Atti del 1° Convegno EAN

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Manifestazioni di Astronomia Cervarezza Terme (10-11-12 ottobre 2008) Atti del 1° Convegno dell’European Astrosky Team a cura di Rodolfo Calanca e Angelo Angeletti COMUNE DI BUSANA (RE) 2009

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Manifestazioni di Astronomia Cervarezza Terme

(10-11-12 ottobre 2008)

Atti del 1° Convegno dell’European Astrosky Team

a cura di Rodolfo Calanca e Angelo Angeletti

COMUNE DI BUSANA (RE) 2009

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La locandina della manifestazione è opera di Enzo Rossi, al quale va il nostro più sentito ringraziamento

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Atti del 1° Convegno dell’European Astrosky Team

Cervarezza Terme, 10-11-12 Ottobre 2008

a cura di Rodolfo Calanca e Angelo Angeletti

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Il Sindaco di Busana Alessandro Govi ed il Presidente del GADAR Pietro Campani durante la cerimonia del taglio del nastro all’inaugurazione dell’Osservatorio astronomico di Cervarezza Terme (10 ottobre 2008).

Il telescopio riflettore di 60cm dell’Osservatorio di Cervarezza Terme

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INDICE Rodolfo Calanca ed Angelo Angeletti, Prefazione p. 6 Rodolfo Calanca, L’Osservatorio di Cervarezza Terme p. 8 Atti del Convegno Convegno: i relatori p. 16 Angelo Angeletti, Breve storia dell’Associazione Astrofili “Crab Nebula” di Tolentino e descrizione delle attività

p. 20

Angelo Angeletti, L’osservazione dei transiti dei pianeti extrasolari: un anno di attività dell’European Astrosky Team

p. 36

Paolo Bacci, A.p.A. asteroidi per astrofili p. 52 Rodolfo Calanca, Il progetto European Astrosky Network p. 58 Rodolfo Calanca, EANweb: alcuni progetti culturali e scientifici per l’Anno Internazionale dell’Astronomia 2009

p. 64

Fabrizio Ciabattari, Sauro Donati, Emiliano Mazzoni, Misura della parallasse di Cerere, una esperienza didattica

p. 82

Fabrizio Ciabattari, Sauro Donati, Emiliano Mazzoni, L’automazione dell’Osservatorio astronomico di Monte Agliale

p. 88

Vittorio Lovato, Spettroscopio a prisma per il telescopio da 500mm della AAAV

p. 96

Angelo Piemontese, Perché “caso” riferito all’evento Tunguska?

p. 102

Chiara Riedo, Progetto ‘RA’: la spettroscopia astronomica amatoriale con strumenti realizzati in proprio

p. 126

Enzo Rossi, Il progetto e la costruzione del telescopio ‘Urano’ p. 140 Alberto Villa, Spettrografia amatoriale, esperienze con lo spettrografo autocostruito del Centro astronomico di Libbiano

p. 148

Alberto Villa, La gestione di un Osservatorio pubblico, l’esperienza del Centro astronomico di Libbiano

p. 162

Alberto Villa, 1° agosto 2008: eclisse totale di Sole p. 172 Fabio Zucconi, Problematiche ottiche nella rilevazione di transiti di pianeti extrasolari

p. 194

Ringraziamenti p. 202

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Prefazione

In questo volume abbiamo raccolto gli atti del 1° Convegno dell’European Astrosky Network (EAN, una community culturale e scientifica, attiva prevalentemente sul Web attraverso un proprio portale, www.eanweb.net), svoltosi a Cervarezza Terme nei giorni 11 e 12 ottobre 2008.

Il Convegno ha avuto luogo nell’ambito delle Manifestazioni di Astronomia, patrocinate dal Comune di Busana, che si sono tenute nella bella località dell’Appennino Reggiano in occasione dell’inaugurazione del locale Osservatorio astronomico. Questa pregevole realizzazione, tra le più interessanti dell’astronomia non professionale a livello nazionale, ha richiesto ben dieci anni di lavoro ed il costante impegno del Comune di Busana, proprietario della struttura, del GADAR, il locale gruppo astrofili, ed il contributo di numerosi Enti pubblici e privati.

Nel corso del Convegno sono state formulate diverse proposte, culturali e scientifiche, ma anche dei progetti di ricerca già in corso o che dovrebbero prendere l’avvio in concomitanza con l’Anno Internazionale dell’Astronomia 2009 che è anche l’occasione per celebrare il quarto centenario del primo utilizzo scientifico del cannocchiale da parte di Galileo Galilei.

L'astronomia, la più antica delle scienze, ha avuto un ruolo importante in quasi tutte le culture e questo fatto stimola tutti coloro che ad essa dedicano energie e passione affinché i cittadini del mondo riscoprano il loro posto nell’universo attraverso l'osservazione del cielo e facendo in modo che tutti possano provare l'indescrivibile emozione della scoperta personale degli oggetti celesti.

In quest’ottica di conoscenza e di riscoperta condivisa si muovono i progetti divulgativi proposti dall’EAN e qui ampiamente illustrati: “Caccia alla cometa” e “Alla scoperta dei libri che hanno caratterizzato la rivoluzione astronomica: l’Astronomia Nova e la Dioptrice di Kepler ed il Sidereus Nuncius di Galileo”.

Durante il Convegno sono state anche descritte le importanti esperienze di gestione degli Osservatori astronomici di Libbiano – Peccioli e di Monte d’Aria di Serrapetrona (rispettivamente illustrate da Alberto Villa e Angelo Angeletti) che hanno tra i loro scopi primari la divulgazione dell’astronomia.

In un dominio più tecnico, sono risultati di particolare rilievo i contributi di Chiara Riedo, Alberto Villa e Vittorio Lovato, che hanno descritto in dettaglio i rispettivi progetti di spettroscopi autocostruiti,

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strumenti di grande utilità didattica per lo studio della composizione chimica dei corpi celesti più luminosi.

In conclusione di questo parziale elenco, che non esaurisce gli argomenti trattati nella due giorni del Convegno, accenniamo all’importante progetto dell’EAN, attivo dalla metà del 2007, e relativo all’osservazione dei transiti di pianeti extrasolari che Angelo Angeletti ha riassunto in un suo intervento dal quale emerge l’intrinseca qualità della proposta accolta con particolare favore da numerosi amatori non solo italiani.

Non vogliamo chiudere questa nota senza citare il lavoro illustrato da Fabio Zucconi che ha parlato di importanti aspetti legati allo studio dei transiti di pianeti extrasolari. Fabio si è recentemente laureato in fisica con una tesi che, nel corso del suo concepimento, forse ha tratto ispirazione dal progetto EAN sui transiti condotto da Angeletti. E’ per noi una grande soddisfazione pensare di aver motivato, in una qualche misura, un giovane e brillante ricercatore ad intraprendere lo studio di un’area dell’astronomia tra le più importanti ed innovative.

Con la speranza che si possa presto ripetere un altro incontro così ricco di contributi, presentiamo con particolare piacere gli Atti del Convegno ringraziando tutti coloro che vi parteciparono.

Rodolfo Calanca e Angelo Angeletti

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Rodolfo Calanca

L’OSSERVATORIO ASTRONOMICO DI CERVAREZZA TERME

Descrizione delle strutture

L’Osservatorio Astronomico di Cervarezza Terme (RE), di proprietà del Comune di Busana (RE), sorge ad una quota di 1000 metri in una località pianeggiante e dominante le vallate del Secchia e del Ramisetano. Esso è facilmente raggiungibile sia dalla sottostante Strada Statale 63 che dalla via delle fonti di Santa Lucia, con la possibilità di parcheggio.

Lo strumento principale è un riflettore Reginato di 60cm, f/3.6 equipaggiato con un CCD di qualità professionale. L’Osservatorio è collocato in una delle zone astronomicamente più favorevoli dell’Appennino emiliano per l’ottima trasparenza dell’atmosfera ed il basso inquinamento luminoso.

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Un adeguato numero di notti scure nel corso dell’anno

In Emilia-Romagna due terzi della popolazione ha perso la possibilità di vedere la Via Lattea dal luogo dove vive e ciò a causa dell’inquinamento luminoso. Per inquinamento luminoso intendiamo quella alterazione della quantità naturale presente nell’ambiente notturno provocata dall’immissione di luce artificiale. La luce artificiale inquina quando altera la quantità di luce naturale.

Un elevato inquinamento luminoso altera sia il rapporto con l’ambiente in cui viviamo, sia la percezione del “mondo” attorno a noi e ciò comporta un danno culturale incalcolabile perché provoca la sparizione di quel cielo stellato che è da sempre fondamentale stimolo alla cultura, sia umanistica sia scientifica. Non dobbiamo poi dimenticare che l’inquinamento luminoso ha documentati effetti negativi sull’ambiente e sulla salute degli esseri viventi, che vanno dall’alterazione delle abitudini di vita degli animali e, per l’uomo, abbagliamento, miopia e possibili alterazioni ormonali.

L’Osservatorio di Cervarezza Terme (RE) Il riflettore Reginato di 60cm di diametro, f/3.6

La prima valutazione delle aree inquinate da un eccesso di illuminazione

artificiale venne fatta nel 1971 all’Università di Padova, mentre la prima mappa della brillanza artificiale del cielo in Italia uscì due anni dopo grazie ad uno studio eseguito da alcuni astronomi della Specola Vaticana. Gli studi attuali, basati sull’analisi dei dati satellitari, confrontati con quelli ottenuti negli anni ’70, mostrano che la crescita attuale dell’inquinamento luminoso, in Italia, è dell’ordine del 10% annuo.

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<0.1

nero

0.1-0.2 porpora 0.2-0.4 viola 0.4-0.6 blu 0.6-0.8 blu chiaro 0.8-1.0 verde 1.0-1.2 giallo-oro 1.2-1.4 giallo 1.4-1.6 arancio 1.6-1.8 rosso 1.8-2.0 rosa intenso >2.0 rosa

Cartina del degrado della visibilità delle stelle ad occhio nudo nella Penisola. A fianco, la corrispondenza tra i colori ed il degrado della magnitudine. La cartina indica il decadimento della capacità di percepire le stelle da parte della popolazione; gli effetti dell’inquinamento luminoso sono chiaramente visibili anche nelle montagne. L’Osservatorio di Cervarezza (pallino bianco) si trova in una zona di colore viola, che sta ad indicare un degrado contenuto, compreso tra 0.2 e 0.4 magnitudini.

L’Osservatorio astronomico di Cervarezza Terme sorge in un’area all’interno della quale l’inquinamento è assai contenuto (si veda la cartina qui sotto), con un degrado minimo della visibilità stellare, inferiore a 0.4 magnitudini. Con queste caratteristiche, che dovranno essere preservate anche nei decenni futuri attraverso un’oculata gestione dell’illuminazione artificiale, l’Osservatorio può costituire un punto di riferimento sia per una concreta serie di attività scientifiche di prim’ordine sia per una didattica qualificata rivolta alle scuole di ogni ordine e grado.

Sotto il profilo dell’immagine, l’intervento viene quindi ad assumere una valenza culturale di sicuro prestigio non solo per la comunità di Busana – Cervarezza Terme – ma per l’intero Appennino Reggiano in quanto unica struttura esistente. Valutazioni sull’utilizzo dell’Osservatorio

Le attività dell’osservatorio si inseriscono nella realtà già consolidata e in espansione del Parco, ora Parco Nazionale che da tempo promuove la valorizzazione e la conoscenza dell’ambiente nel territorio del Parco e

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costituiscono una peculiarità di tipo prettamente culturale, rivolto ad un turismo alternativo e non convenzionale.

L’uso dell’osservatorio è esteso a tutto il corso dell’anno a potenziamento sia dell’attività turistica estiva sia a supporto di quella sciistica invernale in quanto sia l’osservazione dei fenomeni del sistema solare, sia del cielo profondo ha carattere di continuità.

Per eseguire una valutazione attendibile sulle possibilità di utilizzo dell’Osservatorio ci possiamo senz’altro riferire alle condizioni meteorologiche rilevate presso l’Osservatorio professionale di Loiano, nell’Appennino bolognese, a 800 metri sul livello del mare, nel periodo 2000-2005. L’orografia e le caratteristiche climatiche di Loiano e Cervarezza sono molto simili e confrontabili.

STATISTICA DELLE NOTTI ALL’OSSERVATORIO DI LOIANO (tratto da: INAF, Relazione sulla Stazione osservativa di Loiano, p. 5,

marzo 2006)

Dai dati della tabella si può congetturare che anche a Cervarezza il 50% delle notti dovrebbero essere interamente o parzialmente utilizzabili. Anche il seeing medio a Cervarezza è simile a quello rilevato a Loiano. La tabella qui sotto, che si riferisce al periodo 2001-2005, mostra che il seeing medio è di 2”, con punte di 1.5”, nella tarda primavera o in autunno.

In conclusione, possiamo certamente sostenere che il sito dell’Osservatorio di Cervarezza è di buona qualità, con numerose notti serene e caratterizzato minime variazioni di temperatura, specialmente durante le ore notturne e da un basso tasso di umidità.

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Osservatorio di Loiano (BO) Anno Seeing medio

(FWHM) 2001 2.1” 2002 2.0” 2003 1.8” 2004 2.0” 2005 1.9”

Attività didattiche e divulgative

L'astronomia d’osservazione si pone un po’ a metà strada fra le scienze naturali, con la loro preminente impostazione descrittiva, e le scienze quali la fisica, in cui il momento deduttivo ed interpretativo dei fenomeni, in termini di leggi generali, è nettamente prevalente. Per queste ragioni la scienza del cielo è uno strumento particolarmente adatto ad una corretta educazione alla scienza, sia per un pubblico in età scolare sia per una generale utenza, che si mostra sempre sensibile all’innegabile presa emotiva che gli astri esercitano sullo spirito dell’uomo.

L’Osservatorio di Cervarezza è potenzialmente in grado di costituire un importante punto di riferimento per le scuole dell’intera provincia, senza trascurare il fatto che anche il pubblico generico, inserito in attività di educazione permanente, potrà avvicinarsi consapevolmente alle meraviglie del cielo attraverso attività di divulgazione ed esperienze osservative mirate. In Osservatorio sarà infatti possibile l’osservazione guidata e programmata dei principali corpi celesti, Sole: Luna, pianeti, comete, galassie e nebulose.

Esso costituirà un autentico centro di aggregazione e di riferimento culturale per la diffusione e la conoscenza scientifica.

Le visite notturne in Osservatorio avranno poi un fascino unico e costituiranno un'esperienza importante sia emotivamente sia culturalmente.

Non si deve dimenticare che la struttura non promuoverà soltanto le attività astronomiche ma avrà anche caratteristiche interdisciplinari e multidisciplinari, con incontri e lezioni di interesse scientifico-naturalistico, su temi riguardanti l’ambiente, le energie alternative, ecc. Inoltre, non va dimenticato che la funzione di traino culturale che potrà assumere questo centro scientifico indubbiamente contribuirà ad accrescere il prestigio e l’immagine dell’intera comunità. Più in dettaglio, poniamo l’accento sulle principali finalità divulgative e didattiche:

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Promuovere fra la popolazione e gli studenti delle scuole, di ogni

ordine e grado, la conoscenza dell’astronomia in ogni suo aspetto; Sviluppare negli studenti capacità di comprensione dei fenomeni

naturali attraverso esperienze di osservazione diretta e attitudini a effettuare misure e correlare grandezze fisiche diverse;

Incentivare le capacità di organizzazione e di elaborazione delle

informazioni ricavate dalle esperienze osservative da cui elaborare deduzioni e plausibili ipotesi scientifiche;

Coinvolgere a diversi livelli gli studenti che fruiranno dell’Osservatorio

Astronomico nello svolgimento di progetti di ricerca (ad esempio, lo studio delle macchie solari attraverso la raccolta di dati tramite i telescopi dell’Osservatorio).

Si prevede la realizzazione delle seguenti attività:

Lezioni mirate di astronomia per gli studenti della scuola dell’obbligo e superiore.

Corsi di aggiornamento per docenti Corsi di astronomia per il pubblico Organizzazione di congressi e convegni anche a livello nazionale Conferenze pubbliche, mostre, ecc.

Attività di ricerca scientifica

L’osservatorio sarà a disposizione di singoli ricercatori o gruppi che volessero svolgere programmi concordati di studio e di ricerca con gli strumenti e le attrezzature in esso presenti. In particolare, i progetti di ricerca riguarderanno le supernovae, i pianeti extrasolari e la fotometria di stelle variabili peculiari.

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CONVEGNO EUROPEAN ASTROSKY TEAM

RELAZIONI E INTERVENTI

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I RELATORI DEL CONVEGNO

Angelo ANGELETTI coordinatore EAT, vice-direttore editoriale EAN, presidente Associazione Crab Nebula, Tolentino – MC, co-organizzatore del Convegno

Paolo BACCI socio AAVV, Osservatorio Astronomico Libbiano-Peccioli, PI

Luigi BIGNAMI giornalista scientifico, lavora per Repubblica, Panorama, Focus, Orione, Meridiani Montagne, Radio24, Telegiornali Reti Mediaset, ha tenuto la conferenza inaugurale

Rodolfo CALANCA Coordinatore EAT, direttore editoriale EAN, organizzatore del Convegno

Stefano CAMPANI Responsabile tecnico Osservatorio astronomico di Cervarezza Terme (RE)

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Fabrizio CIABATTARI Docente, Gruppo Ricerche Astronomiche (GRA) Borgo a Mozzano - Lucca

Mauro DOLCI Astronomo all’Osservatorio di Collurania (Teramo), ha tenuto una conferenza in diretta web durante l’inaugurazione dell’Osservatorio

Cristian FATTINNANZI Astroimager tra i migliori d’Europa

Vittorio LOVATO Ingegnere, Presidente Onorario della A.A.T. - Ass.ne Astrofili Tethys di Voghera (PV) e socio onorario della A.A.A.V

Angelo PIEMONTESE Giornalista scientifico

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Gimmi RATTO Direttore Laboratorio di Neuroscienze CNR/Scuola Normale Superiore di Pisa, esperto di fotografia astronomica digitale

Chiara RIEDO Chimico e astroimager

Enzo ROSSI Vice-presidente AAVV, Centro Astronomico Libbiano-Peccioli, PI

Romano SERRA Dipartimento di Fisica Univ. Bologna; Museo del Cielo e della Terra, S. Giovanni Persiceto (BO)

Alberto VILLA Presidente Ass. Astrofili Alta Valdera Peccioli (PI)

Fabio ZUCCONI Fisico, socio Osservatorio Lodigiano

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Angelo Angeletti

BREVE STORIA DELL’ASSOCIAZIONE ASTROFILI “CRAB NEBULA” DI TOLENTINO E DESCRIZIONE DELLE ATTIVITA’

L'Associazione Astrofili Crab Nebula nasce ufficialmente il 31 marzo

1993 con la sottoscrizione dell'atto costitutivo del gruppo all’epoca formato da: Cleto Rimatori (presidente), Alfredo Trombetta (vicepresidente), Maurizio Pieroni (segretario), Antonio Francioni (tesoriere) e Franco Barabucci. Nei mesi successivi diventano soci: Giovanni Paolucci, Manlio Bellesi, Angelo Angeletti e Marco Santecchia. L'Associazione si prefigge tre obiettivi:

- costruire un Osservatorio Astronomico, - divulgare le conoscenze scientifiche in campo astronomico; - fare osservazioni e ricerca.

LA COSTRUZIONE DELL’OSSERVATORIO

La costruzione dell'Osservatorio è iniziata nella seconda metà degli anni '80 quando Cleto, che già a metà anni '70 aveva edificato presso un casolare nelle campagne di Tolentino un piccolo Osservatorio (con tanto di cupola per proteggere un telescopio autocostruito di 25 cm), progetta un telescopio più grande ed inizia la costruzione di uno specchio di 41 cm di diametro e 180 cm di focale che realizza tra il 1985 e il 1986.

Il progetto rischia però di rimanere tale perché la spesa per la realizzazione è eccessiva per le finanze di cui dispone Cleto e le amministrazioni pubbliche non l'aiutano. Solo per caso verso la fine degli anni ottanta incontra varie volte Alfredo Trombetta e Antonio Francioni, anch'essi appassionati di Astronomia, e comincia a prendere forma l'idea di un gruppo per la costruzione di un Osservatorio.

Inizia quindi la costruzione del telescopio: tra il novembre del 1991 e il febbraio del 1992, nelle officine della Nuova OMEC di Piediripa di Macerata, la montatura dello strumento prende forma. Vengono realizzati il basamento, la forcella, il portatubo e gli assi (12 cm quello di A.R. e 8 cm quello di declinazione); sono circa 900 kg di acciaio, lavorato a regola d'arte dagli operai della ditta sotto la costante supervisione di Cleto.

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Le fasi di assemblaggio del telescopio

Particolare del sistema

ruota dentata e vite senza fine

Chi ha scrutato il cielo qualche volta sa che ormai dalle nostre città, per

colpa dell'inquinamento luminoso, è difficile avere una buona visione della volta celeste e, per fare buone osservazioni (specialmente fotografie), bisogna spostarsi in montagna. La notte, specie d'inverno quando il cielo è più limpido e le condizioni ottimali, fa spesso molto freddo!!! E' opportuno quindi, per uno strumento tipo quello che si sta costruendo, trovare un sito adatto.

La ricerca porta ad individuare il Monte d'Aria (per la precisione Località Case Sparse di Villa d'Aria), nel comune di Serrapetrona (MC), come posto ideale per la costruzione dell'Osservatorio. La zona infatti racchiude in sé tre aspetti importanti: è abbastanza in alto (830 m), è sufficientemente buio ed è facilmente raggiungibile (20 minuti da Tolentino o da Camerino e 40 minuti da Macerata). Viene trovato un terreno e si avviano le pratiche necessarie per la costruzione; problemi burocratici con il Comune di Serrapetrona bloccano però il progetto di costruire la struttura dalle fondamenta.

Nella stessa zona, poche centinaia di metri più a monte, si trovano due casolari in vendita che potrebbero essere adattati con relativa facilità, sono due chalet di 28 m2 di superficie ognuno, frutto di un tentativo di

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urbanizzazione turistica della montagna miseramente fallito. La loro acquisizione è però onerosa e probabilmente la cosa finirebbe lì se non entrasse nel gruppo Maurizio Pieroni ad anticipare il denaro necessario. Un paio di settimane prima dell'acquisto delle case viene costituito legalmente il gruppo e per restituire i soldi a Maurizio viene acquisito un mutuo da una Banca.

Lo chalet più a monte ospiterà la cupola e il telescopio, l’altro sarà adibito a foresteria e saletta per le conferenze in cui possono essere ospitate una ventina di persone.

Il telescopio installato in cupola (1997-1998).

Il C11 che è stato il nostro telescopio tra il

1998 e il 2004.

All'epoca della costituzione del gruppo, Manlio Bellesi ed Angelo

Angeletti (insegnanti di Matematica e Fisica al Liceo Scientifico di Macerata) stavano pensando di acquistare insieme un telescopio. Mentre valutavano le occasioni Manlio incontra Cleto che conosceva da molti anni ma che aveva perso di vista (in effetti in Cleto la passione per l'Astronomia era nata agli inizi degli anni '70, quando d'estate, a Belforte, osservava il cielo con il rifrattore da 60 mm di Manlio). Dopo pochi mesi ed alcuni incontri con Cleto anch'essi entrano nel gruppo.

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Nell'estate del '93, presso il capannone di Talamonti di Tolentino, affittato per l'occasione, inizia la costruzione di una cupola di 4 m che verrà terminata agli inizi del '95.

Nell'estate del '94 anche Marco Santecchia entra nel gruppo e iniziano anche i lavori per riadattare lo chalet che ospiterà il telescopio.

Sabato 8 aprile 1995 viene issata la cupola. E' una festa!!! Erroneamente si pensava di essere prossimi alla fine dei lavori, invece nel portare a termine la costruzione del telescopio (nel garage di Marco) si sono incontrate molte difficoltà, specie per quanto riguarda l'elettronica per la guida dei motori di ascensione retta e di declinazione.

La reinstallazione in cupola del telescopio dopo la ristrutturazione di Marcon. Settembre 2004

Sabato 8 febbraio 1997 anche il telescopio viene istallato all'interno della

cupola. Il primo oggetto che viene osservato, la sera stessa (una serata eccezionale in quanto a trasparenza del cielo o forse eccezionale in quanto nessuno di noi aveva mai visto dentro un 41 cm), è la nebulosa di Orione (M42). E' uno spettacolo che ci lascia senza fiato. Il telescopio ha però il grosso handicap che non possiede un sistema di motori efficace e non insegue molto bene: è sufficiente per l’osservazione visuale, ma è impossibile effettuare delle foto.

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Alla fine del 1998 il telescopio presenta anche dei problemi con le ottiche e dal 1998 al 2004 viene sostituito egregiamente con uno C11 su LX200 acquistato a rate dal socio Di Iorio (che nel frattempo era subentrato a Marco Santecchia) e successivamente montato su una Losmandy G11 con il sistema goto. Durante questo periodo viene acquistato anche uno C8 e un rifrattore Pentax 75.

Il 2000 è un anno importante per l’associazione. All’inizio dell’anno ci sono stati degli avvicendamenti: Franco Barabucci, che già da tempo si era allontanato dal gruppo ha lasciato il suo posto a Giuseppe Vella, mentre Marco Santecchia ha lasciato il posto a Giorgio Di Iorio.

Il telescopio oggi Viene stilato un nuovo statuto che permette di snellire la vita

dell’associazione e c’è un avvicendamento alla presidenza del gruppo. I nuovi soci portano nuova spinta al gruppo e in lunghe e serrate discussioni viene alimentata la speranza di riuscire un giorno a rimettere in funzione il vecchio 41 cm [1]. [1] Durante questo periodo Peppe Vella comincia a chiamare il 41 cm “lu madonnu” ed è con tale nomignolo che ancora oggi chiamiamo il nostro telescopio principale. Tra l’altro sulla scia abbiamo preso l’abitudine di dare nomignoli a quasi tutti gli strumenti che abbiamo…

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A tal fine si comincia a fare richieste di contributi a vari organismi e finalmente grazie al contributo della FONDAZIONE CARIMA DI MACERATA, alla vendita del C11 e della Losmandy e al contributo dei soci, nel 2004 è stato possibile concretizzare la nostra speranza. Revisionato da Marcon e dotato del sistema di puntamento automatico FS2, nel settembre del 2004 il 41 cm è stato reinstallato in cupola e nel dicembre dello stesso anno è stato acquistato un rifrattore MEADE APO 178 che è stato posto sopra il riflettore.

La Canon 20Da

Il ccd Apogee Alta U9000 Sempre nel 2000 il secondo chalet viene in parte ristrutturato per

ricavare la saletta conferenze. Dal 20 giugno 2001 siamo inscritti nel Registro Regionale delle Associazioni di Volontariato.

Nel 2002 è entrato il socio Francesco Barabucci, nel 2006 Gianclaudio Ciampechini; sempre nel 2006 Alessandro Cecchi ha sostituito Giorgio Di Iorio.

Un altro importante tassello nella realizzazione dell’Osservatorio è stato posto nell’estate del 2007. Grazie all'apporto tecnico dell'amico Giampaolo Mattioli (cugino di Gianclaudio) e a quello operativo di Fabiano Barabucci (fratello di Francesco) che ha realizzato il software di gestione ed ha assemblato il tutto, è stato possibile mettere a punto il controllo remoto della cupola che ora segue il moto del telescopio. Oggi possiamo controllare tutto da una saletta posta sotto il telescopio e si evita di stare al freddo.

Ora disponiamo di un'attrezzatura di tutto rispetto, anche tenendo conto che nel 2006 abbiamo acquistato una digicam 20Da e nel 2007 una camera

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CCD APOGEE U9000, grazie ad un contributo del Ministero della Ricerca Scientifica.

L’osservatorio sotto la neve

L’Osservatorio oggi LE ATTIVITA’

Una volta installata la cupola, anche se dentro non c’era ancora il telescopio, il gruppo iniziò a cresce rapidamente nelle competenze e nelle capacità utilizzando i telescopi personali. Alfredo Trombetta è un buon fotografo di oggetti celesti (fotografia chimica ancora!!!) e in questa sua attività si tira dietro Daniele Crudeli, un giovane con un'innata passione per l'astronomia, allora ai primi anni di liceo, poi studente di astronomia a Padova. Già dall’estate del ’94 vengono intraprese iniziative per far conoscere il gruppo; tra queste hanno riscosso maggiore successo le serate osservative per il pubblico con i nostri strumenti personali portati nelle piazze dei paesi e delle città della nostra provincia.

Nella primavera del '96 a Macerata viene tenuto il primo corso di Astronomia (un successo strepitoso, circa 130 partecipanti). Ciò, ci ha spinto a proporre altri corsi: nell'autunno del '96 a Tolentino, nella primavera del '97 a Camerino, nell'inverno '97/'98 a Macerata, alla fine del '98 a Tolentino, nella primavera del '99 a Macerata, tra gennaio e febbraio 2000 a Civitanova e nell'autunno 2000 a Macerata in collaborazione con l'Associazione IDEA88 che è diventato il nostro principale collaboratore per i corsi che abbiamo tenuto a Macerata negli anni successivi (autunno 2002, autunno 2003, inizio 2006). Un’altra sede per noi importante è Tolentino dove abbiamo tenuto corsi nell’autunno 2001 e l’ultimo nell’autunno 2007.

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Del primo corso abbiamo realizzato una dispensa di circa 70 pagine che veniva data ai partecipanti, sostituita nel 2003 da un cd-rom contenente le presentazioni delle lezioni e degli appunti da noi prodotti.

Dopo i primi anni in sordina, piano piano siamo diventati un riferimento in provincia di Macerata. In diverse occasioni siamo stati intervistati da radio e televisioni locali e spesso siamo chiamati a tenere lezioni nelle scuole o in circoli culturali. Si sono accorti di noi anche all’Università di Camerino dove, nel 1998 e nel 1999, siamo stati chiamati a tenere una parte del corso di geografia (la parte della geografia astronomica) agli studenti del corso di laurea in scienze svolgendo sia lezioni teoriche sia lezioni pratiche presso l’Osservatorio.

Nel 1999 il gruppo è anche diventato delegazione territoriale UAI e, sempre in collaborazione con l'UAI e il Ministero della Pubblica Istruzione abbiamo tenuto un corso di formazione per insegnanti e studenti.

Nell'agosto del 1999 abbiamo organizzato una riuscitissima missione in Austria in occasione dell'Eclisse Totale di Sole. Siamo stati ospiti di una scuola di Pinkfeld, proprio al centro della fascia di totalità, che ci ha messo a disposizione un prato e delle prese di corrente elettrica per i nostri strumenti. E' stata un'esperienza importante per l'Associazione.

Nel 2001 l’Associazione viene iscritta tra le associazioni di volontariato, nel settore cultura e formazione, della Regione Marche.

Tra la fine degli anni ’90 e i primi anni del 2000 sono stati organizzati diversi Star Party specie per la Maratona Messier con alterni successi legati alle condizioni meteo.

Dopo circa dieci anni di duro lavoro, finalmente le amministrazioni pubbliche cominciano ad accorgersi del nostro lavoro: un paio di volte la Comunità Montana dei Monti Azzurri ci elargisce dei contributi a fronte di attività didattiche nelle scuole, ma i contributi più importante sono da parte della FONDAZIONE CARIMA di MACERATA nel 2004 e da parte del Ministero della Istruzione, dell’Università e della Ricerca nel 2006.

Nel settembre del 2005 l'UAI ci ha conferito un riconoscimento come una della più attive associazioni astrofili d'Italia per il 2004, regalandoci un telescopio Newton da 200 mm che utilizziamo nelle serate di osservazione pubblica.

Un altro momento importante per la nostra associazione è stato quando, nell'assemblea dei soci dell'11 ottobre 2005, all'unanimità è stato deliberato di intitolare l'Osservatorio a Padre Francesco De Vico (Macerata 1805 - Londra 1848) nel bicentenario della nascita, celebrato con un convegno di rilevanza internazionale di cui siamo stati tra i principali promotori e organizzatori.

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Oggi il gruppo gode di un discreto seguito tra la gente della nostra provincia; specie d'estate quando ci ritroviamo nelle piazze dei paesi per delle serate di osservazione del cielo. Queste iniziative avvicinano all'Astronomia attiva molte persone e, fatto molto importante, anche molti giovani. Ciò ha contribuito notevolmente allo sviluppo delle nostre attività che dall'estate del 2007 ci vede in prima linea nelle osservazioni dei transiti di pianeti extrasolari. Il nostro Osservatorio era uno dei due recapiti del Planetary Research Team ed ora lo è dell’European Astrosky Team, libere associazioni di astrofili.

La sala controllo del telescopio e della cupola La nostra visibilità in campo nazionale è notevolmente aumentata grazie

alla pubblicazione di alcuni articoli in cui veniamo citati per il contributo che stiamo dando alla ricerca in campo amatoriale e ad alcune nostre pubblicazioni. In particolare vorrei ricordare che molto del materiale prodotto per la serata di osservazione pubblica del transito del pianeta extrasolare XO-2b del 27 febbraio e dell’11 marzo 2008 sono stati prodotti da noi. Notevole è il software per la realizzazione in diretta del transito realizzato da Fabiano Barabucci.

Fondamentale è stato anche il nostro contributo tecnico per le dirette da Collurania del 27 dicembre 2007 e del 26 gennaio 2008 e per questo Convegno.

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Un altro contributo alla visibilità viene dal fatto che sempre più frequentemente mandiamo sul web le nostre conferenze e dalla nostra presenza, ormai fissa, alla Fiera dell'Astronomia di Forlì e a quella dell'Elettronica di Macerata.

Infine Angeletti e Bellesi da alcuni anni sono i responsabili scientifici della Scuola Estiva di Astronomia che si tiene a Montalto Uffugo (CS). LA STRUTTURA DELL’ASSOCIAZIONE

L’associazione è strutturata con dei soci (Angeletti Angelo (presidente), Barabucci Francesco (segretario), Bellesi Manlio, Cecchi Alessandro, Ciampechini Gianclaudio, Francioni Antonio (tesoriere), Paolucci Giovanni, Pieroni Maurizio, Rimatori Cleto, Trombetta Alfredo, Vella Giuseppe) e un numero variabile di tesserati (alcune decine) che a fronte del pagamento di una quota annua partecipano a tutte le attività dell’associazione tranne che alla sua gestione. STRUTTURA DEL CORSO

La struttura tipica dei nostri corsi prevede 8 lezioni teoriche della durata di 1 ora e 30 minuti e 3 lezioni pratiche presso l’Osservatorio (la prima di un paio d’ore, la seconda e la terza tutta la notte!!!). Lezioni Teoriche: 1) Introduzione all’Astronomia. Un carrellata sui temi dell’astronomia e

sui principi fisici su cui si fonda l’osservazione del cielo. 2) Breve storia dell’Astronomia (dagli antichi greci a Galileo e Newton).

Alcuni aspetti dell’evoluzione delle conoscenze in ambito astronomico a partire dalla preistoria, attraverso le prime civiltà mesopotamiche e mediterranee fino ai filosofi greci e al modello tolemaico, per arrivare alla teoria copernicana, alle leggi di Keplero, alle osservazioni di Galileo e alla legge di Newton. In alcuni corsi è stato fatta una lezione sull’archeoastronomia.

3) Elementi di Ottica. I principi fisici dell’ottica geometrica e dell’ottica fisica vengono dedotti da semplici attività sperimentali con lenti e specchi.

4) Le costellazioni. Una carrellata delle principali costellazioni facendo uso di un planetario virtuale, dell’astrolabio e di foto. Questa lezione è in genere contemporanea alla prima lezione pratica.

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5) Gli strumenti per l’osservazione (dall’occhio alle camere ccd): A partire dall’occhio e dal suo funzionamento si passano in rassegna gli strumenti per l’osservazione (binocolo e vari tipi di telescopi) e le loro caratteristiche principali. Si passa quindi ad una breve esposizione delle tecniche di ripresa con fotocamera (ora digitale), webcam, ccd. La seconda e la terza lezione pratica vengono svolte dopo questa lezione.

6) Le stelle: struttura ed evoluzione. Si illustra la struttura delle stelle e il loro funzionamento, quindi si analizza la loro evoluzione in funzione della massa.

7) Il Sistema Solare: l’origine e l’evoluzione del sole e dei suoi pianeti. Dopo aver illustrato la struttura del sole si passano in rassegna i pianeti del Sistema Solare analizzandone le principali caratteristiche. Si illustrano anche le lune dei vari pianeti e i corpi minori del Sistema Solare.

8) L’Universo: dalle galassie al big bang. Dopo avere descritto e classificato le galassie, se ne illustrano le ipotesi di formazione e di evoluzione fino alla descrizione delle attuali ipotesi sulla struttura dell’Universo. Alla fine si fa un po’ di storia delle teorie sull’origine dell’Universo con una descrizione dei primi attimi di vita dell’Universo.

A quelle illustrate, che costituiscono la base del corso, ogni tanto

vengono aggiunte una o due lezioni tra: l’archeoastronomia; la vita nell’Universo; un’altra lezione di storia dell’astronomia che copre il periodo tra Newton ed Einstein; una doppia lezione sulle costellazioni (Inizialmente la lezione sulle costellazioni era divisa addirittura in 5 parti in cui venivano illustrate con delle cartine e delle foto le costellazioni circumpolari nord, le costellazioni primaverili, quelle estive, quelle autunnali e quelle invernali); i pianeti extrasolari; la Luna; le eclissi; le comete. Lezioni pratiche

1) – Osservazione del cielo ad occhio nudo e con il binocolo 2) – Osservazione del cielo con il telescopio 3) – Fotografia di alcuni oggetti celesti. Se le condizioni meteo lo consentono la lezione 1) viene divisa in due

parti: la prima osservazione ad occhio nudo e la seconda osservazione al binocolo. In genere il numero degli iscritti al corso si aggira intorno alle 20 persone, ma non tutte partecipano alle attività pratiche. Per le osservazioni al binocolo disponiamo di una decina di binocoli 10x50 che ci consentono l’osservazioni simultanea per tutto il gruppo.

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Per la lezione 2) utilizziamo altri telescopi più piccoli dell’associazione (un C8 su Losmandy G11, uno Sky Watcher da 200 e un Konus pure da 200) e in caso di necessità alcuni telescopi portatili dei soci (C8 e C11). Ai corsisti viene illustrato il montaggio del telescopio e successivamente vengono invitati a puntare alcuni oggetti, prima facili (luna e/o pianeti) e poi più difficili (oggetti di profondo cielo non visibili a occhio nudo).

Per la lezione 3) sulla fotografia i corsisti seguono una serata di riprese sia fotografiche (digitali) sia ccd e provando direttamente in prima persona tutte le fasi principali della procedura: inizialmente con correzione dell’inseguimento manuale, successivamente con l’autoguida. STRUTTURA DEGLI INTERVENTI NELLE SCUOLE

Gli interventi nelle scuole sono in media una ventina ogni anno e hanno strutture diverse a seconda del tipo di scuola.

Nelle scuole elementari in genere ci si rivolge a ragazzini di quinta, si propone un gioco in cui vengono distribuiti dei pettorali con le costellazioni dello zodiaco e i bambini vengono fatti mettere in circolo con al centro un bambino con un disegno del sole. Attorno al sole viene fatto girare un bambino con la Terra e così facendo si spiega il perché durante l’anno sono visibili costellazioni diverse, il giorno e la notte, l’alternarsi delle stagioni e così via. In una eventuale seconda lezione si costruisce il sistema solare (in scala per quanto possibile) cercando di far comprendere le enormi distanze che separano i vari pianeti.

Nelle scuole medie l’intervento in genere prevede la descrizione del sistema solare o comunque di quei temi che l’insegnante richiede. In alcuni casi è stato concordato un intervento su tre lezioni: una sui moti del cielo (utilizzando un planetario virtuale), una sul sistema solare e una sulle stelle e sull’universo.

Gli interventi nelle scuole superiori in genere ricalcano quelli delle scuole medie, ma viene utilizzato un linguaggio un po’ più tecnico.

Nei casi in cui successivamente è prevista la visita all’osservatorio si approfondisce la descrizione di quegli oggetti che poi saranno osservati.

ATTIVITA’ ALL’OSSERVATORIO

Fin dall’installazione del telescopio l’Osservatorio è aperto al pubblico l’ultimo sabato di ogni mese e in occasione di particolari eventi astronomici. Su prenotazione e dietro pagamento di un contributo vengono organizzate serate personalizzate per gruppi (in genere scolaresche).

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La serata tipo dell’ultimo sabato del mese ha inizio a partire dalle ore 21.30 e prosegue fino alle 2.00 o fino a che c’è gente (d’estate non di rado si arriva all’alba). Poiché lo spazio intorno al telescopio principale è ridotto, si permette l’accesso in cupola a non più di 10–12 mentre altrettante possono sostate nell’ingresso dell’osservatorio (dal quale si può vedere il piano del telescopio) e comunque seguire le spiegazioni che vengono date. Nel caso di accesso molto numeroso (ciò capita in occasione di particolari eventi, molto pubblicizzati dai mass–media), negli spazi antistanti l’osservatorio vengono piazzati altri telescopi. Durante la serata alcuni di noi illustrano le principali stelle e costellazioni, mentre altri guidano l’osservazione al telescopio facendo osservare i principali oggetti celesti visibili nella serata e dando spiegazioni sulla loro struttura fisica e sulla loro evoluzione. Ogni anno, c’è un ultimo sabato dedicato all’osservazione della Luna, di Giove e di Saturno (e di Marte quando è in opposizione), durante la serata l’osservazione è supportata da una lezione.

Grande successo hanno riscosso alcune serate organizzate in occasione di particolari eventi astronomici. I più importanti (che ci hanno messo anche in difficoltà per il grande afflusso di gente) sono stati il passaggio della cometa Hale Bopp nella primavera del 1997 e la Grande Opposizione di Marte a fine agosto 2003.

Gran parte dei gruppi che visitano l’Osservatorio sono scolaresche dalle elementari all’università. I più piccoli sono in genere accompagnati dai propri docenti e dai genitori (non di rado è capitato di avere 60 – 70 persone). L’organizzazione della serata è molto simile a quella generale dell’ultimo sabato del mese, anche se, a seconda del livello di scolarizzazione, si usa un linguaggio sempre scientificamente corretto, ma più o meno divulgativo, con maggiori o minori riferimenti alle conoscenze scolastiche degli studenti. In genere con gli studenti non si va mai oltre le ore 24.00. In alcuni casi, su richiesta degli insegnanti, il gruppo è stato diviso in due parti e mentre una seguiva, nella saletta conferenze, una presentazione dell’Osservatorio e degli oggetti celesti che si sarebbero osservati, l’altra, in cupola, effettuava l’osservazione diretta di una serie di oggetti celesti scelti ad hoc. Dandosi poi il cambio.

Sono state anche organizzate delle serate speciali presso l’Osservatorio destinate ai soci e ai tesserati con l’obiettivo di conoscere meglio il cielo nei vari periodi dell’anno. Ogni mese, per un anno solare, sono state scelte le zone del cielo meglio visibili e sono state analizzate studiandone gli oggetti più appariscenti.

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LE SERATE IN PIAZZA

Più volte sono state organizzate delle serate in piazza: sia su richiesta di organizzazioni locali sia organizzate da noi. In questo caso vengono portati alcuni telescopi (non meno di tre) e un binocolone (20x80 o 22x100); quando è possibile si effettua anche una proiezione di diapositive che illustrano gli oggetti celesti che si osserveranno e che aiutano anche a comprenderne la natura. L’ATTIVITA’ SCIENTIFICA

Per lungo tempo non è stato possibile portare avanti una attività scientifica legata all’osservazione e alle riprese a causa dei problemi con il telescopio, comunque sono stati portati avanti lo stesso alcuni temi quali: - lo studio della struttura dei telescopi (quando si costruiva l’Osservatorio) - lo studio teorico e pratico delle tecniche di ripresa fotografica prima

chimica, poi digitale con webcam, digicam e ccd - storia dell’astronomia: specie in occasione del convegno per il

bicentenario della nascita di padre Francesco De Vico L’attività di ricerca è decollata quando abbiamo aderito ai progetti

proposti dal Planetary Team e dall’EAN; ci siamo trovati in prima linea nei progetti:

o Caratterizzazione delle camere digitali o Progetto Vesta o Progetto extrasolari o Progetto cometa

PROGETTI FUTURI

Sono sempre più numerose le richieste di visita all'Osservatorio e di interventi nelle scuole della provincia e non (specie per il 2009, anno internazionale dell’Astronomia). Ciò rende le nostre strutture inadeguate a soddisfare tutte le richieste, ampliarle è il nostro obiettivo per i prossimi anni; è infatti nostra intenzione per prima cosa di avere una connessione veloce ad internet in modo da poter trasmettere in diretta in rete le nostre attività, quindi vorremmo realizzare:

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1) robotizzazione completa dell’osservatorio 2) una struttura con tetto apribile per alloggiare un paio di telescopi

automatizzati da utilizzare sia per le ricerche, sia per la didattica e da mettere a disposizione degli appassionati;

3) una struttura con tetto apribile per installare un telescopio più moderno e più grande (almeno 50 cm di diametro) da dedicare esclusivamente alle ricerca;

4) ampliare la struttura che attualmente utilizziamo come sala conferenze (ed altro), per realizzarne una migliore e più confortevole, una piccola foresteria, una saletta per il controllo di tutti i sistemi, servizi e un magazzino.

Il progetto è ambizioso e anche costoso, ma abbiamo dimostrato che con

il tempo le cose, se lo si vuole veramente, possono essere realizzate e ormai la nostra notorietà e le nostre attività sono così diffuse che speriamo di poter avere maggior credito presso quelle amministrazioni che possono aiutarci a realizzare il nostro progetto.

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Angelo Angeletti

L’OSSERVAZIONE DEI PIANETI EXTRASOLARI: UN ANNO DI ATTIVITÁ DELL’EUROPEAN ASTROSKY TEAM

Nel luglio del 2007, Rodolfo Calanca, all’epoca coordinatore del Planetary Reseach Team e vicedirettore di COELUM Astronomia, con la circolare n. 11 del Team lancia il progetto Exoplanets Transit - Search the Sky! Tale progetto, che riprendeva alcune idee del progetto RATS, aveva come obiettivo la messa a punto delle tecniche di ripresa e di rielaborazione in grado di rilevare i transiti di pianeti extrasolari con strumentazioni amatoriali.

Fig. 1 – La geometria di un transito: T è la Terra e S è la stella, 1 è un pianeta che transita davanti alla stella,

2 no. La scala non è realistica.

Fig. 2 – Pianeta in transito davanti alla propria stella.

Si parla di transito di un

pianeta extrasolare quando l’allineamento tra la Terra, la stella attorno alla quale orbita il pianeta e il pianeta stesso è tale da realizzare una piccola eclisse, un piccolo calo di luminosità della stella che può essere rilevato.

Se L* è la luminosità della stella, R* il suo raggio e RP il raggio del pianeta, la variazione di luminosità ΔL è data dalla relazione:

Fig. 3 – La curva di luce di HD 209458: il primo transito

planetario osservato.

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2P

* *

RLL R

Gli istanti principali di un transito sono dati nella figura 4 e nella figura 5 una schematizzazione della curva di luce della stella.

Fig. 4 – (a) Primo contatto, inizio del transito, istante 1 – (b) Secondo contatto, istante 2 – (c) Terzo contatto, istante 3 – (d) Quarto contatto, fine del transito, istante 4

La durata del transito (l’intervallo di tempo tra gli istanti 1 e 4), la

profondità del transito (la diminuzione del flusso luminoso tra gli istanti 1 e 2) e l’ampiezza (l’intervallo di tempo tra gli istanti 2 e 3) dipendono dalle dimensioni della stella e del pianeta dalla loro distanza; la loro misura permette di determinare diversi parametri fisici del pianeta altrimenti non valutabili.

Fig. 5 – Schematizzazione della curva di luce di una stella durante un transito.

Con semplici calcoli si può dimostrare che la variazione di luminosità

che avrebbe il Sole a causa del transito della Terra sarebbe ΔL/L* = 8,4·10-5, mentre nel caso che fosse Giove a transitargli davanti si avrebbe ΔL/L* = 1,1·10-2; calcoli più precisi dimostrano che il limite per l’osservazione di pianeti di tipo terrestre è ΔL/L* ≈ 8·10-4. Tenendo conto che il Sole, nei tempi scala tipici di un transito (che va da poche ore a un giorno), ha

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variazioni di luminosità ΔL/L* ≈ 10-5, si capisce come non è possibile, con strumentazione amatoriale, rilevare transiti di pianeti di tipo terrestre, mentre si possono rilevare transiti di pianeti di tipo gioviano.

Le tecniche di ripresa e le procedure per la riduzione dei dati furono

proposte a partire dalle prime indicazioni di Rodolfo Calanca con la già citata circolare n. 11 del 10 luglio 2007 dell’allora Planetary Reseach Team; nelle successive circolari nn. 13, 14, 15, 16 tali procedure furono messe a punto anche grazie a numerose prove sul campo compiute da diversi astrofili. Le circolari possono essere scaricate da sito dell’EAN e da quello del Crab Nebula.

Diamo ora brevemente le operazioni da eseguire per la ripresa del

transito di un pianeta extrasolare. Per la determinazione della corretta esposizione si consiglia di effettuare

tutte le procedura in una notte precedente il transito.

A. Stabilizziamo termicamente la strumentazione. B. Puntiamo il telescopio sul campo della stella (le informazioni sul

pianeta e la sua stella e la carta stellare di riferimento per i transiti vengono comunicate con le circolari dell’EAN).

C. Inseriamo l’autoguida: è fondamentale perché riduce l’errore fotometrico introdotto dal “mosso” stellare. Si ricordi che è necessario misurare variazioni di luce di qualche centesimo di magnitudine e che quindi è necessario avere immagini con errori fotometrici molto ridotti, intorno a 1 – 2 millesimi di magnitudine.

D. Individuata la stella, impostiamo il tempo di integrazione: è fortemente sconsigliato scendere al di sotto di 60” qualunque sia il telescopio od il CCD impiegato. Tale valore è il tempo minimo consigliato per ogni singola esposizione e ad esso corrisponde, per un telescopio amatoriale, un valore ragionevolmente contenuto della scintillazione atmosferica che risulta essere la maggior fonte di errore fotometrico[2]. Determinare la massa d’aria istante per istante non è banale, noi abbiamo realizzato ed utilizzato le seguenti tabelle:

[2] Una stima dell’errore di scintillazione S può essere ottenuta utilizzando la relazione:

1 75

0 660 09

2

.

S .

A.D t

, dove A è la massa d’aria che è funzione della distanza zenitale z (o

dell’altezza h) dell’oggetto che si osserva; D è il dimetro del telescopio in centimetri e t il tempo di esposizione in secondi.

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Tabella 1

S dovuto dalla scintillazione atmosferica in funzione del diametro del telescopio e del tempo d’esposizione per A = 1

(valido con buona approssimazione per un stella la cui altezza è compresa tra 45° e lo zenit)

t (secondi) 20 cm 25 cm 30 cm 40 cm 50 cm 10 0,0028 0,0024 0,0021 0,0018 0,0015 20 0,0020 0,0017 0,0015 0,0012 0,0011 30 0,0016 0,0014 0,0012 0,0010 0,0009 40 0,0014 0,0012 0,0011 0,0009 0,0008 50 0,0012 0,0011 0,0010 0,0008 0,0007 60 0,0011 0,0010 0,0009 0,0007 0,0006

Tabella 2

S dovuto dalla scintillazione atmosferica in funzione del diametro del telescopio e del tempo d’esposizione per A = 2

(valido con buona approssimazione per un stella la cui altezza è compresa tra 25° e 45°)

t (secondi) 20 cm 25 cm 30 cm 40 cm 50 cm 10 0,0083 0,0071 0,0063 0,0052 0,0045 20 0,0058 0,0050 0,0045 0,0037 0,0032 30 0,0048 0,0041 0,0037 0,0030 0,0026 40 0,0041 0,0036 0,0032 0,0026 0,0023 50 0,0037 0,0032 0,0028 0,0023 0,0020 60 0,0034 0,0029 0,0026 0,0021 0,0018

E. FONDAMENTALE: LA STELLA CON IL PIANETA IN

TRANSITO NON DEVE AVERE PIXEL SATURI. Questa è una delle condizioni chiave affinché la precisione fotometrica sia sufficiente per rilevare con chiarezza il transito: il livello ADU del pixel più luminoso della stella deve essere intorno a 25000 – 30000 (per una camera CCD a 16 bit). Nel caso in cui la luminosità della stella fosse troppo elevata, si potrà interporre un filtro (R oppure V) o, in alternativa, si potrà anche sfocare l’immagine stellare anche di molto, e comunque almeno 2 o 3 volte la FWHM.

Nella notte in cui avviene il transito: 1. Stabilizziamo termicamente la strumentazione prima di iniziare le

riprese. Apriamo la cupola o il tetto scorrevole alcune ore prima dell’inizio del transito (anche se ancora non fa buio).

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2. Accendiamo il CCD e attendiamo il raggiungimento della temperatura d’esercizio. RICORDATE CHE LE RIPRESE DOVRANNO COMINCIARE ALMENO 30 MINUTI PRIMA DELL’INIZIO DEL TRANSITO E TERMINARE 30 MINUTI DOPO LA FINE.

3. Se utilizziamo la procedura TRel o qualunque altra procedura che prevede la realizzazione della curva di luce del transito in diretta, la stabilizzazione termica della strumentazione va fatta MOLTO prima dell’inizio dell’evento. È infatti indispensabile avere a disposizione i bias, dark, e i flat field necessari per calibrare le immagini man mano che vengono prese. Realizziamo quindi i bias (almeno una ventina), i dark (tra 20 e 40) ed i flat field (il loro numero deve essere di diverse decine). La qualità del FLAT FIELD incide in modo determinante sull’accuratezza delle misure fotometriche e più se ne fanno e più si riduce l’errore di Poisson sul master mediano del FLAT[3]. Le stesse considerazioni valgono per i dark e i bias: realizzandone molti si abbatterà il contributo del Poisson Noise. Questa fase può essere MOLTO lunga, per cui è buona norma provvedere da prima (almeno i dark e i bias). Quando il tempo di integrazione del flat è di alcuni secondi si applicano dark e bias anche ai flat.

4. Puntiamo il telescopio sul campo della stella con il pianeta in transito, un’ora prima dell’evento. Inseriamo l’autoguida che, per l’intera durata dell’evento, non dovrà mai essere disattivata.

5. UN CONTROLLO UTILE MA NON INDISPENSABILE: una volta determinata l’esposizione, eseguiremo alcune riprese di test, e con Astroart o MaxIm verificheremo, con il tempo di integrazione determinato, il rapporto S/N [4] della stella con pianeta in transito e delle stelle di confronto.

[3] L’errore di Poisson è dato da:1

P N , dove N è il numero totale di fotoelettroni

raccolti nell’area di misura. Affinché l’accuratezza sia dell’ordine di 0.002 magnitudini N deve essere intorno a 25000. Si ricordi che N è dato da G·I dove G è il guadagno del ccd e I è l’intensità della stella espressa in ADU.

[4] Il rapporto S/N produce il cosiddetto errore stocastico standard:

1 09ST

.S / N

e

affinché l’accuratezza delle misure sia sull’ordine di pochi millesimi di magnitudine S/N dovrà essere almeno pari a 500. Abbiamo potuto rilevare che il modo di calcolare S/N di Astroart e di MAXIM non è dei più accurati; per essere significativo il valore fornito da questi software dovrà essere circa il doppio del valore indicato: S/N > 1000 (Per i dettagli sul calcolo di S/N si veda l’articolo di Rodolfo Calanca pubblicato su COELUM n. 105, pp. 60-

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A questo punto possiamo avviare la sessione di ripresa che, a seconda della durata del transito, può durare anche diverse ore.

Per la riduzione delle immagini i passi sono pochi e tutti automatici.

- Allineamento delle immagini - Calibrazione delle immagini - Fotometria

L’allineamento delle immagini viene fatto in automatico da qualunque

software di analisi (MaxIm DL, Astroart, Iris, ecc) ed è sempre opportuno farlo, anche se si ha un sistema di guida molto preciso. L’intervallo di tempo tra le prime riprese e le ultime, come ricordato, può essere anche di diverse ore e qualche problema di allineamento ci può sempre essere.

La calibrazione delle immagini avviene anch’essa in automatico utilizzando i software sopra indicati. Una guida a questa operazione può essere trovata nel Tutorial di “TRel” o nell’ottimo Manuale delle procedure messo a punto all'Osservatorio di Libbiano per l’acquisizione delle immagini fotometriche di un transito extrasolare. Questi materiali sono stati prodotti da astrofili per chi vuol cimentarsi con i transiti e sono reperibili nel sito della Crab Nebula: www.crabnebula.it. Sostanzialmente bisogna crearsi: un MASTER BIAS facendo la mediana dei Bias e un MASTER DARK FLAT facendo la mediana dei dark fatti con i tempi dei flat. Calibrare i Flat con i MASTER appena creati e quindi creare un MASTER FLAT facendo la mediana dei Flat. Creare quindi un MASTER DARK IMAGE mediando i dark fatti con i tempi delle immagini. Applicare il MASTER DARK IMAGE, il MASTER FLAT e il MASTER BIAS a tutte le immagini.

La fotometria può essere fatta con un qualsiasi software di analisi. La procedura di MaxIm (che è quella da noi utilizzata) permette di avere rapidamente la curva di luce. Maggiori informazioni sulle misure fatte sulla stella si possono ottenere utilizzando uno script che contiene la funzione di MaxIm “Document.CalcInformation”.

Per riprendere i transiti, all’Osservatorio di Monte d’Aria

(dell’Associazione Astrofili Crab Nebula di Tolentino) si era costituito un

65). Nel caso che S/N non raggiunga il valore indicato, non aspettiamoci una precisione fotometrica molto elevata.

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Team formato da Angelo Angeletti, Fabiano e Francesco Barabucci e Gianclaudio Ciampechini (vedi figura 6) che aveva studiato le procedure indicate e che la sera del 26 luglio 2007 era pronto ad iniziare con il transito di TrES-2. Approfittando di una bella serata all’Osservatorio c’era un bel gruppo di gente, tra cui anche Rodolfo Calanca; abbiamo fatto una cena all’aperto, ma l’attenzione era tutta per le riprese che devono iniziare alle 22:21 UT.

Fig. 6 – Il Team dell’Osservatorio di Monte d’Aria all’opera per preparare il telescopio, da sinistra Angelo Angeletti, Francesco Barabucci, Fabiano Barabucci, Gianclaudio

Ciampechini.

Dopo avere fatto i preparativi la sera prima, iniziamo alle 21:00 circa, ma come spesso succede non tutto fila liscio e impieghiamo più tempo del previsto ad avviare la procedura di acquisizione e non riusciamo a riprendere la prima fase del transito. Il ritardo fu dovuto al fatto che provammo a riprendere sia con la 20DA sul riflettore da 410 mm sia con il ccd ST7-XME, di Gianclaudio, sul rifrattore MAEDE da 178 mm che fece anche da autoguida. Il risultato fu deludente con la 20DA, ma estremamente esaltante col ccd (vedi figura 7), si perse l’inizio del transito, ma la fine è molto evidente.

Questo risultato fu la molla che ci spinse a passare tutta l’estate a cercare di migliorare, anche grazie al confronto con altri amici sparsi per l’Italia. La

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sera del 26 luglio ripresero il transito (secondo una email di Calanca del 28 luglio): Federico Manzini, Daniele Gasparri, Claudio Lopresti, Roberto Pellin, Valentino Luppi e Gilberto Forni. Alla stessa email era allegata la curva di luce ottenuta da Daniele Gasparri con un riflettore Newton Skywatcher 25 cm f4.8 (1200 mm) ed una camera ccd ST7-XME (vedi figura 8).

Fig. 7 – Curva di luce del transito di TrES-2 del 26 luglio 2007 ottenuta all’Osservatorio di

Monte d’Aria (MC) Queste prime curve di luce sono la dimostrazione che l’obiettivo si può

raggiungere, si possono realizzare curve di luce di un transito anche con strumentazione amatoriale. Durante il mese di agosto e la prima metà di settembre si susseguono osservazioni che portano a realizzare curve di luce sempre più precise ed altri amici (tra cui spicca il gruppo di Remanzacco) si aggiungono al gruppo.

Ai primi di ottobre nasce l’idea di effettuare una serata di osservazione di un transito in contemporanea in diversi osservatori d’Italia, il progetto denominato Extrasolari Live! viene presentato il 31 ottobre 2007 in un conferenza pubblica a Tolentino e per la prima volta viene mandata in diretta web dal sito dell’Associazione Astrofili Crab Nebula.

Si stabilisce di osservare il transito del pianeta extrasolare XO-2b del 27 febbraio 2008 (si tiene l’11 marzo come data di riserva); XO-2b è un pianeta scoperto nel 2007 da un gruppo internazionale di ricercatori, tra i quali due italiani F. Mallia e G. Masi.

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Fig. 8 – Curva di luce del transito di TrES-2 del 26 luglio 2007 ottenuta da Daniele Gasparri Intanto continuano le osservazioni di transiti al fine di coinvolgere

sempre più osservatori e il progetto diventa internazionale, infatti il transito di WASP 1 del 6 novembre 2007 viene registrato anche dal francese Hubert Boussier da Avignone utilizzando uno SC Meade 10", riduttore f 6.3, un CCD Atik 16HR, su montatura ZX4 Trassud, autoguida Guidemaster con webcam Philips TouCam su rifrattore 70x700mm.

Fig. 9 – Logo del progetto Extrasolari

Live!

Fig. 10 – Schermata del programma Trel con la curva di luce del transito del pianeta HD189733b del 26 agosto 2008 ottenuta al

Centro Astronomico di Libbiano - Peccioli.

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A causa della posizione della sua postazione osservativa, non ha potuto riprendere la parte finale del transito, ma l’inizio è molto chiaro.

Un altro gruppo che inizia a fare riprese di transiti è quello dell’Associazione Astrofili Alta Valdera dall’Osservatorio di Libbiano (PI); il loro primo tentativo, fatto la sera del 21 dicembre 2007, è un ottimo risultato; Alberto Villa, Enzo Rossi, Emilio Rossi e Paolo Bacci, hanno infatti ripreso con successo il transito di XO-2b.

Intanto il progetto Extrasolari Live! assume una forma definitiva: si stabilisce infatti di realizzare anche delle dirette web da quei siti osservativi per i quali è possibile farlo. A tal fine, a Monte d’Aria, per opera principalmente di Fabiano Barabucci, mettiamo a punto un software di acquisizione e di rielaborazione che consente di realizzare immediatamente la curva di luce del transito. Il software viene chiamato Trel e viene distribuito a partire dai primi di gennaio 2008 allo scopo di testarlo sul campo. Viene realizzato e messo a disposizione di coloro che parteciperanno al progetto e che comunque vorranno cimentarsi con i transiti di pianeti extrasolari molto altro materiale[5].

Durante gennaio e febbraio vengono effettuati quindi diversi test per provare il software e le dirette web. Cito quello del 26 gennaio 2008 svolto in condizioni meteo decenti e al quale hanno partecipato, inviando curve di luce: Monte d’Aria, il Centro Astronomico di Libbiano, Paolo Bacci da Capannoli (PI), Gimmi Ratto da Pisa, l’Osservatorio Astronomico dell’Università di Siena (A. Borsi, M. Conti, A. Marchini, F. Marchini), Riccardo Papini da Carpione, Gilberto Forni e Valentino Luppi dall’Osservatorio S.Giovanni in Persiceto (BO) (che hanno provato anche con la fotocamera digitale 20DA) e Fabio Zucconi, Gianluca Manenti, Enrico Tamagni, Tiziano Coccoli del Gruppo Astrofili M42 di Mairago (LO).

Altri test sono stati svolti il 6 febbraio 2008 in condizioni meteo brutte, gran parte dell’Italia era sotto le nuvole: hanno ottenuto curve Hubert Bousseir, dall’Osservatorio di St Saturnin-les-Avignon in Francia, Gilberto Forni e Valentino Luppi dall’Osservatorio di San Giovanni in Persiceto (BO); Fabio Zucconi con gli amici Gianluca Manenti, Tiziano Ceccoli, Angelo Marconi del GAM42 dell’Osservatorio Astronomico di Mairago (LO); Elisabetta e Gerardo Sbarufatti da Caselle Landi (LO). In questa occasione si è provata anche la trasmissione in diretta sul web dal Centro Astronomico di Libbiano, il cielo coperto non ha permesso di effettuare un

[5] Tale materiale è reperibile nel sito dell’Associazione Astrofili Crab Nebula: www.crabnebula.it

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test di acquisizione, ma Alberto Villa e gli amici di Peccioli hanno comunque fatto il test di trasmissione.

Il 14 febbraio 2008 viene fatto l’ultimo test con la partecipazione di Antonello Ruocco da Sorrento, Fabio Zucconi e Luca Manenti del GAM42 dell’Osservatorio Astronomico di Mairago (LO), Elisabetta e Gerardo Sbarufatti e il gruppo di Libbiano che finalmente riesce a mandare in diretta la curva di luce del transito mentre si forma, ma non riesce e far funzionare l’audio della trasmissione.

A pochi giorni dal transito eravamo a conoscenza di 24 siti nei quali sarebbe stato ripreso il transito e organizzata una serata aperta al pubblico dedicata ai pianeti extrasolari e in 5 di questi si sarebbe effettuata la diretta web. In diretta web dal sito di Coelum Astronomia lo scopritore Gianluca Masi avrebbe commentato l’evento.

Il 27 febbraio però le condizioni meteo sono state pessime in tutta Europa e riescono solo la diretta di Joan Genebriera, che trasmette dall’Osservatorio Tacande a La Palma (Isole Canarie), e di Salvo Massaro dall’Osservatorio INAF di Palermo.

Nel tentativo dell’11 marzo le cose sono andate meglio; le condizioni meteo, però, hanno ancora una volta condizionato le riprese: il nord Europa era sotto le nuvole, in Italia le condizioni sono state variabili, mentre alle Canarie in intenso corpo nuvoloso ha obbligato all’interruzione a metà transito. Nonostante il meteo e l’orario non proprio ottimale (il transito è iniziato alle 22.49 UT con la stella a 57° sull’orizzonte ed è terminato alle 1.35 UT del 12 con la stella ormai a soli 32° sull’orizzonte con conseguenti problemi di ripresa) l’evento ha riscosso notevole successo (nei vari siti che trasmettevano in diretta si sono contati almeno un migliaio di contatti).

Dal sito di Coelum Astronomia è stato molto apprezzato il lavoro di presentazione e di commento, nonché la ripresa del transito, di Gianluca Masi e Franco Mallia (co-scopritori di XO-2b); Oscar Straniero e Mauro Dolci hanno trasmesso la diretta dall'Osservatorio del’INAF di Collurania (TE) e insieme allo staff dell’osservatorio hanno realizzato una curva di luce del transito con il mitico rifrattore Cooke[6]; ottimo il lavoro del bravissimo team del Centro Astronomico di Libbiano-Peccioli, diretto da Alberto Villa. Molto attesa era anche la curva di luce di Joan Genebreira e John Mills del Tecande Observatory di La Palma, specie per gli amici spagnoli, ma, come detto, a metà transito hanno dovuto interrompere per la copertura nuvolosa.

Anche da Monte d’Aria abbiamo provato a trasmettere dal sito della Crab Nebula la curva di luce del transito, ma problemi tecnici prima e meteo [6] Quello con cui Vincenzo Cerulli fece le osservazioni di Marte.

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poi non ci hanno permesso di portare a termine la ripresa.

Fig. 11 – La curva di luce del transito del pianeta extrasolare TrES-2b del 26 giugno 2008 effettuata da Giorgio Corfini.

In questa occasione vanno citati anche Elisabetta e Gerardo Sbarufatti;

Rigoni dell’Associazione Astronomica Tethys di Voghera (PV); Fabio Salvaggio (PI), Giuseppe Marino e lo staff Skylive/GAC/UAI; Gilberto Forni e Valentino Luppi da S. Giovanni in Persiceto.

Dopo il successo del progetto Exoplanet Live! ci sono un paio di mesi di pausa: termina la sua funzione il Planetary Team e nasce l’European Astrosky Team che con la circolare n. 2 del 6 maggio 2008 lancia un nuovo programma di monitoraggio dei transiti di pianeti extrasolari.

Il maltempo però condiziona le osservazioni fino alla metà di giugno, anche se qualche spiraglio tra le nuvole ha permesso a vecchi e nuovi amici di cimentarsi in qualche ripresa.

I primi a realizzare una curva di luce, anche se parziale, sono stati Elisabetta e Gerardo Sbarufatti che hanno ripreso il transito di TrES-2b il 10 maggio con un C8 e una Canon EOS 350D non modificata.

La seconda curva di luce pervenuta è quella di Antonello Medugno relativa al transito di TrES-3b del 23 maggio. È la sua prima curva: Antonello inizia le riprese con Trel, ma problemi di inseguimento, dovuti ad uno stazionamento frettoloso causa condizioni meteo sfavorevoli fino a pochi istanti dall’inizio del transito, non gli hanno permesso di riprendere tutto il transito con tale programma. Ha poi utilizzato MaximDL per la fotometria. Ha effettuato le riprese con un telescopio Intes Micro M603 f/10

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(EFL=1500mm) e una camera StarlightXpres SXV-H9 guidato da un rifrattore Borg60ED (EFL=1000mm) con la Starlight Guider. Il tutto su una montatura EQ6Pro; non ha utilizzato filtri.

Fig. 12 – La curva di luce del transito del pianeta extrasolare TrES-3b del 5 luglio 2008 effettuata da Antonello Medugno.

Per un mese non è stato possibile effettuare riprese, le successive

risalgono infatti alla notte del 22 giugno, quando, tra l’altro, abbiamo effettuato una diretta web del transito di TrES-3b. Salvo Massaro, dall’Osservatorio INAF di Palermo ha inviato in rete la curva di luce man mano che si formava, mentre io, da Macerata, commentavo le immagini. Oltre alle immagini di Salvo sono pervenute anche le osservazioni di Antonello Medugno e di Elisabetta e Gerardo Sbarufatti.

E veniamo ad un risultato decisamente sorprendente e che mette in evidenza che una buona tecnica applicata anche a una semplicissima attrezzatura può date ottimi risultati; Giorgio Corfini ha infatti realizzato la sua curva di luce del transito di TrES-2b del 26 giugno 2008 con attrezzatura decisamente semplice e artigianale. In una email inviataci scrive: “Le invio il report ed il diagramma della curva di luce relativo all'osservazione del transito di Tres-2b del giorno 26/06/2008. Quello che può essere interessante sottolineare, visto che i dati di per sé non sono molto significativi, è la particolarità dell'attrezzatura utilizzata. Si tratta di strumentazione davvero “entry level” visto che il telescopio è un Newton

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114/900, la camera è la CCD-UAI autocostruita e la montatura, con relativa elettronica di controllo, è una equatoriale in legno compensato pensata e realizzata in proprio. Insomma un “setup” da poche centinaia di euro. In allegato, oltre alla curva di luce, la fotografia della mia postazione con gli strumenti utilizzati.”

Fig. 13 – La curva di luce del transito del pianeta extrasolare TrES-3b del 5 luglio 2008 effettuata da Valentino Luppi e Gilberto Forni all’Osservatorio di San Giovanni in Persiceto. La particolarità sta nel fatto che le immagini sono state riprese con una fotocamera digitale

(Canon EOS 20DA).

La stessa sera anche Antonello Medugno ha effettuato la ripresa del transito di TrES-2b.

Un altro transito registrato è stato quello di HD189733-b del 27 giugno 2008. Questa volta sono stati i “vecchi” amici dell’Associazione Astrofili Alta Valdera; loro utilizzano un telescopio riflettore Ritchey-Chretien da 500mm f/6 con in parallelo un rifrattore apocromatico A&M da 180mm, f/9; ccd principale Finger Lakes FLI IMG con sensore Kodak KAF 1001E classe 1, 1024x1024 pixels da 24 m e CCD di guida Starlight SXVF-H5 (al fuoco diretto del rifrattore); software: Maxim DL, The Sky, Robofocus e TRel. Attrezzatura decisamente notevole!

Sulla base dei risultati ottenuti da Antonello Medugno il 26 giugno, si è deciso di effettuare una nuova diretta web per il transito di XO-1b del 4 luglio 2008. Antonello dal suo Osservatorio (sul terrazzo di casa a Capua) ha inviato sul sito della Crab Nebula la curva di luce man mano che si

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andava formando ed io da Macerata ho commentato i risultati ed ho illustrato il metodo dei transiti e le procedure per ottenere una curva di luce. Le nuvole hanno fortemente condizionato le riprese che hanno subito varie interruzioni; nonostante ciò la diretta, con un buon ascolto, è andata avanti dalle 22.00 alle 1.30.

Purtroppo l’estate e le ferie hanno fatto rallentare l’attività: sono arrivati report osservativi da Antonello Medugno e da S.Giovanni in Persiceto per il transito di TrES-3b del 5 luglio, da Corfini per il transito di TrES-3b del 6 luglio, dal Centro Astronomico di Libbiano e da Nello Ruocco per il transito di TrES-1b dell’11 luglio.

Alla fine di agosto l’attività ha ripreso vita grazie a due dirette web di due transiti realizzata dagli astrofili dell’Alta Valdera da Libbiano il 26 agosto e del 6 settembre per i transiti di HD139733. La prima è andata a buon fine, la seconda no causa maltempo.

I risultati di questo anno di attività hanno dimostrato ampiamente quanto si voleva provare: ANCHE CON UN’ATTREZZATURA MODESTA, UNA BUONA TECNICA PERMETTE DI OTTENERE RISULTATI SORPRENDENTI SUI TRANSITI DI PIANETI EXTRASOLARI.

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Paolo Bacci

A.p.A. ASTEROIDI PER ASTROFILI Gli astrofili

La programmazione dello studio dei corpi minori del sistema solare da

parte degli astrofili non può prescindere da alcune considerazioni sulle sue potenzialità strumentali e del sito osservativo, che di norma, dovrebbe essere costituito da un piccolo osservatorio in postazione fissa che deve possedere il “codice osservatorio” del Minor Planet Center.

L’equipaggiamento indispensabile per uno studio dei piccoli corpi interplanetari deve essere composto da un telescopio di almeno 15 cm di diametro, montatura motorizzata (preferibilmente equatoriale), sistema di autoguida, dispositivo per l'acquisizione di immagini con sensori CCD o CMOS.

Sulla base di questi fattori l'astrofilo può dare un importante scientifico sia dal punto di vista astrometrico sia fotometrico. La ricerca rivolta a scoprire un nuovo oggetto è in genere riservata ad osservatori dotati di un telescopio di almeno 40 cm di diametro, oppure in grado di raggiungere la magnitudine 19 in tempi sufficientemente brevi (dell’ordine di alcuni minuti di esposizione). Gli astrofili in possesso di un equipaggiamento modesto hanno comunque la possibilità di effettuare una serie di importati attività in questo settore.

Fig. 1 – l’asteroide Itokawa ripreso dalla sonda Hayabusa Spacecraft 2005.

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Programmi Osservativi NEOCP

Di particolare interesse sono i programmi di conferma dei NEOCP

(Near Earth Object Confirmation Page). Questi oggetti con orbita peculiare, di norma scoperti dalle survey, vengono inseriti in un apposita pagina web del Minor Planet Center7. reperibile all'url: http://cfa-www.harvard.edu/iau/NEO/ToConfirm.html

Fig. 2 – La cometa C2008 Q1 è inserita tra gli oggetti NEOCP la cui conferma è stata ottenuta dall’Autore con il telescopio S-C di 25cm dell’Osservatorio B09 - Capannoli

Al momento della loro pubblicazione sul sito si hanno a disposizione

solo poche misure, per cui l’orbita è molto incerta. Qui entra in gioco il contributo osservativo degli astrofili.

Di norma, le survey professionali non ritornano ad osservare quella zona di cielo, per cui sono necessarie ulteriori misure di conferma. Gli astrofili possono quindi dare inizio ad una vera e propria caccia all'oggetto che, in caso di successo, può essere premiata con la pubblicazione delle loro osservazioni sulla circolare M.P.E.C8 sulla quale appariranno le informazioni e i dati osservativi concernenti la scoperta del nuovo oggetto.

7M.P.C. centro unico mondiale che archivia i dati relativi agli asteroidi e comete. 8M.P.E.C. Minor Planet Electronic Circulars contengono informazioni su particolari tipologia di asteroidi, e delle comete

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Con una certa frequenza capita di individuare tra questi oggetti,

inizialmente classificati come asteroidi, una cometa, la cui natura viene segnalata dagli astrofili a seguito di un’attenta analisi delle immagini riprese ed in base alla tipologia dell’ orbita.

FOLLOW-UP

Una volta che l'asteroide è stato scoperto è necessario seguirlo, al fine di ottenere una precisa determinazione degli elementi orbitali. Anche in questo caso l'apporto degli astrofili è determinate; ogni anno vengono scoperti centinai di nuovi oggetti, che per lo più vengono misurati dagli astrofili. E' tutt'altro che raro che le osservazioni effettuate dagli amatori permettano di migliorare in modo considerevole l'incertezza dell'orbita di un asteroide. RECOVER In pratica ritrovare oggetti che non sono stati osservati da un certo periodo di tempo; o che ritornano all'opposizione. Asteroidi T3

Sono oggetti che hanno caratteristiche orbitali simili alle comete. Potrebbero essere comete dormienti per cui può essere utile ed interessante segurli nel tempo. Già diversi oggetti classificati come asteroidi grazie a questa attività svolta da astrofili sono risultati essere in realtà delle comete.

Fig. 3 – L’orbita dell’asteroide 2008 HW1 con caratteristiche T3

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CURVE di LUCE

Monitorare l'andamento fotometrico dell'asteroide per ricavarne il

periodo di rotazione e l'orientamento polare è un’attività principalmente svolta dagli astrofili.

Le osservazioni prolungate nel tempo consentono di ricavare le informazioni morfologiche dell'oggetto, quali la forma, le dimensioni, nonché il periodo di rotazione e l'orientamento dell’asse di rotazione.

Fig. 4 – Da una serie di curve di luce dell’asteroide, ottenute in un ampio periodo di tempo, è possibile ricavare la sua forma approssimativa

OCCULTAZIONI

Quando un asteroide occulta una stella, si parla di occultazione

asteroidale. L'osservazione di questo fenomeno permette di ricavare importanti informazioni circa le dimensioni e la forma dell'oggetto, in particolare se gli osservatori sono numerosi e dislocati lungo la linea di visibilità.

Le occultazioni asteroidali di norma durano pochi secondi, è pertanto fondamentale che la registrazione del fenomeno raggiunga una precisione temporale dell'ordine di qualche decimo di secondo. L'osservazione può

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essere fatta sia in visuale che utilizzando telecamere, webcam, oppure camere CCD o reflex digitali CMOS.

Fig. 9 – L’asteroide 1998 Uo1 occulta una stella, foto dell’Autore (Osservatorio B09 Capannoli)

PARALLASSE

Misurando un asteroide, nello stesso istante, da due osservatori distanti tra loro è possibile ricavare la parallasse che permette di misurare in modo approssimativo la distanza dell'asteroide. CONCLUSIONI

L'astrofilo, grazie al livello tecnologico della strumentazione attualmente disponibile, può fattivamente contribuire allo studio “scientifico” dei corpi minori del sistema solare senza che ciò comporti un eccessivo investimento economico. Questo è un settore che offre una vasta gamma di programmi di ricerca, sovente premiati da buoni risultanti, tanto che l’astrofilo può permettersi di scegliere l'attività in relazione alla strumentazione posseduta ed al tempo effettivamente a disposizione per poterla svolgere con profitto.

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Rodolfo Calanca

IL PROGETTO EUROPEAN ASTROSKY NETWORK CONSIDERAZIONI GENERALI ED IDEA DI FONDO

Oggi l’astronomia nazionale, professionistica ed amatoriale, è profondamente in crisi, di immagine, di idee, di obiettivi.

L’INAF, il massimo ente astronomico nazionale, parla di cancellarne la storia e la tradizione plurisecolare attraverso la scellerata chiusura degli Osservatori astronomici statali nel volgere di pochi anni: un patrimonio inestimabile di strumenti che rischia di essere dimenticato, dissipato, sepolto in polverose stanze dei musei!

La stessa INAF ha assistito, con la massima indifferenza e senza minimamente intervenire, alla cancellazione dell’insegnamento dell’astronomia dalla scuola media superiore. Pur essendo il depositario istituzionale della cultura astronomica, l’Istituto non svolge alcun ruolo divulgativo, se non attraverso inutili e miserevoli iniziative, come i comunicati stampa che non interessano a nessuno perché chiaramente autoreferenziali ed autocelebrativi.

Di riflesso, l’astronomia amatoriale soffre in modo grave di questa crisi di valori che trascina verso il basso anche il piccolo “mercato” astronomico: l’editoria, le ditte produttrici e commerciali. L’UAI, che dovrebbe essere il “motore” nazionale dell’astronomia amatoriale, latitata in modo clamoroso e disattende i suoi stessi compiti istituzionali, comportandosi come un piccolo centro di potere più vicino alle esigenze di valorizzazione dell’immagine dei “dirigenti” e dell’apparato che non ai reali problemi dei propri associati.

Le sezioni di ricerca UAI, che fino ad una decina di anni fa svolgevano un lavoro dignitoso oggi, salvo rare eccezioni, sono in genere inadeguatamente attive e con uno scarso potere di coinvolgimento.

Per il non professionista non ci sono più punti di riferimento, modelli ai quali ispirarsi o stimoli capaci di riaccendere un entusiasmo ormai soffocato da una allarmante banalità di obiettivi.

La situazione è ancor più grave perché la crisi coinvolge pesantemente gli Osservatori astronomici pubblici gestiti da amatori, il cui numero è elevato, in particolare al centro-nord.

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Le strutture pubbliche (essenzialmente di proprietà comunale) superano infatti le 50 unità, ma una parte troppo consistente di esse, un prezioso patrimonio non solo strumentale ed immobiliare, ma, soprattutto di uomini e di idee, è ampiamente sotto utilizzato sia in ambito divulgativo sia nella ricerca.

Se poi guardiamo all’intero parco strumentale nazionale, ci accorgiamo con sgomento che migliaia di telescopi (del costo complessivo di diversi milioni di euro) lavorano pochissimo e quasi sempre senza obiettivi, con scarsi risultati e soddisfazione nulla. La domanda è allora la seguente: come fare per dare un contribuito alla soluzione di questo stato di crisi?

Per quanto ci riguarda, il nostro concreto apporto può essere espresso attraverso un modo nuovo di fare volgarizzazione, divulgazione e didattica astronomica. Oggi non ci si può più affidare alla sola carta stampata, occorre fare un salto tecnologico significativo e sfruttare le straordinarie risorse del web. In altre parole, una delle possibili chiavi per affrontare e risolvere la crisi appena descritta sta, a mio parere, nell’uso intelligente e diversificato di Internet, attraverso una proposta assolutamente innovativa per il settore astronomico. OBIETTIVO DEL PROGETTO

Innanzitutto è bene chiarire che la proposta EAN riguarda un progetto a tempo indeterminato. L’obiettivo è la creazione di un network in grado di sfruttare le potenzialità, a basso costo, del web, per fornire ad un ampio bacino di utenza un’informazione di qualità, corretta e avvincente, in ambito astronomico. I servizi informativi si basano essenzialmente sull’uso della diretta, realizzata in economia e facilmente fruibile dall’utente, per documentare e commentare eventi astronomici di ogni specie ordinari o straordinari (eclissi, transiti, occultazioni, ecc.), promuovere corsi in videoconferenza e notiziari informativi anche con trasmissioni a cadenza giornaliera.

Si creeranno archivi di documenti e di filmati ai quali si potrà attingere prevalentemente in modo gratuito, anche se alcuni servizi, per il loro non trascurabile costo, dovranno essere a pagamento.

Si individueranno aree di intervento appositamente studiate per poter fornire agli amatori le conoscenze di base per portare avanti alcune tipologie di ricerca, ad esempio: ricerca supernove, extrasolari, pianeti in alta risoluzione, asteroidi, ecc.

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A CHE PUNTO SIAMO?

L’idea qui illustrata nasce come conseguenza del notevole successo del progetto Extrasolari Live! (l’osservazione pubblica di alcuni transiti extrasolari del pianeta XO-2b, che ha avuto il suo svolgimento tra l’ottobre 2007 ed il marzo 2008) realizzato dal Planetary Team in collaborazione con Coelum, al quale hanno fattivamente aderito numerosi Osservatori astronomici non solo italiani.

Alcuni dei passaggi più significativi del progetto sono avvenuti attraverso alcune dirette web, seguitissime e di notevole successo. Il progetto extrasolari ha dimostrato che il momento è favorevole per lanciare una iniziativa coinvolgente ed innovativa come quella di un network astronomico europeo sul web. INIZIATIVE, PALINSESTO E IDEE VINCENTI

Le idee vincenti del progetto sono così riassumibili: 1) Servizi informativi e promozione di progetti, basati essenzialmente

sull’uso di trasmissioni in diretta, diffuse via web, realizzate in economia e facilmente fruibili dall’utente possessore di ADSL. Lo scopo è di documentare e commentare eventi astronomici di ogni specie, ordinari o straordinari (eclissi, transiti, occultazioni, comete, ecc.). Tali servizi si avvalgono del determinante contributo degli amatori e degli Osservatori professionali. Un esempio significativo di questa modalità di servizio lo abbiamo sperimentato, con un successo insperato, con il progetto Extrasolari Live! che, come ben sappiamo, ha riscosso un grande successo sul sito di Coelum e dell’Associazione Astrofili Alta Valdera.

2) Promuovere iniziative, coinvolgenti e di forte impatto, rivolte agli amatori, agli studenti ed agli insegnanti, in videoconferenza. Un esempio: corsi di base e di approfondimento, generalmente a pagamento.

3) Notiziari giornalieri di informazione astronomica, proposti con un

taglio giornalistico, per diffondere annunci e comunicati di interesse sia nazionale che europeo.

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4) Accogliere filmati astronomici prodotti dagli utenti con webcam,

ovvero: creiamo una sorta di YOU TUBE dell’astronomia. STRUTTURA DEL SITO

Si creeranno archivi di documenti e di filmati ai quali si potrà attingere prevalentemente in modo gratuito, anche se alcuni servizi, per il loro non trascurabile costo, dovranno essere a pagamento.

L’archivio documenti può inizialmente essere costituito dai documenti prodotti dai singoli partecipanti al progetto e già presenti nei loro siti. Ad esempio: il materiale prodotto per Extrasolari Live!; dal mio sito personale e di quello di Gimmi Ratto, Crab Nebula, AAAV, ecc. Si individueranno aree di intervento appositamente studiate per poter fornire agli amatori le conoscenze di base per portare avanti alcune tipologie di ricerca, ad esempio: ricerca supernove, extrasolari, pianeti in alta risoluzione, asteroidi, ecc. IPOTESI PER UN PALINSESTO

Nel seguito riporto alcune idee di attività e progetti che possono costituire l’ossatura di un palinsesto di trasmissioni. Scorrendo le possibili iniziative che si potrebbero attuare, è facile notare che spunti ed idee abbondano ma che, soprattutto, stiamo acquisendo la consapevolezza di offrire qualcosa di assolutamente nuovo ed inedito, non solo per l’Italia, ma per l’intera comunità astronomica internazionale. Ecco che cosa si potrebbe trovare nel portale, quando funzionerà a pieno regime: Un notiziario giornaliero di taglio giornalistico, da trasmettere intorno

alle 21, con numerose repliche. Le notizie e gli eventuali filmati sono fornite dagli stessi utenti, in occasione di convegni professionali od amatoriali, Star Party, conferenze, osservazioni di eventi eccezionali, Maratona Messier, ecc. Il tutto funzionerà sulla raccolta di informazioni che le Associazioni, i singoli e gli Osservatori forniranno ad una Redazione appositamente costituita.

Il Sole in diretta da alcuni Osservatori astronomici. Proposte di progetti osservativi sorretti da forti motivazioni, ecco

alcuni esempi illuminanti:

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Progetto “Caccia alla cometa”: si attivano gli amatori italiani ed

europei per una caccia alle comete con mezzi amatoriali semplici (teleobiettivi, CCD o digicam, ecc.), e con premi sponsorizzati per gli scopritori. Il premio agli scopritori è un’antica tradizione che risale al Settecento, noi dobbiamo enfatizzarla;

Mappiamo il cielo settentrionale con filtri a banda stretta: un progetto curato e condotto da Gimmi Ratto. Gimmi impartisce delle lezioni in diretta web e promuove il progetto;

Anno mondiale dell’astronomia 2009: osserviamo i satelliti medicei con il cannocchiale di Galileo;

Osservazioni astronomiche in diretta:

Serate in diretta dagli Osservatori astronomici amatoriali e professionali, sul tema: come si lavora in un Osservatorio? (esempio: 10 serate in altrettanti Osservatori amatoriali/professionali…);

Osservazioni simultanee, trasmesse dal portale, di transiti extrasolari;

Osservazioni commentate di eclissi di Sole e di Luna, di comete (es.: già in Mongolia si potrebbe fare l’eclisse?; verificare…);

Corsi di astronomia sul web: sono rivolti agli amatori, insegnanti, studenti. Alcuni dei docenti fanno già parte attiva di questo Team: A. Angeletti, G. Ratto, A. Villa, E. Rossi, ….

Progetti di ricerca: saranno tra gli assi portanti del network. Uno di questi, sulla caccia alle comete, è già stato illustrato. Eccone alcuni altri, con a fianco i nomi di coloro che dovrebbero promuoverli:

Pianeti in alta risoluzione (C. Fattinnanzi) Ricerca supernovae (M. Villi) Ricerca extrasolari (A. Angeletti) Ricerca asteroidi (P. Bacci) Profondo cielo (G. Ratto) Ricerca comete (R. Calanca)

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Circolari informative, anche in formato cartaceo, sul modello di quelle del Planetary Research Team;

PERSONE CHE CONDUCONO IL PROGETTO

In questa fase, i componenti del team che partecipano attivamente all’attuazione del progetto sono i seguenti: Rodolfo Calanca, Angelo Angeletti, Antonello Medugno, Fabiano Barabucci, Francesco Barabucci, Gianclaudio Ciampechini, Cristian Fattinnanzi, Alberto Villa, Enzo Rossi, Emilio Rossi, Paolo Piludu, Paolo Bacci, Gimmi Ratto, Gilberto Forni, Valentino Luppi, Mirco Villi. DESTINATARI E UTENTI

Siamo perfettamente consapevoli che il nostro “bacino di utenza” è di nicchia. Non è detto che questa sia, per forza di cose, una condizione negativa: un vantaggio sta nel fatto che è abbastanza semplice capire e soddisfare le esigenze di un campione umano omogeneo e ridotto. In Italia esso è costituito da alcune migliaia di appassionati di astronomia, lo zoccolo duro dell’astrofilia nazionale. Sporadicamente, ed in occasione di eventi straordinari (comete, eclissi, ecc.), i fruitori potranno aumentare fino a diverse decine di migliaia.

Il successo completo del progetto sarà sancito nel momento in cui il network avrà assunto una dimensione europea, alla quale corrisponderà un’utenza “stabile” di alcune decine di migliaia di persone. Nostro compito sarà di valutare ed utilizzare tutti gli strumenti che ci possano consentire di ampliare il bacino d’utenza del network. SINERGIE

In questo progetto le sinergie e le capacità di cooperazione svolgono un ruolo fondamentale, perché chi realizzerà concretamente le iniziative, pensate in seno al team, saranno tutte quelle strutture astronomiche, pubbliche e private, che si prenderanno a carico le dirette.

Ciò significa che dovremo dare un fortissimo impulso a tutte le iniziative mirate al coinvolgimento diretto ed alla valorizzazione di contributi degli amatori e dei professionisti, italiani ed europei.

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Rodolfo Calanca

EANWEB: ALCUNI PROGETTI CULTURALI E SCIENTIFICI PER L’ANNO INTERNAZIONALE 2009

2009: Anno Internazionale dell'Astronomia e celebrazione galileiana dell'invenzione del cannocchiale Il 20 dicembre 2007 l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, su proposta dell'UNESCO, ha proclamato il 2009 Anno Mondiale dell'astronomia, anno che ha un profondo significato per la Scienza, perché ricorre il IV° centenario del primo utilizzo astronomico del cannocchiale di Galileo .

Il coordinamento internazionale della manifestazione (alla quale hanno già aderito oltre 100 Paesi) è affidato ad UNESCO, affiancato dall’Unione Astronomica Internazionale (IAU), nonché dall’European Southern Observatory (ESO). La cerimonia di apertura dell'Anno Mondiale si terrà nel gennaio 2009 a Parigi nella sede UNESCO, mentre la chiusura mondiale della manifestazione, il 9 gennaio 2010, sarà ospitata dall'Italia.

L'INAF (Istituto Nazionale di Astrofisica), dal proprio sito, dichiara così gli obiettivi delle diverse manifestazioni: "La visione elaborata per l’IYA2009 consiste nel tentativo di aiutare il pubblico di tutto il mondo a riscoprire il proprio posto e ruolo nell’Universo attraverso una ritrovata consuetudine con il cielo, osservato sia al dì che la notte. Lo spirito è quello di spronare specialmente i giovani a riavvicinarsi, tramite l’Astronomia, alla grande ed affascinante avventura della Scienza, con un percorso personale che porti a riconsiderare l’importanza e l’impatto dell’Astronomia stessa, ma anche della altre scienze di base, nella nostra vita di ogni giorno".

UN PROGETTO EAN: "CACCIA ALLA COMETA”

Tra le molte iniziative che si possono proporre per celebrare degnamente

l'Anno Mondiale dell'Astronomia, una, a nostro parere, coglie in pieno lo

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spirito della manifestazione per l'elevato livello di coinvolgimento culturale e scientifico: la "caccia" alla cometa di Galileo che, una volta scoperta (in un periodo di tempo compreso tra la metà del 2008 e la fine del 2009) diventi emblematica dell'Anno Galileiano (qui, Galileiano è sinonimo e paradigma di Astronomia).

Con il termine “caccia” intendiamo la ricerca intenzionale e programmata di cometa/e attraverso la consueta pratica della ricerca non professionale (ovviamente, gli astronomi di professione sarebbero esclusi) .

Contrariamente a quanto di solito si è portati a pensare, anche in un'epoca ad alta tecnologia come la nostra non manca lo spazio per scoperte astronomiche individuali , con mezzi anche modesti, che siano il frutto della pura osservazione del cielo e della pazienza e perseveranza che nel passato premiava, spesso in modo copioso, i grandi astronomi e i "dilettanti" in quasi egual misura. Ci basta ricordare alcuni nomi: Charles Messier, William Herschel, Jean-Louis Pons, Giovanni Battista Donati, Edward Barnard e, molto più recentemente, Alan Hale, Thomas Bopp….

Così, potrebbe bastare un binocolo oppure un piccolo telescopio, per intraprendere, con qualche possibilità di successo, la ricerca di questi affascinanti oggetti.

Ovviamente, la caccia è aperta anche a tutti quegli amatori dotati di strumentazione evoluta, quali camere CCD o digicam e telescopi anche di dimensioni ragguardevoli. IL SAGGIATORE: GALILEO E LE COMETE PERCHÉ IL PREMIO GALILEO ALLO SCOPRITORE/I DI UNA COMETA?

Ricordiamo che alle comete è legato uno dei momenti più importanti della vicenda galileiana. La disputa nella quale Galileo si fece coinvolgere, con esiti che si rivelarono in seguito assolutamente disastrosi (l'abiura del 1632), riguardava le comete osservate nel 1618.

L'occasione fu la pubblicazione del De tribus cometis anni 1618 disputatio astronomica del gesuita Orazio Grassi, lettore di matematica presso il Collegio Romano, opera nella quale furono raccolte e commentate, in chiave anticopernicana, le osservazioni (le prime in assoluto con il cannocchiale) delle tre comete osservate verso la fine di quell'anno. Orazio Grassi sosteneva, a ragione, che le comete erano oggetti celesti orbitanti oltre la Luna, in quanto non presentavano alcun effetto di parallasse e che, a causa, della distanza, neppure il cannocchiale consentiva di distinguerne in dettaglio la forma e la struttura. Al libello del Grassi, letto come un tentativo di argomentare contro il sistema copernicano, si contrappose, nel

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giugno 1619, il Discorso delle comete del galileiano Mario Guiducci (in realtà, in Discorso fu in gran parte scritto dallo stesso Galileo) nel quale si avanzava l'ipotesi alternativa (ma errata) che le comete fossero addensamenti di vapori terrestri giunti negli strati elevati dell'atmosfera.

Nell'ottobre dello stesso anno, Grassi replicò a sua volta con lo pseudonimo di Lorario Sarsi, Libra astronomica. La Libra, ricca di dati osservativi, attaccava duramente Galileo, il quale, come risposta, fece uscire, alcuni anni dopo, il Saggiatore. Qui la polemica fu trasferita su di un piano diverso, non più la natura delle comete ma la fisica dei fenomeni sensibili. Galileo avanzava ipotesi di tipo corpuscolare, subito giudicate incompatibili col dogma della transustanziazione e pericolosamente denunciate, in forma anonima, alla congregazione dell'Indice. Il Saggiatore è fondamentale per la formulazione di idee sulla conoscenza scientifica. Galileo affermava che “l’universo è scritto in lingua matematica, e i caratteri sono triangoli, cerchi, e altre figure geometriche”. DUE SECOLI DI PREMI E RICONOSCIMENTI AGLI SCOPRITORI DI NUOVE COMETE

Per oltre due secoli la scoperta di nuove comete ha prodotto riconoscimenti tangibili per gli scopritori. Qui ripercorriamo brevemente la storia richiamando alla memoria quanto accadde nel 1799. In quell'anno, il più famoso ed estroverso astronomo francese del tempo, Joseph Jérôme de Lalande (1732-1807), per conto del Bureau des Longitudes, aveva depositato presso un notaio la bella somma di 600 franchi quale premio a favore dello scopritore della prima cometa del nuovo secolo, premio riscosso da Jean-Louis Pons (1761-1831), il quale, l'11 luglio 1801, a Marsiglia, scoprì uno di questi corpi celesti tra la costellazione della Giraffa e l'Orsa Maggiore (si veda: Histoire Abrégée de l’Astronomie di Lalande, p. 849, Paris 1803).

La tradizione prosegue per tutto l'Ottocento. Il re di Danimarca Federico VI, tra il 1831 ed il 1847, conferiva agli scopritori delle preziose medaglie d’oro e la stessa cosa, fino al 1900, faceva l’Accademia delle Scienze di Vienna.

Alla fine dell’Ottocento si affacciarono sulla scena astronomica i grandi magnati americani dell’industria. Tra questi H.H. Warner che, dal 1880, offrì una somma cospicua, 200 dollari, a qualunque americano scoprisse una cometa.

Nel 1881 un giovane e povero fotografo, E. E. Barnard, appassionato di astronomia e, successivamente divenuto uno dei maggior astronomi in

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attività tra l'Otto-Novecento, pensò bene di farsi strada scoprendo comete per poter guadagnare il premio di Warner.

Barnard in seguito scrisse, con una buona dose di humor, in occasione della scoperta della sua prima cometa, queste parole: “La fedele cometa, come una gallina dalle uova d’oro, calcolò con precisione la sua apparizione per farla coincidere con l’arrivo delle terribili polizze di pagamento che dovevo estinguere [si riferisce al mutuo della casa]. Pertanto io e mia moglie abbiamo concluso che questa casa è stata veramente costruita grazie alle comete. Questo fatto prova ulteriormente il grande errore di coloro i quali pensano che dopotutto una cometa non è per niente un buon affare. E’ vero, furono necessarie parecchie comete [ne scoprì in tutto 19] di considerevole grandezza, ma quel che conta è che la casa fu realizzata”.

Nel 1998 l’International Astronomical Union (IAUC 6936) ha istituito un premio di 20 000 $ annui (Edgar Wilson Award) a favore di quegli amatori che hanno scoperto comete. Il premio è intitolato all’uomo d’affari americano E. Wilson che ha creato un lascito perenne a tale scopo.

PROGETTO EAN: GLI ASTROFILI DETECTIVE DELLA SCIENZA

Gli appassionati di storia dell’astronomia di tutt’Europa entrano nelle biblioteche e negli archivi alla ricerca di tre opere fondamentali che hanno profondamente segnato la Rivoluzione astronomica

L’European Astrosky Network (EAN) ha in programma alcuni importanti progetti culturali per l’Anno Internazionale dell’Astronomia 2009, rivolti ad un pubblico di astrofili e di appassionati di storia dell’astronomia, tra i quali spicca quello descritto nel seguito e che porta il titolo: “Gli astrofili detective della scienza: alla ricerca dei libri che quattro secoli fa hanno rivoluzionato l’astronomia”.

I libri ai quali mi riferisco, elencati in ordine di data di pubblicazione, sono l’Astronomia Nova, il Sidereus Nuncius e la Dioptrice. Il primo e l’ultimo, pubblicati rispettivamente nel 1609 e 1611, sono stati scritti da Joannes Kepler, una delle maggiori figure dell’astronomia di ogni tempo. Il

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Sidereus, invece, testo capostipite dell’astronomia telescopica, fu pubblicato da Galileo il 12 marzo 1610. Esso è anche il punto di arrivo della sua prima tornata di osservazioni celesti e delle rivoluzionarie scoperte sulla natura della Luna e della sconvolgente esistenza dei satelliti di Giove. Tra l’altro, l’Anno Internazionale dell’Astronomia intende celebrare i primi 400 anni del cannocchiale, la cui invenzione anche se non può essere ascritta a Galileo, egli ebbe però lo straordinario merito di averlo rivolto al cielo, primo tra i suoi contemporanei, con la piena consapevolezza delle sue enormi potenzialità scientifiche.

L’EAN vuole dar vita ad un’autentica, straordinaria “caccia al tesoro”, trasformando gli appassionati di storia dell’astronomia in detective della cultura, facendoli entrare nelle biblioteche e negli archivi europei sulle tracce delle copie ancora esistenti di queste opere fondamentali della cultura scientifica occidentale.

Nelle sue linee guida generali, il progetto si ispira al lavoro di ricerca che da oltre trent’anni uno dei maggiori storici dell’astronomia viventi, Owen Gingerich, professore emerito ad Harvard, svolge sul De Revolutionibus Orbium Coelestium di Copernico, del quale si è posto l’obiettivo di censire tutte le copie esistenti. Gingerich è ben noto per essere stato il presidente della

Commissione dell’Unione Astronomica Internazionale (IAU) che, nel 2007, a Praga, ha ridefinito il significato del termine “pianeta”. Questa sua caccia instancabile ad uno dei libri che hanno segnato un’epoca rivoluzionaria per la scienza, ha prodotto uno dei più affascinanti saggi divulgativi pubblicati negli ultimi anni: “Alla ricerca del libro perduto”, edito in Italia nel 2004, la cui lettura è altamente consigliata a tutti gli amanti della scienza e della cultura.

Perché uno studioso del calibro di Gingerich ha speso molti anni in una, apparentemente futile, caccia che si è svolta prevalentemente tra gli scaffali polverosi di vecchie biblioteche di mezzo mondo? E perché riproporre ora la stessa tipologia di ricerca per individuare le copie delle prime edizioni di altri tre classici della scienza?

Agli inizi della sua carriera di studioso, Gingerich era rimasto affascinato da un memorabile libro dello scrittore Arthur Koestler, I sonnambuli: storia delle concezioni dell’universo, nel quale il De Revolutionibus era battezzato come “il libro che nessuno ha mai letto”. Quando il volume di Koestler uscì “nessuno era in grado di dimostrare la verità o la falsità della sua affermazione”, come sottolinea Gingerich stesso. Per una seria fortuita di circostanze, lo studioso di Harvard poté però consultare all’Osservatorio di Edimburgo una copia dell’opera di Copernico appartenuta al noto

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astronomo tedesco Erasmus Reinhold (1511-1553), autore delle fortunatissime Tavole Pruteniche che per quasi un secolo furono utilizzate per la composizione delle effemeridi planetarie. Il De Revolutionibus appartenuto a Reinhold era zeppo di annotazioni e di diagrammi a margine che forniva un indizio inaspettato sul fatto che, nonostante i numerosi ed astrusi dettagli matematici e geometrici, l’opera copernicana fu analizzata con estrema attenzione da almeno un grande studioso del Cinquecento. La successiva scoperta di un consistente numero di copie fittamente annotate, dimostra che numerosi altri astronomi, soprattutto in Europa centrale ed in Inghilterra, nella seconda metà del XVI secolo, studiarono a fondo Copernico.

E’ evidente che Koestler aveva torto e Gingerich può ora affermare che: “gli esemplari [del De Revolutionibus] appartenuti agli astronomi gettano luce sul lungo processo di accettazione della cosmologia eliocentrica come descrizione reale del mondo fisico”.

Riproporre una ricerca che consenta, attraverso le copie ancora conservate di tre opere fondamentali, di comprendere meglio ciò che è avvenuto nei primi anni del Seicento (perché, in quei pochi anni, qualcosa di assolutamente straordinario è davvero avvenuto) è certamente un’operazione culturale di ampio respiro.

Non ho l’inopportuna pretesa che lo studio del materiale raccolto sia un compito che si deve assumere l’amatore o lo studente; il loro contributo si dovrebbe invece esplicare nella segnalazione dell’esistenza dell’opera in una determinata biblioteca e ad un suo primo esame per appurare la presenza di note a margine o di appartenenza. Tutto il materiale, raccolto e schedato con le modalità indicate più avanti in questo articolo, dovrebbe costituire la base di un censimento delle tre opere, di indubbio interesse per gli studiosi che in futuro vorranno esaminare in dettaglio il percorso e che potranno così orientare la loro ricerca attraverso i meandri delle numerosissime biblioteche europee.

Solo facendo riferimento all’Italia, l’ultimo censimento di cui sono a conoscenza riporta qualcosa come 15000 biblioteche presenti sul territorio nazionale, tra pubbliche e private. Una stima grossolana per l’intero territorio europeo non dovrebbe indicarne un numero inferiore a 80000 con un patrimonio di libri e periodici complessivamente stimato in almeno 2,5 miliardi di pezzi!

E’ innegabile che esistono ancora degli interrogativi storici che non hanno avuto una risposta adeguata e che sono fortemente connessi alle tre opere di cui qui ci occupiamo. Lo studio delle annotazioni a margine e dei rimandi, riuscire ad attribuire la corretta appartenenza delle opere nel corso

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del Seicento, oppure, stimolare semplicemente il risveglio di interesse intorno alle opere scientifiche del primo ventennio di quel secolo, tutto ciò potrebbe contribuire a risolvere problemi come i seguenti: quando fu finalmente inteso che l’Astronomia Nova apriva nuovi orizzonti alla comprensione delle cause fisiche dei moti planetari? Oppure, come ha fatto Galileo a realizzare in pochissimi giorni un cannocchiale perfettamente funzionante e che migliorava grandemente le prestazioni ottiche di tutti quegli esemplari che circolavano, numerosi, in Europa? Oppure, un’altra domanda cruciale: in realtà, cosa utilizzava Galileo per misurare le distanze angolari tra Giove ed i suoi satelliti nelle numerose ed accurate osservazioni illustrate nel Sidereus Nuncius?

Ponendo l’occhio al cannocchiale galileiano, e dovendo contemporaneamente fare un raffronto tra l’immagine telescopica ed una mira, non è affatto facile stimare la separazione angolare dei satelliti medicei, a causa della sua scarsa luminosità e di un campo di vista estremamente ridotto!

Infine, un altro importante interrogativo: perché, nonostante Kepler abbia fornito nella Dioptrice la teoria completa del cannocchiale astronomico, con tanto di disegno dei percorsi dei raggi attraverso le lenti, occorsero poi molti anni prima che qualcuno ne costruisse un esemplare funzionante? La Dioptrice non è stata letta? Era troppo complessa, troppo tecnica?

Ribadisco che se il censimento europeo che qui proponiamo avrà successo, forse si potrà sperare di far maggiore luce su di uno dei momenti cruciali della Rivoluzione Astronomica. Ma una precisazione è indispensabile: il progetto del citato censimento è limitato all’Europa per il semplice motivo che non avendo il supporto di enti o strutture istituzionali, per noi diventa impossibile estendere tale ricerca su scala planetaria! Diamo ora brevi cenni sulle grandi figure scientifiche di Kepler e Galileo ed una succinta descrizione delle tre opere, seguendo l’ordine cronologico di pubblicazione. Kepler, Astronomia Nova (1609)

Il giovanissimo ed appassionato Giacomo Leopardi, nella sua Storia dell’Astronomia, con trasporto scriveva: “[Kepler] fu un uomo grande, un uomo meraviglioso; e il titolo brillante di Padre dell’astronomia è appena sufficiente a rimunerarlo de’ benefizi inestimabili che egli ha fatti a questa scienza”.

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Johannes Kepler, il Padre dell’astronomia moderna, è senza alcun dubbio una delle menti più brillanti, ma anche tra le più tormentate, dell’intera storia dell’astronomia. Il noto divulgatore scientifico francese Nicolas Witkowski dice che “il suo semplice nome basta a far impallidire gli adepti del positivismo, a far rischiare il colpo apoplettico ai sostenitori di un progresso scientifico lineare e a far tossire imbarazzati i fautori del sacrosanto metodo scientifico”.

Kepler scrive di essere stato concepito nell’anno 1571, il sedici maggio alle 4 e 37 e che la sua nascita prematura, a trentadue settimane, dopo duecentoventiquattro giorni e dieci ore (curioso: la sua gestazione corrisponde al periodo di rivoluzione siderale di Venere, quando si dice che il destino è letteralmente scritto nelle stelle!), era avvenuta il 27 dicembre 1571 a Weil-der-Stadt, un paesino del Württemberg da una famiglia di agricoltori con un passato di piccola nobiltà decaduta, ormai impoveritisi sia economicamente che spiritualmente.

I suoi studi primari furono irregolari e, addirittura, interrotti per due anni, durante i quali fu costretto a lavorare duramente per mantenersi. Nel 1589 godette di una sovvenzione statale che gli consentì di iscriversi ai corsi della facoltà delle arti dell’università di Tubinga e, in breve tempo, divenne uno degli allievi prediletti del famoso astronomo Michael Maestlin, un copernicano assai apprezzato negli ambienti scientifici dell’Europa del tempo.

Nel 1593 fu invitato ad insegnare matematica alla scuola luterana di Gratz, in Stiria, in verità un modesto impiego, che Kepler, accettò riluttante. In quella sorta di esilio nella più profonda provincia austriaca, vide la luce il suo primo lavoro astronomico, preludio ad un’opera ancora più vasta, il Mysterium Cosmographicum. Di chiarissima impronta platonico-pitagorica, il Mysterium si basava sull’idea, del tutto falsa, che la struttura del cosmo è costruita su rigorose figure geometriche.

L’importanza di quest’opera giovanile non sta, certamente, nell’illusoria convinzione di aver finalmente trovato l’arcana struttura dell’universo. Molto più importanti per gli sviluppi futuri delle sue ricerche planetarie, sono invece alcune domande che nessuno, prima di lui, si era posto: esiste un rapporto matematico tra la distanza che separa un pianeta dal Sole e il tempo della sua rivoluzione completa?

Oppure, perché Copernico, come aiuto al calcolo e per non confondere il lettore allontanandosi troppo da Tolomeo, aveva riferito ogni cosa non al centro del Sole, ma al centro dell’orbita terrestre?

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Nel Mysterium, rispondendo a quest’ultimo quesito, egli adottò come nuovo centro del mondo il centro del Sole e i mutamenti nelle orbite risultarono notevolissimi.

La prima domanda invece, richiese alcuni decenni di ricerche per avere una risposta corretta, sfociata nell’enunciazione della sua terza legge planetaria.

Subito dopo la pubblicazione del Mysterium, egli entrò in contatto con Tycho Brahe, il più grande astronomo osservatore del tempo, al quale ne aveva inviato un esemplare, chiedendogli di commentarla.

Per Kepler, il giudizio di Tycho, che fu ampiamente positivo, significava molto.

Nel ricevere il primo scritto di questo promettente neofita, l’astronomo danese, che nel frattempo meditava di abbandonare l’isola di Hven ed il suo meraviglioso osservatorio, comprese di trovarsi di fronte ad un giovane di straordinario talento, anche se dal carattere ombroso e difficile, che forse aveva le capacità matematiche e la caparbietà necessarie per condurre in porto l’agognato progetto di una riforma dell’astronomia basata sul suo sistema cosmologico, quello che portava il suo nome. Per questo motivo, dopo essere entrato al servizio dell’imperatore Rodolfo II, Tycho gli offrì il posto di suo assistente.

Nei primi mesi del 1600 Kepler accettò di malagrazia l’offerta, a causa di alcuni ridicoli screzi e malintesi sorti ancor prima di conoscersi personalmente. Nel nuovo Osservatorio nei pressi di

Praga, Tycho gli affidò lo studio dell’orbita di Marte. Da qui prese l’avvio un’odissea intellettuale di straordinaria importanza scientifica: quella lotta contro Marte che un entusiasta Kepler dichiarava di poter vincere in otto giorni, richiese invece otto lunghi e durissimi anni di lavoro.

Nel frattempo, a restituirgli un’inaspettata autonomia di ricerca intervenne la morte di Tycho il 24 ottobre 1601. Questi, dal letto di morte mormorava, rivolto al suo recalcitrante assistente, che io non sembri aver vissuto invano, cercando di strappargli la vana promessa che la progettata riforma dell’astronomia, coronamento della sua intera carriera di studioso, avrebbe avuto come cardine il suo sistema, a spese di quello copernicano.

Il trentenne astronomo, al quale l’imperatore Rodolfo II conferì subito dopo l’altisonante titolo di astronomo imperiale, si buttò, con il consueto accanimento, sul problema del moto di Marte, facendo inizialmente uso delle opposizioni del pianeta rosso degli anni 1587, 1591, 1593 e 1595.

Nel 1602 trovò, come primo parziale risultato dei suoi lunghissimi calcoli, che il pianeta percorreva un’orbita ovale, ma il 1603 lo dedicò alla stesura del suo primo straordinario libro di ottica, i Paralipomena. Riprese i

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calcoli su Marte solo nei primi mesi del 1604, mentre, di pari passo proseguiva la stesura dell’altro suo capolavoro nel quale descriveva, con un’incredibile dovizia di particolari, il difficilissimo lavoro che gli fu necessario per addomesticare il pianeta rosso: l’Astronomia Nova (il titolo completo è: Nuova Astronomia Causativa ovvero Fisica Celeste, tratta dai commentari dei movimenti di Marte, sulla base delle osservazioni di G.V. Tycho Brahe).

Nel 1606, per la stampa dell’opera, che vide la luce solo nel 1609, l’imperatore Rodolfo II promise un contributo di 400 fiorini che, fatto tutt’altro che usuale, fu regolarmente pagato dalle casse statali.

Nell’Astronomia Nova, dopo una premessa assai poco promettente scritta da Franz Tengnagel, genero di Tycho che difendeva gli interessi della famiglia e che si apre con un ammonimento al lettore a non lasciarsi convincere dalla “libertà di Kepler nel dissentire da Tycho in alcune cose, particolarmente con le sue argomentazioni fisiche”, troviamo la formulazione delle due prime leggi di Kepler. La prima, le orbite dei pianeti sono ellittiche, e la seconda, che il raggio vettore che congiunge il Sole al pianeta descrive aree uguali in tempi uguali (l’ordine delle scoperte è però inverso: prima enunciò la legge delle aree e successivamente quella delle orbite ellittiche).

Questi enunciati, precisi e descrivibili in rigorosi termini matematici, costituiscono le prime leggi naturali; per Arthur Koestler queste due leggi separarono l’astronomia dalla teologia, per unirla alla fisica.

L’accoglienza all’Astronomia Nova, deludendo le trepidanti attese del suo autore, non fu per nulla trionfale. Le due leggi, dal contenuto così estraneo allo spirito geometrico sia dell’astronomia tolemaica sia a quello copernicano, non trovarono un pubblico pronto ad accettare la distruzione di uno dei millenari dogmi dell’astronomia classica: la circolarità delle orbite.

Ne è una chiara riprova la risposta dell’amico David Fabricius, un colto pastore luterano, ad una lettera di Kepler, nella quale il grande astronomo gli illustrava la prima legge: “con la vostra ellisse voi abolite la circolarità e l’uniformità dei movimenti [dei pianeti], cosa che più ci rifletto più mi sembra assurda”.

Nel Seicento, tra tutti i paesi europei, è in Inghilterra che le idee kepleriane trovarono terreno fertile ed un’ampia accettazione. Grandi figure di pensatori e di filosofi naturali, quali Thomas Harriot, Jeremiah Horrocks, il poeta John Donne e Isaac Newton, compresero la portata rivoluzionaria e le profonde implicazioni filosofiche e scientifiche delle scoperte dell’astronomo imperiale.

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Newton fu fortemente suggestionato da due idee fisiche formulate nell’Astronomia Nova, la prima, che i pianeti si potevano considerare alla stregua di masse materiali, e non quintessenze eteree aristoteliche dotate di una naturale tendenza al moto. Infatti, Kepler ipotizzava una sorta di inerzia planetaria che doveva essere vinta da una forza esistente nel Sole. La spiegazione che diede della natura di tale forza era chiaramente influenzata dalle idee di Gilbert sul magnetismo (De magnete, 1600): il Sole in rotazione emette una sorta di filamenti magnetici che mantenevano in moto i pianeti. La seconda, riguardava l’introduzione del concetto di gravità, inteso come mutua tendenza dei corpi ad unirsi o a congiungersi. Galileo Galilei e la genesi del Sidereus Nuncius (1610)

Corre l’anno 1592 e l’università padovana offre al giovane Galileo una cattedra, ma non di “prima” grandezza. Le autorità della Repubblica hanno semplicemente bisogno di un matematico con una forte propensione “tecnologica” che non gli costi troppo ma che sia dotato di un sicuro talento per la progettazione e la costruzione di strumenti scientifici e di macchine.

Nella sfarzosa società lagunare, ormai inesorabilmente avviata al declino (uno splendido tramonto, cinto com’è dalla magnifica aura crepuscolare che riverbera tra i suoi palazzi e le sue calli), il suo non è certamente considerato un incarico di grande prestigio. Galileo non riceve mai inviti “politici” prestigiosi, anche se ha amici influenti, tra i quali, stimatissimo, il servita Paolo Sarpi, storico e uomo politico di vastissima cultura. Queste amicizie, sia pur preziose, non lo hanno però quasi mai messo in contatto con i centri del vero potere dell’ultima potenza marinara europea rimasta nel Mediterraneo.

Galileo è consultato, sicuramente fin troppo spesso, dai “tecnici” della Repubblica per problemi di natura pratica, legati ai commerci, alla navigazione ed alle necessità militari. In una lettera si lamenta di essere sottoposto ad un continuo bombardamento di richieste da parte dell’Università, dall’Arsenale, dalle vetrerie di Murano, che lo distraggono dai suoi studi prediletti.

Ma i frutti del suo impegno nel laboratorio al piano terreno della sua abitazione sono comunque tangibili. Inventa, infatti, una speciale “bilancia” e un compasso “geometrico militare”. Quest’ultimo gli crea però non pochi grattacapi legati alla sua primogenitura, perché, con la sua solita irruenza, si fa trascinare in una acrimoniosa disputa con Baldassarre Capra.

Per arrotondare lo stipendio, che è solo una frazione di quello dei docenti più acclamati, è anche costretto ad ospitare in casa sua studenti di diverso

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lignaggio e a tenere sempre attivo il laboratorio nel quale, tra l’altro, fabbrica occhiali da vista su ordinazione. Nel 1609 è ancora talmente oppresso da problemi economici (deve finire di pagare la dote per una sorella, mantenere altri cinque fratelli, la madre, tre figli nati fuori dal matrimonio, ecc.) che, quando scopre che in Europa stanno circolando degli “occhiali” capaci di avvicinare gli oggetti e ne comprende immediatamente le potenzialità, non esita ad avventurarsi in un gioco azzardato, che sembra quasi dettato da una sorta di ansiosa disperazione.

Grazie alla sua competenza nella fabbricazione di lenti per correggere la vista, in pochi giorni realizza un esemplare di “occhiale” perfettamente funzionante e, senza por tempo, con l’aiuto di alcuni nobili amici veneziani, ottiene un’udienza davanti al Senato della Repubblica. Con una indubbia faccia tosta, annuncia al Doge, e a tutti i notabili riuniti, che il cannocchiale, frutto di sue, non meglio precisate, speculazioni “fondate sulla dottrina delle rifrazioni”, ha una grande importanza militare. Segue una magistrale dimostrazione delle potenzialità dello strumento dal campanile di S. Marco.

E’ chiaro anche ai suoi contemporanei, testimoni diretti degli avvenimenti, che il gioco di Galileo non è proprio limpidissimo perché a Venezia già si sono visti degli “occhiali” francesi, anche se di qualità assai inferiore a quelli da lui fabbricati. Il Senato, pur consapevole di non trovarsi di fronte ad una vera “invenzione”, non ha alcuna esitazione a raddoppiargli lo stipendio.

E’ da questo momento, cruciale per la sua vita non solo professionale, che Galileo rinsalda l’intenzione di tornare a Firenze. Immagina che l’infallibile veicolo che finalmente gli spalancherà le porte di palazzo Pitti, accolto da due ali di folla, sarà proprio “l’occhiale”, uno strumento che, nonostante la sua dimostrata efficacia, è ancora erroneamente considerato alla stregua di un curioso, divertente, giocattolo perché composto da due semplici “lenticchie” di vetro levigate, montate alle estremità di un volgare tubo di piombo e dal funzionamento sconosciuto.

Nella seconda metà di quell’anno memorabile, con un accanimento ed una perseveranza assolutamente sbalorditivi (in una lettera ad un suo corrispondente dichiara di aver strenuamente lavorato, in quei pochi mesi, decine e decine di lenti, conservando solamente le quattro o cinque migliori), Galileo perfeziona lo strumento e, finalmente, lo rivolge al cielo.

La fretta è giustificata dal fatto che teme di essere preceduto nella scoperta di quelle “novità celesti” che, ne è certo, sono alla portata del suo eccellente cannocchiale.

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Sarebbe poi inammissibile perdere quel vantaggio che sa di aver acquisito grazie alla sua abilità di fabbricante di lenti. E’ un timore, questo, che ben presto si rivela privo di fondamento. E’ vero che in quei mesi alcuni tra i più spregiudicati “filosofi naturali” d’Europa rivolgono il cannocchiale verso il cielo, ma è altrettanto vero che nessuno di essi accetta incondizionatamente il responso fornito dallo strumento, spesso considerato alla stregua di una semplice curiosità, come le tante che il noto “stregone” napoletano, Giovanni Battista della Porta, ha disseminato nella sua favolosa Magia Naturale.

Ma il genio si manifesta, anche e soprattutto, nella fantastica capacità di saper spiccare, in perfetta solitudine, un salto intellettuale e psicologico di una portata vertiginosa.

Nel corso di poche notti serene di un freddo e brumoso inverno padano, durante le quali Galileo, con l’occhio incollato al cannocchiale, scruta sbalordito la volta stellata, l’intero castello dell’astronomia e della cosmologia aristotelico-tolemaica, dopo un lungo dominio durato quasi 1500 anni, crolla rovinosamente.

Con il successo pressoché immediato, la grande avventura, umana e scientifica di Galileo sembra finalmente imboccare una strada che porta a mete di cui non si intravedono i confini. Non è più un ragazzino ma un battagliero (quasi) cinquantenne di inarrivabile talento. D’ora in avanti, la sua personale, straordinaria parabola conoscerà lampi di gloria e riconoscimenti senza pari, ma sarà anche tormentata da rivalità, amarezze e dolori indicibili. Indubbiamente, il momento di maggior afflizione sarà raggiunto nel corso del tristemente famoso “processo” del 1632.

Il 12 marzo 1610 esce a Venezia il “Sidereus Nuncius”, nel quale Galileo annuncia, in un latino asciutto e misurato, che la sfera celeste, vista attraverso il suo potente “cannone”, è assai diversa da quella percepita dagli occhi degli antichi e così indegnamente assecondata dai suoi sprovveduti contemporanei.

La Luna non è formata da una sostanza eterea, ma ha montagne ed enormi crateri; Giove ha quattro satelliti; la Via Lattea è tutta un pullulare di stelle. Prende inaspettatamente corpo l’immagine di un sistema del mondo eliocentrico, esattamente quello che un oscuro prete polacco, tre quarti di secolo prima, ha ripreso, riformulandole, vecchie idee di ormai dimenticati filosofi greci.

Lungi dall’essere un semplice modello matematico utile per i calcoli astronomici, la centralità di un Sole circondato da pianeti orbitanti, acquisisce, di colpo, conferma e indubbia attendibilità.

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E’ convinzione comune che il “Sidereus”, che fin dal suo apparire ebbe una risonanza vastissima, sia una delle pietre miliari della “nuova” scienza. Kepler e la nuova ottica: Dioptrice (1611)

Alla fine del 1610, Kepler così scrive a Galileo: “Ti rendo noto che nel passato mese di agosto e settembre ho scritto la Dioptrice, che consta di 149 proposizioni e assiomi promiscuamente numerati. L’ho consegnata all’Elettore di Colonia. Il lavoro per definire le cause è stato forte, ma non minore tuttavia è stato il piacere di trovarlo di quello che puoi aver provato tu nello scoprire i Pianeti medicei o la figura di Saturno”.

Da tutti i punti di vista la Dioptrice, pubblicata ad Augsburg nel marzo 1611, 12 mesi dopo il Sidereus, è la vera risposta di Kepler al libretto galileiano, ne conferma i contenuti osservativi attraverso una compiuta teoria matematica del cannocchiale. La Dioptrice trasforma i fenomeni osservati con il cannocchiale da pura e semplice “magia naturale” in dati scientifici oggettivamente verificabili.

Anche lo stile, asciutto ed essenziale, mostra quanto sia stata ampia l’influenza esercitata da Galileo su Kepler. In effetti, non solamente non vi si trovano quei tratti autobiografici, le confidenze personali e neppure le solite disquisizioni metafisiche che costellano le opere precedenti (l’Astronomia Nova ne è letteralmente piena), bensì, ogni enunciato è rigorosamente presentato e dimostrato con una concisione sorprendente.

La lunghissima prefazione è considerata uno dei più notevoli testi di storia e di filosofia della scienza mai scritti. Nella prima parte troviamo un’ampia discussione sul ruolo dell’ottica nella scienza.

Dopo aver demolito le basi del meccanismo della visione secondo gli antichi e aver confermato ciò che egli stesso avevo costruito nella sua precedente opera di ottica, i Paralipomena del 1604, nella seconda parte sono trattati i più recenti e spettacolari sviluppi dell’astronomia conseguenti alla pubblicazione del Sidereus Nuncius e dei motivi che lo hanno indotto ad elaborare una teoria del cannocchiale.

L’opera è articolata in 11 commentari e in 12 parti; nella prima parte Kepler tratta della rifrazione (la cui legge generale non era però ancora nota) e formula un assioma importante (Dioptrice, p. 3, assioma VII) che suona così: “le rifrazioni del vetro sono proporzionali sensibilmente alle inclinazioni fino a 30°”.

Nella seconda parte Kepler fornisce la definizione fondamentale di punto radiante, il punto da cui escono i raggi luminosi sotto forma di cono che ha per base la pupilla dell’occhio. Definisce poi l’ottica delle lenti concave e

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convesse e del fuoco dei raggi che arrivano parallelamente all’asse sopra una lente piano convessa. Una delle definizioni chiave della Dioptrice riguarda la spiegazione kepleriana del funzionamento del cristallino dell’occhio, della miopia e della presbiopia, nonché l’azione delle lenti correttrici usate come occhiali.

Lo studio delle lenti convesse e delle loro combinazioni gli consente di definire la struttura del cannocchiale a oculare convesso, oggi noto con i nomi di cannocchiale kepleriano o astronomico. Ne accenna però in un’unica proposizione, la 86, per poi passare subito allo studio della proiezione di figure su schermi con due lenti convesse. Nelle pagine successive fornisce la teoria ottica completa del cannocchiale galileiano, che era poi l’obiettivo primario di questo suo lavoro.

La Dioptrice è un’opera di straordinaria importanza sia perché in essa è formulata una teoria ottica molto moderna, sia per le puntuali considerazioni sui meccanismi della visione.

Nonostante i suoi aspetti autenticamente rivoluzionari ed avanzatissimi, essa non sembra però aver inciso in modo profondo sulle conoscenze ottiche dei suoi contemporanei.

Lo stesso cannocchiale kepleriano, tecnicamente molto più avanzato di quello galileiano, allora dominante, è trattato solamente di sfuggita in due pagine ed è supportato da due schemi grafici assai esplicativi, senza per altro stimolare neppure lo stesso Kepler a costruirne un esemplare funzionante. Questo cannocchiale diventerà di uso comune solamente un trentennio dopo la pubblicazione della Dioptrice. Le edizioni secentesche delle tre opere

L’Astronomia Nova non ebbe altre edizioni nel corso del Seicento, la Dioptrice invece, dopo la prima edizione del 1611, fu ristampata a Londra nel 1653 e nel 1683, insieme al Sidereus ed all’Institutio astronomica di Pierre Gassendi.

Il Sidereus Nuncius uscì il 12 marzo 1610 dalla tipografia di Tommaso Baglioni, a Venezia, in 550 esemplari (ce lo dice lo stesso Galileo) e tutta la tiratura fu esaurita in meno di due settimane. Nello stesso anno ne uscì una seconda edizione a Francoforte. Bisogna attendere poi il 1653 per quella londinese sopra citata ed il 1656, quando videro la luce le Opere di Galileo dell’edizione bolognese. Ricordiamo inoltre la traduzione francese del 1681, Le messager céleste, Paris, a cura dell’Académie des Nouvelles Decouvertes de Médecine.

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Quanti esemplari di queste tre opere sono state complessivamente stampate nel corso del Seicento? Occorre premettere che in quel secolo non era usuale che l’editore rendesse pubblico il numero delle copie stampate di un’opera. Si può dire, con una certa attendibilità, che difficilmente il numero degli esemplari di una tiratura superasse le mille unità. Una tiratura media, infatti, si aggirava tra le 400 e le 800 copie. L’Astronomia Nova, nell’unica edizione del 1609, probabilmente non superò le 500 copie; la Dioptrice, nelle sue tre edizioni, probabilmente non ha superato una tiratura complessiva di 1500-2000. Mentre il Sidereus, nelle cinque edizioni secentesche (compresa la traduzione francese), fu probabilmente stampato in circa 4000 copie.

Tutte queste edizioni saranno oggetto del nostro censimento, anche se, di ogni opera, quella di maggior interesse storico è la cosiddetta editio princeps, ovvero la prima ad essere stata pubblicata, perché è generalmente su di esse che i contemporanei, e le generazioni immediatamente successive, studiarono il pensiero dei due grandi Maestri.

Infine, quante copie di esse, presumibilmente, sono ancora esistenti nelle biblioteche pubbliche e private d’Europa?

E’ una domanda che allo stato attuale non ha una risposta certa, essa dipende dai molti fattori che incidono sulla conservazione dei volumi. Ad esempio, il Sidereus, negli ultimi cento anni, è stato oggetto di furti ripetuti in molte biblioteche pubbliche, ma anche altri grandi nemici ne hanno sicuramente decimato o disperso le copie: le guerre, il fuoco e l’acqua, che in assoluto sembra essere la peggior causa di danneggiamento e distruzione del libro antico. E’ probabile perciò che della princeps del Sidereus, se ne possano reperire un centinaio di esemplari.

Dell’Astronomia Nova forse ne esisteranno ancora, in tutto il mondo, 150-200 copie; della prima edizione della Dioptrice, invece, credo non ne siano sopravvissuti più di un centinaio di esemplari. E’ ovvio che tutti questi numeri vanno presi cum grano salis e che potranno essere eventualmente confermati solamente alla conclusione del progetto! Come procedere nella ricerca

Voglio ancora una volta ricordare a chi legge che l’obiettivo di questo progetto è di creare un censimento, esteso al continente europeo, delle tre opere sopra indicate. Tale censimento non ha affatto la pretesa di costituire, in sé, uno studio analitico; la sua funzione è, più semplicemente, quella di fornire un primo strumento di ricerca e di orientamento per gli studiosi e gli storici. Per gli appassionati, gli studenti e gli insegnanti, partecipare a

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questo progetto può essere una buona occasione per accostarsi alla storia dell’astronomia, entrare nelle biblioteche ed assaporare in senso quasi letterale, il Tempo. Ma non solo, toccare con le proprie mani pagine vecchie di secoli, nelle quali le grandi idee che stanno alla base della

Rivoluzione astronomica scorrono ancora pienamente vitali, può essere un’emozione unica ed assolutamente indescrivibile!

La necessità di recarsi personalmente nelle biblioteche, in Italia e in Europa, è dettata dal fatto che la grande maggioranza di esse non ha i propri cataloghi disponibili nel web.

Spesso tali cataloghi sono sotto forma di schedari o di volumi manoscritti e la ricerca deve essere pazientemente condotta senza dimenticare di chiedere il preziosissimo aiuto dei bibliotecari che possono dare un orientamento alla ricerca. Una volta reperito il volume (o i volumi) ed averlo richiesto per la consultazione, esso va trattato con estrema cura. Lo si sfogli delicatamente pagina per pagina, controllando che non vi siano parti mancanti e si cerchino eventuali annotazioni manoscritte, firme, date, ecc.

Quando possibile si chieda l’autorizzazione, a scopo di studio, per la riproduzione fotografica del frontespizio e delle note più estese. Foto digitale in formato JPG, leggibili, vanno benissimo! E’ importante segnalare all’autore ([email protected]) anche l’esito di una visita infruttuosa, in modo da tenere una traccia dell’insieme delle biblioteche visitate. Riassumendo, ecco le informazioni che si dovrebbero raccogliere: * Nome della biblioteca e collocazione dell’opera; * Foto del frontespizio e di eventuali annotazioni, date, ecc. * accertarsi dell’integrità fisica dell’opera; segnalare eventuali pagine mancanti (scorrendo la numerazione delle pagine) * prendere le esatte dimensioni delle pagine del libro * indicare il periodo, anche approssimato, della rilegatura. Se non si ha esperienza, chiedere la collaborazione di un bibliotecario esperto. * se è indicata la provenienza (proprietario, ecc.) specificare dove essa appare: Ad esempio, se sul frontespizio, scrivete: tp, oppure se è nell’altra facciata, usare la sigla convenzionale: c<2>. La scheda da compilare, relativa ad ogni opera rintracciata, può essere scaricata dal portale EAN: www.eanweb.net

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Fabrizio Ciabattari, Sauro Donati, Emiliano Mazzoni

MISURA DELLA PARALLASSE DI CERERE, UN’ESPERIENZA DIDATTICA

La trigonometria e le tecniche di misura di distanze basate su effetti di parallasse vengono normalmente affrontate nei corsi di Matematica e Fisica degli istituti scolastici superiori, ma quasi sempre in forma teorica, con scarse possibilità di sperimentazione per gli studenti. Ci è parsa, pertanto, interessante l’iniziativa promossa dal Planetary Research Team dedicata alla misura della parallasse di asteroidi in opposizione. I risultati descritti nel numero 109 di Coelum, a proposito della misura della distanza di Vesta nell’opposizione di giugno 2007, ci hanno indotto a tentare un’esperienza simile, per mostrare a studenti di istituti scolastici superiori un’applicazione diretta e concreta di tali metodologie.

Grazie alla cortese collaborazione di Rodolfo Calanca, è stato possibile coinvolgere Jacky Françoise, nell’isola di Reunion, per la realizzazione di riprese digitali di Cerere, la sera del 14/12/2007. Operando dall’osservatorio astronomico di Monte Agliale di Borgo a Mozzano (Lucca), sono state riprese immagini di Cerere per mezzo di una Canon 30D applicata al fuoco di una Baker-Schmidt da 25 cm di apertura f/3. Purtroppo le condizioni meteorologiche non sono state eccezionali e delle cinque foto programmate solo una, quella scattata alle ore 21.33 TU, è risultata utilizzabile per la riduzione dei dati. Jacky Françoise, che adoperava un’ottica da 600 mm di focale e una Canon 350D, ha avuto più fortuna, visto che ha potuto godere di un cielo sereno per tutta l’esperienza. Tramite internet sono pervenute le sue immagini e in particolare quella scattata alle ore 21.33 TU.

Dall’analisi delle due foto riprese in simultanea è stato ricavato un valore di parallasse di Cerere pari a 5’’ con un’incertezza di 0.8’’, in accordo con le effemeridi valide per la data del 14/12/2007. Fabrizio Ciabattari, docente di Matematica presso il Liceo Scientifico Barsanti e Matteucci di Viareggio, ha organizzato il materiale (foto, calcoli, schemi, ecc) in una presentazione Power Point che è stata illustrata e commentata, nel mese di febbraio 2008, a diverse decine di studenti, appartenenti a classi del biennio e del triennio, con interventi di circa due – tre ore. Molti di loro sono apparsi interessati, soprattutto gli studenti del biennio che, seppur non ancora provvisti di tutte le necessaire conoscenze matematiche, hanno espresso una particolare partecipazione.

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Nella prima parte dell’esposizione, sono stati richiamati i concetti fondamentali inerenti i moti dei pianeti e le configurazioni orbitali, ponendo l’accento sull’importanza del momento di opposizione di un pianeta esterno qualora si intenda misurarne la distanza dalla Terra. Sono state quindi descritte le caratteristiche orbitali di Cerere, ponendo l’accento sulle relazioni cinematiche esistenti tra periodo sinodico e periodo siderale, oltre che alle peculiarità dell’opposizione del novembre 2007.

Figura 1: le immagini di Cerere riprese simultaneamente da Monte Agliale (sinistra) e dall’isola di Reunion (destra) la notte del 14/12/2007 alle ore 21.33 TU

Per questo ultimo scopo è stato utile l’uso del software planetario

TheSky6, che ha permesso sia di mostrare l’aspetto del cielo, in quella data, sia di simulare le disposizioni dei corpi celesti all’interno del Sistema Solare. E’ stato introdotto matematicamente il metodo della parallasse, facendo i dovuti richiami di trigonometria e di geometria euclidea, sottolineando la necessità di adoperare una base quanto più lunga possibile, visto che la distanza da misurare era appunto “astronomica”.

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E’ stata sottolineata la necessità di una collaborazione fra appassionati che, da parti quasi diametralmente opposte del mondo, avrebbero dovuto accordarsi per riprendere simultaneamente l’asteroide. Importante era la simultaneità delle riprese, giacché pochi secondi di differenza tra gli scatti eseguiti nei due siti avrebbero inficiato i risultati, a causa del moto proprio dell’asteroide.

Sono state mostrate agli studenti alcune e-mail scambiate con Jacky Françoise per evidenziare l’importanza dell’aspetto organizzativo e come il semplice uso della posta elettronica e di internet permetta la realizzazione di simili collaborazioni. Sono stati quindi illustrati gli strumenti ottici utilizzati: in questo contesto molti studenti hanno potuto ritrovare, calate in situazioni concrete, le proprietà e le leggi dell’ottica geometrica che studiano nel corso di Fisica.

Sono state commentate le immagini riprese da Monte Agliale: in particolare, nello scatto delle 21.33 TU si distinguono chiaramente l’asteroide Cerere, il più luminoso, e varie stelle di campo, utili per la successiva analisi. Proiettando l’immagine di Jacky Françoise, ottenuta alle 21.33 TU, sono state spiegate le difficoltà nello scorgere una differenza prospettica nelle posizioni dell’asteroide, sulle due foto, dal momento che le immagini non sono immediatamente confrontabili, in quanto ottenute con strumenti ottici e fotografici diversi: le scale sul piano focale ed i campi inquadrati differiscono sensibilmente; non è quindi ragionevole pretendere di “accorgersi” di un fenomeno di parallasse con un semplice sguardo.

La discussione di questo aspetto ha rappresentato un esempio delle complicazioni a cui si va incontro quando si passa dalla teoria alla pratica. La prova più concreta dell’effetto di parallasse terrestre di Cerere, mostrata agli studenti, è stata ottenuta mediante il “blink” di due immagini, precedentemente rielaborate in modo da essere perfettamente sovrapponibili (figura 1). Mediante il blink, realizzato per mezzo del programma CCDSoft, è risultato evidente lo spostamento prospettico della posizione dell’asteroide rispetto alle stelle di campo.

Nella seconda parte della presentazione sono stati illustrati gli aspetti quantitativi e matematici. Gli obiettivi erano quelli di misurare l’angolo di parallasse di Cerere (a partire dalle immagini digitali riprese da Monte Agliale e da Reunion), la distanza tra i due siti di osservazione e, con i risultati precedenti, la distanza di Cerere dalla Terra.

Per la determinazione della parallasse di Cerere è stato indispensabile procedere con una digressione inerente le tecniche astrometriche e l’uso dei cataloghi stellari. Adoperando i programmi CCDSoft e TheSky6, sono stati mostrati agli studenti esempi di “image link” tra foto e cataloghi stellari

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(quali il GSC e l’UCAC2). Dalle soluzioni astrometriche delle due foto, sono state ricavate le corrispondenti coordinate celesti di Cerere (in termini di Ascensione Retta e Declinazione - figura 2): la spiegazione della differenza nei valori sta proprio nell’effetto prospettico, rispetto alle stelle di campo, conseguente l’osservazione da due punti diversi della Terra. Dalle differenze delle coordinate celesti è stato ricavato un valore di parallasse pari a circa 5 secondi di arco.

Figura 2: la “slide” illustra le soluzioni astrometriche delle due immagini da cui è stato

possibile ricavare l’angolo di parallasse di Cerere Per la determinazione della lunghezza della corda terrestre Monte

Agliale – isola di Reunion, è stato utilizzato Google Earth, che ha permesso di misurare l’arco di cerchio massimo tra le due località, con il quale, con semplici proporzioni e considerazioni trigonometriche, è stato immediato ricavare la distanza Monte Agliale – Reunion, misurata lungo la corda terrestre. Alternativamente, è stata mostrata agli studenti anche una trattazione che fa uso delle sole coordinate geografiche dei due luoghi, per la determinazione della misura della corda, mediante formule di trigonometria sferica.

Utilizzando i valori di parallasse di 5 secondi di arco e una distanza fra i due siti pari a 7895 km è stata ricavata, quale distanza di Cerere dalla Terra,

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un valore pari a 326 milioni di km, contro i 296 attesi dalle effemeridi fornite dal “Minor Planet Ephemeris Service”.

L’errore, pari a circa il 10%, è riconducibile alle incertezze nelle soluzioni astrometriche delle due immagini e alle assunzioni semplicistiche adottate nel procedimento, comunque soddisfacente per il conseguimento delle finalità didattiche stabilite inizialmente.

Thierry Payet (a sinistra) e Jacky Françoise sono due amatori della bellissima isola di La Reunion (Oceano Indiano, 700 Km ad est dalle coste del Madagascar). Jacky ha collaborato al progetto per la misura della parallasse di Cerere. Nella foto lo Sky Watcher 80ED, F/D = 7.5, F = 600mm con il quale sono state eseguite le riprese digitali dell’asteroide.

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Fabrizio Ciabattari, Sauro Donati, Emiliano Mazzoni

AUTOMAZIONE DELL’OSSERVATORIO ASTRONOMICO DI MONTE AGLIALE

L’AUTOMAZIONE

L’Osservatorio Astronomico di Monte Agliale (Borgo a Mozzano, Lucca, sito web: www.oama.it) è stato trasformato in una struttura completamente automatica, capace di eseguire intere sessioni osservative in piena autonomia, senza alcun controllo di operatori in situ né on line. Il telescopio adoperato è un Newton da 51 cm di apertura, f/4.5 (figura 1). E’ motorizzato con il sistema di puntamento elettronico FS2 ed equipaggiato con camera CCD SBIG ST6. Il telescopio è pilotato attraverso il software planetario TheSky6 mentre la camera CCD è controllata con MaxIm DL. Per l’esecuzione delle procedure astrometriche viene, infine, adoperato CCDSoft.

Figura 1 - Il telescopio da 51 cm di apertura f/4.5.

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Grazie all’integrazione delle librerie di funzioni, è possibile gestire i tre applicativi all’interno di progetti Visual Basic (VB). Ciò ha permesso la realizzazione di programmi VB personalizzati, finalizzati all’implementazione di tutte le procedure. Altri interventi fondamentali sono stati la motorizzazione del tetto scorrevole dell’osservatorio e l’acquisto della scheda IOADR810, prodotta dalla National Control Devices, fondamentale per l’utilizzo dei diversi dispositivi: sensori di presenze, di pioggia, di continuità elettrica, comandi di apertura/chiusura del tetto scorrevole, controllo dei fine corsa movimento tetto e telescopio, controllo dell’alimentatore principale.

La scheda IOADR810 (gestita mediante programmazione in VB) è un dispositivo ibrido, dotato di otto reed relays e tre porte I/O analogico-digitali (figura 2). Una ulteriore scheda d’interfaccia autocostruita, provvista di altrettanti relays e disaccoppiatori ottici, ha permesso il cablaggio di tutti gli apparati. Un cellulare installato in osservatorio consente il videocontrollo dell’edificio rispondendo ed effettuando chiamate automatiche.

Figura 2: Il dispositivo IOADR810 che ha permesso l'interfacciamento dei diversi apparati installati in osservatorio.

Il software skydaemon, sviluppato in VB, sovrintende alla gestione

dell’osservatorio. Gli eventi che si susseguono durante l’avvio di una sessione automatica sono: controllo posizione dei fine corsa movimento tetto, apertura tetto, verifica posizione fine corsa movimento tetto, accensione dell’alimentatore camera CCD + sistema puntamento elettronico FS2, raffreddamento della camera CCD, sincronizzazione iniziale del

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telescopio, verifica della posizione iniziale dai dati astrometrici relativi alla prima immagine, avvio dell’applicativo masacas (che provvede alla conduzione della sessione osservativa, come illustrato in seguito). Durante l’attività osservativa, skydaemon monitora periodicamente i diversi sensori e segnali: controlla i sensori di rilevamento presenze all’esterno dell’osservatorio, il sensore di pioggia, il limite orario imposto inizialmente, la presenza dell’energia di rete (in assenza di energia elettrica un gruppo di continuità assicura l’alimentazione per un tempo adeguato a completare lo shutdown), eventuali allarmi dovuti a cielo nuvoloso o trasmessi tramite internet.

Al termine della sessione vengono eseguite le procedure inverse: il telescopio si sposta in posizione di “parcheggio”, vengono disattivati i link con la camera CCD ed il sistema di puntamento FS2, viene spento l’alimentatore principale: il telescopio si ferma e vengono memorizzati i valori di angolo orario e di declinazione impostati, permettendo il riavvio automatico la volta successiva. Il tetto scorrevole dell’osservatorio viene infine chiuso.

Come detto sopra, skydaemon “lancia” masacas, un ulteriore applicativo, anch’esso sviluppato in VB. Masacas è il software deputato alla effettiva realizzazione del programma osservativo: itera le diverse fasi che vanno dal puntamento del telescopio (secondo un programma predefinito) fino alla realizzazione della ripresa digitale e al salvataggio del file in formato FIT, attraverso l’esecuzione dell’astrometria e la conseguente sincronizzazione del telescopio sul punto della volta celeste effettivamente inquadrato.

Sebbene non sia troppo complicato realizzare routine che automatizzino una serie di compiti piuttosto elementari, quali il puntamento di un telescopio, la ripresa dell’immagine ed il successivo salvataggio, più difficile è riuscire a movimentare uno strumento con un campo inquadrato di una decina di primi di arco in modo affidabile e per centinaia di volte in una notte, senza interventi correttivi da parte di operatori e non disponendo di montature di estrema precisione.

L'espediente che ci ha permesso di superare le difficoltà derivanti da un puntamento imperfetto è costituito dalla possibilità di effettuare automaticamente l’astrometria su ogni immagine realizzata: sfruttando la funzione di ”image link” tra l’immagine acquisita dalla camera CCD ed il database stellare gestito dal software planetario, si ottiene una soluzione astrometrica, con una precisione inferiore al secondo di arco (adoperando, ad esempio, il GSC o, ancora meglio, l’UCAC 2/USNO B, quali cataloghi di riferimento). L’informazione astrometrica acquisita viene adoperata per “risincronizzare” il telescopio sul punto della volta celeste effettivamente

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inquadrato. Il successivo puntamento sarà dunque immune da errori accumulati nei precedenti movimenti. Il software può anche apportare correzioni, nel caso che un puntamento venga effettuato con un errore superiore ad un valore prefissato. Il software è cioè in grado di autocorreggere un puntamento errato. Infine, nel caso in cui dall’astrometria non risultino presenti stelle nell’immagine ripresa, può significare una sola cosa: il cielo sta annuvolandosi. RICERCA SUPERNOVAE

Per indagare l’affidabilità del sistema abbiamo intrapreso un programma di ricerca di Supernovae (SN), mirando quindi a massimizzare il numero di campi fotografati nel periodo osservativo disponibile. Scegliendo un tempo di esposizione pari a 60 secondi (che con i nostri strumenti consente di “scendere” fino ad una magnitudine limite V ~ 20) e tenendo conto dei lunghi tempi di digitalizzazione e scaricamento del CCD SBIG ST6 (circa 40 secondi) si ottiene, in media, una immagine ogni due minuti. Opportuni file di log descrivono la successione delle procedure effettuate dai software skydaemon e masacas.

Durante ogni “run” di masacas viene anche aggiornato un file testo che riporta, per ogni immagine salvata, i diversi parametri caratterizzanti la ripresa: le coordinate del centro del campo fotografato (con precisione astrometrica), la massa d’aria (secZ) ed il tempo siderale al momento dell'esposizione, la durata della ripresa digitale, la temperatura della camera CCD, la rotazione del campo inquadrato rispetto al reticolo equatoriale, eventuali filtri adoperati e note.

Il file target.txt contiene la lista dei "bersagli" da fotografare e viene fornito come parametro di ingresso al programma masacas: ogni record consiste di alcuni campi tra cui il nome del soggetto principale (una galassia del catalogo PGC), le coordinate equatoriali del soggetto, il tempo di esposizione da adoperare nella ripresa CCD, la precisione da assicurare nel puntamento del telescopio, il numero di copie da effettuare. Il file target.txt, i cui campi sono opportunamente formattati per essere interpretati dal programma masacas, viene generato con macro VBA da un file Excel dal nome catalogo.xls. Catalog.xls (figura 3) contiene i dati identificativi, tra cui le coordinate celesti, delle principali galassie del catalogo PGC, con declinazione maggiore di –10 °. E’ stato preparato interrogando il database di TheSky6 e consiste di oltre 42000 record. Attraverso semplici query, è possibile filtrare la lista per ottenere un sottoinsieme di alcune centinaia di galassie da fotografare notte per notte (si ottiene il file target.txt).

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Figura 3: Una schermata del file catalogo.xls.

Al termine della sessione osservativa, masacas provvede ad aggiornare il file catalogo.xls aggiungendo, per ogni campo di galassie fotografato, informazioni sulla data e sulla directory contenente i file immagine, effettuate in quella sessione. In questo modo è possibile risalire velocemente a qualunque file archiviato e tenere traccia del numero di riprese effettuate per ogni galassia catalogata.

Per consentire l’analisi, finalizzata alla ricerca di Supernovae, sono state sviluppate ulteriore routine per reperire le immagini di confronto: al termine dell’aggiornamento del file catalogo.xls, una procedura automatica (ancora sviluppata in VB) si collega al sito STScI e provvede all’interrogazione del database, scaricando un’immagine di confronto per ogni immagine realizzata nella sessione osservativa appena conclusasi. Sfruttando i parametri ricavati dall’astrometria, il programma scarica un’immagine perfettamente sovrapponibile a quella realizzata dal nostro telescopio (in termini di centro del campo inquadrato, estensione del campo e rotazione del campo).

Al termine della procedura, l’intera directory, contenente le immagini realizzate nella sessione osservativa ed i confronti scaricati via internet,

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viene caricata su un opportuno server, per permetterne la condivisione in rete. Una mail automatica avvisa i membri del gruppo della presenza di nuovi dati da analizzare.

Lo scaricamento dei file per la successiva analisi viene realizzato comodamente da casa. Attualmente i “controllori” procedono attraverso semplici operazioni di “blink”: l’attività è agevole e procede abbastanza speditamente proprio per la quasi perfetta sovrapponibilità dell’immagine realizzata dal nostro telescopio con quella di confronto, scaricata dagli archivi on line (figura 4).

Figura 4: L’immagine di sinistra è quella ottenuta durante una sessione osservativa effettuata il 03/09/2008; quella di destra (relativa alla Survey POSS2 red) è stata scaricata automaticamente dal sito STScI. La perfetta sovrapponibilità delle due immagini permette la realizzazione di operazioni di “blink”, senza alcun passaggio intermedio.

Il completamento della gestione remota/robotica è reso possibile da un

ulteriore software che permette il controllo via internet di tutte le fondamentali procedure: è possibile avviare, in remoto, la sessione osservativa fornendo i parametri d’ingresso a skydaemon ed il file dei bersagli per masacas (target.txt).

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E’ possibile scaricare, in tempo reale, i file immagine, intervenire sulla lista dei bersagli, controllare l’andamento della sessione ed, eventualmente, interromperla. La sessione può, comunque, procedere anche in modalità automatica, fino all’orario impostato (in genere l’alba) o finché un eventuale segnale di allarme non la interrompa.

Se non si verificano inconvenienti sulla rete internet, al mattino si trovano disponibili sul server le immagini scattate nella notte, assieme a quelle di confronto scaricate dal sito STScI: tutto è pronto per iniziare l’analisi da parte dei “controllori”. RISULTATI

Una versione ridotta del pacchetto di routine sviluppato per l’osservatorio di Monte Agliale è stata esportata su altri sistemi privati. Il primo risultato significativo è così arrivato con la scoperta della SN 2007ru (27/11/2007) per opera di Donati e Ciabattari, effettuata con il telescopio privato di Donati, dai sobborghi di Lucca.

Successivamente sono state scoperte le Supernovae 2008ap (13/02/2008, Ciabattari e Mazzoni) e 2008ei (23/07/2008, Ciabattari e Mazzoni) da Monte Agliale, sfruttando pienamente l’automazione appena implementata. In particolare la SN 2008ei è stata scoperta e confermata, nelle notti successive, per mezzo di sessioni remote e automatiche, gestite dal Trentino, durante un periodo di vacanza. SVILUPPI

Confidando nella sostituzione dell’attuale camera CCD con una più moderna, provvista anche di ruota portafiltri, potranno essere pianificate anche sessioni fotometriche automatiche.

Nell’ambito del progetto di ricerca di Supernovae, è in fase di analisi un software che acceleri le procedure di controllo, provvedendo ad una prima “scrematura” delle immagini mediante riconoscimento automatico dei sospetti. In questo contesto si auspica il coinvolgimento di ulteriori collaboratori, sia nella fase di analisi dati, sia per la costituzione di nuovi sistemi osservativi automatici.

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Vittorio Lovato

SPETTROSCOPIO A PRISMA PER IL TELESCOPIO DA 500mm DELLA AAAV9

Generalità

Lo strumento qui descritto (fig. 1) è uno spettroscopio ad autocollimazione, a dispersione medio-bassa, che utilizza un prisma di quarzo come elemento disperdente. Il prisma ha una base equivalente di 63mm e quindi un potere risolutivo di tutto rispetto, limitato in pratica dall’apertura della fenditura e dalle dimensioni dei pixel del sensore, se si usa un sistema di rivelazione a CCD. Uno specchio sferico del diametro di 60mm e focale di 200mm funge ad un tempo da collimatore e da obiettivo del dispositivo di rivelazione.

Lo strumento è stato progettato per funzionare montato sul focheggiatore da 2" di un riflettore tipo Cassegrain da 500mm f/8. Pertanto, anche il rapporto focale effettivo dello spettroscopio risulta essere pari a f/8, (estensibile a f/6).

Per agevolare le operazioni di messa a fuoco e il riconoscimento delle righe spettrali, lo strumento è dotato di una sorgente luminosa ausiliaria, in grado di fornire uno spettro di confronto formato da righe di emissione di lunghezza d'onda nota.

Fig. 1 - Vista d'assieme

9 AAAV, Associazione Astrofili Alta Valdera.

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Lo schema ottico adottato è del tipo a "W", come si vede in fig. 2. Il peso complessivo dello strumento (escluso il sensore) è di circa 1,4 Kg.

La lunghezza dello spettro prodotto dallo strumento sul piano focale del sensore è di circa 15mm, nell'intervallo di lunghezze d'onda da 3900 a 7600 Angstrom ( Å ). La dispersione inversa associata ad una video camera o camera CCD con pixel da 10µm è di 2,5 Å/pixel nella riga Hγ dell'idrogeno (λ = 4340 Å). Data la ben nota non-linearità della risposta di un prisma, dispersione e risoluzione variano con la lunghezza d’onda della luce incidente.

L'estensione dello spettro fornito dallo strumento può eccedere l’ampiezza del sensore. In tal caso, per poterne osservare le varie parti, lo si deve far scorrere longitudinalmente variando l’angolo d’incidenza del prisma. A ciò provvede un’apposita manopola di campo a tale scopo predisposta all’esterno dello spettroscopio: lo spettro scorrerà verso il rosso o verso il blu, mostrando così la porzione di spettro che si desidera osservare e/o registrare.

Fig. 2 - Schema ottico dello spettroscopio da 200mm

Caratteristiche dello spettroscopio Le caratteristiche principali dello strumento sono le seguenti: Massa: 1,4 Kg al netto dei dispositivi di ripresa.

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Collimatore: specchio sferico da 60mm e focale di 200mm. Sorgente di confronto: lampada fluorescente , 220V, 1W. Fenditura: regolabile da 0 a 2mm Elemento disperdente: Prisma di quarzo tipo Littrow, con angolo di rifrazione di 31,6° e base di 63mm (equivalente); faccia posteriore alluminata e protetta. Per quanto riguarda dispersione cromatica, potere disperdente e indice di rifrazione del quarzo si vedano i relativi grafici. Il prisma di quarzo estende l'ampiezza dello spettro ben al di là del violetto. Potere risolutivo "PR". E’ definito come capacità dello strumento di separare tra loro due righe vicine. Poiché lo spettro è costituito dalla sequenza delle immagini della fenditura riprodotte nelle varie lunghezze d’onda, il PR dipende principalmente dalla larghezza della fenditura la quale però non può essere ridotta al di sotto di un certo limite che dipende, in gran parte, dalla luminosità dell’oggetto osservato. Tuttavia anche con

una fenditura infinitamente sottile il PR, che è definito dal rapporto d

assume un valore finito perché interviene il fenomeno della diffrazione a dare spessore alla riga. Per un prisma di base b, il PR è dato dall’espressione

PR = d

dnb , dove il rapporto d

dn dipende a sua volta dalla lunghezza

d’onda ; una faccenda un po’ complicata, come si vede. Tuttavia, nel caso specifico, essendo b = 63mm, il PR dello spettroscopio vale circa 1500 nel rosso; 2400 nel giallo/verde e 6400 nel blu/violetto. La risoluzione, vale a dire la discriminazione d che lo strumento è capace di operare tra due

righe adiacenti, è data dall’espressione PR

d . Nel rosso, d vale

dunque circa 4,3 Å; nel giallo/verde 2,2 Å e nel blu/violetto 0,6 Å . Occorre tener presente che si tratta pur sempre di valori puramente teorici, che tengono conto solamente dell’influenza della diffrazione, nell’ipotesi che la fenditura sia infinitamente sottile. In pratica, la risoluzione effettiva è decisamente determinata dalle dimensioni lineari dei pixel del sensore e, più ancora, dalla fenditura quando la sua apertura supera quelle dimensioni.

Per quanto riguarda la dispersione operata dallo strumento, sappiamo che essa varia con la lunghezza d'onda della luce, ma dipende anche dal tipo di sensore utilizzato. Tanto per fissare le idee, con pixel da 10 micron e λ=5000Å la dispersione vale teoricamente circa 3 Å/pixel. Ciò assumendo

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che l’apertura della fenditura sia uguale o minore di 10µm (la dimensione dei pixel).

Il più delle volte la fenditura è più aperta di 10µm ed in tal caso è essa a determinare la risoluzione dello spettroscopio. Vi è poi un altro aspetto da considerare e cioè la relazione tra apertura della fenditura e dischetto di diffrazione o centrica , dell’immagine stellare (disco di Airy ). Per un telescopio aperto a f/8, il diametro della centrica si aggira sui 7µm. Si potrebbe quindi fare a meno della fenditura. La realtà è che a causa dell’agitazione atmosferica, sempre presente, la centrica è in continuo caotico movimento attorno ad una posizione centrale per cui, alla fine, l’area interessata può diventare fino a 10 volte più ampia, con notevole riduzione della risoluzione spettrale teorica. L'impiego della fenditura trova in tal caso una sua precisa indicazione.

Fig. 3 - Spettro (parziale) della sorgente di confronto (parte superiore)

Fig. 4 - Indice di rifrazione del quarzo

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Fig. 5 - Specchio sferico collimatore D=60mm ; f = 200mm

Fig. 6 - Assemblaggio del prisma

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Fig. 7 - Attacco da 2" lato telescopio, completo di fenditura regolabile (a sinistra) e raccordo da 1,25" (a destra) per la camera CCD.

Fig. 8 - Assemblaggio specchi piani di rinvio.

Fig. 9 - Relazione Ingresso/Uscita dello spettroscopio. La lunghezza dello spettro è dato In unita arbitrarie (lo 0 corrisponde alla riga A di Fraunhofer e il 10 alla riga H del CaII°)

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Angelo Piemontese

PERCHE’ “CASO” RIFERITO ALL’EVENTO TUNGUSKA?

Martedì 30 giugno 1908. Ore 7:14 locali. Sull’Altopiano della Tunguska, una remota regione della Siberia centrale, Podkamennaja Tunguska, la Tunguska Pietrosa, fiume di quasi duemila chilometri a sud dell’Altopiano che poi si getta nello Enisej. Una palla di fuoco attraversa il cielo da sudest a nordovest, una scia infuocata di gas e polveri «un cielo che si divide in due». Oltre duemila chilometri quadrati di foresta siberiana vengono investiti da una micidiale ondata di calore, seguita da una terribile onda d’urto e da una nube di polveri che si alza in quota per decine di chilometri, Sessanta milioni di alberi vengono abbattuti al suolo come birilli altri, completamente privati di rami e foglie, restano in piedi come spettrali pali del telegrafo Gli effetti della deflagrazione si avvertono fino a diverse centinaia di chilometri di distanza. A 200 Km dall’epicentro, un fattore sta arando il suo terreno, quando sente improvvisamente dei colpi simili a quelli di cannone. Pochi istanti dopo è investito da un vento così forte da costringerlo ad abbassarsi sulle ginocchia e a cercare appiglio con le mani al terreno per non essere scaraventato via. Sulla scia di un sensazionalismo mediatico, anche i giornali locali danno ampio spazio ai racconti dei testimoni oculari: La “cosa” ha la forma di un cilindro. Il cielo è privo di nubi.

COINCIDENZE NOTTI BIANCHE NEI CIELI D’EUROPA

La notte tra il 30 giugno e il 1° luglio 1908 verrà ricordata, in diverse regioni della Siberia, della Russia e dell’Europa del Nord per la sua eccezionale luminosità Dalla Siberia al Caucaso i giornali parlano di «grandi nubi argentee e scintillanti, visibili nel cielo notturno».

In Europa viene osservato in tutti gli stati del Nord. A Glasgow, in Scozia, i giornali locali scrivono Dello strano fenomeno si parla anche all’altro capo del mondo, dove il «New York Times» del 3 luglio riporta “Inghilterra, Belgio e Germania”. Gli eccezionali chiarori notturni dureranno diverse notti, scemando lentamente e scomparendo soltanto verso la fine di luglio. In alcune regioni del Caucaso, come racconta Apostov, direttore dell’Ufficio Meteorologico dell’Istituto Caucasico di Tiflis, si

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ritornerà alla normalità soltanto alla fine di agosto. Causa del fenomeno: è forse legato all’evento di Tunguska e se sì come? Nel caso fosse legato alla caduta di un asteroide perché questa luminosità del cielo? Le risposte più avanti.

EFFETTI EFFETTI BAROMETRICI, MAGNETICI E TELLURICI

Un’onda sismica di media intensità viene registrata dalla Gran Bretagna alle regioni settentrionali del Caucaso. L’onda d’urto generata dà origine, a livello planetario, a variazioni della pressione atmosferica tanto più durature quanto più distante dall’epicentro è il punto di misurazione. Ovunque si torna ai valori normali nel giro di un’ora. Le anomalie magnetiche vengono registrate in tutto il mondo a 1.000 Km di distanza dall’epicentro le bussole restano inutilizzabili per diverso tempo. La tempesta dura quattro ore: comincia all’incirca 7 minuti dopo l’esplosione, raggiunge il picco nelle due ore successive e poi va scemando lentamente. Successivamente si scoprirà che il sisma aveva magnitudine 5 (misurato in Siberia, GB, Germania) Sebbene registrati in diverse parti del mondo, questi effetti – ottici, barometrici, magnetici e tellurici – saranno collegati all’esplosione della Tunguska solo molti anni dopo, quando gli scienziati cominceranno a indagare sull’evento.

ALLA RICERCA DI UNA SPIEGAZIONE DELL’ENIGMA

KULIK E LE PRIME SPEDIZIONI SCIENTIFICHE

Il minerologo Leonid Alekseevič Kulik è il primo scienziato che organizza la prima spedizione. Febbraio 1927. È il 13 aprile quando il gruppo giunge sul luogo. Eppure non si riesce a trovare alcun frammento di meteorite.

La seconda spedizione. Aprile 1928. A effettuare scavi su un’area di 100 Km2. Si tratta di un’impresa mastodontica. Tornato a Leningrado, Kulik spiega agli scienziati riuniti presso il Museo Mineralogico la sua teoria su come devono essersi svolti i fatti la mattina del 30 giugno 1908, giustificando come segue l’apparente insuccesso della sua spedizione: «[…] Il masso cosmico comincia a disintegrarsi nel momento in cui penetra nell’atmosfera terrestre. Viaggiando ad alta velocità, si dissolve in molecole di materia, convertendosi allo stato gassoso, dissolvendosi e

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proiettando frammenti, oppure si frantuma a bassa quota formando molti piccoli crateri nella palude. Il meteorite non ha dato origine ad alcun cratere di notevoli dimensioni perché è esploso sopra il terreno […]».

Il filmato di Strukov sulla spedizione suscita grande eco a livello internazionale e, in un certo senso, “costringe” l’Accademia a sponsorizzare, di lì a poco, una nuova spedizione.

La terza spedizione. Febbraio del 1929. Intanto gli scienziati occidentali vengono a conoscenza dell’evento di Tunguska e collegano ad esso alcuni dati registrati il 30 giugno 1908. Scavano: Ancora una volta non si ottiene alcuna traccia di materiale extraterrestre. Lo scavo prosegue fino a 34 m di profondità, poi la resa. È il 1° marzo 1930.

La quarta e ultima spedizione. Nel 1937 un “rinnovato” Kulik tenta una ripresa aerea della Palude Meridionale, un’area a pochi chilometri dal cratere Suslov, l’aereo cade ma Kulik si salva. Nel 1938 una nuova esplorazione aerea della Palude Meridionale: si realizzano le prime riprese fotografiche aeree su un’area di circa 300 Km2.

Estate del 1939: ha inizio la quarta spedizione. Perforazioni; la ricerca di frammenti di origine meteoritica risulta vana. Guerra: Kulik infermiere nell’ospedale di un campo di prigionia tedesco, dove contrae il tifo e muore nel 42. Arriva Stalin, e nel 1951, l’accademico V.A. Obruchev pubblicherà un articolo sostenendo il carattere naturale della palude e nessuna altra ricerca di frammenti a grande profondità verrà mai effettuata. LE SPEDIZIONI DOPO KULIK La prima spedizione guidata da un accademico

Su invito dell’Accademia delle Scienze, il geochimico russo K.P. Florenskij, organizza nel 1954 una ricognizione aerea della regione della Tunguska interessata dall’esplosione. Nel 1958 è lo stesso Florenskij a guidare la prima spedizione scientifica del dopoguerra: viene accertato che tutte le cavità studiate da Kulik non hanno una natura da impatto, ma molto più semplicemente sono state generate dal ciclico scioglimento dei ghiacci, fenomeno tipico della zona. Tutto ciò porta Florenskij ad escludere, in via definitiva, l’ipotesi dell’impatto meteoritico.

Verso l’ipotesi cometaria

La mancanza di un cratere da impatto visibile, simile al Meteor Crater in Arizona, sin dagli anni Trenta suggerisce una ipotesi alternativa per il caso Tunguska: quella dell’impatto cometario. Tra i primi ad avanzarla vi è l’astronomo inglese Francis J.W. Whipple Secondo lo scienziato, lo sbalzo

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termico generato nell’impatto della cometa con l’atmosfera terrestre avrebbe determinato la completa disintegrazione in quota del nucleo, mentre la coda di polveri e gas intrappolati negli alti strati atmosferici avrebbe provocato gli eccezionali fenomeni luminosi riportati dalle cronache di mezzo mondo. Nel dopoguerra, gli studiosi si divideranno sostanzialmente in due gruppi: quelli a favore dell’ipotesi meteoritica e quelli a favore dell’ipotesi cometaria.

Nello stesso periodo, l’astronomo e accademico V.G. Fesenkov presenta ai colleghi dell’Accademia delle Scienze un dettagliato modello in cui una cometa raggiunge la Terra frontalmente e, attraversando l’atmosfera in una manciata di secondi, perde massa fino a frantumarsi in più pezzi; di questi, il principale si surriscalda al punto tale da disintegrarsi, provocando una violenta esplosione in quota. La teoria di Fesenkov è accreditata dalla velocità dell’onda di pressione registrata presso l’Osservatorio Geodetico di Potsdam il 30 giugno 1908 e dalla rapida diffusione di particelle cosmiche nell’atmosfera: sarebbe stato quest’ultimo fenomeno a generare, in diverse regioni dell’Europa, la spettacolare luminosità delle notti successive all’esplosione nella Tunguska.

L’ipotesi cometaria prende sempre più corpo, fino ai primi anni Novanta. Nel 1975, lo scienziato israeliano Ari Ben-Menahem confronta i dati registrati il 30 giugno 1908 da quattro stazioni sismiche con quelli di alcuni test nucleari sovietici e cinesi effettuati in quota. Il tutto lo porta alla conclusione che «[…] l’esplosione è avvenuta alle 7:14 (ora locale) a causa di una cometa disintegratasi a una quota di 8,5 Km e ha liberato un’energia pari a 12,5 Megaton10.»

Nel 1976, a chi obietta che a nessun osservatorio astronomico sarebbe potuta passare inosservata una cometa in rotta di collisione con la Terra, l’astronomo britannico D. Hughens risponde con un lavoro in cui calcola le dimensioni del nucleo della cometa: appena 40 m di diametro, troppo pochi per rendere l’oggetto visibile se non pochi secondi prima dell’impatto. (Effettivamente, ancora oggi, a distanza di un secolo e con il notevole sviluppo della tecnologia avutosi nel frattempo, i telescopi addetti alla sorveglianza dei nostri cieli non sono in grado di identificare oggetti con diametro inferiore ai 110 m – oggetti, cioè, di magnitudine media 22, la cui luminosità è insufficiente a renderli “visibili” dai telescopi - ). Pochi anni

10 Il Megaton è una unità di misura dell’energia liberata dall’esplosione di un ordigno, generalmente nucleare. Equivale all’energia sprigionata nell'esplosione di un milione di tonnellate di tritolo.

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dopo, lo scienziato slovacco L. Krésak arriva a ipotizzare che il nucleo cometario esploso nei cieli siberiani sia stato un frammento della cometa periodica Encke.

ALTRE TUNGUSKA

Foresta amazzonica – Confine nordoccidentale tra Brasile e Perù 13 agosto 1930, 8:00 ora locale Guyana britannica – Regione di Rapunumi 11 dicembre 1935

1921

Il minerologo Leonid Alekseevič Kulik è incaricato dal Museo Mineralogico e Geologico dell’Accademia delle Scienze di Pietrogrado di raccogliere e studiare i meteoriti caduti sul territorio russo. Nel corso di una delle sue indagini, viene a conoscenza di un corpo cosmico caduto nella Tunguska nel 1908.

1925

A.V. Voznesenskij (già direttore dell’Osservatorio Geomagnetico e Meteorologico di Irkutsk) collega l’evento della Tunguska con le onde sismiche registrate dal suo osservatorio il 30 giugno 1908.

1927

A capo della prima spedizione scientifica, Kulik raggiunge l’epicentro dell’esplosione. In una regione ancora visibilmente devastata dopo diciannove anni dall’evento, Kulik trova quelli che crede essere crateri da impatto di un meteorite. Cerca i possibili frammenti del corpo impattato al suolo, ma inutilmente.

1928

A poco più di un anno dalla prima spedizione, Kulik raggiunge per la seconda volta la Tunguska. La missione è seguita dalla stampa americana e britannica. Ancora una volta non si trovano i frammenti del meteorite.

1929

Terza spedizione di Kulik. Nessuna traccia dei frammenti del meteorite. 1930

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Scienziati britannici collegano l’evento della Tunguska con le onde aeree registrate in Inghilterra il 30 giugno 1908 e i bagliori notturni osservati in gran parte dell’Europa nelle notti successive. 1934

Viene avanzata l’ipotesi dell’impatto di una cometa. I sostenitori sono gli scienziati russi I.S. Astapovič e V. Vernadskij e lo scienziato britannico F.J.W. Whipple.

1938

Kulik effettua la prima ricognizione fotografica aerea sulla regione interessata dall’evento.

1939

Quarta e ultima spedizione di Kulik. Ancora una volta non si trovano i frammenti del meteorite.

1942

14 aprile: Kulik muore, prigioniero in un campo di lavoro tedesco. Ha 58 anni.

1958

K.P. Florenskij guida la prima spedizione del dopoguerra, condotta ufficialmente dall’Accademia delle Scienze di Leningrado. L’obiettivo è la ricerca dei resti del meteorite, ma l’esito è ancora una volta negativo. Dal 1958, e quasi ogni anno successivo, vengono organizzate spedizioni di entusiasti delle università di Tomsk e di Krasnoyarsk.

1960

Florenskij sostiene la teoria dell’impatto cometario.

1961 Florenskij torna nella Tunguska con una nuova spedizione scientifica.

1975

Lo scienziato israeliano Ari Ben-Menahem conclude che il disastro della Tunguska è dovuto a una cometa e che l’esplosione, a circa 8 Km di quota, ha liberato energia pari a 12 Megaton. 1978

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Lo scienziato slovacco Lubar Krésak suggerisce che il corpo caduto sulla Tunguska è un pezzo della cometa Encke.

1989

Prima spedizione aperta a gruppi di ricerca internazionali. Si valuta che l’atmosfera sia in grado di impedire l’impatto al suolo di corpi fino a 40 m di diametro se sono di natura metallica, fino a 200 m se sono rocciosi o ad alta porosità.

Ma andando indietro negli anni si trovano diversi altri casi di pericolosi

avvicinamenti, il 22 marzo 1989 l’asteroide 4581 Asclepius (340 m di diametro) di tipo Apollo transitò infatti nell’esatto punto dove era la Terra solo sei ore prima. Se ci fosse stato l’impatto, la conseguente esplosione sarebbe stata ben peggiore di quella della Tunguska. Anche oggetti più piccoli si sono avvicinati al nostro pianeta, come l’asteroide 2008 T3 Catalina in Sudan il 7 ottobre 2008 di soli tre metri.

LA SONDA GALILEO

La prima sonda ad avvicinarsi a un asteroide è stata la Galileo della NASA, durante il suo viaggio verso Giove, obiettivo primario della missione. Il 29 ottobre 1991 la sonda è passata a soli 1.600 Km da Gaspra, un asteroide asimmetrico di 12x16 Km. Le osservazioni della sonda hanno permesso di stabilire la sua veloce rotazione – meno di sette ore per compiere un intero giro su se stesso – e hanno rivelato la presenza di molti crateri da impatto sulla sua superficie. Inoltre è stato misurato un fortissimo campo magnetico, fenomeno che gli scienziati attribuiscono a una massiccia presenza di ferro e nichel nel nucleo dell’asteroide.

Il 28 agosto 1993 è stata la volta di 243 Ida, un asteroide di 52 Km di diametro. La sonda Galileo lo ha avvicinato fino a una distanza di 2.400 Km. Analizzando i dati inviati dalla sonda, gli astrofisici hanno scoperto che a circa 70 Km da Ida gravita un piccolo asteroide di soli 1,5 Km di diametro. Battezzato Dactilo, è il primo satellite scoperto intorno a un corpo asteroidale.

LA SONDA NEAR

Scoperto nel 1898, Eros è situato nella Fascia Principale e appartiene alla famiglia Amor – quindi la sua orbita non incrocia quella terrestre – ha un perielio di 1,1 UA e si avvicina periodicamente alla Terra. NEAR ha

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impiegato circa tre anni per giungere in prossimità dell’asteroide, dove era previsto il rendez-vous. Durante il suo viaggio, nel giugno del 1997, NEAR è passata a meno di 1.200 Km dall’asteroide della Fascia Principale 253 Mathilde, ne ha misurato massa e volume e ha trasmesso immagini ad alta risoluzione riprese durante il sorvolo.

Il primo tentativo di avvicinamento a Eros, però, nel dicembre del 1998, è fallito a causa della mancata accensione del motore che doveva rallentare la sonda. L’operazione è stata ripetuta, questa volta con successo, il 14 febbraio 2000. La superficie di Eros è stata così analizzata da appena 35 Km di distanza e si è scoperto che è ricoperta di crateri e da uno strato di detriti.

Dopo un anno passato a orbitare attorno a Eros, il 12 febbraio 2001 la sonda NEAR è stata fatta atterrare sul fianco dell’asteroide. Oltre a ottenere immagini ad altissima risoluzione della superficie, l’obiettivo era quello di scoprire se Eros è composto da un unico blocco di roccia solida o da una massa di piccoli frammenti tenuti insieme dalla gravità. I dati raccolti dalla sonda suggeriscono che si tratta di un grosso pezzo di roccia, risultato di un impatto tra due corpi maggiori.

MISSIONE HAYABUSA

La missione più interessante è senza dubbio quella della sonda Hayabusa, che porta la firma congiunta dell’ente spaziale nipponico JAXA e della NASA. Il nome dato alla missione è significativo e scelto non a caso: “Hayabusa” in giapponese significa “falco”, e proprio come un rapace la sonda avrebbe dovuto planare sull’asteroide Itokawa, “carpire” dei campioni di rocce e riportarli sulla Terra per un’analisi diretta.

Lanciato nel 2003, il falco spaziale ha raggiunto l’asteroide Itokawa nel novembre 2005, dopo un viaggio di quasi 300 milioni di chilometri. Tra peripezie ed imprevisti, la sonda è atterrata sulla superficie rocciosa e forse è riuscita a prelevare alcuni campioni significativi. Il forse è d’obbligo, poiché a tutt’oggi non è ben chiaro se l’operazione di raccolta sia andata a buon fine: malconcia per i vari tentativi di abbordaggio all’asteroide, con le batterie scariche e il carburante quasi esaurito, la sonda rientrerà sulla Terra nel 2010 anziché, come previsto dal piano di volo, nel 2007.

Nell’attesa, gli scienziati possono ritenersi comunque soddisfatti: lo spettrometro a infrarossi a bordo di Hayabusa ha identificato la composizione mineralogica di Itokawa e la sua struttura superficiale. Oltre a olivina e pirosseni, lo strato esterno dell’asteroide sembra essere in parte costituito anche da ferro metallico e plagioclasio, una roccia di silicati e alluminio mescolati a sodio e calcio. Per fugare ogni dubbio, gli scienziati si

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sono rivolti a Takahiro Hiroi, ricercatore al Dipartimento di Scienze Geologiche della Brown University, uno dei massimi esperti mondiali di asteroidi e meteoriti impattati sul suolo terrestre. Comparando i dati spettrali forniti da Hayabusa con quelli di alcuni campioni di meteoriti conservati in vari musei, Hiroi è riuscito a determinare la composizione mineralogica della superficie di Itokawa, che si è rivelata essere molto simile a quella delle condriti LL, un tipo di meteorite molto comune sulla Terra e caratterizzato appunto dall’abbondante presenza di minerali come olivina e plagioclasio e dalla scarsa presenza di ferro. LL significa infatti Low (total) iron, Low metal: indica cioè che la percentuale totale di ferro è intorno al 20% e quella di ferro metallico non supera il 3%. Questo risultato ha consentito di stabilire il probabile luogo di origine di Itokawa, cioè la fascia più interna della cintura di asteroidi tra Giove e Marte.

I dati spettrali forniti da Hayabusa hanno inoltre permesso agli scienziati di analizzare meglio la superficie del piccolo asteroide, lungo un po’ meno di 500 m. Ne risulta un suolo per la maggior parte ricoperto da sassi e pietre, ma esiste anche una vasta area relativamente piatta, battezzata Mare delle Muse. Questa struttura così diversificata sarebbe il risultato di più concause: tempeste meteoritiche, precedenti scontri con altri asteroidi più piccoli, azione erosiva di vento solare e particelle di polvere interplanetaria. C’è di più. I grandi asteroidi, come il già citato 433 Eros, sono completamente coperti da regolite, uno strato di sassi e rocce generato dall’aggregazione gravitazionale dei residui degli impatti con altri corpi rocciosi. «Nel caso di Itokawa – spiega Hiroi – la regolite è ancora in uno stato intermedio di formazione e i massi sulla sua superficie sono davvero simili a molti meteoriti terrestri.» Quindi, secondo lo scienziato, in questo caso «stiamo osservando una delle prime fasi evolutive di un asteroide dello stesso genere di quelli che hanno colpito la Terra in passato.»

SENTINELLE

Come cautelarsi dunque? La cosa migliore, come accade spesso per la

maggior parte degli eventi naturali, è la prevenzione. Infatti, se un corpo potenzialmente pericoloso fosse scoperto con un certo margine di anticipo, si avrebbe sicuramente il tempo di mettere in atto delle difese e delle azioni tali da evitare possibili catastrofi. Pensate di guidare la vostra auto lungo una strada rettilinea e di stare per incrociare un’altra vettura che procede con la stessa velocità sulla corsia opposta. Se negli ultimi dieci metri prima di incrociarvi vi accorgete che l’altra auto ha invaso la vostra corsia, purtroppo, non resta nulla da fare per evitare lo schianto. Ma se ve ne

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accorgete cento, duecento o cinquecento metri prima, è possibile evitare lo schianto, ad esempio spostandosi. Ecco, nel caso di un impatto tra il nostro pianeta e un asteroide le cose funzionerebbero grossolanamente allo stesso modo. Ovviamente non è possibile mutare la traiettoria della Terra, ma quella degli asteroidi sì: l’importante è avvistarli in un tempo sufficiente ad approntare gli adeguati sistemi difensivi. A questo scopo sono state create delle vere e proprie “sentinelle spaziali”, delle stazioni di monitoraggio con il preciso compito di tenere sotto controllo il maggior numero possibile di NEO e di seguirne la rotta per determinare al meglio la loro orbita. In questo modo si possono studiare gli oggetti davvero pericolosi, distinguerli da quelli innocui e accorgersi repentinamente di ogni nuovo NEO che potrebbe diventate un PHA.

PROGETTO LINEAR

Torniamo ai principali programmi di osservazione. Si cominciò a parlare

di un sito per le osservazioni preventive di asteroidi già nel 1972, ma fu solo a partire dal 1980 che il primo prototipo di “telescopio-sentinella” venne messo in cantiere.

Così, dal 1996 è diventato operativo LINEAR, un progetto nato dalla cooperazione tra l’Aviazione Statunitense, la NASA e il Lincoln Laboratory del MIT (Massachussets Institute of Technology). Situato nel New Messico, in principio LINEAR era dotato di un solo telescopio completamente robotizzato da 1 m di apertura, il GEODSS (Ground-based Electro-Optical Deep Space Surveillance); in seguito, le camere CCD11 sono state potenziate e nel 1999 è stato dotato di un secondo telescopio, sempre da 1 m di diametro. Nel 2002 è stato aggiunto un terzo telescopio da 0,5 m, in aggiunta a un CCD da 2.560x1.960 pixel.

LINEAR è in grado di sorvegliare una data porzione di cielo ben cinque volte in una stessa notte e la rapida elaborazione dei dati consente di tracciare repentinamente le traiettorie dei nuovi NEO, principalmente quelli che giacciono sul piano dell’eclittica. Attualmente, con 1.622 NEO e 142 comete scoperte a partire dal 1998, è il principale strumento usato per la caccia agli asteroidi. 11 Il CCD è un sensore che trasforma un segnale luminoso in un segnale elettrico, che a sua volta viene elaborato per poter essere registrato e/o rielaborato.

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PROGETTO NEAT

Anche il progetto NEAT è nato da una collaborazione tra la NASA e l’Aviazione Statunitense. È dotato anch’esso di un telescopio GEODSS, situato nella base di Haleakala Maui nelle Hawaii, a cui è applicato un sensore CCD da 4096x4096 pixel, in grado di visualizzare una porzione di cielo di 1,2x1,6 gradi.

NEAT ha iniziato a sorvegliare il cielo nel 1995, con una frequenza di dodici notti al mese (sei prima e sei dopo la Luna nuova, quando il cielo è più buio). Nel 2000 il telescopio GEODSS originario è stato sostituito con un nuovo telescopio da 1,2 m di apertura, che può essere operativo per un numero maggiore di notti al mese. Infine, nel 2001 il progetto è stato ulteriormente rafforzato, grazie al supporto del telescopio dell’Osservatorio di Monte Palomar, in California, uno Schmidt da 1,2 m con una matrice di tre camere CCD da 4.096x4.096 pixel.

Un sistema computerizzato, chiamato SkyMorph, analizza le oltre 40.000 immagini finora immagazzinate nell’archivio di NEAT, come metodo di pre-avvistamento; in questo modo, si verifica la presenza di eventuali oggetti anomali e, se necessario, si allertano i sistemi di puntamento per seguirne la traccia e non perderli di vista.

PROGETTO LONEOS

Il LONEOS, situato a Flagstaff in Arizona, utilizza un telescopio

Schmidt da 0,6 m e un CCD da 4.000x4.000 pixel. Realizzato nel 1993, oggi è in grado di effettuare ogni mese quattro scansioni complete dell’intera volta celeste e di individuare oggetti fino alla magnitudine 19.

PROGETTO CATALINA SKY SURVEYS

I sistemi telescopici per l’individuazione dei NEO non sono presenti solo

negli Stati Uniti. Il Catalina Sky Surveys, per esempio, è una rete osservativa costituita da tre strumenti che lavorano insieme, ma situati agli antipodi: lo Schmidt da 0,7 m dello Steward Observatory Catalina Station (2.510 m di altitudine) e quello da 1,5 m (3.000 m di altitudine), entrambi a Tucson in Arizona, e lo Schmidt da 0,5 m del Siding Spring Survey (1.150 m di altitudine), nei pressi della città di Coonabarabran in Australia.

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I PROGETTI GIAPPONESI

Anche nel Paese del sol levante non sono rimasti con le mani in mano. La Japan’s National Space Development Agency (NASDA), il National Aeronautic Laboratory e la Space and Technology Agency nipponica hanno creato un progetto per l’individuazione e lo studio dei NEO.

Il sito osservativo, vicino alla cittadina di Bisei, in Giappone appunto, si avvale di un telescopio Cassegrain da 1 m con un campo visivo di tre gradi, connesso a un insieme di dieci CCD da quasi 4.000x4.000 pixel ciascuno. Nel 2000 è stato aggiunto un secondo telescopio, più piccolo, per facilitare le misure astronomiche.

LE DUE SENTINELLE ITALIANE: ADAS E CINEOS

E in Italia? Dal 2001, all’INAF-Osservatorio Astronomico di Asiago è attivo ADAS (Asiago DLR Asteroid Survey), nato da una collaborazione tra il Dipartimento di Astronomia di Asiago, l’INAF-Osservatorio Astronomico di Padova e lo Space Sensor Technology and Planetary Exploration di Berlino. ADAS utilizza un telescopio Schmidt da 0,6 m di apertura abbinato a un CCD da 2.000x2.000 pixel e il suo compito principale è quello di cercare e monitorare oggetti di tipo Aten nel Sistema solare interno, vale a dire asteroidi con orbite completamente interne a quella terrestre.

Inoltre, in Italia è stato sviluppato NEODyS (Near Earth Objects Dynamic Site), un sistema informatico per l’analisi delle traiettorie e dei potenziali impatti dei NEO, attualmente in uso all’Università di Pisa e a quella di Valladolid, in Spagna.

Il secondo centro di controllo italiano sorge a Campo Imperatore, a una quota di oltre 2.100 m sul Gran Sasso. Il CINEOS (Campo Imperatore Near Earth Object Survey) è nato da una collaborazione tra l’INAF-Osservatorio Astronomico di Roma e l’Istituto di Fisica Spaziale del CNR, e a partire dal 1996 coinvolge anche l’INAF-Osservatorio Astronomico di Torino. Anch’esso operativo dal 2001, utilizza un telescopio Schmidt da 90 cm con CCD da 2.000x2.000 pixel, situato nell’INAF-Osservatorio di Campo Imperatore. Come il connazionale di Asiago, si occupa principalmente dello studio degli Aten e degli asteroidi che orbitano nel Sistema solare interno.

LA RETE DI CONTROLLO GLOBALE SPACEGUARD SURVEY

I centri di osservazione visti finora, sparsi praticamente in tutto il mondo,

vanno a costituire un network globale che opera nell’ambito dello

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Spaceguard Survey. Questo progetto, lanciato nel 1998 dalla NASA con i fondi del Congresso degli Stati Uniti, si pone l’obiettivo di individuare asteroidi di diametro superiore al chilometro. Ogni nuovo oggetto scoperto da questa rete globale è subito seguito e analizzato, in modo da poter determinare la sua orbita. Grazie a questa azione di osservazione preventiva coordinata, gli scienziati ritengono di poter individuare un corpo di dimensioni chilometriche in rotta di collisione con il nostro pianeta con un anticipo di decenni o addirittura secoli. Infatti, tutti gli oggetti di queste dimensioni sinora scoperti dal sistema Spaceguard non sembrano rappresentare una minaccia per la Terra, almeno nei prossimi cento anni.

Dunque, grazie a Spaceguard Survey l’umanità intera può dormire sonni tranquilli? Non è proprio così. Per quanto accurato, anche questo sistema di controllo – come tutti i sistemi di misura – non è infallibile, a causa di un sia pur piccolo margine di imprecisione nel calcolo e nella determinazione delle orbite. Non è quindi escluso che qualche NEO possa in realtà passare molto più vicino al pianeta di quanto stimato. Questo problema di indeterminazione si pone soprattutto per i corpi di “piccola” taglia, cioè di dimensioni dell’ordine del centinaio di metri (un oggetto di questo tipo, se impattasse, potrebbe provocare un’esplosione al suolo tra 100 e 600 Megaton, tale cioè da distruggere un’area metropolitana come New York o Tokyo). Per questo motivo, è in programma un aggiornamento del progetto Spaceguard, che nei prossimi decenni verrà potenziato con telescopi in grado di monitorare esattamente anche l’orbita dei circa centomila NEO di piccola taglia che si stima attraversino l’orbita del nostro pianeta.

SCALE

Si può determinare il grado di pericolosità di questi oggetti? La risposta

è affermativa. Gli astrofisici hanno elaborato a questo scopo delle scale di valutazione, molto simili a quelle Richter e Mercalli utilizzate per misurare l’intensità dei terremoti.

La Scala Palermo è tecnicamente un po’ complicata, poiché definisce in una scala logaritmica un fattore di rischio ottenuto dalla combinazione di più variabili, come la probabilità di impatto, l’energia che verrebbe sprigionata da quest’ultimo e la gravità dei danni causati. Omettendo per semplicità formule ed equazioni, si evince che ponendo come zero della scala il rischio medio di impatto, un valore 2 rappresenta un oggetto con rischio di impatto cento volte maggiore, La scala Torino è invece di maggior comprensione anche per un pubblico meno esperto. In questo caso il fattore di rischio viene espresso su una scala lineare, che va da 0 (pericolo

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nullo) a 10 (impatto certo); a questi valori viene associato anche un codice di colori

99942 APOPHIS: UNO SCENARIO APOCALITTICO FUTURIBILE?

“99942 Apophis, l’asteroide-killer della Pasqua 2036”. Così titolava un

noto quotidiano nazionale in un articolo del dicembre 2005. Il titolo, reso ancor più incisivo – semmai ce ne fosse stato bisogno – dai caratteri cubitali, faceva da cappello a un lungo pezzo dai toni alquanto allarmistici sulla possibilità che l’asteroide 99942 Apophis impatti sulla Terra nell’anno 2036. E non è tutto. Ligio al dovere, e quanto mai rispettoso della consueta e dannosa regola che “bisogna dare più risalto ai catastrofismi anziché alle verità scientifiche fondate”, l’autore del pezzo proseguiva impietoso sottolineando come al danno si aggiungesse la beffa. Sì, perché la predetta apocalisse, prevista per il 13 aprile 2036, avrebbe una particolarità: quella di verificarsi proprio la domenica di Pasqua!

Si sa, molto spesso – non sempre, per fortuna – i media si lasciano trasportare da facili sensazionalismi; con categorica superficialità, respingono il pensiero di quelle che potrebbero essere le reazioni del pubblico di fronte ad affermazioni di un certo peso. Il “bravo” giornalista succitato concludeva il suo pezzo con sibillina maestria: «[…] solo venerdì 13 aprile 2029, quando Apophis […] passerà a soli 36.350 Km dal nostro pianeta, si avrà la sicurezza se la Pasqua del 2036 sarà il giorno dell’Apocalisse oppure se il Giorno del Giudizio sarà rimandato a data da destinarsi.» Tentativo finale di smorzare i facili allarmismi? O desiderio di creare una suspence a lungo termine?

Di 99942 Apophis e del suo possibile impatto nel 2036 si parla ormai da tempo. Dal 24 dicembre 2004, data in cui gli scienziati hanno lanciato per la prima volta l’allarme, si è detto di tutto e di più. Calcoli si sono succeduti ad altri calcoli, nuove dichiarazioni si sono succedute a vecchie smentite e, in tutto questo, l’immaginario collettivo ha cominciato a partorire fantasmi di apocalittici “impatti pasquali”. Ma cosa c’è di vero e, soprattutto, di realmente rischioso nella vicenda Apophis? Vediamo di fare un po’ di chiarezza, partendo da una breve cronaca della scoperta.

L’allarme scatta la vigilia di Natale del 2004. Secondo i calcoli elaborati dal “Near Earth Object Search Program” della NASA, l’asteroide 2004 MN4 potrebbe colpire la Terra il giorno venerdì 13 aprile 2029. Le stime reali parlano di una probabilità di impatto di 1 su 233; l’asteroide ottiene quindi una valutazione di pericolosità pari al livello 2 della Scala Torino, primo in assoluto a raggiungere un livello superiore a 1. Sempre secondo le stime

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degli esperti, l’impatto sprigionerebbe un’energia di 870 Megaton: 66.000 volte quella emessa dalla bomba atomica sganciata su Hiroshima il 6 agosto 1945, 60 volte quella sprigionata nel già disastroso evento della Tunguska.

La notizia finisce subito in pasto ai media, che la divulgano al mondo intero. Intanto, gli scienziati continuano freneticamente i loro calcoli sulla traiettoria dell’asteroide. Lo stesso 24 dicembre, sulla base di 64 osservazioni successive, si riesce a valutarne grossolanamente le dimensioni, circa 400 m, e ad aggiornare le valutazioni sulla probabilità di impatto: 1 su 67, cioè l’1,5%. Il livello di rischio sulla Scala Torino salta così al valore record di 4: mai nessun asteroide o cometa ha raggiunto un grado di pericolosità così elevato.

Ma facciamo un passo indietro di pochi mesi, fino al 19 giugno 2004. Roy Tucker e David Tholen, del Kitt Peak National Observatory, in Arizona, scoprono un nuovo asteroide e lo battezzano temporaneamente 2004 MN4 (in seguito verrà chiamato con il nome definitivo 99942 Apophis). I due astronomi riescono a seguire l’asteroide per due notti, poi ne perdono le tracce prima di riuscire a determinarne i parametri orbitali. L’oggetto viene rintracciato nuovamente solo qualche mese più tardi, precisamente in data 18 dicembre, da Gordon Garradd dal Siding Spring Observatory, in Australia: le osservazioni rivelano che si tratta proprio dello stesso NEO sfuggito all’inseguimento dei telescopi del Kitt Peak. Da questo momento iniziano i calcoli per determinarne i parametri orbitali, fino a che si giunse al fatidico 24 dicembre, quando tutte le indicazioni raccolte sembrano confermare una elevata probabilità di collisione per il 13 aprile 2029.

Nei giorni seguenti si scatena una vera e propria caccia all’asteroide. Oltre 100 osservazioni condotte la notte di Natale portano la probabilità di collisione a 1 su 45 (2,2%); il giorno seguente, altre 160 osservazioni consentono anche di effettuare una prima stima della massa, calcolata intorno ai 100 milioni di tonnellate. E la probabilità di impatto è in continuo crescendo: il 27 dicembre è già salita al 2,7%, cioè 1 su 37. A questo punto si ritiene necessario disporre di più dati per poter tracciare un percorso orbitale preciso, ma le osservazioni di soli dieci giorni non consentono di determinare con esattezza la rotta dell’asteroide. Ci vuole una copertura temporale più ampia. Così Jeff Larsen e Anne Descour cominciano a spulciare l’archivio di immagini dello Spacewatch Observatory (in Tucson, Arizona), ritrovando 2004 MN4 in un’immagine ripresa il 15 marzo 2004. L’arco temporale di osservazione aumenta così a 288 giorni e, grazie alla definizione più precisa dell’orbita, l’oggetto crolla al livello zero della Scala Torino, con una probabilità di impatto dello 0,004%. Il pericolo di scontro

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con la Terra per venerdì 13 aprile 2029 viene definitivamente scongiurato. Successive osservazioni, condotte fino alla fine di gennaio 2005 e nell’agosto dello stesso anno con i radar dell’Osservatorio di Arecibo, in Cile, confermano l’inconsistenza del pericolo.

Nel giugno 2005, essendo stata determinata con maggior precisione la sua orbita, l’asteroide viene catalogato come 99942 e, un mese dopo, viene battezzato Apophis, dal nome greco del dio dell’Antico Egitto Apòfi, detto “il Distruttore”. Una scelta azzeccata, considerando che per gli antichi egizi Apòfi era il nemico del dio Sole, che tentava ripetutamente di distruggere ogni notte. In contrasto con questa versione ufficiale sulla scelta del nome, un curioso aneddoto attribuirebbe invece la scelta ai due scopritori dell’asteroide, Tholen e Tucker: fan accaniti di “Stargate SG-1”, fortunata serie televisiva fantascientifica degli anni Novanta, i due avrebbero dato all’asteroide il nome dell’alieno che, nel telefilm, sbarca sulla Terra con l’intento di distruggerla.

Qualunque sia la vera origine del suo nome, oggi sappiamo che 99942 Apophis effettuerà un passaggio ravvicinato al nostro pianeta il 13 aprile 2029, a circa 37.000 Km dalla sua superficie, un’altitudine pari a quella dei satelliti per le telecomunicazioni. Di conseguenza, sarà visibile a occhio nudo come un puntino luminoso di magnitudine 3,3 (con telescopi molto potenti sarà anche possibile risolverne l’immagine), che attraverserà il cielo a una velocità angolare di 42 gradi all’ora.

Dunque, il pericolo di impatto è stato sventato una volta per tutte? Non è proprio così. Nel 2005 sono state eseguite nuove osservazioni, che se da un lato hanno permesso agli astronomi una valutazione più accurata delle caratteristiche di Apophis – un diametro di 320 m, una massa di 45 milioni di tonnellate, un periodo orbitale di 322 giorni che lo porta a incrociare l’orbita terrestre due volte l’anno – dall’altro hanno innalzato il livello di guardia relativamente al passaggio che si avrà nel 2036. Secondo i calcoli, l’interazione gravitazionale di Luna e Terra durante il passaggio ravvicinato del 2029 dovrebbe avere come effetto un’alterazione dell’orbita dell’asteroide e il passaggio dalla classe Aten, in cui è collocato attualmente, a quella Apollo; di conseguenza, la probabilità di impatto con la Terra nell’anno 2036 dovrebbe essere non trascurabile. Tutto questo ha riportato Apophis al livello 1 della Scala Torino, appunto per il passaggio del 13 aprile 2036. Il problema è che, al momento, gli astronomi non hanno sufficienti informazioni per determinare quali saranno le variazioni orbitali causate dal passaggio del 2029. Secondo l’ex astronauta Rusty Schweickart, c’è la possibilità che Apophis entri in un corridoio orbitale che, benché stretto solo 600 m, lo potrebbe esporre a un fenomeno di risonanza

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gravitazionale, che a sua volta gli farebbe aumentare la probabilità di impatto con il nostro pianeta nel passaggio del 2036. Questa ipotesi, avanzata per la prima volta nel 2005, è stata rilanciata dallo stesso ex astronauta con rinnovato vigore nel febbraio 2007, portandolo ad annunciare che «la minaccia che Apophis colpisca la Terra il 13 aprile 2036, sta diventando così concreta che le Nazioni Unite saranno invitate ad assumere il coordinamento di una missione spaziale internazionale per deviare la rotta dell’asteroide.» Un’affermazione abbastanza inquietante; tanto da indurre addirittura, nello stesso anno, la Planetary Society of Pasadina, un’associazione fondata dallo scomparso astronomo Carl Sagan, a indire un concorso che assegnava un premio di 50.000 dollari a chi fosse stato in grado di presentare un concreto progetto per monitorare la rotta di Apophis con una precisione dell’ordine di pochi metri. E non è tutto. Schweickart, guarda caso, è anche il presidente della fondazione B612, che, come vedremo tra breve, è finanziata per un obiettivo specifico: allestire una missione sperimentale per testare la possibilità di rimorchiare asteroidi utilizzando navicelle spaziali.

Qual è la verità dunque? L’asteroide rischia seriamente di schiantarsi sulla Terra nel 2036? La risposta, purtroppo, non può essere immediata. Jon Giorgini, del Jet Propulsion Laboratory della NASA, ritiene che «solo alla prossima occasione favorevole a osservazioni radar, nel passaggio del 2013, dovremmo poter predire la posizione di Apophis almeno fino al 2070.» Per il momento, Apophis continua a rimanere al livello 1 della Scala Torino.

CONTROMISURE

E per gli asteroidi più grandi? Le soluzioni prese al vaglio si basano

sostanzialmente su due alternative: applicare al corpo in rotta di collisione una forza di breve durata ma intensa, oppure esercitare una forza debole ma costante e duratura nel tempo.

I progetti basati sulla prima alternativa prevedono la detonazione di ordigni nucleari direttamente contro l’asteroide o in prossimità di esso. Le esplosioni dirette sulla superficie, però, potrebbero avere degli effetti collaterali imprevedibili: ad esempio, la frantumazione dell’oggetto in altri piccoli corpi, che potrebbero comunque impattare sulla Terra e creare un effetto simile a un bombardamento termonucleare su scala globale. Molto più sicure delle precedenti, le esplosioni in prossimità dell’asteroide avrebbero l’effetto di produrre un riscaldamento su un lato dell’oggetto, così intenso da vaporizzarne parte della superficie. Il getto emesso di particelle

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sublimate dall’esplosione funzionerebbe alla stregua di un motore di un aereo: per il principio di azione e reazione, produrrebbe una spinta contraria al getto stesso, con il risultato di spostare l’asteroide dalla rotta di collisione. Il metodo del bombardamento nucleare, diretto o indiretto, sarebbe l’unico attualmente utilizzabile, dato che esiste già la tecnologia – purtroppo o per fortuna – per effettuare lanci missilistici con testate termonucleari. In più, sarebbe anche il più rapido da attuare: basterebbero pochi mesi per approntare e realizzare il progetto. Richiederebbe, però, la cooperazione di tutte le nazioni attualmente in possesso della tecnologia nucleare e missilistica, impresa non così semplicemente scontata quanto possa sembrare.

Inoltre, come detto, si tratta di un metodo rozzo e mai sperimentato, che potrebbe risolversi in un fallimento: cosa succederebbe, infatti, se l’esplosione frantumasse l’asteroide in più pezzi senza deviarlo o se la spinta prodotta non fosse sufficiente a modificarne la traiettoria? Non ci sarebbe materialmente il tempo per approntare una nuova missione di correzione. Allora, un altro metodo di difesa potrebbe consistere nello scagliare contro l’oggetto in collisione una o più navicelle spaziali, come gli Shuttle, alla massima velocità possibile. L’impatto ad alta velocità potrebbe deviare un asteroide di medie dimensioni, ma anche in questo caso alcune incognite rendono questa via rischiosa e poco praticabile: oltre al già citato pericolo della frammentazione multipla, se lo scontro non avvenisse nel modo e nel punto corretto, potrebbe avere come unica conseguenza quella di far ruotare l’asteroide su se stesso senza modificarne la rotta.

La seconda alternativa sarebbe quella di far atterrare sull’asteroide un veicolo robotizzato in grado di prelevare materiale roccioso dalla superficie e scagliarlo nello spazio. Sempre in accordo col principio di azione e reazione, una simile azione, ripetuta continuamente e per un certo periodo, potrebbe far muovere l’asteroide nella direzione opposta a quella in cui il materiale viene scagliato. Questa tecnica, sicuramente più ingegnosa della precedente, lascia però un po’ dubbiosi gli stessi addetti ai lavori: visti i risultati incerti della missione Hayabusa, questa soluzione non si ritiene al momento attuabile.

Parallelamente alle due possibilità di intervento fin qui analizzate, sono state prese in esame altre missioni che utilizzano navicelle spaziali, però senza farle schiantare o far lanciare testate esplosive. Una possibilità sarebbe far procedere parallelamente all’asteroide un veicolo spaziale, dotato di un laser o di uno specchio solare per deflettere la luce e concentrarla su un lato dell’oggetto. In questo modo si creerebbe un surriscaldamento localizzato, con conseguente vaporizzazione ed emissione

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di particelle che, come già descritto, potrebbe modificare la traiettoria del corpo. Oppure, la navicella spaziale potrebbe spruzzare una vernice altamente riflettente su un lato dell’asteroide: in questo caso sarebbe la pressione di radiazione, dovuta al riscaldamento solare, a spostare l’asteroide. Come si può facilmente intuire, anche queste metodologie, teoricamente molto promettenti, sono difficilmente realizzabili nella pratica.

In definitiva, tutte le soluzioni fin qui esaminate si rivelano inefficaci a impedire impatti di grossi NEO

L’ESA ha sviluppato il progetto Don Quijote per cercare di valutare concretamente la fattibilità e soprattutto i risultati di una missione che faccia uso di sonde spaziali interagenti con asteroidi NEO, di dimensioni medio piccole come Apophis. Vediamolo.

MISSIONE DON QUIJOTE

Sebbene sia ancora in fase di progettazione – i lavori sono iniziati ufficialmente nel 2005 – la missione Don Quijote si presenta ambiziosa: prevede l’utilizzo di due navicelle spaziali, lanciate separatamente e con traiettorie interplanetarie diverse, allo scopo di testare la possibilità di deviare la traiettoria di un NEO “bersaglio” di taglia medio-piccola, cioè intorno ai 500 m di diametro.

Le due sonde avranno compiti completamente diversi. La prima, Sancho, sarà messa in orbita con lo scopo di avvicinarsi al NEO e inserirsi nella sua orbita. A quel punto comincerà a misurare con strumenti accuratissimi le principali caratteristiche dell’asteroide: massa, forma, forza gravitazionale, in modo da poterne prevedere la posizione molti mesi prima dell’arrivo della seconda sonda. Quest’ultima, Hidalgo, riceverà dalla compagna i dati sulla traiettoria e, una volta giunta in prossimità dell’asteroide, riceverà anche le informazioni su un punto ben preciso su cui schiantarsi. La sonda “kamikaze” cercherà di colpire il NEO in modo del tutto autonomo, guidata da una telecamera ad alta definizione che la piloterà verso il luogo stabilito per lo schianto, con un margine di errore non superiore a 50 m, secondo i dati forniti dalla prima sonda. A distanza, Sancho misurerà con estrema accuratezza la deviazione dell’asteroide risultante dall’impatto.

È previsto che Hidalgo colpisca l’asteroide alla velocità di 10 Km/sec. Per questo motivo, dovrà essere equipaggiata con i più sofisticati sistemi automatizzati di navigazione ed essere progettata per funzionare senza ingombranti antenne e pannelli solari, che potrebbero influire sulla manovrabilità durante la fase dello schianto. Hidalgo inoltre dovrebbe rimanere per quasi tutto il suo viaggio in uno stato “dormiente”, cioè con

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tutti gli strumenti impostati alle minime funzionalità, e “risvegliarsi” pochi giorni prima dell’approccio all’asteroide: solo allora, in vista dell’obiettivo, il computer di bordo riavvierà in automatico tutti i sistemi. La sonda dovrà quindi essere progettata con un altissimo livello di affidabilità: il mancato riavvio della strumentazione di bordo equivarrebbe al fallimento dell’intera missione.

Dunque, se la futura missione Don Quijote dovesse avere successo, avremmo a disposizione un valido sistema di difesa, usato complementarmente alla rete Spaceguard Survey, contro il rischio di impatto di oggetti di grandezza medio-piccola. Il sistema potrebbe essere usato, all’occorrenza, nel caso di Apophis.

TRATTORE

In definitiva, tutte le soluzioni fin qui esaminate si rivelano inefficaci a impedire impatti di grossi NEO. Nell’ottobre del 2001, il ricercatore Piet Hut e il già citato Rusty Schweickart si sono incontrati al NASA Johnson Space Center di Houston per discutere, assieme al ricercatore ed ex astronauta Edward Lu, un metodo alternativo alla deflessione tramite esplosione o impatti. L’idea che ne è nata è quella di costruire un “trattore spaziale”, in grado di agganciare e rimorchiare asteroidi. Un anno dopo, alla stregua di questo progetto, è nata la fondazione B612, capitanata dallo stesso Lu e composta da una ventina di ricercatori di vari istituti e università americane. L’obiettivo della fondazione è la realizzazione, entro il 2015, di una missione dimostrativa in grado di trainare e modificare la rotta di un piccolo asteroide di prova, di circa 200 m di diametro, tramite una sonda spaziale. Se la missione sarà realizzata e avrà successo, aprirà la strada allo sviluppo di un sistema di difesa basato su rimorchiatori spaziali sempre più potenti, che potrebbero difenderci anche da corpi con dimensioni superiori al chilometro.

Ma come funzionerebbe questo sistema? La strategia elaborata da Lu e soci consiste nello spingere l’asteroide o nella direzione del suo moto orbitale (accelerandolo) o in quella opposta (decelerandolo), alterando così la sua orbita. Gli asteroidi hanno un moto di rivoluzione intorno al Sole che può incrociare quello della Terra: se entrambi i corpi celesti si trovano nello stesso momento nel punto di incrocio, allora l’impatto è ovviamente inevitabile. La velocità di rivoluzione del nostro pianeta è circa 30 Km/sec, il che significa che impiega 3 minuti e 35 secondi per muoversi di una lunghezza pari al suo raggio (6.400 Km). Poiché non è possibile spostare il pianeta, se un NEO fosse in rotta di collisione con il centro della Terra

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basterebbe spostarlo lungo la sua traiettoria, ritardandolo o anticipandolo di quei fatidici tre minuti e mezzo che eviterebbero lo scontro: in questo modo, l’asteroide passerebbe proprio a pelo del nostro pianeta, ma l’impatto verrebbe scongiurato.

Secondo i ricercatori, la spinta da applicare all’asteroide tramite il rimorchiatore dovrebbe essere di bassa intensità ma costante nel tempo, piuttosto che breve e potente: questo per evitare la frantumazione del corpo in altri piccoli minacciosi oggetti. Una volta agganciato l’asteroide, al rimorchiatore sarebbe quindi sufficiente applicare una forza, ad esempio deceleratrice, in grado di ridurre la velocità del NEO di un solo centimetro al secondo: stando ai calcoli – per non tediare il lettore li omettiamo – questa sarebbe sufficiente, per un corpo con un periodo di rivoluzione di due anni, a farne aumentare il periodo orbitale di 45 secondi.

Se applicata dieci anni prima dell’impatto previsto con la Terra, basterebbe per far accumulare all’asteroide un ritardo pari a 3 minuti e 45 secondi, facendolo passare a 6.700 Km dal centro del pianeta. Analogamente, applicando al NEO una forza acceleratrice tale da aumentarne la velocità di rivoluzione di un centimetro al secondo, dopo dieci anni il corpo si troverebbe nel punto di incontro con 3 minuti e 45 secondi in anticipo rispetto alla Terra: un battito di ciglia se paragonato ai tempi cosmologici, ma un tempo che vale un’eternità per il genere umano.

Come spesso accade, il passaggio dalla visione teorica di un progetto alla sua applicazione pratica comporta qualche difficoltà. La difficoltà principale che la missione B612 (omonima della fondazione che la sta programmando) dovrà affrontare, sulla quale i ricercatori hanno lavorato – e continuano a farlo – per fornire appropriate soluzioni, è la questione del carburante. La navicella spaziale che fungerebbe da trattore dovrebbe disporre, infatti, di ingenti quantità di combustibile: prima di tutto per poter raggiungere l’asteroide ed agganciarlo, poi per applicarvi la forza necessaria a trainarlo per il tempo programmato. Il carburante per tutte queste operazioni non può essere imbarcato su una navicella lanciata da un solo razzo vettore, incapace di mettere in orbita un simile peso. Il rimorchiatore dovrebbe quindi essere montato nello spazio, assemblando vari componenti messi in orbita da altrettanti vettori. Ma ci sarebbe una soluzione più semplice: anziché utilizzare il consueto propellente chimico delle sonde tradizionali, la nave della missione B612 potrebbe essere equipaggiata con motori a ioni, allora potrebbe essere lanciata anche da un normale vettore come il razzo europeo Ariane. Qual è la differenza tra motori convenzionali e motori a ioni? I primi miscelano un combustibile e un comburente chimico in una camera di combustione, dalla quale scaturisce il getto di gas incandescenti che dà la

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spinta alla sonda; da qui deriva la notevole quantità di carburante da portare in orbita. Invece i motori a ioni, come quelli utilizzati per la prima volta nel 1998 sulla sonda Deep Space 1, necessitano di molto meno combustibile, in quanto il getto propellente è ottenuto mediante motori elettrici che ionizzano il gas che viene poi espulso ad altissime velocità. Utilizzando questo tipo di motori, il peso totale della navicella spaziale per la missione B612 sarebbe inferiore alle venti tonnellate, una massa che può essere facilmente lanciata da un razzo convenzionale.

L’utilizzo dei motori a ioni da un lato elimina il problema del peso eccessivo, ma dall’altro apre la via a un’altra difficoltà: la potenza di spinta inferiore rispetto a quella fornita dai motori convenzionali. Sarebbe dunque necessario montare sulla navicella molti motori, che avrebbero bisogno di una potenza totale superiore a qualche centinaio di chilowatt: ma l’elettricità per produrre tale potenza richiederebbe a sua volta pannelli solari di dimensioni enormi, facendo di nuovo aumentare il peso del rimorchiatore oltre la soglia critica delle venti tonnellate.

La soluzione proposta dai ricercatori della fondazione B612 è quindi quella di equipaggiare la navicella con un piccolo reattore nucleare, dal peso contenuto, in grado di fornire la potenza necessaria ad alimentare i motori a ioni durante tutte le fasi della missione. Un’obiezione sorge spontanea: non è rischioso lanciare da terra un veicolo con combustibile nucleare? Gli esperti ci rassicurano: il reattore nucleare sarebbe lanciato spento e, quindi, le pericolose scorie derivanti dalla fissione atomica dell’uranio sarebbero rilasciate nello spazio, una volta attivata a distanza l’accensione del reattore; inoltre, un ipotetico danno ambientale causato da un incidente sarebbe minimo: anche se tutto l’uranio imbarcato si disperdesse nell’atmosfera a causa di un’improbabile esplosione in fase di lancio, la radioattività rilasciata «sarebbe inferiore al totale contenuto nelle mura della Stazione Centrale di New York». Un dato che farebbe zittire anche gli ambientalisti più radicali.

Infine, uno dei problemi più critici: la modifica della rotazione dell’asteroide. Come abbiamo visto, gli asteroidi compiono veloci rotazioni attorno a un loro asse che non è necessariamente, anzi non lo è quasi mai, parallelo alla direzione del moto del corpo. Per poter trainare l’oggetto, quindi, il rimorchiatore spaziale dovrebbe prima modificarne l’angolo dell’asse di rotazione, allo scopo di mantenere la direzione della spinta parallela al moto orbitale. Un’impresa tutt’altro che semplice. Infatti, se la navicella spaziale agganciasse l’asteroide all’equatore e spingesse fino ad arrestarne la rotazione - la soluzione più facile - si correrebbe il rischio di sgretolare l’oggetto. Anche una forza minima, applicata però in quel punto,

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potrebbe causare un’alterazione degli equilibri delle forze gravitazionali che tengono uniti gli ammassi rocciosi di cui sono composti gli asteroidi.

Nel migliore dei casi, quindi, potrebbe verificarsi un piccolo sisma nella struttura del corpo asteroidale, che sbalzerebbe lontano la navicella-rimorchiatore. Nel caso peggiore, come detto, l’asteroide potrebbe frantumarsi e l’esperimento risulterebbe vano. La soluzione migliore risulta essere l’aggancio dell’asteroide a uno dei sui poli, parallelamente all’asse di rotazione, e l’applicazione di una forza costante sufficiente a modificare gradualmente l’inclinazione dell’asse fino a renderlo parallelo alla direzione del moto.

Per la messa in pratica di questa soluzione nella missione B612, gli scienziati vorrebbero scegliere un asteroide di “prova” che compie quattro rotazioni al giorno sul suo asse e dimostrare che è possibile modificarne gradualmente l’inclinazione dai cinque ai dieci gradi applicando una piccola forza costante (2,5 Newton) per un paio di mesi. È ovvio che, per manipolare completamente la rotazione e la direzione di un asteroide, occorrono ben più di pochi mesi, decine di anni forse. Comunque, lo scopo dichiarato della fondazione B612 è appunto riuscire ad allestire, entro il 2015, una missione dimostrativa che confermi la validità e la fattibilità del progetto, in modo da poterlo poi applicare in caso di future concrete minacce. I ricercatori sostengono che, a tal fine, basterebbe investire nei prossimi anni una cifra dell’ordine di alcuni miliardi di dollari.

Certo, la somma è considerevole per quella che potrebbe rivelarsi soltanto una missione destinata al fallimento. Ma a ben rifletterci: in quanti modi e per quante cause di minore importanza vengono scialacquati i fondi pubblici? Ci sono molte cose su cui si potrebbe, si dovrebbe “serrare il portafogli”, ma altre, come la salvezza del genere umano, indubbiamente non hanno prezzo.

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Chiara Riedo

PROGETTO “RA”: LA SPETTROSCOPIA ASTRONOMICA AMATORIALE CON STRUMENTI REALIZZATI IN PROPRIO

Nel campo dell’astronomia amatoriale la spettroscopia è ancora un campo poco indagato, probabilmente perché i pochi strumenti alla portata dell’astrofilo hanno ancora prezzi paragonabili a quelli di telescopi di buona qualità.

E’ possibile però realizzare in proprio ed in economia uno spettroscopio e questo è lo scopo del Progetto Ra (da Ra, divinità del sole dell’antico Egitto). Prerogativa irrinunciabile del progetto è l’utilizzo di materiale per lo più di recupero e quindi di contenimento delle spese. INTRODUZIONE

La spettroscopia è un metodo di indagine della materia basato sulla scomposizione della radiazione elettromagnetica, più nota nella sua parte visibile all’occhio umano come luce. Attraverso la spettroscopia è possibile indagare la composizione chimica e le condizioni fisiche di sorgenti poste anche a grandi distanze ed è per questo che la spettroscopia riveste un ruolo fondamentale nello studio dei corpi celesti.

La spettroscopia fonda la sua teoria sulla duplice natura ondulatoria e corpuscolare della luce. Molte proprietà della luce possono essere descritte per mezzo del modello classico ondulatorio attraverso i parametri quali la lunghezza d’onda, la frequenza, la velocità e l’ampiezza.

Il modello ondulatorio non è però in grado di spiegare fenomeni connessi all’assorbimento e all’emissione ed in questi casi è necessario invocare un modello corpuscolare in cui la luce viene rappresentata come un flusso di particelle discrete detti fotoni, la cui energia risulta proporzionale alla frequenza della radiazione (E= h). Questa visione duale della luce non è mutuamente esclusiva, ma risulta essere piuttosto spesso complementare.

Per capire la struttura degli spettri sono rilevanti sia l’aspetto corpuscolare (emissione e assorbimento) che quello ondulatorio (propagazione). Per capire come funziona la strumentazione e come si origina lo spettro l’aspetto rilevante è quello ondulatorio (ottica classica).

Senza entrare nei dettagli della fisica è sufficiente sapere che gli atomi di cui si compone la materia sono costituiti da livelli elettronici discreti con

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energie ben determinate. Quando l’energia della radiazione elettromagnetica è esattamente la stessa che separa due livelli essa viene assorbita e l’elettrone del livello più basso viene promosso al livello superiore : l’atomo passa dallo stato fondamentale a quello eccitato e lo spettro presenta una riga di assorbimento.

Fig. 1

Quando l’elettrone decade dallo stato eccitato viene emessa una radiazione elettromagnetica di energia esattamente identica a quella che era stata necessaria per la promozione e lo spettro presenta una riga di emissione. Poiché ogni atomo è caratterizzato da un numero di elettroni disposti in livelli dalle energie ben definite ogni atomo avrà uno spettro di emissione/assorbimento caratteristico che permette di identificarlo in modo univoco.

Il tipo di spettro che si può ottenere non dipende solo dalla natura chimica del corpo, ma anche dallo stato fisico in cui si trova, come si può osservare nello schema riportato in figura 1.

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In campo astronomico è molto frequente imbattersi in spettri di assorbimento: lo spettro sarà composto da un continuo di fondo, dovuto all’emissione della parte della fotosfera (comparabile all’emissione del corpo nero di temperatura prossima a quella della stella), mentre le righe di assorbimento derivano dai gas rarefatti e relativamente più freddi presenti nella cromosfera. Alcuni tipi di stelle, particolarmente giovani e massicce, hanno temperature sufficientemente alte da poter eccitare gli atomi dei gas rarefatti più esterni e quindi i loro spettri mostrano delle righe di emissione.

Fig. 2 Fig. 3

Gli strumenti per la spettroscopia, dai più semplici ai più sofisticati, hanno il compito di raccogliere e scomporre la luce delle fonti da studiare in uno spettro. Il più semplice, ma non meno spettacolare esempio di spettro che la natura ci offre è costituito dall’arcobaleno, che altro non è che lo spettro del Sole ottenuto grazie alla diffrazione provocata dalle molecole d’acqua.

Un passo avanti verso la scomposizione della luce si ottiene attraverso l’ausilio di un prisma di vetro, come per primo fece Newton. Attualmente la maggior parte degli spettroscopi utilizza come mezzo disperdente un reticolo di diffrazione, che può essere di tipo a trasmissione o riflessione. Il tipo di reticolo più utilizzato grazie alle sue maggiori prestazioni è il reticolo in riflessione, fondamentalmente costituito da una superficie su cui vengono incise a distanza regolare migliaia di righe. L’immagine in figura 2 mostra il funzionamento del reticolo in riflessione, basato sull’equazione fondamentale

n = d (sen i + sen i’)

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dove n è l’ordine dello spettro, d la distanza tra i singoli gradini (o linee), i l’angolo di incidenza e i’ l’angolo di diffrazione. La figura 3 mostra come da un singolo raggio incidente abbiano origine più spettri di ordine diverso, compreso lo spettro di ordine zero che altro non è che l’immagine della sorgente di radiazione.

Solitamente un reticolo in riflessione è ottimizzato per concentrare la maggior parte della luce nello spettro di ordine 1 ad una determinata lunghezza e questo è un parametro di cui occorrerà tener conto nella progettazione di uno spettroscopio. Come si vedrà in seguito occorrerà anche tener conto che ad un maggior numero di linee/millimetro corrisponde una maggior dispersione e una distanza maggiore tra i vari ordini spettrali.

Gli strumenti realizzati in questo lavoro sono di due tipi e utilizzano rispettivamente un reticolo in trasmissione e un reticolo in riflessione. A prescindere dal tipo di reticolo e dalla focale delle ottiche le parti fondamentali dei due strumenti sono analoghe, mentre è differente la geometria ottica, come si può vedere in figura 4 e figura 5.

Figura 4 - schema di spettrografo con reticolo in riflessione

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Figura 5 - schema di spettrografo con reticolo in trasmissione

1° fase : spettrografo con reticolo in trasmissione

Il primo strumento realizzato è uno spettroscopio in trasmissione, dalle prestazioni modeste, ma molto valido specialmente dal punto di vista didattico. Lo strumento è stato costruito utilizzando materiale esclusivamente di recupero a parte i reticoli. I reticoli in trasmissione sono del tipo a film olografico e sono stati acquistati presso Edmund Optics scegliendo due differenti rapporti linee/millimetro (500 e 1000 l/mm). I reticoli non sono ottimizzati per una particolare lunghezza.

Le ottiche sono costituite da una lente recuperata da un proiettore per diapositive, la cui focale si aggira intorno ai 100 mm e da un vecchio obiettivo fotografico da 45 mm. L’obiettivo fotografico funge da collimatore, mentre la lente del proiettore è stata utilizzata come ottica dell’obiettivo. Il collimatore è montato su un supporto unito al corpo dello spettroscopio con una vite che ne permette la messa a fuoco tramite scorrimento.

La fenditura non è regolabile ed è stata realizzata accostando due lame smontate da una lametta da barba usa e getta. Il barilotto di un oculare montato a valle della fenditura serve per l’accoppiamento al telescopio, mentre davanti all’obiettivo è stato montato un porta oculari che può ospitare un oculare per l’osservazione diretta dello spettro o una webcam per la ripresa e può essere messo a fuoco grazie al semplice scorrimento e bloccato con una vite.

I reticoli olografici vengono venduti già montati in un telaietto tipo diapositiva, pertanto il fissaggio di fronte al collimatore è ottenuto tramite semplice fissaggio con un paio di mollette da ufficio. Poiché l’accoppiamento delle ottiche con i due tipi di reticolo utilizzati da origine ad uno spettro abbastanza disperso e quindi non osservabile

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interamente nel campo dell’oculare è stato necessario realizzare uno snodo che consenta di far ruotare l’obiettivo rispetto al reticolo.

La realizzazione di questo strumento non è stata preceduta da un vero e proprio progetto ed è basata piuttosto su prove empiriche in fase di costruzione. Le varie parti sono state dimensionate e posizionate in modo da avere il minimo ingombro possibile. Con il reticolo da 500 l/mm si ottiene uno spettro nell’ordine 1 disperso su un angolo di circa 10°, mentre con il reticolo da 1000 l/mm lo spettro risulta di circa 24°, considerando un intervallo di lunghezze d’onda compreso tra 3800 e 7300 A. Applicazione: valutazione della temperatura della fotosfera

Lo spettro presentato in queste pagine è stato ottenuto con lo spettrografo auto costruito dotato di un reticolo a trasmissione a 500 l/mm. Precedenti prove con un reticolo a 1000 l/mm non sono andate a buon fine in quanto con una maggiore dispersione la quantità di luce che giunge al sensore è inferiore ed è praticamente impossibile la messa a fuoco delle righe di assorbimento.

Per uno strumento a maggior dispersione occorre una costruzione meccanica più accurata e delle ottiche di qualità maggiore di quelle utilizzate, in modo da ridurre il più possibile le perdite di luce lungo il percorso ottico. Lo spettrografo con il reticolo da 500 l/mm è stato montato al fuoco diretto del rifrattore acromatico Konus Vista 80/400, puntato in direzione di una zona di cielo a pochi gradi dal Sole.

Le immagini sono state acquisite con una webcam Toucam Pro. Ogni ripresa consente di inquadrare una zona dello spettro solare ampia circa 750 angstrom. Per coprire tutto lo spettro nel visibile ( più piccole porzioni di UV e IR ) occorrono circa 5 immagini da 640 x 480 pixel, qualcuna di più se si tiene conto che occorrono riprese con delle linee in comune per la sovrapposizione.

Ogni immagine è stata ottenuta dalla media di 100 frames effettuata con Iris ed è stata elaborata per rendere più nitide le righe di assorbimento. L'immagine seguente rappresenta un mosaico ottenuto da 9 immagini riprese il 10 aprile 2005, che copre lo spettro da 3800 a 7300 angstrom circa.

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Per effettuare il riconoscimento delle righe di assorbimento e uno studio sulla temperatura della fotosfera è necessario calibrare lo spettro in lunghezza d'onda e sulla risposta spettrale del sensore utilizzato. A questo scopo è stato utilizzato il programma Visual Spec.

Poiché nella sovrapposizione delle immagini per realizzare il mosaico è possibile che vi siano dei piccoli errori di allineamento che potrebbero falsare la calibrazione, si è scelto di lavorare sulle singole immagini. I dati sono stati quindi estratti da 6 immagini scelte tra le 9 acquisite. La calibrazione in lunghezza d'onda è stata effettuata identificando in ogni immagine due linee note.

Per calibrare il profilo sulla risposta del sensore si è operato con i seguenti passaggi, che si descrivono in sintesi:

ricerca nel database dello spettro tipo del Sole (G2V) rapporto tra lo spettro grezzo e lo spettro tipo estrazione del continuo dal rapporto : il risultato è la curva di risposta

del sensore. rapporto tra lo spettro grezzo e la curva di risposta

Dopo quest'ultimo passaggio il profilo che si ottiene è lo spettro calibrato

sulla risposta del sensore. Su questo spettro si può effettuare il riconoscimento delle righe di assorbimento e tramite l'utilizzo della distribuzione di Plank e della legge dello spostamento di Wien si può valutare la temperatura della fotosfera.

Il grafico che segue rappresenta il profilo dello spettro del Sole calibrato, ottenuto con lo spettrografo auto costruito, messo in confronto con il profilo teorico della classe spettrale G2V.

I dati sono stati ottenuti estraendoli da ciascuna delle sei immagini, quindi unendole in un unico grafico con l'ausilio di Excel. La corrispondenza dei dati sperimentali con quelli teorici è notevole, considerando che lo strumento utilizzato è stato costruito praticamente a costo zero. Dallo spettro sperimentale è stata infine possibile una valutazione della temperatura della fotosfera. Con l'opportuno comando in Visual Spec è stato estratto il profilo del continuo dai dati sperimentali e da questa è stata ricavata la lunghezza d'onda a cui corrisponde il massimo di emissione .

Å 5011λmax

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Spettro del Sole

0,35

0,45

0,55

0,65

0,75

0,85

0,95

1,05

1,15

1,25

3800 4300 4800 5300 5800 6300 6800 7300angstrom

U.A

.

E' quindi stata applicata la formula inversa della legge dello spostamento di Wien:

mK2.90x10Tλ 3max

2.90x10Tmax

3

Inserendo la lunghezza d’onda al massimo di emissione nella formula si è

ottenuto un valore di temperatura : 57875011x102.90x10T 10

3

La temperatura ricavata, di 5787 K, è perfettamente compatibile con il dato in letteratura sulla temperatura della fotosfera, calcolata essere prossima ai 5800 K. Ad ulteriore conferma si può confrontare il profilo dello spettro continuo estratto dai dati sperimentali con il profilo di Plank per un corpo nero che emette alla temperatura di 5800 K. Il grafico seguente mostra che la corrispondenza è molto buona. Inoltre la lunghezza d'onda per il massimo di emissione del corpo nero a 5800 K risulta essere di 4996 A, dato confrontabile con il valore di 5011 A ottenuto dai dati sperimentali.

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0,5

0,6

0,7

0,8

0,9

1

1,1

1,2

3600 4100 4600 5100 5600 6100 6600 7100

angstrom

U.A

.Spettro del SoleContinuoProfilo di Plank a 5800 K

2° fase : spettrografo con reticolo in riflessione

In seguito ai risultati incoraggianti ottenuti per mezzo dello strumento con reticolo in trasmissione è stato progettato e realizzato uno spettroscopio basato su reticolo a riflessione. I calcoli e la teoria necessari alla progettazione sono stati acquisiti dal web, in particolare sono stati di particolare aiuto i fogli di calcolo Excel realizzati da Christian Buil (www.astrosurf.com/buil). Il foglio di calcolo è stato modificato e semplificato ed ha permesso di verificare se le ottiche di recupero reperite fossero adatte alla realizzazione e compatibili con il tipo di telescopio da utilizzare in accoppiamento allo spettroscopio.

La tabella sotto riportata mostra i risultati dei calcoli comparati con le caratteristiche delle ottiche a disposizione e riguardano le dimensioni dei fasci in entrata ed in uscita dalle varie parti dello strumento. La non concordanza dei valori calcolati con quelli effettivi può provocare vignettatura e relativa perdita di luce.

Il reticolo preso in considerazione è un reticolo in riflessione da 1200 l/mm ottimizzato per la lunghezza d’onda di 500 nm nel 1° ordine. Le caratteristiche costruttive del reticolo lo rendono adatto ad una geometria con un angolo totale di 38°. L’allontanamento da questo valore può provocare delle distorsioni nell’immagine dello spettro, ma come si vedrà più avanti è un buon compromesso, accettabile per lavorare anche nel 2° ordine o con reticoli con un differente numero di linee/millimetro.

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Fc Dc fc Fo Do Fo Lato reticolo

Effettivo 100 mm

25 mm 4 180 mm

50 mm 3,6 30 mm

Valore minimo calcolato per telescopio f/8

- 12,5 mm

8 - 15,7 - 15,7

Valore minimo calcolato per telescopio f/5

- 20 mm 5 - 25,2 mm - 25,2 mm

Valore minimo calcolato per telescopio f/4

- 25 mm 4 - 31,5 mm - 31,5 mm

E’ possibile osservare che prendendo in considerazione un telescopio

con rapporto focale f/8 i parametri calcolati rientrano ampiamente nelle caratteristiche effettive delle ottiche considerate. Con un telescopio a f/5 il fascio in uscita è di maggiori dimensioni, ma i valori rientrano ancora in quelli effettivi.

Per un telescopio più aperto (f/4) il diametro e la focale del collimatore coincidono con il minimo necessario, mentre il reticolo risulta essere troppo piccolo per contenere il fascio in uscita dal collimatore. Un telescopio f/4 può essere però utile nel caso di riprese di spettri stellari, in questo caso un reticolo da 1200 l/mm, come quello considerato, potrebbe essere troppo dispersivo ed un reticolo di 600 l/mm montato con la medesima geometria farebbe rientrare tutti i parametri entro quelli effettivi.

In base ai calcoli effettuati è stato preparato un disegno in scala 1:1 dello schema ottico dello spettroscopio sulla quale ci si è basati per realizzare le varie parti.

Il collimatore è stato ricavato dall’ottica di un piccolo binocolo, già intubata e munita del proprio dispositivo di messa a fuoco. L’obiettivo è un doppietto acromatico proveniente da un cercatore. A differenza del precedente modello con reticolo in trasmissione la fenditura è stata acquistata a meno di 15 euro su Internet ed anche se la sua lavorazione non è di precisione consente comunque di regolarne l’apertura. Tutte le parti di supporto delle ottiche e la scatola esterna dello spettroscopio sono realizzate con fibra MD a 4 mm di spessore. La lente dell’obiettivo, non essendo intubata è tenuta in posizione da 3 barre filettate fissate anch’esse su supporti in MD. Il sistema di messa a fuoco dell’obiettivo è costituito da due tubi di teflon scorrevoli in cui può essere alloggiato un oculare o una webcam. A monte della fenditura regolabile è stato montato un anello T2 di

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recupero in modo da poter accoppiare lo spettroscopio con qualsiasi tipo di telescopio.

Una parte particolarmente importante e delicata è risultato essere il supporto del reticolo, che deve consentire di ruotare il medesimo con sufficiente precisione e in modo che non si muova dalla posizione selezionata. La soluzione è stata trovata in un cuscinetto a sfere (anch’esso di recupero e di ignota provenienza!). Due barrette filettate chiuse da un tassello orizzontale tengono in posizione il reticolo mentre il perno che va ad inserirsi nel cuscinetto è molto banalmente il tappo di un pennarello, risultato essere di diametro idoneo.

Tutta la struttura è stata montata su una base in fibra MD, quindi dopo i primi test positivi si è proceduto a chiudere lo strumento con pareti e coperchio. Ulteriori dettagli sono stati aggiunti in seguito, quali due fori per l’accesso alla messa a fuoco del collimatore e la regolazione della fenditura e una vite che permetta di montare lo strumento su un cavalletto fotografico. Un particolare importante è la presenza di una finestra posta dietro il reticolo, dalla quale, ruotando il medesimo, è possibile osservare l’immagine della fenditura attraverso il collimatore. Servendosi di un cannocchiale messo a fuoco sull’infinito l’immagine della fenditura aatrverso il collimatore deve risultare a fuoco, in caso contrario occorre agire sulla regolazione di messa a fuoco del collimatore. Questa è l’unica regolazione preliminare che occorre operare sullo spettroscopio prima dell’utilizzo.

Lo strumento una volta completato risulta essere molto compatto e di peso contenuto entro il chilogrammo, adatto quindi ad essere montato al fuoco di qualsiasi telescopio.

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Le prime prove, effettuate su una lampada al neon, hanno dimostrato che le prestazioni in termini di risoluzione e nitidezza delle righe sono nettamente superiori a quelle dello strumento con reticolo a trasmissione.

Allo stato dell’arte lo spettroscopio è stato utilizzato solo sul Sole e senza l’accoppiamento d un telescopio, ma puntando direttamente la fenditura verso l’astro. La molteplicità e la finezza di righe che è possibile osservare negli spettri del 1° ordine, all’oculare e ancora di più sulle immagini ottenute con la webcam è notevole.

Si riportano di seguito alcune immagini ottenute dalla media di più frames (fig 6: doppietto del sodio; fig. 7: ossigeno atmosferico; fig. 8: zona del tripletto del magnesio). Dall’immagine originale è stata selezionata una sola riga di pixel, quindi “stirata” per ottenere un’immagine leggibile. Ciascuna immagine, in scala 1:1, copre un range di poco più di 100 A.

Per coprire tutto lo spettro visibile occorrerebbero circa 35 immagini, contro le 6 necessarie per lo spettroscopio con reticolo in trasmissione. La finezza spettrale in queste immagini è di circa 1 A e il potere risolutivo spettrale dato dalla formula R=/ è di circa 5000. Il valore è stato calcolato valutando la finezza spettrale sulle immagini. Per confronto lo spettroscopio con reticolo in trasmissione mostrava una finestra spettrale di circa 40 A e il valore di R era stimato di 125.

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Fig. 6

Fig. 7

Fig. 8

Nonostante il reticolo sia ottimizzato per lavorare nel 1° ordine e anche la geometria dello strumento sia ottimizzata per questo ordine è possibile ruotare il reticolo a sufficienza per intercettare il 2° ordine spettrale, che con il Sole è ancora molto luminoso. Il 2° ordine permette di andare molto in profondità nella struttura spettrale, raggiungendo una finezza spettrale stimata inferiore a 0,5 A. La seguente immagine rappresenta la zona centrata sul tripletto del magnesio ed è stata acquisita come per i precedenti spettri.

Si lascia ai lettori il compito di operare il confronto di questa immagine con quella ottenuta nel 1° ordine e con quelle dello spettroscopio con reticolo in riflessione!

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Conclusioni

Le prove con lo spettroscopio con reticolo in riflessione sono naturalmente solo preliminari. L’utilizzo del reticolo a 1200 l/mm nel 2° ordine apre le porte a studi come la valutazione dell’effetto Zeeman o l’effetto Doppler, per cui è necessaria un’alta risoluzione. A risoluzioni più basse, ottenibili montando reticolo con un minor numero di linee/millimetro, è possibile ottenere spettri di stelle e altri oggetti poco luminosi. Interessante è lo studio degli spettri cometari e di supernove.

Lo spettroscopio con reticolo in trasmissione, dato il suo costo praticamente nullo risulta essere un valido approccio alla spettroscopia ed è certamente un valido strumento dal punto di vista didattico.

Lo spettroscopio con reticolo in riflessione è certamente di più complessa realizzazione, ma anche in questo caso le spese estremamente contenute, che di fatto si riducono al costo del reticolo, lo rendono estremamente interessante per qualsiasi astrofilo dotato di un minimo di manualità che voglia cimentarsi con la spettroscopia anche a livello scientifico, pur restando in campo amatoriale. Le prestazioni di questo strumento possono essere implementate utilizzando ottiche di qualità migliore e una realizzazione meccanica più precisa, nonché un ulteriore approfondimento della progettazione teorica, con il fine di ottenere una geometria del sistema compatibile con la maggior parte di telescopi e di reticoli, ottenendo così uno strumento estremamente versatile pur restando in costi alla portata di tutti.

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Enzo Rossi

IL PROGETTO E LA COSTRUZIONE DEL TELESCOPIO “URANO”

La base di partenza per il telescopio che ho costruito, in gran parte in economia, e che ho chiamato telescopio URANO, è da ricercare nella probabile sorte che, qualche tempo fa, sarebbe toccata al vecchio telescopio dell’Associazione.

La sua collocazione in soffitta, tra gli strumenti dismessi, mi rattristava non poco. Del mio stesso avviso erano anche altri soci dai quali ben presto era giunta una interessante proposta: utilizziamo lo specchio primario di 40cm per realizzare uno strumento facilmente trasportabile, adatto alle osservazioni visuali in campo aperto. Qualcuno, memore del fatto che ho passato una vita intera nei ruoli universitari come collaboratore scientifico alla cattedra di Fisica dello spazio dell’Università degli studi di Firenze, aveva proposto di affidarmi la costruzione del nuovo strumento.

Nonostante qualche iniziale esitazione, arrivai poi ad accettare l’impegnativo incarico e così, nei primi giorni di giugno 2007, diedi inizio alla costruzione del telescopio, mantenendo però il riserbo sulle sue caratteristiche strutturali perché volevo presentarlo in Associazione a sorpresa e a lavoro finito.

Dal punto di vista costruttivo, un telescopio dobsoniano può essere realizzato in modi diversi; io ho cercato di privilegiare una soluzione che mi consentisse di ottenere uno strumento solido e robusto, ma anche leggero e facilmente assemblabile in condizioni di scarsa illuminazione.

Lo strumento doveva essere maneggevole e con una ridotta necessità di manutenzione o di riadattamento nel corso del tempo. La scelta del materiale è caduta sull’alluminio che ha consentito di mantenere il peso dello strumento entro valori perfettamente accettabili.

La costruzione non ha seguito un progetto definito in fase preliminare. Anzi, prendevo le decisioni operative man mano che davo forma a ciascun pezzo del telescopio. Nonostante ciò, non mi sono mai trovato a rimpiangere le scelte adottate al momento. Ho naturalmente tenuto in debito conto le due grandezze che vincolano la realizzazione di ogni telescopio e ne decidono l’ingombro complessivo: il diametro dello specchio primario, nel nostro caso 405mm con la lunghezza focale, 1800mm.

La lunghezza focale F è la distanza tra lo specchio primario e il piano su cui va a formarsi l’immagine. E’ facile trovare sperimentalmente la focale di un obiettivo, sia esso uno specchio convergente o una lente: si ponga lo

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specchio in posizione verticale e lo si illumini con una lampada a filamento posta ad una distanza di almeno 10 metri. I raggi di luce emessi dalla lampada verranno convogliati dopo essere stati riflessi dallo specchio in un punto sull’asse ottico. Per localizzare questo punto basterà prendere un dischetto di carta di pochi centimetri attaccato ad un bastoncino; facendolo scorrere sull’asse ottico si troverà un punto dove il filamento della lampada risulterà nitido e ben visibile. Con una sufficiente approssimazione, assumeremo come distanza focale la distanza tra lo specchio e il punto dove è a fuoco l’immagine del filamento.

Diametro e focale dello specchio definivano le caratteristiche funzionali del futuro strumento, che rapidamente illustriamo nel seguito.

In primo luogo, stimiamo la luminosità L del telescopio rispetto all’occhio, una grandezza essenziale per l’osservazione di oggetti deboli e per l’esplorazione del profondo cielo. La luminosità è definita dalla seguente espressione:

L = Dt2/Dp

2 Dove: Dt è il diametro dello specchio in mm; Dp il diametro della pupilla

dell’occhio. Se prendiamo un diametro della pupilla di 7mm, caratteristico di un

occhio giovane e sano, vediamo che con il nostro telescopio sono visibili oggetti 3265 volte meno luminosi rispetto all’occhio nudo.

Abbiamo poi il rapporto focale o luminosità relativa Rf dato dall’espressione:

Rf = F/Dt Un valore di Rf compreso tra 3 e 5 (per il nostro telescopio è 4.5)

definisce uno strumento particolarmente indicato per l’osservazione di oggetti deboli e diffusi (anche se, naturalmente, nulla vieta di poter osservare con lo stesso telescopio, e con profitto, i pianeti e la Luna); invece con Rf superiore a 6 lo strumento è particolarmente conveniente per l’osservazione planetaria.

Gli ingrandimenti I del telescopio si calcolano facilmente con la formula seguente:

I = F/Foc Nella quale F è la focale dello specchio e Foc quella dell’oculare. Ci sono dei limiti da rispettare, sia per gli ingrandimenti minimi sia per quelli massimi. Nel nostro caso è bene, per ottenere immagini ancora di qualità, non scendere sotto i 60X e non superare, se non in casi di seeing eccellente, i 400X.

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Il potere risolutivo Pr (in secondi d’arco) è una grandezza decisamente importante, anche se, durante le osservazioni, esso è limitato sia dalla qualità delle ottiche, sia dal seeing. Esso è data dall’espressione:

Pr = 120/Dt Dove Dt, diametro dello specchio, è in mm. Per potere risolutivo si intende la capacità del nostro sistema ottico di separare due oggetti vicini che, per il nostro telescopio, equivale a: 120/400=0,31”.

Due corpi celesti, il Sole e la Luna, sottendono, per una pura coincidenza di rapporti tra i loro diametri e la loro distanza dalla Terra, un angolo di circa 0,5° (1800”).

Sulla luna distante 400000 km circa, dal diametro dL di 3466 km con il nostro futuro telescopio dal poter risolutivo di 0.31” si potranno osservare oggetti separati tra loro di 0,6 km circa:

(3476/1800) x 0,31” = 0,6 Km Mentre sul Sole, distante 150000000 di km e con un diametro di 1390000 km, si possono osservare al limite, oggetti di 240 km circa: (1390000/1800) x 0,31” = 240 Km Ora che abbiamo compreso quali caratteristiche avrà il nostro futuro telescopio riflettore, in configurazione, Newton vediamo di costruire e assemblare i componenti dello strumento, illustrando i diversi passaggi tramite le immagini seguenti.

specchio primario diametro utile 400mm, peso 15kg, concavo parabolico fuoco 1800 mm

specchio secondario piano ellittico, 80x130 mm peso 1,5 kg

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schema di principio di un Newton: lo specchio secondario va posizionato sull’asse ottico del sistema ,distante dal primario in modo che la base del cono dell’immagine non vada oltre

l’asse minore del secondario.

da una lastra di alluminio di 5mm l’autore ritaglia le strisce per costruire i due box.

i box vengono saldati a TIG e in quello che

conterrà lo specchio primario viene saldato il fondo circolare

i supporti una volta saldati terranno uniti i due box tramite 3 aste di tubo alluminio

30mm di diametro e ugual lunghezza (i tubi flettono meno )

Il supporto porta oculari ed il “ragno” del secondario

Il box contenente lo specchio primario con i suoi tre punti d’attacco

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La ricerca del baricentro ha definito le dimensioni delle ali sul box.

La forcella entro la quale alloggerà il telescopio nei punti del suo baricentro

I tre pezzi finiti: basamento a 3

piedi, forcella, box primario Vista del telescopio dalla parte della cella

del primario

L’AUTORE CON LO STRUMENTO

FINITO! Camera per la rialluminatura

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ALLUMINATURA DEGLI SPECCHI

Gli specchi devono però essere rialluminati e quarzati. Ecco allora una immagine della camera ad alto vuoto per alluminatura delle ottiche, nel cui interno viene posizionato lo specchio con la faccia rivolta verso il basso. Il vuoto è realizzato con pompe rotative preliminari poi, con pompe a diffusione che portano il vuoto a 10-9 mm/Hg. In un crogiolo all’interno della camera viene messo alluminio allo stato puro il quale, sotto effetto del passaggio della corrente, fonde nebulizzando tutta la camera andando così a depositarsi in modo uniforme sullo specchio. La quantità di alluminio e il tempo di evaporazione determinano lo spessore depositato sulla superficie. Analogo procedimento vale per la quarzatura successiva che permette una pulizia della superficie facile e senza troppi problemi.

Infine, l’allineamento delle ottiche. Una volta montato completamente lo strumento, per ottenere le massime prestazioni, ho per pignoleria usato un piccolo laser da pochissimi euro comprato dai venditori ambulanti. Al posto dell’oculare ho inserito il laser montato su un supporto del diametro dell’oculare così facendo si ha un percorso a ritroso sull’asse ottico dell’immagine. Si noterà il sovrapporsi del raggio che partendo dal laser (a questo punto mettete il raggio sul centro dello specchio secondario) dopo la riflessione, regolando i movimenti del secondario, ho fatto in modo che il raggio centrasse lo specchio primario. Le regolazioni basculanti dello specchio primario serviranno a rimandare il raggio su se stesso fino alla sorgente. Le ottiche sono così allineate e le immagini saranno di ottima qualità.

LA RICERCA VISUALE DELLE COMETE CON IL TELESCOPIO URANO

Non credo esista per l’astronomo, sia esso professionista o amatore, una sensazione più esaltante di quella che si ricava nello scoprire un nuovo oggetto celeste, fino a quel momento nascosto e sconosciuto.

Potendo disporre di un TELESCOPIO in configurazione DOBSON come quello da me costruito è davvero possibile mettersi in caccia di quegli affascinanti oggetti che appartengono alla categoria più elusiva dei corpi del sistema solare: le comete.

E’ necessario un buon telescopio ed una buona conoscenza del cielo per non prendere “fischi per fiaschi” ma, soprattutto, è indispensabile una grande pazienza e pervicace tenacia: mettersi in caccia di comete vuol dire impegnare molte ore all’osservazione, anche diverse centinaia ogni anno.

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La scelta di un buon sito d’osservazione, condizioni di cielo ottimali, basso inquinamento luminoso (la luna può essere tollerata alla sua sottile falcetta) sono condizioni necessarie per un buon risultato.

Fino agli anni Settanta del secolo scorso, erano necessarie, in media, 200-300 ore al telescopio per conseguire una scoperta visuale. Il forte aumento di telescopi professionali specializzati in survey del cielo hanno prodotto significativo incremento di tale valore che, per il nostro emisfero, oggi si stima in circa 600 ore. Non sono rari comunque i casi di amatori che hanno fatto la loro scoperta anche dopo ben 1700-1800 ore. Sono assai meno frequenti le scoperte accidentali o ottenute dopo sole poche ore di ricerca. Ci sono due periodi del mese lunare in cui le aree di cielo dove maggiore è la probabilità di scoperta, divengono osservabili in condizioni di completa oscurità. Il primo periodo interessa la ricerca serotina, che inizia 2-3 giorni dopo la Luna Piena, quando si rendono accessibili le zone di cielo a est del Sole. Il secondo periodo interessa la ricerca mattutina, già a partire dall'Ultimo Quarto, utile per rilevare eventuali comete brillanti, visibili anche con il cielo debolmente illuminato dalla Luna. Tale secondo periodo si completa con la nuova esplorazione in condizioni di completa oscurità, dopo la Luna Nuova. Le aree controllate al mattino, nelle quali statisticamente vi è la maggiore probabilità di scoperta, sono situate a ovest del Sole ed è quindi molto importante eseguirne l'esplorazione costante.

Per ottenere risultati utili, cioè la Grande Scoperta, non significa trascorrere notti intere a osservare. E’ sufficiente esplorare sistematicamente, ed il più spesso possibile, nelle 2-3 ore serali, dopo il crepuscolo, o in quelle mattutine, prima dell'alba. Con il telescopio URANO l’ingrandimento ideale si aggira intorno ai 60X, ottenuti con un buon oculare corretto fino ai bordi.La ricerca dovrà consentire il controllo completo di aree di cielo entro i 60°-90° di elongazione dal Sole. Esso sono collocate, una a ovest di sera, l'altra a est nell'ultima parte della notte. Tali zone sono ampie un centinaio di gradi in azimut e fino ad un'altezza di circa 50° e vanno esplorate in modo veloce.

Tra le diverse tecniche per la caccia alle comete, suggerisco quella unidirezionale, in quanto garantisce la copertura integrale di un’area celeste. Si tratta infatti di condurre la ricerca in una sola direzione. Si muoverà lentamente lo strumento in azimut scandagliando il cielo da est verso nord. Esplorato l'arco di ampiezza prefissata, si torna velocemente al punto iniziale prima di adeguare il puntamento del telescopio in altezza e ripartire con la ricerca.

Molte volte, anche se il lavoro non ha prodotto risultati tangibili, si è comunque ripagati da uno splendido tramonto o da un’alba luminosa.

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Alberto Villa, Vittorio Lovato

SPETTROGRAFIA AMATORIALE, ESPERIENZE CON LO SPETTROGRAFO AUTOCOSTRUITO DEL CENTRO ASTRONOMICO DI LIBBIANO

LO SPETTRO

Con il termine “spettro” si intende la scomposizione della luce nelle sue diverse componenti.

La separazione delle onde di varia lunghezza (fenomeno noto con il nome di rifrazione) è operata convenzionalmente a mezzo di un prisma che sfrutta la deviazione che la luce subisce nel passare dall’aria al vetro e viceversa e che è differente per le diverse lunghezze d’onda. Lo schema ottico di uno spettrografo classico è completato da due obiettivi (o collimatori):

□ il primo utilizzato per rendere paralleli i raggi di luce che provengono dalla fenditura e vengono convogliati sul prisma (la fenditura è collocata

esattamente nel fuoco del primo collettore); □ il secondo collimatore mette a fuoco sul supporto fotografico o

digitale la luce separata dal prisma nei vari colori (nel caso di uno spettroscopio, l’immagine messa a fuoco dal secondo obiettivo viene raccolta da un oculare per l’osservazione visuale dello spettro).

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Fig. 2 - Schema di uno spettrografo.

SPETTROGRAFO AUTOCOSTRUITO E I PRIMI RISULTATI

Nel 1987 il sottoscritto fondò la AAT - Associazione Astrofili Thethys,

con sede in Rivanazzano, in provincia di Pavia. Nell’ambito della AAT condividevo la passione per la spettrografia con l’Ing. Vittorio Lovato, prima di tutto amico e dotato di invidiabili capacità di autocostruttore. Fu così che – insieme - ci si applicò in questo settore ottenendo qualche risultato apprezzabile, come ci riferisce lo stesso Lovato in una sua nota:

La spettrografia non è un’attività molto diffusa tra gli astrofili, forse perché considerata troppo impegnativa e poco gratificante. C’è da aggiungere l’obiettiva difficoltà di disporre di strumenti atti allo scopo e il prevalere di una cultura che tende ad orientare l’astrofilo verso la tradizionale osservazione visuale o fotografica del cielo, specialmente da quando, con la comparsa sul mercato di dispositivi di ripresa basati su sensori CCD a prezzi sempre più abbordabili, questo tipo di attività ha portato ad una massiccia produzione di immagini molte delle quali, per la verità, assai spettacolari. Assolutamente assente è invece qualunque accenno alla spettrografia stellare, se si fa eccezione per una realizzazione datata 1991 e pubblicata sul numero di maggio 1992 de” l’Astronomia”; autori Alberto Villa e il sottoscritto. Eppure, costruire uno spettrografo è un’impresa alla portata di tutti; molto più facile che costruire un telescopio. E non guasta un’ultima osservazione: la presenza della Luna, non impedisce minimamente il lavoro di spettrografia stellare. Una valida alternativa per sfruttare utilmente le numerosissime notti proibite! Vittorio Lovato

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Nella sua nota Lovato fa riferimento alla prima comune realizzazione di

uno spettrografo autocostruito (1991 – 1992), applicato sul dorso di un telescopio riflettore newton da 140mm di apertura.

Nonostante le dimensioni contenute del telescopio abbinato allo strumento e considerando che le correzioni in fase di ripresa fotografica venivano effettuate manualmente, i risultati ottenuti furono confortanti, tanto che il lavoro fu pubblicato integralmente sulla rivista del settore “L’Astronomia” (numero del maggio 1992).

Da sottolineare che al tempo era ancora molto raro poter disporre di un sensore digitale a livello amatoriale: le immagini che seguono sono state ottenute su pellicola Kodak 2415 ipersensibilizzata in forming gas.

ALCUNI SPETTRI OTTENUTI CON LO STRUMENTO AUTOCOSTRUITO NEL 1991 / 1992

Fig. 3 – Dettaglio dello spettro del Sole.

Fig. 4 – Spettro di Arturo.

I rapporti di amicizia con l’Ing. Vittorio Lovato sono stati mantenuti nel

tempo, come pure la comune passione per la spettrografia. Così, appena vengono installati i nuovi telescopi all’Osservatorio

Astronomico di Libbiano, mi viene offerta la possibilità di poter disporre di uno spettrografo appositamente costruito per il Ritchey – Chretien da 500mm di apertura di Libbiano.

Non oso rifiutare la proposta, così Lovato realizza il nuovo spettrografo (Fig. 5) che è pronto per il collaudo a fine settembre 2007.

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Fig. 5 – Spettrografo costruito dall’Ing. Lovato per la strumentazione del Centro Astronomico di Libbiano.

Fig. 6 – Schema dello spettrografo

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E’ lo stesso costruttore a darne la seguente sintetica descrizione (Fig. 6).

“Lo strumento è uno spettroscopio ad autocollimazione a dispersione medio-bassa. Come elemento disperdente utilizza un prisma di quarzo con un potere risolutivo di tutto rispetto. Uno specchio sferico del diametro di 60mm e focale di 200mm funge allo stesso tempo da collimatore e da obiettivo del dispositivo di rilevazione. Per agevolare il riconoscimento delle righe spettrali e le operazioni di messa a fuoco, lo strumento è dotato di una sorgente luminosa ausiliaria, in grado di fornire uno spettro di confronto formato da righe di emissione di lunghezza d'onda nota. L'estensione dello spettro può eccedere l’ampiezza del sensore: in tal caso, per poterlo osservare interamente, lo si deve far scorrere in senso longitudinale variando l’angolo d’incidenza del prisma a mezzo dell’apposita manopola di campo all’uopo predisposta all’esterno dello spettroscopio: lo spettro scorrerà verso il rosso o verso il blu, mostrando così la porzione di spettro che si desidera osservare e/o registrare. Oltre che per l’ovvio impiego sul Sole, lo spettroscopio qui descritto, accoppiato ad un telescopio da 500mm e dotato di sensore CCD, è in grado di registrare spettri di stelle ben oltre la 3° magnitudine.”

ANALISI DEI RISULTATI OTTENUTI CON LO SPETTROGRAFO AUTOCOSTRUITO

Come già accennato, l’Ing. Lovato ha realizzato lo strumento appositamente per il telescopio riflettore Ritchey – Chretien di Libbiano (apertura 500mm – f/8, fig. 8).

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Fig. 8 – Lo spettrografo autocostruito collocato al fuoco diretto del Ritchey – Chretien da 500mm – f/8 di Libbiano

Per “catturare” lo spettro di un oggetto, nella parte posteriore dello

spettrografo è necessario applicare un dispositivo di rilevazione, che può essere costituito:

da un oculare per l’osservazione diretta dello spettro; da una macchina fotografica digitale da un CCD, come illustrato in Fig. 8 dove è utilizzato il CCD

Starlight SXVF-H5. Si illustrano di seguito alcuni degli spettri più significativi finora ottenuti. 27 OTTOBRE 2007 – SPETTRO DELLA LUNA

E’ la serata del primo collaudo, presente l’Ing. Vittorio Lovato. La Luna – alta in cielo e molto luminosa - ci offre l’opportunità di tarare il posizionamento dello spettrografo sul telescopio Ritchey – Chretien di Libbiano e di cercarne il fuoco migliore.

Lo spettro ricavato è la sommatoria di sette diverse immagini riprese con il CCD ed elaborate prima con Maxim DL e quindi con Photoshop: sono evidenziate le righe caratteristiche più importanti che ovviamente riproducono lo spettro solare e alcune righe dell’atmosfera (Fig. 9).

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Fig. 9 – Spettro della Luna ottenuto a Libbiano il 27 Ottobre 2007 a cura di Vittorio Lovato, Domenico Antonacci, Paolo Bacci, Paolo Piludu, Enzo Rossi ed Alberto Villa

27 OTTOBRE 2007 – SPETTRO DELLA COMETA 17P HOLMES

Una volta tarato lo spettrografo, il telescopio viene puntato sulla Cometa

17 P Holmes, che fino a pochi giorni prima era un oggetto di scarso interesse in quanto debolissimo, tanto da essere difficilmente fotografabile con telescopi amatoriali. Il nucleo cometario era stato appena interessato da una esplosione (outburst) che ha reso la cometa ben visibile ad occhio nudo.

Fig. 10 – Lo spettro della cometa Holmes. Sulla destra, l’ immagine della cometa.

La cometa riflette la luce del Sole e pertanto il suo spettro evidenzia

righe di assorbimento proprie del Sole stesso, come la K e la H del carbonio ben evidenziate.

Più interessanti sono però eventuali righe di emissione legate all’attività sul nucleo cometario: molto marcata per la Holmes la riga di emissione de CN (Cianuro).

Il lavoro è stato svolto da Vittorio Lovato, Domenico Antonacci, Paolo Bacci, Paolo Piludu, Enzo Rossi ed Alberto Villa ed è stato pubblicato sulle quattro riviste italiane del settore.

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27 OTTOBRE 2007 – SPETTRO DI CAPELLA (α AURIGAE)

Si prova la definizione dello spettrografo su una sorgente stellare

puntando lo strumento su Capella, la stella più luminosa della costellazione dell’Auriga – Classe spettrale G0.

Il test ha esito positivo: si riconoscono infatti facilmente nello spettro alcune righe già note per il Sole che è di classe spettrale praticamente contigua G2 (Fig. 11).

Fig. 11 – Spettro di Capella Il lavoro è stato svolto da Vittorio Lovato, Domenico Antonacci, Paolo Bacci, Paolo Piludu, Enzo Rossi ed Alberto Villa. 28 OTTOBRE 2007 – 2° SPETTRO DELLA COMETA HOLMES

Molto importante la ripresa di un nuovo spettro della cometa Holmes per verificare l’affidabilità dello spettrografo: le riprese del 28 ottobre sono state eseguite da Vittorio Lovato, Paolo Bacci, Emilio Rossi ed Alberto Villa. Nell’immagine che segue (Fig. 12) gli spettri del 27 e 28 Ottobre sono stati messi a confronto in una successiva elaborazione di Paolo Bacci.

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Fig. 12 – Spettri della cometa Holmes del 27 e 28 Ottobre 2007 a confronto Con apposito software, Paolo Bacci rileva il profilo dei due spettri e li

sovrappone (Fig. 13) rilevando la perfetta coincidenza tra due spettri ripresi in serate diverse.

Fig. 13 – In blu il profilo dello spettro della cometa Holmes del 28 Ott. 2007. In rosso il profilo del 27 Ott. 2007. Il confronto ne attesta la completa sovrapposizione.

Questo fatto è importante perché mette in evidenza due aspetti

fondamentali, che tranquillizzano anche per quanto concerne le future esperienze:

□ in entrambe le serate lo spettrografo ha rilevato il segnale effettivo (altrimenti i profili non coinciderebbero in partenza);

□ le elaborazioni successivamente effettuate con il software non hanno alterato il segnale.

28 OTTOBRE 2007 – SPETTRO DI γ (Gamma) CAS

Dopo la cometa Holmes, il 28 ottobre si è voluto riprendere un altro oggetto peculiare: la stella Gamma nella costellazione di Cassiopea. Distante 780 anni luce, è una straordinaria gigante blu variabile del tipo chiamato “stella con inviluppo esteso” (shell star).

Essa espelle anelli di gas a intervalli irregolari, evidentemente perché la sua veloce rotazione la rende instabile, facendola variare in modo imprevedibile tra magnitudine 3,0 e 2,15. Usualmente oscilla intorno alla magnitudine 2,5.

L’espulsione del gas spiega le righe di emissione proprie di questa stella (classe spettrale B 0.5 IV e): particolarmente evidenti la H Alfa e la H Beta dell’idrogeno, ben visibili in Fig. 14.

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Fig. 14 – Spettro di γ (Gamma) CAS con le caratteristiche righe di emissione.

Tra le stelle che non hanno un nome comune arabo o latino, Gamma Cas è tra le più luminose del cielo. Forse in passato la stella era meno luminosa di come la possiamo vedere oggi. Questo astro è collocato al centro del familiare asterismo a "W" nella costellazione di Cassiopea. Riprese eseguite da Vittorio Lovato, Paolo Bacci, Emilio Rossi ed Alberto Villa.

29 MARZO 2008 – SPETTRO DI WR136 – HD192163 – V1770Cyg

Sicuramente questo è uno degli spettri più interessanti ripresi: si tratta infatti di una stella di tipo W o Wolf – Rayet, che mostra quindi evidenti righe di emissione: WR 136 (catalogata anche come HD 192163 e V1770 Cyg). La stella ha magnitudine 7,50 e si trova in piena Via Lattea sulla congiungente tra Sadr (Gamma Cygni) e Albireo (Beta Cygni), a poco più di due gradi e mezzo da Sadr.

Fig. 15 – La nebulosa NG 6888 Crescent Nebula nella costellazione del Cigno. Al suo interno la stella Wolf Rayet WR 136.

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WR 136 si trova attualmente immersa nella nebulosità di NGC 6888 (Fig. 15), nota come Nebulosa Luna Crescente, nome sicuramente suggerito dalla sua forma che richiama questa fase lunare. L’origine della nebulosa è ancora controversa: alcuni la classificano come residuo di supernova, ma su qualche testo viene citata come nebulosa planetaria.

In Fig. 16 lo spettro ripreso con la strumentazione del Centro Astronomico di Libbiano: le righe in emissione sono molto evidenti. Da osservare con particolare attenzione la riga a 7125 A generata dall’azoto (N): la stella in questione è infatti di classe spettrale WN 6.

Fig. 16 – Spettro delle stella Wolf Rayet WR 136 – HD 192163 – V1770 Cyg

Le riprese sono state effettuate da Paolo Bacci ed Alberto Villa 16 APRILE 2008 SPETTRI DI: VEGA, SAO 68730 E DI V 249I CYG (NOVA NELLA COSTELLAZIONE DEL CIGNO)

Il 14 Aprile leggiamo la circolare della AAVSO (American Association of Variable Stars Observers) che annuncia l’esplosione di una stella avvenuta il 10 u.s. nella costellazione del Cigno, ora visibile nella seconda parte della nottata. L’evento sì è verificato con le caratteristiche proprie del fenomeno noto come “NOVA” (*) e si annuncia di particolare interesse proprio per le righe spettrali che si stanno generando.

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L’esplosione comprime infatti con violenza l’atmosfera stellare dando luogo alla formazione di intense righe dell’idrogeno in emissione.

Nonostante le condizioni meteo incerte, si tenta di fotografare la nova nel Cigno, classificata come V 2491 CYG, nella notte tra il 15 ed il 16 aprile. Per tarare lo spettrografo si esegue una prima ripresa sulla stella Vega (α Lyrae) che, essendo di classe spettrale A0, mostra le righe della serie di Balmer in assorbimento (Fig. 17). _____________________________________________________________ (*) Con il termine “nova” si usa definire una enorme esplosione nucleare causata dall'accumulo di idrogeno sulla superficie di una stella (nana bianca) che di norma per qualche giorno diventa molto più luminosa. Originariamente, il termine stella nova fu coniato per quelle stelle che apparivano improvvisamente nel cielo per poi scomparire. L'enorme energia liberata da questo processo soffia letteralmente via il resto del gas dalla superficie della stella, e produce un "lampo" molto luminoso ma di breve durata, destinato a spegnersi in pochi giorni. Questo lampo era ciò che gli antichi astronomi chiamavano stelle nuove.

Fig. 17 – Spettro di Vega ripreso il 16 Aprile 2008 a Libbiano

Il telescopio viene quindi puntato sul campo stellare che contiene la nova V 2491 CYG, alle sue coordinate R.A. 19:43:02 / DECL. +32:19:14: appare più debole del previsto (Paolo Bacci ne stimerà la magnitudine in +8.8 +/- 0.2), molto vicina alla stella SAO 68730. Il campo è molto popolato in quanto ci troviamo in piena Via Lattea.: in Fig. 18 l’immagine visuale della nova V 2491 CYG (indicata dai cursori – somma di 5 integrazioni da 10 secondi l’una con il CCD FLI al fuoco diretto del Ritchey - Chretien di Libbiano).

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Fig. 18 – La nova V 2491 CYG nell’immagine ripresa da Libbiano il 16 Apr. 2008. Nel campo è inquadrata anche la stella SAO 68730

Si tenta quindi di riprenderne lo spettro che si rivela interessantissimo in quanto appaiono righe della serie di Balmer in emissione, alcune anche molto intense (Fig. 19). L’intero spettro è il risultato della compositazione di tre immagini parziali; le riprese singole sono state effettuate con integrazioni di 90 secondi l’una con il CCD Starlight SXVF-H5.

Fig. 19 – Spettro della nova V 2491 CYG ripreso a Libbiano. Evidenti le righe della serie di

Balmer in emissione. Sopra, il profilo di intensità elaborato con Maxim DL.

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Per rendere ancora più interessante la documentazione raccolta si è quindi puntato lo spettrografo sulla vicinissima stella SAO 68730 che – essendo di classe spettrale A 5 III – mostra la serie di Balmer in assorbimento. In Fig. 20 i due spettri sono stati affiancati: si può chiaramente notare come la serie di Balmer in assorbimento nello spettro di SAO 68739 coincide alla perfezione con la serie di Balmer in emissione nello spettro di V 2491 CYG . Fig. 20 – Lo spettro della nova V 2491 CYG messo a confronto con quello della vicina stella

SAO 68730 di classe spettrale A 5 III. Evidente la coincidenza delle righe della serie di Balmer: in assorbimento in SAO 68730 ed in emissione per la V 2491 CYG.

Lavoro eseguito da Alberto Villa e Francesco Biasci. Autore dell’articolo: Alberto Villa

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Alberto Villa

LA GESTIONE DI UN OSSERVATORIO PUBBLICO, L’ESPERIENZA DEL CENTRO ASTRONOMICO DI LIBBIANO

INTRODUZIONE

L’Osservatorio Astronomico “G. Galilei” di Libbiano è stato voluto dal fu Dr. Giovanni Martini che ne portò a termine la realizzazione in qualità di Presidente di un gruppo di astrofili pisani, grazie alla disponibilità e alla collaborazione del Comune di Peccioli (prov. di Pisa). L’inaugurazione dell’Osservatorio ebbe luogo nell’Ottobre del 1997 con l’intervento della nota astronoma Margherita Hack in qualità di madrina d’eccezione.

A seguito della cessazione dei rapporti tra gli astrofili pisani, nel 2004 il Comune di Peccioli – proprietario della struttura - affida l’Osservatorio alla AAAV (Associazione Astrofili Alta Valdera di Peccioli), appositamente costituita per gestirne le attività. La collaborazione tra il Comune e la AAAV porta alla ristrutturazione dei locali e al rinnovamento della strumentazione con l’inaugurazione del Centro Astronomico di Libbiano avvenuta il 28 Ottobre del 2006 in presenza del Prof. Franco Pacini (Università degli Studi di Firenze – Arcetri).

A sinistra: Margherita Hack inaugura l’Osservatorio Astronomico “G. Galilei” di Libbiano nell’Ottobre 1997. A destra: Franco Pacini all’inaugurazione del Centro Astronomico di Libbiano nell’Ottobre 2006, con il Sindaco di Peccioli Silvano Crecchi.

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Come si può facilmente intuire da quanto accennato in precedenza, è evidente che la AAAV ha ereditato una struttura preesistente potendo intervenire su certi aspetti ma dovendone inevitabilmente accettare altri ormai non modificabili.

Lungi pertanto dal volersi proporre come un esempio da seguire, ritengo offra spunti interessanti in merito ai diversi aspetti che riguardano la concezione, la realizzazione e la gestione di un Osservatorio Astronomico pubblico condotto da un gruppo di volenterosi astrofili. Per ognuno dei punti che si è ritenuto di trattare nella presente relazione, viene illustrata – a semplice titolo esemplificativo - l’esperienza della AAAV presso il Centro Astronomico di Libbiano, con l’intento di fornire uno spunto per un dibattito tra gli ospiti intervenuti finalizzato a confrontare le esperienze comuni ricavandone indicazioni utili per tutti, relatore compreso.

Per quanto riguarda il sottoscritto, quella della AAAV è la seconda esperienza di costituzione e conduzione di un gruppo di astrofili, preceduta dalla fondazione della AAT (Ass.ne Astrofili Tethys, tuttora esistente) a Rivanazzano (PV) nel marzo del 1987.

Le due esperienze citate e la frequentazione più o meno assidua di altri Osservatori e di iniziative simili, mi ha portato alla convinzione che nella gestione di strutture di questo tipo ci siano:

□ pochi ma fondamentali principi comuni che devono essere seguiti (pena il disfacimento del gruppo);

□ innumerevoli elementi variabili da valutare accuratamente caso per caso, come avremo modo di costatare più avanti.

Sottolineo che molti dei concetti che seguono sono espressione del convincimento personale dell’autore e non hanno assolutamente la pretesa di proporsi come “verità”, bensì come spunti di discussione comune. UBICAZIONE E MODALITA’ DI UTILIZZO DELLA STRUTTURA

Uso il termine “struttura” perché in molti casi non è presente solo l’Osservatorio Astronomico ma anche locali annessi con svariate funzioni. Il Centro Astronomico di Libbiano – ad esempio - è composto dall’Osservatorio Astronomico “Galileo Galilei” e da una piccola ex scuola appositamente ristrutturata che funge da Centro Didattico attrezzato con sala conferenze e Planetario.

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A meno di non essere finanziariamente indipendenti, è difficile che si possa essere completamente liberi nella scelta dell’ubicazione: se un Comune è disposto ad appoggiare una iniziativa, è quantomeno ovvio che l’impianto venga collocato nell’ambito del territorio di pertinenza.

In linea di principio, ritengo che la scelta dell’ubicazione debba essere fatta in funzione delle modalità di utilizzo della struttura, peraltro da definire a priori e con estrema chiarezza nei confronti dell’ente (spesso una Amministrazione Comunale) disposta a sostenere economicamente l’iniziativa: prima di decidere dove vogliamo collocare un Osservatorio è quindi opportuno essere consapevoli del tipo di attività che vi dovrà essere praticata, anche per evitare la sgradevole situazione nella quale non si riesca a mantenere quanto promesso in fase di richiesta di un finanziamento.

Certamente un telescopio collocato in cima ad una montagna gode di un seeing ottimale, ma è necessario considerare che maggiori sono le difficoltà e più lunghi i tempi di percorrenza per raggiungere l’Osservatorio, minore sarà la frequentazione non solo da parte dei visitatori (in particolar modo delle scuole), ma anche da parte di chi deve ragionevolmente gestire la struttura: non dimentichiamoci infatti che iniziative del genere non sono condotte da professionisti ma da volenterosi astrofili che devono trovare spazio per la loro passione per il cielo in aggiunta a lavoro, famiglia e impegni della vita di tutti i giorni.

A questo proposito va sottolineato come la moderna tecnologia digitale e i filtri di ultima generazione consentano di contenere in maniera più che significativa molti dei disturbi legati all’inquinamento luminoso che solo poco tempo fa non erano così ben gestibili. Attualmente ritengo valga molto di più una sapiente tecnica di ripresa che non una postazione estrema, quantomeno in relazione ai possibili tempi di utilizzo: a titolo di lampante esempio, mi permetto di citare il caso di Gimmi Ratto (attualmente socio della AAAV) che dal suo osservatorio privato collocato in postazione sì isolata, ma con vista sulle luci della città di Pisa riesce a riprendere immagini di indiscutibile pregio ed effetto.

Da evidenziare come le nuove realizzazioni in aree dedicate possano più facilmente avvalersi delle varie “Leggi e Regolamenti Regionali” che tutelano le Stazioni Astronomiche relativamente all’inquinamento luminoso. Evidenti motivi di opportunità e di pacifica convivenza ci hanno consigliato di chiederne il rispetto delle disposizioni unicamente per le realizzazioni successive all’inaugurazione dell’Osservatorio.

Il Centro Astronomico di Libbiano è situato sulle colline della Toscana, nel Comune di Peccioli che ne è proprietario. Adiacente al caratteristico

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borgo di Libbiano, è raggiungibile in un quarto d’ora dal centro abitato di Peccioli, in 30 minuti dalla più vicina uscita della superstrada Firenze – Pisa – Livorno e in circa 40 minuti da Pisa, capoluogo della provincia. Il rapporto tra seeing e possibilità di raggiungere comodamente la struttura è più che buono, come testimoniato dall’affluenza alle attività praticate, ovvero: - incontri quindicinali a tema aperti al pubblico; - osservazioni pubbliche serali (3 al mese); - incontri con le scuole (lunedì e sabato, 4 volte al mese).

L’Osservatorio “Galileo Galilei” presso il Centro Astronomico di Libbiano LA SCELTA DELLA STRUMENTAZIONE

La strumentazione collocata nell’Osservatorio “G. Galilei” di Libbiano è stata scelta sulla base di due fondamentali parametri: - le modalità di utilizzo della struttura, così come illustrate nel paragrafo precedente; - le disponibilità finanziarie messe a disposizione dal Comune di Peccioli;

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con l’intento di risultare possibilmente versatile e completa, in relazione all’impiego sia per la didattica che per la ricerca in campi a priori non specialistici.

In un primo momento si era optato per un Ritchey Chretien da 60 cm di apertura, ma in questo caso le disponibilità sarebbero state quasi totalmente assorbite dal telescopio principale che non avremmo potuto accessoriarlo adeguatamente. L’apertura del Ritchey Chretien è stata conseguentemente contenuta negli attuali 50 cm.

Di seguito è descritta in dettaglio la strumentazione di cui è dotato il Centro Astronomico di Libbiano. □ telescopio principale: riflettore Ritchey-Chretien da 500mm di apertura,

f/8 e f/6 (realizzazione Marcon);

□ in parallelo al principale, rifrattore apocromatico A&M da 180mm, f/9;

□ CCD principale Finger Lakes FLI IMG con sensore Kodak KAF 1001E classe 1, 1024 x 1024 pixels;

□ CCD di guida Starlight SXVF-H5;

□ ruota portafiltri a 7 posizioni Finger lakes FLI;

□ telecamera Lumenera e webcam Toucam;

□ spettrografo autocostruito (prisma di Littrow);

□ Coronado Solarmax 60 in cella da 180mm per rifrattore apocromatico;

□ Planetario Go-To Ex 3 / Sala attrezzata per proiezioni e lezioni.

□ Software: Maxim DL, The Sky, Robofocus

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Nell’immagine, entrambi telescopi preparati per la ripresa del transito del pianeta extrasolare XO-2b del 21 dicembre 2007. I CCD sono entrambi in posizione: il FLI al fuoco diretto del Ritechey-Chretien per riprendere la sequenza di immagini, lo Starlight SXVF-H5 al fuoco diretto del rifrattore apocromatico come autoguida.

Per quanto ovvio i due telescopi (riflettore e rifrattore apocromatico) si

completano a vicenda per l’osservazione e la ripresa di qualsiasi tipologia di oggetto celeste. Con gli accessori in dotazione è possibile rendere molto interessanti le serate di osservazione pubblica. Particolarmente apprezzato dalle scolaresche in visita al Centro Astronomico di Libbiano, il filtro Coronado con il quale si rendono visibili protuberanze e filamenti solari.

Gli accessori di base sono stati acquistati per rendere operativi in maniera genericamente soddisfacente i due telescopi, adattandoli alle attività che si è via via deciso di intraprendere: notevole e di soddisfazione – ad esempio – il lavoro di fotometria svolto sui pianeti extrasolari.

Altri accessori sono stati invece acquisiti per seguire e assecondare particolari interessi manifestati da alcuni componenti della Associazione, come la telecamera Lumenera e lo spettrografo. Ritengo infatti fondamentale valorizzare interessi del genere che portano poi quasi sempre

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a risultati di prestigio per il gruppo. Molto funzionale la creazione di apposite Sezioni, ognuna coordinata dal proprio Responsabile.

E’ seguendo questo principio che stiamo attualmente predisponendo il controllo remoto dell’Osservatorio e la stabilizzazione del sistema per trasmettere dirette web. RUOLI DELLE PERSONE E GESTIONE DELLA STRUTTURA

E’ questo un argomento della massima importanza per la conduzione di una struttura pubblica, come il Centro Astronomico di Libbiano. Un sodalizio che non ha impegni di carattere pubblico può tranquillamente evitare di regolamentarsi: eventi di carattere negativo possono – nella peggiore delle ipotesi – portare allo scioglimento del sodalizio.

LO STATUTO

Quando sussistono impegni e rapporti di carattere pubblico, ritengo assolutamente indispensabile dotarsi di uno STATUTO che stabilisca in maniera molto chiara ed univoca:

□ i principi morali del gruppo; □ le sue attività e finalità; □ i ruoli, i doveri e le facoltà delle persone che compongono un

eventuale Direttivo, del Direttivo stesso e dell’Assemblea; □ gli atteggiamenti che comportano inevitabilmente l’allontanamento

dal sodalizio, in quanto non compatibili con le sue finalità o con i suoi regolamenti.

Vale sempre il principio che servono anni per costruire e consolidare

delle realtà con fatica, impegno e dedizione, mentre un comportamento o un atteggiamento non appropriato tenuto pubblicamente può vanificare il tutto in un attimo. E chi si trova a gestire pubblicamente le attività della Associazione ne deve essere sempre ben consapevole.

Regolamenti interni

Nel caso del Centro Astronomico di Libbiano ci troviamo anche ad utilizzare strumentazione di proprietà del Comune che ci ospita e che ci

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sostiene, dovendone responsabilmente rispondere alla Amministrazione di pertinenza. Si è pertanto ritenuto indispensabile dotarci anche di un REGOLAMENTO INTERNO PER L’UTUILIZZO DELL’OSSERVATORIO ASTRONOMICO, che definisce – sempre con la massima chiarezza – chi può accedere all’osservatorio e con quali modalità ne possa usufruire. Ritengo molto importante che tutta l’attività svolta in osservatorio sia sempre documentata con appositi verbali che devono essere redatti a fine sessione da un Responsabile del lavori.

Per quanto ovvio, l’utilizzo dell’Osservatorio è consentito a chi ne abbia la necessaria competenza. Allo scopo di: prevenire, con adeguata preparazione, ogni possibile danno alle

apparecchiature; pervenire ad un uso corretto e proficuo della strumentazione; offrire al pubblico una immagine il più competente possibile della

AAAV; la conduzione delle sessioni di lavoro della AAAV in qualità di responsabile è affidata unicamente a quei Soci Effettivi:

□ che abbiano conseguito l'apposita "ABILITAZIONE ALLA CONDUZIONE DELL'OSSERVATORIO" rilasciato a seguito del superamento di un Test teorico, tecnico e comportamentale di base;

□ che – dopo aver superato il predetto Test – pratichino un periodo di affiancamento di almeno 10 sessioni di lavoro come Corresponsabile.

Al fine di evitare di operare su procedure o strumentazione non

conosciuta, il responsabile che per un anno non frequenta i lavori perde tale qualifica ed è tenuto a ripetere il Test.

Il “REGOLAMENTO INTERNO PER L’ORGANIZZAZIONE DELLE

ATTIVITA’” ha invece il compito di coordinare le mansioni che possiamo definire di routine ma che sono indispensabile per la continuità della vita del gruppo:

predisporre e divulgare il calendario delle Riunioni Sociali, predisporre il calendario delle aperture pubbliche dell’Osservatorio

Astronomico; redigere i documenti contabili e le relazioni per il Comune…. ecc.

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Ritengo fondamentale che Statuto e regolamenti vari debbano essere discussi e approvati in accordo – quando finalmente condivisi – dalle istituzioni previste (di norma il Direttivo, composto dalle persone maggiormente coinvolte – per scelta - nelle attività del sodalizio). Una volta approvato, un documento diventa regola per tutti: in particolar modo per il presidente che deve dare il buon esempio.

E’ fondamentale essere consapevoli che iniziative di questo genere si fondano sul rispetto della parola data, e che la parola data è una scelta finché non viene espressa: poi è un impegno nei confronti delle altre persone che condividono una bellissima “avventura” tra le stelle, e non può e non deve venir meno se non – ovviamente – per cause di forza maggiore.

Molto spesso (e fortunatamente anche nel caso della AAAV) tra le persone più attive si instaura un rapporto di amicizia e di rispetto. Non dimentichiamo inoltre che il tempo impiegato per una attività di questo genere si somma agli impegni familiari, personali e di lavoro senza alcuna remunerazione se non la soddisfazione per i riconoscimenti ed risultati ottenuti.

Il rispetto dello Statuto e dei regolamenti deve pertanto essere interpretato con la massima elasticità: il ricorso a questi documenti nei confronti di un socio è da evitare il più possibile, anche perché rappresenta sempre un momento difficile e delicato nella vita di un sodalizio. Certamente però, di fronte ad atteggiamenti che possano evidentemente costituire un pericoloso precedente o mettere a rischio le attività e l’esistenza del gruppo, è assolutamente necessario agire con decisione e compattezza a tutela sia della Associazione che dei suoi componenti.

Per chi fosse interessato a prenderne visione, Statuto e Regolamenti in vigore presso la AAAV sono disponibili in allegato (anche in formato pdf).

Polizza di Assicurazione

Per operare nella massima tranquillità, si è ritenuto opportuno stipulare

apposita polizza assicurativa che ci tuteli nei limiti consentiti per danni alle apparecchiature e alle persone.

RAPPORTI CON L’AMMINISTRAZIONE COMUNALE

Fondamentale anche in questo caso la massima chiarezza. Il Centro Astronomico di Libbiano è stato concesso in Gestione alla AAAV da parte

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del Comune di Peccioli stipulando una convenzione che ben definisce diritti e doveri per entrambe le parti.

Per quanto ovvio, la AAAV è tenuta a presentare per ogni esercizio solare il relativo Consuntivo delle attività e Rendiconto Economico, unitamente al preventivo per l’esercizio a venire in modo che l’Amministrazione Comunale possa valutare in merito alla concessione di apposito contributo.

IMPORTANZA DELLA VISIBILITA’ DEI RISULTATI OTTENUTI

Nell’ambito della conduzione delle attività di una Associazione come la

AAAV, ritengo che divulgare e far conoscere i risultati sia importante quanto averli ottenuti, se non addirittura di più. Ovvio che questa considerazione è da relazionare alla volontà di qualificare il gruppo, costringendosi anche al confronto con altre realtà simili.

Inutile sottolineare quanto sia importante portare i riscontri ottenuti a conoscenza della Amministrazione Comunale.

Altrettanto importante la legittima soddisfazione personale di ognuno quando il proprio lavoro viene pubblicamente apprezzato da chi è competente del settore.

In questa ottica si sviluppano tutte le iniziative intraprese dalla AAAV, con una particolare attenzione rivolta: alla divulgazione; alla documentazione dei risultati ottenuti e degli eventi organizzati

(anche per la creazione di un archivio dati storico); alla possibilità di pubblicare i propri lavori, mettendo sempre in

evidenza i nomi delle persone che hanno contribuito al raggiungimento dei risultati.

I risultati ottenuti e il materiale pubblicato costituiscono a mio avviso

una delle motivazioni più importanti per l’impegno nei programmi a venire.

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Alberto Villa

1° AGOSTO 2008: ECLISSE TOTALE DI SOLE

Appunti sui criteri di organizzazione di un viaggio all’inseguimento

del “sole nero” e preparazione delle riprese fotografiche tradizionali e digitali

INTRODUZIONE

L’eclisse totale di Sole è sicuramente uno degli eventi astronomici più affascinanti, emozionanti e coinvolgenti. Non credo che ci sia spettacolo celeste di pari spettacolarità e intensità.

Nel 1998 mi sono recato ad Aruba (Antille Olandesi) per osservare la mia prima eclisse totale di Sole, che si verificava il 26 febbraio. Su una delle spiagge più belle del mondo, nei giorni precedenti l’evento ho incontrato Fred, un astrofilo australiano.

Ne è nata una simpatica conversazione, e confidandogli che per me era “la prima volta”, ho sgranato gli occhi quando mi sono sentito rispondere con orgoglio che per lui era l’undicesima eclisse totale: non capivo il motivo e la necessità di vederne così tante. Due giorni dopo, quando a causa di una emozione mai provata di fronte a un evento naturale ho rischiato di non riuscire a scattare neppure una fotografia, ho compreso cosa voleva dire l’amico Fred. Avendone la possibilità, mi sono ripromesso di non mancare all’appuntamento con il “sole nero”, sognando di poter un giorno raccontare a qualcuno la mia emozione per aver vissuto più volte la magia di questo evento.

Immagini della totalità dell’eclisse in Siberia, 1° agosto 2008

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Dopo Aruba, è stata la volta di Graz (Austria) nel 1999. Quindi l’eclisse anulare nel 2005 a Formentera. Ancora la fantastica esperienza del marzo 2006 per l’eclisse totale in pieno deserto libico, per concludere con la recente avventura in Siberia per l’evento del 1 agosto 2008, nell’ambito di un viaggio appositamente organizzato dalla UAI (Unione Astrofili Italiani). Ogni eclisse totale è unica, irripetibile e indimenticabile: soprattutto se – come accaduto in Austria e in Siberia – le condizioni meteo sono incerte fino all’ultimo momento. Le immagini delle eclissi riprese dall’autore sono presentate a corredo di una relazione finalizzata ad illustrare i seguenti aspetti legati al fenomeno, vissuti in prima persona nelle varie esperienze:

la scelta del sito osservativo; come documentarsi sulle previsioni meteo; come si leggono le tabelle riferite all’evento; come fotografare e cosa fotografare durante una eclisse totale

di Sole; organizzazione, preparazione e prove della strumentazione

necessaria; organizzazione, preparazione e prove dei programmi di

ripresa. Il tutto con una particolare attenzione alle problematiche connesse alle

riprese effettuate con strumentazione digitale.

COME SCEGLIERE IL SITO DI OSSERVAZIONE

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Fig. 1 – Mappa dell’eclisse anulare di Sole del 3 ott. 2005

Al verificarsi di una eclisse totale di Sole, il luogo in cui recarsi per osservare l’evento deve essere scelto nell’ambito della fascia di totalità tenendo in considerazione – a parità di altre condizioni - i seguenti aspetti:

l’aspetto logistico del viaggio se la fascia della totalità attraversa diverse località raggiungibili, va ovviamente tenuto in considerazione anche l’aspetto turistico. Il viaggio per osservare l’eclisse diventa anche un momento culturalmente interessante o di svago in relazione ai luoghi visitati. Il mezzo di trasporto prescelto (aereo, nave o auto) condiziona certamente il tipo di strumentazione da trasportare: aspetto da non trascurare assolutamente per avere a disposizione comunque un set di apparecchiature completo per il risultato che ci si propone di raggiungere.

il tipo di osservazione (visuale o fotografica) che si vuole effettuare nel caso si voglia osservare solo visualmente, è infatti possibile optare anche per siti in mare aperto (crociera) privilegiando al caso zone particolarmente favorite dal punto di vista metereologico. Volendo fotografare l’eclisse, diventa indispensabile una postazione sulla terra ferma.

le previsioni meteorologiche il viaggio deve essere normalmente organizzato con parecchio anticipo sulla data dell’evento, e pertanto non è solitamente possibile basarsi su previsioni meteo dell’ultim’ora. La scelta del luogo di osservazione viene pertanto effettuata – da questo punto di vista – affidandosi a previsioni metereologiche statistiche elaborate su dati raccolti anno dopo anno, riferite alla stessa località. Questo tipo di previsione non è attendibile in senso assoluto (in una località dove c’è il 70% di giornate serene può sempre piovere se si cade nel restante 30% di giornate, e viceversa), ma forniscono una percentuale attendibile sulla effettiva probabilità di osservare l’eclisse. Quando mi sono recato in Austria per l’eclisse totale del 11 agosto 1999, pur scegliendo una località con buone previsioni meteo per il

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periodo (Graz), nella giornata dell’eclisse sì è sviluppato un fronte occluso molto raro per la stagione che mi ha obbligato a montare il telescopio sotto la pioggia. Il tempo però è poi migliorato proprio nelle zone contraddistinte dalle previsioni statistiche migliori, consentendo (ma solo in quella zona dell’Austria) la ripresa dell’evento.

la durata dell’eclisse la durata massima dell’evento si ha nel punto centrale dell’eclisse stessa, dove il Sole viene anche a trovarsi alla massima altezza sull’orizzonte. Le eclissi non hanno tutte la stessa durata massima, in quanto questo valore dipende dalla magnitudine dell’evento (rilevabile tra i vari dati che descrivono il fenomeno).

MAGNITUDINE ASSOLUTA DELL’ECLISSE CENTRALE DI SOLE

La magnitudine dell’eclisse centrale, esprime il rapporto tra il diametro della Luna e quello del Sole nel momento in cui avviene l’evento. La Luna ruota intorno alla terra su un’orbita ellittica e pertanto la sua distanza dalla Terra è variabile: ne consegue che sono pure variabili le sue dimensioni apparenti osservate dalla Terra. Per quanto ovvio appare più piccola quando è più lontana, e più grande quando è più vicina alla Terra.

Per una coincidenza davvero singolare, le sue dimensioni variano in modo tale che la luna appare: leggermente più grande del Sole quando si trova entro una certa

distanza dalla terra: se l’eclisse centrale si verifica in queste condizioni appare come totale in quanto il disco lunare copre interamente il Sole. Considerando che il disco lunare scorre su quello de Sole sempre alla stessa velocità, appare evidente che più è grande (vicina) la Luna, più dura l’eclisse: la durata dell’eclisse totale è direttamente proporzionale alla magnitudine che la contraddistingue.

leggermente più piccola del Sole quando si trova oltre una certa

distanza dalla terra: se l’eclisse centrale si verifica in queste condizioni appare come anulare in quanto il disco lunare non riesce a coprire interamente il Sole. In questo caso, più è piccola (lontana) la Luna più dura l’eclisse: la durata dell’eclisse anulare è inversamente proporzionale alla magnitudine che la contraddistingue.

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Se l’evento centrale si verifica proprio quando la Luna ha le stesse dimensioni del Sole, allora l’eclisse sarà ibrida ed avrà durata praticamente istantanea in quanto i disco del nostro satellite – che durante l’evento scorre lentamente su quello del Sole – determinerà la totalità nel solo istante di perfetta sovrapposizione. In questo caso la magnitudine dell’eclisse sarà uguale a 1 (il disco della Luna ha esattamente le stesse dimensioni di quello del Sole).

Fig. 2 – Eclisse totale

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Fig. 3 – Eclisse anulare

Fig. 4 – Eclisse ibrida

Per stabilire la durata dell’evento nel punto di osservazione prescelto, bisogna interpretare correttamente le cartine che vengono appositamente elaborate.

La fascia che corre sul suolo terrestre delimita la zona nella quale l’eclisse è visibile come totale (o anulare), e viene normalmente chiamata fascia della totalità (anularità).

Le linee parallele all’interno di tale fascia uniscono i punti di uguale durata dell’eclisse: come si può notare, a parità di tempo dell’eclisse (segmenti perpendicolari alla Central Line) la durata dell’eclisse è massima sulla Central Line e decresce avvicinandosi ai bordi della fascia di totalità; al di fuori dei bordi, l’eclisse non sarà più osservabile come totale, ma diventerà parziale. Le tabelle riportate in corrispondenza di ogni segmento perpendicolare, riassumono i dati dell’eclisse riferiti a quella posizione:

l’orario espresso in tempo universale; la durata dell’eclisse; l’altezza del Sole sull’orizzonte

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Fig. 5 – Una delle tavole che descrivono l’eclisse totale di Sole del 1 agosto 2008

l’altezza del sole sull’orizzonte al momento dell’osservazione; il dato è rilevabile dalle tabelle come si è appena descritto. E’ un fattore importante perché, in caso di un cielo con nubi sparse e sprazzi di sereno, per un semplice fattore prospettico più ci alziamo sull’orizzonte maggiori sono le probabilità di poter osservare in aree libere da nubi.

FOTOGRAFIA DELL’ECLISSE TOTALE DI SOLE

Per quanto riguarda le fasi di parzialità, l’osservazione del fenomeno richiede sempre l’uso degli appositi filtri. Ma le condizioni di osservazione cambiano completamente qualche attimo prima che inizi la totalità. Infatti in questo momento non solo si può, ma si deve togliere il filtro solare, per poter seguire le fasi più affascinanti di questo evento. Nei pochi minuti di totalità si possono osservare eventi tanto emozionanti quanto rapidi e sfuggenti nel loro evolversi. Per questo motivo è necessaria una buona preparazione teorica che – già sapendo cosa dovrà accadere e cosa potremo vedere – ci consentirà di gustare appieno l’evento, durante il quale appariranno dettagli del Sole mai visibili in condizioni normali, ovvero:

l’Anello di Diamante (fig. 7); i grani di Bailys (fig. 8);

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la cromosfera (fig. 9); le protuberanze (fig. 9); la corona solare (fig. 10); il cielo stellato in pieno giorno.

CON FILTRO SENZA FILTRO CON FILTRO

Fig.6 – Sequenza immagini dell’eclisse totale di Sole.

Fig. 7 – L’anello di Diamante

Fig: 8 – I grani di Bailys

Fig. 9 – Cromosfera e protuberanze

Fig. 10 – Corona solare

Per quanto riguarda la fotografia di una eclisse totale, le condizioni di ripresa cambiano drasticamente nel momento in cui bisogna togliere i filtri: ci si trova infatti ad operare su un soggetto con caratteristiche di luminosità

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uniche che non è possibile simulare per effettuare delle prove prima di vivere in diretta l’evento.

Ricordiamo inoltre che la totalità dura pochissimi minuti nei quali gli eventi da riprendere, come abbiamo visto in precedenza, sono molteplici.

L’eclisse totale di Sole è senza dubbio il soggetto astronomico più difficile da riprendere, in quanto ci si gioca tutto nei pochi minuti della totalità senza possibilità di rimediare ad eventuali errori o contrattempi. Anche la galassia più elusiva da fotografare, in caso di insuccesso può infatti essere rifotografata in date successive.

Le stesse comete ci mettono a disposizione più serate per la documentazione del loro passaggio. Nel caso di una eclisse totale, non esiste possibilità di replica.

Per questo motivo la ripresa deve essere preparata con particolare cura ed attenzione. Le tabelle riportate di seguito sono di particolare aiuto per quanto concerne:

le ottiche da utilizzare; i tempi di posa per le pellicole tradizionali.

Fig. 11 – Tabella delle dimensioni del disco solare sul negativo tradizionale (pellicola) in funzione della focale utilizzata. Per le camere digitali può essere necessario correggere il dato (v. testo).

Nella fig. 11, a fianco di ogni possibile focale compresa tra i 28 e i

2500mm, vengono indicati l’ampiezza del campo inquadrato (in gradi) e le dimensioni del disco solare sulla pellicola tradizionale (in mm). Si può

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ottenere quest’ultimo dato anche dividendo il valore della lunghezza focale (mm) per 109.

Per la fotografia digitale, il valore riportato in figura potrebbe richiedere una correzione secondo un particolare fattore di moltiplicazione caratteristico di ogni fotocamera (ad es. per la Canon 20D tale fattore è 1,6: in questo caso il disco solare fotografato con un 105mm, avrà un diametro di 1,6 mm sul sensore).

La figura 12 rende con immediatezza visiva il concetto appena illustrato. Ci si rende conto come focali diverse servono ad evidenziare aspetti diversi del fenomeno: dovremo ad esempio utilizzare un ingrandimento più elevato per fotografare le protuberanze, mentre l’ingrandimento dovrà essere molto meno spinto per riuscire ad inquadrare tutta la corona solare.

Fig. 12 – Dimensioni del disco solare sul negativo tradizionale (pellicola) in relazione alla lunghezza focale impiegata

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Fig. 13 – Tempi di posa corretti da utilizzare nelle varie fasi dell’eclisse di Sole

In fig. 13 vengono invece esposti i tempi di posa corretti da utilizzare per ogni singolo aspetto che l’eclisse presenta. La formula che fornisce il tempo di posa corretto tiene in considerazione:

la luminosità del soggetto da riprendere (Q); la sensibilità della pellicola usata (I = ISO); il rapporto focale f/ (più è basso, più l’ottica è luminosa)

Per quanto ovvio ne consegue che il tempo di posa calcolato sarà: direttamente proporzionale a f/ (meno luminosa è l’ottica, più

sale il tempo di posa)

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inversamente proporzionale a I e a Q (più e sensibile la pellicola e più è luminoso il soggetto, e più si abbrevia il tempo di posa).

Per meglio comprendere come debba essere impostato un programma di

ripresa fotografica, nella tabella che segue viene indicata la cronologia dei vari eventi che l’eclisse totale presenta, con l’indicazione (durata) del lasso di tempo che abbiamo a disposizione per fotografarli.

FASE / EVENTO DURATA NOTE

Parzialità in ingresso oltre 1 ora con il filtro

Anello di Diamante in ingresso

pochi secondi, prima della totalità

senza filtro

Grani di Baily in ingresso pochi secondi, prima della totalità

Cromosfera durante la totalità “ Protuberanze “ “ Corona solare “ “ Cielo stellato “ “ Grani di Bailys in uscita pochi secondi, dopo la

totalità “

Anello di Diamante in uscita

pochi secondi, dopo la totalità

Parzialità in uscita oltre 1 ora con il filtro

E’ importante considerare che cromosfera, protuberanze e corona solare

(più o meno estesa) sono sempre presenti e coesistono durante tutta la fase di totalità: sono i tempi di posa differenti che mettono in evidenza un elemento piuttosto che l’altro.

Altro elemento visibile durante la totalità è il cielo stellato, che richiede però l’utilizzo di ottiche dedicate a largo campo: in questo caso non è infatti importante ingrandire l’immagine dell’eclisse, ma riuscire ad inquadrare la più ampia porzione possibile di cielo. Considerando che durante la totalità non si raggiunge mai l’oscurità della notte, per riprendere questo aspetto è consigliabile utilizzare un grandangolo luminoso, collocato su cavalletto.

Un 28mm – ad esempio – può esporre anche fino a 30 secondi in postazione fissa (senza motore d’inseguimento) mantenendo puntiformi le

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immagini delle stelle. Con le pellicole di sensibilità elevata attualmente disponibili, questo tempo di posa è più che sufficiente per ottenere immagini d’effetto. Prestazioni ancora più spinte si possono ottenere con le fotocamera digitali.

FOTOGRAFIA TRADIZIONALE E FOTOGRAFIA DIGITALE

La ripresa dell’eclisse può essere effettuata sia con tecniche tradizionali (pellicola) che con la nuova tecnologia digitale.

Per quanto riguarda la pellicola, la tabella dei tempi di posa precedentemente esaminata è di enorme aiuto e garantisce ottimi risultati per quanto concerne la corretta durata delle esposizioni. Usando la pellicola non è però possibile vedere le immagini riprese in tempo reale. E’ quindi necessario controllare tutti gli altri parametri con grande attenzione ad evitare – per esempio – di aver ripreso con tempi corretti immagini sfuocate!! Nel momento in cui ce ne accorgiamo, non si può ovviamente fare più nulla.

Se si opera con la digitale, bisogna considerare che ogni sensore ha le proprie caratteristiche e pertanto la tabella tempi già esaminata va disattesa. Al contrario - come già accennato - le condizioni che si verificano durante la totalità non sono riproducibili in nessun modo e pertanto è impossibile effettuare prove prima di vivere in diretta l’evento. Con un pò di sperimentazione e riferendosi alla già citata tabella tempi, si possono ricavare dei valori di esposizione che non si discostano troppo quelli che si riveleranno poi corretti. La fotografia digitale ha però il grosso vantaggio di poter visionare immediatamente l’immagine ripresa, consentendoci di modificare in tempo reale i parametri utilizzati.

****************

Appare a questo punto evidente la complessità delle operazioni da

eseguire in un tempo così breve come i pochi minuti che la totalità ci concede per fotografare eventi molteplici, che oltretutto richiedono tempi di posa e focali differenti. Per cimentarsi nella ripresa di una eclisse totale di Sole è fondamentale ed indispensabile curare con molta attenzione i seguenti aspetti :

l’organizzazione del lavoro che si vuole eseguire; una preparazione molto curata della strumentazione;

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effettuare prove simulate delle operazioni da svolgere durante la fase di totalità.

COME ORGANIZZARE LE RIPRESE FOTOGRAFICHE

L’attività fotografica da svolgere durante l’eclisse non può certamente essere improvvisata, e deve essere preparata con particolare attenzione, soprattutto per come ci si dovrà muovere durante la totalità.

Bisogna innanzitutto predisporre un elenco di tutte le operazioni da effettuare per preparare la strumentazione (messa a fuoco, pellicole / flash cards, batterie, collegamenti elettrici, filtri, ecc...): ogni particolare deve essere verificato prima che cominci l’eclisse.

E’ molto importante preparare una scaletta con la sequenza degli scatti programmati e dei relativi di tempi di posa (e comunque comprensiva di ogni manovra da effettuare). Dovremo tenere questa scaletta a portata di mano seguendola scrupolosamente nei momenti cruciali. Nei pochi minuti di totalità infatti la concentrazione sulla strumentazione è massima e non c’è assolutamente tempo per pensare a quali immagini riprendere: tutto deve già essere pianificato.

Bisogna anche considerare che assistere per la prima volta ad una eclisse totale di Sole può provocare emozioni molto forti, in grado di pregiudicare la concentrazione necessaria per riuscire a documentare l’evento. Mi è accaduto personalmente ad Aruba, in maniera veramente inaspettata: essere consapevoli di questa eventualità aiuta moltissimo a superare il momento di forte emozione.

Il programma di ripresa può essere approntato per un singolo operatore o per un gruppo: ovviamente l’impostazione sarà molto diversa.

Nel caso di un singolo operatore, bisogna rendersi conto che non sarà possibile riprendere tutti gli aspetti che l’eclisse totale presenta: nei pochi minuti di totalità non è verosimilmente possibile pretendere di cambiare ottiche e pellicole. Sarà necessario fare delle scelte a priori concentrandosi sugli aspetti ritenuti più interessanti ed organizzando le riprese in tal senso.

Nel caso di un gruppo ben affiatato, ci si può invece organizzare in maniera tale che ogni operatore si dedichi a determinati aspetti del fenomeno, riuscendo così ad ottenere alla fine una documentazione completa dell’evento (senza escludere – per esempio – anche una ripresa filmata).

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Per garantire un buon risultato finale e soprattutto per evitare sorprese sgradevoli, è molto importante cercare di prevedere qualsiasi inconveniente ritenuto possibile. Il verificarsi di un imprevisto non ci deve mai cogliere di sorpresa, ma dovremo sempre essere pronti ad intervenire velocemente mettendo in atto soluzioni già preparate e memorizzate.

Nella più sfortunata delle ipotesi – è cioè nel caso in cui qualcosa ci impedisca di seguire il programma fotografico che avevamo predisposto – non ci lasceremo prendere dallo sconforto del momento e cercheremo comunque di incamerare un risultato minimo, possibilmente di qualità: meglio poche immagini ben riuscite che tante non significative, o peggio nulla!!

MESSA A PUNTO DELLA STRUMENTAZIONE

Gli aspetti appena considerati circa l’organizzazione delle riprese fotografiche, ci fanno capire quanto sia importante la messa a punto della apparecchiature che dovremo utilizzare. Cercheremo di contenere al minimo la strumentazione anche in funzione del viaggio da affrontare, ma tutto quello che decideremo di portare con noi dovrà essere verificato in ogni sua parte sia per l’affidabilità che per l’efficienza. Controlleremo - ovviamente prima della partenza - che ogni componente funzioni correttamente. Anche in questo caso è opportuno preparare con discreto anticipo un elenco scritto:

di tutta la strumentazione che ci serve, ad evitare che nella

frenesia della partenza si possa dimenticare qualche accessorio fondamentale e poi non reperibile sul luogo dell’osservazione;

di tutte le manovre e i controlli da effettuare per preparare l’attrezzatura in modo che sia tutto veramente pronto per l’inizio dell’eclisse.

Questi accorgimenti possono apparire fuori luogo, ma sono dettati dall’esperienza e tengono conto anche dell’emozione che normalmente cresce più si avvicina il momento della totalità .

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Altro aspetto estremamente importante è la perfetta conoscenza delle apparecchiature che dovremo utilizzare: per ogni intervento da effettuare in momenti critici, è indispensabile sapere dove dobbiamo mettere le mani e quali manovre compiere. Durante la totalità non c’è sicuramente il tempo di consultare un libretto di istruzioni o di metterci a cercare una batteria che non riusciamo a trovare. Questo aspetto è da tenere in considerazione specie per quanto concerne il software delle fotocamere digitali, considerando altresì che la tecnologia digitale è piuttosto recente ed è stata sperimentata soltanto sulle ultime eclissi che hanno fornito le prime indicazioni utili, come di seguito illustrato.

PROVE DA EFFETTUARE PRIMA DI RIPRENDERE UNA ECLISSE DI SOLE

Oltre alla verifica di tutta la strumentazione cui si è precedentemente

accennato, volendo riprendere una eclisse centrale di Sole è molto consigliabile effettuare altri controlli che aumentano le nostre possibilità di ottenere buoni risultati. In particolare:

tempi di posa

La messa a punto è essenziale per le fotocamere tradizionali, per le quali non è possibile vedere l’immagine ripresa in tempo reale. Sia per la pellicola che per il digitale, si consiglia di effettuare le prove fotografando il Sole pieno con gli appositi filtri: per la pellicola saranno da utilizzare i tempi di posa indicati nella tabella riprodotta in precedenza. Per quanto riguarda le fotocamere digitali, una volta verificati i tempi ottimali per la ripresa del Sole “pieno” (validi anche per tutta la parzialità) si ricavano per confronto con la tabella dei tempi pellicola - matematicamente con una semplice proporzione - anche le esposizioni corrette per le fasi della totalità e per i vari dettagli (corona, protuberanze, cromosfera). L’esperienza maturata nel 2005, 2006 e 2008 mi ha consentito di ottenere immagini digitali ben calibrate con i seguenti tempi di posa, operando a f/5.6 e ISO 800:

Sole pieno / parzialità: 1/5000 sec. (con filtro Astrosolar); Anello di Diamante : 1/1000 sec; Cromosfera / Grani di Bailys: 1/8000 – 1/5000 sec;

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Protuberanze: 1/5000 – 1/1000 sec; Corona: 1/1000 (corona interna) – 1/15 sec (corona esterna)

vibrazioni

Le fotografie dell’eclisse, oltre ad essere scattate con tempi di

posa corretti, non devono evidenziare il cosiddetto “effetto mosso”, che può essere causato:

da tempi di posa corretti per la luminosità del soggetto, ma che

per il rapporto tra la sensibilità e l’ingrandimento utilizzati risultano troppo lunghi, così da evidenziare il moto apparente del Sole e della Luna. In questo si può intervenire:

ricorrendo ad una montatura equatoriale motorizzata (valutando la possibilità del trasporto e dell’alimentazione) che annulla il moto apparente degli astri;

abbassando il tempo di esposizione e incrementando di conseguenza il valore ISO utilizzato, e/o impiegando un’ottica più luminosa;

da cavalletti / montature troppo leggeri rispetto alla strumentazione che devono sostenere, così da risultare troppo sensibili ad elementi di disturbo quali il movimento dello specchietto della macchina fotografica in fase di scatto o una leggerissima brezza. Una volta verificato che non si stia esagerando con il carico della strumentazione, in questo caso non resta che procurarsi un cavalletto / montatura adeguati.

Questi tipo di messa a punto è essenziale sia per le fotocamere tradizionali che per le digitali.

Eseguibilità del programma fotografico preparato

Una volta soddisfatti tutti gli aspetti tecnici fin qui illustrati, sarà anche opportuno verificare che il programma fotografico messo a punto per la totalità (o anularità) sia compatibile con i tempi del fenomeno da riprendere (ricordiamoci che le eclissi centrali non hanno sempre la stessa durata nella fase culminante). E’ sufficiente simulare l’operatività programmata per renderci conto se stiamo lavorando in accordo con i tempi dell’evento. In caso contrario

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dovremo apportare delle variazioni al nostro programma, finché non otterremo il risultato voluto.

test finale

La prova integrale di tutto quello che ci siamo preposti di fare

nei pochi minuti della fase centrale diventa indispensabile per acquisire tutti gli automatismi che ci permetteranno di muoverci con sicurezza durante l’eclisse, mettendo anche in evidenza eventuali passaggi delicati o critici del programma di ripresa.

Si consiglia di provare più volte come se ci si trovasse

veramente davanti all’eclisse, fino a quando non ci si sentirà sicuri di ogni azione da effettuare.

Prove di questo genere sono ancora più importanti quando si

lavora in gruppo.

OSSERVAZIONE O FOTOGRAFIA?

E’ sicuramente una scelta da fare a priori. Certo la sola osservazione consente di gustare appieno il fenomeno sul momento senza essere distratti da altri impegni, ma non ci potrà dare la soddisfazione di qualche immagine scattata proprio mentre stavamo vivendo l’emozione dell’eclisse.

Anche chi decide di dedicarsi alla fotografia, difficilmente può rinunciare a qualche istante di osservazione: bisogna però fare in modo che lo strumento per l’osservazione sia a portata di mano senza rischiare in ogni modo di compromettere il programma di ripresa.

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APPENDICE

ECLISSE TOTALE DI SOLE DEL 1 AGOSTO 2008

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Come si può rilevare, l’evento è caratterizzato da magnitudine 1,0394 che comporterà una durata massima nel punto centrale d’eclisse di 2 minuti e 27,2 secondi (Greatest Eclipse). Come sito di osservazione del fenomeno si è optato la Siberia (Russia) e precisamente per la città di Barnaul, aderendo ad un viaggio appositamente organizzato dalla UAI (Unione Astrofili Italiani).

Fig. 15 – Mappa dettagliata della fascia di totalità in corrispondenza del luogo prescelto per l’osservazione.

Per quanto riguarda i tempi esatti dell’eclisse, si è osservata la seguente

cronologia:

EVENTO Tempo Universale Primo contatto (l’eclisse inizia): 09:44:57.3 Secondo contatto (Inizia la totalità): 10:47:31.0 Terzo contatto (fine della totalità): 10:49:46.6 Quarto contatto (l’eclisse finisce): 11:48:16.7

Altezza del Sole sull’orizzonte durante la totalità: 29°

Durata della totalità 2m 16s

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I L CIELO VISIBILE DURANTE LA TOTALITA’

In conclusione, in fig. 16 viene rappresentato il cielo osservato il 1

Agosto 2008 durante la fase di totalità. Oltre ai pianeti Venere, Mercurio, Saturno e Marte, compaiono anche le stelle più brillanti Vega, Capella e Arturo.

Fig.16 – Il cielo visibile durante la totalità.

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Fabio Zucconi

PROBLEMATICHE OTTICHE NELLA RILEVAZIONE DI TRANSITI DI PIANETI EXTRASOLARI

Durante la rilevazione di un transito di un pianeta extrasolare attraverso fotometria lo scopo è quello di misurare il calo di flusso luminoso della stella attorno alla quale orbita il pianeta. In un modello privo di qualsiasi problematica il risultato di una curva di luce della stella durante il transito studiato sarebbe quello mostrato in figura:

La realtà purtroppo si discosta parecchio da questa situazione per vari motivi, molti dei quali riguardano il passaggio della luce attraverso la nostra atmosfera TURBOLENZA ATMOSFERICA

La turbolenza atmosferica ha l’effetto di increspare i fronti d’onda della luce in arrivo dalla stella che entrano nel telescopio. Questi in assenza di atmosfera sarebbero fronti piani (per l’elevata distanza della sorgente luminosa) che generano un’esatta figura di diffrazione al piano focale (il famoso disco di Airy). Gli effetti di queste perturbazioni sul piano focale e sul risultato della curva di luce sono principalmente due: il primo è uno sparpagliamento della luce maggiore rispetto alla figura di diffrazione, questo fenomeno non va a incidere negativamente sul processo di rivelazione del transito perché non cambia il flusso luminoso totale della stella entrante nel tubo del telescopio. Il secondo effetto invece è noto come scintillazione atmosferica e consiste in una variazione della convergenza dei raggi luminosi in arrivo dalla stella, quindi una variazione della quantità di flusso entrante nel telescopio. Questo chiaramente andrà a creare una

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fluttuazione nel tempo della curva di luce e renderà più difficoltosa l’analisi della curva e la stima dei parametri del pianeta.

L’entità dell’azione della scintillazione atmosferica è molto difficile da valutare, varia con le condizioni atmosferiche, con l’altezza sul livello del mare e sul grado di equilibrio termico del telescopio e degli oggetti vicini, ci si può fare un’idea però della sua dipendenza da alcuni parametri con la formula empirica di Radu Corlan (dove con s si intende l’errore relativo del flusso):

1 75

0 660 09

2

.

S .

A.D t

Come è facile prevedere, le fluttuazioni di scintillazione atmosferica

nelle varie pose CCD aumentano con l’aumentare della massa d’aria (A) mentre diminuiscono con l’aumentare del diametro del telescopio usato (D) e con l’aumentare del tempo di integrazione (t) delle singole pose. ESTINZIONE ATMOSFERICA

Il modello sopra descritto prevede una totale trasmissione dei raggi luminosi nell’atmosfera, in realtà l’atmosfera è fatta da gas con una certa densità ottica perciò una parte della radiazione luminosa non riceverà il sensore e non sarà misurata generando il fenomeno dell’estinzione atmosferica. Ci proponiamo di capire come varia macroscopicamente il flusso luminoso ricevuto in funzione della massa d’aria.

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Immaginiamo l’atmosfera come un guscio di spessore R con uguale densità macroscopica in ogni tratto e una radiazione monocromatica di lunghezza d’onda che la attraversi. Questa è una grossa approssimazione perché sappiamo che l’atmosfera si dirada con l’aumentare della quota, ma non influisce in alcun modo sullo scopo prefissato cioè di capire la variazione di flusso luminoso, non quanto questo effettivamente sia. Se il raggio luminoso percorre un tratto l di atmosfera, il flusso ricevuto Lout si sarà abbassato di un fattore esponenziale come mostrato nella formula:

dove k è una costante, con le dimensioni di una lunghezza, che quantifica la distanza da percorrere per scalare il flusso di un fattore e-1. Considerando osservazioni fatte sempre con lo stesso telescopio, quindi una visuale sempre con la stessa sezione, la lunghezza l del tratto percorso in atmosfera dal raggio è direttamente proporzionale alla massa d’aria. Vediamo quindi la dipendenza del flusso entrante nel telescopio dalla massa d’aria (quindi dall’altezza sull’orizzonte) in un grafico.

Esempio di dipendenza esponenziale del flusso ricevuto a terra da una tella al variare della massa d’aria. I dati sono trattati per avere una costante spaziatura in massa d’aria. Il fit è fatto con l’esponenziale con k=5.7 (R)

In realtà nell’esempio precedente abbiamo trattato dei punti sperimentali ripresi al CCD con un fit di tipo esponenziale descritto sopra, ma questo non

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è corretto perché il nostro CCD è esposto a radiazione non monocromatica e ha una certa banda passante ovvero è sensibile a diverse lunghezze d’onda.

Il parametro k descritto prima è fortemente dipendente dalla lunghezza d’onda della luce. Per ora possiamo semplicemente trascurare il fenomeno considerando sorgenti con spettro a campana molto stretta, approssimabile a una delta di Dirac. Vedremo tra non molto che la dipendenza di k dalla lunghezza d’onda può avere ripercussioni drammatiche sulle curve di luce, specie su quelle molto protratte nel tempo per transiti lunghi. FOTOMETRIA DIFFERENZIALE

L’estinzione atmosferica ci garantisce che la curva di luce che otterremo da una stella durante un transito avrà ben poco a che fare con quella studiata nel modello fisico.

Un transito può durare diverse ore, inevitabilmente la stella cambierà altezza sull’orizzonte e di conseguenza le condizioni di massa d’aria producendo un risultato come quello visto in figura. Di per se questo non sarebbe un grosso problema perché conoscendo la dipendenza dell’angolo zenitale dal tempo, si potrebbe capire l’effetto dell’estinzione e rilinearizzare il grafico in un secondo tempo, ma bisogna considerare che nella durata del transito le condizioni di trasparenza del cielo possono anche

Esempio di curva di luce in funzione del tempo (XO-2 del 6 febbraio durante un transito). La curva è evidentemente di difficile interpretazione…

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solo leggermente calare per una leggera velatura nuvolosa creando una nuova variabile di difficile controllo.

Curva di luce (sempre XO-2 del 6 febbraio) trattata con il metodo della fotometria differenziale

La procedura della fotometria differenziale ci viene in aiuto per questi

problemi e ci permette di ottenere dei risultati utili cancellando quasi totalmente il problema dell’estinzione e della copertura nuvolosa. Il concetto alla base di questa procedura è questo: in ogni posa, oltre a ricavare il flusso entrante di XO-2, si ricava il flusso entrante di un’altra stella nelle immediate vicinanze. Si calcola il rapporto tra i due valori e si traccia questa variabile nella curva di luce.

L’estrema vicinanza delle due stelle fa in modo che il valore di massa d’aria sia praticamente lo stesso per le due stelle in ogni momento, per cui l’estinzione atmosferica si comporterà allo stesso modo nei due casi lasciando pressoché inalterato il rapporto. Anche il problema della copertura nuvolosa è risolto: se in una certa posa una nuvola blocca una certa percentuale di flusso di una stella, la stessa cosa farà con l’altra stella e il rapporto ancora una volta rimarrà inalterato.

La fotometria differenziale è utile se la stella di riferimento è il più possibile vicina a quella studiata e se non presenta una rilevabile variabilità, ovviamente si da per scontato che la stella di riferimento non subisca anche lei un transito di un pianeta extrasolare.

Dalla curva di luce così ottenuta, conoscendo il valore di flusso standard costante della stella di riferimento, si ricaverà il flusso della stella studiata. La fotometria differenziale, indispensabile per questo genere di studi, ha due importanti punti deboli: il primo riguarda il fatto che dobbiamo misurare il

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flusso a due stelle anziché una e combinare i risultati, cosa che aumenterà l’errore fotometrico, dato che la scintillazione atmosferica dobbiamo aspettarci che non sia correlata nei due casi. Con lo scopo di ottenere il minor errore fotometrico possibile, sarebbe utile sfruttare non una sola stella di riferimento, ma tutte quelle possibili nel campo, considerando sempre la distanza angolare dalla stella in esame e la loro stabilità, sommandone i flussi. In questo modo si possono mediare gli effetti di scintillazione sulle diverse stelle di riferimento e ottenere un minore errore di scintillazione. Il secondo problema riguarda il colore delle stelle e sarà trattato in dettaglio nel prossimo capitolo. DIFFUSIONE DELLA LUCE

Abbiamo già accennato al fatto che l’entità di estinzione atmosferica dipenda molto dalla lunghezza d’onda della radiazione considerata. Consideriamo un processo di fotometria differenziale (con una sola stella di riferimento) in cui la stella in esame e la stella di riferimento abbiano una classe spettrale diversa, perciò un colore diverso. Nella nostra approssimazione dobbiamo immaginarci lo spettro in arrivo da queste due stelle come due delta di Dirac centrate su valori diversi di lunghezza d’onda.

L’effetto dell’estinzione atmosferica sarà quello dato dalle equazioni scritte sopra, con due valori differenti di k associati a quelle particolari lunghezze d’onda. Non è facile determinare con esattezza la relazione che lega k alla lunghezza d’onda, ciononostante è sufficiente sapere che, essendo la diffusione il fenomeno predominante, questa fa si che k cresca al crescere della lunghezza d’onda.

In realtà le stelle hanno uno spettro di corpo nero, con un picco che dipende dalla temperatura secondo la legge di Wien. Questo spettro viene però modificato dall’atmosfera stellare, dal mezzo interstellare e dalla nostra atmosfera

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Estinzione atmosferica (flusso relativo su massa d’aria) per due stelle di diversa classe spettrale, i punti rossi sono riferiti alla stella ref A del 6 febbraio (fit con k=5.7 R), quelli blu alla stella ref B sempre del 6 febbraio (fit con k=4.3 R). Non a caso è stata scelta questa colorazione, i dati ci suggeriscono che ref B abbia una classe spettrale più spostata verso il blu di ref A. Chiaramente il diverso comportamento dell’estinzione tra le due stelle renderà la curva di luce della fotometria differenziale un po’ alterata come mostrato nella figura sotto.

Curva di luce in fotometria differenziale tra due stelle (senza transiti) di diversa classe spettrale. C’è un evidente trend in salita.

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Ci aspettiamo un trend della curva in salita se la stella di riferimento è più blu di quella in esame mentre la massa d’aria sta aumentando (proprio il caso dell’esempio mostrato) oppure se la stella di riferimento è più rossa mentre la massa d’aria scende.

Nei due casi opposti si avrà un trend in discesa. Ovviamente più gli spettri delle stelle si avvicinano e più questi trend diventano trascurabili. Nell’intento di fare fotometria differenziale a una stella utilizzando un gruppo di stelle di riferimento, sarebbe molto utile conoscere i valori di k di tutti gli oggetti utilizzati.

Sfortunatamente spesso le stelle che bisogna utilizzare sono molto deboli, perciò la loro classe spettrale può non essere nota. Esistono alcune survey che hanno fatto fotometria (anche digitale) in diverse bande spettrali ad ampie zone di cielo sfortunatamente spesso la precisione fotometrica raggiunta da questi lavori e la scelta delle zone di spettro indagate non permettono di stabilire con sufficiente chiarezza la classe spettrale di queste stelle.

Quello che rimane da fare è stimarsi da soli i valori di k. Questo è possibile con la nostra stessa strumentazione, facendo fotometria differenziale a tutte le stelle utilizzate in due condizioni di massa d’aria molto diversa. Da questi dati è possibile non solo linearizzare la curva di luce ottenuta, ma prevedere quali saranno i trend non lineari nelle condizioni di ripresa.

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RINGRAZIAMENTI E’ con particolare piacere che ringraziamo tutti coloro che hanno contributo alla buona riuscita delle manifestazioni di astronomia e del Convegno. Vogliamo qui ricordare tutto il personale del Comune di Busana, con Franco Correggi in testa. Per quanto riguarda le riprese web dell’evento, esprimiamo tutta la nostra gratitudine, per l’impegno e la professionalità profusa, a Fabiano e Francesco Barabucci e a Gianclaudio Ciampechini. Poi, a Giuseppe Vella, speaker della manifestazione e a Antonello Medugno, webmaster del portale EAN. Un grazie di cuore all’amico Luigi Bignami per la bellissima conferenza introduttiva. Ovviamente non saremmo qui a parlare di inaugurazione dell’Osservatorio di Cervarezza Terme se non ci fosse stato l’indefesso impegno, lungo un decennio, del locale gruppo astrofili, il GADAR, nelle persone del suo Presidente Pietro Campani (e Signora), Stefano Campani, Gabriele Fontana…..