni diricerca più attivi. Quel che c’era dietro quella scena avevo creduto diintravederlo quando ancora era in vita il «vecchio», come lo chiamavano avolte anche i suoi avversari più accaniti con unmisto di ammirazione e ditimore, percorrendo il suo palazzo di Yamoussoukro con Étienne Féau,conservatoredelmuseodellaPorte-Dorée,allaricercadiqualcheoggettodadestinare all’esposizionedi arte ivoriana chepreparavamoconSavanéYaya,conservatoredelMuseodiAbidjan, eche fupoi inaugurataalGrandPalaisnell’ottobre del 1989. Nel palazzo c’era il lusso di un hotel a cinque stelle(grandi bagni con i rubinetti dorati, marmi sui pavimenti e i muri, granditelevisioni,frigoriferi),manessunmobiledegnodiquestonome, ilchedavaun senso di vuoto impressionante, di una dimora abbandonata. L’oro diHouphouët, di cui avevo sentito parlare per anni, probabilmente stava inqualche cassaforte segreta, ma a Yamoussoukro si poteva vedere, aprofusione,soltantoquellochericoprivasenzaeccezione tutte lemaschereetuttiglioggettidi legno,peraltro inutilizzabili e senzaunvaloreparticolare,allineati dietro vetrine prive di spettatori, simili a quelli che si vedono allefeste dei ricchi tipiche delle culture akan e che, in generale, non sonoparticolarmentequotatisulmercatodell’arte.Inquellegrandisalevuoteebbiperunattimolasensazionecheilreeranudo.DuranteimieidueultimiviaggiadAbidjanhofattoalcunebrevipuntateal

«Plateau», dove inpassato si affollavano, oltre ai turisti, gli habituébianchidellacittàperfareshopping,bereunbicchiereovedereunfilm.Tranneunoodue commercianti, questa popolazione bianca era scomparsa; lo stesso erasuccesso negli alberghi, e in particolare all’Hotel Ivoire, che a volte avevofrequentato, come tutti, al tempo del suo splendore.All’aeroporto, dovemiimbarcaiconladelegazionedell’ONU,siparlavaamericano.Alcunifrancesisono tornati e altri forse torneranno, ma mi rimane l’impressione di uncambiamentodi«distribuzione»,checorrispondenonsoloauncambiamentodi regista,ma anche a un cambiamento di copione. Lametafora teatrale siimpone con una tale forza che diventa qualcosa di più di una metafora:esprimeilcarattereartificialediunapresenzastesaperpocopiùdiunsecolosullarealtàlocalecomelefoglied’orosullemascheredelvecchiopresidente,maanchelafragilitàdegliindividuirispettoallastoriachelivedescomparire.Gbagbomi ha fatto visitare il palazzo presidenziale, dove non avevomai

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messopiede,e,aCocody, laresidenzaprivatadelpresidente,deicuisegretiavevo sentito favoleggiare quarant’anni prima. Mi ha mostrato il corridoiosotterraneocheeffettivamentelacollegavaallaresidenzadell’ambasciatorediFrancia,eattraverso ilquale ilvecchiopresidenteavrebbepotuto fuggire incaso di colpo di stato, emi ha detto, ridendo, che lui invece lo aveva fattomurareperpaurachevenisseroarapirlo.Gbagboscherzava,maqualchemeseprima l’irruzione di un’unità dell’esercito francese, che si era persa mentrecercavadiraggiungereilvicinoHotelIvoire,avevaeffettivamenteterrorizzatoil personale della residenza.Ci sono luoghi emomenti che sembrano poterevocaredipersécolpidiscenaecolpidistato.Avoltesogno,unpo’egoisticamente,unaCostad’Avorioriconciliata,dove

potreiritrovaretuttiquellichehoconosciutoechelastoriahaseparato.Masochesitrattadiunadoppiaillusione.Lastoriasegueilsuocorso,eancheselapaceavrà lameglio,cosachemiaugurodalprofondodelcuore,ormai iltempohasvoltolasuaopera.Moltidiquellichehoincontratoinquelpaese,inpassatoodirecente,ivorianiofrancesi,oggihannodefinitivamentelasciatolascena.22

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ViaggiDell’itinerariochetentodiripercorrerevoglioricordare(conlacomplicità

di unamemoria tanto pigra quanto parziale) soltanto imomenti in cui, misembra, si è realizzato un incontro tra il mio piacere di viaggiare, il miomestieredietnologoeilmiodesideriodiscrivere.Bisogna innanzi tutto chemi spieghi sul piacere di viaggiare, perché una

frasecelebrelopresentacomel’oppostodellapraticaetnografica.Iononodioi viaggi. Mi piace partire. Mi piace scoprire nuovi paesaggi, fare nuoviincontri. Mi piace anche ritornare e affrontare l’ambiguità dei ritorni. Soanchecheforseungiornononvorròpiùviaggiare;alloradiròchenonposso,chenonhopiù la forza– forse saràvero,maèanchepossibileche saràunmodo per dire qualcos’altro: che non ho più il gusto del viaggio, che ildesideriomi ha abbandonato, che ho paura delle delusioni dell’arrivo e delritornoeche,comeilNarratoreproustianochefuggel’incontroamoroso,nonvogliopiùfarequestaesperienzadimorte.Miimpressionanocomunqueglietnologichehannosempreavutobisogno

delmovimentoedelviaggio.JeanRouchèmortorecentementesuunapistaafricana.QuandoAlfredMétrauxmorìsuicidanel1963,MichelLeirisglireseun omaggio molto commovente commentando la dedica – «A Michel, inricordo delle nostre erranze, diavolerie ingenue che ci consolano» – cheMétrauxgliavevafattosuunacopiadelVoduhaitiano23(eranostatiinsiemeadHaitidal1948al1950):«“Lenostreerranze”.Cosìassimilavaaunasortadivagabondaggioilviavaigiustificatodalleesigenzedellanostraprofessione.Come se il tema del movimento o dell’impossibilità di fermarsitranquillamentefosseperluiuntemafondamentale,iltemacherispondevaaquestobisognodiesserealtroveche,aldilàdellasuacuriositàdistudioso,lospinse a fare tanti viaggi e a scegliere come campo di osservazione tantiterrenidiversi:AmericadelSud,Polinesia,Antille,Africa...».C’èbisognodi tempo,dipazienzaediattenzioneperentrarenell’intimità

di un gruppo. In questo senso, l’etnologo può definirsi come un sedentariocostretto a viaggiare. Ma il viaggio che Lévi-Strauss «odia» è quello deiconferenzieri della sala Pleyel degli anni cinquanta, che seducono il loro

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pubblico evocando compiaciuti le curiosità banali dei paesi «esotici» chehanno visitato. Malgrado l’incipit roboante di Tristi tropici,24 non si puòignorare il piacere che l’autore prova nel descrivere i paesaggi. E ladescrizione dei paesaggi non è la forma più elementare del rapporto traviaggio e letteratura? Né si possono ignorare le pagine in cui Lévi-Straussprendequotaperdescrivereleciviltàavolod’aquila,oquelleincuiesprimeunpessimismoradicalesulsignificatodeifattiumani.Nonsonopaginediunsedentariosradicato,madiunviaggiatoredell’anima.Comunque sia: esistono le sensibilità individuali e certamente ci sono

etnologicheamanoilmovimentopiùdialtri.Percostoroilmovimentovieneper primo, e si può immaginare che il mestiere di etnologo ne sia solo laconseguenza.Diquiforseiltermine«erranze»usatodaMétrauxecheLeiriscommentaneltestocitato:«unerrante,unuomochesacosaglitoccamanonperquestoneèfiero,qualcunonelfondodelqualesinascondeunapenadicuibisognerebbe consolarlo . . .». L’opposizione tra erranti e sedentari,naturalmente, non vale soltanto per gli etnologi,ma vista la loro ambizionecomune (andare tra gli altri) essa assume presso di loro una dimensioneparticolare.Quandoparlodi«etnologiadiincontro»perindicarelemiebreviincursioni

degli anni ottanta e novanta sui terreni di altri etnologi,mi riferisco a unanecessità, certo (in quegli anni avevomeno tempo che in precedenza), maanchealpiacere(terminedeboleperindicarequalcosachesiavvicinavadipiùa un bisogno) legato alla sensazione stessa dello spostamento. È verocomunquechesenzal’esistenzadiunmotivo«professionale»nonavreisentitoné il piacere né il bisogno. Devo dunque ritornare sulla considerazione giàfatta a proposito di quella che Lévi-Strauss chiama la «vocazione»dell’etnologo: sì, bisogna parlare di vocazione, cioè di qualche cosa dianteriore alla pratica della professione, perché la semplice pratica può almassimo confortare l’etnologo nella sua scelta di rafforzare i tratti del suocarattere che lo spingono verso una forma particolare di solitudine, dirapportoneiconfrontidisestessoedeglialtri.L’etnologoèsempreinviaggioall’internodisestesso:sidistaccadalproprioiointimoperoccupareunluogochenonèneppurequellodell’altro,maunospazio intermediodove incontraunoopiù«informatori»,iqualialorovoltasisonospostativersodilui;tuttisisono«spostati», l’informatoreancorpiùdell’etnologo,inquantoèspintoa

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prendereunadistanza inconsuetadallapropriavitaquotidianae a collocarsidaunpuntodivistadiosservatoreallimitedell’impensabile.Nessunohamairaccontato integralmenteunmitoprimacheunetnologoglielochiedesse; lelogiche che presiedono allo scambiomatrimoniale forse non sono inconsce,maprimadell’arrivodell’etnologosonoesplicitatesoltanto«insituazione»,inunacircostanzaparticolarechenonrichiedeladefinizionegeneraleeintegraledi tutto ciò che è proibito. È l’etnologo che vuole resoconti ed elenchi.L’etnologoel’informatoresonoentrambi«spostati»,hannounatteggiamento«spostato» e pongono domande alle volte «spostate», perché la loro stessaposizionerelativizzalanozionedi luogoelidistanziadall’evidenzaordinariadeglialtri.Tuttisiinterrogano,sulposto,suchecosavogliadavverol’etnologoe sullaposizionechegli si debbaassegnare; egli ne è consapevole e avoltetenta di suggerire delle risposte a quelle domande, che intuisce tanto piùfacilmenteinquantoluistessolehasuscitateelehapostesegretamenteasestesso. L’etnologo è piuttosto a suo agio in questa situazione di«spostamento»:cisiritrovaecisiritroveràsempre,perchénonèmaialsuoposto.Quantoall’informatore,èancoramenoalsuopostodell’etnologo,erischia

dilasciarcilepenneunavoltapartitoquellodicuieglinoneraaltro,agliocchideisuoi,chel’effimero«doppio».PensoaBoniface,ilmio«informatore»,ilmiocompagnodidiversianni,il

cui tragico annegamento, nell’aprile del 1974, non è imputabile alla miapartenza,ma,ilcheèlostesso,almioritorno.AvevaorganizzatounafestaaJacqueville,doveerotornatoperlaprimavoltadaquandolavoravoinTogo.AvevamoinvitatoicompagnidiPetit-Bassam,cheluiconoscevabeneecheloconoscevano bene da quando lavorava nella zona. La mia partenza per luiavevasignificatounaperditadiposizioneedidenaro,maeravamoriuscitiatrovare qualche palliativo. Boniface era contento e anche un poco esaltatoall’idea di quella festa di ricongiungimento di cui era l’ospite. Qualche oradopo è annegato tentando di soccorrere uno di noi che era in difficoltà sulfrangiflutti, molto pericoloso in quel periodo. La notte seguente, mentre itamburibattevano insuoonore,nell’attesachevenisseritrovato ilcorpo(gliAlladiani conoscevano le correnti e sapevano più o meno dove il mare loavrebbe riportato due giorni dopo), io passavo il tempo ripassando tutti idettagli che avevo registrato senza particolare attenzione. Boniface eracoinvoltoinintrighifamiliaricheperluinonavevanonientediteorico.Anche

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il suo salario, fonte di gelosie e di proteste a cui aveva fatto vagamenteallusione nelle nostre conversazioni, aveva risvegliato vecchie storie. Tuttoquello che mi spiegava in modo impersonale, a proposito delle azioniaggressive all’interno del lignaggio, lo viveva personalmente nel momentostessoincuimeneparlava.Soprattutto,ricordaicheun«controstregone»unavolta,quandofacevalapescaallosqualo,gliavevadettochedovevadiffidaredelmare,cheisuoinemiciloavrebberocolpitoconilmare.Sonoincapacediricordareindettaglioquestoepisodio,diraccontarlo:rimaneunincubodacuimisonoliberato,unavoltarecuperatoilcadavere,soltantoconlafuga.Allafinediquellostesso1974,PierreÉtienne,ilmioiniziatorealterreno

ivoriano, che aveva assistito a questo dramma, èmorto aMarsiglia, dov’eraappena rientrato. Poco prima, Jean-Louis Boutillier ed io eravamo scesi inmacchina da Parigi per andare a trovarlo in ospedale.Non abbiamo potutoparlargliperchéerainunacamerasterileelovedevamodadietrounvetro.Cisiamo scambiati gesti e sorrisi. Era, come sempre, di buon umore. Siamoandativiadopounultimogestochevolevadirearrivederci.SonoritornatoaJacquevillesoltantounavolta,unaventinad’annidopo,per

una cerimonia di cui non ricordo il motivo. Ho avuto l’impressione che ilvillaggio si fosse ingrandito e che le baracche abitate da una massa diimmigratineconfondesserolafisionomia.Hodistintoafatica,inlontananza,le tracce di un palazzo in rovina. Non ho neppure tentato di ritrovare, aimargini del villaggio, il luogo del mio vecchio alloggio. Era passato tantotempo, e i miei principali interlocutori dell’epoca, evidentemente, eranoscomparsi. Sapevo da molto che non avevo più niente da fare sul litoralealladiano.Nel viaggio ci sono due dimensioni: il viaggio stesso (la parentesi) e

l’arrivo.Durantelaparentesi,ancheseèlungaeaerea,nonmiannoio,leggopoco e non lavoro: so che i cambiamenti di longitudine e di latitudine miproietterannoprovvisoriamenteinun’altravitaeassaporounpo’passivamentequesto trasferimento, lo vivo come una libertà, il che, a rigore, è un po’illusorio, perché sono stato invitato, devo tenere una conferenza, incontrarepersone, e anche perché, come si suol dire, ho degli «obblighi», tuttaviarimanelasensazionediessermilasciatotuttoallespalleediessereevasoconuncolpod’ala.L’arrivoèun’altracosa:ioarrivoperpocotempo;nonsitrattané di esilio né di etnologia di soggiorno; sono soltanto di passaggio. Con

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l’occhiovigile,sesitrattadiunprimoviaggio.Attentoadalcuneimpressionisesitrattadiunritorno.Daquestopuntodivista,ilritornoinCostad’Avorio,dicuihofattospesso

l’esperienza,eraesemplare:appenamessopiedesullascalettadisbarcosieraassalitidaun’enormeondatadicaloreumidoindissociabiledalforteodoredicacao proveniente da una fabbrica vicina. Se mi avessero nascosto la miadestinazioneebendatogliocchinonavreipotutosbagliarmi:eroadAbidjan,eall’aviation,comesidicevalì.Conquelmistodiodoreecaloreumido,questaaccoglienza brutalmente sensoriale non mi ha mai deluso, quasi che,aspettandomelaedesiderandola,conil tempononprovassipiùinmodocosìtotale l’effetto di sorpresa e di rapimento che questamadeleine esotica miavevariservatoalmioprimoritorno.Nella foresta quel che si ritrovava erano i rumori.Al villaggio ogni sera,

all’improvviso, si scatenava un frastuono opprimentema ordinato, tanto piùsorprendenteinquantoprovenivadafontidiversemasembravaorganizzatodaunsolodirettored’orchestra,chelofacevasmetterealtrettantorepentinamenteaun’oraprecisa (pocoprimadellamezzanotte); seguivaun silenziopesante,rotto pocoprimadell’alba dalle grida strazianti delle scimmieurlatrici.Unavoltacatturaiquestoconcertodellenottiivorianeconunregistratoretascabile,eognitantolasera,aParigi,loriascoltavoprimadiaddormentarmi.Poil’hoperdutoehoimparatoafareamenodiquestaninnananna.InAfricaavevoscopertoaltripaesioltreallaCostad’AvorioealTogo, il

piùdelle volte inoccasionediqualche convegno,manonerouscitodaunacerchia ravvicinata:Burkina,Mali,Ghana, SierraLeone, Senegal. Ero statosubitonelvicinoGhanapervedere i fortidiSaint-GeorgeseSaint-Jacques,nelportodiElmina, testimonianza impressionantedell’antichitàdei rapportitraEuropeieAfricaniedellatrattadeglischiavi.Ciòchemi affascinavaparticolarmente, inCostad’Avorio e inTogo, era

l’asse sud-nord: la possibilità di passare, in qualche ora di auto, da unpaesaggioall’altro,conallafinelasavanaeunassaggiodeldeserto.Quandorisaliiinautoversolaregionedogon,dopopiùdiunannopassatoinunazonadi foreste, e mi spinsi fino a Timbuctu discendendo il Niger a partire daMopti, ebbi una sensazione fisica di liberazione e contemporaneamentel’impressionechesifosseapertounsipariosuun’altraAfrica.Il viaggio verso quel Nord, che non conoscevo, per me era un po’

l’avventura. Un giorno, in Togo, mentre guidavo lentamente attraverso un

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villaggio(eragiornodimercato)unbambinosigettòcontrol’auto.Piùpaurache altro: non avevaniente,ma i genitori lo sgridarono.Scesi dall’auto.Fuicircondatodacentinaiadipersone,eall’improvvisomisentiiunpo’solo...eunpo’bianco.Sipresentòunnegoziatore,«contrattammo»eincapoaun’orabuonariusciiaripartire,inmezzoasorrisiecongratulazioni,dopoaverdatoun piccolo risarcimento finanziario alla famiglia. Ma per un attimo avevosentitofisicamentelapressionediunafollachesieraradunataall’improvviso:nonsapevachecosafossesuccessomapotevainfiammarsi.Ilcoloredellamiapelleavevauneffettoambivalente:inAfricaallagentenonpiaceaverestorieconibianchi,perchésipossonopagarecare(«Ibianchisonocontati»,dicevascherzosamente un adagio ivoriano del tempo della colonizzazione), ma unincidenteprovocatodaunbiancosuscitaun’emozioneparticolare,senonaltroperchépuòrisvegliareilricordodiatteggiamentiarrogantidiunpassatononcosì lontano.Qualche tempo dopo, durante lo stesso viaggio verso ilNord,feciun’altraesperienzadell’ambivalenzadelcolore.Eroarrivatonellaregionekabré,doveilrilievotormentatoel’altitudinerappresentaronopermeungrancambiamento rispetto alle pianure del Sud. La regione kabré, di cui eraoriginarioilpresidenteEyadéma,eranotapergli incontridi lottaacuiogniannopartecipavanoirappresentantideidiversivillaggi.Arrivaiilgiornodellafinale, che opponeva i lottatori del villaggio presidenziale a quelli di unvillaggiovicino.Milasciaitrascinaredallafolla,eseppicheeravenutoancheilpresidente.Ineffettieralì,sedutosuunagrandepoltronasottounatenda,circondatodadignitarieprotettodauncordonedipoliziottiedimilitarichefiltravanol’accesso.Ilmiocolorefeceilresto:eroildignitariopereccellenza,einmezzoalparapigliamiritrovaispintocontrolapoltronadelpresidenteecostretto ad appoggiarmi col braccio alla sua augusta e robusta spalla.L’incontro si concluse senza sorprese, con la vittoria del villaggiopresidenziale,etuttiseneandaronofelici.Appena entrato all’École, le occasioni di viaggio, indipendentemente dai

miei soggiorni in Togo, si moltiplicarono. Sostituii all’ultimo momento uncollegaaunaconferenzaaHaifa,quattroannidopolaGuerradeiseigiorni.Conun’autoanoleggioattraversaiildesertodelNegevetrascorsiduegiorniaEilat.Feci unabrevemissioneper l’ORSTOM inCamerune fui invitato inKenya.IlministerodegliEsterifinanziavamissionidiinsegnamentoericercain diversi paesi, e così ebbi l’occasione di scoprire alcune università

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americane, dallaNewYorkUniversity a Berkeley. I colleghi americani cheincontravononeranoscontentidellamiapresenza,maebbil’impressionechesi domandassero che ci facessi lì. Uno di loro, che stavo ringraziando perl’accoglienza, mi fece osservare un po’ ironicamente che era lui cheringraziavailgovernofrancesedifornirgligratisunconferenziere.Misembròdi capire che in un paese dove si preferisce decidere da soli inmateria dieccellenza,edoveèstabilitochequalsiasilavorodebbaesserepagato,ilfattoche le istituzioni culturali francesi proponessero a delle università che nonavevanochiestonienteiservizigratuitidialcuniinsegnantisceltidalorononconferiva a quegli insegnanti un particolare prestigio. I miei interlocutorieranogentili,maavoltemichiedevosefossiunconferenziere invitatoounborsistatollerato.Ebbicomunquel’occasionediincontrarealcunigrandinomidell’antropologiamondiale, comeMarshall Sahlins a Chicago, chemi situòsenza difficoltà perché conosceva bene l’École e il Laboratoired’AnthropologieSociale,oHildaeLeoKuperaLosAngeles.HildaKuper,cheerastataassistentediMalinowski,eraspecialistadelloSwazilandeavevaprodotto un’opera imponente e articolata che affrontava con sottigliezza laquestione dell’apartheid, mentre Leo aveva dedicato la vita all’esame deidiversi genocidi. La vita e i lavori di questi due ebrei lituani, che avevanosvoltoun ruolo importanteneimovimentidemocratici inAfricadelSud,nefacevano dei monumenti che mi impressionarono immensamente, anche seavevanolagentilezzaelamodestiatipichedeigrandi.ALosAngelesritrovaiJacquesMaquet,cheerastatoa lungodirettoredi

studiallaSestasezionenonchérelatoreufficialedellamia tesidi terzociclosugliAlladiani.Perlaverità,inquellacircostanzaMaqueterastatopiuttostoilprestanomediBalandier,chesieratenutoinserbolathèsed’État.Maancorapiù vero è che nessuno hamai fatto da «relatore» allemie tesi, e del restoneanch’iohomai fatto il«relatore»di tesi,nel sensopropriodel termine.Èchi fa la tesi che insegna qualcosa al suo relatore, nelle conversazioni cheintrattiene con lui di tanto in tanto: nelle nostre discipline di terreno, è chi«fa» il terreno ildetentoredel sapere.DenisePaulmemièvenutaa trovarequalchegiornoaJacquevilleemihaaccompagnatodaquellicheeranoalloraimieiinterlocutori.GeorgesBalandierèvenutoperungiornoapprofittandodiunavisitainCostad’Avorio.Questicontattieranopreziosi,soprattuttoperchémioffrivanol’occasionedispiegaredov’eroarrivato,difareilpuntoinmodoobiettivoedesplicito.Lostesso,piùtardiesualtriterreni,lamiapresenzaha

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forsesignificatoperquellichefacevano la tesi«conme».Fare il relatoreditesi,inetnologia,vuoldirelasciarfareevedereallafineirisultati.Maquet,uomosorridenteeacuto,miricevetteacasasua.Quell’incontromi

diede un po’ la sensazione di ritrovarmi sul mio terreno, anche se questospecialista del Rwanda ora si interessava a questioni di estetica e inoltrescoprivo in lui un militante ecologista di cui ignoravo l’esistenza. Non c’ènientedipiùefficacedellevisiterapideincuisicambianointerlocutoriogniduegiorni,visitesenzaunoggettobendefinito,perfartidubitareditestessoedeglialtri.LosAngelescontribuìaquestospaesamento;nonriuscivoavederlacomeunacittàeilmiosoggiornofutroppobreveperorientarmi.Unapuntatasullaspiaggia,dovealcuniguruintunicalungapredicavanodavantiabagnantisorridenti,misconcertòdefinitivamente.Maquetabitavapocodistantedaunlembo di deserto. La notte fui svegliato dal rumore dei bidoni delleimmondizie.Ilmattinodopomispiegaronocheeranoicoyotechecercavanoqualcosadamangiare.A questo primo contatto con le università americane dovevano seguirne

altri,ma iononhomai sentito, comealcunimieicolleghi, il richiamodellavitadicampus.Cisonodeicampusmagnifici,esonosicurochelecondizionidilavorosonoeccellenti,enessunotiobbligaafaredeltuoluogodilavoroilposto in cui abiti – una cosa la cui sola idea mi è insopportabile. Questaallergia d’altra parte non vale soltanto rispetto alle università americane.Misono sempremeravigliato, ad esempio,di comealcuni colleghi abbianoconl’ÉcoleNormaleunaspeciedirapportosimbiotico,chelispingearimanerealavorarci senza interruzioni, con il caso estremo di Althusser, che all’Écoleviveva,insegnavaericeveva.L’Americahailgustodellamobilità,elavitadicampusnonimponeaffatto,anzi,quelfissarsiagliannidellagiovinezzadicuisihannoalcuniesempiinFrancia:iprofessoricircolanoevengonodaiquattroangoli del mondo. Ma ho comunque l’impressione che essa imponga unadimensione totalizzante alla vita del professore universitario, il quale sidefinisce innanzi tutto per il suo titolo e per l’appartenenza che ne deriva.Devo riconoscere che per quanto mi riguarda mi è difficile per naturadefinirmi in primo luogo per la mia funzione di insegnante e per la miaappartenenza istituzionale, contrariamente a certi colleghi che senza il loroufficio non esisterebbero più. Dell’École des Hautes Études ho apprezzatoproprio la libertàchedavaaciascunodiavereconessarapportipiùomenodistanziati.

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Sarebbe poco interessante continuare a snocciolare i viaggi che mi ècapitatodifareadestraeamanca.Finoal1985devonomoltoalcaso.Poi,apartiredalmomentoincuisonodiventatopresidentedell’École,hocercatodimettere un po’ d’ordine nei miei spostamenti: ho continuato a frequentarel’AfricaeinparticolarelaCostad’Avorio;hofattomoltemissioniperl’Écoleinquantoistituzione,edunqueinqualchemodomisonoglobalizzatocomeilmondo in cui mi muovevo; infine, ho praticato l’etnologia di incontro, inmodosemprepiùlucidoedeliberato,avolteinsiemealcineastaedetnologoPaulColleyn.Aognimodoleoccasionisupplementariperviaggiarenonsonosvanitee lemie funzionidipresidentedell’Écolenonmihanno impeditodicontinuareavagabondare,tutt’altro.AndaidinuovoinCalifornia,aBerkeley,nel1986, incompagniadiJean

Jamin, per un convegno, invitato da Paul Rabinow, e durante le mie duepresidenze ricevettimolti altri inviti, che accettavo tanto più volentieri, percuriositàepersimpatia,quandovenivanodapaesiconun’attualitàcalda.Hosempreavutovogliadiandareavederelecosedavicino,ehosemprerispostoconentusiasmoquandosipresentaval’occasionedisoddisfarla.Forseperdareamestesso l’impressione,magarinondel tuttofalsa,chesotto leapparenzedell’ufficialitàistituzionale,emalgradoilpesodellafunzione,rimanevolibero.Questa libertà mi permise, in diverse occasioni, di frequentare le quinte

dellastoria,ilchemidavalavagasensazionediseguirneletraccemaanche,ditantointanto,diritornaresuimieipassiediritrovarelascenavuotadiunpassato scomparso. InMarocco fui testimone delle difficoltà che avevano igiovanidocentiasopravvivereintellettualmente,presiinmezzotraleautorità,che li disprezzavano, e gli studenti in rivolta, che li sospettavano sempre ditradimento.StessacosainAlgeria.FuiinvitatoaOranonel1990,nellostessoperiodo in cui, con un’avanzata spettacolare alle elezioni regionali, che sisarebbe confermata successivamente alle legislative, provocando l’interventodell’esercito, il FIS (Front Islamiste du Salut) aveva conquistato il comune.Andai a fare un giro sulla passeggiata che dominava il porto, con i suoiserbatoidigasolio.Noneracambiatoniente.EntraiinunbardesertodoveuncamerieremiservìfrettolosamenteparlandomidiParigi.Spiegai aimiei ospiti chemi sarebbe piaciuto fare una puntata a «Oued

Tlélat» (dopo una spiegazione del tutto necessaria, perché il nome Sainte-Barbe-du-Tlélat non diceva più niente a nessuno).Mi prestarono un’auto e

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arrivai nel tratto di strada prima della città. Ricordavo che in quel puntoc’eranodueotrefattoriechesiraggiungevanoseguendoampiviali.Ventottoanniprimainunadiquellefattorieavevovissutoperseimesi.Esitaitradue,poi optai per una, e vi trovai una giovane coppia che non parlava francese.Nonriusciiaspiegarechecosastavocercando(forsenonlosapevonemmenoio), e capii chemi avevano preso per il vecchio proprietario francese dellafattoria.Nonriusciiachiarireilmalintesoecilasciammogentilmentesenzasaperenientenéiodiloronélorodime.Noneronemmenosicurodinonaversbagliatofattoria.EtuttavialeimmaginicheavevodellafattoriadiSainte-Barbe-du-Tlélatdel

1962 erano nette, o piuttosto pregnanti, perché sarei stato e sono tuttoraincapacedidescriverleneidettagli.Loeranoalpuntochehannoresistitoallaprova della realtà; sono quelle che conservo nella mia testa, e possoimmaginarequell’episodiodeglianniottantasoltantonelloscenariosfocatoetenacedel1962.Nel nostro mondo di violenza sempre all’erta, si passa in continuazione

dalla fine di un temporale all’avviso di una tempesta; ci si sposta più neltempochenello spazio, primadell’avvenimentoodopodi esso, e inquestomodo interviene,più tardi, unadoppiamarcatura,quando ricordandoalcuniepisodidelpassatositentadisituarlinelcorsodellapropriastoriaindividuale.La sacralità laica che Durkheim associa alla memoria collettiva può esseredefinitacomeilrisultatodelcontattotraleduestorie(lastoriacollettivaelastoria individuale), percepite simultaneamente da coloro che le vivonoinsieme. Ho provato qualcosa del genere da bambino, al momento dellaLiberazione, quando i carri della divisione Leclerc hanno imboccato rueMonge.Eanchepiùtardi(perchénonconfessarlo?),nel1981,alterminediunlungoperiodoincuil’ideachelasinistrapotesseandarealpoteresembravamitica,quandohopercorsorueSoufflotversoilPanthéon,persotra lafollamaapochimetridaFrançoisMitterand.Inquesticasièl’istantecheconta,edèdiquesto istantechemiricordo,perchésicollocava,permecomeperglialtri,alpuntodiincontrotraleduestorie.Inquelmomentolamemoriaagivacon tutto quello che conteneva di solenne, di collettivo e di personale –memoria dei grandi momenti della Repubblica, di Zola e di Jaurès, dellaLiberazionestessa,dituttoquelloche,allarinfusa,acquistavaunsensonuovoallaluceonell’illusionedelmomento.Piùsiinvecchiapiùsiècondannatinontanto alla memoria collettiva, che presuppone un forte radicamento nel

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presente,maal ricordo, al singolo ricordo, cheallevolte sipuòcondividereconchiricordaasuavolta,osipuòcomunicare,conlaparolaolascrittura,aquelli che non hanno l’età per poter ricordare. Il ricordo non ènecessariamente nostalgico. Nonmitizza la storia come fa lamemoria, e iltempo ha depositato su di esso i propri sedimenti, fatti di tenerezza e didelusione, di rimpianto o di amarezza, oppure di rivolta e di collera.Ma, aprescindere dal giudizio che dà oggi sul passato e le sue conseguenze, chiricordanonpuòrinnegare,perchéèoggettivamenteesistitoilmomentomiticoincuihasentitochelasuastoriapersonaleincrociavalagrandestoria.ABeirut, nel 1992, quando si credette, per unmomento, che fosse stata

ristabilita la pace, e nel 2005, quando fu assassinato Hariri, nel Chiapas,visitato nel 1995 con un etnologo che aveva rapporti con gli zapatisti, inVenezuela,allavigiliadelprimocolpodistatodiChavez,inRussia,aBerlinoe nell’Europa dell’Est, prima e dopo la caduta del Muro, ho fatto delleincursioni nella storia locale, appena prima o appena dopo avvenimenti cheavrebberoinfluenzatoalungoilcorsodellecose,senonlastoriadelmondo.Rimangono delle immagini: la tenda sotto la quale era esposta la bara diHariri;ilenzuolibianchicheicontadinidellaSelvaLacandonastendevanosuitetti delle loro capanneperchénon venisserobombardate; le finestre ciechedellaprimafiladicaseaestdelMurodiBerlino.L’etnologocheviaggiandoaspiraadiventareantropologodelladiversitàcontemporaneaè,aognisosta,FabriziodelDongoaWaterloo,maèconsapevolediesserlo.Èuntestimonecuriosodelmondoedeglialtri,perilqualeperòcontanoanche,ogniannopiùnumerosi,gliamiciscomparsi,leamicizieperdute,lamorteel’obliosottoilsegnodeiqualistannoormai,chelovogliaono,isuoiviaggielasuaerranza.

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L’ÉcoleDopo quello che ho lasciato intendere sulla solitudine particolare

dell’etnologoesullamiareticenzaaidentificarmitroppoconunaistituzione,ilfattocheioabbiaavutoildesideriodidirigere l’ÉcoledesHautesÉtudesenSciences Sociales può sembrare contraddittorio o quantomeno paradossale.Inoltre, il fatto che io sia sempre stato associato all’École, a questo o queltitolo,puòrelativizzarelamiapretesadiinstabilità.L’École,èvero,èstatailpunto fisso della mia esistenza durante i trentaquattro anni di vitaprofessionaleufficialmenteattivachecihopassato,edèindubbiochenonmisonomaidisinteressatodiquellochesuccedevaalsuointerno.Ma,per l’appunto,all’Écolehogodutodiunararaformadidiversitàedi

libertà. Non escludo di aver proiettato sull’École una serie dimiei desideriprofondi,mal’istituzionesièprestatapermoltotempoaquestaoperazione,enon sono stato ioa inventare l’interdisciplinarietà, ladiversitàdeipercorsi edegli approcci, l’originalità delle personalità che l’hanno caratterizzata perlungo tempo. Ioho tentato,avolte inmodovelleitario,dipreservarequestoideale,difficiledadifenderenelnostromondo,doveicriteridivalutazionesiuniformanoel’organizzazionedellaricercasiburocratizza.Trattoquestaquestionebrevemente(enonciritorneròpiùsopra)soltanto

percercaredirispondereall’obiezionechemifacevoiostessoqualcherigapiùsopraecheèal centrodeimiei interrogatividioggi.Qualchegiornoprimadella fine del mio secondo mandato, un collega che aveva importantiresponsabilitàalministeromihadomandato:«Eadessochefarai?»Nonhocapitosubitochecosaintendevadire,eprobabilmentehorispostocheavrei...continuato.Èquellochehofatto.Questononmidàalcunmerito.Nonavevomai pensato che la presidenza dell’Écolemi qualificasse per concorrere adaltrefunzioni.Avevoaddirittural’ideacheilpresidentenondovessediventareuno specialista di amministrazione, e che anzi in quel campo dovesserimanere un dilettante. C’era un’eccellente amministrazione che facevabenissimo il suo lavoro. Dal mio punto di vista, era importante che ilpresidentefosseinformato,checapisseiproblemieseguisseeffettivamentelequestionidigestione,maeraaltrettantoessenzialechesioccupassesoprattutto

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dei problemi relativi alla ricerca e all’assunzione dei ricercatori. Se ilpresidentefossediventatounospecialistadell’amministrazione,c’erailrischiocheattirassepersonecontendenzesoprattuttoamministrative,echeinquestomodo scomparisse l’originalità di un’istituzione nella quale l’elezione delpresidente da parte dei suoi pari era vissuta in primo luogo come unatestimonianzadistimaintellettuale.Il giorno dell’elezione del mio successore, Jacques Revel, ho annunciato

all’assemblea dei docenti il risultato della votazione. Abbiamo bevuto unbicchiere nella hall dell’École. Poi mi sono eclissato, ho recuperato lamacchinaingarageehopresolastradadiSaint-Nazaire.Avevoprenotatounastanzaall’hoteldelvillaggiodiSaint-Marc,l’hoteldelleVacanzediMonsieurHulot. Dovevo scrivere un articolo estivo per «LeMonde diplomatique» eavevodecisodi scriveredi vacanze edi spiagge.Quelle pocheoredi guidafuronoesaltanti:avevoacquistatounpo’dilibertà,erodifronteaunanuovatappae,inqualchemodo,misentivofelice.Sonopassatipiùdiquindicianni,emiricordodiquelgiornocomesefosse

ieri.Comesenonvolesseroguastarenullaecercasserodisedurmi,laspiaggiae l’hotelmi si presentarono come nel film, e scoprendoli sentii qualcosa difamiliare:«Che tempofaaParigi? Ilcieloè rosaogrigio?»Nonscrivopiùper«LeMondediplomatique»,maamosempreTati.Dueosservazioniancorasullefunzionidipresidentedell’École:eraunaltro

mestiere,uncambiamentototale.Avevamoilsostegnodelgoverno(anchesenoneravamostatimaltrattatidaigovernididestra,lasinistrahasempreavutounatteggiamentopiùgenerosoneiconfrontidellaculturaedell’educazione).L’École all’estero godeva di grande prestigio. Avevamo responsabilità neiconfronti dei paesi dell’Est, dove abbiamo creato dei seminari permanenti.Altripaesichiedevanocontattiecollaborazioni.All’interno,siaprivanograndiquestioni:rivalutazionedellecarriere,cambiamentodellaposizionedialcunecategorie,insommaunaveraepropriamutazione,conisuoivantaggieisuoirischi.Mi trovai a fareunmestierediversodaquellocheavevo fatto finoaquel momento. Nel nostro sistema molto centralizzato e, diciamolo pure,personalistico, il presidente doveva tenere d’occhio tutto. Ci divertivamo,aiutati dai fasti dell’era mitterandiana, a scimmiottare la terminologiagovernativa. Il mio «ministro degli Interni», l’infaticabile Jean Bazin, era

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piuttostounaspeciedi«primoministro»;iomidivertivoaparlaredeirapporticon gli altri paesi come di «affari riservati» e, ovviamente, ogni giovedì siriuniva il «Consiglio dei Ministri». Abbiamo lavorato seriamente, almenocredo,macisiamoanchelasciatiandarealpiacereludicoperqualcosache,inqualche modo, si avvicinava a un gioco di ruolo provvisorio. Non citerò inomideicollaboratorisolidi,impegnatiecompetentichehannoassicuratolaserietàdiquelgioco,perché,loripeto,nonstoscrivendounlibrosull’École,ma la loro presenza mi ha permesso di assumere con serenità le moltepersonalitàdiversechelecircostanzemiimponevano.Se avessi dovuto sacrificare la scrittura, non avrei mai accettato quella

carica. Dunque mi organizzai di conseguenza. Baudelaire ha parlato dei«beneficieternidellacostrizione»apropositodell’artedelraccontobreve.Perparte mia, il fatto di aver riservato ogni anno uno o due mesi estivi allascritturaha avuto il suo effetto sulmiomododi scrivere e sullabrevitàdeimiei libri. Contemporaneamente, e per altre ragioni, gli oggetti della miaosservazioneedellemieriflessionisubivanoun’evoluzione.Maperevolverenonavevanoaspettatochediventassipresidentedell’École:

I giardini del Lussemburgo, pubblicato nel 1985, era stato scritto l’annoprecedente.25Restacomunqueilfattochegrossomodo,sesiguardaallamiabibliografia, ametà degli anni ottanta c’è una coincidenza tra lemie nuoveformediscritturaeilmioarrivoallapresidenza.Chevuoldirenuoveformedi scrittura?Non si trattava, propriamente parlando, di quello che a volte èstatodefinito«antropologiadellaprossimità»,eancoramenodiun«rientroinpatria», che sarebbe stato legato a un preteso ripiegamento postcoloniale. Ilmio percorso, se si può usare questo termine, procedeva piuttosto con undoppiomovimento:daunapartediriflessione(michiedevochecosapotessesignificarel’indagineetnologicaperquellicheneeranol’oggetto),dall’altradiestensioneempirica(conl’ideacheognirealtàsociale,dovunquesisituasseequale che fossero le sue caratteristiche, poteva essere soggetta all’indagineetnologica). Dunque cominciai a concentrarmi su oggetti relativamentelimitati, soprattutto dal punto di vista soggettivo, che privilegiavo, come ilmetròegliannunciimmobiliari,odecisamentequotidianieordinari,comelatelevisione, isupermercatio iparchididivertimento,nelmomentostesso incui passavo molto tempo a percorrere il mondo intero. Verificai peresperienzalarelazioneognigiornopiùstretta,mapiùsottilediquantononsi

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potesse pensare, tra il locale e il globale. Perché non si trattava di unasempliceomologiatrasponibilemeccanicamenteinqualsiasipartedelglobo,eproprio il fattodipercorrere lo spaziomipermettevadiverificarlo.C’eranomodi specifici (coreani, brasiliani, spagnoli e via dicendo) di situarsi nella«surmodernità», anche se si passava dall’uno all’altro di questi mondi,fisicamente e intellettualmente, con mezzi di trasporto e di comunicazioneognigiornopiùefficientiequindiuniformizzanti.Tentaidi illustrarequestoparadossopermezzodelpluralecheutilizzaineltitolodellibro-manifestochepubblicainel1994:Perunaantropologiadeimondicontemporanei.26Mi trovavo a viaggiare molto e con il tempo sempre più contato. In

generale, questomi impose una certa disciplina e sviluppò inme un sensodell’organizzazionechenonmieranaturaleecheconsideravopiuttostocomeuna sorta di «morale provvisoria». Allo stesso tempo questa vita nonraddoppiata,maquadruplicataoquintuplicata,mipiacevaabbastanza.Avevoquattro o cinque vite diverse, ma al tempo stesso sviluppavo una capacità,anch’essa per niente spontanea, di separarle per compartimenti stagni, dimodocheognivita erauna speciedi riposodalle altre.Ovviamente, ero inprimoluogoilpresidentedell’École,funzioneasuavoltaabbastanzavariegata,trarappresentanza,gestioneeamministrazione,maeroanche l’africanista, ilviaggiatoreeloscrittore.Propriolascrittura,inquestocontesto,svolgevaunruolosottile:micreavaun’identità,tantopiùcheincapoaqualchetempo,egrazie a qualche recensione, fu stabilito che con i miei testi brevi, daUnetnologo nelmetrò aNonluoghi,27 avevo creato una sorta di nuovo genere.Soprattutto,lascritturatentavadiconciliarelediverseesperienzechevivevoein tal modo di relativizzare la diversità dei ruoli che a quelle esperienzecorrispondevano. Negli abiti del Narratore, figura classica della tradizioneromantica, o di un personaggio letterario battezzato in fretta e furia, comenella tradizione dei racconti filosofici del xviii secolo, conciliavo l’etnologo,l’africanista, il globe-trotter e l’uomo di scrittura, nonché l’osservatore dellapressionepoliticachevenivaesercitata,inmodoognigiornosemprepiùforte,sututtigliaspettidiquelfenomenochesisarebbechiamatomondializzazioneepoiglobalizzazione.Soltanto ilpresidente,ufficialmente, sfuggivaaquestaconciliazione,tentandodinonconfondersiconquellochescriveva(ancheselasua funzioneperuncerto tempogli valseunamaggiore attenzionedapartedeimedia e dei giornalisti),ma in realtà era proprio lui che, senza darlo a

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vedere,conisuoinuoviviaggi,isuoinuoviincontrielesuenuoveesperienzealimentavalaprosadell’antropologodeimondicontemporanei.Ho viaggiato per conto dell’École. Innanzi tutto in Francia. A volte si

dimentica che l’École è nazionale, non solo parigina. Le due sedi piùimportantioltreaquelladiParigi sonoMarsigliaeTolosa,mac’èancheunlaboratorio comune con una università di Lione, e sotto la presidenza diJacquesLeGoff avevamo creato un seminario interdisciplinare aBrest.Misonospessorammaricatochequestadimensionenazionalenonsiaffermassepiù sistematicamente. Comunque sia, proprio per cercare di renderla piùvisibile, sono andato regolarmente a Marsiglia e Tolosa, due città la cuiimmagine,permecomeperaltri,oggirimaneassociataaquelladell’École.AMarsiglia sono stato ospite una o due volte di Jean-Claude Passeron, manormalmente alloggiavo in un hotel sul Porto Vecchio: la mattina loabbracciavoconlosguardoaprendolafinestra.Passeggiavoperunpo’alsole,poi giravo attorno alMunicipio e prendevo le stradine che salgono verso laVieilleCharité.Nelleduecittà,esoprattuttoaMarsiglia,lesedidell’Écoleeranopiuttosto

strutturate(concentridiricerca,corsi,amministrazione).La formula del seminario interdisciplinare, più flessibile, fu quella che

utilizzammoconipaesidell’Est,perintegrareeinuncertomodoaggirarelapolitica ufficiale di scambi di insegnanti-ricercatori. Le relazioni con queipaesieranodifficili,mainteressanti.Alcunistoricidell’Écoleavevanocontattidi lunga data con colleghi dell’Est, spesso oppositori, come Geremek inPolonia, e vecchi accordi prevedevano scambi di insegnanti tra l’École e laPolonia, l’Ungheria e la Cecoslovacchia. Avevamo anche una tradizione discambi e di contatti con la Romania. Anche la Maison des Sciences del’Homme aveva programmi di accoglienza, e le due istituzioni cercavano dicoordinare le loro politiche. Bisognava agire con diplomazia, perché lepersone di cui sollecitavamo di più la venuta spesso erano mal viste daigoverniesorvegliate:alloracercavamodinegoziare,conrisultatialterni.Cominciai con un fallimento. François Furet, prima di lasciare la

presidenzadell’École,avevacontattatoBronislawGeremekproponendogliditenerelaConferenzaMarcBloch,lagrandeconferenzaannualedell’École,nel1986. Era il centenario della nascita diMarc Bloch, era previsto anche unconvegnosulgrandestudioso,enoivolevamofargliunomaggiospecialeconuna conferenza a lui intitolata. Per il suo mestiere di storico, per la sua

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battagliapoliticaeperlasuaresistenzaalregime,nessunoerapiùqualificatodiGeremekatenerequellaconferenza.Nelmarzodel1986andaiaVarsaviaconalcunicolleghi,tracuiNathanWachtel,perdiscutereinostriaccordiconl’AccademiadelleScienze.Allafinedellariunionedissiapertamentechesareiandato a trovare il nostro collega e amico Geremek. Tutti rimaseroimpassibili.TrailpersonalepolaccoinservizioaParigi–qualcunoeravenutocon noi a Varsavia –, i nostri interlocutori più abituali davano semprel’impressionedivolersmussaregliangolio,qualchetempodopo,dipreparareundomani che sembrava sfuggente.Ci fecero capire che per laConferenzaMarcBlochnoncisarebberostatiproblemi.QuandoarrivaidaGeremekduecosemicolpironoimmediatamente:lasuavitalitàelasualucidità.Parlavaavoce altissima battendo con la mano sui muri, il che voleva dire: «Sobenissimoche imuri sono imbottitidimicrofoni,mamene frego!»D’altraparte,conoscevabene laFrancia,e le sue simpatieall’epocaeranopiuttostoper la sinistra: non si sentiva obbligato a rinnegare completamente le sueconvinzioni passate, ma quello che mi colpì di più fu la sua capacità dianalizzare a fondo la situazione francese senza lasciarsi influenzare dalledifficoltàcheavevanelsuopaese.Lamacchinarepressivainfatticontinuavaafunzionare, tanto che pochi giorni prima della conferenza mi telefonò perannunciarmi che non poteva venire, perché nello stesso giorno era statoconvocato dalla polizia per rispondere ad alcune domande.Come se avesseprevistoquellochesarebbesuccesso,qualchegiornoprimaciavevamandatoil testo del suo intervento, e fu il suo amico Jacques Le Goff a leggerlo,accantoaunapoltronavuota.NelmioprimoviaggioinPoloniamitrovaiimmersocontemporaneamente

nellastoriapresenteeinquelladiieri.AvevamoammiratolacittàvecchiadiVarsavia,ricostruitapietrasupietradopolaguerra,elabellaCracovia.Epoiunamattina, con NathanWachtel: abbiamo visitato, entrambi per la primavolta,illagerdiAuschwitz:granpartedellasuafamigliaeramortalì.Il discorso della guida era ambiguo e, per la verità, abbastanza

insopportabile (anche se eravamo preparati), in quanto enumerando tutte lecategorie di popolazione che si erano ritrovate ad Auschwitz, e citando gliebrei come una tra le tante, sembrava voler evitare di fare degli ebrei unsimbolodelgenocidio.Sarei ritornato ad Auschwitz quattro anni dopo, nel giugno del 1989, al

seguitodiFrançoisMitterandinvisitaufficiale,conl’impressionesingolaree

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un po’ vergognosa della ripetizione e della routine. La folla, e il fatto diseguiredalontanoidignitariinprimafila(unpo’comeincodaauncorteofunebre,doveilraccoglimentoèminore),davanoallamiapresenzaeaquelladeimieiviciniuncarattereinqualchemodoartificiale.Horipensatoaiminutipassatifiancoafianco,NathanWachteledio,quattroanniprima,insilenzio.Qualchetempodopohovisitato,aPhnomPenh,ilmuseoToulSleng:una

scuolacheerastatatrasformatadaiKhmerrossiinprigioneeluogoditorturae dimassacro. I detenuti venivano fotografati prima di essere consegnati alboia:fotografiedi identità,numerate,condidascalie,oggiallineateconcurasui muri del liceo-prigione, ben incorniciate, tutte delle stesse dimensioni,quasibanaliainostriocchi,senonfossimotentatidileggerenellosguardodiquelli che avevano posato per un istante davanti al fotografo il terrore chemontavadentrodiloro.Scuola,luogodisupplizioedisterminiodal1975al1979,museodal1979,

TuolSleng,conlesuetrasformazioniaccelerate,esprimetuttal’ambiguitàdeiluoghi di commemorazione. Ai nostri giorni tutti gli orrori del mondofiniscono non in canzonette, ma in viaggi turistici. Quelli che credono disacrificarelavitaperunacausaodicaderesottoicolpidellatiranniadevonosaperecheungiornosivisiterannoiluoghidovesoffronoemuoiono,chedeipullmanriverserannosciamidivisitatoripiùomenoconsapevolicheverrannoacompiereillorodoveredimemoriatraduetappediuncircuitoorganizzato.Provo lo stesso disagio di fronte alla geometria troppo estetica e troppoordinatadeicimiteridiNormandia.Igiovanichecorrevano,conlapauracheserrava loro lo stomaco, sotto i colpi dimitragliatrice sulla sabbia di quellespiagge,nonsarebberostatitentatidipensarechesicombattesempreavuoto,seavesseropotuto immaginare le folle allegre, raccolteodistratte, cheannidoposarebberovenutearenderloroomaggio,passando,amicienemicidiuntempo mescolati insieme, tra risate di bambini, venditori di cartoline e dispecialitàgastronomiche,sottoilbelcielodiNormandia?E tuttavia, chi oserebbe sostenere che quell’omaggio non sia necessario e

cheilconsumoeilturismononsianomegliodellamorte?Forsebisognadirsiche, da questo punto di vista, la storia va avanti.Ci si potrebbe addiritturaarrischiare a pensare che l’umanità avrà veramente fatto dei passi avanti ilgiornoincuiboiaevittimediventerannoiprotagonistidellostessospettacoloturisticonei luoghidoveoggi regnano la tortura, il terroree la tirannia.Maquestoottimismo,ancorprimachecinico,sarebbeingenuo.Perchélasocietà

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deiconsumihafretta,nonhatempo,èimpaziente,e,propriocomeilmercatoliberale,puòperfettamentefareamenodellademocraziarappresentativa;permettereinpiediisuoicentridivacanzelasocietàdeiconsuminonhaalcunbisogno di aspettare che sia stata fatta la cernita tra quelli che torturano equellichesonotorturati,traboiaevittime.LastoriaandavaveloceancheinGermania.SonostatoaBerlinocircadue

annidopolamiaelezioneapresidentedell’École.AvevamodegliscambiconlaFreieUniversität,aOvest,eaEstdovevoprenderecontatticonilrettoreealcuni colleghi della Humboldt per discutere possibili collaborazioni. Mi èrimasta l’immagine della metropolitana che presi una sera, passaporto allamano,perpassareall’Est,edellestazionichiusetraleduepartidellacittà,chemiricordavanoParigioccupata.Incinqueminutisistavainunaltromondo.Una separazione relativa, però, almeno per la gente dell’Ovest, perchél’indomani il mio collega della Freie mi raggiunse per presentarmi alcuniamici.Ma due anni più tardi, dopo la caduta delMuro, tutti i responsabilidellaHumboldtcheavevoincontratofuronoringraziati,mandatiinpensioneesostituiti.In seguito sono tornato aBerlino varie volte.Da un po’ di tempo ilmio

interesse per la città si era andato precisando. Avevo conosciuto architetticomeChemetov,RolandCastro,MichelCantal-Dupart,ValodesePistres,emi interessavo ai vari progetti urbanistici e architettonici che l’arrivo diMitterandall’Eliseoeraparsostimolare,sbloccareoaccelerare.Lacittàerailvolto del nuovo mondo che stava nascendo, bastava viaggiare un po’ perrenderseneconto.MaBerlino,inquestoinsiemeinmovimento,occupavaunpostoparticolare.Lastoriaeilvolontarismospingevanoinavantile«tendenzepesanti»cheLévi-StrausssottolineavaeanalizzavainTristitropici,28 luichenon si era ingannato circa l’importanzadel fenomenourbanoe aveva subitoapprezzato leBrazzavillesnoiresdiBalandier.29Ineffetti, furiconquistandolaparteestchelacittà,aBerlino,dovevasvilupparsi.All’ombradelMuro,sullatoovest,sierasviluppataunaculturaalternativa,eapartiredallacadutadelMuro,nel1989,laparteest,purcontinuandoadesserelapiùpovera,èanchequellaincuisirealizzanoiprogettipiùspettacolariedovesiritrovavolentierilagioventùdelmondo.PragaeBudapestmiaffascinarono,ognunaallasuamaniera.Riguardoagli

scambi,graziesoprattuttoall’entusiasmodellamiacollaboratriceRose-Marie

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Lagrave, la situazione era buona: da Parigi partivano regolarmente colleghicheorganizzavanoilloroseminario.ConoscevogiàPragaquandociandaiperlaprimavoltainvesteufficialeall’iniziodellamiapresidenza.C’erostatoconunamico,uncompagnodikhâgne,30nel1955o1956,ilprimoannoincuiera stato autorizzato il turismo con auto private. FernandDelarue, figlio diPaul Delarue, lo specialista del racconto popolare francese, aveva una DueCavalli,edopoessererimastiqualchegiornoaPraga,andammoingiroperilpaese, suscitando non poca curiosità. Eravamo accompagnati dalla mia«corrispondente»,lagiovanecuginadiunnostrocompagnodiliceo,acuiunazia faceva da chaperon. In viaggio la zia si voltava continuamente indietro,convinta che fossimo seguiti dalla polizia. Forse aveva ragione lei, anche senoi non ci credevamo,ma la sua paura ci impressionava. Avevamo visitatocomeinsogno,dopoaversuperatoPilsen,lacittàresacelebredallasuabirra,lecittà termalidellaBoemia,KarlsbadeMarienbad, icuinomibastavanoaevocaredeifantasmi.Maifantasmieranospariti,eaitavolidelleterrazzedeibar e degli stabilimenti balneari erano seduti molti operai in vacanza cheascoltavano orchestre eccellenti suonare con animazione: una specie diimmagineidilliacadiuncomunismochesipreoccupavadelbenesseremoraledellaclasseoperaia...Lagentecisorrideva.Appenacisedevamo,imusicistidell’orchestraciriconoscevanoecominciavanoasuonarecanzonifrancesi.Inqueipostiabbiamovissutomomentitantopiùemozionantiperchénoneranoaccompagnati da parole; non abbiamo avuto conversazioni «politiche» néabbiamo fatto discorsi da dissidenti (sarebbero stati concepibili?) o elogisperticati del regime, ma l’interesse che suscitavamo era evidente: eravamovisitatoridell’altromondoequestociattiravaunasimpatiachesimanifestavaapertamente.L’ultimo giorno siamo ripartiti abbastanza precipitosamente. IlnostrovistoscadevaamezzanotteelabravaDueCavallicorreva(perquantopoteva) nell’immensa no man’s land attraverso cui si snodava la stradafiancheggiatadalfilospinato.Siamoarrivatiintempo:abbiamoattraversatolaCortinadiferroecisiamoritrovatinelmondolibero.Cisiamodomandatialungo,Delaruecredoquantome,checosaavessimovissutoinqueigiorni.LaPragaincui tornainel1985noneracambiata; ilponteSanCarlonon

eraancoradiventatounametadelturismomondialeeioapprezzai,inquellacittàaddormentata, il silenziodellesere.Ebbiunpo’ lastessa impressioneaBudapest. Anche se la città sembrava più dinamica, i viali ombreggiati del

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cimiteroebraicoeranodesertiesipotevapasseggiaretranquillamentelungoilDanubio.Nonsonopiùtornatoinquellecittàdopolacadutadelcomunismo,Berlino

a parte. Mi dispiace, ma le cose sono andate così. D’altra parte non hoparticolarmentevogliadiritrovarelasocietàdeiconsumiinluoghidovelasuaassenzaunavoltasifacevasentireinmodocrudele.Inquestononc’ènessunaposizione di principio, tutt’altro. Semplicemente, non se n’è presentatal’occasione,eiononhoavutovogliadicrearla.Nonprovonessuna«ostalgia»,alcontrario.Enonhointenzionedi trasformaregliannipassati inrimpiantiambigui(rimpiantidicosa,perl’appunto,quandoilsolomeritochehannoglianni passati è di non poter ritornare?). Nei paesi dell’Est, per quelli che livisitavano per la prima volta negli anni cinquanta, c’era un’atmosferaopprimentecheèdurataalungo,un’atmosferachecatturaval’immaginazioneeimpregnavalamemoria.Anchedopocheleimmaginichenerestanosisonodecantate,esseesercitanoancoraunfascinoinsidioso.Malasolitudinenellacittà,ildesertodellestrade,ilsensodiattesa,unmistodipauraedidesiderio,erano cose che avevo già provato da bambino nella Parigi occupata, quellaParigisenzaautoesenzaconsumi.Nonhonostalgiadell’occupazione,èovvio,eneppuredell’infanzia.Quanto

poi al fascino della città deserta, ho imparato presto a diffidare di ciò chenasconde e di ciò che soffoca. Al momento della Liberazione erogiovanissimo, e l’attesa era durata solo quattro anni. Il fascino delle cittàdell’Est sicuramente non è più lo stesso di ieri agli occhi del viandanteoccasionale, ma poche persone hanno avuto in sorte di essere come meviandanti del mondo. Probabilmente è meglio occuparsi dell’accesso alconsumo che dellamalinconia e degli stati d’animo dei viandanti dilettanti.Facendoperòattenzioneal fattocheneinumerosipaesi sucuigravaancoraun’oppressione quotidiana, senza la speranza, per quanto vaga, di unaliberazionepossibile,ancheilconsumoperdelasuaattrattiva.Neldicembredel1988sonoritornatoaPragaconungruppodiinvitatial

seguito del presidente della Repubblica, da poco rieletto. Era un periodoparticolare.IdiscorsiriformistidiGorbačëvnoneranoaccolticonentusiasmodalgovernoceco.FrançoisMitterandavevaparlatomoltodeidirittidell’uomoe,aunacolazioneall’ambasciatadiFrancia,avevaricevutoidissidenticechi,tra cuiVáclavHavel. Con gli accompagnatori avevamo commentato questo

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avvenimento, e non avevamo potuto fare a meno di percepire che stavasuccedendoqualcosadi importante.Per il resto,quelli chenonavevanounaragione particolare di trovarsi lì si agitavano, si scambiavano segni diriconoscimento,cercavanodi farsivedereosi rassegnavanoa fareunpo’diturismo. Tre mesi prima, in settembre, ero stato tra quelli che avevanoaccompagnato ilministro degli Esteri RolandDumas nel viaggio che avevafatto per preparare quello del presidente. Avevamo visitato il campo dibattagliadiAusterlitz,equalcheraggiodisoleavevaoffertoaipiùspiritosiildestro di fare una battuta prima che i loro vicini avessero il tempodi aprirbocca.L’École aveva questo di miracoloso: c’erano sempre degli specialisti dei

paesineiqualiandavoarappresentarla,avolteoriginaridiqueipaesi.Permeera una fortuna, è chiaro, ma lo era anche per l’istituzione, perché in quelmodoavevaintuttoilmondolegamiaffettiviconuncertonumerodipartnerchenonchiedevanonulladimegliochediintrodurlapressodiloro.IlfilosofoFernando Gil, portoghese e direttore di studi all’École, mi presentò alpresidenteMário Soares, di cui era consigliere per la politica scientifica eculturale. In Russia, già prima della caduta del comunismo, in Ucraina, inCoreadelSud,aTaiwan,aHongKongoinGiappone,dovetral’altroritrovaidegliafricanistigiapponesicheavevoconosciutoinFrancia,nonfuimaisolo.Probabilmentequestoritrovarmiamioagiointellettualmentemilasciavapiùlibero di abbandonarmi alle sensazioni del momento e al tempo stesso mimettevaalsicurodaunabbandonociecoepigroallesirenedelladifferenza.Ilegami di amicizia o professionali che esistevano tra i colleghi che miaccompagnavanoeiloropartner(cheinalcunicasiavevoconosciutoanch’ioaParigi)bastavanoafaresubitopiazzapulitadituttiiclichédelrelativismoabuonmercato.In certi casi ciòmi aiutò a valutaremeglio le situazioni e amandare in

porto alcuni progetti. Conclusi un accordo di associazione tra l’École e ilCollegio franco-russo di Mosca, creato nel 1991 su iniziativa di AndrejSacharov e Marek Halter. Frequentai un po’ gli studenti dell’Università diMosca:il loroscoraggiamentoeratotale,el’ingenuitàdelledomandechemifacevano alcuni, come se l’Occidente fosse il detentore assolutodelle chiavidel successo economico, politico e sociale, non sarebbe durata a lungo.Riflettevaunmomentodiconfusionesicuramentepasseggero,mailcuiesitoeraincerto.Neisettoridellascienza«dura»laRussiaeramoltoavanzata,emi

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presentarono un esperto di macrofisica che, non sapendo esattamente chifossi,credettebenediassicurarmi,conunasfumaturadisfidanellavoce,chelafisicarussaancoranonavevadettol’ultimaparola,cosadicuinonfaticaiaconvincermi. Ingenerale, il sensodiumiliazionechemisembròdominareaMoscaerainsopportabileperlepersone,edunquepericoloso.Due immaginimi ritornano delmio primo soggiorno inRussia, dovemi

accompagnò la collega JuttaScherrer.Due immaginiunpo’ incerte e senzaparticolareimportanza,machenonmiabbandonano.Unariunioneunasera,laprimasera,conalcuniamicidiJutta:ioseguopiùomenolaconversazione,quandononsisvolgeinrusso.C’èdellavodka,ecomeinunromanzorussodell’Ottocento parliamo del senso e del non senso della vita. Quella seratacalorosaeintensa,trascoppidirisateesilenziimprovvisi,corrispondevacosìtantoaquellochemieroimmaginatoemieroaspettatopartendoperMoscache ancora ne sorrido tra me. Qualche giorno dopo siamo partiti per SanPietroburgo, di sera. La stazione diMosca: camminiamo sulla piattaforma,sentoodoredicarbone,ilfumodellelocomotiveavaporevolteggiasopradinoi. Nello scompartimento ci servono il tè. La notte dormiamo male, unsonnoagitato.Lamattinaesconelcorridoio,insottofondoc’èunamusicacheascoltodistrattamente,poiall’improvvisosentolavocediDalida:«Quesontdevenueslesfleursdutempsquipasse. . .»,lacanzoneche,pericasidellavita, associerò sempre a Rambouillet, al 501° RCC e all’Algeria, il cuiricordo,del1963,erasemprevivissimo.Christian Sautter, economista e specialista delGiappone, in quel periodo

era segretario generale aggiunto dell’Eliseo. Direttore di studi all’École, sipreoccupava che fosse rappresentata in tutte le circostanze che potevanointeressarlainunmodoonell’altro.IldoppiosettennatodiFrançoisMitterande,sepossopermettermiquestoparallelo,ilmiodoppioquinquenniocadderoentrambinel1995.L’Écoleavevasempreavutorapporticonlapolitica,aldilàdelsuoministerodiriferimento.Iointrattenniquestotipodirapporticomei miei predecessori, durante un periodo lungo e relativamente stabile,malgrado due coabitazioni. Potei dunque misurare le difficoltà che siincontravano,malgradotuttigliappoggisucuisipotevacontare,aprendereoastimolaredelleiniziative.Nefecil’esperienzainoccasionediunviaggioinVietnam. «I Vietnamiti», non meglio identificati, ci avevano invitato (ecoprirono tutte le spese sul posto); il ministero pagò il viaggio (ero

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accompagnato da Denys Lombard, specialista dell’Asia, compagno fedele egrandestudioso,chemiscortòinmoltedellemieperegrinazioni inEstremoOriente).SiamoarrivatiaHanoiconuntempofreddoepiovoso.RicordocheDenys

e io ci riscaldavamo, a pranzo, bevendo da una bottiglia di cognac, per laveritàmoltoleggero,cheluiavevaconsé–un’attenzionepermeeunricordodella presenza francese, perché in Vietnam c’era ancora una distilleria dicognac. Ci confermarono che il generale Giap ci avrebbe incontrati nelvecchio palazzo del governatore francese. Noi sapevamo che ormai la suaautoritàerasoltantomorale:damoltotempononerapiùmembrodell’ufficiopoliticoeiltitolodiviceprimoministro,checonservòfinoal1991,erapiùchealtroonorifico.InutiledirechetrovarsidifrontealgeneraleGiapfacevaimpressione, soprattutto a me, in quanto dal 1946 al 1954 la guerrad’Indocina,acuiparteciparonoalcunimembridellamiafamiglia,erastataunargomentoricorrenteeavolteossessivodiconversazione,epoidilitigi.Duecose mi colpirono: era visibilmente contento di parlare francese, e da exprofessoredistorialopadroneggiavaallaperfezione.Poi,perragionichenonsono mai riuscito a chiarire, mi attribuiva un’influenza che ero ben lungidall’avere. Il progetto che ci illustrò in effetti era ambizioso: si trattavanientemenochedi formareungrannumerodiquadrivietnamiti inFrancia.Quandoglidissichepersonalmenteeropienamented’accordoconunprogettodelgenereecheavreitrasmessolapropostaalleautoritàcompetenti,perchéio dirigevo soltanto una piccola istituzione che non aveva né il potere né imezzi per decidere, lui mi sorrise con un’aria di complicità. Un po’sconcertato,aggiunsicheavreiinsistitocontuttelemieforzeperfareinmodocheilprogettoandasseinporto.Lacosaglistavasicuramenteacuore,perchéla riunione durò quasi tre ore. Ci siamo salutati calorosamente, dopo averposatoperlefotografiedirito.Misonoprecipitatoall’ambasciata,sapendochebisognavasempremettere

al corrente «la stazione» di qualsiasi iniziativa nei confronti delle autoritànazionali, ma l’ambasciatore non c’era. Il consigliere culturale ci ascoltòdistrattamente, poi si scusò dicendo che aveva un impegno.Rimasi qualcheminuto con l’attaché culturale, che non fu da meno, e poi salutai. Nelcorridoio incrociai il consigliere culturale, in calzoncini e con la racchettasottoilbraccio,cheandavaafarelasuapartitaditennis.AParigifecitrasmetterel’informazioneaMichelRocardeandaiaparlare

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conAlainDecaux,ministrocondelegaallaFrancofonia,unuomodisquisitacortesia,chemidisseparoleincoraggianti.Circaunannodopo,venniasaperecheperilVietnamerastatosbloccatounmezzopostodatecnico.NonsonosicurocheilgeneraleGiapavessemezzipoliticiall’altezzadelle

sue ambizioni. So però che attraverso canali diversi dall’École si sonosviluppate forme utili di collaborazione con il Vietnam. Ma so anche chespesso si parla di francofonia a vuoto e che ci sonomolte incoerenze nelledecisioni che si prendono: ilministero aveva voluto offrirci una vacanza inVietnam?Se così era, la vacanza andò più che bene. Attraversare le risaie e poi

scoprirelabaiadiAlong,ritrovarsinell’atmosferadiHoChiMinhdopoaversofferto il freddo diHanoi, assistere ogni sera, nelle strade, all’invasione dimigliaia di motorini, pilotati da giovani cavalieri che portavano sul davantidella loro cavalcatura ragazze dai lunghi capelli neri, passare una notte nelvecchiohoteldiDalat:tuttequesteesperienzefuronotantopiùindimenticabiliinquantorendevanosensibileilpassaggiodeltempo.LaguerradelVietnamnon era lontana, ed era stata la conclusione di una serie di avvenimenticominciaticonVichyelecapitolazionisuccessiveneiconfrontidelGiappone.Inoltre,ancoraunavolta,arrivavoallavigiliadicambiamenti ineluttabili,mifermavo sulla soglia del futuro: sulla baia di Along non c’era nemmeno unalbergoquandoci sonoarrivatonel1990, inpredaall’emozionecheavoltepuòsuscitareungrandepaesaggio.Magaril’haigiàvistoriprodotto,maeccocheticompareall’improvvisodavanti,piùcolorato,piùprofondo,piùevidentediquanto tupossamai aver immaginato; ti prende, ti rapisce e ti trasporta,come una sinfonia venuta dal fondo dei tempi che, familiare e inedita altempostesso,tisommerge,tirimescoladacimaafondoetispingeversolamorte,percostringertiarinascere.Nonc’erabisognodiungrandesforzodiimmaginazioneperprevedereciòchesarebberodiventatiqueiluoghimaestosiesegretiquandoavesseroperdutolaloroinnocenza(oggineholaconfermaguardandoInternet).Condannatiafarsicontemplaredaibalconideglihotelaquattro stelle, quei luoghi non saranno mai più «una sorpresa» e, come iluoghi di tutto ilmondo, si sforzeranno di assomigliare alla loro immagine,diffusadappertutto.Ma vent’anni fa, per qualche minuto, ho potuto apprezzare e gustare

egoisticamente, senza pensare a nient’altro, il fascino effimero di un istantesospesotraduemondieduestorie.

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L’Argentina,cheoggimièdiventatarelativamentefamiliare,ful’occasione,

quandociarrivaiper laprimavoltanel1986o1987,diun’esperienzadellostessotipodiquellavissutainVietnam.Numerosistudentiargentiniuscitidalliceofranceseeperfettamentefrancofonieranostatiammessialla tesidaundirettore di studi dell’École,ma il governo francese non sbloccava una solaborsaper le scienzeumane. Insiemeal consigliere culturaledell’ambasciata,uomoassolutamentenotevoleebencoscientedelle insufficienzedellanostrapolitica, non sapevamo che fare; alla fine lui riuscì a sistemare uno deinumerosi aspiranti... inQuébec.Negli anni successivi abbiamo organizzato,con un accordo tra l’École e l’Università di Buenos Aires, un seminariointerdisciplinare,unpo’sulmodellodiquellochefacevamoneipaesidell’Esteuropeo;inquestomodocifualmenounacertacircolazionediricercatoriesitennero seminari sulledue spondedell’Atlantico.Questi rapporti furono resistabili, a partire dal primo anno del mandato del mio successore, con lacreazioneufficialediunCentreFranco-ArgentindesHautesÉtudes.Mi è difficile parlare dell’Argentina senza ricordare, più in generale, lo

shockchemiprovocòilcontattoconl’AmericaLatina,shockabbastanzaforteda farmi ritornare inquelcontinente spesso,perperiodipiùomeno lunghi,soprattutto a partire dal mio secondo mandato e poi negli anni successivi.Messico, Guatemala, Costarica, Venezuela, Colombia, Brasile, Bolivia,Uruguay,ArgentinaeCile:èinAmericaCentraleeinAmericadelSudchehocominciatoapraticare l’etnologiadi incontro. Inqueipaesiho incontratodei paesaggi e a volte ho ceduto alla tentazione del viaggio: scendendo aTikkaldopoaverpartecipato,aCittàdelGuatemala,aicorsiorganizzatidalcollegaeamicoJesusGarciaRuiz;vagabondandoneisalarseneidesertidellaBoliviadelSud,dopoaveravutolafortunadiaccompagnareNathanWachtelnel suo ritorno a Chipaya; scoprendo la Patagonia e il ghiacciaio PeritoMoreno,dopounaseriediconferenzeaBuenosAires.Inoccasionedi un convegno, ho scoperto, anni dopo,SalvadordeBahia,

portodiarrivodeiconvoglidischiavidicuitrent’anniprimaavevovistounodei punti di partenza a Elmina, in Ghana. Ho incontrato colleghi chelavoravanonelleperiferiediBogotàediCaracas.MisonopersoneiquartierimalfamatidiAcapulco...Hopercorsoalcunegrandimeteturistichedeglianniavenire,hoassistitocontemporaneamenteallaspettacolarizzazionedeigrandi

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siti naturali e storici, alla marea nera dell’urbanizzazione incontrollata eall’immensapovertàcheinesorabilmentel’accompagna.

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IncontriL’incontro è innanzi tutto incontro nel senso più banale del termine. Si

fannodegliincontri,eilcasovuolechesenefaccianounpo’dipiùquandosiviaggiamolto.D’altraparte,l’usodelverbo«fare»,inquestocaso,èsingolare;sembra dare l’idea che nell’incontro ci sia qualcosa di volontario,mentre ingenerel’incontroèsegnatodalcasoedallapuracontingenza–oppureancoradal destino: si parla di un incontro fatale per indicare che non poteva nonavvenire e che ha avuto conseguenze nefaste. «Fare» un incontro per altroversopotrebbesignificarefabbricarlo,plasmarlo,farequalcosadiciòcheeranulla,unpurocaso.Ognigiornoincrociomillepersone,manonleincontro.Seleincontro,significachequalcosainloromihafattosoffermare,che«midicevanoqualcosa»echeinfondosonoiochehovolutofarequalcosadiunnulla,faredelcasounavvenimentoericonoscereunosconosciuto.L’incontroinquestosensoèunattopoetico(ingrecopoieinsignificafare)esimbolico,perché crea la possibilità di un legame e, dal momento che l’incontro si èverificato, la sua necessità. L’essenza della poesia sta proprio nel mettereinsieme i contrari (caso e necessità, conosciuto e sconosciuto) per crearequalcosa di diverso. In questo senso, il punto di partenza dell’etnologo èpoetico:èlapoesiadiogniinizio,coninpiùl’ideadiandareaimporreadaltriunincontrodicuinonavevanolaminimaidea.L’incontroprevistoericercatodall’etnologo è programmato da lunga data, a volte ben prima della suapartenza,maperquellicheincontrailsuoarrivoèunasorpresa:l’etnologosièpreparato, loro no. Dunque non è escluso che a quelli che vengono«incontrati» la situazione possa sembrare una macchinazione, e chel’«incontro» possa diventare agonistico, com’è d’altronde autorizzato daldizionario,nell’accezionesportivadeltermine.L’incontrodicuivoglioparlarequièditipodiverso.O,piùesattamente,ho

fattomoltitipidiincontri,alcuniperpurocasooperiniziativaaltrui,altripermia iniziativa.Ritornerò su questi ultimi, che sono a loro volta di due tipi,perchéavoltesonotornatosuimieivecchiterreni,altrevoltemisonoinvitatosui terreni di altri.Maper cominciare voglio dire qualche parola sui primi.Perlaverità,nellamisuraincuihannouninteresseprofessionale,gliincontri

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nonsonomaidovutiunicamentealcaso.Sonopiuttostoilfruttodelpercorsoimprevistochehapresoquellochesièpotutoscrivereinquestooquelcaso;in questo senso la metafora della bottiglia lanciata in mare è semprepertinente: scrivete, scrivete, ci sarà sempre qualcuno che vi leggerà!L’incontro è uno degli effetti possibili della scrittura. Succede che certistudenti tichiedanodifarglidarelatoredi tesiperché,siarrischianoadire,timidi o maldestri, gli piace quello che fai. All’origine dei legami che hocostruitoconartisti,fotografioarchitetti,ilpiùdellevoltec’èstatol’incontrocheavevano fatto,direttamenteo attraversoqualcunaltro, conunodeimieitesti.Èanchesuccessochel’ideadell’incontrosiastatadiunterzo:uneditoreouncollega..Imatrimoni«combinati»nonsempresonoimenofelici,mentrei colpidi fulminepossononasconderedeimalintesi.Questi incontripermesonostatisempremoltoimportantiperchégettavanounanuovalucesuquellocheavevoscritto,daunpuntodivistadoppiamenteesterno, inquantoilpiùdellevoltenoneraquellodiunetnologopatentato.Inoltremiaprivanonuoveprospettive:avoltesonostatil’occasioneperscriverepresentazioni,prefazioniocontributicheavevanoilvantaggiodispostareilmiopuntodiosservazioneedicostringermiaunosforzo tecnicodiscrittura.Adesempio,nonè tantofacile usare il vocabolario degli architetti per descrivere con semplicità,maancheilpiùesattamentepossibile,l’edificiogiàuscitodallaterraoancoraallostatodiprogettosullacarta.In altre parole, a volte succedeva che i lettori di qualche mio testo mi

proponesseronuoviviaggienuovimotividiscrittura.ImieiviaggiadAulnay,a Roissy, in varie periferie, alla Défense, al Technocentre Renault diGuyancourt,aDisneylandoneiCenterParcsnonmiallontanavanomolto,intermini di immaginazione, dagli aeroporti, dalle sale d’aspetto o dalleautostrade che frequentavo sempre più assiduamente dal 1985, ma questedestinazioni, al tempostesso tantovicinee tanto lontane,venivanoproposteallamiaosservazionedopoavermi letto.Scrivevo (avoltepocherighe,altrevoltemoltodipiù)suquelledestinazioni,comescrivevoanchesufotografioartisti le cui opere ritraevano viaggi diversi dai miei ma che a volteincrociavano ilmiocammino; inognicaso,consideravoqueste«commesse»come una risposta positiva e incoraggiante alla domanda che chi tenta discrivereponecontinuamenteaisuoilettori:vidicequalcosa,capitequellochevogliodire?È anche successo che il lavoro degli altri mi parlasse nell’intimo e che

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l’interesse che mi dimostravano (poco importa chi avesse «fatto il primopasso»)aprisselapossibilitàdiunverodialogoo,letteralmente,diunveroeproprioscambio,chepoisièprotrattoneltempo,perchénoncisièpersidivistaecisiètenutialcorrentediquellochefacevamo.ÈandatacosìconPaulVirilio, le cui riflessioni, com’è noto, mi hanno influenzato, ma anche confotografi come JeanMounicq, la cui Parigimi fa sognare allo stessomododelle periferie di Jacques Réda, o come Basilico, che mi fa perdere nellestrade di Beirut, Istanbul, Mosca o Milano. È andata così con il catalanoMuntadas,conAnneePatrickPoirier, chehoconosciutoa Ivryunadecinad’annifa,cheincrocioditantointantoinFranciaoinItaliaeicuilavorimiritornano alla mente ogni volta che affronto i temi della memoria e dellerovine.Altriancora,certo,einparticolarearchitetticomeVallodeePistres,mihannotrascinatosustradeapparentemente«leggere»rispettoagliinteressiufficiali della disciplina etnologica. Tutti, malgrado le personalità moltodifferenti,mi sembrano avere in comune un qualcosa che ancora non sonoriuscitoadecifrarecompletamente,madicuiintuiscolapresenza:sonocertocheseungiornoriuscissiavederloconchiarezzaeadefinirlo,avreiimparatoqualchecosasumestesso.MichelLeiris,inBrisées,31sostienechesipercorrelospaziopernegareil

tempo. Ed è vero che il viaggio, che finisce e ricomincia senza sosta,costituisceunabellametaforadellavita,comeilmare,chericominciasemprein qualche luogo. Ma il viaggio si può veramente ridurre alla fuga eall’erranza? Non del tutto, almeno finché la scrittura lo accompagna – lascrittura,cioèlacontinuazionedeldialogoedelloscambioe,inunaformaoin un’altra, la presenza degli altri. Bisogna precisare. L’erranza non ènecessariamenteunafuga.Ancoraunavolta,ilmitoreligiosotentadiimporrela sua legge presentando l’Ebreo errante come colpito da una condannasecolare (penso alle belle pagine scritte a questo proposito da MarcelloMassenzio nella Passione secondo l’Ebreo errante).32 Al contrario, si puòconcepire l’erranza come l’attesa di un incontro, non l’Incontro nel sensomisticodirivelazione,maunincontropiùmodestoepiùreale,unodiquellicheaiutanoaromperelaroutineelasolitudineconlamanifestazione,almenomomentanea,dellasimpatia,dellacomplicitàodellacuriosità.È questo tipo di incontro che forse è possibile «fare» nel senso di

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fabbricare, di elaborare, privilegiando il significato diplomatico rispetto aquello sportivo o guerriero del termine «incontro», anche se i diversisignificatidiunaparola,perquantooppostipossanoessere,tendonosempreasovrapporsiinqualchemodo.Per una decina d’anni, che hanno coinciso grosso modo con la mia

presidenzadell’École,sonoritornatopiùvolteinAfricaehocominciato,dopomolti altri, a scoprire l’America. Il cinemami hamolto aiutato, ed è statoanche il periodo in cui Jean-Paul Colleyn mi ha insegnato ad apprezzarequestonuovomezzodiesplorazioneediespressione.Cominciammoconl’Africa.Laprimavolta cheColleynvennedame, negli anni ottanta, insiemealla

sua produttrice, la fotografaCatherine deClippel, aveva l’idea di girare suimiei terreniafricani.Edèquellochefacemmoapartiredal1983,percircacinque anni. Per me fu una sorta di ultimamessa a punto dei dettagli delfenomeno profetico. Il primo film fu girato mentre proseguivo i mieisoggiornipressoilprofetaadyoukrouOdjo.Fupiùunprolungamentocheunritorno.HarrisMemel-Fotê,ancheluioriginariodellaregioneadyoukrou,miaveva consigliato di lavorare con Odjo, che conosceva bene e di cuiapprezzava lacapacitàdiascolto.Permesi trattavadiun’esperienza inversarispettoaquellacheavevofattoaBregboconAlbertAtcho,difrontealqualegli Alladiani facevano comparire gli uomini o le donne che consideravanocolpevoli.ConAtchoavevoprivilegiatoitrattichegliconferivanoilruolodigiudice.ConOdjoinvecemierosentitopiùamioagioeavevoafferratopiùfacilmente il suo punto di vista. Bisogna dire che non c’è niente di piùmonotono,ma anche di più commovente, di queste corti deimiracoli dovevengono snocciolate tutte le disgrazie della terra, le crudeltà della vita divillaggioeledifficoltàdellamigrazioneincittà.Odjoerauninventorediritidallafervidaimmaginazione;organizzavaregolarmenteprocessioniperandaread attingere l’acqua alle sue tre sorgenti miracolose nella foresta vicina;portava abiti pittoreschi, cambiava volentieri religione di riferimento,naturalmentesemprerespintodairappresentantiufficiali.Negliultimiannisidichiaravamusulmano,maavevaunafotodelpapasull’altaredietroalqualeofficiava al modo di un prete cattolico. Gli uomini e le donne che locircondavanoinquantitàeranoexmalaticheluiaveva«guarito»,comedicevainsistendosulsuoruoloditerapeuta.Ineffettiquellepersoneavevanotrovatounrifugio,eranoalriparodallepersecuzionidellorocircondario,edègrazie

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a Odjo che ho capito più chiaramente una delle funzioni di quelli cheufficialmente venivano chiamati «profeti-guaritori»: quelli che si erano fattiun nome nella professione erano riusciti a creare uno spazio «fuori luogo»,uno spazio di rifugio e di sicurezza. Succedeva che alcuni, accusati distregoneria,vifosseroportatidaiparentiperproteggerli.Rispettoaivillaggitradizionali,luoghisimbolicamentestrutturati,conregolediresidenzarigide,il villaggio profetico aveva tutte le caratteristiche del nonluogo, in cuicoabitavano provvisoriamente individui di tutte le origini, ma il lavoro delprofeta consisteva per l’appunto nel farne un luogo, imponendogli le suepropriedivisionispazialieunsuoproprioimpiegodeltempo,creandoregolee una liturgia, e soprattutto rendendo stabile la popolazione. La cosa piùsignificativaeranogliandirivienidiquelliequelleche,dopoaverfallitoneiloro tentativi di ritorno alla vita urbana o di villaggio, moltiplicavano eprolungavano i loro soggiorni presso il profeta, finché si mettevanoufficialmenteedefinitivamentealsuoservizio.L’arrivodellecinepresefumoltoapprezzatodaOdjo.Bisognacapireche,

lungi dall’essere dei mostri di arroganza, i personaggi profetici, che sonoincontestabilmente,damoltipuntidivistae inmolti sensi,personaggi fuorinorma, vivono con inquietudine, e a volte con umiliazione, il fatto di nonriuscireafarsiriconosceredalleautoritàmedicheereligiose.Illororapportoconleautoritàpoliticheèaltrettantoambiguo.Atchosicompiacevadeibuonirapporticheavevaavutoconilgovernatorefranceseesisforzavadiparlareunlinguaggiomodellato suquellodiHouphouët-Boigny.Manella logica stessadellastregoneria,checondividevanopuraffermandodicombatterneglieffetti,i profeti sapevano che qualsiasi aspirazione al potere è pericolosa, che habisognodisegniperaffermarsieconsolidarsi.Inquestoquadro,laprudenzadi chi viene da fuori, di un’autorità esterna, e tanto più di un bianco, èessenziale.«Ibianchinonsidisturbanomaiperniente»,avevadettoAtchoalsuopubblicoqualcheannoprima,puntandoilditoversodime,unaserachesiapprestava a giudicare inmiapresenza alcuni diavoli alladiani.PerOdjo, lenostre cineprese consolidavano la sua posizione, forse anche ai suoi stessiocchi.Eravamolaprovadell’esistenzadelprofeta.Quattroannidopo,abbiamofattounpercorsopiùdiversificato,chemiha

permessodimisurarelavitalitàdellaChiesaharrista,lecuicerimonie,icantie le sfilate ritmiche, all’interno e attorno alla «cattedrale diBregbo», eranoimpressionantiediederoadalcunesequenzedelfilmProphètesen leurpays

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deiconnotatidasuperproduzionehollywoodiana.Costruireluoghidicultoinmaterialenondeperibileeraildesideriocomunedituttiiprofeti,unmododiiscriverelaprofezianelsuolo.Daquestopuntodivista,iprofetieranounpo’come i grandi politici ivoriani, che per dimostrare la loro importanzaricorrevano quasi senza eccezioni alla prova del cemento. Lo spaziosimboleggia l’autorità, una vecchia storia di cui l’Africa non ha certo ilmonopolio,macheessaripercorresianellecapitalipolitiche,sianeivillaggidove sono nati i potenti: una geografia dell’architettura politica tenta diimporsiagliocchidi tutti, sulmodellodellacittàcoloniale,cheessa imitaeprolunga.AToukouzou,all’estremitàdelcordonelagunare,ritrovaiPapaNouveau,un

altroprofetapressocuierostatopocodopoilmioarrivosullitoralealladiano,vent’anni prima. Era un uomo strano, poco ameno, già imprigionato dalleautoritàcoloniali,cuivenivanoattribuitigrandipoteriecheavevovistocaderein trance mentre predicava nella sua cattedrale di fronte all’oceano. AvevacreatounaChiesa,la«ChiesaPapaNouveau»,cheaquantopareesisteancoraed è sostenuta, come anche quella harrista di stretta osservanza, da alcunipolitici.L’edificiodellaChiesaeragrandeeimpressionante.NonmieromaipropriamentefermatodaPapaNouveau;erostatosoltanto

unvisitatoretramoltialtrienonsosericordavaicolloquicheavevamoavutoall’epoca–colloquidifficili,perchéavevamobisognodiun interprete.PapaNouveau, come Odjo, era un uomo radicato nella sua terra, molto legato,malgrado avesse creato la sua «Chiesa», alle tradizioni pre-cristiane: avevafatto sgorgare una sorgente e scavato un canale, le cui acque avevano lareputazionediassicurarelasaluteatuttielafeconditàalledonne.Ricordocheinquell’ultimavisitaaPapaNouveauhoritrovato,sfogliandoil

suolibrod’oro,lafirmacheviavevolasciatonel1965.Anchelàlacinepresafecemiracoli.Bisognadirechealcuniprofetihanno

un fisico, una prestanza e una capacità espressiva (tratti del viso, mobilitàdellosguardoepotenzadellavoce)cheimpressionanoifedelieipazienti,enefannodeiveriepropri«animalidiscena»,ilcuitalentovieneesaltatodallapresenzadellacinepresa.Non conoscevo i nostri due ultimi eroi,ma entrambi erano notevoli, per

ragioniopposte.Ilprimo,nellaregionebaoulé,eracomparsoinunreportagedellarivista«Fraternité-Matin»:sipresentavacomeilCristoritornatointerra

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«periNeri».L’altroeraunperfettosconosciutoeciècapitatodiincontrarloquasipercaso.Il primo, Kokangba, si fregiava anche lui di qualche appoggio politico e

sosteneva che la «montagna» sulla quale officiava gli era stata concessa perdecisione del presidenteHouphouët in persona. In effetti operava in cima aunacollinamoltoripida,sullaqualesisalivacondifficoltà.IlCristoneroperlaveritàabitavaperlamaggiorpartedeltemponelsuovillaggioaipiedidellacollina(chescalava,comevenimmopoiasapere,daunaltroversantemoltopiù agevole, riservando quello più ripido ai visitatori), ma aveva discepolianche in città, ad Abidjan, dove andava di tanto in tanto. Mi resi conto,visitando quei discepoli nel quartiere Adjamé di Abidjan, che il culto diKokangbaeraessenzialmenteuncultourbano.I profeti ivoriani hanno in comune con quelli della Bibbia il fatto che

annuncianosempreunfuturoprossimo(ricordiamoHarris:«Trasetteanni iNerisarannocomeiBianchi»).Selapromessanonsirealizza,quellochel’hafattapuòavere la tentazionedi sostenereche la realizzazioneè lui stesso. Ilfenomenosiègiàdatonellastoriae,losappiamo,almenoinunpaiodicasiconuncertosuccesso.Kokangbaavevafattoquellascelta.CiòchedicevasullasuavenutainterracomeCristoeragrossolanamentericalcatosullaBibbia,mailfattointeressanteèchenonerauncasounicoinAfrica:ineffettiancheinCongoeinAfricadelSud,dovecisonostatinumerosiprofeti,alcunisisonopresentaticomeilCristoritornatointerraperiNeri.NonsitrattavadialtriCristi,madelCristo, ritornatoper rimediare aunadimenticanza.Nientedipiùeloquente.Comunquesia,Kokangbaeraunabilissimoregistadisestesso,chequando

apparivaincimaallacollinaaisuoidiscepoliriunitipiùinbassoerasicurodiimpressionarli.Avevacreatounascuoladoveibambiniimparavanoaleggerela scrittura che aveva inventato. Sulla collina erano state trascinate dellepiroghe, in previsione del diluvio prossimo venturo. Indubbiamente questoCristoavevaunapersonalitàmolteplice.L’ultimoprofetadelfilmeraunfallito.Inquestomestiere,unpo’cometra

gli artistidivarietà, ci sonomolti aspiranti epochiprescelti.Percorrendo ilpaese insieme a Jean-Pierre Dozon, avevo conosciuto altri profeti, inparticolareunadonnachenonriuscivaaconquistarsilafamacheavevaavutoMarieLalou,celebreprofetessadelperiodocoloniale,oKoudouJeannot,cheavevainventatouncultofamiliaremoltoparticolareesembravarivendicare,in

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modo piuttosto aggressivo, un ritorno al paganesimo. Tutti gli aspiranti allacarrieraprofeticasiignoravanoodavanoavederediignorarsireciprocamente,ma sapevano che posto occupavano nella scala della notorietà; di quil’importanza dei segni tangibili sui quali potevano tentare di far leva: lecostruzioni«induro»eilriconoscimentodapartedelleautorità,politicheodialtro genere. I profeti sono innanzi tutto dei produttori di segni. Il nostroarrivodaquellocheabbiamochiamato«ilprofetadelcrocevia»,perchélasuacasa si trovava all’incrocio tra due piste deserte, fu accolto come unabenedizionedel cielo. Il profeta viveva con lamoglie e le due figlie, che loaiutavano nel compimento delle sue funzioni sacerdotali. Ci illustrò il suocultoesciorinòconzelotuttelesuecapacitàprofetiche.Lacosacominciavacon ilmito della sua nascita, di cui ho dimenticato i dettaglima che è unacostante di ogni biografia di profeta: è necessario che qualche segno abbiaindicatofindallanascitailcarattereeccezionaledelpersonaggio.Poivieneilperiodo del dubbio e della persecuzione, in alcuni casi assai reale. Infinearriva il riconoscimento, che ognuno tenta di dipingere nel modo piùspettacolare possibile.Ma nel caso del profeta del crocevia ilmomento delriconoscimentosifacevaattendere.Avevaanchelui,comeglialtri,unaltaresu cui aveva disposto i simboli più eclettici della religione; recitava le suepreghiere con fervore; sosteneva di aver guarito, a volte, qualche sintomodoloroso; cantava insieme alle sue tre donne canti ben strutturati. Ma nonserviva a niente: da lui non veniva nessuno.Lo confessava con un’ingenuitàdolorosachenonpotevanonsuscitaresimpatia.Sentivovenireilmomentoincui, riconoscendoci come degli specialisti, ci avrebbe chiesto dei consigli.Glieneavreivolentieridatouno:avevaun’ariatroppogentile;ilsuovisononriflettevanessunaambiguità;malgrado tutta la suabuonavolontà,nonera ilpersonaggio giusto, e dubitavo che lo sarebbe mai stato. Lo salutammoaugurandoglibuonafortuna.Per quanto ingenuo potesse sembrare, quel profeta era assai interessante.

Era la caricatura di personaggi a loro volta caricaturali, di volta in voltaeccessivioridicoli,macheesprimevanoconunaforzacheandavaaldilàdilorostessilecontraddizionielecrudeltàdiunasituazionepostcolonialesenzaunaviadiuscitaimmediata.Iprofetiivorianimimavanoleforzechepesavanosull’Africaesimboleggiavanolamodernità:l’esercito,lareligione,lascrittura,la medicina erano i loro temi prediletti, anche se contemporaneamente

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pretendevano di controllare saperi e pratiche ereditati dal passato.Esprimevanoamodolorolacontraddizioneprofondadella lorogenerazione:come svilupparsi senza cambiare nulla? I centri studi, fiorenti negli annisessanta e settanta, si diffondevano in tutti i paesi sottosviluppati dando avedere di cercare delle risposte a quella domanda senza speranza,riformulandola continuamente con maggiore o minore sottigliezza, ericevendo per questo lauti finanziamenti. Dopotutto, forse il profeta delcroceviaeradoppiamenterappresentativo.Iltempodeiprofetistavafinendoeilsuofallimentoerailsimbolodellafinediun’epoca.Oggigliultimiprofetisonomorti.Sonovissutiunsecolo, inalcunicasinelverosensodel termine(PapaNouveau:1901-2001);lechieseevangelichelihannosostituiti,comeleONGhannosostituitoicentristudi,manonèaffattosicurocheladomandasulcambiamentooggivengapostapiùchiaramentediieri.I profeti erano ossessionati dalla questione della scrittura: Kokangba ne

aveva inventatauna; tutti iscrivevano inuovi arrivati sugrandiquaderni chepoinonservivanoanulla;Atchoavevaaccoltoconentusiasmoilsuggerimentodi Jean Rouch e Germaine Dieterlen di far dattilografare le «confessionidiaboliche» dei suoi pazienti, e così negli anni sessanta io avevo raccoltocentinaiadiconfessionistereotipate,inutilizzabiliperchéavrebberoacquistatoun senso, a rigore, soltanto nel contesto di villaggio al quale facevanoallusione,voltaavolta,lelisteparalleledellevittimeuccise«indoppio»edeidiavoli accusati. Harris era un ex fedele della Chiesa metodista e avevapercorsoilitoraliivorianiconlaBibbiainmano,manonèmaistatoaccertatoseneabbialettodeipassialsuopubblico.Illibroerasoltantounapresenza,come pure più tardi, quando veniva sistemato su questo o quell’altare diprofeta,nonoccasionediletturamaoggettofeticizzato.Seiprofetiricadonocontinuamente nel mito che pretendono di negare (il mito sgretolatodall’irruzione coloniale ma di cui rimangono i tratti più persistenti, comel’interpretazione della disgrazia e la «stregoneria»), è perché a quel mitopossonosostituiresoltantoilracconto,asuavoltapresoinprestito,dellalorovita, narrata nei termini di un altro mito. Il profetismo è chiaramenteun’impasse storica, e proprio da questo deriva il suo fascino. Il profeta delcrocevia fu l’ultimo che incontrai e forse uno degli ultimi a lanciarsi nellacarriera,ma,senzachesenerendesseconto,ilsuofallimentoerapiùgrandedi lui: segnava la finedi una lungaparentesi di cui ci si può solo augurare,senzanessunacertezza,chenonsiriapra.

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Semprecon lacinepresadiJean-PaulColeyn,allafinedeglianninovantafeciilmioultimoviaggioinTogo.Lacinepresaeraformidabilenelmettereinrisaltolapresenzamassicciadialtarivodun,glidèiterrignigrondantialcoleolio di palma, il corpo a corpo del prete con l’oggetto che stringeva comefossestatounapartedilui,ilsanguedeisacrificiel’indifferenzadegliuominidifronteall’uccisionedeglianimali,ancheselalorosempremaggioreintimitàcon l’uomo (ad esempio se si trattava di un gatto) creava una tensioneparticolare.I culti continuavanoaprosperaree,perquantone so,prosperanoancora,

maero io chemi stavoallontanandodall’Africa, attiratodanuoviorizzonti.L’essenziale delle mie osservazioni sulla regione di Anfouin, sugli dèi delBeninesulsistemadeiconventi,eragiàcontenutoinGeniodelpaganesimo,pubblicato nel 1982, mentre nel Dio oggetto, uscito nel 1988,33 avevoesaminato la nozionedi «feticcio».Avevo l’impressionedi aver terminato ilmiopercorsotogoleseenonavevonessunavogliadiaprireunnuovoterrenoafricano. Il film Les Dieux objet uscì nel 1989. Un etnologo nel metrò fupubblicatonel1986,Villeetenuteall’iniziodel1989.34Erogiàaltrove.Maunascenamièrimastainmente.Sonoarrivatoinunpiccolovillaggio

dove avevo lavorato per un po’. C’era una festa, o comunque sia i tamburibattevanoelagentedanzavaallororitmo.Quandomividescenderedall’auto,ilbokonôcheguidavaladanzavenneversodimecontuttoilsuocorteoeiospontaneamenteandaiversodilui,accennandoamiavoltaunpassodidanza.Ci siamo abbracciati. Non avevamo rapporti particolarmente stretti; avevosoltanto passato con lui diverse ore, qualche anno prima. Ma l’emozionenasceva dal momento e dal movimento. Come in un film dal copione fintroppobencostruito,eroritornatoesattamentenelmomentoincuigliabitantipotevano accogliermi senza cambiare nulla a una cerimonia di cui la miaimprovvisa presenza sembrava piuttosto la conclusione naturale. Nellamanciatadisecondi incuicisiamoandati incontroapassodidanza, ilmioritornoeilnostroincontrohannoavutoqualcosadimiracoloso:diinaspettatoeallostessotempodinecessario.QuestiritorniinAfricaeranounaformadiaddio,oquantomenodiultimo

sguardosuscenaricheprobabilmentenonavreirivissuto,perchéiloroultimiprotagonisti sarebbero presto scomparsi. Era, più esattamente, un addio al

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terreno africano. In quegli ultimi percorsi mi avevano accompagnato degliamici,einloropresenzaavevoavutocomel’impressionedisfogliareunlibroillustrato o, in alcuni casi, un album di vecchie fotografie. Lo shock di unnuovo continente stava per risvegliare inme una forma di attenzione per ilmondochenonchiedevachedirinascere.InAmericadelSudritrovaiduegiovanietnologhecheavevanolavoratocon

me. Attraverso i loro primi lavori conoscevo qualcosa dei gruppi chestudiavanodapiùdiunannoecheioincontravoperlaprimavolta.InBrasile,aBelem,VéroniqueBoyerlavoravaconungruppodidonneche

praticava il culto detto umbanda. L’umbanda è una delle versioni delcandomblé e può assumere diverse forme. Le sue origini sonomolteplici ecombinano gli apporti degli schiavi africani e quelli dei culti amerindiani.Sull’umbandaesisteunaletteraturaabbondanteedigrandequalità,daRogerBastideaCarmenBernard,maVéroniqueBoyer,chesieraimpegnatainunafrequentazione intensiva di alcuni terreiros, ci introdusse nell’intimitàquotidiana delle fedeli. Aveva annunciato il nostro arrivo, e siccome avevastrettorapportidiamiciziaconquestedonne,fummoaccolticalorosamente.Daquestocontattointensomarelativamentebreveimparaidiversecose.Innanzi tutto, in una situazione di quel genere bisognava praticare

un’etnologiadolce,delgiornopergiorno,seguendol’esempiodiquelledonne,che si aiutavano e si sostenevano reciprocamente attraverso la pratica delculto. Durante il giorno lavoravano, se avevano un lavoro, la sera sioccupavanodeifigliedellefaccendedomestiche;maavevanopresoilpotere:imariti se n’erano andati o stavano in disparte.Ci trovavamo in unmondoessenzialmente femminile. Tanto più nelle sedute del culto, che sipresentavanoognisettimanacomefesteasorpresa, tenuteoradaquestooradaquel terreiro,edurante lequalisiconsumavanoinabbondanzabevandeedolciumi.Ritrovai vecchie conoscenze. Il dio Legba, l’Hermes beniniano che si

incontravadappertuttonelBenineinTogo,avevaattraversatol’AtlanticoconiconvoglidischiaviesiritrovavaaBelem(comeintuttoilBrasile)conilnomedi Exu, con gli stessi attributi, all’ingresso dei cortili o nelle camere, aprotezionecontemporaneamentedaglialtriedasestessi,diodegliscambi,delpassaggio,delletransizioni,delletransazioniedellamorte.Malepotenzeche«siabbattevano»sulledonnechedanzavanoper farlevenireeranocaboclos,

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spiriti indiani precisamente identificati e che appartenevano a diversecategorie. Se ne parlava con familiarità e si discuteva liberamente con loro,comevedremo.Devoconfessarechelafrequentazionediquelledonneeragradevole.Erano

tuttebelle, inmodidifferenti; alcuneavevano labellezzadellagioventù,mac’erano anche i visi estremamente interessanti delle più mature, cheresistevanodaanniaquellapraticaconservando,malgradoisegnideltempo,deitrattienergicieundinamismoimpressionante.Inquelmondovorticosoeattivo (eravamo in un ambiente di piccolissima borghesia,ma non tra i piùpoveri), il silenzioo l’assenzadegliuomini avevaqualcosadi irreale.Unoodue omosessuali partecipavano regolarmente alle sedute di possessione, e ilmarito di una delle donne dava unamano a sparecchiare la tavola.Ma, ingenerale,c’eranosolodonneebambini.Avoltesidiscutedottamentesuglieffettiesulruolodellapossessione.In

quel caso erano abbastanza evidenti. La festa, attesa da giorni, dava unorizzonte alla settimana. Durante le feste tutte le donne, che nella vitaquotidianasivestivanoinmodopiùomenopratico,sitrasformavanoinreginedi bellezza; gli abiti indossati per la possessione erano particolarmentespettacolariedeleganti;iltruccoeraaccuratoequandoicorpisiaccasciavanoosidibattevanopereffettodellapresenzadiuncaboclo,oquando ledonnechenoneranoancoraentratenelgiocodellapossessioneandavanoinaiutodiuna compagna, il carattere sensuale dello spettacolo balzava agli occhi. Almomentodell’arrivodelcaboclo, nell’istante incui si impadronivadel corpodella sua «cavalcatura», scoppiava un applauso: una possessione è buona,riuscita,quandoèbella.Lospettacolocontinuava,eaquelpuntoeraattribuitoal caboclo; era lui a parlare e a danzare fino al momento in cui i cantiterminavano,icorpisicalmavanoelarappresentazioneavevafine.Sipassavaaipasticcini.Maicaboclosnonseneandavanosubito.Rimanevanoancoraunpo’ per partecipare alla festa e all’agape.Una sera di festa ho chiacchieratoconunadonnacheconoscevounpo’echesapevoavereunafigliacheledavaproblemiconlascuola.Maerailsuocaboclocheparlavaconme,nonsen’eraancoraandato(nonricordopiùqualefosse,maalloraconoscevoilsuonomeela sua identità). Bevemmo un bicchiere, e la donna mi confidò, con lametaforaconsueta:«Ilmiocavalloèarrabbiato,hadeiproblemiconlafiglia.. .», entrando poi nei dettagli dei problemi. Una o due volte la miainterlocutricestavaper sbagliareedire«io» inveceche«lei»,masi riprese,

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poiarrivòrapidamentelafasefinale,quellaincuilapossedutaritornainsé.Come da copione, la donna doveva aver dimenticato tutto, e così cirimettemmoaparlaredellacattivascolaracomesefosselaprimavolta.Alcune donne recitano il risveglio con talento, stropicciandosi gli occhi

come se uscissero da un lungo sonno.Altre, quando sono possedute da uncaboclo bambino, fanno smorfie, tengono il broncio e piagnucolano. Tuttiquesti atteggiamenti, assunti sotto l’occhio compiacente delle compagnecomplici, probabilmente non si riducono all’aspetto ludico, ma questocomunqueèbenpresente,ebastaassistereallospettacoloperrendersicontoche esso permette di evadere per un breve momento dal quotidiano perpoterlo riaffrontare l’indomani.Unaseraabbiamopropostounaversionepiùlaica della rappresentazione, mentre riaccompagnavamo a casa le nostreamiche.Qualcunoavevaaccennatounmotivo,quindiloriprendemmotuttiincoro, e ci mettemmo a danzare in mezzo alla strada, al chiaro di luna,cantandoBuenasnoches,miamor...Sonosicurocheeravamostatifedeliallospiritodell’umbandadiBelem.InVenezuelahofattoilmioultimosoggiornoprolungatosulterreno.Dopo

una conferenza aMaracaibo, sono andato con alcuni colleghi, che avevanoorganizzatoilviaggio,sulterrenodellamiaallievaGemmaOrobitg.Ilviaggioera lungo:primasidovevaarrivareinautoaSanFernandodeApuré,poi,asecondadellastagione,sipotevaocontinuaresuifiumiinpirogaamotoreo,nelperiodosecco,proseguireinauto.ASanFernandobisognavafareilcaricodiprovviste.Fuisedottodapaesaggipermecompletamentenuovi.Laprimavoltaandammofinoadestinazione inauto,ma in seguito sono stato lungheore sotto la pioggia, rannicchiato in unapiroga angusta. IlCapanaparo, unodegliaffluentidell’Orinoco,eraunfiumelargodalleforticorrenti;bisognavafareaffidamentosull’istintoel’abilitàdelpilota.Ricordocheunanotte,sottounapioggiatorrenziale,abbiamomancatoun’ansaecisiamoritrovatiaterra,incagliatitraduealberi,conduepesciche,attiratidallalucedelletorce,eranosaltatiabordo.Avevol’impressionedifareuna«spedizione»(eineffettieraproprio così), e quella situazione esercitava su di me, lo riconosco, unaseduzione irresistibile. Una seduzione che avevo sentito fin dal mio primoviaggio, durante la stagione secca, sulla camionetta dove avevo volutorimanerenel retro,per stare all’aria aperta. InAmerica, siadelSudchedelNord, ho avuto spesso l’impressione che i paesaggi fossero più vasti che in

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Europa,elalineadell’orizzontecontemporaneamentepiùdistanteepiùlunga.Questaimpressioneeraparticolarmentefortenellapianuraerbosadell’Apuré,dovenonc’ènientecheostacolilosguardo.IPuméYaruromoltiplicaronoquell’effettodiseduzione.Noneranocertoi

rappresentanti più puri di un gruppo preservato. Da anni i Pumé cedevanoterreno ai Criollos, che creavano grandi haciendas di allevamento. Il ruolodegli Indiani era semplice: fornivano manodopera, e le loro donne spessovenivanomesseincintedaidiscendentideiconquistadores.LamaggiorpartedeiPumécheho incontratoeranobiologicamentemeticciati,madi fronteaquelle pressioni fisiche e morali continuavano a resistere, e l’arrivo di unetnologoche si interessavaalla loro linguaeai loro riti avevadato lorounanuova vitalità. Ho rapidamente concepito l’idea di contribuire a questosoprassaltovitalericorrendoaimieiamicicineasti,epossodirecheunavoltaportataaterminequell’esperienza,treoquattroannidopo,tuttigliabitantidiRiecito (era il nome del villaggio e dell’affluente delCapanaparo in riva alquale si trovava),quandoebbero lapossibilitàdivedere il filmdicuieranoprotagonisti,nefuronocommossieconfortati(maioerogiàpartito).Lasituazionechescopriilaprimavoltanonerabrillante.Ilgruppostudiato

era stato riunito dall’amministrazione in una piccola località con pocheabitazioni.L’amministrazioneaveva fornitounamandriadicuiogni tanto simacellavaunabestia,mal’allevamentononappassionavagliIndiani.Qualcunolavoravasaltuariamentepressouncriollo,apochichilometrididistanza.Piùomenoognidiecigiornipassava lacamionettadiunvenditoreambulante.Lavitasisvolgevasoprattuttoall’ariaaperta,conungrancaldo,anchedinotte.Dormire in un’amaca è un’esperienza singolare: sognavo moltissimo, e laposizione del corpo molto probabilmente aveva molto a che fare con quelfenomeno.Il legametraamacaesognomisembròevidente.Inognicaso, ilsognoelavegliavenivanovissutiincontinuità,eognigiornocisiscambiavalenotizieincludendoanchequellechevenivanodaisogni.Certeseretuttisiriunivanonellapartebassadelvillaggio,inunaspeciedi

hangar senza pareti (era piuttosto una tettoia di foglie sorretta da pali dilegno);alcentroc’eralosciamanoditurno,conattornoqualcheconfratelloealcunigiovanichesiiniziavanoallapraticadelcanto.Perchélosciamanoerainnanzi tutto un cantante, in spagnolo un cantador, che improvvisava il suocantoinvitandoglidèiavenireaincontraregliuominiriuniti.Sidicevacheormai gli dèi «scendevano» sempre più di rado, erano diventati pochi, e la

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cerimonia del tôhe (era questo il suo nome) negli ultimi tempi era stataabbandonata,finoall’arrivodell’etnologo,ilcuiinteresseavevaincoraggiatoicantadoreseresuscitatounpocoilloroprestigiotraigiovani.Adessoquasi tutto ilgruppoerapresentequandoc’era tôhe.Ledonnee i

bambinisipiazzavanosottolatettoiaopocodistante.Iopreferivotenermiunpo’ in disparte per osservare il lento passaggio del cielo al chiarore delmattino. Inquelle latitudininientediventapiùfamiliaree regolaredelcielo;ogniseraglistessipuntidiriferimentosiritrovanoalloropostoe,oradopoora, sipuòseguirecon il loromovimento«ladolcenottecheavanza»versol’alba.Ilcantadoriniziavailcantoconunavoceall’iniziosordaebassae,laprima

volta che l’ho ascoltato, il suo ritmo lento e sincopato, il suo fraseggioparticolare, in cui anche i più profani avrebbero riconosciuto una melopeaindiana, mi hanno immerso in un altro mondo. Non tutti i cantadoresriuscivano a far venire gli dèi, i più giovani mancavano di esperienza e ditalento, si diceva. Gli dèi si allontanavano, e solo Cesar, il cantador piùanzianoedesperto,riuscivaancoraafarsiascoltaredaloro.Versomezzanottelasuavocesifacevapiùferma,piùsicura,esieratestimonidiunasortadi«possessionevocale»:undio siavvicinavaalcantador e si fermava sopra lasua testa, sostituendo la propria voce alla sua. Intanto il cantador, mispiegavano,cadevainunsognoeviaggiavaoltrel’orizzonte,nelvillaggiodeglidèiedegliantenati.Loscopodiquestoviaggioavolteeramoltopreciso: ilcantador ad esempio poteva andare a negoziare il ritorno di un uomo giàparzialmente presente nel villaggio deimorti (cioè:moribondo aRiecito, ilvillaggio della vita durante la veglia). L’indomani, se lo stato del malatomigliorava, lo sciamano sognatore-negoziatore aveva compiuto la suamissione.All’alba,lavocedelcantadorsiindeboliva;ildiosen’eraandato;ilcantadortornavainsé,prontoaraccontareilsuoviaggioinsogno,maavendodimenticato le parole pronunciate dal dio durante la possessione. Qualchevoltasimettevaalriparodalfallimentoraccontandoadesempiocheilmalatocuiavevafattovisitainsognosirifiutavadilasciareilvillaggiodeglidèi(edeimorti).Durantetuttalanottesifumavanosigariealcuni,conl’aiutodiunpiccolo

tubometallicoadoppiaimboccatura,lacuiesistenzaèdocumentatadasecoli,«sniffavano»unapolvereprodottainloco,daglieffettipotenti.Cesar,invece,rifiutaval’aiutodiquelladroga,sicurodellapotenzadelsognoedelviaggio.

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L’esperienza simultaneadi sogno edi possessione, dimemoria e di obliorappresentata dal tôhe era del massimo interesse a livello della teoriaetnologica. Non avevo mai trovato le due dimensioni riunite in uno stessorituale. Tra i Pumémi trovavo in unmondo permolti aspetti differente daquellideigruppiafricanicheavevofrequentato.Alcuneopposizionipossonoriassumere queste differenze. Il sogno in Africa a volte era un elementorivelatore,manonunmezzosistematicodi ricerca;era lapossessione laviaprivilegiatadelcontattoconglidèiegliantenati.L’alcoleraassuntointutteleforme,macontrariamentealledroghedegliYarurononeraconcepitocomeun mezzo per veder più chiaro e per sognare meglio. Invece, lo strettorapportotrailmondodeiviviequellodegliantenati,eilconfinesottiledellatransizionetralecategoriedeimorti,degliantenatiedeglidèi,appartenevanoaentrambiimondi.TraiPuméhoavutoiltempoel’occasionediammirarela loro capacità di esprimere, in una forma ai nostri occhi poeticamentemetaforica, la realtàdella loro storia edella situazione chevivevano inquelmomento.Ilsolodiocheancoraaccettavadiscenderenellecerimoniedeltôheeraquellocheanticamenteerasemprestatol’intermediariotrailmondodeglidèiequellodegliuomini,cosìcometrailmondodeimortiequellodeivivi.Itchi Ayi era dunque l’ultimo dio, un po’ come Cesar, prima dell’arrivodell’etnologo che gli aveva dato nuovo coraggio, aveva creduto di esserel’ultimocantador.Lasocietàdeglidèisicancellavaescomparivacomequelladegliuomini,isogniesprimevanosoltantolatragediadelreale,mailfascinodeltôhe,cosìcomequellodellapoveraesistenzadeiPumé,quotidianamenteperdutatravegliaesonno,erailfruttodeldubbiocheinstillavaintuttiquellicheneeranotestimoni:dov’erailriflesso,dov’erailreale?Iltitolodiun’operadi Calderón èLa vita è sogno,La vida es sueño.Ma chi sognava?Gli dèinascevanodal sognodegliuominiogliuominieranosoltanto il sognodeglidèi?

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AntropologiaeletteraturaNonhomaitenutodiariditerreno.Miècapitatodipubblicarepiccolitesti

intitolati «diario» o «taccuino», ma non avevano niente dell’annotazionequotidiana,eranopiuttostopretestipercommentarealcuniavvenimentioperproporre alcune analisi.Tuttavia per un etnografo tenere undiario hamoltivantaggi.Comeunapreghieraquotidianaounlibrodibordo,invitaatenerelarotta.Imponeunadisciplina.Ildiarioserveanchedapromemoria,permettedifissaredettaglichealmomentodiunmontaggiosuccessivorischierebberodiandareperduti,eavoltehannoun’importanzainsospettata(nellenoteapièdipagina di Maupoil e Leiris ho trovato osservazioni di informatori che mihanno aperto gli occhi sui fenomeni di «possessione»). Ma, sul pianoletterario, al diariomancaun certo distanziamento.Quotidiano e fattuale, ildiario schiaccia l’avvenimento e non presta attenzione al tempo. Inoltre, ildiario livella i fatti, come nei giornali radio o nei telegiornali, in cui iconduttori ci fanno passare senza transizione da una catastrofe che ha fattomigliaiadimortiairisultatidelcampionatodicalcio.Epoiildiarioavoltehaunacertadoppiezza,perchéilsuoautorescriveconparticolarecuraqualche«bella»paginaconl’ideadiutilizzarlainun’operafutura.QuellocheapprezzodimenoinTristitropici35sonopropriolepagine,pocheperlaverità, incuiLévi-Strauss cita se stesso, riprendendo nel testo frammenti scritti quindicianni prima. Questi frammenti hanno pretese letterarie. Sono in partedescrizionidipaesaggi,che,inseritiaforzainuntestoampiamenteposteriore,si ritrovano sottratti a qualsiasi dimensione temporale e di conseguenzarisultano piuttosto artefatti: mancano di quel distanziamento che in unoscrittoreèl’elementofondamentale,proprioperchénelmomentoincuiscrivenon è più l’osservatore che registrava a caldo le impressioni e le emozionidell’attimo.Mettendoquestiframmentifuoridaltempo,Lévi-Strausslitrattacomedeidocumenti,edèquestaincertezzacircalaloronaturaadisturbarmi.Il diario è un testimone indiscreto di cui ci si domanda, quando il suo

autoreèscomparsosenzaesprimerealcunavolontàalriguardo,seisuoierediabbiano il diritto di pubblicarlo. ValettaMalinowska si pone la domanda erisponde affermativamente nella sua prefazione alGiornale del fratello. Ha

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ragione, credo, non soltanto per le ragioni che invoca (permettere airicercatoridiscoprirecomevivevaepensavaBronislawMalinowskiduranteilsuosoggiornosul terrenodal1914al1918),maancheperchéogniscritturapresupponeildesideriodiesserelettieperché,sottratteagliimperatividellapresentazione disciplinare, le riflessioni quotidiane gettano una luceparticolaresullarelazionedell’etnologoconquestodesiderio.Malinowski affida al diario gli scoramenti, le pulsioni sessuali, le

aspirazioni,insommatuttociòchefapensarecipossaesseredelvoyeurismonelpiaceredileggerlo,comeavvieneconqualsiasialtrodiariointimo.Magliconsegnaancheimpressionilegateallapercezionesoggettivadellospazioedeltempo,delladurataedell’inizio,oalpuropiaceredellascrittura.Il17aprile1918arrivanelvillaggiodiKualaka,nelleTrobriand,eannota:«Ilpiaceredinuove impressioni – instabile consapevolezza, dove ondate di cose nuove,ognuna con la sua ben definita identità, scorrono da ogni lato, si romponol’una contro l’altra, si uniscono, e scompaiono. Un piacere come quello diascoltareunnuovopezzodimusicaodifareesperienzadiunnuovoamore:unapromessadinuoveesperienze».36Laricercadelritmoedelleparoleperinseguirelasensazionediinizioodinascitaèquimanifesta.Unaricercachecorrisponde a quello che Michel Leiris chiamava un «bisogno di ordinepoetico», intendendo per poeta «non esattamente chi scrive poesie, maqualcuno che vorrebbe arrivare a comprendere inmodo assoluto ciò in cuiviveearompereilproprioisolamentograzieaquestacomprensione».Anchel’etnologotentadicomunicareconlascrittura«ciòincuivive».Le

informazioni che raccoglie hanno un contenuto oggettivo. Non scrive perregistraresemplicistatid’animo,matrailmomentoincuiosservaequelloincuiscrivesipossonorintracciarediversetappe.QuellocheinnanzituttomihannoinsegnatogliAlladiani,èlanecessitàeal

tempo stesso l’impossibilità di qualsiasi traduzione, allorché ogni parolaacquista senso inununiverso senzadualismoné trascendenza,unmondodiimmanenza, incui leparolee lecosesicompenetranocosìstrettamentechenon è possibile cambiare le une senza farmuovere le altre. Per questo, c’èsempre un notevole scarto tra quello che l’etnologo crede di aver capito equelloche tentadidire.Questo scarto, e la tensionecheprovoca,non sonodiversi da quelli che si hanno in altri contesti, e quella con cui si scontral’etnologo quando si mette a «redigere» è una difficoltà di espressione

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letterarianelsensopropriodeltermine.Il secondo insegnamento degliAlladiani è stato che la loro antropologia,

quella che avevano costruito nel corso dei secoli e che permetteva loro diesisteresimbolicamenteesocialmente,riguardavaquestionichechiunque,daqualunquepostovenisse,potevaafferrareecapireperfettamente.Dunquenonsorprendeva che al momento di fare l’inventario di quelle questioni mivenissero in mente dei riferimenti letterari. Non si trattava di fare deiconfrontiodiabbellireladescrizioneetnograficaconinutiliraffinatezze,madiprendereattodelfattochelacreazioneletterariael’osservazioneetnologicasirealizzavanosuunostessoterreno–chepropongodidefinirelaloromateriaprima.Tuttiidatiraccoltineicapitolichelaletteraturaprofessionalehadedicato

alla nozione di persona, agli umori del corpo, alla natura delle influenzeesercitate dagli uni sugli altri, alla nascita, alla malattia e alla morte, sonoevidentemente diversi, ma sono dovunque presenti e pertinenti, ecostituisconosempreunamodalitàparticolaredell’aprioridelsimbolicodicuihatrattatoLévi-Strauss.Conunaltrolinguaggiodireichetuttele«culture»sipongono le stesse domande,ma non danno le stesse risposte. L’universalitàdelle culture si ritrova nelle domande, non nelle risposte. E l’insieme, indefinitivapiuttosto limitato,delledomandeche sipossonodedurreapartiredall’infinitadiversitàdellerisposte,malgradoilcaratterespessoprescrittivodiquesteultime,si ritrovaanchenellediverseelaborazioni letterarie,chesianoscientifiche,documentarieopiùomenodifiction.LavitasocialedegliAlladianieraattiva,dinamica,masegnatadallapaura:

paura dello sguardo altrui e dellaminaccia che poteva contenere, paura deimorti insoddisfatti, gelosi e vendicativi, paura di ogni avvenimento, perchéogniavvenimentoèunsintomo.Ilorodèisieranoallontanati,manoneranoscomparsi.Avevano lasciato dietro di sé, come traccia del loro passaggio, iprofumi velenosi che inebriavano le generazioni precedenti. Come nei mitifondatividituttelereligioni,gliAlladianieranoduriconidebolieprudenticoniforti,maleposizionidiforzaodidebolezzanellavitadelvillaggiononeranomaiacquisiteunavoltapertutte.Comeipiùabilieroigreci,anchegliAlladiani collocavanomolto in alto l’arte della parola e le astuzie che essapermette.Ribaltamentidisituazioneeranosemprepossibilieunapartedellavita sociale consisteva, per alcuni, nel far intendere col silenzio o con

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l’allusionecheessirestavanoipadronidelgioco.Inunasituazionedelgenere,l’analisietnologicasiavvicinavaauneserciziodicriticaletteraria:l’etnologoèunpo’ilcriticoletterariodellesocietàdell’oralità.Tuttavia gli intrighi che le confessioni e le accuse degli Alladiani

disvelavano avevano qualcosa di surrealista. Nel primo Manifesto delsurrealismo, scritto da André Breton, si legge: «Tutto porta a credere cheesisteuncertopuntodellamenteapartiredalqualelavitaelamorte,ilrealeel’immaginario,ilpassatoeilfuturo,ilcomunicabileel’incomunicabile,l’altoe il basso cessano di essere percepiti inmodo contraddittorio».A volte hoavuto l’impressione di aver raggiunto o sfiorato quel punto, ad esempioquando,inunapiazzadivillaggioodifronteaunprofeta,assistevoallascenafinale del funerale di un uomo morto da mesi o alla confessione di un«diavolo» trascinato davanti al giudice. Afferravo sempre più facilmente lalogica degli argomenti degli uni e degli altri, e una sera mi sorpresi asorridere,comequellichemistavanovicino,sentendounaccusatoche,comeprovadella sua innocenza, si appellavaal fatto chevivevaadAbidjanenontornavaalvillaggiodamesiquandoeramortalapersonadelcuiassassinioeraimputato.Comeraccontarescenedelgenere?Conqualiparole?Ancheinquestocaso

si trattava prima di tutto di un problema di traduzione, ma anche, piùprofondamente, di una forma di bisogno, quello di cui parla Leiris, chediventairresistibilequando«ciòincuisivive»siavvicinaalleveritàintimeespettacolari del surrealismo. Ho incontrato Michael Taussig, l’etnologoaustralianoavolteconsideratocomeilpiùpostmodernotraglietnologi,neglianninovanta,inVenezuela,allafestaannualediMariaLionza,sullamontagnadiSorte.IlcultodiMariaLionzamettevainscena,letteralmente,unafiguraleggendaria,nellaqualesiconfondevanoosimescolavanodivolta involta itrattidell’amerindiana,dellaspagnolaedellaschiavanera.LafiguraerastatarecuperatadalpoterepoliticoeunastatuadiMariaLionzatroneggiainpienaCaracassulbordodell’autostradaurbana.Mailcultoèpopolareesicelebraquotidianamente nel cuore dei barrios periferici della capitale. La statuapubblicaraffiguraMariaLionzanudachecavalcauntapiro(riferimentoaunadelle leggende che la riguardano).Ma i luoghi dove si celebra il culto, cosìcomelerappresentazionidiquestadonnadivinaeincantatrice,fannopensaretanto alla VergineMaria quanto alle reginette di bellezza care al cuore deiVenezuelani.

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Taussigmidicevacheeracostrettoapassareperlafictionperdareaisuoi

lettoriun’ideadiquellocheavevasottogliocchi.Malgradolemiereticenzerispettoallamescolanzadeigeneri,capivoquelchevolevadire.Avevabisognodi creare un equivalente romanzesco di ciò che viveva nella realtà, nonsoltanto per «farlo sentire» agli altri, ma anche per prendere lui stesso lamisuradiciòcheavevaappenavissuto–questaNottediValpurgailluminatadamillefuochi,incuidegliesorcisticacciavanoildiavolodacorpipossedutidecifrando le formule di manuali medievali, mentre poco più in là altriposseduti,decisamentepiùesotici,parlavanoconlavocediBolivarealcuniindovini dicevano il futuro, e ancora più in là gli antichi dèi amerindianitornavano in vita e i tamburi della santeria cubana ritmavano una danzainvisibile,esullacollinaricopertadiunafittaforestalefiammeanimavanolezoned’ombradacui,ditantointanto,emergevalasagomafurtivaefrettolosadiunmarialionceroodiunamarialioncera,diunadeptoodiunaadeptadelcultodiMariaLionza,chesispostavadaunaltareall’altro.Ma, ancor prima di arrivare ai problemi di traduzione delle parole, dei

concettiodellesituazioni,ilmaterialeraccoltodall’etnologocostituiscedipersé una «materia prima» comune all’antropologia e alla letteratura. Leantropologie locali trattano del corpo, dei suoi umori, delle influenze cheesercita e che subisce, delle differenze dei sessi, dellamemoria e dell’oblio,deirapportitraivivieimorti,dellanascita,dell’ereditàedellaprocreazione,delle regole di trasmissione o di imposizione dei nomi... insomma, di tuttoquellodicuisioccupanoilromanzoelapoesia.Mihacolpitochefosseunoscrittore come Proust, le cui analisi all’inizio del xx secolo rappresentavanouna delle forme più raffinate della psicologia europea, a venirmi in mentequando,insiemeaBoniface,miiniziavoallesottigliezzedellerappresentazionialladiane.D’altronde Proust stesso invita a un accostamento di questo tipo,reputando«moltoragionevole lacredenzacelticache leanimedellepersoneche abbiamo perduto sono prigioniere in qualche essere inferiore», fino algiorno in cui noi veniamo in possesso dell’oggetto che è la loro prigione:«Liberate da noi, hanno vinto la morte e tornano a vivere con noi».37Chiaramente perProust le animeperdute e ritrovate sonounametafora delpassato che avremmo il potere di far ritornare. Non sempre Proust è cosìottimista. Il suo Narratore confessa che preferisce non innamorarsi perché

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l’amorenondurapersempre(èiltemadellaFuggitiva)edunquelanascitadelsentimento amoroso porta in sé il germe di «una sorta di morte», che luipreferisce non affrontare. Questa temporalità e questa circolazione deisentimenti hanno i loro equivalenti in tutte le antropologie pagane. PierreVerger ha fatto osservare come nel Golfo del Benin il ritmo dei tamburi,l’accompagnamentomusicale dell’iniziazione di un giovane, ritorni comeunLeitmotiv indiversecircostanzedellasuavitaeognivoltaècomeunritornodel passato, che gli procura una forte emozione. Verger in proposito citaProust.Ma,comeinProust,esistel’altroversantedellecose.Tuttiglielementiilcui insiemecostituisceuna individualitàviventesidisperdonoalmomentodella sua morte; alcuni si reincarnano, altri si trasferiscono altrove, altriscompaiono del tutto come sabbia al vento, tanto che, constatando questadiluizione totale, Bernard Maupoil, il grande etnologo della Géomancie àl’ancienneCôtedes esclaves,38domanda aGedegbé, il vecchio indovinodelregnoFondelDahomey,destituitoedesiliatodaiFrancesi,achisirivolgonodavvero quelli che celebrano un morto: «A dei ricordi che ci sono cari»,risponde Gedegbé. Dialogo estremamente significativo, perché associa ladomandadiunetnologo(chevuolesottolineare lapresuntacontraddizioneacui facevo riferimento prima) e la risposta di un informatore, che colpisceproprio perché non è un’informazione (che dovrebbe eliminare lacontraddizione) ma la semplice constatazione di una verità umana chechiunquepuòcogliere.Il vocabolario dell’etnologia scaturisce con naturalezza dalla penna di

Proust,ealcunedellesuepaginepiùcelebripotrebberofigurareinesergoaicapitoli di una classica monografia: possessione, luogo, nome. BisognarileggereipassaggidedicatiallapiccolafrasediVinteuil(«giàlapiccolafraseevocataagitavaquasifossequellod’unmediumilcorpodavveroindemoniatodel violinista. Swann sapeva che essa avrebbeparlato ancora una volta»).39La zia Léonie è la garante del «luogo antropologico» rappresentato daCombray,doveognunoèidentificatoeoccupaunpostopreciso.ACombray,comeaJacquevilleoaGrand-Jacques,«unapersona“chenonsiconosceva”eraunesserealtrettantoincredibilecomeundiodellamitologia,edifattononc’era stata amemoria d’uomo una sola volta che, verificandosi in via delloSpirito Santo o sulla piazza una di quelle apparizioni stupefacenti, delleinvestigazioni ben condotte non avessero finito col ridurre il personaggio

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favoloso nelle proporzioni “d’una persona che si conosceva”, siapersonalmente sia in astratto, nel suo stato civile, per avere un grado diparentelaconqualcheabitantediCombray».40Infine,comeunredelBeninilcuidjoto si reincarnaa intervalli regolarie simboleggiaunaperennitànonsottomessa alla contingenza della morte, «sempre, senza interruzione, sisarebberosusseguite,comeonde,nuoveprincipessediGuermantes;omeglio,millenaria,sostituitadietàinetànellesuefunzionidaunadonnadifferente,sarebbe sempre vissuta un’unica principessa di Guermantes, ignara dellamorte,indifferenteatuttoquantoalteraeferisceinostricuori,mentreilsuonome,comeilmare,avrebberichiusosuquelleonde,viaviainabissantesi,lasuasempreidenticaeimmemorialeimpassibilità».41Va osservato, tra parentesi, che Proust è sempre prossimo alle intuizioni

dell’etnologiadelleorigini:parlandodiFrançoiseusal’espressione«contadinamedievale»,noncomeunaccostamentoounafigurastilistica,manelsensoincuiTylor,inunaprospettivaevoluzionistica,consideravaicontadiniinglesigliantenati,ancorapresentisullaterra,dellagentrybritannica.Hoparlatodella«materiaprima»comuneallaletteraturaeall’antropologia.

È una questione importante dal punto di vista dell’antropologo, in quantomette in discussione la nozione stessa di «referente», ossia il contenutoempirico della sua osservazione. L’antropologo non può farne astrazione,contrariamente aquel che sembra avolte suggerireCliffordGeertznei suoiscritti teorici, non solo perché senza quel contenuto empirico l’antropologonon ha nessun motivo di scrivere, ma anche perché la sua scrittura stessa,quandoscrivedavvero,neèprofondamenteimpregnata.Senzaunincessanteconfrontoconisuoi«terreni», l’antropologononpotrebbepiùscrivere:sonofontediispirazioneealtempostessosuggerisconolaformaincuiesprimerla.La scrittura non si riduce a una procedura retorica di dimostrazione: ècoinvoltainungenere.Nonsiriduceaun’algebra:vuoleconvincere,farcapireefarimmaginare.C’èqualcosadiingenuoediperversonell’andareascovarela dimensione «letteraria» di Malinowski o di Lévi-Strauss. Di ingenuo, èovvio, perché quella dimensione è un’evidenza – la stessa evidenza chesottolinea Julien Gracq quando dice che indubbiamente Nietzsche è unoscrittore, mentre altrettanto indubbiamente Kant non lo è. Ma anche diperverso,perchésembrasivogliafareunrimproveroaidueautori,oquanto

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menomettere in discussione la finalità della loro impresa e relativizzare lavalidità «oggettiva» dei loro risultati. Come se il fatto che la letteraturaantropologica possa essere definita, come credo, un genere letterario, edunque letta con gli strumenti della critica letteraria, rendesse accessoria laquestionedelcontenuto.Èveroesattamenteilcontrario.Devo ora affrontare il problema vero e proprio della materia «formale».

Nelle cosmogonie lamateriaprende formacon l’apparizionedi figurepiùomeno animali o antropomorfe: gli eroi civilizzatori, poi le figure divine osemidivine, di cui Jean-Pierre Vernant42 ha mostrato, a proposito dellamitologia greca, come potevano comporsi e ricomporsi, associarsi osdoppiarsi,«potenzepiùchepersone»,finoalmomentoincuisifissavanoinraccontichenefacevanodeipersonaggibenidentificati.Vernantinsistevasuquesto paradosso: i Greci non hanno mai tanto aderito alla loro religionequantoapartiredalmomentoincuil’hannopercepitaattraversodeiracconti,come l’epopea o la tragedia, che ai loro stessi occhi erano delle finzioni.Trasmessiprimaoralmenteepoiper iscritto, i raccontideimiti suscitavanouna credenza «del tipo di quella che si attribuisce a un racconto che si saesseresoltantounracconto».Lacredenzadistanziatachenerisultaètuttaviaforte, perché la trasformazione del mito (e dunque la sua parzialedimenticanza) diventa l’espressione di una memoria collettiva che salda ilgruppo. Inquestomodo sioperaunauscitadalla religione,di cuiCornéliusCastoriadis43 seguirà l’evoluzione mostrando come da Eschilo a Sofocle sipassidaunastoriadidèiedimitiaunastoriadiuomini,dipolisedilogos.Questo ruolo liberatorio della letteratura è stato sottolineato da Walter

Benjamin quando ha visto nelle favole una delle «prime disposizioni presedall’umanitàperscuoterel’incubocheilmitolefacevagravaresulpetto»,44ehafattoosservarecheipersonaggidellefavole,l’ingenuo,ilfratellominore,ilviaggiatore,vincono laviolenzadellanatura,chediventa lorocomplice.È ilmovimento inverso della risalita verso l’«incubo mitico», verso l’«orrore»,ultima parola pronunciata daKurtz prima dimorire inCuore di tenebra diJosephConrad,livredechevetdiMalinowskisulterreno.VladimirPropp,inMorfologia della fiaba,45 da parte sua osserva: «Una cultura muore, unareligionemuore,eillorocontenutositrasformainfiaba».Sipotrebbedunque

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sostenere che è il loro destino narrativo a sovvertire le religioni e che ilcompimentodiquestodestinoliberal’uomodalmito.Queste riflessioni, sulle quali sono spesso ritornato negli ultimi anni,

probabilmente perché ho la sensazione di non averne ancora tratto tutti gliinsegnamentinecessari,sonoparticolarmentesuggestiveper l’etnologo,epiùin generale per tutti quelli e quelle che si interrogano sulle ragioni che li/lespingonoascrivere.Sonoriflessionichehannoincomuneilfattodiorientareverso il futuro l’asse del cambiamento. La letteratura, in quest’ottica, sipresenta non tanto determinata, sia pur negativamente, dalle sue originireligioseomitiche,quantopiuttostocomeunarivolta,unrifiuto,unalottaeun’invenzione: una fuga al di fuori del terreno del mito, se si vuole, edeventualmenteunamarciaindietropertornareacombatteresuquelterreno.Ilcontrariodiunaconseguenzadunque,elapoesiadiuninizioassoluto.Aquestopuntosorgonoduedomande.Che dire delle società senza scrittura? Sono più radicate nel mito delle

societàincuilascritturaesiste?Ladistinzioneforsenonpassaessenzialmenteperlascritturamapiuttostoperlacapacitànarrativa.Èaquesta,ineffetti,cheBenjamin fa riferimento quando parla dei personaggi della fiaba. Gli aedigreci raccontavano, e il piacere di ascoltare delle storie ha chiaramenteprecedutoquellodi leggerle.Inquestosenso,l’uscitadalmitononaspettalascrittura. Questa d’altra parte ha avuto spesso un ruolo nella fissazione ditradizioni religiose.Non tutte le scritture sono narrative, ed è la narrazioneche qui ci interessa. Non si può neppure escludere completamente l’ipotesiche certe formedi ritualizzazione come la possessione, lo sciamanismoo ilprofetismo, in quanto forme particolari di narrazione, specie di impassenarrative, siano un ostacolo al distanziamento dal mito che dà luogo allanascitadellaletteratura.Lasecondadomandariguardal’individuo.Il temadell’uscitadalmitopuò

riguardare la dimensione individuale?Non bisogna pensare, da un punto divistaontogenetico,che l’individuo,percrescere,debba liberarsiattraverso laparola del proprio fondomitico, e non soltanto deimiti che condivide conaltri?Edunquenonsipotrebbevedereneltemadell’uscitadalmito,malgradoquantodettoinprecedenza,unargomentoafavoredellapsicoanalisi?In questo modo si sottovaluterebbe, ancora una volta, la dimensione

propriamentenarrativa.Ècertochel’ambizionefondamentalediFreuderadi

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insegnareagliindividuicomeliberarsideilorodemoniinteriori,masceglierelavianarrativa(enonsemplicemente laparolao ilricordo)perraggiungerequestoscoposignificascegliere,persfidareidemoni,unterrenodiversodalloro,unterrenoincuisitrasformanoinpersonaggi;significainqualchemodosviluppare una concezione romanzesca della propria esistenza. Si potrebbedire:nonsipuòchiedereatuttidiinventaredeiracconti.Masiavrebbetorto:passiamo il tempo a raccontarci delle storie di cui siamo gli eroi o, piùesattamente, passiamo il tempo a inventare il racconto della nostra vita persottoporne«intemporeale»ivariepisodiallavalutazioneoaicommentidiamici,colleghioincontricasuali.PaulRicœur,inTempoeracconto,hafattoosservare che la letteratura sarebbe incomprensibile se non configurassequello che «già figura» nell’azione umana.46 Raccontare la propria vita,d’altra parte, significa sfuggire non alla solitudine,ma all’isolamento: è unaterapiaspontanea,sensibilealpassaredeltempo,chesdoppiaeproiettaversoil futuro raccontandolo. Non ci si salva da niente e da nessuno senza lapresenza degli altri, quale che ne sia la forma: presenza effettiva diinterlocutori, presenza presunta di futuri lettori che dà comunque sensoall’attesadichiscrive.L’isolamentoeilsilenzio,quandosopravvengono,sonoinvece al tempo stesso il segno e la causa della sconfitta e di un’invasionetantolentaquantoinesorabiledapartedelleforzeoscuredelpassato.Che cos’è l’incubo mitico? Per l’individuo come per le collettività è

l’informe, il periodo inimmaginabile e terrorizzante incuinientepuòesseredistinto.Diquestaindistinzioneoriginariarimanequalcosanelleantropologiepagane,nellamisuraincuiconiuganoilpluralismodellefiguredivineconuncerto «monismo» della sostanza umana: da una parte gli dèi non sidistinguono così radicalmente gli uni dagli altri, tanto che sono spessoassociati in figure composite nelle quali si addizionano (si pensi allo Zeus-HeradeiGrecioallefigurecompositedelpantheonbeniniano);d’altraparte,nessundualismointervienenellaconcezionedegli individuiumani,e incerticasi una sola parola, per esempio, designa una delle istanze psichichedell’individuo maschio, il suo sangue e l’ombra che egli porta. Da questopuntodivista, lapossessioneèunadellemanifestazionidel ritorno, semprepossibile,dell’incubo.Èunritochesi fermaallefrontieredel teatrocomeaquelledelracconto.Lapossessioneoccupaunospazio-limitetramitoeteatro,èunaformaabbozzatamaincompiutadelpassaggioalraccontodicuiparla

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Benjamin.Sesiesaminanoleriflessionideipensatorilocalisullapossessione,raccoltedagliosservatoripiù interessati al tema, comeBernardMaupoilnelBenineMichelLeirisinEtiopia,nonsipuònonrimanerecolpitidalfattochela possessione è un potente mezzo per evocare quella che si potrebbechiamare lamorteprecedenteallanascita. Ingenerecipreoccupiamodipiùdel tempo dopo la morte che del tempo prima della vita. La possessionepropone un’inversione dei termini: il ritorno degli antenati nella personaposseduta postula che, al di là dei ricordi d’infanzia che a volte ritornanomiracolosamentenelpresente,confortandoilsensodiesistenzaediidentità,esista una memoria che precede la vita e che instilla nella progenie lacoscienza individuale.Contemporaneamente, lamorteprecedenteallavitaela morte dopo la vita vengono messe sullo stesso piano; in altre parole, lamorte non esiste in quanto tale, e laminaccia che pesa sull’umanità non èquella della morte ma quella della confusione iniziale e terminale, quandol’unificazione degli elementi che compongono l’individualità umana non èancora compiuta, al momento della nascita, o si sta decomponendo, almomento dellamorte. La ritualizzazione in queste circostanze ha una forteintensità, perché si afferma sempre la sensazione che nessun ritorno è maisicuro,néquellodeimortinéquellodellestagionitrascorse.Ragionpercuigliinterventi rituali, inmanieraparadossaleall’apparenza, si svolgono tantoperscongiurare il verificarsi dell’avvenimento imprevisto (come una malattia)quanto per assicurare quello dell’avvenimento ricorrente (come la stagionedellepiogge).Conservounricordointensodellelungheebenannaffiatediscussioniacui

miinvitavanoconevidentepiacereglianzianideivillaggimina,inTogo,checercavano di uscire dall’incubo mitico a modo loro: con forti alcolici, laspeculazionefilosofica,ladiscussioneeun’evocazionemoltonarrativadeimitidellaloroinfanzia.Qual è dunque «la scrittura degli antropologi»? Parafraso qui il titolo di

uno splendido numero monografico della rivista «Rue Descartes» dedicatoalla «scrittura dei filosofi».BrunoClément eMichelDeguy, tra gli altri, siinterroganosulruolo,ilpostoelagiustificazionedellostileinunadisciplinailcuiscopo,inlineadiprincipio,èsoltantolaricercadellaverità.MichelDeguyrisponde con alcuni spunti su cui l’antropologo può utilmente meditare nelmomento in cui si interroga a sua volta sulla propria scrittura.Deguy inizia

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ricordandoilprincipiodi indivisionechevuolechela linguafilosoficasia lastessadella linguapoetica edi quelladi ognuno; al tempo stesso rammentache la lingua viene usata da ognuno a modo proprio, tanto più quando èscritta:lalinguadunqueesprimelasingolaritàdiunaintelligenza,cheDeguypropone di chiamare la genialità, termine un po’ differente da «stile», piùformale e che esprime meno immediatamente la personalità dell’autore.L’indivisioneelagenialitàsiritrovano,osservaasuavoltaClément,inquelleche Emmanuel Lévinas chiamava le «prime parole», le parole che il geniofilosoficosarebbel’unicoapotertrovare.Le«primeparole»sonoquellocheDeguy chiama «il poetico». I grandi termini del poetico (come «soglia» o«limite»), aggiungeDeguy,non sono termini specialistici,ma figurepotentiestrattedallinguaggiocomune.L’antropologopotrebbefarosservare,inoltre,che queste figure potenti appartengono non soltanto al linguaggiodell’antropologia,maancheallinguaggioeallerappresentazionidicolorocheeglistudia.Procedendonellorocolloquio,iduefilosofitraccianoicontornidialtridue

temichefannosingolarmenteecoalledomandedell’antropologo.Astrazione da sé, ascesi, sublimazione sono lo specifico del filosofo,

affermanoinnanzi tutto, laddove l’astrazionesidefiniscecomeilmovimentochevadalpiùcoinvoltosoggettivamenteall’estensionepiùvasta.Impossibilenon pensare alle formule di Lévi-Strauss che alludono alla necessità, perl’etnografo, di adottare un punto di vista sufficientemente distanziato perpotersiastrarredallecondizionispecifichediquestaoquellaciviltà,compresala propria. In sostanza, per l’antropologo si tratterebbe di distaccarsi da sé,non soltanto per comprendere meglio gli altri (il distacco in questo casosignificherebbe soltanto il rifiuto dell’etnocentrismo) ma per liberarsi,metodologicamente,daqualsiasiriferimentosocialequalechesia,insostanzaper passare dalla prospettiva etnologica fondata su un’esperienza particolarealla prospettiva antropologica che trascende la sommadi tutte le esperienzelocali.Se il risultatovuol esserequalcosadidiversodauna formula aridaeastratta,ènecessariooche l’esempiospecificodiunasocietàparticolare siacolto con l’intensità di uno sguardo e di una voce, dalla «genialità» di unetnologochesappiaesprimerneledinamichegeneralieladimensioneumana(comeadesempionelcasodeiNambikwaradiLévi-StraussodegliAzandediEvans-Pritchard),oppurechelateoriacomplessivaelaborataapropositodiunfenomeno generale con molteplici manifestazioni (come lo scambio

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matrimonialeoimiti)siariportatainpaginecapacidirenderecontoaltempostessodellacomplessitàdellateoriaedellasuacoerenzaconifattiosservati.Daquestopuntodivista,laquestionedellascritturaècentrale.Ilsecondotemaèquellodel«doppio».Ineffetticisipuòdomandarechiè

edovesicollocaquelloche«sidistaccadasé».Sisdoppia,semplicemente?Esoltantoperiltempodellascrittura?Nelcasodell’antropologo,noncredocisipossa accontentare della figura dello sdoppiamento, del «compagno» di cuiparlaMauriceBlanchotodelSuper-iofreudiano.Ildoppioèqualcosadipiù,se Lévi-Strauss ha ragione a condannare l’etnologo a una sorta di«sradicamentocronico»eLeirishaancorapiùragioneafaredell’etnologoun«errante», che insegue la sua opera come insegue quelli che vorrebbeincontrare e capire. La difficoltà dell’etnologo inizia al primo incontro, alprimo testimone. Si conosce mai davvero qualcuno? E, se non lo si puòconoscere, lo si può capire? Ciò che si crede di poter scrivere di unacollettivitànonperdedipertinenzanonappenaci siavvicinaaun individuoche ne fa parte, e la constatazione di questo limite non relativizza findall’inizio tuttoquelloche l’etnologopotrà scrivere?L’etnologonon scriveràmai il libro totale di cui sente costantemente la necessità e il rimpianto. Èquello che diceva Lévi-Strauss a proposito del concetto di «fatto socialetotale» di Mauss, quando sosteneva che la sua rappresentazione sarebbepossibile soltanto se si riuscissea integrarvi lavisionedi ciascunodi colorochepartecipanodiquelfatto–compitochiaramenteimpossibile,conilqualenonavrebbeosatocimentarsineppureilromanzierecriticatodaSartre,quellochecredediessereDioepretendedientrarenellasoggettivitàdiognunodeisuoipersonaggi.EdènellostessosensochesideveintendereiltitolodiLeirisL’Africafantasma,47seèvero,comescrive,chequalsiasidiarioè«l’ombradi uno scritto fantasma». L’etnologo, scrive ancoraLeiris inBrisées,48 saràsempreossessionatodal«fantasmadell’altrolibro,quellochenonhascritto».Ildoppiodell’etnologoèdoppiamenteunfantasmainquantovienedalpassatoenascedaun’esperienzachenonpotràessereripetuta.Ildoppiodell’etnologononèsoltantounessereastrattochesidistaccadaluipermeglioosservareeteorizzare, è la figura concreta del tempo, dell’assenza, delle occasionimancateedell’alterità.L’etnologo ha doppi differenti da quelli del filosofo. Sia l’uno sia l’altro

hannoundoppiodisestessichesiastraedalrealeperritornarviechesipuò

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identificareconcoluichescrive.Sial’unosial’altrohannodeigrandiautoridiriferimento e si può immaginare che con alcuni abbiano un rapporto tantostretto che rasenta l’identificazione.Ma l’etnologo non hamai speculato dasolo; ha avutodegli informatori, ha incontrato individuimolto concreti, cheritrova senonsonomortie secontinuaaviaggiareunpo’.Quandosogna illibrocheavrebbepotutoscrivere,oscriveremeglio,all’etnologoritornanoinmentepaesaggiprecisi,voltimoltopresentiedenigmidicuinonavràmailasoluzione.Gli «altri» dell’etnologohannoun’esistenza più concreta di quellidel filosofo, e i suoi doppi penetrano più intimamente nel corso della suaesistenza:giranointondo,siallontananoeritornano,sempreunpo’perduti,inqualchepostotraricordo,immaginazioneescrittura,inquestononluogodovel’etnologoliraggiungesoltantopercontinuareacercarlioadaspettarli.

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LuoghienonluoghiLa mia ultima avventura è stata quella dei «nonluoghi». Dico avventura

perché non appena pronunciata la parola, mi è rimbalzata nella mente informadidomande,di testimonianze,dicommentiodi interrogativi, avolteunpoco febbrili.Hoavuto l’impressionedi aver invaso senzavolerlo campiriservatiadaltri,diavercommessounasortadi intrusione intellettualenellavita privata di altre discipline.Ma nessunome ne voleva, al contrario. Erodiventato, grazie a una parola-chiave, a una parola d’ordine, un amico difamiglia,inrealtàdivariefamiglie:architetti,artisti,letterati...Initaliano,intedesco,ininglese,inspagnoloeinportoghese,l’effettofulostesso,ancheseil neologismo in quelle lingue era ancora più arbitrario.Non ero il primo apronunciarelaparola«nonluogo»,mal’avevousatacometitolodiunlibrochesi interrogava sul mondo contemporaneo, e in qualche modo ne diventò ilsinonimool’emblema.Quellaparolamicondannòaproseguire,allargandoloalla dimensione antropologica, il tipo di etnologia che l’aveva fatta nascere,l’etnologia di incontro. Infatti mi sembrò di capire che avevo messo unaparola,unnome,suunsintomo.Mirimanevadaidentificareilsintomo.Edèall’elaborazionediquestadiagnosichesonoimpegnatodaalcunianni.«Nonluoghi» è un termine che ho utilizzato per la prima volta nel 1991,

quandoscrivevoillibroacuihadatoiltitolonel1992.49Ilterminehaavutounacertafortuna,sullecuiragionimisonoavolteinterrogato,echecontinua,probabilmente al prezzo di qualchemalinteso o di alcune imprecisioni, maforse anche per ragioni dovute alle caratteristiche della nostra epoca, alrimodellamentodellospazioedeltempochelacontraddistingueealmodoincuicertiartistiecertiscrittoritentanodirappresentarequestecaratteristiche.Parlaredeinonluoghièunesercizioalqualesonosollecitatotroppospessoperevitarelasensazionediripetermi,mailtemastaalcentrodellariflessionechetentodisvilupparequisuirapportitraetnologia,viaggioescrittura.Lastoriadi questa parolami accompagnadaquasi vent’anni; è unaparola nata neglispazi che continuo a percorrere quando vado da un «luogo» a un altro oquando, tentandodi riflettere sulmestierechehoesercitato, l’etnologia,non

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possofareamenodiassociareaquelmestierel’immaginedeiviaggichehofatto,dellepaginechehoscritto,dellepersonechehoincontrato,moltedellequalisonomorte,edeipaesaggidifronteaiqualimisonofermato,sapendoche probabilmente non li avrei mai più ritrovati: perché se un giorno fossitornato a guardarli sarebbero stati diversi, presi nella grande trasformazioneall’operaintuttiicontinentio,peggioancora,acambiaresareistatoio,enonmi sarei più riconosciuto nel quadromiracolosamente conservato del nostropassatocomune.Al di là della sua applicazione specifica agli spazi di circolazione, di

comunicazione e di consumo, il cui estendersi caratterizza l’attualeglobalizzazione,c’eranellaparola«nonluogo»unadimensionepiùsoggettivaepiù intima che travalicava la definizione del concetto in termini stretti. Laparola aveva delle armoniche che si incrociavano con altre parole o altreespressioni (evocandoadesempio l’ideadi innocenza incampogiuridico),avolte a spese di una valutazione oggettiva dei fatti (la costruzione in formanegativapuòavereunvalorespregiativochenoneranellemieintenzioni).Forse,senzachemeneaccorgessi,aispirarmil’usodiquellaparolaèstato

ilgrandespaziodegliLlanosdell’Apuré.Riecitoeraunvillaggioartificiale,unvillaggio di raggruppamento forzato, ma gli sciamani, i loro riti e la lorovisione poetica ne avevano fatto un luogo, un mondo di relazioni sociali,riferendosi quotidianamente al suo passato e strutturandone lo spazio, perresistere alla minaccia dell’entropia e della scomparsa pura e semplice. Etuttavia lì avevo anche fatto un’esperienza significativa di quello che sipotrebbe definire «l’estenuazione del luogo». Un piccolissimo gruppo,nostalgico del nomadismo e della vita di raccolta, aveva lasciato il villaggioper vivere in modo più itinerante. Alcuni abitanti del villaggio avevanomantenutodeicontatticonquelgruppoemiproposerodiandareaincontrarlolà dove si trovava in quel momento. Arrivammo in poche ore, e io ebbil’impressionenondisorprendereunostatopresociale,lanascitadiungruppocheemergevadallostatodinaturaochequantomenonedaval’apparenza,maal contrariodi essere testimonediun totale regresso. In realtà si trattavadiuna sola famiglia: un padre anziano, semiparalizzato, sprofondato in unapoltronadilegnorudimentaledacuinonpotevamuoversi;lamoglie,appenatornata all’accampamento dopo essere andata a raccogliere dei tuberi neidintorniconunbastonecheleavevaintagliatoilfiglio;lagiovanemogliedelfiglio, che tentava di attaccare al seno un neonato che piangeva. Il padre,

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sciamano, ci raccontò in poche parole la sua ultima visita agli dèi. Fu fattaallusioneaunaltrouomocheinquelmomentononc’era.Noneravamoinunluogo sociale, eravamo piuttosto in un nonluogo per estenuazione: tempofermo, spazio infinito ma ostile, individualità rinsecchite e refrattarie almondo esterno, che si aggrappavano le une alle altre per difendere la lorosopravvivenzafisicaevidentementeminacciata; ilcontrariodelnonluogocheio caratterizzavo tramite l’accelerazione del tempo, il restringimento dellospazioel’individualizzazionedelconsumatore.E tuttavia quel piccolo gruppo di individui in agonia non era poi tanto

distante dalle forme di miseria urbana che, in quello stesso continente,possono essere terrificanti. Il legame non era completamente interrotto conRiecito,cheeraunvillaggioassistito(malassistito,maassistito)dalloStato,con una scuola il cui giovane maestro sarebbe diventato un militante delmovimento indigeno, a cui il potere centrale dava un qualche spazio e chefacevapartecipareufficialmenteaqualchecongressointernazionale.L’antropologostudialerelazionisocialiingruppididimensioniabbastanza

piccole per poterci lavorare da solo; la relazione sociale è il suo obiettivointellettuale,masisforzadicomprenderlanelsuocontesto.Oggiilcontestoèsempre mondiale, negli Llanos come nel profondo dell’Amazzonia o delSahara.Ovviamente,inquelpostosperdutoeravamoinunasituazione-limite,echeaddiritturasuperavaognilimite:larelazionesocialeeraridottaallasuaespressione più semplice e il contesto globale era percepibile soltantoattraverso alcune mediazioni del tutto marginali. Ma era una situazionedell’oggienonl’espressionediunqualsiasiritornoalleorigini.In effetti, la nozione di nonluogo, dal mio punto di vista, si applicava

innanzi tutto a tutti gli elementi costitutivi del contesto globale nel quale sisarebbeinscrittaormaiqualsiasiosservazionelocale,e lamiaprofessionemiaveva portato a frequentare i nonluoghi, a utilizzarli e a familiarizzarmicisempredipiù(daanninonpassameseincuinonmiritroviunaoduevolteinunaeroporto).Mamieroimpeditodistilarefindall’iniziodellelisteparalleleedempirichedeiluoghiedeinonluoghi,didividereilmondoinduecategorie.Dovevo fare una constatazione oggettiva (l’estensione degli spazi dicircolazione e di consumo), relativizzando al tempo stesso la portata dellaparolaconlaqualeladefinivo,nonluoghi.Perchéquellocheperalcunièunluogopuòessereunnonluogoper altri e viceversa.Dovetti dunque ribadirechenoneralastessacosalavoraretutti igiorniinunaeroportoeandarcidi

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tanto in tantoperprendere ilpropriovoloe,più ingenerale,chequellochecontava era la coppia luogo/nonluogo, perché permetteva di misurare ilcaratterepiùomenosocializzato,piùomenosimbolizzato,diundeterminatospazio.Insistevodunque,econtinuoafarlo,sulladefinizioneteoricadelnonluogo.

La parola mi era venuta in mente perché sulla base della mia esperienzaafricanami ero fatto un’ideaprecisa di quello che era un luogo. Il luogo, illuogo «antropologico», è uno spazio intensamente simbolizzato, abitato daindividui che vi trovano dei punti di riferimento spaziali e temporali,individuali e collettivi. Per l’antropologo, al tempo stesso, si tratta di unospazio nel quale può leggere, decifrare, le relazioni sociali e le forme diappartenenzacomune.Leregolediresidenza,comeabbiamovistopressogliAlladiani,sonoun’espressioneparticolarmentefortediquestaidentificazionetraspazialeesociale.Ladivisionedeivillaggiinmetàoinquartieridainomicommemorativi, la loro geografia religiosa, gli altari o gli alberi sacri,partecipanodiquestainscrizionedellasocietàedellasuastorianellospazio.La colonizzazione si è spesso imparentata con qualcosa che si potrebbedefinire «delocalizzazione», per esempio spostando i villaggi lungo gli assistradali o facendo distruggere, per interposti missionari, gli altari e gli dèiindicati come «feticci». Il termine «nonluogo», al contrario, si applicava inmodo del tutto naturale agli spazi nei quali quella lettura immediata delsociale non erapiùpossibile, agli spazi di transito che frequentavano, senzaincontrarsi, individui che avevano in comune, per lo più senza essernecoscienti,soltantoquellaeffimeracoesistenza.L’estensionedeinonluoghiempiricicorrisponde,pergliindividuicomeper

igruppi,auncambiamentodiscala,chemodificaladefinizionedelcontesto,il quale, in definitiva, è sempre planetario. I termini «globalizzazione» e«urbanizzazione» fanno anch’essi riferimento a questo allargamento delcontesto e a questo cambiamento di scala. Ma io avevo annoverato tra inonluoghi empirici anche gli spazi di comunicazione, e questi sono piùdifficilida situareedaqualificaredegli spazidicircolazioneediconsumo,come un’autostrada o un supermercato. Quegli spazi riguardanoevidentemente il contesto, perché ci mettono in contatto con esso. Macostituisconounamediazionecosìpotentechetendequasiaconfondersiconunodeisuoitermini.Inoltre,influisconodirettamentesullarelazionesociale,in quanto mettono in contatto coloro che li utilizzano con altri individui e

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stabilisconodunqueunaformadirelazionetraleduecategorie.Nel caso della televisione questa relazione è chiaramente analoga a un

consumo, in quanto uno dei termini della «relazione» è un’immagine. Lalibertà del consumatore di immagini è illusoria; anche all’osservatoremenoattentobastaviaggiareunpo’edareun’occhiataaiprogrammidialtripaesiperconvincersene:ilpiùaccanitoamantedellozappingvedràsemprelestesseserie, gli stessi varietà, gli stessi avvenimenti sportivi e lo stesso dispositivosceniconella trasmissionedellenotiziedelgiorno; l’attualità localeèdiversada regione a regione, ma immersa nelle immagini di un’attualità globalecomune.Iltelespettatoresiritrovadicolpoadavereunafalsafamiliaritàconquelli e quelle che vengono regolarmente a visitarlo sul piccolo schermo. Ilprefisso«tele»nelcasodellatelevisionenonpotrebbeesserepiùfalso,perchéla«visione»èassolutamenteravvicinata.Con lacomplicitàdiqualche trattofisico, di qualche tic o di altre caratteristiche somatiche, l’impressione difamiliarità aumenta. A questo probabilmente si deve l’importanza degliimitatoridiognigenereche«mimano»siaipersonaggipoliticisialestardelpiccoloschermo:derisioneacircuitochiuso,chepermetteperòdicoinvolgereil «pubblico» creando con lui una connivenza, il piacere condiviso dellacaricatura.La«popolarità»di JacquesChirac,daquandononsioccupapiùdegli affari di Stato, popolarità peraltro misurata da sondaggi la cui stessaesistenza fa parte del sistema delle connivenze indotte, devemolto alla suamarionetta. «Le false connivenze»: potrebbe essere il titolo di una pièceteatrale,incuiunnuovoMarivauxrappresenterebbeleseduzioni,leastuzieele menzogne della scena mediatica. In effetti i responsabili dei programmitentano di dare agli spettatori l’impressione di non essere dei sempliciconsumatori; si domanda il loro parere; si fanno sondaggi; ricompensasuprema,alcunispettatorivengonoselezionatipercompariresulloschermo.Sicrea «interattività» combinando televisione e computer, o trasformando latelevisione in un computer.Ma questi artifici servono solo a confortare unsensodiappartenenza,aspingereiltelespettatoreafissarelapropriaresidenzainuncertocanale,ascegliereilsuoluogo,lasuaisolanell’oceanomediatico,adottandone il calendario e la scansione del tempo, quasi liturgica.L’appuntamentodelleottodiseraequalchealtrascadenzaobbligatasvolgonoil ruolodel suonodelle campanedi cuiLeGoffha studiato l’invenzionedapartedellaChiesanelMedioevo.Ipresentatori,gliartisti,lestardellapolitica,comprese le personalitàmondiali più importanti, i grandi attori della scena

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planetaria,cisipresentanoregolarmenteenoicrediamodiconoscerliperchéliriconosciamo,inpersonaodietrolamascherasatiricaconcuirecitano,conmaggioreominoretalento,iloroimitatoriaccreditati.Con la televisione l’immaginedella relazionesi sostituiscealla relazionee

dà sollievo alla solitudine dei più emarginati e dei più alienati. Da questopunto di vista la televisione sarebbe il colmo del nonluogo, cioè la perfettaimitazione e la totale illusione del luogo, se non fosse anche uno spazio dicreazione possibile, ahimè troppo poco utilizzato, uno spazio tanto piùnotevole in quanto potrebbe essere uno spazio di tutti. Il canale unico eobbligatorio sarebbe, ed è stato, uno strumento di dittatura ideologica. Lamolteplicità dei canali e dei programmi invece impone a ciascuno, dietrol’apparenza della libera scelta, la dittatura del consumo e un’illusione didiversità.Latelevisionedunqueèunariproduzionedellenostresocietàdivisetra due vertigini opposte: la dittatura del senso (quando ciascuno ha il suoposto, ma non ha il diritto di averne un altro) e la libertà vuota (quandociascunohalascelta,manonsatracosa).Ilcompromessodemocratico(daresenso alla relazione senza imporla) è un idealedifficile chepotrebbe esserepercepibile alla televisione soltanto il giorno in cui ci avvicinassimoadessonella società. In questo senso, la televisione è un riflesso della società, e altempostessounadellesuecomponenti.Riflessoecomponentediunluogoedi un nonluogo, a seconda dei casi. Ho sentito un artista sulla quarantinaricordare con emozione gli anni settanta e precisamente le sere in cui glivenivadatoilpermessodiguardareallatelevisione,conlasorella,ilconcorsodicanzonidell’Eurovisione.Cisonosicuramentedeimomentiincui,comeuncaminettounpo’loquace,laTv«faluogo»,diventapretestoperunariunionedifamigliaotraamici,lacuicoesionelimitaglieffettidialienazionedifronteall’immagine. Certamente la televisione perde questa apparenza di focolarecomune quando le famiglie si atomizzano, ciascun membro con il suoapparecchio personale e il suo computer. E sicuramente allevia le forme diisolamentopiùgravisoltantoalprezzodiunamaggioredipendenza.IlcomputereInternetpongonounaltroproblemainquantosipresentano

come il simbolo della società «comunicativa». Costituiscono, stando allaportataditutti,unimmensoserbatoiovirtualedituttoilsaperedelmondoesipresentanocomelachiavevirtualedituttelerelazioniimmaginabili.Tuttostanell’aggettivo «virtuale»: ideale per trovare rapidamente l’informazione o ildettaglio dimenticati, Internet non è, di per sé, uno strumento pedagogico.

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Insegna molto a chi già sa. Quanto alle relazioni sociali che permette distabilire,sonodiduetipi:ognunoèliberodiconsultareunsitodiincontrioditentareditrovaresuFacebookunamicod’infanziapersodivista.Daquestopunto di vista Internet svolge soltanto, anche se in modo particolarmenteefficace,lostessoruolodiunannunciosullastampascritta.Le«comunità»diutentichesicreanosulloschermo,adesempioperorganizzaregrandigiochiacui partecipano contemporaneamente persone di tutto il mondo, hannoobiettivi sociologici più ambiziosi.Quando non si accontentano di disporre,grazie a Internet,diuna sortadi taccuinodi indirizziunpo’più sofisticato,graziealqualepossonoeventualmente lasciare ilmondovirtualeperentrarerealmente in contatto gli uni con gli altri, quegli utenti si compiacciono dicreareunasocietàinedita,chesisostituisceallasocietàrealeecostituisceunasorta di doppio: a mezza strada tra la visione di un romanziere e il sognoutopistico di sperimentatori sociali come i vecchi profeti africani, questapretesarischiadiriprodurreifantasmiadolescenzialineiqualiFreudvedevauna delle possibili fonti della nevrosi. Lametafora dello spazio (i «siti», il«portale») e più ancora quella del movimento («navigazione», surfing)contribuiscono a diffondere l’immagine di unmondo fermo, arrivato, in cuinonc’èaltrodafareche«scivolaresull’onda»,navigareandandoincontroaglialtri,maincuiilviaggioèistantaneo(sfuggeallecasualitàdeltempoodellospazio) e l’incontro è virtuale (sfugge alla casualità dell’umore, alla densitàcorporea e fisica dell’interlocutore). Succede inoltre che, per difendersi piùefficacementedallaprovadellarealtà,gliinternautimettanodellemascheree,cosaancorpiùsignificativa,cambinomascheraasecondadegliinterlocutori,avatar di se stessi che frequentano altri avatar in uno spazio senza rischi esenzaconsistenza.Èfuordidubbiochepercapireilmondoattualesarebberonecessaridegli

studiantropologicisullospaziovirtualeesullesueutilizzazioni.Mastudidelgeneredovrebberotenercontodelfattocheimedia,epiùingeneraletutti imezzi di comunicazione, si collocano contemporaneamente sul lato dellarelazione che occorre capire e su quello del contesto di cui bisogna tenerconto. In altre parole, e nella misura in cui l’utilizzazione di quei mezzicoinvolgeunapartesempremaggioredell’umanità,ladistinzionetrarelazioneecontestodiventaognigiornopiùartificiosa.Èquello che stanno scoprendo, conmaggioreominore soddisfazione, gli

architetti, o almeno quelli che tentano di fondare la loro pratica su una

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riflessioneteorica.Nonsorprendechelaquestionedel«contesto»lipreoccupiormai da anni. Gli architetti, come d’altronde un po’ tutti, hanno potutomisurareinalcuniluoghidelpianeta,einparticolarenellaregioneparigina,ildisastro estetico e sociale che ha rappresentato l’indifferenza nei confrontidell’ambiente.LostessocentrointramurosdiParigièinfettatodallacancrenadegli anni cinquanta e sessanta, quando la necessità di costruire in frettaprevalevasuqualsiasialtraconsiderazione;bastapercorrereunaqualsiasiviadiParigipervederepalazzifunzionali,mainrapidodegrado,chesbucano,ingruppi più omeno densi, tra costruzioni antiche o di epoca hausmanniana.Questapresenzanonavrebbenientedi scioccantesecorrispondessesoltantoalla tendenza tipicamente odierna alla diversità e alla coesistenza di stili edepochedifferenti.Manellamaggioranzadeicasiè soltanto ilprodottodellafrettaedellanegligenza.Ilcasodellebanlieuesèpiùcomplesso,perchéinalcunicasilerealizzazioni

architettonichesonostateilprodottodiunariflessioneteoricasulluogo,incuisi incrociavano l’ideale recuperato del terroir e la volontà di modernizzarel’habitatdeicetiproletari.Ognigrandecomplesso,ognibarre,dovevaavereisuoinegozieisuoiservizidiprossimità,cosìdacorrispondereaunluogodel«tranoi»,dovesarebbestatopiacevolevivere.L’ingenuitàdiquestautopiadeiluoghicircoscritti siè rivelataallafinedegliannisettantacon ilboomdelladisoccupazione e il raggruppamento familiare, quando molti «lavoratoriimmigrati»sonodiventati«disoccupatiassistiti»,padridifamiglienumerose:il luogodel«tranoi»haaccoltofamiglie indifficoltàconoriginidiverseedesterne.Non si èmai parlato tanto di integrazione sociale come dopo avercreato, innomediun’ideologiadel luogoche inpartenzanonavevanessunavolontà di ghettizzazione, le condizioni dell’esclusione spaziale. In domiciliocoatto, igiovanidellecitéshannocominciatoasimbolizzarleamodo loro,afarne dei territori marcati, con percorsi ben definiti e pratiche ritualiminuziosamente regolate. Una quindicina d’anni fa David Lepoutre hastudiatodavicinoilmondodeipreadolescentidellaCitédesQuatreMille,aLa Courneuve, che elaboravano alla loro maniera una «cultura» nel sensoantropologicodeltermine.Durantel’inchiesta,cheèsfociatainunatesidicuihoavutolafortunadiessererelatoreepoiinunlibrodiventatounclassico,50ero andato a trovarlo sul posto e avevo potuto rendermi conto dello sforzopsichico e intellettuale che era necessarioper immergersi in un ambiente al

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tempostessotantovicinoetantodistante.Avevoavutolastessaimpressionetempoprima,andandoatrovareGérardAlthabenellaHLM51doveabitavaaSaint-Denis.AvoltemisonodettochedopoimieisoggiornieimieipercorsiditerrenoinAfricaoinAmericadelSud,edopolamiaesperienzaripetutadegli itinerari ridondanti del mondo globale, la terza tappa avrebbe dovutoessere quella che aveva fatto Althabe nelle diverse periferie del mondo: lostudiodialcunidiquestipuntidiinsediamentoche,consideratiagiustotitolocome simboli dell’internamento, sono il risultato dei grandi e tumultuosimovimentidipopolazioneche,insiemeallapressionedemografica,sarannoilfenomenofondamentaledelnuovosecolo.Gliarchitettisonoitestimonidiquestasituazione,incuiilrapportotrale

relazioni sociali e il loro contesto diventa ogni giorno più problematico.Alcunestardellaprofessionepartecipanoall’omologazioneesteticadelpianetaimponendo il loro stile, facilmente identificabile, nellemegalopolididiversicontinenti. Altri fanno lo stesso,ma più discretamente, affermando in ognisituazioneditenercontodelcontestoimmediato,delpaesaggioeanchedellastoria. Ho partecipato abbastanza all’elaborazione di alcuni progettiarchitettonicipercapireche,datal’impossibilità,oggi,diattenersialcontestoimmediato,quellapreoccupazione,persincerachepossaessere,edessendoavolteunfattodisemplicebuonsenso,èpiuttostounameraclausolastilistica.Fuckthecontext!,hagridatounavoltaRemKoolhaas.Probabilmentevolevadirechenelmondoglobalenonesistepiùcontesto.Ilcontestoèilglobostessoenoiognigiornolopercorriamointuttiisensi.Nonc’èpiùcontesto,macisonolecittà.Difronteallacontinuaestensione

del tessuto urbano, si impongono due compiti: riabilitare l’esistente ericentrare la città, trovare soluzioni che permettano di cancellarematerialmenteesimbolicamentelarotturatralacittàintramuroseciòchelacirconda,tralacittàel’urbano.Quandoesisteilrischiocherotturaspazialeerotturasocialevenganoacoincidere,ritroviamolalogicaeladefinizionedelluogo. Le grandi città delmondo sono luoghi perché nello spazio urbano èpossibile leggere non tanto i punti di riferimento storici che vengonoilluminatiperaccogliereivisitatorivenutidaaltrove,quantolediscontinuità,lecesureelediseguaglianzechecaratterizzanolasocietàcontemporanea.Lavera opposizione oggi è tra il «mondo-città» – che si fregia di tutte leapparenzedellatrasparenzaedell’evidenza;chevienepercorsoconuncolpo

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d’aladaigrandidelmondo,dagliuominid’affari,daituristiedagliarchitetti;lacuiimmaginesiritrovasututtiglischermienellevetrinedelleagenziediviaggi; di cui si dice che è in via di omologazione estetica, economica etecnologica – e la «città-mondo», la megalopoli all’interno della quale sipercepisconoinmodoevidentetutteledifferenzesociali,etniche,culturaliedeconomiche,dovelamiseriastaaccantoall’opulenzaedovepochichilometriseparano i più grandi laboratori di ricerca scientifica dalle zone«svantaggiate» dove sono relegati gli analfabeti. Nel grande luogo che è lacittà-mondo,coesistonovari luoghi.Ildrammadegliesiliatiedeimigrantièchedopoleillusionidellapartenza,piùomenoalimentatedalleimmaginidelmondo-città, al loro arrivo devono affrontare la prossimità inaccessibile del«luogodell’altro»,dichieragiàlì.Illuogo,perdefinizione,nonèaccogliente:ognunohailsuopostoevuoleconservarlo.Lostranieroètenutoindisparteonelmiglioredeicasi invitatoacrearsiun luogoproprio. Il luogodellacittà-mondononsfuggeallaregola.Ilmondo-cittàèdiventatoilcontestodellacittà-mondoealivellolocalesi

sovrappone ad essa. La sua presenza si esprime attraverso un triplicedecentramento:dellacittà,ilcuispazioèrimodellatoperassicurareilcontattocon il resto del mondo; della dimora, al centro della quale, al posto delcamino, si insediano la televisione e il computer; e dell’individuo stesso, alqualeiprogressideltelefonocellularepermettonodirimanereincontattoconl’esternoaprescinderedaisuoispostamenti.Insostanza,ilmondo-cittàsvolgerispetto alla città-mondo un ruolo al tempo stesso sovraderminato eridondante;èal tempostesso ilcontesto, ildoppioe ilnonluogo: ilcontestodellerelazionichevisisvolgono,ildoppiodellevitechetentanodivivercieilnonluogodeiluoghichevisiaffollano.Globalizzazioneeurbanizzazionesonosinonimi,nellamisuraincuil’urbanizzazionepassacontemporaneamenteperl’estensione delle megalopoli, per quella del tessuto urbano lungo gli assistradali,ifiumiolecostemarittimeeperquelladelleretidicomunicazione.Ilmondo-cittàstanelcuoredellacittà-mondoeneabitaogniangolo;èilsuofantasma,benevoloagliocchidichièprontoacedereall’illusionedelviaggio,terrificanteperchièvittimadirettadellasualogicaeconomica,familiarepergli uomini d’affari che lo percorrono in tutti i sensi. Il mondo-città èl’organizzazioneconcretadelmercatomondiale,edaquestopuntodivistalaparola«delocalizzazione»dice tutto:corrispondealcambiamentodiscaladicuiancoranonabbiamofinitodivalutareleconseguenze.Lalogicadelluogo

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e del microcontesto sta perdendo il suo posto in un mondo segnatodall’immersionedelluogonelnonluogo.Il giorno in cui la distinzione tra luogo e nonluogo non avrà «più ragion

d’essere» sarà quello in cui la sola appartenenza rivendicabile saràl’appartenenza al pianeta. Proclamandosi «cittadini del mondo», alcuniidealistidelsecoloscorsohannosfidatolefrontiereegliStatipurconservandoilvocabolariopoliticodellaNazione.Oggipossiamointuirelacomparsadiunpianetaunificatodalmercato:è il sognodiFukuyama,cheassociaaquestoavvento la democrazia rappresentativa. Questo sogno non ha niente discandaloso, né sul pianomorale né sul piano intellettuale,ma fa astrazionedalla storia reale e, come ogni utopia, procede con un colpo di manoconcettuale. La «fine della storia» in effetti è assai dubbia, perché non èaffattoevidentecheilmercatoliberaleelademocraziarappresentativasianonecessariamente associati, tanto nei fatti (le dittature accettano moltovolentieriilmercatoliberale)quantonellementidituttiileadermondiali.Riguardo alle tendenze «pesanti», va sottolineato in primo luogo un

paradosso inquietante: ilparallelismo tra,daunaparte, ladislocazionedegliimperi e le rivendicazioni di autonomia o di indipendenza regionali che simanifestanoinpaesiunificatinelcorsodellastoriae,dall’altra,ilmovimentodimondializzazione.Comeselamondializzazioneglobalenonfossepropiziaallemondializzazioniparziali.L’idealenazionalevienesmantellato,oquantomeno subisce delle tensioni nella misura in cui pretende di trascendere ledifferenze locali edetniche. Inuovi luoghi«identitari» sidefinisconopiù inrapporto al contesto globale che non al contesto nazionale: i catalani piùautonomistipreferisconoparlareinglesechespagnolo.Tuttelerivendicazioniindipendentiste o autonomiste oggi passano per una reificazione e una«autenticazione»dell’identitàculturaleestorica,oppurelinguisticaedetnica,che denuncia il carattere «artificiale» o «arbitrario» dell’insieme da cuiintende distinguersi o separarsi. Queste rivendicazioni, malgrado la loropretesadisalvaguardareilluogo«identitario»,sono,aunlivellopiùprofondo,unrispecchiamentodell’avanzatadellaglobalizzazione.Sifannosentirenelleregioni più avanzate economicamente come la Catalogna o il Nord Italia.Sonorivendicazionideiricchi,chepensanodinonavernulladatemeredaunrapportodirettoconilsistemaglobale.Inunfuturononlontanoquesteregionirischianodiribellarsicontroilorostessiispiratori,quandol’insiemeglobaleacuifannoriferimentosi riveleràaltrettantocostruitoeartificialedell’insieme

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parziale di cui proclamano l’obsolescenza e quando l’ideale di autonomia siestenderà direttamente agli individui stessi, ai liberi imprenditori che nonsentonopiùlanecessitàdiunamediazionepoliticaconilmercatomondiale.Èquesta la tendenza inevitabile di unmovimento che sembramanifestarsi indiversepartidelpianetaechesembrerebbecorrispondereallacomparsadiunluogo planetario, nel quale peraltro si cominciano a leggere facilmente ledivisionicaratteristichedellasocietàglobale.Leistituzioniinternazionalisisforzanodi«ridurrelapovertà»nelmondo.

Si erigono d’altra parte a guardiane di una morale comune, in nome dellaqualecondannanoleviolenzeestreme,inaugurandounasemanticadell’orrore(attentatiaidirittidell’uomo,criminidiguerra,criminicontrol’umanità)chefunziona come uno strano strumento di misura. In generale, queste novitàstoriche rappresentano forse, malgrado le loro debolezze e, spesso, le loroipocrisie,unprogressonellapresadicoscienzaglobale,dapartedell’umanità,della necessità teorica di una morale collettiva. Resta che la crescentedisuguaglianza nei campi dell’economia e della conoscenza è la secondatendenza «pesante» del mondo surmoderno. Indubbiamente si assiste allacomparsa di nuove potenze, i cosiddetti paesi emergenti, e a una leggerariduzionedelloscartoeconomicotraipaesiindustrialieipaesisottosviluppatinelloroinsieme.Maneipaesiindustrialicomeinquelliemergentieinquellisottosviluppatiaumentaladistanzatraipiùricchideiricchieipiùpoverideipoveri; e aumenta ancora più rapidamente la distanza tra gli attori o itestimoniintellettualideiprogressiacceleratidellascienzaegliignorantieglianalfabeti.Ilpianetadidomani,find’orabenvisibileeleggibile,saràdivisointreclassi:l’oligarchiadeivicinialpotere,allaricchezzaealsapere;lamassadeiconsumatoripiùomenopassivi,motoridelsistema;elamassaancorapiùconsiderevole degli esclusi dal potere, dalla ricchezza e dal sapere. Edevidentementeènellemegalopoli,le«città-mondo»interconnesseleuneallealtre,chequestatripartizionesilasciadecifrareconpiùchiarezza.Ilnostrorapportoconlamorteeconlamemoriatestimoniailcambiamento

discalachestiamovivendo.GiornifahovisitatoilcimiterodiGinevra,dovesi trovano le tombediCalvinoediBorges:unpostocalmo,pienodiverde,sullerivedelRodano,rifugiodipacenelcuoredellacittà,luogodipasseggiateedi riflessioneper ivivi. Icimitericristianisonostaticoncepitiperdareaiviviun’immaginepacificata,familiare,vicinaequasisocialedellamorte,checontrastaconleideedisalvezzaodidannazioneindividuale.Nellatradizione

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cattolica,adesempio,l’immagineparadigmaticadelluogononèforsequelladel piccolo cimitero che si stringe attorno alla chiesa verso cui convergonotuttelestradedelvillaggio?Un’immaginedelritornonelsenodi«nostraSantaMadre Chiesa» e del legame intimo tra morti e vivi, da cui sonoimmensamente lontane le montagne di cadaveri provvisoriamente alloggiatifuoridallemuradellacittà,negliHLMpermorti,dicuinonsivedecomecisipotrebbeliberaresenzageneralizzarelacremazione.I monoteismi non si sono mai completamente sbarazzati di un vecchio

fondopagano,cheriemergecostantementeinquantoèradicatonell’intuizioneche la scienza ha poi ripreso: niente si distrugge, niente si crea, tutto sitrasforma. Ma questa trasformazione, nell’intuizione pagano-cristiana, èpensabileepossibilesoltantonellospaziodelluogochetrascendeiltempo.Èneitestidietnologiacheoggisipuòritrovarelatracciaconservatadiquestalogicadelluogo,incuisicombinanoregoledifiliazioneeregolediresidenza.Lestagionihannounsolotempo,maritornano,lesiaspetta,sisperainesse,cisiinquietadelloroeventualeritardo:mapercontinuareariconoscerlecomecompagnefedelibisognarimanere«incasapropria»,nonallontanarsitroppo,noncambiarenédilongitudinenédilatitudine.A questo punto ho l’impressione che convergano l’etnologo del luogo, il

viaggiatoredeinonluoghielapersonache,aunacertadistanzadaentrambi,tenta con la scrittura di confrontare, comprendere e conciliare o superare ipuntidivistarispettivideiprimidue.Lamondializzazioneel’urbanizzazioneci impongonoverità inedite:disconnettono lo spaziodal tempo, la filiazionedal luogo, la relazione dal contesto, e sostituiscono a tutto ciò una rete diimmagini,pervenireinaiutodituttiquellichesentonolamancanzadiluoghie di legami. I media in effetti sono una droga leggera per i deboli e unsostituto al fascino, anch’esso magico e illusorio, del luogo. Ma comemeravigliarsi del fatto che un gioco di illusioni si sovrapponga ad un altro,quando tutta lastoriadegliesseriumanidimostrache l’illusione–fruttodeldesiderio,suggerivaFreud–èlorointrinsecamentenecessaria?L’antropologo,se si intende con questo termine l’etnologo che confronta e generalizza,interrogandosi al tempo stesso sul mondo in cui vive, sarebbe dunquecondannatoall’osservazionecriticadiciòchehasensoperglialtri.Inquestomodo,noncederebbeanessunaparticolarehybris,perché fapartedicolorocheosserva.La suaantropologiapassaancheper l’osservazionedi sé, eper

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questohabisognodellascrittura.Habisognodellascritturaeforseanchedellafiction.Noisiamoposseduti,

nelsensoetnologicodeltermine,dalcontesto.Larelazionenonsiinscrivepiùnecessariamente nella continuità del luogo e la soggettività stessa sidelocalizza. È quello che intuiva chi in passato ha parlato di «morte delsoggetto», rimanendoperòal livellodell’intuizione. Il soggettononèmorto.Al contrario, è continuamente «interpellato», per riprendere il terminealthusseriano. Ma la soggettività è senza ancoraggio, fluttuante, libera,orientabile.Forse inquesto senso sipotrebbeparlaredi«soggettivitàpura»,come ho parlato di «tempo puro» a proposito delle rovine, per indicare untempo di cui le rovine ci impongono l’evidenzama che non è il tempo dinessunastoria.Inquestecondizioni,ildoppiogiocodelloscrittoreoggièaltempostesso

simbolicoeproblematico.Perchénonc’ènulladipiùordinariodeitentatividiraccontarsi,descriversiodichiararsi,nulladipiùstereotipatodiun’interioritàcheaspiraaesibirsi:imediainquestosonopotentissimielaloroforzaètaleche possono al tempo stesso imporsi come interlocutori unici e dettare leparoleachicredediconfidare loro iproprisegretipiù intimi.La«strutturaprenarrativa dell’esperienza umana» di cui parlava Ricœur è sovvertita,rovesciataetravolta.Ilnemicoèdentrolemura.Nelmomentoincuiilluogosiimmergenelnonluogo,sicancellailconfinetralafolliadeltroppopieno(lafollia del luogo dove si è sempre presi nello sguardo dell’altro) e quella delnonluogo (la follia della solitudine e del vuoto che spinge a ogni sorta dicomingoutperattirareetrattenereperunistanteglisguardichesfuggono).Inaltreparole, incombedinuovo laminacciadell’incubomitico:ritornacon lamorte della relazione e con l’illusione del soggetto consumatore di poteresistereinsolitudine,incompagniasoltantodiimmagini,senzaessereinvasodallevertiginiantiche.Non è escluso che per affrontare questa minaccia l’antropologo debba

produrrenuovenarrazioniericorrereallafictione,piùinparticolare(avoltehofattoquestotentativo),all’etnofiction,checostruisce,nellasciadiVoltaireodi Montesquieu, personaggi esemplarmente prigionieri delle vertiginicontemporanee, in un certo senso dei testimoni teorici. In questo modol’antropologocercherebbediricordareaisuoilettoricheesistonounoperuno,singolarmente, e che, se tenta di raggiungerli là dove si trovano, cioè in unambientedovetuttosiconfondeedoveessisicercanogliuniconglialtri,è

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soprattuttopertenderlorounamano«simbolica»,simbolodellanecessariaereciprocarelazionetraindividui.Abbiamobisognodi inventare lenarrazioniche ci aiutino a sfuggire ai nuovi miti generati dalla globalizzazionetecnologica senza lasciarcene assorbire. L’etnofiction, se la si intende comeinvenzione narrativa che mette in scena le premesse del nuovo incubo,potrebbeprendereparteaunavolontàdichiaroveggenzaediresistenza.Descrivendoquellepremesse,l’etnofiction lecollocaneltempoedistrugge

l’illusione del presente perpetuo al quale ci vorrebbe condannare l’azionecombinatadelleimmaginiedeimessaggimediatici.Nonhocertolapretesadiaffidare alla letteratura e inparticolare all’etnofiction il compitodi restituireagli umani il senso del tempo.Le crisi sociali, ad esempio il dibattito sullepensioni in Francia, sicuramente vi contribuiscono molto di più, mettendoognunodifronteall’evidenzadellescadenzeindividualiedeivincolicollettiviche pesano sul proprio futuro. La rivolta, nel caso della questione dellepensioni,nascedaunapluralitàdiragionicheimprovvisamenteconvergono.La prima ragione è chiaramente il sospetto nei confronti di quelli chepretendonodidecideredegliinteressicollettivi.Lasecondaèlasensazionediuna sorta di ingerenza nella vita privata (chi può parlare di pensione senzaassociarvi l’immagine della morte che la segue e a volte addirittura laprecede?). La terza è la constatazione brutale della menzogna mediatica,pubblicitàinclusa,chediffondel’illusionediunavitasenzapassatonéfuturo,di una sorta di eternità del giorno per giorno. Non che ci si credesse, mal’amarezza nasce dalla scoperta che gli stessi che ieri strumentalizzavanol’illusioneogginedenuncianoglieffettiperversi.Succedecosìcheglistessigovernantifornisconoaigovernatilearmidella

critica, e che una congiuntura diventa tanto più «esplosiva» (come unarivelazioneimprovvisa)inquantoappare,atortooaragione,ilprodottodiundoppiogiococoscienteecalcolato.Gliingannatiprendonocoscienzadelfattoche in un certo senso hanno accettato di essere ingenui, di lasciarsiaddormentaredallaninna-nannacheveniva lorocantata.Ma il risveglioèaltempostessopiùfacileepiùbrutalequandolaprovocazionevieneatoccareledimensionifondamentalidell’esistenzaindividuale.L’impiegodeltempoèunadiqueste,ebastachevengamessoindiscussioneperchésidissolvanoinunbatterd’occhio,ealmenoperqualchetempo,leillusionieglislogandelcircomediatico.Hosemprepensatochel’etnologiafossepersuanaturacritica,senonaltro

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perché privilegiava un punto di vista esterno, che qualsiasi forma di potererifiuta. Questo sguardo critico poteva evidentemente applicarsi a tutti glielementicontestualilegatiallacolonizzazione,maanchealleformediautoritàdi lignaggio o di altro tipo preesistenti alla colonizzazione e che con lacolonizzazionecontinuavanopiùomenoacoabitare.Eraquestoilsensodiciòche sostenevo, già molto tempo fa, in Poteri di vita, poteri di morte.52Chiaramentenonsideveinalcunmodorinunciareaquestafunzione,aquestavocazionecritica,nelmomentoincuilosguardoantropologicosiapplicaallerealtàealleillusionidellaglobalizzazione.Lasoladifferenzastanelfattochel’etnologo,diventato antropologodelmondoglobale, èdirettamenteparte incausa:èluil’informatoredisestesso,ocomunqueèunodeisuoiinformatoriprivilegiati, il solo, inoltre, nella soggettività del quale può permettersi dientrare–ilchechiaramentenonèprivodiconseguenzesullasuascritturanésullasceltachepuòfarediungenereodiunmododiespressione.So di avere avuto fortuna.Unpo’ come gli esperti di ju jitsu, che sanno

utilizzare la forza dell’altro invece di contrastarla, io mi sono lasciatoprendere, all’inizio senza troppo rendermene conto, dalla forza dellaglobalizzazione. Alcuni miei colleghi conoscono perfettamente le «retiuniversitarie»: nomadi dai percorsi regolari, si spostano con le stagioni eritrovano ogni anno intatto l’ambiente della loro università di accoglienza;alcuni hanno diversi «punti di caduta»; tutto un movimento di migrazionistagionalisiverificaregolarmentetralaFranciaegliStatiUnitieviceversa.Ma la fortuna dell’etnologo sta nel fatto che non si rinchiude nell’ambienteuniversitario, innanzi tutto per necessità professionale (la scelta di un«terreno»)epoipergusto,quandosiabbandonaallecasualitàdellospazioedell’incontro.Probabilmenteinquest’ultimocasononèsoltantounetnologo,anchese incertesituazioni lasuaattenzionevieneattrattamaggiormentedaquestooqueldettaglio;ilsuomestierel’haabituatoacollocarsi,dovunquesitrovi,ametàstradatrasestessoeglialtri, inunaposizionechenonènédicompleto distanziamento né di fusione, ma piuttosto quella di un diod’Omero, sensibile alle passioni degli uomini, capace di capirle al punto dacondividerleavolte,etuttavialucidonellasuaimpotenzaacambiareilcorsodellecose.Appartienealcontesto,alnonluogoglobale,esperimenta,quandoscende sulla terra, la fragilità dei luoghi e dei legami che tentano di

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radicarvisi.Questafragilitàhaunprezzo.L’etnologoconoscequestoprezzo,sa il valore dei legami di amicizia o di affetto, e certi luoghi sono rimastiscolpiti nella sua memoria, ma sa anche che i legami si trasformanoineluttabilmenteechelostessosforzochesifaperconservarlinecambialanatura.Lo spirito del luogo svanisce come un ricordo infedele e ci si sforza di

resuscitarlo idealizzandolo, dimenticando le costrizioni che impone, le suemediocrità e le sue ferocie.Bisognerebbe saper rinunciare al luogo come sirinuncia all’infanzia per affrontare la vita. È sicuramente vero che oggi imigrantisonogliautenticiavventurieridelmondo:tentanodicambiareillorodestino,eseavoltelaloropresenzadisturbaoinquietalepersone«residenti»,non è soltanto, o davvero, perché quella presenza sia vissuta come unaintrusionenellalorointimità,maperchéessaistillaundubbiosullanaturaeilsensodiquella«intimità»,sulsensodelluogo.I nomadi tradizionali hanno percorsi regolari nello spazio e nel tempo.

Vanno di luogo in luogo e questo itinerario disegna un altro luogo, unpercorso che è al tempo stesso un ricordo e un progetto. Il «nomadismo»planetario degli uomini politici, degli uomini d’affari o degli universitari èdellostessogenere.Èlaversionegloriosaeroutinariadellamondializzazione,dicuilamigrazioneel’esiliosonolaversionedrammatica,esaltanteotragica.Iononsonoun«errante»,perriprendereilterminesucuisiinterrogaLeiris

a proposito di AlfredMétraux. Sono piuttosto un «itinerante», un nomadesenza percorso fisso che a volte prende, per caso, delle vie traverse checonducono a paesaggi inediti. Essere itineranti vuol dire concedersi dellepauseedelletappe,qualcheluogoeffimero,qualcheluogodipassaggio,chesiattraversa soltantoma dove a volte qualcosa accade: una conversazione, unsilenzio,unsorriso,l’accennodiunincontro.Essereitinerantivuoldireanchenonescludere il ritorno, ipercorsicircolaricon iqualisi ritornaalpuntodipartenzaesiritrovanoglialtri,perconfermareillegameericreareilluogo.Iveri luoghi sonodentrodinoi.Lanecessitàdella scritturaè simile aquestobisogno di ritorno in cui si trovano al tempo stesso il ricordo e l’attesa, latentazione del passato e l’urgenza del futuro. La memoria, la scrittura e ilviaggio sono indissociabili, ed è facendo il mio mestiere che ne ho presocoscienzapiùchiaramente.

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L’altrolibroContinuo a viaggiare, con un copione a volte un po’ troppo ripetitivo

(andata,conferenza,ritorno).Micapitadifermarmibrevemente,peruncorsodi qualche mese (è così che ho scoperto Zurigo), oppure per una miadecisionepersonale,chenonhanienteachefarenéconlavitauniversitarianécolturismo.NonmoltotempofahopassatoqualchesettimanaaChicago,eognitantovadoaBerlino–duecittàincontroallequalinonsifiniscemaidiandare,comeIstanbuleNewYork.RecentementemisonomessoalseguitodellatroupedelperformerMassimoFurlan,lecuitournéemipermettonodiincontrarenuovecittàodiriscopriredaunaltropuntodivistaquellechegiàsi erano trovate sul mio cammino. Sfuggo il tempo percorrendo lo spazio?Credopiuttostodinonaverancorapersoognisperanzadiritrovarmidavantiapaesaggi e istanti che non ho voglia di dimenticare e che spontaneamenteaffidereialgiocodellamemoria.Nonpersfuggireiltempochepassa,maperlasciarlopassare,perchéèproprioquandosifermae«nonpassa»(comedicePontalis) che a volte fa male. Non bisogna smettere di voler scrivere eviaggiare. Tra memoria e anticipazione, il viaggio decide: e io riparto allacacciadiimmagini.Ed ecco che comincio a intravedere, forse, quello che vogliono dame le

immaginiche,insistentiecapricciose,nonsmettonodiattraversarmilamente.Vengono dal passato, ovviamente, dal mio passato. E spariranno con me,come le componenti della persona nelle antropologie del Benin o di altreregioni d’Africa, alcune semplicemente svanendo, altre reincarnandosi nellignaggiooaltrove.Forsenonvoglionoscomparireemifannosegnoperchéleaiutiasfuggirealnullacheleminaccia.Chepossofareperloro?Cisonounaodue immaginidelcuidestinononmipreoccupo troppoda

quandounmioexallievo,l’etnologochelavoratraiPuméYaruro,mihadettoche uno dei suoi informatori, di cui mi ricordo, gli ha detto chemi avevasognato. Tra i Pumé sognare è qualcosa dimolto particolare: l’informatorevoleva dire che ero andato da lui oppure che lui era venuto dame, in quelpaesemisterioso di cui conosce solo il nome, la Francia. Fatto sta che nel

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sogno ci eravamo incontrati, e verosimilmente quello era solo un inizio: cisarebberostatialtriincontri,quiolà.Devodirechesonorimastotoccatodaquella confidenza. L’idea di appartenere a quell’altro mondo, il mondo delsogno,non sobene a che titoloperchénon sonoancoraun antenato,mihafattopiacere,propriocosì.Piacerediessereancorapresentetraquellichemiavevano accolto tanto tempo fa e, insomma, di esistere veramente. Piacereall’idea di quella comunicazione transcontinentale.Mi dico allora che certeimmaginichemi inquietano,echesonofortiperché lenottipassatesotto ilgrande cielo dell’Apuré mi hanno impressionato per molto tempo, hannotrovatounanuovadestinazione.Ritornoalmittente,insomma.Siriciclerannosulposto.Malealtre?Le altre non hanno alcuna speranza di potersi rifugiare tali e quali nella

memoria di un testimone che le ha viste nascere. Sono troppo personali etroppo fugaciperpoternutrire ragionevolmenteuna speranzacosì aleatoria;inoltre,quelli cheeventualmentepotrebberopretendere il ruolodi testimoninonsannosognarecomegliYaruro;epoiinmolticasisonoanziani,senongiàscomparsi.No,lasolasperanzadisfuggirealnulla,perquelleimmaginiinviadiestinzione,edèquellocheprobabilmentecercanodifarmicapireilororipetutisegnali,èdiesseretrascritte,scritte,trasposte.Quellecheriuscirannoad afferrare e a conservare qualche riga di uno dei miei libri, zattera disalvataggiochenon lefaràannegare,avrannounapossibilitàdisopravvivereper un attimo nella memoria di altri, al prezzo naturalmente della doppiatrasformazionechelamiascritturaelaloroletturaimporrannoloro.Mastainquesto la vita o la sopravvivenza delle immagini: crescono, si sviluppano einvecchianoperilduplicegiocodellascritturaedellalettura.Alcunesonopiùlongeve di altre. Alcune non avranno neppure la fortuna di nascere. Altrerisorgonoquandosicredonomorte.Lascritturanonhapassato.Esistesoltantopertrasmetterequellochecrea.

La scrittura è rituale: a prescindere dalla suamateria prima, acquista sensosolonell’accoglienzadeglialtri.Conleicominciaunastoria.La scrittura antropologica non è una scrittura qualsiasi: tratta di altri, cui

l’etnologo ha avuto accesso soltanto al termine di un viaggio,contemporaneamenteviaggio interioree spostamentonello spazio.Nascedaun’esperienza empirica nella quale l’antropologo è coinvolto e di cui deverenderecontoperessereonesta,cioèpiùvicinapossibilealreale.Ognigrande

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romanzo,diceMichelDeguy,èunromanzodiformazione:èlasuapartediantropologia.Eallo stessomodoognigrandemonografia èun’esperienzadiformazione:èlasuapartediletteratura.Leimmaginichecontinuanoafarmisegnoforsevorrebberoessereilpunto

di partenza di qualche cosa che non è avvenuto e che probabilmente nonavverràmai.Hanno tutte a che fare con istanti che avrebberopotuto esseredegli inizi,cheneavevano l’intensitàe lo slancio,masi sonofermati là– ilcheconferiscelorounasortadipurezzalacuiluminositàpersisteneltempo.Nonsipuòviverelapropriavitaalplurale,malgradoleillusionicheavoltecenedannol’impressione.Quelchenonèaccadutononèaccaduto.Immaginarequellocheavrebbepotutoessereenonèstatoèunadelleformepiùraffinateeperversediinfelicità.Manonèquestociòchevoglionoquelle immagini,néquellochedicono.

Parlano piuttosto dell’«altro libro», per riprendere ancora un’espressione diLeiris, quello che non si è scritto. Vorrebbero che fosse scritto. Sonodecisamente letterarie. Resuscitando un inizio, suggeriscono che è sempretempo di ripartire. Loro stesse, quando risorgono, non ripetono, maricominciano. Forse, dopotutto, più che chiedere aiuto per sopravvivere,chiedono uno sforzo per vivere. I libri di cui indicano la possibilità nonvedranno tutti la luce: il libro che sto scrivendo è forse l’ultimo. Mal’importanteèchelibri(eincontri)rimanganopossibiliedesiderabili.Forse,come i paganesimi che ho frequentato per una parte dellamia vita, questeimmaginicercanodidirmichelamortenonesiste.

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1ÉcoleFrançaised’Extrême-Orient,consedeaParigi.[N.d.T.]

2Cfr.MarcAugé,Geniodelpaganesimo,BollatiBoringhieri,Torino2002(ed.or.1982).

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3Cfr.StanislasSperoK.Adotévi,Négritudesetnégrologues,UGE,Paris1972.

4Cfr.ClaudeLévi-Strauss,Ilpensieroselvaggio,ilSaggiatore,Milano1964(ed.or.1962).

5Firmati il 18 marzo 1962, gli accordi di Évian mettono fine alla guerrad’Algeria. Sono il risultato dei negoziati avviati nel maggio del 1961 tra irappresentanti del governo francese e quelli del governo provvisorio dellaRepubblica algerina. La firma degli accordi di Évian viene seguita, il 19marzo, dall’entrata in vigore di un cessate il fuoco. L’8 aprile, con unreferendum, il 90 per cento dei Francesi approva gli accordi di Évian. Il 3luglio, a seguito di un secondo referendum, tenuto il 1° luglio, gli Algeriniproclamerannolaloroindipendenza.

6L’OrganisationArméeSecrète (OAS)eraun’organizzazionepolitico-militareclandestina, creata nel 1961, che intendeva imporre il mantenimento dellostatusquonell’Algeriafrancese.

7ÉcoledesHautesÉtudesCommerciales,consedeaParigi.[N.d.T.]

8Sigladel501°RégimentdeCharsdeCombat,istituitonel1918.[N.d.T.]

9ClaudeLévi-Strauss,Tristi tropici, ilSaggiatore,Milano1996,p.53(ed.or.1955).

10Sededell’ÉcoleNormaleSupérieure.[N.d.T.]

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11PartiDémocratiquedeCôted’Ivoire.[N.d.T.]

12Cfr.PaulRoussier,L’Établissementd’Issiny1687-1702.VoyagesdeDucasse,TibiergeetD’AmonàlacôtedeGuinéepubliéspourlapremièrefoisetsuivisdelaRelationduvoyageduRoyaumed’IssinyduP.GodefroyLoyer,Larose,Paris1935.

13RassemblementdesRépublicains.[N.d.T.]

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14Moneta usata in alcuni paesi africani già colonie francesi. La sigla sta per«ColoniesFrançaisesd’Afrique».[N.d.T.]

15Cfr. Michel Houellebecq, Le particelle elementari, Bompiani, Milano 1999(ed.or.1998).

16ÉcolePratiquedesHautesÉtudes.[N.d.T.]

17Infranceseheureuxsignificasia«felice»sia«fortunato».[N.d.T.]

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18Cfr.Augé,Geniodelpaganesimocit.

19ÉcoledesHautesÉtudesenSciencesSociales.[N.d.T.]

20Cfr. Marc Augé, Nonluoghi. Introduzione a una antropologia dellasurmodernità,Eleuthera,Milano1993(ed.or.1992).

21Sono qui ricordati i principali partiti politici della Costa d’Avorio: PDCI,RDR(cfr.supra,pp.47e50)eFPI(FrontPopulaireIvoirien).[N.d.T.]

22GliavvenimentipiùrecentiinCostad’Avoriosegnanosoprattuttoilfallimentopolitico di una generazione. Gbagbo ha perso l’occasione di diventare unesempioperl’Africa.

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23Cfr.AlfredMétraux,Ilvoduhaitiano,Einaudi,Torino1971(ed.or.1955).

24Cfr.Lévi-Strauss,Tristitropicicit.

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25Cfr.MarcAugé,IgiardinidelLussemburgo,acuradiFrancescoMaiello,Ei,Roma2000(ed.or.1985).

26Cfr. Marc Augé, Storie del presente. Per una antropologia dei mondicontemporanei,ilSaggiatore,Milano1997(ed.or.1994).

27Cfr. Marc Augé, Un etnologo nel metrò, a cura di Francesco Maiello,Eleuthera,Milano1992(ed.or.1986);Id.,Nonluoghicit.

28Cfr.Lévi-Strauss,Tristitropicicit.

29Cfr.GeorgesBalandier,SociologiedesBrazzavillesnoires,Colin,Paris1955.

30Terminegergalechedesignaleclassespréparatoireslittéraires,ovvero icorsichepreparanoall’ammissioneallegrandesécoles.[N.d.T.]

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31Cfr.MichelLeiris,Brisées,MercuredeFrance,Paris1966.

32Cfr. Marcello Massenzio, La passione secondo l’Ebreo errante, Quodlibet,Macerata2007.

33Cfr. Augé,Genio del paganesimo cit.; Id., Il dio oggetto, a cura di NicolaGasbarro,Meltemi,Roma2002(ed.or.1988).

34Cfr.Id.,Unetnologonelmetròcit.;Id.,Villeetenute.Etnologiadellacasadicampagna,Eleuthera,Milano1994(ed.or.1989).

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35Cfr.Lévi-Strauss,Tristitropicicit.

36BronislawMalinowski,Giornale di un antropologo, Armando, Roma 1992,pp.174-75(ed.or.1967).

37MarcelProust,LastradadiSwann, in Id.,Alla ricercadel tempoperduto,acuradiMariolinaBongiovanniBertini,Einaudi,Torino2008,p.34 (ed.or.1913).

38Cfr.BernardMaupoil,LaGéomancieà l’ancienneCôtedes esclaves, Institutd’Ethnologie,Paris1941.

39Proust,LastradadiSwanncit.,p.259.

40Ibid.,p.44.

41MarcelProust,Iltemporitrovato,inId.,Allaricercadeltempoperdutocit.,p.2260(ed.or.1927).

42Cfr. Jean-Pierre Vernant, Tra mito e politica, a cura di Giulio Guidorizzi,Cortina,Milano1998(ed.or.1996).

43Cfr.CornéliusCastoriadis,L’AnthropogoniechezEschyleetchezSophocle, inAA.VV.,LaGrècepourpenser l’avenir,L’Harmattan,Paris-Montréal2000,pp.151-71.

44WalterBenjamin,Ilnarratore.Considerazionisull’operadiNikolajLeskov, inId.,Operecomplete,acuradiRolfTiedemanneHermannSchweppenhäuser,VI: Scritti 1934-1937 , ed. it. a cura di Enrico Ganni e Hellmut Riediger,Einaudi,Torino2004,p.336(ed.or.1934).

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45Cfr.VladimirPropp,Morfologiadella fiaba, Einaudi, Torino 1966 (ed. or.1928).

46Cfr.PaulRicœur,Tempoeracconto,JacaBook,Milano1987-91,3voll.(ed.or.1983-85).

47Cfr.MichelLeiris,L’Africafantasma,Rizzoli,Milano1984(ed.or.1934).

48Cfr.Id.,Briséescit.

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49Cfr.Augé,Nonluoghicit.

50Cfr.DavidLepoutre,Cœurdebanlieue.Codes,ritesetlanguages,OdileJacob,Paris1997.

51Sigla che sta per habitation à loyer modéré, ovvero «abitazione a canoned’affittocalmierato».[N.d.T.]

52Cfr.MarcAugé,Poteridivita,poteridimorte.Introduzioneaun’antropologiadellarepressione,Cortina,Milano2003(ed.or.1977).