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Assessorato all'istruzione, formazione ed edilizia scolastica Area istruzione e formazione Servizio programmazione [email protected] www.provincia.torino.it/istruzione Aprile 2007

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Assessorato all'istruzione, formazione ed edilizia scolastica

Area istruzione e formazione

Servizio programmazione

[email protected]

www.provincia.torino.it/istruzione

Aprile 2007

La dispersione scolastica nella provincia di Torino

La dispersione scolastica nella provincia di Torino

Indice

1.11.21.31.4

Capitolo 2: Esiti scolastici in Provincia di Torino: l’analisi

2.1 .. Il sistema formativo provinciale: una contestualizzazione

2.2

2.3

2.4

2.5

Introduzione ............................................................................................pag. 7

Capitolo 1: La dispersione scolastica: stato dell’arte .... pag. 11

Alla ricerca di una definizione ............................................................ pag. 11Contributi di analisi: dalla Sociologia alla Psicologia Sociale ........... pag. 14Contributi di analisi: dalla Pedagogia alla Psicologia...........................pag. 21Una sintesi di fattori: chiavi di lettura per un approccio sistemico...... pag. 25

quantitativa ............................................................................................ pag. 31

2.1.1 Un monitoraggio difficile: considerazioni sulle fonti ................. pag. 31 2.1.2 La popolazione scolastica torinese.............................................. pag. 33

2.2.1 Evoluzione storica della popolazione studentesca ...................... pag. 39 L’insuccesso nella scuola di base: l’istruzione primaria...................... pag. 39

2.2.2 Gli esiti: indicatori aggiornati di dispersione.............................. pag. 42 2.2.3 Trend storici di insuccesso per alcune variabili fondamentali.... pag. 44L’insuccesso nella scuola di base: la secondaria inferiore .................. pag. 48

2.3.1 Evoluzione storica della popolazione studentesca ...................... pag. 48 2.3.2 Gli esiti: indicatori aggiornati di dispersione.............................. pag. 51 2.3.3 Trend storici di insuccesso per alcune variabili fondamentali.... pag. 53

L’insuccesso nell’istruzione superiore................................................. pag. 57 2.4.1 Evoluzione storica della popolazione studentesca ...................... pag. 58

Le “perdite” del sistema educativo in alcune leve anagrafiche ........... pag. 71

2.4.2 Gli esiti: indicatori aggiornati di dispersione.............................. pag. 622.4.3 Trend storici di insuccesso per alcune variabili fondamentali.... pag. 65

La dispersione scolastica nella provincia di Torino

3.13.23.33.4 I progetti e le azioni locali in tema di prevenzione dell’abbandono

3.5

4.4 Cambiano i giovani, la famiglia, la società, la Scuola. Il ruolo dei diversi

Capitolo 5: I giovani si raccontano: l’approccio biografico

5.4 Scegliere, provare, cambiare: traiettorie nella Scuola superiore di secondo

Capitolo 6: Contrastare la dispersione scolastica: caratteristiche, metodologie e trasversalità delle esperienze

6.16.2 In…pari di più. Prevenzione della dispersione attraverso l’integrazione

6.36.4 Provaci ancora Sam! Prevenzione e recupero della dispersione – la tutela

4.3 Il ruolo del sistema scolastico: criticità e responsabilità................................. pag. 106 4.2 Le cause dell’abbandono scolastico................................................................ pag. 99 4.1 I sintomi dell’abbandono scolastico................................................................ pag. 91

Capitolo 4: Il parere degli insegnanti: i focus group ................... pag. 90

I possibili interventi per combattere la dispersione scolastica.........................pag. 88 o dell’irregolarità scolastica .............................................................................pag. 85

Gli esiti e le conseguenze dell’abbandono...................................................... pag. 82 Il profilo e le caratteristiche dei ragazzi a rischio di dispersione scolastica ... pag. 80 Le caratteristiche strutturali del fenomeno nell’area provinciale torinese...... pag. 75

Capitolo 3: Il parere degli esperti: i testimoni privilegiati ....... pag. 75

attori nella relazione Scuola-discente-famiglia ................................................. pag. 110 4.5 Che fare, come fare: le azioni per la prevenzione e riduzione dell’abbandono pag. 112

allo studio della dispersione scolastica .............................................pag. 118

5.1 Introduzione: i giovani si raccontano.............................................................. pag. 118 5.2 Immagini e vissuti di sé: Scuola, lavoro, relazioni sociali.............................. pag. 121 5.3 La condizione post-abbandono ....................................................................... pag. 128

grado ............................................................................................................... pag. 132

analizzate ...........................................................................................................

Ci sei e ci fai. Centralità della relazione educativa sul territorio ....................

pag. 136

pag. 136

pag. 147sociolinguistica nomadi e stranieri..................................................................pag. 159

pag. 167integrata...........................................................................................................

Quo Vadis. Prevenire la dispersione scolastica ..............................................

La dispersione scolastica nella provincia di Torino

6.5 Scegli di Scegliere/Presto che è tardi. Sostegno e supporto nelle scelte pag. 175

pag. 182Conclusioni ......................................................................................................

scolastiche e nelle fasi di passaggio…………………………….......................

Appendice metodologica ............................................................................. pag. 189

pag. 190Bibliografia.......................................................................................................

La dispersione scolastica nella provincia di Torino

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Introduzione

uesto volume raccoglie i principali risultati di una serie di indagini sulla dispersione scolastica realizzate per conto della Provincia di Torino da Istituto

IARD.

L’analisi di un fenomeno multidimensionale e sfuggente come la dispersione scolastica ha richiesto molteplici attenzioni, anche alla luce dei diversi obiettivi che il progetto di ricerca si era posto. Infatti, attraverso le indagini realizzate, si è voluto: � approfondire la conoscenza teorica ed empirica della dispersione, a partire dalle

indagini pre-esistenti e dalle testimonianze di testimoni privilegiati del fenomeno; � delineare i dati quantitativi provinciali, con particolare attenzione alla loro

evoluzione nel tempo; � analizzare in profondità il fenomeno nella percezione dei giovani in esso implicati

e degli insegnanti e operatori che quotidianamente affrontano situazioni di disagio scolastico;

� individuare le iniziative esistenti e i criteri di analisi delle stesse per l’ideazioni di possibili nuovi interventi.

Per raggiungere questi obiettivi, si sono seguite alcune linee-guida nella realizzazione delle molteplici azioni di ricerca intraprese; in particolare, si è: � individuata un’équipe di lavoro che riunisse, al contempo, ampie garanzie sotto il

profilo scientifico, un’approfondita conoscenza dell’oggetto di studio e del contesto torinese e, infine, una forte expertise nella gestione di progetti di ricerca complessi;

� provveduto a integrare metodologie differenti nello stesso progetto, al fine di ottenere da ciascuna il più ampio apporto conoscitivo, coinvolgendo osservatori con punti di vista differenti del fenomeno;

� mantenuto un rapporto di costante scambio informativo e di condivisione delle strategie di indagine con il Servizio Programmazione Sistema Educativo e Formazione Professionale della Provincia di Torino.

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Prima di presentare i risultati, vale la pena illustrare brevemente al lettore le attività di indagine realizzate così da consentire una piena comprensione del processo di ricerca che ha originato i dati e le riflessioni contenute nel volume1.

Nei primi mesi di attività, l’équipe di ricerca è stata impegnata nella realizzazione di due attività preliminari fondamentali per l’inquadramento teorico e la contestualizzazione locale dell’indagine. Gli obiettivi specifici di questa fase, quindi, erano due:

1. approfondire la conoscenza del fenomeno sia sotto il profilo teorico che dei risultati di indagini empiriche, individuando i fattori associati all’insuccesso e alla dispersione in ambito scolastico;

2. individuare e reperire fonti di dati sul contesto torinese in merito alla dispersione, al fine di integrarle e giungere quindi a definire un quadro quantitativo del fenomeno e delle relazioni di questo con il mercato del lavoro;

3. approfondire la conoscenza del fenomeno nel contesto locale, coinvolgendo i detentori delle maggiori informazioni su questo (testimoni privilegiati).

Nello specifico, è stata sviluppata un’ampia rassegna della letteratura esistente (capitolo 1), ci si è soffermati su alcuni dati di fondo caratterizzanti il contesto torinese (par. 2.1) e soprattutto si sono coinvolti cinque testimoni privilegiati a livello locale, che hanno fornito utili riflessioni preliminari (cap. 3). In questo modo, i successivi passi delle indagini hanno potuto muovere verso l’esplorazione di terreni meno studiati, accrescendo la conoscenza complessiva del fenomeno dispersione.

Successivamente, si sono sviluppate quattro attività di indagine su scala più ampia, integrando metodologie di indagini differenti tra loro. La prima attività che viene presentata nelle pagine seguenti è stata l’analisi desk quantitativa dei databasedisponibili presso la Provincia di Torino; attraverso questa azione si è cercato di fornire una stima delle dimensioni del fenomeno e, soprattutto, si è operato al fine di individuare i trend temporali dello stesso (cap. 2). Si è trattato di un cospicuo lavoro di data-management e di analisi statistica che ha consentito di individuare in modo non controverso alcune caratteristiche di base della dispersione nell’ambito torinese.

Accanto a questo approccio quantitativo, abbiamo dato vita a un’ampia indagine qualitativa, che prevedeva tre azioni, e che voleva rispondere a molteplici obiettivi:

1. mettere a confronto il punto di vista degli insegnanti e dei giovani; 2. individuare linee di approfondimento per lo studio della tematica del

successo/insuccesso scolastico;

1 Rimandiamo all’appendice metodologica per informazioni dettagliate sulle azioni intraprese.

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3. identificare le azioni più significative intraprese nel territorio a favore del successo formativo.

Si sono quindi realizzati sei focus group con insegnanti torinesi: grazie al confronto interno a questi gruppi, abbiamo potuto approfondire in particolare la percezione che gli insegnanti hanno della dispersione scolastica e, soprattutto, concentrare l’attenzione sul ruolo giocato dalla scuola nel fenomeno (cap. 4). Un’altra azione è consistita nel coinvolgimento di una decina di giovani dispersi o ad alto rischio dispersione mediante interviste in profondità, al fine di poter mettere a confronto le affermazioni dei diretti interessati con quelle provenienti invece dal mondo scolastico con il quale non sono riusciti a stabilire un contatto proficuo (cap. 5).Infine, proprio alla luce del fatto che la scuola è risultata un mondo difficile per questi giovani, lo sforzo conoscitivo si è concentrato sulla realizzazione di cinque studi di caso, andando a selezionare e ad analizzare buone prassi presenti nel torinese, che concentrano la loro attenzione proprio su misure di prevenzione e contrasto della dispersione (cap. 6). In tal modo, accanto all’analisi approfondita del fenomeno e delle sue criticità, è stato possibile anche mettere in luce alcune efficaci soluzioni operanti nel territorio, a partire dalle quali è possibile immaginare sviluppi nell’azione di lotta alla dispersione scolastica.

Come avrà notato il lettore accorto, il volume è stato strutturato in modo tale da cercare di rendere conto dei risultati dell’indagine anche alla luce della sua processualità. La speranza è che questo sforzo di indagine possa essere un contributo rilevante per chi è chiamato a progettare e implementare azioni di contrasto alla dispersione nel contesto torinese, ma anche in altri ambiti locali o sul piano nazionale.

La dispersione scolastica nella provincia di Torino

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Il gruppo di lavoro che ha preso parte all’indagine è stato il seguente:

Direzione scientifica a parte di Istituto IARD

Prof. Alessandro Cavalli Prof. Antonio de Lillo Prof. Carlo Buzzi

Coordinamento operativo da parte di Istituto IARD

Dott. Gianluca Argentin Dott.ssa Arianna Bazzanella Dott.ssa Monia Anzivino

Esperti esterni Prof.ssa Fiorella Farinelli Dott.ssa Stefania Operto Dott.ssa Anna Ress Dott. Marco Razzi

I risultati delle indagini condotte sono frutto di uno sforzo collettivo; nella redazione del testo, il lavoro è stato così suddiviso: Anna Ress si è occupata della stesura dei capitoli 1 e 2, con il contributo di Monia Anzivino per i paragrafi 2.1.2 e 2.3; Stefania Operto e Marco Razzi hanno invece redatto i capitoli 3, 4, 5 e 6; le conclusioni sono state scritte da Gianluca Argentin e Monia Anzivino; infine, l’appendice metodologica è opera di Monia Anzivino.

Ringraziamo per la collaborazione tutti gli intervistati: testimoni privilegiati, insegnanti, giovani e operatori dei casi di studio hanno dedicato generosamente il loro tempo per la piena riuscita del progetto, grazie! Ringraziamo inoltre i responsabili dei casi di studio presentati, che hanno avuto anche la pazienza di revisionare i nostri testi; ringraziamo infine l’intero Servizio Programmazione Sistema Educativo e Formazione Professionale della Provincia di Torino, in particolare Sheila Bombardi, Ludovico Albert, Giuseppe Spinnato ed Emilio Cavalleris, per aver contribuito in modo determinante alla riuscita del progetto.

La dispersione scolastica nella provincia di Torino Capitolo I

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CapitoloCapitoloCapitoloCapitolo

1111La dispersione scolastica: stato dell’arte

1.1 Alla ricerca di una definizione1.1 Alla ricerca di una definizione1.1 Alla ricerca di una definizione1.1 Alla ricerca di una definizione

a dispersione scolastica è un fenomeno complesso, a partire dalla sua concettualizzazione e dalla definizione che si è cercato di attribuirvi nel tempo.

Il termine dispersione ha progressivamente sostituito, con l’arrivo degli anni Ottanta, quello di selezione, connotando il fenomeno attraverso toni meno accesi e conflittuali. Non sono mancate forti critiche al nuovo modo di indicare e in parte di concepire un problema che continua a coinvolgere gli studenti, ma anche inevitabilmente la scuola (Gattullo, 1990). Oggi, con il termine insuccesso scolastico che trova progressivamente spazio tra gli esperti in luogo a quello di dispersione, i toni si fanno forse ancora meno accesi. Le responsabilità istituzionali non vanno tuttavia dimenticate, attribuendo i fallimenti soltanto agli studenti, anche se indubbiamente il fenomeno rimanda a una serie di questioni che coinvolgono, oltre al sistema scolastico, le realtà familiari, sociali, culturali, ancorché psicologiche e individuali degli studenti, spesso in evidente difficoltà connesse allo sviluppo adolescenziale.

Quando si parla di dispersione, comunque, – è ormai opinione largamente condivisa – ci si riferisce ad un insieme di insuccessi che non si esauriscono con il solo evento di abbandono o dropping out. Esso si delinea, piuttosto, come l’esito di una serie di fallimenti nella carriera formativa, dai risultati scadenti ai rallentamenti dovuti a cambiamenti di scuola, interruzioni o bocciature, che conducono con elevate probabilità alla fuoriuscita definitiva dal sistema formativo (Sempio, 1999). Per comprendere l’ampiezza del fenomeno, le parole che seguono sono importanti:

“la dispersione scolastica deve essere vista non solo come evasione dall’obbligo o abbandono della scuola da parte degli studenti prima della fine del ciclo di studi intrapreso, ma come realtà che comprende anche le ripetenze, i ritardi rispetto all’età scolare, i cambiamenti di scuola, le frequenze irregolari, perfino i numerosi casi di rendimento carente rispetto alle possibilità. Il concetto di abbandono scolastico (o school dropping out) è da intendere in rapporto all’idea di scolarizzazione esistente in una determinata società; per i Paesi occidentali una formazione regolare è prevista fino ai 18 anni. C’è dispersione di talenti ogni volta che ci si trova di fronte ad un sentimento di grave malessere

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La dispersione scolastica nella provincia di Torino Capitolo I

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che impedisce all’alunno di vivere un’esperienza scolastica pienamente formativa. Si tratta di un problema individuale e sociale, da ricondurre ad una molteplicità di fattori” (Bombardelli, 2001, p. 75).

Anche altre analisi degli anni più recenti sottolineano questa ampiezza e contemporaneamente la complessità del concetto di dispersione, cercando di offrire una classificazione della terminologia (Ghione, 2005) e allo stesso tempo alcuni spunti per una riflessione sui fattori correlati all’abbandono (Manini, 1998; Sempio, 1999).

Dalla letteratura di base, ma anche soltanto dalla citazione sopra riportata, si possono rilevare alcuni concetti chiave, che ci sembra importante riprendere e chiarire. Si fa riferimento innanzitutto all’evasione scolastica, quel mancato ingresso nel sistema formativo da parte dei bambini in fascia di scolarità obbligatoria che non consente il raggiungimento del livello educativo minimo e fondamentale previsto dalla Costituzione italiana: questo comporta, da parte delle famiglie, “un’evasione dagli obblighi relativi all’istruzione dei minori” (Ghione, 2005). Il fenomeno è ancora diffuso principalmente nelle aree economicamente più depresse del Sud del Paese: in particolare, si parla di evasione formale per indicare la vera e propria mancata iscrizione a scuola, mentre con evasione di fatto si intende l’iscrizione cui non corrisponde l’effettiva frequenza (Camera dei Deputati, 2000).

Un’altra forma di non frequenza scolastica è l’assenteismo: le assenze, controllate o meno dalla famiglia, possono essere più o meno ripetute nel tempo. L’assenteismo è un sintomo di difficoltà e ha un impatto inevitabile sul rendimento scolastico, diventando esso stesso causa di difficoltà più grandi e di lacune incolmabili degli alunni. Le ripercussioni in termini di insuccessi e bocciature possono ben presto diventare le premesse per una dispersione irreversibile (Balottin et al., 1999).

Il dropping out è meno grave quando non è ancora effettivo e non comporta l’allontanamento vero e proprio dall’istituzione scolastica. Alcune forme di abbandono “mascherato” degli studenti che frequentano la scuola in modo disimpegnato vengono anche dette in-school dropping out o tuning out (LeCompte, M.D. e Dworkin, A.G., 1991): è qui che l’intervento di prevenzione assume un’importanza fondamentale, prima ancora che l’idea di lasciare la scuola venga accettata dai ragazzi stessi. Nell’abbandono indiretto, l’accumulo di risultati negativi o inferiori alle proprie potenzialità, chiamato anche underachievement (Sempio, 1999), può condurre a percorsi detti accidentati o irregolari (Gasperoni, 1996; 1997; 2005), caratterizzati da interruzioni, trasferimenti, ripetizioni di uno o più anni

La dispersione scolastica nella provincia di Torino Capitolo I

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scolastici con il conseguente allungamento dei tempi previsti per l’ottenimento del titolo.Il problema del ritardo, oltre che in ambito universitario, è infatti decisamente rilevante anche in alcuni canali secondari, soprattutto se si tratta di quelli più professionalizzanti, in cui confluiscono ragazzi che hanno accumulato notevoli e ripetute sconfitte.

Per abbandonare la scuola ci sono, allora, diversi modi. Sospendere definitivamente gli studi è, di solito, soltanto l’ultima tappa, quella più evidente, di una via lastricata di insuccessi: un percorso che ha origine, nella maggior parte dei casi, nei primi anni di scuola. L’abbandono scolastico in senso stretto è, allora, l’interruzione precoce dell’esperienza scolastica, la fuoriuscita dal sistema per quanti non hanno mai frequentato o non hanno mai concluso l’anno di scuola avviato, “senza ritiro formalizzato e senza aver conseguito il titolo di studio previsto e senza riscriversi ad alcun anno successivo” (Ghione, 2005). Si è soliti riferirsi, con il termine, a soggetti che non sono più in età dell’obbligo: in realtà, con i cambiamenti politici in corso nel nostro Paese, anche i confini di questo concetto non sono rigidamente delineabili.

I drop-outs esistono in tutti i livelli dell’istruzione: nella scuola di base, come abbiamo visto, si parla di evasione, ma anche, fino a qualche tempo fa e con toni più accesi, di mortalità scolastica (Gattullo, 1989); nella scuola secondaria, invece, si fa spesso riferimento alla selezione differita o dispersione di passaggio, per via dell’altissimo tasso di insuccesso che si concentra nel primo biennio (Dutto, 2001). Il sistema universitario, poi, anche dopo la recente riforma, non appare certamente esente da fenomeni di dispersione. Si tratta di tipi diversi di manifestazione del problema, sia per le motivazioni che lo originano, sia per l’incidenza che esso ha sui percorsi di vita futuri: l’abbandono, evidentemente, ha conseguenze tanto più negative quanto più precocemente si realizza (Besozzi, 1990; Cesareo, 1990; Ribolzi, 1993; Cacioppo, 1998).

L’universo più ampio all’interno del quale la dispersione si colloca è definibile come disagio scolastico, quella situazione di sofferenza e di difficoltà dei giovani rispetto, da un lato, allo studio e all’apprendimento, dall’altro, in riferimento anche alle relazioni interpersonali che nella scuola si instaurano con gli insegnanti e il gruppo dei pari (Manini, 1998): il disagio, è riconducibile a numerosi fattori ed accompagna, qualche volta, il disadattamento e più in generale l’insuccesso (Ghione, 2005).

In definitiva, possiamo riassumere il concetto di dispersione scolastica, definendolo come un’occasione mancata per tutti quei giovani che non riescono ad usufruire di ogni opportunità di istruzione offerta dal sistema educativo, per arrivare a

La dispersione scolastica nella provincia di Torino Capitolo I

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raggiungere i più elevati livelli formativi. Promuovere una battaglia contro la dispersione significa, dunque, più precisamente e ambiziosamente, cercare di favorire il successo scolastico di tutti. Il nuovo ministro dell’Istruzione Giuseppe Fioroni ha pronunciato subito dopo la sua nomina, in occasione della partecipazione alla Marcia di Barbiana del 21 maggio 2006 e nell’intervista rilasciata al Corriere della Sera di venerdì 16 giugno 2006, l’espressione “un vero servizio pubblico non lascia indietro nessuno”. Si tratta di una formula già conosciuta, impiegata in contesti e con significati diversi, ma che sta assumendo una rilevanza crescente all’interno del dibattito attorno ai temi di democrazia scolastica. Lo stesso presidente George W. Bush, nel 2001, utilizzò le parole “no child left behind” (nessun bambino va lasciato indietro) nel suo programma di politica scolastica. L’espressione ci ricorda, inoltre, un tormentone sempre più utilizzato: “non uno di meno” è, infatti, anche il titolo di un interessantissimo film di Zhang Yimou del 1999.

1.21.21.21.2 Contributi di analisi: dalla Sociologia alla Psicolog Contributi di analisi: dalla Sociologia alla Psicolog Contributi di analisi: dalla Sociologia alla Psicolog Contributi di analisi: dalla Sociologia alla Psicologia ia ia ia SocialeSocialeSocialeSociale

opo questa rassegna delle principali distinzioni nei termini, che rimane ancora parziale ma che è comunque necessaria ad inquadrare il fenomeno oggetto di

analisi e a dare un’idea della sua portata, il richiamo naturale è quello ai tentativi di una sua spiegazione. Insieme alle diverse vie di abbandono, occorre sottolineare anche le molte ragioni che esistono per lasciare la scuola: parlare di fattori determinanti non è pensabile, quando si affronta un tema come questo. In senso weberiano, è possibile parlare di elementi ricorrenti ma non singolarmente sufficienti, di “concause” che implicano, senza eliminarle, più responsabilità. La letteratura sulla dispersione scolastica è vastissima, soprattutto se si adotta una concezione così ampia come quella ormai comunemente condivisa e che fa riferimento ad un insuccesso a tutto campo. Troppe le piste di studio e gli aspetti che entrano in gioco, per poter tracciare un modello di analisi riassuntivo e completamente esauriente, per quanto articolato. Ci sembra, tuttavia, importante distinguere alcuni elementi che possano aiutare l’interpretazione di un fenomeno così multiforme. Il tentativo che proponiamo è quello di organizzare il materiale esistente in uno schema più chiaro possibile, dando almeno un’idea della complessità e della molteplicità dei livelli di analisi che sono richiesti, anche nella consapevolezza di non poter essere esaustivi. È interessante cominciare osservando la dispersione scolastica “da lontano”, con gli occhiali della Sociologia e, in particolare, della Sociologia classica, che aveva l’ambizione di guardare ai fenomeni in modo più globale. Via via il focus sarà sempre

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La dispersione scolastica nella provincia di Torino Capitolo I

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più dettagliato e richiederà un’esplorazione della letteratura con lo sguardo più “da vicino” della psicologia sociale, prima, e individuale, poi. Si tratta soltanto di un tentativo, e tuttavia fondamentale, di far confluire, insieme, più approcci interpretativi in una prospettiva multidisciplinare che nell’analisi dei processi educativi è necessaria.

Fino agli anni Sessanta, la prospettiva funzionalista e integrazionista, durkheimiana prima e parsonsiana poi, ha portato alle letture sociologiche moderate di un’educazione a servizio della società: l’istituzione scolastica garantiva effettivamente possibilità di promozione e mobilità, grazie anche all’esistenza di un forte collegamento tra l’istruzione e l’occupazione. L’espansione della scolarizzazione condusse ben presto ad un’inflazione dei titoli di studio (Boudon, 1979), riducendone il loro valore e indebolendo le opportunità di mobilità sociale: la scuola di massa, inoltre, portò con sé una diversificazione crescente delle caratteristiche della popolazione studentesca, che chiese all’educazione una responsabilità nuova e più complessa. Anche in Italia si moltiplicarono gli studi sui condizionamenti socio-culturali rispetto alla riuscita scolastica: in un clima di forte critica nei confronti della scuola, da don Milani a Mario Gattullo, fino alle ricerche più recenti sulle disuguaglianze di opportunità educative2, i fautori di approcci sociologici più radicali, marxisti, prima, bourdieuniani o riproduzionisti, poi, ottennero continue rilevazioni empiriche dell’esistenza del legame tra selezione scolastica e selezione di classe. Ancora oggi, permangono, allora, in Italia come in altri paesi e in tutte le generazioni, differenze notevoli tra le classi nel raggiungimento dei livelli scolastici più elevati, nonostante la diffusione e il prolungamento dei processi formativi. La scolarizzazione dei giovani dipende fortemente dalla loro estrazione sociale e le chances di ottenere un titolo di studio crescono progressivamente, se si passa dalle classi svantaggiate a quelle più privilegiate. Secondo una distinzione ormai consolidata, si fa riferimento, in particolare, a variabili familiari di tipo socio-economico e variabili di tipo socio-culturale. Con le prime si intende quell’insieme di risorse dato dalla situazione economica familiare, misurabile attraverso il reddito e la posizione professionale dei genitori; le variabili socio-culturali sono, invece, determinate dal diverso background culturale, o capitale culturale (Bourdieu, 1978), ereditato dall’ambiente familiare, e sono misurate, solitamente, attraverso il livello di istruzione dei genitori. Rispetto al problema economico, è evidente che la mancanza di ricchezza materiale delle classi meno abbienti, sommata ai mancati guadagni (o costi opportunità) del

2 Per l’Italia, si vedano i lavori di Gattullo (1976; 1984; 1989) e Gambetta (1987) e più recentemente di Cobalti e Schizzerotto (1994), Gasperoni (2002) e Pisati (2002); a livello internazionale, si ricordano i lavori di Blau e Duncan (1967) e, più vicine a noi, le ricerche di R. Erickson e J.H. Goldthorpe (1992).

La dispersione scolastica nella provincia di Torino Capitolo I

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tardivo inserimento nel mercato del lavoro, non consente di finanziare un lungo periodo di studio; la scelta di un percorso breve è, in questi casi, spesso obbligata. La famiglia incide, inoltre, in modo rilevante nel consentire il proseguimento dello studio, anche attraverso la sola messa a disposizione dei mezzi strettamente economici, determinando la possibilità di acquisto di libri, di ripetizioni (extra-scolastiche), di partecipazione alle gite, alle attività culturali e ai vari sport. Spesso poi, in situazioni di pressione per il sostentamento, non è permesso ai genitori occuparsi adeguatamente dei propri figli, venendo meno anche la quantità, oltre che la qualità del tempo che è dedicato loro. Le variabili socio-culturali sembrano, tuttavia, più importanti nel rischio di insuccesso scolastico, anche se, in gran parte, l’istruzione dei genitori rispecchia la loro situazione economica. Le famiglie caratterizzate da povertà culturale manifestano carenze di vario tipo: il linguaggio ridotto e distante dalla scuola (Bernstein, 1960; 1982), gli spazi comunicativi limitati ad esigenze pratiche, la scarsità della presenza di libri in casa, la mancanza di stimoli come la partecipazione ad attività culturali, associazioni e così via. Queste difficoltà crescono, inoltre, anche con l’età, attraverso effetti cumulativi nel tempo. Così, i giovani che non sono abituati entro le mura domestiche alla lettura, all’acquisto dei libri, alle discussioni e a questo tipo di interessi possono vivere la scuola in modo obbligato ed estraneo al proprio contesto di vita (Rossi, 1997b). Tutto questo produce un clima che non favorisce la stimolazione cognitiva, la motivazione all’apprendimento e le aspirazioni verso la riuscita, e colloca questi giovani in una posizione di partenza di marginalità rispetto alle richieste di prestazione che vengono avanzate dalla scuola. Il contesto di appartenenza si caratterizza, però, anche da situazioni di disagio che possono non avere solamente carattere economico o culturale. Si osserva, qualche volta, un abbandono progressivo, da parte dei genitori, del loro ruolo di guida, che finisce inevitabilmente per compromettere anche la crescita culturale dei propri figli. Le famiglie in condizioni sociali più svantaggiate sono, infatti, anche quelle più allargate e la numerosità dei fratelli sembra essa stessa correlata all’abbandono scolastico (Università Cattolica, 1994), anche in una sorta di “contagiosità” familiare del dropping out. Ci sono, inoltre, assetti familiari problematici, ambienti affettivamente freddi, con l’assenza di un genitore, oppure situazioni contraddistinte da separazioni o divorzi. Le divisioni, non di rado, sono vissute in maniera difficile e portano, in questi casi, alla costituzione di famiglie cosiddette “deboli”: le tensioni emotive diffuse in ambienti di questo tipo possono compromettere l’interiorizzazione delle norme e la qualità del rapporto con gli adulti. I casi più gravi sono i nuclei logorati nei rapporti da problemi di alcoolismo e altre dipendenze, o da violenze di varia natura, eventi di vita stressanti che comportano inevitabilmente importanti difficoltà emozionali nei figli. Tutto questo, senza inoltrarci nei cambiamenti che una società sempre più multiculturale comporta, con la forte crescita dell’immigrazione e dei conseguenti

La dispersione scolastica nella provincia di Torino Capitolo I

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nuovi contesti familiari portatori, ancora una volta, di evidenti disuguaglianze nell’accesso all’istruzione.

Secondo l’approccio sociologico più radicale (Althusser, 1978), la scuola ha, però, una grande responsabilità: quella di continuare ad assumere quel ruolo passivo o riproduttivo delle disuguaglianze ancora ampiamente diffuso, senza costituire, invece, uno strumento di promozione delle capacità e delle chances di vita individuali indipendentemente dall’origine sociale. Ivan Illich3 ha sostenuto con forza la necessità di sostituire l’istituzione scolastica con un’agenzia alternativa, in grado di rispondere meglio alle necessità di democrazia educativa. Anche oggi, dopo il vento degli anni Ottanta, l’affievolirsi dei toni politici e sociali, il diffondersi delle teorie interazioniste di ispirazione goffmanniana, il declino dei grandi approcci di spiegazione macro-sociologica e onnicomprensiva della realtà sociale, il disseminarsi di tentativi di interpretazioni “parziali”, di osservazioni più “da vicino”, ancorché più approfondite, e delle scelte individuali della sociologia weberiana, prima, e boudoniana, poi, ancora oggi non possiamo evitare di chiederci quanto il sistema scolastico presenti insufficienze persistenti nel suo funzionamento. Tra gli aspetti scolastici che potremmo definire strutturali, sarebbe plausibile prendere in considerazione numerosissimi fattori che favoriscono o meno il successo scolastico. Ovunque, le riforme dei sistemi educativi sono sempre più tese al miglioramento dell’offerta formativa, ma non tutte le politiche educative sono orientate alla democrazia scolastica: il dibattito intorno ai temi di selezione e uguaglianza non sembra attualmente esaurito (Besozzi, 1999), nonostante sia sotto gli occhi di tutti l’esistenza di sistemi educativi che riescono a conciliare un’equità nelle performances degli studenti con elevati standard di apprendimento, oltre che una partecipazione quasi globale dei giovani al sistema educativo almeno fino alla maggior età: il programma Ocse-Pisa continua a dare conferma di quest’evidenza empirica nei paesi scandinavi e in particolare in Finlandia, che non ha affatto un sistema selettivo4.Il funzionamento dell’ordinamento formativo, cicli scolastici, durata dell’obbligo, il tipo di investimento sulla scuola e sulle strutture per la didattica, la configurazione delle classi, gli interventi di orientamento e di assistenza agli alunni in difficoltà, la continuità dell’insegnamento, la formazione iniziale e in servizio degli insegnanti, sono soltanto alcuni degli innumerevoli aspetti che costituiscono, insieme, le opportunità di istruzione di una generazione. Un approccio comparativo in

3 Si veda I. Illich (1972), Educazione senza scuola, in V. Cesareo (1972) (a cura di), Sociologia dell’educazione, Hoepli, Milano. 4 Oecd (2003) Student Engagement at School: A Sense of Belonging and Participation: Results from Pisa 2000; (2004) What Makes School Systems Perform? Seeing School Systems through the Prism of Pisa; (2005) School Factors Related to Quality and Equity, Oecd, Paris.

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educazione è, dunque, sempre più auspicabile e possibile: la ricerca, nell’istruzione, sta evolvendo rapidamente in questa direzione e i processi di globalizzazione in atto non potranno che favorire tali dinamiche. È una responsabilità di chi opera nella e per la scuola, quella di saper cogliere l’opportunità che viene offerta dall’osservazione delle buone pratiche e di riuscire ad imparare da chi ottiene risultati migliori.

Da un punto di vista micro di analisi5, invece, si è cominciato a focalizzare l’attenzione, a partire dagli anni Ottanta e con il contributo anche dei “Nuovi Sociologi” e della psicologia sociale, sugli aspetti relazionali che si concretizzano nell’ambiente scolastico. Il riferimento, qui, va innanzitutto al rapporto con i docenti e con i compagni, ma anche al clima di classe (Chiari, 1994), all’approccio pedagogico favorito, alle aspettative altrui che gettano le basi per il concetto di sé rispetto all’apprendimento e così via. Prendendo in considerazione le difficoltà relazionali che possono instaurarsi nel rapporto con i compagni, ad esempio, sappiamo che a scuola entrano spesso in gioco meccanismi di competizione e di esclusione. Fenomeni come il bullismo o teppismo scolastico (Fonzi, 1997), che appaiono sempre più attuali, creano grandi difficoltà a chi lavora nella scuola: per affrontare questi problemi è necessario porre l’attenzione oltre che sul “deviante”, anche sulla sua “vittima”, l’alunno più timido e debole sotto il profilo dell’auto-difesa. Questi ragazzi possono arrivare a vivere la scuola come un luogo di disagio ed essere costretti, in definitiva, a scegliere tra la condivisione dei valori di un’eventuale “banda” oppure il distacco dalla scuola. Riguardo al clima di classe, inoltre, è noto come questo possa ampiamente influenzare il rendimento degli alunni anche a seconda delle norme sociali più o meno esplicite che lo regolano. Alcune modalità di governo della singola scuola, infatti, sono particolarmente importanti nell’incoraggiare gli alunni a studiare: tre modalità strutturali sembrano prevalenti, ovvero la struttura cooperativa, la struttura individuale e quella competitiva (Carugati, 1998). Nell’ambiente cooperativo, gli alunni lavorano insieme in vista della conclusione del compito, anziché del confronto con gli altri. In queste classi, vengono favoriti gli alunni più svantaggiati, come i poveri, gli appartenenti a minoranze etniche e i meno abili. Nell’organizzazione individuale, agli alunni viene richiesto di fare meglio che possono senza accentuare la

5 È opportuno sottolineare, a questo punto, che non è pensabile tracciare un confine netto tra quelli che abbiamo definito come approcci sociologici e psico-pedagogici, anche nelle distinzioni applicate ai testi inseriti nella bibliografia ragionata. A questo punto, si è scelto di riportare alcuni contributi provenienti dalla micro-sociologia e dalla psicologia sociale e rimandare al paragrafo successivo, con l’ausilio di approcci psico-pedagogici, il trattamento di aspetti che concernono più specificamente l’individuo, le motivazioni e i disagi appartenenti alla sfera personale, anche se su questi, siamo convinti, il contesto incide pesantemente. Ogni sistematizzazione è utile per semplificare e offrire un supporto alla comprensione: tuttavia, come sappiamo, la realtà sociale è complessa è difficilmente riducibile.

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competizione e focalizzandosi sullo sforzo personale. Nell’ambiente competitivo, invece, avvengono più frequentemente attribuzioni interne e stabili delle abilità, che, come vedremo proseguendo, possono essere molto pericolose per la motivazione ad impegnarsi e apprendere: il numero dei potenziali successi disponibili in una classe di questo tipo è, non a caso, assai limitato, come lo è la possibilità di intervento sul singolo. La possibilità di stabilire un clima relazionale positivo dipende inevitabilmente anche dagli insegnanti, delle metodologie didattiche privilegiate, dalle loro capacità di ottenere la fiducia degli alunni, di gestire il rapporto in modo costruttivo. Il rapporto docente-discente è una variabile chiave del processo di insegnamento-apprendimento e può incidere fortemente sul rendimento scolastico: il modello vincente nella conduzione della classe, ad esempio, sembrerebbe l’adozione di uno stile di insegnamento autorevole-democratico, basato su un’interazione flessibile (Speltini, 1998)6. Un insegnamento inefficace, un personale educativo e una struttura scolastica insensibili e lontani dai giovani, possono far vivere la scuola allo studente come una fonte di noia, come una realtà priva di significato e di valore, che non ha cura di lui. In particolare, LeCompte e Dworking (1991) hanno elaborato un modello di dropping out che tiene conto del duplice abbandono cui si assiste oggi nel sistema scolastico. I due autori sostengono vi sia una rinuncia alla scuola sia da parte degli studenti, sia, spesso, da parte degli insegnanti, distinguendo, così, il fenomeno del dropping out da quello del quitting. Il disimpegno dei ragazzi (tuning out) corrisponderebbe, negli insegnanti, ad una mancanza di motivazione e entusiasmo per l’insegnamento, un burn out diffuso.Ogni educatore, inoltre, ha una grande responsabilità, poiché possiede dei propri schemi sul mondo sociale: tali schemi operano come strutture cognitive che organizzano le informazioni sulle cose e sulle caratteristiche delle altre persone. Quando gli individui agiscono, più o meno consapevolmente, in base a questi schemi e in modo da farli avverare, ci troviamo di fronte alle ben note profezie che si auto-adempiono o effetti Pigmalione, che operano in maniera insidiosa all’interno delle dinamiche sociali (Rosehthal e Jacobson, 1968).

Aderendo soltanto ad un’interpretazione sociologica classica fine a se stessa, come possiamo vedere, la “causa” dello scarso rendimento scolastico degli studenti appartenenti allo status sociale più debole può essere semplicemente identificata nel fatto che appartengono a un gruppo svantaggiato. È dunque necessario ampliare lo spettro e, pur tenendo presente che le nuove frontiere della Sociologia interpretano in

6 Si ricorda anche l’ormai classico esperimento degli anni Trenta sullo stile di leadership degli insegnanti, condotto negli Stati Uniti da alcuni psicologi sociali: nell’esame degli stili autoritario, democratico e laissez-faire, i risultati peggiori erano ottenuti da quest’ultimo. Si rimanda a Lewin, K., Lippit, R., White, R.K. (1939), Patterns of aggressive behaviour in experimentally created «social climates», in Journal of Social Psychology, n. 10, pp. 271-299.

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modo estremamente efficace gli esiti scolastici come il frutto, anche, di scelte individuali razionali7, ci sembra importante sovrapporre, qui, un altro, fondamentale, piano di analisi: molti alunni potrebbero anche avere uno scarso rendimento perché è proprio quello che ci si aspetta da loro. Non è sufficiente, allora, sostenere che sono le caratteristiche dell’ambiente d’origine proprie dell’allievo a determinare in lui un insuccesso a scuola, ma occorre osservare come agiscono e, ad esempio, qual è il modo di rispondere ad esse da parte dell’insegnante. Egli, infatti, può influire sulle prestazioni dei suoi alunni anche attraverso il suo comportamento verbale (Flanders, 1970)8. Nei processi educativi, non sono rari i casi in cui si assistono insegnanti privilegiare continuamente il rapporto verbale con quegli alunni che rispondono in modo adeguato alle loro richieste: va ricordato che, così facendo, essi lo gratificano e confermano le sue competenze. In particolare, i docenti tenderebbero a favorire coloro che appartengono al loro stesso ambiente culturale, condividendone atteggiamenti e valori. Non sorprende, allora, che si riscontrino degli squilibri all’interno della stessa classe nella comunicazione con l’insegnante e, di conseguenza, che le opportunità di apprendimento siano spesso fortemente disuguali tra gli alunni. Infine, è opportuno sottolineare che, da un punto di vista interattivo, l’apprendimento è anche un processo di rafforzamento circolare (Davis, A. e Dollard, J., 1978). Semplificando al massimo, possiamo immaginare che lo studente si possa trovare in due tipi di situazione, una positiva e una negativa. All’ottenimento di voti negativi, che qui è oggetto di attenzione, conseguirebbe una continua disapprovazione e un progressivo allontanamento nei confronti dell’alunno, sia da parte dei genitori che puniscono i suoi insuccessi scolastici, sia da parte degli insegnanti che gli rivolgono forti critiche attraverso le valutazioni. In questa condizione di colpevolizzazione, in famiglia, e di difficoltà e insoddisfazione manifeste, negli insegnanti, si può verificare un aumento dell’ansia da prestazione, insieme alla conferma delle proprie incapacità, alla diminuzione dell’autostima e all’abbassamento delle aspirazioni personali. Insieme ai brutti voti, in questo processo di continuo scoraggiamento, è evidente la facilità con cui si può realizzare un peggioramento ulteriore del rendimento, accompagnato, a volte, da atteggiamenti aggressivi o passivi che si osservano tra alcuni alunni in difficoltà, fino al rifiuto della scuola, alla bocciatura o all’abbandono.

7 Si vedano i contributi, attraverso l’individualismo metodologico, di R. Boudon (1979; 2005). 8 Un’interessante trattazione del modello di Flanders è fornita da Chiari, G. (1978), Il ruolo dell’insegnante nella classe: “lo sviluppo di un sistema di analisi interazionale”, Università degli studi di Trento. Il modello è stato e può essere ancora utilizzato per sensibilizzare gli insegnanti sulla necessità di comprendere e migliorare il proprio comportamento in classe.

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1.3. Contributi di analisi: dalla Pedagogia alla Psicologia 1.3. Contributi di analisi: dalla Pedagogia alla Psicologia 1.3. Contributi di analisi: dalla Pedagogia alla Psicologia 1.3. Contributi di analisi: dalla Pedagogia alla Psicologia

l livello di analisi che qui proponiamo si fa più vicino all’individuo. Il paradigma entro il quale si collocano le profezie autoavverantesi si avvicina alla psicologia

degli studenti a rischio di dispersione o drop-outs e agli aspetti individuali, senza eliminare l’importanza del contesto in cui si trovano. Le convinzioni che si formano, nella mente di qualsiasi disperso intervistato, non sembrano frutto del caso. Certamente, almeno queste, non sono innate. Le aspettative altrui sul proprio insuccesso, in fase di crescita e di strutturazione della propria identità, diventano ben presto aspettative e certezze proprie di non riuscita. Se non ci dimentichiamo questo, possiamo ora occuparci di quelli che possiamo definire come aspetti individuali della dispersione scolastica.

Dagli inizi degli anni Ottanta, si è sviluppata, all’interno della ricerca cognitivista, una particolare attenzione alla dimensione della motivazione nello sviluppo cognitivo. Gli psicologi fanno riferimento, infatti, sempre più spesso, soprattutto alla motivazione soggettiva, nel determinare che cosa influenzi il rendimento scolastico. Nell’analisi dei processi cognitivi, oltre che delle dinamiche comportamentali, i “teorici del successo” soprattutto, fanno ampio uso della teoria attribuzionale. Da quest’ottica, un elemento motivazionale essenziale nell’attività cognitiva dell’individuo è dato dal bisogno di comprendere le cause delle proprie e altrui azioni. Rilevante per la situazione scolastica è il fatto che gli insegnanti e gli studenti tendono a voler individuare le cause del successo e in particolare dell’insuccesso(Marini, 1990). Le inferenze attribuzionali sono frequentemente di natura retrospettiva, dipendendo, così, non tanto dall’esito dell’evento attuale, quanto piuttosto dalla sommatoria delle proprie esperienze precedenti. In particolare, allora, un vissuto di learned helplessness porterebbe il soggetto ad avere una scarsa stima di sé e un orientamento verso l’insuccesso (Weiner, 1971; 1982). Questa “passività appresa” è anche definita come “l’effetto – psicologico - di ripetute esperienze nel corso delle quali il soggetto apprende che i risultati cui la situazione può portare sono indipendenti dal suo comportamento” (Marini 1990, p. 18). Questo spiegherebbe, allora, perché numerose ricerche dimostrano oggi che l’abbandono della scuola è spesso un evento annunciato, dal momento che si realizza nella maggior parte dei casi a seguito di ripetute esperienze di fallimento, tra cui importanti sono le bocciature. La passività appresa si struttura secondo fasi successive, che prendono avvio dal ripetersi di risultati negativi e dalla valutazione, da parte dello studente, della non contingenza, oggettiva e sistematica, tra condotta e risultato. Questa non contingenza, passata e presente, viene, poi, attribuita a delle cause e quella che ricorre più frequentemente è la scarsa abilità. L’abilità è un fattore causale interno, stabile e non controllabile e, dunque, l’attribuzione porta ad aspettative future ulteriori di non contingenza.

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Da questo momento, iniziano i sintomi di una helplessness cronica e si manifesta, non di rado, una forte riduzione dell’autostima nel soggetto, con importanti deficit motivazionali e un ritardo nell’affrontare i compiti, con deficit cognitivi e lentezza nel processo di apprendimento, e con deficit emotivi e una passività di fronte all’apprendimento in generale o in alcuni settori. Da qui, si origina un continuo declino del rendimento, anche dopo eventuali esperienze di successo. Infatti, uno studente con un basso concetto delle proprie capacità che fa proprie aspettative di insuccesso, dopo un risultato negativo, trae una conferma delle proprie incapacità, mentre in conseguenza di un risultato positivo, tenderà ad attribuire il successo inatteso a fattori instabili che non modificano la bassa concezione di sé. La profezia che si auto-adempie si verifica rispetto a se stessi ma anche, come Rosehthal e Jacobson hanno dimostrato, quando le attribuzioni sono effettuate dall’insegnante rispetto al proprio allievo. Il primo mantiene il suo elevato concetto nei confronti del secondo anche se questo ottiene un fallimento e, se ha un concetto negativo rispetto alle sue capacità, non lo modificherà dopo un successo. Ecco, allora, che un vitale aspetto dell’apprendimento come quello rappresentato dalla motivazione, risulta influenzato dai condizionamenti ambientali, che possono provenire sia dalla scuola, sia dalla famiglia. Il concetto di sé sembra operare, infatti, in maniera diversa anche rispetto alla condizione sociale di provenienza: alcune ricerche dimostrerebbero che i soggetti di status inferiore attribuiscono con più probabilità l’insuccesso a fattori stabili come la scarsa abilità, mentre quelli delle classi più elevate lo attribuiscono a fattori instabili come lo scarso impegno e, quindi, sono meno sottoposti al rischio di helplessness (Manini, 1990).Pur riconoscendo che l’auto-percezione di sé dipende in grande misura dall’ambiente, dunque, non possiamo arrivare ad affermare che questa è completamente incontrollabile da parte del soggetto. Gli studenti entrano nella scuola con una percezione delle proprie abilità parzialmente orientata dall’ambiente sociale e familiare in cui vivono. Dobbiamo riconoscere che esiste la possibilità, per gli studenti, di sviluppare diversi orientamenti motivazionali qualora percepiscano in modo positivo la funzionalità dell’impegno ai fini della riuscita. È stato dimostrato, infatti, che i bambini che credono nel ruolo del proprio impegno personale hanno una propensione maggiore ad insistere e riprovare, dopo un insuccesso in compiti complessi (Comoglio, 1999; Cornoldi, 2006). La motivazione ad apprendere sarebbe, dunque, favorita da una concezione particolare della propria intelligenza9. Tra gli studenti, come altrove, ci sarebbero coloro che vedono i risultati come dovuti a capacità e abilità innate, che non dipendono dallo sforzo, e coloro che, invece, considerano l’intelligenza come una capacità potenzialmente e continuamente sviluppabile e migliorabile. La componente motivazionale è, allora, uno dei fondamentali sistemi che caratterizzano l’attività mentale e contribuiscono a

9 Si rimanda a Dweck, C.S., (1986), Motivational processess affecting learning, American Psychologist, n. 41.

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determinare il risultato scolastico. Essenziale è la presenza di una motivazione positiva, perché possa realizzarsi l’attività metacognitiva e, da questa, le capacità procedurali e le conoscenze dichiarative (Cornoldi, 2006). In sua assenza, è, infatti, difficile che il soggetto avvii quel sistema di strategie che è necessario per sviluppare le conoscenze e le capacità di rispondere alle difficoltà e di affrontare tutti gli impegni scolastici.

La psicologia educativa cognitivista si è occupata, inoltre, anche di quelle situazioni, connesse alla realtà della dispersione scolastica, che prevedono difficoltà di apprendimento, da distinguere dai disturbi specifici di apprendimento (Bombardelli, 2001 Cornoldi, 2006). Il primo termine, che fa riferimento alle learning difficulties,non ha un significato preciso in ambito scientifico, poiché denota problematiche ampie e di vario genere, dovute anche a svantaggi socio-culturali, che sono incontrate dagli studenti nel corso della carriera scolastica e che non sono necessariamente gravi o irreversibili. Il disturbo di apprendimento o learning disability, invece, riguarda difficoltà che si manifestano in maniera più seria e continua, anche se sono riscontrabili meno frequentemente. Il termine specifico si usa nella ricerca per riferirsi a problemi definiti in modo più preciso, che non sarebbero dovuti allo svantaggio determinato dall’ambiente di provenienza, anche se questo può, in ogni caso, aggravarli. Essi si distinguono dagli handicap veri e propri: i disturbi specifici di apprendimento sono dislessia, disgrafia, discalculia, disprassia e così via. Anche se non si è assolutamente certi di questo, ci sono elementi che inducono ad associare questi disturbi a una forma di disfunzione, o di sviluppo atipico, del sistema nervoso centrale. Alle difficoltà scolastiche, in questi soggetti, si aggiungono spesso problemi nell’autoregolazione del comportamento, che è quella capacità di controllarsi nell’interazione sociale tenendo conto dei segnali esterni, ovvero la capacità di stare insieme agli altri e di comprendere i loro messaggi. La diagnosi di questi disturbi si effettua quando, esclusi altri fattori, si manifestano gravi difficoltà in aree importanti dell’apprendimento come la lettura, la scrittura, e/o il calcolo, ma non solo. Questi disturbi sono poco noti agli educatori, rimanendo, così, molto spesso non identificati e non trattati specificamente. I ragazzi con questi limiti oggettivi, infatti, sono frequentemente accusati di mancanza di impegno e volontà: questo rappresenta un grave spreco dal punto di vista sociale, perché gli spazi per un intervento e le possibilità di un loro miglioramento sarebbero invece davvero elevati. Inoltre, coloro che manifestano questi disturbi hanno un’“intelligenza” (un concetto peraltro ancora variamente discusso e misurato attraverso procedure discutibili10) che pare essere anche superiore al loro rendimento

10 Per una dimostrazione empirica che i test di intelligenza servono in realtà a rilevare l’apprendimento scolastico e la capacità di rispondere al test, si rimanda a Fisher, C.S. et al. (1996), Inequality by Design, Princeton U.P., Princeton, New Jersey.

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scolastico e spesso dimostrano, a fronte di evidenti difficoltà, grandi volontà di imparare.

Legato strettamente all’individuo e affrontato dalla ricerca psicoanalitica attuale è l’aspetto dello sviluppo adolescenziale con le sue problematiche. Questa fase della crescita può determinare notevoli difficoltà a livello scolastico, che si manifestano, infatti, in una particolare fascia di età: sono soprattutto gli anni di passaggio dalle scuole medie inferiori alle superiori a registrare, non a caso, tassi di dispersione notevolmente elevati. Il tema dell’adolescenza11 è stato ampiamente trattato nel tempo, anche da approcci diversi, e la letteratura è vastissima. Quello che qui si vuole rilevare è solamente l’esistenza di un’ulteriore chiave di lettura della dispersione scolastica: il disagio manifestato dagli studenti va, infatti, spesso, collocato in un momento particolarmente difficile e fondamentale della loro vita, durante il quale sono sottoposti a numerosi compiti evolutivi e devono avviare un processo di costruzione della propria identità. A partire dalla preadolescenza, infatti, i ragazzi necessitano di una grande quantità di energia psichica che può incidere sulla capacità di concentrazione richiesta dallo studio. Si parla anche di un principio dell’alternanza, secondo il quale mentre il corpo è impegnato nella crescita, la mente tenderebbe ad assopirsi12. L’adolescenza mette alla prova anche il funzionamento del pensiero, arricchito da nuove potenzialità, ma, insieme, minacciato nella possibilità di evolvere. L’emergere del pensiero formale porta grandi modificazioni interiori: se questi cambiamenti non provocano una rottura troppo grande del proprio equilibrio e non intaccano l’integrità personale, l’adolescente può far evolvere il pensiero in maniera creativa; se, al contrario, si sono avute difficoltà nello sviluppo oppure se le trasformazioni adolescenziali sono troppo angoscianti, si può verificare, nel giovane, un disinvestimento delle rappresentazioni mentali e una vera e propria paralisi del pensiero. Questo periodo dello sviluppo umano è, infatti, caratterizzato da trasformazioni fisiologiche, anatomiche, pulsionali e cognitive, che si sommano alle richieste di emancipazione, crescita e autonomia provenienti dalla realtà familiare, oltre che sociale. L’adolescente, divenuto adulto sul piano biologico, non ha tuttavia ancora raggiunto l’indipendenza sul piano psicologico, che viene conquistata tramite un

11 Si vedano, tra i numerosissimi altri, Blos, P., (1979), L’adolescenza come fase di transizione. Aspetti e problemi del suo sviluppo, trad. it. Armando, Roma 1988; Coleman, J.C., (1980), La natura dell’adolescenza, trad. it. Il Mulino, Bologna 1983; Amerio, P. et al., (1990), Gruppi di adolescenti e processi di socializzazione, Il Mulino, Bologna; Petter, G., (1990), Problemi psicologici della preadolescenza e dell’adolescenza, La Nuova Italia, Firenze; Pietropolli Charmet, G., Rosci, E., (1992), La seconda nascita. Per una lettura psicoanalitica degli affetti in adolescenza, Unicopli, Milano; Palmonari, A., (1993) (a cura di), Psicologia dell’adolescenza, Il Mulino, Bologna; De Wit, J., Van Der Veer, G., (1993), Psicologia dell’adolescenza, trad. it. Giunti, Firenze 1993; Greenspan, S.I., Pollock, G.H., (1997), Adolescenza, trad. it. Borla, Roma 1997. 12 Cleparède, E. (1972), La genesi dell’ipotesi, Giunti Barbera, Firenze (ed. orig. 1938).

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“processo di separazione-individuazione” lento, conflittuale e doloroso. Individuarsi significa appropriarsi delle nuove potenzialità e diventare consapevoli delle proprie caratteristiche, che comprendono capacità e limiti. Tutto questo comporta un abbandono delle sicurezze del passato, o meglio una loro rielaborazione, al fine di poter acquisire il futuro: tuttavia, la perdita, per quanto parziale, degli antichi rapporti e della precedente immagine di sé, e la solitudine, a fronte di prospettive di futuro che rappresentano comunque un ignoto, può far emergere profonde ansie nei giovani. La minaccia del sentimento di sicurezza e di benessere psicologico può comportare anche stati affettivi di dolore psichico (Pelanda, 1999)13.La profondità di questo dolore e la capacità di farvi fronte, dipendono dalla storia evolutiva personale e dei sistemi che regolano l’autostima: quest’evoluzione è dovuta a fattori individuali, ma anche ambientali: la famiglia, qui, gioca un ruolo decisivo. Se lo sviluppo non permette di stabilire “basi narcisistiche” sufficientemente solide, la minaccia al sentimento di sicurezza può diventare troppo violenta e il dolore psichico troppo grande per affrontare il cambiamento. L’adolescente cercherà, così, di ridurre il dolore attraverso processi regressivi e manovre difensive che interferiscono nell’attività cognitiva, di cui l’abbandono della scuola è manifestazione (ibidem). L’insuccesso scolastico, tuttavia, non può che produrre un circolo vizioso che rinforza un’immagine di sé negativa e l’interiorizzazione della propria inadeguatezza e può contribuire ad aumentare, ancora, il dolore psichico.

1.4 Una sintesi di fattori: chiavi di lettura per un approccio 1.4 Una sintesi di fattori: chiavi di lettura per un approccio 1.4 Una sintesi di fattori: chiavi di lettura per un approccio 1.4 Una sintesi di fattori: chiavi di lettura per un approccio sistemicosistemicosistemicosistemico

ampia letteratura sul fenomeno ci consente, pur nella complessità dell’analisi, di tracciare sommariamente un profilo dei cosiddetti soggetti più a rischio di

dispersione scolastica. Si tratta, in prevalenza, di maschi, figli delle classi sociali più svantaggiate per condizioni socio-economiche, socio-culturali o perché caratterizzate da assetti familiari problematici, i quali, confluiti spesso nei percorsi più professionalizzanti del sistema educativo, portano con sé esperienze negative pregresse nella scuola, dal punto di vista dell’apprendimento e/o del contesto relazionale (Benvenuto, Rescalli e Visalberghi, 2000): questi elementi, insieme, hanno contribuito ad alimentare in loro uno scarso senso di auto-efficacia e ad annullarne la motivazione scolastica. Sembra, dunque, confermata la molteplicità degli aspetti connessi al fenomeno, cui contribuiscono diversi agenti: individuo, famiglia e scuola hanno responsabilità

13 Per un approfondimento sul concetto di dolore psichico, si veda Sandler, J., (1980), La ricerca in psicoanalisi, trad. it. Boringhieri, Torino.

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diverse, ma concorrono insieme ad una spirale viziosa di insuccesso che conduce, con elevate probabilità, alla rinuncia all’istruzione. Qualcuno, in sostanza, parla di un’influenza prioritaria sulla dispersione scolastica di alcuni fattori individuali,familiari e scolastici, e anche sociali (Besozzi, 1990)14.Particolarmente determinante ci sembra, tuttavia, il risultato dell’interazione tra caratteristiche personali e influenze ambientali e, soprattutto, tra i diversi agenti sociali coinvolti. Per quanto riguarda le differenze di genere, ad esempio, è opportuno rilevare come, oggi e nel nostro sistema educativo, le femmine conseguono maggiori successi e sono anche più propense a continuare gli studi dopo l’assolvimento dell’obbligo. L’apprendimento potrebbe, allora, prospettarsi come una funzione del diverso modo in cui le ragazze, rispetto ai coetanei dell’altro sesso, vengono educate e abituate a reagire e ad attribuire i significati (Gasperoni, 1997). L’incentivazione di comportamenti distinti e la trasmissione di modelli di ruolo specifici, presenti sia in famiglia, sia in società, come a scuola, possono contribuire a sviluppare un’immagine di sé modellata sull’appartenenza di genere. Come conseguenza di questo le femmine (più integrate, conformiste e diligenti) tenderebbero a comportarsi in maniera più desiderabile socialmente, svolgendo i compiti loro assegnati più assiduamente e scrupolosamente e rispondendo meglio, così, alle richieste della scuola. Gli alunni maschi, inoltre, sembrerebbero privilegiare la funzione di socializzazione della scuola, mentre le femmine esprimerebbero una maggiore soddisfazione per la sua funzione cognitiva, nutrendo un interesse più elevato per lo studio, la cultura generale e le capacità professionali che possono acquisire (ibidem). I fattori socio-ambientali, allora, che portano con sé vincoli e valori determinati socialmente, influiscono sui livelli di apprendimento di genere soprattutto strutturando le motivazioni: le femmine hanno, molto probabilmente, anche più motivi per proseguire gli studi a livello superiore. Poco remunerate rispetto ai maschi, più soggette alla disoccupazione, con minori opportunità di carriera o di continuare un’attività nell’azienda di famiglia, le ragazze pagano meno i mancati guadagni dovuti alla posticipazione del lavoro. Le stesse prestazioni scolastiche più soddisfacenti e gratificanti e i percorsi meno accidentati portano, poi, le femmine ad avere maggiori probabilità di continuare gli studi con successo. I maschi, poi, sembrano anche più in difficoltà nel trovare il modo di comunicare il proprio disagio. Soprattutto, manifestano spesso in forme più aggressive le loro inquietudini, le loro sofferenze. Le ragazze si pongono in maniera diversa di fronte ai problemi, sono in grado di aprirsi e di comunicare con più facilità

14 Besozzi (1990) individua quattro tipi fondamentali di cause dell’insuccesso scolastico: le cause personali, le cause socio-culturali e socio-economiche e quelle scolastiche.

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e trovano il coraggio di chiedere aiuto, utilizzando, molto probabilmente, un linguaggio più comprensibile all’istituzione scolastica. Tutto ciò, in un sistema di elementi che si sovrappongono e si intersecano tra loro, contribuisce a determinare maggiori chances di istruzione per le femmine e una dispersione maggiore tra i maschi.

Abbiamo appena accennato anche alle caratteristiche del mercato occupazionale locale, poiché, offrendo opportunità migliori ai maschi, il lavoro può rappresentare un’attrattiva molto forte per quei ragazzi che nella scuola vedono crescere il loro disagio. Il contesto economico, il livello della disoccupazione e il tipo di manodopera richiesta in un dato momento, possono, allora, rappresentare il terreno per una maggiore o minore dispersione scolastica. Il fenomeno, come abbiamo già osservato, è certamente ancora oggi più grave e precoce nelle aree economicamente depresse del Sud del paese e in alcuni contesti di svantaggio diffuso nei grandi inurbamenti. Qui, oltre ai costi elevati connessi al proseguimento del percorso educativo, insostenibili per alcune famiglie, dobbiamo anche evidenziare una percezione dell’inutilità generale del titolo di studio che, in contesti ad alta disoccupazione, non garantisce affatto l’accesso al lavoro. Analizzando il caso del Nord-Est italiano, invece, ci si trova di fronte ad un tipo peculiare di dispersione, che è stato anche definito “da crescita economica” e che non ha le sue radici in un contesto di degrado ambientale, ma, al contrario, si colloca in un ambito di grande sviluppo. In queste aree, l’evasione è pressoché inesistente, mentre invece la dispersione è molto alta nelle scuole superiori, essendo legata a una cultura del lavoro che sta all’origine della crescita economica di anni recenti. Le generazioni adulte hanno un reddito medio molto più alto rispetto al livello di cultura di cui sono in possesso e, anche per questo, trasmettono ai propri figli una concezione dell’inutilità del titolo di studio superiore ai fini dell’affermazione professionale individuale.L’influenza dell’origine familiare si manifesta, infatti, soprattutto determinando diverse aspettative e atteggiamenti più o meno negativi nei confronti della riuscita scolastica. Alcuni contesti di vita quotidiana, e non soltanto quelli di marginalità lavorativa, possono creare nei figli una sottovalutazione dell’istruzione in generale e una scarsa propensione verso la scuola, soprattutto in presenza di una deprivazione culturale dei genitori. Abbiamo soltanto voluto dare un’idea dei legami fortemente complessi tra gli attori coinvolti nelle dinamiche educative. Ad un livello più macro di analisi, famiglia e scuola si collocano, lo abbiamo già ricordato, all’interno di un contesto economico e sociale che offre chances ma avanza anche moltissime richieste; allo stesso tempo, però, l’individuo si trova inserito nei sotto-sistemi familiare e scolastico con cui si trova a dover fare i conti.

La dispersione scolastica nella provincia di Torino Capitolo I

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L’inadeguatezza dei metodi educativi e la scarsa consapevolezza pedagogica presente in alcuni genitori, insieme alla mancanza di dialogo e ad una comunicazione anormale, inviano, non di rado, ai figli, messaggi di svalutazione, di disistima o di stima condizionata al rendimento, di tendenza al perfezionismo, oltre che ingiunzioni al non crescere e diventare autonomi15. I genitori incapaci di gestire il conflitto familiare, che si acuisce nel periodo della preadolescenza e nell’adolescenza, possono compiere l’errore di diventare eccessivamente permissivi o iper-protettivi e colpevolizzare gli altri, delegando e attribuendo competenza solo alla scuola rispetto alle funzioni educative e di custodia, senza riuscire a collaborare con essa. Le disuguaglianze connesse allo svantaggio sociale, in particolare, agirebbero lungo tre vie principali e fortemente interconnesse (Ress, 2006):

� mantenendo nei figli una certa distanza dalla scuola, dall’apprendimento formale istituzionalizzato e dai significati dell’istruzione generale;

� contribuendo alla loro convinzione di inadeguatezza per la scuola, al basso senso di auto-efficacia scolastica e/o di auto-stima più generico;

� adottando modelli educativi autoritari e/o iper-protettivi, inadatti ad un processo di crescita indolore e allo sviluppo dell’autonomia.

La scuola, da parte sua, è incapace, di adottare forme di comunicazione comprensibili per tutti e di affrontare il disagio, ancora una volta mostrandosi come un ospedale che“cura i sani e respinge i malati” (Scuola di Barbiana, 1967). Nella consapevolezza di quanto l’esercizio della professione di insegnante sia un compito difficile, ad esempio, non possiamo trascurare che esso richiede grande sensibilità verso i problemi specifici dei singoli casi, oltre che la conoscenza approfondita delle dinamiche relazionali e dell’importanza del ruolo rivestito, sia nella trasmissione dei saperi, sia nella socializzazione dei giovani. Gli insegnanti tendono ad effettuare attribuzioni disposizionali nello spiegare l’insuccesso scolastico, piuttosto che ricorrere ad attribuzioni situazionali, non riconoscendo, così, le difficoltà degli alunni svantaggiati dall’ambiente in cui vivono. Spesso, a scuola, si trascura l’esistenza dei disturbi specifici di apprendimento, non si riesce a gestire il conflitto del periodo adolescenziale, si compiono errori di valutazione e di orientamento, si interviene attraverso stereotipi, pregiudizi e luoghi comuni, sottovalutando le potenzialità dei cambiamenti e senza mettere in discussione i propri modelli educativi. Gli insegnanti, non di rado, non sanno neppure che la dispersione continua ad allontanare dalle nostre scuole un numero ancora elevato di giovani.

15 Non un saggio, né contributo strettamente scientifico, ma molto stimolante è la visione di Crepet, P. (2005), I figli non crescono più, Einaudi, Torino.

La dispersione scolastica nella provincia di Torino Capitolo I

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Tutti questi elementi interagiscono fra loro e confluiscono, insieme, nel disagio evidente di alcuni alunni. Se le cause della dispersione scolastica, in definitiva, si identificano nella corresponsabilità tra individuo-famiglia-scuola-società, si vede, allora, necessaria un’azione su più fronti. Il singolo, vogliamo sottolinearlo ancora, agisce individualmente e razionalmente, ma in un contesto fortemente strutturato dall’esterno: così, gli studenti che falliscono a scuola e che abbandonano il proprio percorso, decidono in parte autonomamente, ma sempre in condizioni vincolanti che gli si impongono. Compito fondamentale degli adulti è quello di migliorare queste condizioni e consentire ai giovani una scelta più consapevole. Il problema della dispersione scolastica è stato al centro di moltissimi studi ma anche di interventi di politica scolastica negli anni più recenti. La visione di un fenomeno multiforme, che coinvolge temi di ordine sociale, culturale, economico, implica la necessità di adottare un approccio interpretativo sistemico in grado di tener conto di tale complessità: nel discutere attorno ad eventuali “cause” della dispersione scolastica, come abbiamo visto, si sovrappongono inevitabilmente diversi piani interpretativi e più livelli di responsabilità. È ormai opinione condivisa, dunque, che le misure di intervento debbano interessare i diversi ambiti e i contesti richiamati: una prospettiva multidisciplinare di analisi, in sostanza, non può che essere tradotta in un’ottica interistituzionale di azione. Gli Osservatori sulla dispersione scolastica rappresentano dei buoni propositi: si cerca sempre più di affrontare il problema adottando proprio un approccio sistemico, in grado di agire sulle diverse componenti, socio-economiche, socio-culturali, didattico-pedagogiche, relazionali, psicologiche, che contraddistinguono l’insuccesso scolastico.La produzione legislativa di questi ultimi anni è stata mirata al recupero degli studenti in difficoltà e alla risposta ai loro bisogni differenziati. Gli interventi si sono rivolti al contenimento delle carenze di formazione nei docenti, alla collegialità, all’orientamento e all’agevolazione dei passaggi tra sistemi formativi, all’accoglienza, al counselling psicologico e così via. Molto si è fatto e si sta facendo e le iniziative si sono estese a tutto il territorio nazionale: tutto questo dimostra una grande consapevolezza e un’evidente attenzione al fenomeno da parte delle diverse istituzioni. Proposte e ricerche a livello anche di politica locale, enti di ricerca locali, associazioni, istituti scolastici mettono in luce una battaglia importante e diffusa contro la dispersione. A fronte di tutte le azioni messe in atto, tuttavia, i risultati non sempre compensano gli sforzi compiuti da più parti. Ogni azione per ridurre la dispersione scolastica va certamente programmata a livello locale anche sfruttando le opportunità che sono offerte, oggi, dall’autonomia scolastica e lavorando, concretamente, sui molti fronti e i diversi ambiti in cui si colloca lo studente.

La dispersione scolastica nella provincia di Torino Capitolo I

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Non possiamo, tuttavia, dimenticarci che il sistema scolastico è coinvolto in prima linea in questa battaglia: le dinamiche di riforma tuttora in corso dovranno rendere conto anche della capacità della scuola di allargare la partecipazione ad un’utenza sempre più ampia, perché nessuno, il più possibile, ne rimanga escluso. La sfida rimane aperta: la scuola dovrà dimostrare alle nuove generazioni quanto riuscirà ad essere più articolata, flessibile e accogliente, quanto saprà essere garanzia di conoscenza e uguaglianza dei cittadini e strumento di crescita della società nel suo complesso.

La dispersione scolastica nella provincia di Torino

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CapitoloCapitoloCapitoloCapitolo

2222Esiti scolastici in Provincia di Torino: l’analisi quantitativa

2.1 Il sistema formativo provinciale: una contestualizzazione2.1 Il sistema formativo provinciale: una contestualizzazione2.1 Il sistema formativo provinciale: una contestualizzazione2.1 Il sistema formativo provinciale: una contestualizzazione

rima di entrare nel merito del fenomeno della dispersione nel contesto locale, è utile dare una descrizione pur breve del contesto educativo di cui stiamo

parlando.Inizieremo questa parte innanzitutto cercando di chiarire quali sono i problemi maggiori che si riscontrano solitamente quando ci si presta ad esaminare l’insuccesso scolastico: le difficoltà relative al reperimento di dati completi, aggiornati ed esenti da errori sono molto frequenti e anche questa indagine ne ha certamente risentito. Passeremo poi rapidamente in rassegna le principali grandezze del sistema scolastico torinese attraverso l’utilizzo di fonti ufficiali, in modo da avere uno sfondo affidabile sul quale fare riferimento per le analisi successive.

2.1.1 Un monitoraggio difficile: considerazioni sulle fonti2.1.1 Un monitoraggio difficile: considerazioni sulle fonti2.1.1 Un monitoraggio difficile: considerazioni sulle fonti2.1.1 Un monitoraggio difficile: considerazioni sulle fonti Uno dei problemi principali, quando ci si propone di studiare il fenomeno della dispersione scolastica, è in definitiva quello di trovarne una definizione operativa, anche dopo aver raggiunto un comune accordo sul piano concettuale. I principali indicatori utilizzati tra gli esperti in questo campo riguardano le bocciature e gli abbandoni. In questo modo, è possibile operativizzare due dimensioni diverse del fenomeno della dispersione: la prima è in qualche modo più gestibile, poiché ancora “interna al sistema”, la seconda è molto più problematica, in quanto coinvolge coloro che abbandonano definitivamente il percorso di studio. Oltre a questi indicatori più tradizionali, ci si potrebbe riferire anche ai trasferimenti tra indirizzi o istituti diversi, alle interruzioni temporanee del percorso scolastico, oppure ancora all’incidenza di quelli che oggi sono chiamati debiti formativi, fino ai tassi di assenteismo tra gli alunni. Questi indicatori più “soft” sarebbero utili per rilevare quelle forme di insuccesso che non portano inevitabilmente alla fuoriuscita dal sistema educativo, ma che rappresentano comunque dei segnali di disagio, degli indici di un rischio che la scuola ha bisogno di monitorare in continuazione. Non è stato possibile, con i dati a disposizione, riuscire a tenere sotto controllo anche questi aspetti per così dire “minoritari” e avere un’idea dalla quantità di disagio anche trasversale presente nel sistema torinese. Gli indicatori disponibili, tuttavia, hanno

P

Capitolo II

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32

consentito di offrire una rappresentazione sufficientemente completa della dispersione nelle sue componenti più importanti e di condurre un’analisi approfondita del fenomeno nelle sue differenziazioni più incisive. Vogliamo riportare, in questo contesto, la rilevazione della dispersione scolastica a livello regionale: l’esempio in Tabella 2.1 ci dà un’idea, anche se abbastanza sommaria, di come è possibile rilevare il fenomeno attraverso “misure” dirette, come ad esempio i non valutati o i respinti, che non necessitano di elaborazioni ulteriori da parte del ricercatore: ogni intervento sui dati, infatti, è soggetto inevitabilmente ad errori aggiuntivi. La disponibilità del numero dei non valutati, inoltre, permette di migliorare l’indicatore di abbandono (rilevato altrimenti attraverso i dati sugli scrutinati) che dovrebbe essere depurato di quel numero di scrutinati a fine anno non presenti, per varie ragioni, all’inizio dell’anno. Allo stesso modo, poter disporre del numero degli studenti che, respinti a fine anno, non si riscrivono all’anno scolastico successivo nella stessa scuola, permette di dare una chiara rappresentazione della dispersione in un intero anno scolastico, fino al passaggio a quello successivo.

Tab. 2.1 Calcolo della dispersione a livello dell’istruzione secondaria superiore del sistema regionale16

%� Iscritti 2002/03 155.707

� Scrutinati/esaminati 153.065

� Non valutati 3.714

� Respinti giugno 2003 16.699

� Ripetenti 2003/04 9.643

� Bocciati non reiscritti alla stessa scuola 7.056

� % dispersi 6,9

Fonte: dati pubblicati nell’Osservatorio Piemonte (2004)

L’esempio appena riportato potrebbe essere un primo passo per poter disporre di dati che consentano un monitoraggio della dispersione in modo adeguato anche a livello locale. Inoltre, avere a disposizione dei dati sugli iscritti in più fasi temporali, che rilevassero la situazione durante i primi mesi dell’anno scolastico attraverso un aggiornamento

16 I dati regionali della tabella 2.1 non permettono di essere confrontati con quelli provinciali che si utilizzeranno nell’analisi successiva, poiché comprendono anche quelli relativi alle scuole serali, esclusi invece dall’estrazione dei dati provinciali.

Capitolo II

La dispersione scolastica nella provincia di Torino

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costante dei numeri ad opera delle scuole (creando nuovi campi e non sovra-scrivendo il dato), potrebbe rappresentare un’alternativa certamente ancora preferibile e consentirebbe di tenere sotto controllo efficacemente gli abbandoni e i passaggi, concentrati non di rado prevalentemente all’avvio dell’anno scolastico. I dati sui trasferimenti e sui debiti formativi completerebbero lo spettro per un’analisi più dettagliata, in attesa di un sistema anagrafico che possa seguire puntualmente ogni alunno nelle sue diverse manifestazioni del disagio. È importante aggiungere che tutto questo diventa essenziale nonostante (e forse ancor più) le politiche educative prevederanno probabilmente un prolungamento dell’obbligo scolastico che anche in Italia raggiungerà forse i 16 anni di età.

Seguirà, a questo punto, dopo una breve presentazione della composizione del sistema scolastico in provincia di Torino, un’analisi quanto più aggiornata possibile degli esiti scolastici nella scuola dell’obbligo, divisa per ciclo quinquennale primario e secondaria inferiore, e nell’istruzione superiore.

2.1.2 La popolazione scolastica torinese2.1.2 La popolazione scolastica torinese2.1.2 La popolazione scolastica torinese2.1.2 La popolazione scolastica torinese

Per iniziare è utile dare uno sguardo ai dati dell’ultimo Censimento17. Nel 2001 la popolazione provinciale torinese dai sei ai diciotto anni iscritta ad un corso regolare di studi risultava essere per l’ISTAT pari a 209.070 unità, mentre quella residente sullo stesso territorio e nella stessa fascia di età era pari a 229.909 unità. Si rileva quindi uno scarto di più di ventimila soggetti, pari al 9,1%, che non risultano iscritti ad un corso regolare di studi. Dal grafico che segue è interessante osservare l’andamento della curva di dispersione in funzione dell’età degli individui. Tra i sei e i dieci anni di età i soggetti che non risultano iscritti ad un corso di studi sono circa il 2% di quelli residenti, dando una configurazione alla curva piuttosto piatta. Un primo importante cambiamento della curva si osserva nel passaggio dall’età della scuola primaria a quella della scuola secondaria di primo grado. La percentuale di residenti non iscritti a scuola cresce tra i dieci e gli undici anni, raggiungendo quasi il 4%. Il secondo momento problematico, in cui la curva di dispersione si eleva per poi innalzarsi ripidamente, è tra la fine della secondaria inferiore e l’inizio di quella superiore. I soggetti non iscritti ad un corso regolare di studi superano il 5% dei quattordicenni residenti e costituiscono più dell’11% dei quindicenni. La crescita della curva, fino ad arrivare ad un terzo di diciottenni non frequentanti la scuola, mette in evidenza come la dispersione sia un fenomeno che, pur manifestandosi nella

17 I dati sono stati tratti dal sito del Censimento Istat, 2001: http://dawinci.istat.it/

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scuola di base, si svela numericamente in tutta la sua portata nella scuola secondaria superiore e soprattutto nei momenti di passaggio da un grado scolastico all’altro.

Fig. 2.1 Popolazione residente che non risulta iscritta ad un corso regolare di studi per età (da 6 a 19 anni) - % (Fonte:

Censimento Istat 2001)

0

5

10

15

20

25

30

35

40

6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18

Torino Piemonte Italia Nord-Occidentale Italia

Confrontando i dati torinesi con quelli relativi agli altri livelli territoriali (Regione Piemonte, ripartizione Nord-Ovest, Italia) ci si accorge in particolare che l’andamento della curva per età è sostanzialmente simile per tutte le zone, benché si riscontri una percentuale di non iscritti a scuola lievemente più elevata a livello nazionale e più ridotta per quello provinciale. Gli scarti più significativi emergono soprattutto per i soggetti con più di quattordici anni: la scuola secondaria superiore è infatti quella che più degli altri gradi scolastici risente delle differenze presenti sul territorio, in termini di offerta formativa, mercato del lavoro, politiche di lotta alla dispersione scolastica.

Entreremo ora più in dettaglio ad esaminare il sistema locale, attraverso i dati pubblicati nell’Osservatorio Piemonte nel 2004. La popolazione scolastica della provincia di Torino rappresenta più della metà degli alunni del sistema educativo

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La dispersione scolastica nella provincia di Torino

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regionale: costituito, infatti, da circa 450.000 studenti, il 52% di questi sono inseriti in una scuola del capoluogo. L’incidenza della partecipazione dei giovani torinesi all’istruzione territoriale è tale da farci comprendere immediatamente la portata che ha un fenomeno come quello della dispersione scolastica in questa parte del sistema regionale. Entreremo ora più in dettaglio ad esaminare il sistema locale. Anche se non ci occuperemo delle problematiche connesse alla presenza di alunni stranieri, che vede il sistema torinese in linea con quanto sta accadendo a livello nazionale, è utile considerare, in Figura 2.2, come una cospicua parte di popolazione scolastica provinciale sia rappresentata da più di dodicimila alunni stranieri (5,3%), una popolazione in continua crescita come nelle maggiori città italiane18.

Fig. 2.2 Studenti stranieri nel sistema scolastico torinese (a. s. 2003/04)

N

Stranieri 12.314

Italiani 220.030

Totale 232.344

94,7%

5,3%

Stranieri Italiani

Fonte: rielaborazioni su dati pubblicati nell’Osservatorio Piemonte (2004)

Una parte del sistema scolastico provinciale è gestita, anche a Torino, da scuole paritarie, con una presenza complessiva del privato nelle scelte delle famiglie pari al 7,4% della popolazione scolastica totale (Fig. 2.3). Tutto questo, senza prendere in considerazione il mondo dell’infanzia: la presenza dell’istituzione privata, infatti, è capillare soprattutto a livello pre-scolastico, che, se incluso nell’analisi, incrementerebbe la percentuale degli alunni iscritti al privato fino al 15,2% (IRES Piemonte, 2004).

18 Per un approfondimento si rimanda alla pubblicazione dell’Osservatorio regionale (IRES Piemonte, 2004).

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La dispersione scolastica nella provincia di Torino

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Fig. 2.3 Incidenza della gestione privata nel sistema scolastico torinese (a. s. 2004/05)

N

Privato 17.226

Pubblico 215.118

Totale 232.344

92,6%

7,4%

Pubblico Privato

Fonte: rielaborazioni su dati pubblicati nell’Osservatorio Piemonte (2004)

Se si esamina la popolazione di ogni ordine o grado scolastico, riportata in Figura 2.4, si osserva che un insieme di circa 91.000 alunni si trova nella scuola del primo livello, un altro ammontare di 58.000 alunni circa è inserito nel ciclo intermedio della secondaria inferiore, mentre l’ordine superiore è costituito da 83.000 studenti circa19.Vedremo, nelle prossime pagine, come durante l’ultimo ventennio il trend demografico comune al resto del Paese abbia praticamente dimezzato le leve giovanili che si trovano ad attraversare il sistema dell’istruzione obbligatoria.

Queste proporzioni già da sole potrebbero darci un segnale, anche se molto sommario, di ciò che avviene nel sistema: rispetto ad una situazione ideale in cui i 232.344 studenti torinesi fossero perfettamente distribuiti sulle 5 classi della scuola elementare, le 3 classi della scuola media e le 5 classi della scuola superiore (38,4%, 23,2%, 38,4%), gli alunni dell’istruzione dell’obbligo appaiono sovrarappresentati e gli studenti dell’istruzione superiore sottostimati. Anche tenendo conto della partecipazione di alunni stranieri che negli anni più recenti comincia a farsi sentire soprattutto nella scuola di base, i numeri dell’istruzione superiore non riescono a dar conto del calo demografico che dovrebbe sbilanciare l’ago della bilancia verso gli studenti meno giovani. È presto per poter fare considerazioni, ma già questi numeri assoluti ci fanno capire immediatamente che:

19 I dati che vengono presentati in questa sezione si riferiscono all’anno 2004 (pubblicati dall’Osservatorio Piemonte), diversamente da quelli del Censimento visti in precedenza, che si riferivano all’anno 2001. La diversità dell’anno di riferimento e delle modalità di rilevazione da parte delle due fonti spiegano le differenze nei dati.

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a. nella scuola media si accumulano e iniziano ad evidenziarsi i primi ritardi del percorso scolastico;

b. a livello superiore si assiste ad un forte rallentamento nella partecipazione all’istruzione in corrispondenza del venir meno dell’obbligo scolastico, come è emerso anche in precedenza dai dati del Censimento 2001.

Fig. 2.4 Studenti iscritti al sistema scolastico provinciale (a. s. 2003/04)

N

Primaria 91.319

Secondaria inferiore

57.947

Secondaria superiore

83.078

Totale 232.344

39%

25%

36%

Primaria Secondaria inferiore Secondaria superiore

Fonte: rielaborazioni su dati pubblicati nell’Osservatorio Piemonte (2004)

Nell’ultima figura qui rappresentata (Fig. 2.5), è possibile distinguere le scelte dei giovani torinesi in merito all’indirizzo di studio intrapreso. I dati pubblicati dall’Osservatorio regionale riportano una situazione in cui un terzo dei giovani torinesi che ha scelto di continuare gli studi nel grado superiore è iscritto ad un liceo, per un totale di 26.950 alunni nel 2003/04. La maggior parte dei giovani scolarizzati in provincia, tuttavia è inserito in una scuola di indirizzo tecnico (con il 34,7%). Gli altri studenti di Torino si dividono tra istituti ad indirizzo professionale, nel 22,5% dei casi, l’area magistrale nel 7% del totale, quella artistica in soltanto il 3,3% dei casi.

Capitolo II

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Fig. 2.5 Studenti iscritti alle diverse aree dell’istruzione superiore torinese (a. s. 2003/04)

N

Licei 26.950

I. Magistrali 5.795

I. Artistici 2.753

I. Tecnici 28.848

I. Professionali 18.671

Altro 61

Totale 83.078

32,4%

7,0%

3,3%34,7%

22,5% 0,1%

Licei I. Magistrali I. ArtisticiI. Tecnici I. Professionali Altro

Fonte: rielaborazioni su dati pubblicati nell’Osservatorio Piemonte (2004)

Dati più aggiornati permetteranno in futuro di verificare un eventuale travaso di studenti che dall’area tecnica si sono spostati al liceo o sono confluiti in scuole più professionalizzanti, a seguito dei cambiamenti annunciati dalla recente Riforma del sistema educativo: le trasformazioni proposte dal 2003 avrebbero, infatti, previsto l’istituzione del cosiddetto doppio canale con la scomparsa dell’indirizzo tecnico. Indipendentemente dalle vicende politiche che ne hanno sospeso l’attuazione, resteranno da verificare le ricadute reali nelle scelte delle famiglie dei cambiamenti attuati. Questi dati, inoltre, non tengono naturalmente conto delle eventuali “perdite” lungo il percorso e dunque delle scelte iniziali degli studenti, compiute all’uscita della scuola dell’obbligo. Osserveremo, nelle prossime pagine, proprio che cosa succede lungo le carriere scolastiche dei giovani torinesi, esaminando in dettaglio i tassi di dispersione a partire dalla scuola di base. In ogni paragrafo, prima di inoltrarci negli aspetti problematici del sistema scolastico provinciale, esamineremo brevemente l’evoluzione della popolazione studentesca nei diversi gradi dell’istruzione locale. Seguirà, infine, una trattazione dell’evoluzione storica della dispersione stessa, secondo le principali variabili di interesse.

Capitolo II

La dispersione scolastica nella provincia di Torino

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2.2 L’insuccesso nella scuola di base: l’istruzione primaria2.2 L’insuccesso nella scuola di base: l’istruzione primaria2.2 L’insuccesso nella scuola di base: l’istruzione primaria2.2 L’insuccesso nella scuola di base: l’istruzione primaria

analisi della popolazione studentesca in Provincia di Torino sarà condotta, a questo punto, in termini di insuccesso scolastico.

A cominciare dalla scuola di base, nella prima parte sarà offerto un esame longitudinale della partecipazione scolastica a livello locale nel corso dell’ultimo ventennio.

2.2.1 Evoluzione storica della popolazione studentesca L’impressionante calo demografico che ha investito il nostro paese si evidenzia in particolar modo quando ci si sofferma ad esaminare la partecipazione scolastica nei primi anni dell’istruzione obbligatoria. Il contesto locale non appare dispensato da questa enorme trasformazione nella consistenza della popolazione studentesca manifestatasi in modo preoccupante in ambito nazionale. Se si osserva, in Figura 2.6, l’andamento delle iscrizioni alle varie classi della scuola primaria torinese suddiviso per genere, la popolazione scolastica più giovane appare, dal 1981 fino ai nostri giorni, praticamente quasi dimezzata, passando da un totale di 176.042 alunni maschi e femmine iscritti nell’anno scolastico 1981/82, fino ad una cifra di 92.989 complessivamente iscritti nel 2004/0520.

20Il 2004/05 è ultimo anno scolastico disponibile nel database provinciale per quest’analisi.

L’

Capitolo II

La dispersione scolastica nella provincia di Torino

40

Fig. 2.6 Trend anagrafico nell'istruzione primaria, per genere

0

10000

20000

30000

40000

50000

60000

70000

80000

90000

100000

1981

-1982

1982

-1983

1983

-1984

1984

-1985

1985

-1986

1986

-1987

1987

-1988

1988

-1989

1989

-1990

1990

-1991

1991

-1992

1992

-1993

1993

-1994

1994

-1995

1995

-1996

1996

-1997

1997

-1998

1998

-1999

1999

-2000

2000

-2001

2001

-2002

2002

-2003

2003

-2004

2004

-2005

Maschi Femmine

Il trend appena descritto, che come conseguenza della forte crescita degli alunni stranieri degli ultimi anni (Osservatorio Istruzione Piemonte, 2004) appare aver subito un forte rallentamento a partire dalla metà degli anni Novanta, ha coinvolto nella stessa misura l’istruzione pubblica, come quella privata, forse ancora più colpita.

In Figura 2.7, possiamo osservare l’andamento delle iscrizioni alla scuola elementare secondo le modalità di gestione della scuola (statale o paritaria): i numeri dell’istituzione non statale, nel 1981/82, permettevano di raggiungere un totale di 13.368 alunni alla primaria, mentre nel 2004/05 sono scesi fino a 6.778.

Capitolo II

La dispersione scolastica nella provincia di Torino

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Fig. 2.7 Trend anagrafico nell'istruzione primaria, per tipo di gestione

0

20000

40000

60000

80000

100000

120000

140000

160000

180000

1981

-1982

1982

-1983

1983

-1984

1984

-1985

1985

-1986

1986

-1987

1987

-1988

1988

-1989

1989

-1990

1990

-1991

1991

-1992

1992

-1993

1993

-1994

1994

-1995

1995

-1996

1996

-1997

1997

-1998

1998

-1999

1999

-2000

2000

-2001

2001

-2002

2002

-2003

2003

-2004

2004

-2005

Scuola statale Scuola non statale

La percentuale della popolazione scolastica non statale calcolata sull’insieme degli alunni iscritti alla primaria sembra rimasta sostanzialmente stabile nell’arco del ventennio considerato, anche se negli anni più recenti si evidenzia una certa tendenza delle famiglie verso una propensione minore a scegliere una scuola privata per i propri figli.

La diminuzione delle nascite sembra aver coinvolto in misura maggiore la popolazione urbana rispetto a quella periferica, anche se la riduzione di popolazione del centro urbano torinese che si è verificata negli anni può ben spiegare la crescita dell’incidenza delle iscrizioni extra-urbane sul totale provinciale. L’andamento delle iscrizioni per area geografica, distinte tra città di Torino e resto della provincia, registra infatti un calo maggiore delle iscrizioni alla primaria nella zona più urbanizzata. La tendenza ad una maggiore incidenza delle iscrizioni extra-urbane è più visibile se si osserva il trend della popolazione scolastica fuori Torino calcolato come percentuale sul totale: se nel 1981/82 rappresentava, infatti, poco più della metà, oggi i due terzi degli alunni torinesi è iscritto a scuole primarie collocate lontane dal capoluogo (Fig. 2.8).

Capitolo II

La dispersione scolastica nella provincia di Torino

42

Fig. 2.8 Incidenza popolazione scolastica fuori Torino nell'istruzione primaria

50

52

54

56

58

60

62

64

1981

-1982

1982

-1983

1983

-1984

1984

-1985

1985

-1986

1986

-1987

1987

-1988

1988

-1989

1989

-1990

1990

-1991

1991

-1992

1992

-1993

1993

-1994

1994

-1995

1995

-1996

1996

-1997

1997

-1998

1998

-1999

1999

-2000

2000

-2001

2001

-2002

2002

-2003

2003

-2004

2004

-2005

%

Alunni iscritti fuori Torino

2.2.2.2.2.2 Gli esiti: indicatori aggiornati di dispersione Dopo aver osservato com’è cambiata la configurazione dell’istruzione primaria dagli anni Ottanta ai giorni nostri, possiamo passare in rassegna i movimenti attuali degli alunni nel corso di un anno scolastico e i loro esiti finali. Questi indicatori di dispersione, soggetti probabilmente anche a movimenti geografici delle famiglie sul territorio e dunque non sempre interpretabili come insuccesso dei singoli alunni, ci possono dare un’idea di ciò che avviene durante l’anno scolastico nel primo ciclo dell’istruzione obbligatoria. In Tabella 2.2, osserviamo i principali tassi di dispersione per le cinque classi della scuola primaria, nell’anno scolastico 2004/05 (l’anno più recente a disposizione).

Capitolo II

La dispersione scolastica nella provincia di Torino

43

Tab. 2.2 Incidenza della dispersione nella scuola elementare, per classe (a. s. 2004/05)

Classe Iscritti Ripetenti %

Ritardo21Non

scrutinati

%Abbandoni o

trasferimenti22 Respinti%

Bocciature23

Prima 19.085 55 0,28 382 2,0 128 0,68

Seconda 19.283 31 0,16 387 2,0 66 0,35

Terza 18.492 25 0,13 340 1,8 55 0,30

Quarta 18.008 22 0,12 317 1,7 32 0,18

Quinta 18.121 30 0,16 318 1,7 116 0,65

Totale 92.989 163 0,18 1.744 1,9 397 0,44

La dispersione complessiva, nella scuola primaria, è ancora molto bassa e riguarda pochissimi casi: questi costituiscono, infatti, lo 0,18% di alunni ripetenti, percentuale calcolata sul totale degli iscritti ad inizio anno, l’1,9% di alunni (sempre in rapporto agli iscritti) che non sono scrutinati a fine anno per diverse ragioni e lo 0,44% di alunni respinti a fine anno, calcolati sul totale degli scrutinati. In definitiva, nell’anno scolastico 2004/05, 163 bambini in provincia di Torino stavano ripetendo una classe già frequentata, 1.744 non risultavano rintracciabili alla fine dell’anno, 397 a seguito dello scrutinio non erano stati ammessi all’anno successivo.Per quanto riguarda le singole classi, possiamo notare una lieve ma progressiva diminuzione della dispersione al progredire del percorso scolastico (Tab. 2.1), sia per quanto riguarda i non scrutinati (che tuttavia non possiamo in alcun modo tradurre in ritirati per ragioni strettamente scolastiche), sia per quanto riguarda gli insuccessi certi e sanzionati. Soltanto in quinta, con il passaggio all’ordine scolastico superiore, la scuola riprende a selezionare in modo più rigoroso (da 32 alunni respinti in quarta, si passa improvvisamente a 116 bocciati in quinta), dimostrando come la continuità tra un percorso e l’altro istituita dal sistema comprensivo non avvenga ancora in modo del tutto lineare.

In Tabella 2.3, si riportano gli stessi dati sulla dispersione torinese nella primaria, disaggregati per genere dell’alunno.

21 Percentuale di ripetenti calcolata sugli iscritti. 22 Percentuale di non scrutinati calcolata sugli iscritti. 23 Percentuale di bocciati calcolata sugli scrutinati.

Capitolo I I

La dispersione scolastica nella provincia di Torino

44

Tab. 2.3 Incidenza della dispersione nella scuola elementare, per genere (a. s. 2004/05)

Genere Iscritti Ripetenti %

Ritardo24Non

scrutinati

%Abbandoni o

trasferimenti25 Respinti%

Bocciature26

Maschi 47.975 102 0,21 844 1,8 241 0,51

Femmine 45.014 61 0,13 900 2,0 156 0,35

Totale 92.989 163 0,18 1.744 1,9 397 0,44

Trascurando il discorso sulle interruzioni, data l’impossibilità suddetta di arrivare a qualche conclusione sul destino dei non scrutinati, i risultati delle due popolazioni confermano, come molte ricerche dimostrano (Gasperoni, 2005), un insuccesso maggiore tra i maschi rispetto a quanto avviene per le femmine, diversità che si manifesta anche a Torino già nei primi anni di scuola. Così, a cominciare dalle elementari, di 163 alunni ripetenti in provincia, 102 sono maschi, e di 397 alunni respinti a fine anno, 241 sono, ancora una volta, maschi. Le differenze tra lo 0,21% di ripetenti maschi e lo 0,13% di femmine, oltre a quella tra lo 0,51% di respinti maschi contro lo 0,35% delle femmine, non sono ovviamente ancora molto significative, vista l’esiguità dei numeri: proseguendo negli ordini di scuola, le differenze di genere si mostreranno molto più evidenti.

2.2.3 Trend storici di insuccesso per alcune variabili fondamentali

La scuola di massa è progressivamente diventata sempre meno selettiva, se si considera l’insieme degli alunni complessivamente intesi. Inevitabilmente, gli indicatori di insuccesso risentono dei cambiamenti nelle politiche educative e delle trasformazioni che investono l’intero ordinamento educativo. Sancire l’insuccesso dell’alunno, inteso come mancato raggiungimento degli obbiettivi scolatici, attraverso una bocciatura fin dai primi anni di scuola, con le ricadute sull’immagine di sé che questo può comportare, è una pratica ormai sempre più abbandonata anche dal sistema educativo italiano. In Figura 2.9 (così come nelle immagini successive), il dato è ben visibile anche dall’andamento dei ritardi27 in provincia di Torino, considerati in ogni classe del grado dell’istruzione primaria.

24 Percentuale di ripetenti calcolata sugli iscritti. 25 Percentuale di non scrutinati calcolata sugli iscritti. 26 Percentuale di bocciati calcolata sugli scrutinati.

Capitolo II

La dispersione scolastica nella provincia di Torino

45

Come si può notare, inoltre, gli episodi di insuccesso si sono sempre concentrati all’inizio del percorso, e quindi in prima o in seconda classe, ma soprattutto in quinta: la consuetudine, a scuola, è quella di far ripetere l’ultimo anno della scuola elementare, piuttosto che lasciare che gli alunni con maggiori difficoltà intraprendano il ciclo successivo. In ogni caso, il gap tra le ripetenze in terza e in quinta classe era piuttosto evidente all’inizio degli anni Ottanta, mentre oggi la selezione nella scuola primaria si è molto ridotta, fino quasi ad annullarsi.

Fig. 2.9 Trend delle ripetenze nella scuola primaria, per classe (% sugli iscritti)

0,00,20,40,60,81,01,21,4

1981

-1982

1982

-1983

1983

-1984

1984

-1985

1985

-1986

1986

-1987

1987

-1988

1988

-1989

1989

-1990

1990

-1991

1991

-1992

1992

-1993

1993

-1994

1994

-1995

1995

-1996

1996

-1997

1997

-1998

1998

-1999

1999

-2000

2000

-2001

2001

-2002

2002

-2003

2003

-2004

2004

-2005

%

Prima Seconda Terza Quarta Quinta

In Figura 2.10, possiamo osservare, invece, l’andamento dei ritardi in provincia di Torino, suddivisi per il genere degli alunni. L’insuccesso scolastico, come abbiamo già visto, è un problema diffuso soprattutto tra gli alunni maschi: come si vede nel trend riportato, questo è un dato che è confermato in tutti gli anni disponibili, senza alcuna eccezione, nonostante la distanza a favore delle femmine, in corrispondenza di una minor selettività della scuola, si sia comunque ridotta nel tempo.

27 La scelta dell’indicatore di ripetenza, per esaminare il trend ai diversi livelli della scuola di base, è giustificata da tre ordini di ragioni: la migliore affidabilità rispetto ai dati disponibili sulle bocciature, in particolare per gli anni più recenti; la disponibilità della disaggregazione per genere per tutte le classi, che non era possibile avere con i dati sulle bocciature; la necessità di non essere ripetitivi considerando che le ripetenze, per loro natura, in buona parte si sovrappongono, soprattutto nella scuola di base, ai dati sulle bocciature.

Capitolo II

La dispersione scolastica nella provincia di Torino

46

Fig. 2.10 Trend delle ripetenze nell'istruzione primaria, per genere (% sugli iscritti)

0,0

0,2

0,4

0,6

0,8

1,0

1,2

1981

-1982

1982

-1983

1983

-1984

1984

-1985

1985

-1986

1986

-1987

1987

-1988

1988

-1989

1989

-1990

1990

-1991

1991

-1992

1992

-1993

1993

-1994

1994

-1995

1995

-1996

1996

-1997

1997

-1998

1998

-1999

1999

-2000

2000

-2001

2001

-2002

2002

-2003

2003

-2004

2004

-2005

%

Maschi Femmine

La tendenza ad una maggior agevolazione del percorso ha sempre connotato la scuola a gestione non statale: il rigore maggiore nella selezione da parte della scuola statale, se si analizza l’andamento dei tassi di ripetenza disaggregato per tipo di gestione della scuola, appare ampiamente confermato negli anni sul territorio locale (Fig. 2.11). Anche in questo caso, la distanza tra pubblico e privato in termini di ripetenze degli alunni, si riduce con il diminuire della selettività a livello globale nel corso del ventennio considerato.

Capitolo II

La dispersione scolastica nella provincia di Torino

47

Fig. 2.11 Trend delle ripetenze nella scuola primaria, per gestione (% sugli iscritti)

0,0

0,2

0,4

0,6

0,8

1,0

1,2

1981

-1982

1982

-1983

1983

-1984

1984

-1985

1985

-1986

1986

-1987

1987

-1988

1988

-1989

1989

-1990

1990

-1991

1991

-1992

1992

-1993

1993

-1994

1994

-1995

1995

-1996

1996

-1997

1997

-1998

1998

-1999

1999

-2000

2000

-2001

2001

-2002

2002

-2003

2003

-2004

2004

-2005

%

Statale Non statale

Nell’ultima immagine che riguarda il grado dell’istruzione primaria fotografata singolarmente, osserviamo l’andamento delle ripetenze tra gli alunni iscritti a scuole dell’area centrale di Torino e tutti gli altri che appartengono invece alle zone più periferiche (Fig. 2.12). Al di là di un “outlier” in corrispondenza dell’anno 2001/02, che appare più come un presumibile errore di registrazione dei dati, le istituzioni del capoluogo sono sempre state più selettive di quelle periferiche. Questo è un elemento che, oltre che manifestarsi in provincia di Torino, trova conferma anche in molte ricerche sulla dispersione condotte a livello locale.

Capitolo II

La dispersione scolastica nella provincia di Torino

48

Fig. 2.12 Trend ripetenze nella scuola primaria, per area geografica (% sugli iscritti)

0,0

0,2

0,4

0,6

0,8

1,0

1,2

1981

-1982

1982

-1983

1983

-1984

1984

-1985

1985

-1986

1986

-1987

1987

-1988

1988

-1989

1989

-1990

1990

-1991

1991

-1992

1992

-1993

1993

-1994

1994

-1995

1995

-1996

1996

-1997

1997

-1998

1998

-1999

1999

-2000

2000

-2001

2001

-2002

2002

-2003

2003

-2004

2004

-2005

%

Torino Fuori Torino

2.3 L’insuccesso nella scuola 2.3 L’insuccesso nella scuola 2.3 L’insuccesso nella scuola 2.3 L’insuccesso nella scuola di base: la secondaria inferioredi base: la secondaria inferioredi base: la secondaria inferioredi base: la secondaria inferiore

n questa parte, l’analisi del sistema scolastico in Provincia di Torino, proseguirà prendendo in considerazione il grado dell’istruzione secondaria inferiore.

Cominceremo, anche qui, prima di passare ad osservare gli esiti degli alunni, da un esame longitudinale della partecipazione scolastica locale a questo livello.

2.3.1 Evoluzione storica della popolazione studentesca Complessivamente, nell’arco dei ventitré anni considerati la popolazione iscritta alla scuola secondaria inferiore si è ridotta del 48,8%, passando da un totale di 112.304 iscritti nell’anno scolastico 1981/82 fino a 57.498 unità nel 2004/05, ultimo anno per cui sono disponibili i dati. Un calo che, in modo analogo a quanto si è verificato nella scuola primaria, si è mantenuto contenuto ma costante dal 1981 al 1985, per poi registrare una brusca accelerazione dal 1986 al 1992, riprendere a diminuire più lentamente ed infine stabilizzarsi nell’ultimo decennio, anche in questo caso come probabile conseguenza dei flussi migratori in entrata degli anni più recenti. Riportiamo, in Figura 2.13, l’andamento della configurazione del ciclo scolastico intermedio, suddiviso per genere degli alunni.

I

Capitolo II

La dispersione scolastica nella provincia di Torino

49

Fig. 2.13 Trend anagrafico nella secondaria inferiore, per genere

0

10.000

20.000

30.000

40.000

50.000

60.000

70.000

1981

-1982

1982

-1983

1983

-1984

1984

-1985

1985

-1986

1986

-1987

1987

-1988

1988

-1989

1989

-1990

1990

-1991

1991

-1992

1992

-1993

1993

-1994

1994

-1995

1995

-1996

1996

-1997

1997

-1998

1998

-1999

1999

-2000

2000

-2001

2001

-2002

2002

-2003

2003

-2004

2004

-2005

Maschi Femmine

Come è possibile osservare dalla Figura 2.14, il calo delle iscrizioni alla scuola secondaria inferiore ha coinvolto anche le scuole paritarie, con una riduzione ancora maggiore rispetto a quelle statali: gli studenti iscritti sono, infatti, passati da 9.984 nell’anno scolastico 1981/82 a 4.145 nel 2004/05, con una contrazione del 58,5%, quasi dieci punti superiore a quella avvenuta nelle statali.

Capitolo II

La dispersione scolastica nella provincia di Torino

50

Fig. 2.14 Trend anagrafico nella secondaria inferiore, per tipo di gestione

0

20.000

40.000

60.000

80.000

100.000

120.000

1981

-1982

1982

-1983

1983

-1984

1984

-1985

1985

-1986

1986

-1987

1987

-1988

1988

-1989

1989

-1990

1990

-1991

1991

-1992

1992

-1993

1993

-1994

1994

-1995

1995

-1996

1996

-1997

1997

-1998

1998

-1999

1999

-2000

2000

-2001

2001

-2002

2002

-2003

2003

-2004

2004

-2005

Statale Non statale

L’incidenza delle popolazione iscritta nella scuola non statale sull’insieme degli studenti presenti alla scuola secondaria inferiore è passata, così, dall’8,9% al 7,2% in ventitré anni, registrando dapprima una certa crescita fino al 1992/93, seguita da una drastica riduzione nei tre anni scolastici tra il 1993/94 e il 1995/96 e da un calo più moderato, anche se costante, dal 1996 al 2004/05.

Anche nel caso della secondaria inferiore, si riscontra una maggiore contrazione delle iscrizioni scolastiche per la città di Torino rispetto a quella avvenuta nel resto della provincia. Il trend anagrafico delle iscrizioni infatti mostra come la popolazione più urbanizzata sia passata dalle 52.553 unità del 1981/82 alle 22.366 del 2004/05, riducendosi del 57,4% a fronte di un calo di quella periferica del 42,9%. Questo trend emerge anche esaminando la Figura 2.15, nel quale si osserva come l’incidenza delle iscrizioni nelle scuole secondarie inferiori extra-urbane sul totale di quelle dell’intera provincia sia passato dal poco più della metà degli iscritti al sistema provinciale a quasi i due terzi dello stesso.

Capitolo II

La dispersione scolastica nella provincia di Torino

51

Fig. 2.15 Incidenza popolazione scolastica fuori Torino nella secondaria inferiore

48

50

52

54

56

58

60

62

1981

-1982

1982

-1983

1983

-1984

1984

-1985

1985

-1986

1986

-1987

1987

-1988

1988

-1989

1989

-1990

1990

-1991

1991

-1992

1992

-1993

1993

-1994

1994

-1995

1995

-1996

1996

-1997

1997

-1998

1998

-1999

1999

-2000

2000

-2001

2001

-2002

2002

-2003

2003

-2004

2004

-2005

%

Alunni iscritti fuori Torino

2.3.2 Gli esiti: indicatori aggiornati di dispersione2.3.2 Gli esiti: indicatori aggiornati di dispersione2.3.2 Gli esiti: indicatori aggiornati di dispersione2.3.2 Gli esiti: indicatori aggiornati di dispersione Passeremo a questo punto all’analisi dei principali indicatori di dispersione, aggiornati anche nella scuola secondaria inferiore all’ultimo anno per il quale sono disponibili i dati (2004/05). In Tabella 2.4, è evidente, anche per il ciclo dell’istruzione intermedia, come l’incidenza della dispersione si concentri nelle prime classi rispetto a quelle successive. È nel momento del passaggio, come ovunque si osserva, e dunque anche dalla scuola primaria a quella secondaria che i ragazzi incontrano più difficoltà: il primo anno registra, infatti, tassi di bocciatura e di ritardo superiori alle classi più avanzate. In terza, invece, si riscontrano in misura leggermente più frequente alcuni casi di studenti iscritti ma non scrutinati alla fine dell’anno. Complessivamente, nel 2004/05, in provincia di Torino risultavano ripetenti la stessa classe frequentata l’anno precedente 1.890 alunni della scuola secondaria inferiore, ovvero il 3,3% degli iscritti, che possiamo considerare già in ritardo; sono stati, inoltre, respinti a fine anno 1.680 studenti, che rappresentano il 3% del totale degli scrutinati, e 754 alunni (l’1,3% degli iscritti) non sono stati ammessi allo scrutinio o non hanno concluso l’anno, abbandonando il percorso scolastico o trasferendosi, per varie ragioni, in un’altra scuola (Tab. 2.4).

Capitolo II

La dispersione scolastica nella provincia di Torino

52

Tab. 2.4 Incidenza della dispersione nella scuola secondaria inferiore, per classe (a. s. 2004/05)

Classe Iscritti Ripetenti %

Ritardo28Non

scrutinati

%Abbandoni o

trasferimenti29 Respinti%

Bocciature30

Prima 19.270 849 4,4 235 1,2 712 3,7

Seconda 19.024 582 3,0 187 1,0 533 2,8

Terza 19.204 459 2,4 332 1,7 435 2,3

Totale 57.498 1.890 3,3 754 1,3 1.680 3,0

Rispetto alla relazione della dispersione con la variabile genere, evidenziata in Tabella 2.5, emerge ancora una volta come siano i maschi ad avere maggiori difficoltà a scuola, suffragando il dato già riscontrato per la primaria e rilevato da molte ricerche (§ 2.2). Tutti gli indicatori, infatti, confermano il maggiore insuccesso scolastico per i ragazzi rispetto alle loro coetanee: per i primi, il tasso di ritardo è del 4,3% contro il 2,2% delle seconde, quello di abbandono è l’1,8% rispetto allo 0,7% delle ragazze e la bocciatura si registra nel 3,8% dei maschi, a fronte di un 2% delle femmine.

Tab. 2.5 Incidenza della dispersione nella scuola secondaria inferiore, per genere (a. s. 2004/05)

Genere Iscritti Ripetenti %

Ritardo31Non

scrutinati

%Abbandoni o

trasferimenti32 Respinti%

Bocciature33

Maschi 30.012 1.289 4,3 548 1,8 1126 3,8

Femmine 27.486 601 2,2 206 0,7 554 2,0

Totale 57.498 1.890 3,3 754 1,3 1.680 3,0

28 Percentuale di ripetenti calcolata sugli iscritti. 29 Percentuale di non scrutinati calcolata sugli iscritti. 30 Percentuale di bocciati calcolata sugli scrutinati. 31 Percentuale di ripetenti calcolata sugli iscritti. 32 Percentuale di non scrutinati calcolata sugli iscritti. 33 Percentuale di bocciati calcolata sugli scrutinati.

Capitolo II

La dispersione scolastica nella provincia di Torino

53

2.3.3 Trend storici di insuccesso per alcune variabili fondamentali Per esaminare il trend dell’insuccesso scolastico nella secondaria inferiore si è scelto, anche in questo caso, di riportare l’andamento dei ritardi34. Come emerge da tutti i grafici che seguono in questo paragrafo, il tasso di ripetenza lungo il periodo considerato è inequivocabilmente diminuito in misura drastica: dall’8,6% di ripetenti sugli iscritti del 1981/82, si osserva una continua riduzione fino al 3,3% dell’anno scolastico 2004/05.

Esaminando il trend disaggregato per classe frequentata, in Figura 2.16, è possibile rilevare come i ritardi siano sempre stati sistematicamente più diffusi in prima, ovvero all’inizio del percorso anche per quanto riguarda la secondaria inferiore, mentre diminuiscono, in tutto il ventennio considerato, nelle classi successive. Tuttavia, negli anni più recenti, parallelamente alla tendenza da parte del sistema scolastico italiano a sanzionare meno gli insuccessi attraverso la bocciatura, la forbice tra le prime e le terze classi si è ridotta molto, passando da cinque ad appena due punti percentuali di differenza.

34 La scelta di questo indicatore per esaminare il trend di insuccesso è giustificata, come nel caso della scuola primaria, da tre ordini di ragioni: la migliore affidabilità rispetto ai dati disponibili sulle bocciature, in particolare per gli anni più recenti; la disponibilità della disaggregazione per genere per tutte le classi, che non era possibile avere con i dati sulle bocciature (vedi nota metodologica); la necessità di non essere ripetitivi considerando che le ripetenze, per loro natura, in buona parte si sovrappongono, soprattutto nella scuola di base, ai dati sulle bocciature.

Capitolo II

La dispersione scolastica nella provincia di Torino

54

Fig. 2.16 Trend delle ripetenze nella secondaria inferiore, per classe (% sugli iscritti)

0

2

4

6

8

10

12

1981

-1982

1982

-1983

1983

-1984

1984

-1985

1985

-1986

1986

-1987

1987

-1988

1988

-1989

1989

-1990

1990

-1991

1991

-1992

1992

-1993

1993

-1994

1994

-1995

1995

-1996

1996

-1997

1997

-1998

1998

-1999

1999

-2000

2000

-2001

2001

-2002

2002

-2003

2003

-2004

2004

-2005

%

Prima Seconda Terza

Anche nelle disparità di genere si riscontrano le stesse dinamiche individuate per l’ultimo anno considerato più sopra: l’insuccesso scolastico, per tutto l’arco del ventennio ha coinvolto molto più i maschi rispetto alle femmine, anche se il divario tra i rispettivi tassi di ritardo, negli ultimi anni, si è leggermente ridotto (Fig. 2.17).

Capitolo II

La dispersione scolastica nella provincia di Torino

55

Fig. 2.17 Trend delle ripetenze nella secondaria inferiore, per genere (% sugli iscritti)

0

2

4

6

8

10

12

1981

-1982

1982

-1983

1983

-1984

1984

-1985

1985

-1986

1986

-1987

1987

-1988

1988

-1989

1989

-1990

1990

-1991

1991

-1992

1992

-1993

1993

-1994

1994

-1995

1995

-1996

1996

-1997

1997

-1998

1998

-1999

1999

-2000

2000

-2001

2001

-2002

2002

-2003

2003

-2004

2004

-2005

%

Maschi Femmine

La Figura 2.18 mostra il trend delle ripetenze, suddivise per tipo di gestione della scuola: appare evidente che la scuola statale è sempre stata connotata da una maggior selettività rispetto a quella privata. In questo caso, peraltro, l’andamento in discesa del tasso di ritardo, emerso a livello complessivo e in tutte le disaggregazioni considerate, non viene confermato se si osserva il trend delle scuole a gestione non statale, che già all’inizio degli anni Ottanta, presentavano tassi di ripetenza irrisori, vicini all’1% degli scritti.

Capitolo II

La dispersione scolastica nella provincia di Torino

56

Fig. 2.18 Trend delle ripetenze nella secondaria inferiore, per gestione (% sugli iscritti)

0

1

2

3

4

5

6

7

8

9

10

1981-1982

1983-1984

1985-1986

1987-1988

1989-1990

1991-1992

1993-1994

1995-1996

1997-1998

1999-2000

2001-2002

2003-2004

%

Statale Non statale

In conclusione di questa parte, riportiamo l’andamento delle ripetenze nella scuola secondaria inferiore per area geografica, distinta per città di Torino e resto della provincia (Fig. 2.19). Il trend decrescente dell’insuccesso scolastico viene confermato per entrambe le zone, ma per gli studenti dell’area centrale di Torino si conferma una maggiore selettività da parte delle scuole, mantenutasi pressoché costante lungo tutto l’arco di tempo considerato.

Capitolo II

La dispersione scolastica nella provincia di Torino

57

Fig. 2.19 Trend delle ripetenze nella secondaria inferiore, per area geografica (% sugli iscritti)

0

1

2

3

4

5

6

7

8

9

10

1981

-1982

1982

-1983

1983

-1984

1984

-1985

1985

-1986

1986

-1987

1987

-1988

1988

-1989

1989

-1990

1990

-1991

1991

-1992

1992

-1993

1993

-1994

1994

-1995

1995

-1996

1996

-1997

1997

-1998

1998

-1999

1999

-2000

2000

-2001

2001

-2002

2002

-2003

2003

-2004

2004

-2005

%

Torino Fuori Torino

2.4. L’insuccesso nell’istruzione superiore 2.4. L’insuccesso nell’istruzione superiore 2.4. L’insuccesso nell’istruzione superiore 2.4. L’insuccesso nell’istruzione superiore

saminata la situazione nella scuola dell’obbligo, possiamo ora occuparci di ciò che accade a livello superiore del sistema torinese.

Se il trend anagrafico ha quasi dimezzato la popolazione scolastica dell’ultimo ventennio, che cos’è successo nei gradi più elevati? Se la dispersione è relativamente contenuta nella scuola di base, quali sono le chances di quanti si propongono di raggiungere un diploma? Chi sono gli alunni che manifestano le maggiori difficoltà rispetto al proseguimento del percorso educativo? Sono domande a cui cercheremo di dare una risposta in questa parte, attraverso un’osservazione attenta dei principali indicatori relativi al sistema formativo superiore e una loro descrizione per le variabili socio-anagrafiche di base, in attesa di un approfondimento che completerà l’analisi del fenomeno a livello locale adottando un approccio di ricerca qualitativo.

E

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58

2.4.1 Evoluzione storica della popolazione studentesca La forte espansione della scolarità, a Torino come nel resto d’Italia, ha manifestato i suoi effetti per tutti gli anni Ottanta, che hanno visto estendersi la partecipazione al sistema educativo in massa tra tutte le classi sociali. Il bacino dell’istruzione superiore si è ampliato enormemente come conseguenza di una rinnovata domanda “dal basso”. Se le opportunità di istruzione in senso assoluto sono ovunque aumentate, resta sempre da verificare, tuttavia, quanto divario rimanga tra le classi sociali in termini di esiti. Si è già detto molto, più sopra, in merito alle disuguaglianze educative tuttora fortemente connesse allo status sociale di provenienza e non è il caso di soffermarci, qui, sul potere esplicativo dell’indice ESCS (Economic, Social and Cultural Status) rispetto alla qualità dell’apprendimento degli studenti, che anche in Piemonte, pur in misura minore rispetto al dato nazionale, manifesta i suoi effetti (SISFORM, 2005).

A partire dagli anni Novanta, tuttavia, la scolarizzazione delle masse non è più riuscita a compensare il consistente calo delle nascite che contraddistingue il nostro paese. Osserviamo qui, con l’ausilio della Figura 2.20, l’andamento delle iscrizioni al ciclo formativo superiore. La stabilizzazione evidente nel nuovo secolo intorno agli 80.000 studenti nel sistema superiore sembra, dunque, attribuibile, anche qui, alla forte ondata di immigrazione degli anni più recenti. Dal grafico che segue, inoltre, è evidente come la forte espansione della scolarizzazione sia stata favorita anche dall’incremento della partecipazione femminile al sistema educativo. Se i ritardi accumulati dai maschi vedevano una loro presenza superiore nel ciclo obbligatorio, raggiunta la scuola superiore sono le femmine a conseguire successi maggiori e ad avere chances e motivazioni più elevate rispetto al proseguimento del percorso di studi. I drop-out, come vedremo, sono molto più spesso maschi anche a Torino.

Capitolo II

La dispersione scolastica nella provincia di Torino

59

L’andamento delle iscrizioni appena osservato non investe nella stessa misura la scuola pubblica come quella privata. La tendenza ad inserire il proprio figlio in strutture a gestione non statale, a livello locale, sembra piuttosto contrarsi nel tempo. Questa tendenza è meglio osservabile se si esamina la percentuale di alunni iscritti a scuole paritarie in rapporto al numero complessivo degli iscritti (Fig. 2.21): la propensione crescente verso il sistema educativo pubblico è evidente dalla forte diminuzione dell’incidenza della popolazione scolastica non statale.

Fig. 2.20 Trend anagrafico nella secondaria superiore, per genere

0

10.000

20.000

30.000

40.000

50.000

60.000

1980

-1981

1981

-1982

1982

-1983

1983

-1984

1984

-1985

1985

-1986

1986

-1987

1987

-1988

1988

-1989

1989

-1990

1990

-1991

1991

-1992

1992

-1993

1993

-1994

1994

-1995

1995

-1996

1996

-1997

1997

-1998

1998

-1999

1999

-2000

2000

-2001

2001

-2002

2002

-2003

2003

-2004

Maschi Femmine

Capitolo II

La dispersione scolastica nella provincia di Torino

60

Fig. 2.21 Incidenza popolazione scolastica non statale nella secondaria superiore

0

5

10

15

20

25

1980

-1981

1981

-1982

1982

-1983

1983

-1984

1984

-1985

1985

-1986

1986

-1987

1987

-1988

1988

-1989

1989

-1990

1990

-1991

1991

-1992

1992

-1993

1993

-1994

1994

-1995

1995

-1996

1996

-1997

1997

-1998

1998

-1999

1999

-2000

2000

-2001

2001

-2002

2002

-2003

2003

-2004

%

Alunni iscritti a scuole non statali

La scolarità di massa ha consentito un aumento della partecipazione scolastica della popolazione meno inurbata. Se si osserva, in Figura 2.22, l’andamento delle iscrizioni per area geografica, si può notare come le scuole centrali di Torino seguano maggiormente il trend generale, partendo da livelli di scolarità che erano già molto elevati nei primi anni Ottanta; per converso, la popolazione scolastica della periferia ha continuato ad espandersi fino a raggiungere una numerosità quasi analoga a quella urbana.

Capitolo II

La dispersione scolastica nella provincia di Torino

61

Fig. 2.22 Trend anagrafico nella secondaria superiore, per area geografica

0

10000

20000

30000

40000

50000

60000

70000

1980

-1981

1981

-1982

1982

-1983

1983

-1984

1984

-1985

1985

-1986

1986

-1987

1987

-1988

1988

-1989

1989

-1990

1990

-1991

1991

-1992

1992

-1993

1993

-1994

1994

-1995

1995

-1996

1996

-1997

1997

-1998

1998

-1999

1999

-2000

2000

-2001

2001

-2002

2002

-2003

2003

-2004

Torino Fuori Torino

La percentuali di alunni iscritti a scuole periferiche rispetto all’area di Torino, allora, se rappresentavano poco più di un terzo della popolazione scolastica provinciale, oggi costituiscono ormai quasi la metà dal totale, con una rappresentazione dei giovani torinesi al sistema educativo territoriale sostanzialmente equa. Resta da verificare, nell’ultima immagine presentata in questa parte, il trend delle iscrizioni distinto per indirizzo di studi intrapreso dagli alunni (Liceo, Tecnico, Professionale35).Se l’andamento della partecipazione alla parte di sistema più professionalizzante resta sostanzialmente stabile, è evidente, in Figura 2.23, che a partire dalla metà dello scorso decennio si è verificato un consistente travaso di 5.000 alunni circa dal canale dell’istruzione tecnica a quello di tipo liceale. Resta da verificare come la riforma Moratti, che avrebbe previsto il doppio canale post-obbligatorio, abbia manifestato i suoi effetti indipendentemente dalla sua attuazione, accentuando probabilmente in misura ancora maggiore il travaso osservato verso il liceo.

35 In questo caso i dati sono riportati soltanto dal 1996/97, perché per gli anni precedenti il database presentava troppi valori mancanti sulla variabile tipo di scuola.

Capitolo II

La dispersione scolastica nella provincia di Torino

62

Fig. 2.23 Trend anagrafico nella secondaria superiore, per indirizzo di studi

0

5000

10000

15000

20000

25000

30000

35000

40000

1996-1997 1997-1998 1998-1999 1999-2000 2000-2001 2001-2002 2002-2003 2003-2004

Istituto Professionale Istituto Tecnico Liceo

2.4.2 Gli esiti: indicatori aggiornati di dispersione Esaminiamo in dettaglio, a questo punto, gli indicatori di dispersione della scuola secondaria superiore, osservando come si differenziano secondo le variabili principali considerate. Innanzitutto, nelle tabelle che seguono, possiamo osservare che, come sempre accade, i tassi di insuccesso sono decisamente più elevati rispetto a quanto si verifica nella scuola di base: nel 2002/03, l’ultimo anno scolastico disponibile36, risultano infatti ripetere la classe ben 5.104 studenti delle superiori, per un totale del 6,5% sugli iscritti totali, altri 9.033 di loro vengono respinti alla fine dello stesso anno, per una quota che rappresenta l’11,7% degli scrutinati, mentre mancano all’appello 2.155 studenti considerabili dispersi a tutti gli effetti nel corso dell’anno, una cifra che costituisce il 2,7% di coloro che avevano avviato l’anno scolastico.

36Per la scuola secondaria superiore è stato utilizzato l’anno 2002/03, poiché costituiva il dato aggiornato più affidabile: nel database, infatti, l’anno 2003/04 riportava molti casi mancanti sulla variabile scrutinati.

Capitolo II

La dispersione scolastica nella provincia di Torino

63

Cifre, queste, che appaiono abbastanza in linea con quanto si verifica a livello nazionale, secondo dati campionari (MIUR, 2004b). Tuttavia, nello stesso anno, gli alunni non valutati rappresentavano, in Italia, l’1,8% degli iscritti, una percentuale un po’ più bassa di quella che a Torino, evidentemente, appare preoccupare la scuola: è necessario considerare anche, infatti, che il Nord manifesta di solito un’incidenza di disagio più bassa rispetto al dato nazionale. L’11,7% di bocciati a fine anno, invece, ci ricorda l’11,6% di alunni respinti in Italia emerso dall’ultima indagine campionaria nazionale (MIUR, 2006). Va rilevato, comunque, che la dispersione nel grado superiore del sistema, e in particolare nel biennio, in conseguenza dell’elevamento dell’obbligo scolastico e formativo, ha subito un notevole incremento nell’ultimo quinquennio, come dimostra il 4,2% a livello nazionale (ibidem): dati più aggiornati e affidabili sul sistema provinciale avrebbero, allora, messo certamente in luce un fenomeno ben più consistente e in crescita “fisiologica”.

In Tabella 2.6, osserviamo l’incidenza della dispersione per tutte le cinque classi nel grado superiore. I risultati continuano a mettere in evidenza, questa volta in modo molto efficace, come la dispersione si concentri nel passaggio al nuovo ciclo formativo: dal 3,7% di alunni non valutati alla fine del primo anno, si arriva all’1,2% di dispersi nell’ultima classe. Anche come effetto di questa auto-selezione, gli insuccessi in termini di ripetenze e bocciature si riducono drasticamente durante il percorso, passando dall’8,6% di ripetenti e dal 18,9% di respinti in prima, fino al 2,8% di insuccessi in quinta classe.

Tab. 2.6 Incidenza della dispersione nella secondaria superiore, per classe (a. s. 2002/03)

Classe Iscritti Ripetenti %

Ritardo37Non

scrutinati

%Abbandoni o

trasferimenti38 Respinti%

Bocciature39

Prima 20.191 1.745 8,6 748 3,7 3.669 18,9

Seconda 16.406 1.213 7,4 445 2,7 2.140 13,4

Terza 15.489 1.155 7,5 472 3,0 1.766 11,8

Quarta 14.295 735 5,1 342 2,4 1.110 8,0

Quinta 12.690 256 2,0 148 1,2 348 2,8

Totale 79.071 5.104 6,5 2.155 2,7 9.033 11,7

37 Percentuale di ripetenti calcolata sugli iscritti. 38 Percentuale di non scrutinati calcolata sugli iscritti. 39 Percentuale di bocciati calcolata sugli scrutinati.

Capitolo II

La dispersione scolastica nella provincia di Torino

64

A livello superiore, la dispersione varia moltissimo soprattutto in funzione del tipo di istruzione in cui si osserva il fenomeno: l’accentuata canalizzazione degli studenti all’uscita dell’obbligo che contraddistingue il sistema educativo italiano manifesta i suoi effetti anche a Torino, determinando una maggior concentrazione degli alunni più a rischio di disagio e dispersione negli indirizzi più professionalizzanti, un livello intermedio nell’istruzione tecnica, mentre i risultati migliori sono ottenuti dagli studenti dei licei. In Tabella 2.7, allora, osserviamo i tassi di dispersione in provincia, per tipo di scuola scelta dall’alunno: le ripetenze variano dal 10% degli Istituti Professionali, al 7,9% dei Tecnici, al 3,3% del Liceo, così come per le bocciature si passa dal 18,7% dei Professionali, al 14,3% dell’istruzione tecnica, fino al 5,9% dei Licei. Abbandonano il percorso, inoltre, ben il 5,5% degli scritti ad una scuola professionalizzante, il 2,9% delle scuole tecniche e soltanto l’1% degli studenti del Liceo.

Tab. 2.7 Incidenza della dispersione nella secondaria superiore, per indirizzo di studi (a. s. 2002/03)

Tipo di scuola Iscritti Ripetenti

%Ritardo40

Non scrutinati

%Abbandoni o

trasferimenti41 Respinti%

Bocciature42

Istituti Professionali 18.055 1.801 10,0 990 5,5 3.195 18,7

Istituti Tecnici 28.274 2.234 7,9 826 2,9 3.931 14,3

Licei 32.742 1.069 3,3 339 1,0 1.907 5,9

Totale 79.071 5.104 6,5 2.155 2,7 9.033 11,7

I risultati, anche a livello superiore, variano enormemente per genere (Tab. 2.8): nel 2002/03 ripeteva la classe l’8,2% dei maschi contro il 4,8% delle femmine e allo stesso modo risultava respinto a fine anno ben il 14,8% dei primi rispetto all’8,8% delle proprie coetanee. Tra i maschi, inoltre, la probabilità di interrompere l’anno scolastico è del 3,7%, mentre per le femmine è solo dell’1,8%.

40 Percentuale di ripetenti calcolata sugli iscritti. 41 Percentuale di non scrutinati calcolata sugli iscritti. 42 Percentuale di bocciati calcolata sugli scrutinati.

Capitolo II

La dispersione scolastica nella provincia di Torino

65

Tab. 2.8 Incidenza della dispersione nella secondaria superiore, per genere (a. s. 2002/03)

Genere Iscritti Ripetenti %

Ritardo43Non

scrutinati

%Abbandoni o

trasferimenti44 Respinti%

Bocciature45

Maschi 38.638 3.150 8,2 1.433 3,7 5.522 14,8

Femmine 40.433 1.954 4,8 722 1,8 3.511 8,8

Totale 79.071 5.104 6,5 2.155 2,7 9.033 11,7

La minor selettività della scuola privata risulta confermata anche negli ordini superiori (Tab. 2.9): il tasso di bocciatura considerato per gestione della scuola, infatti, varia dal 12,4% della scuola pubblica, fino al 4,7% soltanto degli istituti non statali. Anche i ripetenti sono rappresentati in misura più contenuta nella scuola privata, nonostante il gap diminuisca, dimostrando che probabilmente una parte di studenti si trasferiscono con frequenza da istituti statali a scuole paritarie in seguito ad un insuccesso.L’incidenza dell’abbandono, invece, con il 2,9%, è del tutto in linea con quello che si osserva nella scuola statale.

Tab. 2.9 Incidenza della dispersione nella secondaria superiore, per tipo di gestione della scuola (a. s. 2002/03)

Gestione scuola Iscritti Ripetenti

%Ritardo46

Non scrutinati

%Abbandoni o

trasferimenti47 Respinti%

Bocciature48

Statale 72.772 4.828 6,6 1.975 2,7 8.784 12,4

Non statale 6.299 276 4,4 180 2,9 249 4,1

Totale 79.071 5.104 6,5 2.155 2,7 9.033 11,7

2.4.3 Trend storici di insuccesso per alcune variabili fondamentali Analizziamo, a questo punto, anche nella scuola superiore la configurazione della dispersione da un punto di vista longitudinale.

43 Percentuale di ripetenti calcolata sugli iscritti. 44 Percentuale di non scrutinati calcolata sugli iscritti. 45 Percentuale di bocciati calcolata sugli scrutinati. 46 Percentuale di ripetenti calcolata sugli iscritti. 47 Percentuale di non scrutinati calcolata sugli iscritti. 48 Percentuale di bocciati calcolata sugli scrutinati.

Capitolo II

La dispersione scolastica nella provincia di Torino

66

In Figura 2.24, si riporta l’andamento complessivo di tutti gli indicatori di dispersione considerati fino ad ora, ovvero i tassi di ritardo, abbandono49 e bocciatura, dal 1995/96 al 2003/04 50.La scuola è progressivamente divenuta meno selettiva, è stato verificato più volte, in vari contesti e nei diversi ordini scolastici anche del sistema di Torino. Le bocciature, così quanto le ripetenze, come si può vedere dai trend sotto riportati, nel decennio esaminato hanno subito una certa diminuzione, passando dal 14,2% del 1995/96 fino all’11,3% del 2003/04 le prime, e dal 9,1% del 1996/97 al 6,5% dell’ultimo anno considerato le seconde. Gli abbandoni in corso d’anno, invece, sembravano ridursi dalla metà degli anni Novanta fino ad inizio secolo, ma a partire dal 2001/02, in corrispondenza con l’entrata in vigore della riforma Berliguer che aveva previsto, fino alla sua abrogazione del 2003, l’elevamento dell’obbligo fino al quindicesimo anno di età, si riscontra una certa ripresa del trend. È evidente che una quota maggiore di dispersione è il prezzo che il sistema educativo deve pagare nel momento in cui si accosta all’istruzione superiore quella fascia di studenti che in assenza di misure obbligatorie vi rimarrebbe esclusa.

49 Il dato dei ritiri per l’anno 2003/04 va considerato con prudenza poiché, presentando un consistente numero di dati mancanti, è stato corretto imputando la media a quei valori non presenti nella variabile scrutinati.50 Il trend storico è riportato qui a partire dal 1995/96, poiché i dati sugli scrutinati sono disponibili soltanto da quest’anno scolastico.

Capitolo II

La dispersione scolastica nella provincia di Torino

67

Fig. 2.24 Trend della dispersione nella secondaria superiore

0

2

4

6

8

10

12

14

16

1995

-1996

1996

-1997

1997

-1998

1998

-1999

1999

-2000

2000

-2001

2001

-2002

2002

-2003

2003

-2004

%

Alunni ripetenti sugli iscritti Alunni ritirati sugli iscritti Alunni bocciati sugli scrutinati

Nel grafico seguente (Fig. 2.25), riportiamo l’andamento degli indicatori di dispersione per gli stessi anni, distinti in modo specifico per maschi e femmine. L’immagine rappresenta in modo molto chiaro innanzitutto come la dispersione sia diminuita nel tempo, soprattutto se si considerano gli insuccessi relativi a bocciature e dunque anche le ripetenze. Non solo, dalla stessa rappresentazione, si può osservare che gli abbandoni sono sempre stati meno frequenti rispetto agli insuccessi “meno gravi”, definiti più sopra come quota di dispersione interna al sistema: la percentuale di respinti a fine anno, a sua volta, ha inciso in modo sempre più forte rispetto a quella relativa alle ripetenze. Infine, la dispersione scolastica si configura ancora una volta, nel sistema educativo superiore come nella scuola di base, per tutti gli anni considerati e con tutti gli indicatori utilizzati, un fenomeno che coinvolge in misura molto più forte la popolazione giovanile maschile.

Capitolo II

La dispersione scolastica nella provincia di Torino

68

Fig. 2.25 Trend della dispersione nella secondaria superiore, per genere

0

2

4

6

8

10

12

14

16

18

20

Maschi Femmine Maschi Femmine Maschi Femmine

Bocciati Ripetenti Ritirati

%

1995-1996 1996-1997 1997-1998 1998-1999 1999-2000 2000-2001 2001-20022002-2003 2003-2004

Considerazioni analoghe valgono per la Figura 2.26, che riporta l’andamento della dispersione per tipo di gestione della scuola, statale e non statale. Le bocciature sono in calo sia nel settore pubblico, sia in quello privato, mentre se si osservano i non scrutinati sembrano evidenti dei flussi incostanti nella scuola non statale. Per quanto riguarda le ripetenze, rimane un dato costante che il privato rappresenta una soluzione per molti studenti che ripetono l’anno. La dispersione, non è un caso, è quasi sempre molto più contenuta nelle scuole paritarie, rispetto al quanto accade nell’istruzione statale.

Capitolo II

La dispersione scolastica nella provincia di Torino

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Fig. 2.26 Trend della dispersione nella secondaria superiore, per gestione

0

2

4

6

8

10

12

14

16

Statale Non statale Statale Non statale Statale Non statale

Bocciati Ripetenti Ritirati

%

1995-1996 1996-1997 1997-1998 1998-1999 1999-2000 2000-2001 2001-20022002-2003 2003-2004

Il trend per tipo di scuola frequentata51, in Figura 2.27, ci permette di osservare l’evoluzione dell’incidenza dei fenomeni di dispersione nell’indirizzo professionale, nelle scuole tecniche e nel percorso liceale. Per ogni indicatore considerato, la dispersione è da sempre un fenomeno che colpisce prevalentemente gli istituti professionali, in misura minore gli istituti tecnici, mentre interessa ancora meno il liceo. Chi sceglie un percorso professionalizzante, anche a Torino, ha sempre probabilità nettamente superiori di incorrere in una bocciatura, essere in ritardo a seguito di un insuccesso, interrompere l’anno scolastico per le più diverse ragioni.

51 L’anno scolastico 1995/96 in questo caso è stato escluso, poiché fino a quella data il database provinciale presentava troppi casi mancanti sulla variabile tipo di scuola.

Capitolo II

La dispersione scolastica nella provincia di Torino

70

Fig. 2.27 Trend della dispersione nella secondaria superiore, per indirizzo di studi

-5

0

5

10

15

20

25

Istit

uto

Pro

fess

iona

le/a

ltro

Istit

uto

Tecn

ico

Lice

o

Istit

uto

Pro

fess

iona

le/a

ltro

Istit

uto

Tecn

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Lice

o

Istit

uto

Pro

fess

iona

le/a

ltro

Istit

uto

Tecn

ico

Lice

o

Bocciati Ripetenti Ritirati

%

1996-1997 1997-1998 1998-1999 1999-2000 2000-2001 2001-2002 2002-2003 2003-2004

Alla fine di questo percorso di analisi, anche per l’istruzione superiore, riportiamo l’andamento dei fenomeni di dispersione, per area geografica centrale o periferica rispetto a Torino (Fig. 2.28). Anche i risultati rappresentati in quest’immagine, ci confermano la tendenza verso una certa riduzione della dispersione, che si configura ovunque soprattutto come bocciatura, quindi come ripetenza e in misura minore come abbandono in corso d’anno.Non solo: la dispersione, a Torino, coinvolge sempre in particolare la zona più urbanizzata, rispetto a quanto accade nelle scuole più periferiche della provincia, che riescono a contenere il disagio in misura evidentemente più efficace.

Capitolo II

La dispersione scolastica nella provincia di Torino

71

Fig. 2.28 Trend della dispersione nella secondaria superiore, per area geografica

0

2

4

6

8

10

12

14

16

18

Torino Fuori Torino Torino Fuori Torino Torino Fuori Torino

Bocciati Ripetenti Ritirati

%

1995-1996 1996-1997 1997-1998 1998-1999 1999-2000 2000-2001 2001-20022002-2003 2003-2004

2.5. Le “perdite” del sistema educativo in alcune leve 2.5. Le “perdite” del sistema educativo in alcune leve 2.5. Le “perdite” del sistema educativo in alcune leve 2.5. Le “perdite” del sistema educativo in alcune leve anagraficheanagraficheanagraficheanagrafiche

dottando una definizione ristretta di dispersione scolastica, potremmo sintetizzare il concetto che vogliamo rappresentare e quantificare considerando

quanti “non ce la fanno” secondo i criteri previsti dal sistema scolastico vigente e non riescono a concludere il percorso scolastico regolarmente, in assenza di alcun rallentamento.

Tenteremo, in Tabella 2.10, di rappresentare quest’idea in modo molto sommario, considerando dispersi in tal senso quanti non risultano all’appello tra i promossi, 5 anni dopo l’anno di iscrizione nel sistema torinese in prima elementare, 3 anni dopo l’anno di iscrizione in prima media, 5 anni successivi all’anno di iscrizione in prima superiore.

Si tratta di una stima di massima, che naturalmente non può tener conto in alcun modo della mobilità geografica, di tutti i percorsi accidentati che costituiscono una quota significativa della dispersione e che non è rilevabile con un sistema come

A

Capitolo II

La dispersione scolastica nella provincia di Torino

72

questo. E tuttavia, è utile, in un contesto di approfondimento, rappresentare la situazione reale nel suo insieme, per dare un’idea di quanto si distanzia il sistema scolastico torinese rispetto ad una situazione, invece, del tutto ipotetica e ideale.

Che cos’è successo alla leva studentesca che si preparava ad iniziare la propria carriera scolastica nell’anno scolastico 1984/85? Se confrontiamo i 23.882 alunni che sono entrati nel sistema scolastico in quell’anno, risultano promossi regolarmente in quinta 23.256: mancano all’appello 626 bambini, per una percentuale del 2,6% complessivo, a seguito probabilmente soprattutto di qualche trasferimento fuori provincia. Su 26.670 alunni iscritti l’anno successivo in prima media (nel 1989/90), dove naturalmente sono presenti anche già alcuni ripetenti, 3.450 circa, pari ad un 12,9%, non risultano regolarmente promossi all’esame di licenza della scuola dell’obbligo tre anni dopo. L’anno seguente (il 1992/93), rispetto ai 26.025 studenti iscritti in prima superiore, di cui molti già in ritardo, almeno altri 11.032 non riescono a completare senza difficoltà il percorso fino al diploma di Maturità, previsto per loro alla conclusione dell’anno scolastico 1996/97, per un totale di 42,4% di studenti irregolari o drop-out. In definitiva, e in modo molto approssimativo, in tredici anni di carriera nel sistema scolastico torinese, una cifra intorno ai 15.000 giovani torinesi che oggi hanno più o meno 28 anni di età non sono riusciti a reggere le richieste del sistema educativo. Un insieme di studenti che rappresenta una quota considerevole, se la confrontiamo, con le dovute cautele alla leva dei 23.882 alunni che erano partiti nel 1984.

Capitolo II

La dispersione scolastica nella provincia di Torino

73

Tab. 2.10 Iscritti, promossi e dispersi nei vari gradi dell’istruzione, per otto leve anagrafiche tra il 1984/85 e il 2003/0452

1984/85 -

1996/97

1985/86 -

1997/98

1986/87 -

1998/99

1987/88 -

1999/00

1988/89 -

2000/01

1989/90 -

2001/02

1990/91 -

2002/03

1991/92 -

2003/04

Media

Iscritti in prima 23.882 21.916 20.659 20.092 20.210 19.305 18.531 18.523 20.390

Promossi in quinta

5 anni dopo

23.256 21.495 20.558 19.853 19.908 19.102 18.209 18.486 20.108

Prim

aria

Dispersi

%

626

2,6

421

1,9

101

0,5

239

1,2

302

1,5

203

1,1

322

1,7

37

0,2

281

1,3

Iscritti in prima 26.670 24.395 22.946 21.946 21.493 20.661 19.566 19.605 22.160

Promossi in terza

3 anni dopo

23.220 21.316 20.124 19.817 19.574 18.907 18.183 17.879 19.878

Seco

ndar

ia in

feri

ore

Dispersi

%

3.450

12,9

3.079

12,6

2.822

12,3

2.129

9,7

1.919

8,9

1.754

8,5

1.383

7,1

1.726

8,8

2.283

10,1

Iscritti in prima 26.025 24.676 23.009 21.897 20.845 20.910 19.926 19.307 22.074

Promossi in quinta

5 anni dopo

14.993 14.251 13.351 12.619 12.305 12.745 12.527 12.503 13.162

Seco

ndar

ia su

peri

ore

Dispersi

%

11.032

42,4

10.425

42,2

9.658

42,0

9.278

42,4

8.540

41,0

8.165

39,0

7.399

37,1

6.804

35,2

8.913

40,2

Totale 15.108 13.925 12.581 11.646 10.761 10.122 9.104 8.567 11.477

Oggi, le cifre riportate in Tabella 2.10 ci presentano un’immagine di una dispersione scolastica in continua diminuzione: per ogni ordine considerato, possiamo osservare che le percentuali riportate variano dal 2,6 allo 0,2% dell’ultima leva nel primo grado, dal 12,9% all’8,8% nella secondaria inferiore, e dal 42,4% al 35,2% alle superiori. Rimane evidente, tuttavia, che anche a Torino una gran parte di studenti manifesta ancora grandi difficoltà ad adempiere ai compiti richiesti dalla scuola per completare

52 Ricordiamo che, come per gli scrutinati, i dati relativi ai promossi per l’anno scolastico 2003/04 sono stati corretti in buona parte imputando la media: per un approfondimento, si rimanda alla Nota Metodologica.

Capitolo II

La dispersione scolastica nella provincia di Torino

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il percorso nei tempi previsti. Tutto questo, senza considerare gli attuali debiti formativi e la qualità delle competenze acquisite. Estremizzando al massimo, per l’ultimo ventennio, possiamo osservare una media di dispersione (considerata in questo modo) che si assesta intorno all’1% nella scuola primaria, il 10% nella secondaria inferiore, il 40% a livello superiore, cifre che ci ricordano molto i risultati di indagini campionarie sulla condizione giovanile condotte a livello nazionale (Ress, 2006).

Per concludere, in Figura 2.29, rappresentiamo graficamente le considerazioni appena emerse. Anche operativizzata in questo modo, la dispersione si configura come un fenomeno in parte in diminuzione, dalla tipica forma ad imbuto, che riporta livelli minimi nell’istruzione primaria e una crescita progressiva all’aumentare del percorso educativo dell’alunno. Rimandiamo al proseguimento della ricerca ogni considerazione in merito agli esiti dei giovani torinesi ai livelli più avanzati del sistema formativo universitario.

Fig. 2.29 Dispersione complessiva nel sistema scolastico torinese

0

5

10

15

20

25

30

35

40

45

Primaria Secondaria inferiore Secondaria superiore

Dispersione

%

1984/85 - 1996/971985/86 - 1997/981986/87 - 1998/991987/88 - 1999/001988/89 - 2000/011989/90 - 2001/021990/91 - 2002/031991/92 - 2003/04

Capitolo II

La dispersione scolastica nella provincia di Torino Capitolo III

75

CapitoloCapitoloCapitoloCapitolo 3333

Il parere degli esperti: Il parere degli esperti: Il parere degli esperti: Il parere degli esperti: i testimoni privilegiatii testimoni privilegiatii testimoni privilegiatii testimoni privilegiati

n questo capitolo presentiamo i risultati dell’indagine qualitativa preliminare, realizzata intervistando cinque testimoni privilegiati dell’area torinese.

3.1 Le caratteristiche strutt3.1 Le caratteristiche strutt3.1 Le caratteristiche strutt3.1 Le caratteristiche strutturali del fenomeno nell’areaurali del fenomeno nell’areaurali del fenomeno nell’areaurali del fenomeno nell’area provinciale torineseprovinciale torineseprovinciale torineseprovinciale torinese

ilevare ed elaborare dati certi sul fenomeno della dispersione scolastica è un compito complesso. Le difficoltà con cui deve confrontarsi chi studia questo

ambito possono essere interne perché, nonostante la totale sensibilità e l’interesse primario dimostrato dagli Enti Locali, le relazioni tra tutti i soggetti coinvolti (scuole, Centri di Formazione Professionale, Centri Territoriali per l’Educazione degli Adulti, Centri per l’Impiego) e i modelli ad oggi progettati per la sua rilevazione non riescono a fornire le necessarie informazioni per quantificare il fenomeno con la dovuta precisione. È anche corretto affermare l’esistenza di difficoltà esterne perché ad esempio, secondo quanto affermato dagli stessi testimoni privilegiati, i flussi migratori (non solo di soggetti extracomunitari, ma anche dei locali all’interno del territorio) rappresentano uno degli aspetti alla base della dispersione caratterizzati dall’assenza di regolarità o prevedibilità. Nonostante la base conoscitiva sia di per sé di difficile definizione, è possibile comunque affermare che la dispersione si presenta con intensità e modalità diverse a seconda del livello scolastico di riferimento (ciclo dell’obbligo o secondarie superiori) e, in parte, anche delle caratteristiche sociali ed economiche dell’ambito territoriale. Afferma, ad esempio, un testimone privilegiato:

“Nell’area provinciale la percentuale degli abbandoni è, a mio avviso, alta nel primo anno della secondaria superiore, mentre si contrae in quelli successivi. L’abbandono si manifesta o con iscrizioni cui non segue la frequenza fin dall’inizio, o con frequenza iniziale e poi abbandono o con il termine dell’anno scolastico con debiti numericamente elevati che fanno scegliere allo studente di non procedere più e di abbandonare” (Dirigente scolastico di scuola secondaria di primo grado)

I

R

La dispersione scolastica nella provincia di Torino Capitolo III

76

Secondo gli intervistati, il fenomeno dell’abbandono non risulta, invece, particolarmente rilevante nel ciclo dell’obbligo. Questo deriva anche dal fatto che le scuole primarie e secondarie di primo grado sono dotate di poteri conferiti dalla legge che aiutano a contenerlo: dal semplice richiamo alla famiglia, all’intervento delle forze dell’ordine, nei casi estremi. Appare, invece, diverso il caso dell’irregolarità: secondo la maggior parte delle testimonianze raccolte in tal senso, è in particolare la scuola secondaria di primo grado a dover affrontare con i propri studenti casi che vanno, come accennato in precedenza, dal rendimento scolastico insufficiente alle ripetenze, anche plurime. Fra l’altro il passaggio dalla scuola primaria a quella secondaria di primo grado è di per sé un momento difficile per alcuni ragazzi, che avvertono la differenza di ambiente e la richiesta di un impegno più costante e alto, ma che non hanno ancora gli strumenti per potervi fare fronte (il caso dell’underachievement citato in precedenza). Il problema della dispersione scolastica nella scuola secondaria di primo grado, in base alle riflessioni dei testimoni privilegiati, nell’ultimo decennio è variato per diverse ragioni. Da un lato, con riferimento in particolare all’irregolarità, il peggioramento viene ascritto prevalentemente a problematiche presenti all’interno dei nuclei parentali, in funzione del progressivo declino dell’istituzione familiare (e il primo indicatore di tali problematiche è dato dall’aumento di separazioni e divorzi, che producono nuclei con un solo genitore e, magari, anche con scarsa rete di contorno in grado di supportarlo, circostanza che li rende più vulnerabili e che può produrre problemi aggiuntivi alla già difficile situazione di single). La riflessione di seguito conferma quanto appena considerato:

“Le assenze anche sono aumentate negli ultimi dieci anni per motivi vari: nuclei monoparentali che non riescono a gestire i figli, in generale la disgregazione delle famiglie (genitori separati che non riescono a mettersi d’accordo per il trasporto dei figli a scuola, ad esempio) sono due elementi che favoriscono l’irregolarità” (Dirigente scolastico di scuola secondaria di primo grado)

Ma anche la famiglia con genitori simultaneamente presenti sembra avere un ruolo potenzialmente influente nel determinare l’irregolarità dei ragazzi: occasioni di vacanza fuori stagione (quindi a costi più contenuti e, magari, con maggior frequenza rispetto al passato) ma anche “sogni di fama” per i propri figli, anche se questo ultimo caso non rappresenta fortunatamente la regola.

“Le famiglie vanno a fare viaggi in inverno (in posti tipo il Mar Rosso) perché costano meno e non hanno lo scrupolo di far perdere quindici giorni di scuola ai figli. Potremmo anche chiamarle assenze ‘giustificate’(…) Le famiglie fanno avere

La dispersione scolastica nella provincia di Torino Capitolo III

77

alla scuola una dichiarazione della RAI perché si autorizzi i bambini che fanno “Centovetrine” a non frequentare con regolarità (io peraltro non le firmo!).(…) La famiglia tende a non investire più nella scuola, ma in altre direzioni” (Dirigente scolastico di scuola secondaria di primo grado)

Viene sottolineata la mancanza di valore sociale che la scuola sta ormai vivendo presso le famiglie; l’irregolarità è quindi anche riconducibile alla scarsa considerazione che le famiglie avvertono per l’istituzione scolastica in generale.

“Ad esempio, il sabato i genitori scelgono più facilmente di portare i figli al supermercato anche se c’è lezione. Nei ponti, anche se la scuola fa di tutto per rimanere aperta, le famiglie portano i figli a sciare (perché ci sono corsi organizzati dal Comune a costi bassi) o a fare brevi vacanze, a discapito di una frequenza regolare. Ancora, dopo tre giorni di gita scolastica è facile che il quarto giorno i bambini stiano a casa a riposare” (Dirigente scolastico di scuola secondaria di primo grado)

Un’altra riflessione riguarda, infine, una forma di irregolarità conseguente all’agire, forse considerabile ‘superficiale’, di alcuni genitori, che si ripercuote – specialmente nella scuola dell’infanzia – in modo negativo su altri nuclei familiari.

“Il nostro ‘dramma’ lo abbiamo quando alcune famiglie scelgono il tempo prolungato: il primo anno va tutto bene, ma dalla seconda il ragazzo magari vorrebbe fare altre attività. A quel punto i genitori arrivano da me e chiedono di non poter mandare più il figlio magari nei tre giorni in cui dovrebbe fare rientro pomeridiano. Io nego l’autorizzazione, chiedo le giustificazioni, rendo la vita difficile alle famiglie, ma il fenomeno continua. La fascia d’età è sempre per me 11-14 anni (…). Nella primaria il problema (dell’irregolarità) è raro. Nelle materne invece la situazione è diversa: se la scuola rileva casi di famiglie che hanno avuto il posto per il figlio e poi lo mandano in modo irregolare, arriviamo anche a sanzionarle, perché con questo comportamento penalizzano altri che avrebbero avuto diritto al posto ma che sono arrivati dopo in graduatoria” (Dirigente scolastico di scuola secondaria di primo grado)

In sintesi, il profilo medio di un soggetto in potenziale dispersione potrebbe essere riconducibile, secondo i testimoni privilegiati afferenti al ciclo dell’obbligo, ad un adolescente, di genere maschile in otto casi su dieci, con precedenti insuccessi già durante il ciclo primario e una famiglia che non riesce a dare un adeguato sostegno nel momento delle difficoltà scolastiche. Per il genere femminile si parla invece più spesso di soggetti “con una vita non coerente con la loro età” (Dirigente scolastico

La dispersione scolastica nella provincia di Torino Capitolo III

78

di scuola secondaria di primo grado); in particolare, l’intervistato citato in precedenza si riferiva ai casi in cui le famiglie, subendo il fascino di una potenziale carriera televisiva per le proprie figlie, sacrificano ad essa la regolarità della stessa formazione scolastica. Aggiunge inoltre un’insegnante di scuola secondaria di primo grado:

“Poi mentre ai ragazzi cui non piace studiare sono date opportunità lavorative, magari nel mondo della formazione professionale operativa, per le ragazze gli sbocchi più probabili sono o come estetiste o come parrucchiere, con corsi fra l’altro anche a pagamento” (Docente di scuola secondaria di primo grado)

Si ritrova nelle citazioni il concetto di costante “caduta di centralità della scuola”, che già Luisa Ribolzi aveva codificato oltre venti anni fa1, con una modifica, peraltro, del livello scolastico in cui tale caduta di centralità si sta proponendo, ossia la secondaria di primo grado. Sul versante delle scuole secondarie di secondo grado, entrambi gli aspetti della dispersione considerati nell’indagine sono presenti, seppure con incidenza differente. L’abbandono definitivo è quantificato da alcuni testimoni privilegiati in una quota fortunatamente contenuta sul totale degli iscritti, con una concentrazione nei primi due anni; molto più significativa l’irregolarità, che può raggiungere – in base al tipo di secondaria scelta dai ragazzi – punte del 50-60%, con riduzione anche molto significativa dell’incidenza, al progredire della classe frequentata dai ragazzi. Gli intervistati, secondo la loro esperienza sia professionale (come docenti) sia di appartenenza a strutture di orientamento e di lotta alla dispersione, hanno rilevato inoltre come il fenomeno sia correlabile sia alla tipologia di scuola secondaria di secondo grado (con maggiori quote negli istituti tecnici e professionali, minori nei licei), sia a specifiche peculiarità di alcune aree territoriali.

“L’abbandono in termini netti, escludendo cioè il rientro nel circuito della formazione professionale nell’arco di pochi mesi, lo comprenderei tra il 5 e il 7-8% del totale degli iscritti a livello provinciale.(…) In ogni caso, questo dato non vale per tutte le aree della Regione, ma per quelle (tipo cuneese, Ivrea e simili) con più opportunità anche per soggetti a basso titolo di studio.” (Ex dirigente scolastico, attualmente consulente esperto)

“A livello di distribuzione del fenomeno nella provincia, pensavo fosse più concentrato nella cintura torinese, mentre ho trovato realtà esterne (ad es. Val Sesia), dove la selezione è fortissima già nelle medie inferiori (...)” (Ricercatore e docente)

1 Si rimanda per ulteriori approfondimenti a Luisa Ribolzi (1984), La Scuola incompiuta. Un’analisi degli abbandoni nella Scuola secondaria superiore, Milano, Vita e Pensiero.

La dispersione scolastica nella provincia di Torino Capitolo III

79

Con riferimento alla distribuzione del fenomeno dal punto di vista territoriale, viene dichiarato anche quanto segue:

“L’asse forse più a rischio è quella dell’area vicina all’autostrada Torino-Milano, l’area di Chivasso e di Settimo Torinese e quelle limitrofe. Questo per le medie inferiori. Nel comune di Torino, come dovunque del resto, le superiori reclutano non tanto per appartenenza di zona quanto più per scelta degli studenti. Ma non credo che ci siano molte differenze dal punto di vista della zona della scuola. È più un problema legato alla resa degli studenti” (Ex dirigente scolastico, attualmente consulente esperto)

Una considerazione interessante riguarda anche il rapporto tra studenti con un forte potenziale di dispersione e le scuole alle quali sono iscritti. Il concetto che viene evidenziato riguarda in particolare la percezione non elevata di integrazione: in altre parole, talvolta è il ragazzo ad avvertire la sensazione di appartenere solo in minima parte alla struttura scolastica che frequenta e al gruppo classe ma, in altri casi, è la stessa struttura a non porsi il problema dell’appartenenza dello studente alla comunità scolastica. Il fenomeno, quindi, risulterebbe legato non solo a specifici contesti territoriali ma, piuttosto, a singoli istituti scolastici. Nelle scuole secondarie di secondo grado il fenomeno della dispersione, negli ultimi dieci anni, ha avuto – in base all’opinione degli intervistati – andamenti diversi. Un testimone privilegiato definisce l’abbandono in aumento, con motivazioni anche ben precise, correlabili nel primo biennio all’eventuale insuccesso scolastico dei singoli, nel terzo anno alla consapevolezza di aver sbagliato scelta del tipo di scuola. Con riferimento al fenomeno delle irregolarità, lo stesso testimone intervistato considera invece l’andamento costante, anche se poi riconduce le motivazioni alla base del fenomeno alle medesime rilevate per l’abbandono. Per un altro testimone privilegiato, invece, è difficile quantificare esattamente il fenomeno sia dell’irregolarità, sia dell’abbandono nella scuola secondaria di secondo grado, a causa della mancanza di dati che non agevolano la definizione delle sue peculiarità. Peraltro, la riflessione che accomuna questo intervistato al precedente è la necessità di migliorare le pratiche di orientamento, pur nella consapevolezza di come questo processo sia complesso, anche per l’evoluzione imprevedibile degli scenari lavorativi.

(...) “La diversità di fondo sta nella capacità di fare orientamento scolastico, uno ‘strumento’ che, a mio avviso, deve attualmente essere migliorato. Nella provincia di Torino un ragazzo su quattro va allo scientifico, e la percentuale sale nell’area di Ivrea, arrivando ad uno su due. La spiegazione sta nel fatto che nessuno orienta. Io ho fatto lo scientifico, all’epoca l’unico presente a Torino, ma l’orientamento era fortissimo. Alla fermata del tram dopo il liceo scientifico c’era il politecnico e sette-

La dispersione scolastica nella provincia di Torino Capitolo III

80

otto fermate dopo c’era Mirafiori: lo definirei quasi un orientamento ‘tramviario’, non si sgarrava da quelle rotaie!! Era un orientamento pesante, talvolta anche negativo, ma c’era uno spendersi delle generazioni precedenti per far capire che l’area torinese si aspettava questo. Resta il fatto che loro ne erano convinti e si giocavano la faccia: ora nessuno si azzarda a orientare con precisione, perché è difficile farlo,visto l’andamento del mercato. L’orientamento è fatto solo sui risultati scolastici delle medie. Non è sufficiente. I criteri più frequenti di scelta sono cosa fanno gli amici e cose simili” (Ricercatore e docente)

In sintesi, si può affermare che il profilo generale del giovane frequentante la scuola secondaria di secondo grado in potenziale dispersione (sia essa abbandono definitivo o irregolarità di percorso) corrisponde ad un ragazzo fra i quattordici e sedici anni, con probabili insuccessi alle spalle già nella scuola secondaria di primo grado, non adeguatamente orientato verso scelte consapevoli. Come accennato in precedenza, il momento critico può essere individuato nei primi tre anni della scuola secondaria di secondo grado, per motivi differenti che vanno dallo scarso successo scolastico nel biennio iniziale, alla consapevolezza della scelta sbagliata al primo anno del triennio specialistico. In questo ultimo caso, il ragazzo può avere davanti due strade da scegliere: l’abbandono con passaggio alla formazione e poi al lavoro o il tentativo di procedere nell’iter scolastico avviato, generalmente mantenendo forme di irregolarità di percorso; se la consapevolezza della scelta sbagliata si manifesta già nel primo biennio, il giovane può al limite ancora essere riorientato, con passaggio ad altro percorso scolastico (se di provenienza liceale, più facilmente verso un istituto tecnico o professionale).

3.2 Il profilo e le caratteristiche dei ragazzi a rischio di dispersione scolastica

u questo aspetto i testimoni privilegiati contattati sono risultati abbastanza concordi. Come accennato in precedenza, si tratta di ragazzi con “pochissima

voglia di studiare” (“ma questo sarebbe niente”, sottolinea uno degli esperti ascoltati), e, soprattutto con una motivazione allo studio molto bassa, quando non nulla. Fra le motivazioni ricorrenti, correlabili strettamente agli insuccessi scolastici, abbastanza diffusa è la convinzione che questi soggetti abbiano un limitato livello di autostima, che con il passare del tempo e l’aumentare degli insuccessi si rafforza sempre più in senso negativo2. Un testimone intervistato, inoltre, aggiunge:

2 Il basso livello di autostima può portare il ragazzo anche ad autocolpevolizzarsi, facendolo entrare in una spirale di insoddisfazione la cui via di uscita più semplice può consistere nell’eliminare il

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“Certamente chi abbandona (...) ha difficoltà di tipo cognitivo, ha alle spalle una famiglia per cui la scuola non rappresenta un valore. Poi ci sono casi particolari. Ricordo un ragazzo pluriripetente approdato al nostro istituto. Ci siamo resi conto a Natale che sarebbe stato bocciato anche da noi: la madre, persona peraltro gentilissima, ha richiesto un colloquio e ci ha detto che il marito aveva fatto lo stesso iter del figlio ma che poi si era preso il diploma alle serali, con molti sacrifici. Quindi in fondo il figlio non stava facendo una cosa poi così strana, anzi stava ripercorrendo l’iter del padre” (Docente di istituto tecnico)

Con riferimento ai problemi rilevabili nei diversi livelli dell’iter scolastico, un altro intervistato sottolinea anche come gli studenti con problemi scolastici possano essere ricondotti a tre diverse tipologie:

(...) “Quelli in ritardo sul metodo e quelli che sono in ritardo sulle motivazioni; in più forse c’è una terza categoria di studenti, formata da persone che si lasciano vivere, sopravvivono uno o due anni e poi precipitano. I primi li riesci a sostenere, anche grazie a tutto quello che la scuola fa (sportelli, corsi di recupero, ecc.); sarebbe meglio tirarli fuori dai problemi con un curriculum diluito, ma si può pure intervenire in altri modi; i secondi li aiuti anche fermandoli per un anno. La terza categoria è invece impermeabile a qualsiasi intervento; si trovano nella scuola, non se ne vogliono andare, ma più che sopravvivere non sanno ‘fare’ ” (Ex dirigente scolastico, attualmente consulente esperto)

Un’ulteriore considerazione riguarda il ruolo che i nuclei familiari di appartenenza possono avere nei processi di dispersione. Secondo un testimone privilegiato, l’attenzione dei genitori verso l’attività scolastica dei propri figli e, quindi, il supporto offerto in un periodo di formazione particolarmente delicato possono decisamente contribuire ad abbattere i fenomeni di abbandono e/o irregolarità, laddove la correlazione tra disinteresse della famiglia e scarso rendimento scolastico è ormai considerabile un dato di fatto. Ma se la famiglia gioca un ruolo determinante nei processi di dispersione, anche i nuovi schemi culturali di riferimento sembrano esserne una causa. Come già accennato, è frequente la considerazione che la scuola abbia progressivamente perso il suo significato, mentre altre sono diventate le attrattive potenziali: uno di questi è il mondo del lavoro.

problema alla radice, ossia abbandonare l’iter scolastico intrapreso. Nuovamente si rimanda a Ribolzi, cit.

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“Mi sembra che nella nostra regione ci stiamo ‘nordestizzando’. È diffusa l’idea che si possa trovare lavoro anche senza titoli di studio. Solo che il tessuto locale è diverso (ad es. dal Veneto o dall’Emilia Romagna)” (Dirigente scolastica di scuola secondaria di primo grado)

I testimoni privilegiati – come già accennato in precedenza – rilevano inoltre come le scuole che si trovano in zone con presenza di insediamenti industriali e agricoli significativi risentano del fenomeno dell’abbandono più di quelle insediate in zone urbane, in quanto l’attrattiva verso il mondo del lavoro, magari accessibile senza particolari difficoltà, risulta una ragione più che valida per abbandonare un iter scolastico portato avanti, magari con scarsa motivazione e poco successo. Analogamente la tradizione familiare imprenditoriale può ‘giustificare’ la dispersione, laddove un lavoro in un certo senso ‘protetto’ può convincere sia il ragazzo, sia i genitori, a preferire lo sviluppo di un ruolo professionale alla frequenza scolastica.Restano, infine, a livello generale, i disturbi dell’apprendimento (es. dislessia), che rappresentano un problema di non poca importanza. La diffusione di tali disturbi è tale da preoccupare lo stesso Ministero che, oltre a rilevarne l’incremento costante di anno in anno, non perde occasione di raccomandare ai docenti la massima attenzione per rilevare la presenza di elementi che limitano o ostacolano la crescita culturale degli alunni.

3.3 Gli esiti e le conseguenze dell’abbandono

elle riflessioni che i vari testimoni privilegiati hanno proposto sui giovani che decidono di non procedere nel percorso scolastico intrapreso emerge una

duplicità di potenziali conseguenze: quelle concrete sul tipo di vita dei ragazzi e quelle che riguardano la loro sfera emotivo-caratteriale. Sul tipo di vita successiva all’abbandono i rispondenti non sembrano essere d’accordo. Alcuni prevedono scenari abbastanza negativi, altri invece si mostrano più ‘possibilisti’. Di seguito si riporta la prima di alcune fra le riflessioni più significative degli intervistati3.

“Penso che gli esiti siano i più diversi: dalla sofferenza, alla disperazione, alla rivalsa per il futuro, realmente le più disparate. Non credo invece che l’abbandono sia anticamera di delinquenza o di irregolarità di vita per chi lascia durante le

3 Si rimanda fra gli altri, per una disamina di questi e altri temi, a Benvenuto, Rescalli, Visalberghi (2000).

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superiori, mentre è più possibile a mio avviso per chi abbandona alle medie” (Ex dirigente scolastico, attualmente consulente esperto)

In questo primo caso il rispondente concentra la sua attenzione sia sugli aspetti psicologici potenzialmente correlati all’abbandono, sia sulla possibilità che alla scelta dell’interruzione scolastica seguano comportamenti devianti. La relazione con la devianza viene peraltro considerata più plausibile per i ragazzi che si trovano in situazione di drop-out durante l’obbligo formativo: il testimone privilegiato implicitamente considera come la mancata professionalità dei ragazzi in giovane età rappresenti la chiave di possibile insuccesso nel mondo del lavoro e, quindi, l’altrettanto possibile molla in grado di spingere (ovviamente con determinate condizioni di contorno) il giovane verso scelte devianti. Un’ulteriore testimonianza sottolinea l’importanza del percorso formativo alternativo all’abbandono4, ma è soprattutto significativa la volontà che i singoli dovrebbero avere – anche per cultura intrinseca – di considerare l’interruzione dell’iter scolastico come una scelta possibile, che deve essere abbinata alla volontà di concluderlo in un secondo momento, come accadeva abbastanza di frequente 30-40 anni fa, sebbene con condizioni di contorno ed uno scenario di riferimento differenti. Una riflessione diversa riguarda, invece, l’impatto degli abbandoni e le loro conseguenze dal punto di vista sociale: in tal senso non si guarda solo a ciò che potrebbe accadere al ragazzo che decide di interrompere l’iter scolastico, ma all’effetto che la scelta ha sul panorama generale di riferimento.

“La rovina sociale è, a mio avviso, la conseguenza individuale principale della dispersione. Abbiamo provato percorsi di ogni sorta per combattere l’abbandono: “Ci sei o ci fai”; “Provaci ancora Sam”; percorsi individuali per conseguire la licenza media; anagrafi informatizzate per trovare chi è disperso; inserimento di soggetti difficili per un percorso di lavoro, anche protetto. Il problema che il successo nella ricerca dei drop-out non ha dato finora grandi risultati (Dirigente scolastico di scuola secondaria di primo grado)

Infine, la frase successiva evoca nuovamente l’impatto provocato dall’abbandono e le conseguenze sulle opportunità lavorative: senza nulla togliere alle professionalità indicate, quello che il testimone intende evidenziare sembra essere la scarsità di alternative offerte ai drop-out5, situazione più che probabile se si tiene conto che l’età giovane dei ragazzi in abbandono è generalmente antitetica all’esistenza di esperienze lavorative pregresse.

4 Si veda anche su questo tema, fra gli altri, il contributo di Gelati (2004). 5 Considerando, fra l’altro, che per fare i camerieri in bar o ristoranti è richiesta una professionalità che deve essere costruita negli anni attraverso studi superiori o corsi di formazione specifici.

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“Se un ragazzo ha abbandonato senza alternativa è a rischio di depressione o di potenziale delinquenza. Se non c’è poi inserimento nel mondo del lavoro, che è un iter possibile ovviamente, vanno magari a fare camerieri in bar o ristoranti. Qualcuno se ha particolari capacità può metterle a frutto, trasformando un hobby in attività più strutturata. Altro non saprei dire” (Docente di scuola secondaria di primo grado)

A proposito della relazione fra abbandoni/irregolarità e mondo del lavoro, alcuni testimoni concordano anche sul fatto che, fra gli effetti sugli assetti produttivi, si possa rilevare la mancanza di lavoratori specializzati in determinate professioni: questi potrebbero invece essere formati in caso di abbandono per diventare qualificati (e quindi pronti all’ingresso nel mondo del lavoro) anche in assenza di un titolo di studio medio-alto.Una riflessione importante emersa da alcuni testimoni è forse quella che invita i ragazzi a conoscere più a fondo quali siano le eventuali alternative possibili una volta abbandonata la scuola e non lasciare la formazione scolastica senza prima aver tentato di immaginare strategie ben precise. Un’altra testimonianza in parte conferma la precedente, ma aggiunge come in alcuni casi gli stessi ragazzi non si preoccupino particolarmente della mancanza di alternative, perché non temono la situazione di precarietà cui facilmente andranno incontro. Ancora, viene poi sottolineato come il mondo del lavoro non sia così disponibile ad accogliere drop-out nelle proprie fila, anche perché in quanto tali non sembrano poter dare un grande affidamento. La correlazione tra abbandoni scolastici e l’esistenza di attività familiari dove i ragazzi che decidono l’abbandono possono trovare una valida alternativa, emerge spesso dalle parole dei testimoni privilegiati. È vero che, per casi simili, le conseguenze dell’interruzione scolastica sono più contenute, ma anche la “protezione professionale” della famiglia a volte può non essere sufficiente, quanto meno non è una garanzia assoluta. Un altro testimone rileva poi come – anche a seguito dell’abbandono – una qualifica o il completamento in un secondo tempo dell’iter scolastico interrotto dovrebbero essere messe in bilancio dai drop-out. Anche perché i giovani che comunque terminano i loro percorsi scolastici (e/o professionalizzanti) rappresentano un bacino di potenziale concorrenza professionale di non poca rilevanza.Lo stesso testimone fa inoltre una considerazione ulteriore, che riporta la causa del problema anche alla sfera della scuola italiana.

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“Di certo, comunque, noi come scuola non siamo stati in grado di insegnargli il valore del diploma, anche se è vero che per lui avere o non avere il diploma non gli cambia la vita” (Docente di istituto tecnico)

Infine, con riferimento agli effetti degli abbandoni sui drop-out, merita di essere ricordata la riflessione fatta da un rispondente, che solleva il problema del costo sociale di questo fenomeno e di un’ulteriore correlazione di non poca importanza, ossia quella con il lavoro irregolare. Le affermazioni proposte possono sembrare lapidarie e magari eccessive, ma di certo il concetto alla base resta e deve far riflettere sull’opportunità di prevedere le opportune politiche occupazionali da parte degli Enti Locali.

La manodopera destabilizzata è fonte di lavoro nero, di lavoro illegale. Secondo me il costo sociale è infinitamente più alto rispetto al mettere soldi per combattere la dispersione. Il mercato offre a questi ragazzi un lavoro temporaneo, a termine e dequalificato per restare nell’ambito legale. Quello illegale è invece alla spasmodica ricerca di figure come queste” (Dirigente scolastico di scuola secondaria di primo grado)

3.4. I progetti e le azioni locali in tema di prevenzione dell’abbandono o dell’irregolarità scolastica

na riflessione trasversale in materia riguarda il punto centrale su cui si dovrebbero imperniare tutte le azioni finalizzate alla lotta alla dispersione

scolastica: il fatto cioè che esse passino attraverso una buona programmazione didattica, elemento attraverso cui è possibile tentare il recupero dei soggetti che hanno lasciato la scuola o che hanno intenzione di farlo. I testimoni privilegiati che sono stati intervistati hanno quindi descritto progetti, alcuni conosciuti in quanto diffusi, magari da tempo, sul territorio comunale e/o provinciale torinese, altri invece di portata solo interna alle strutture scolastiche di appartenenza, altri ancora proposti come possibili soluzioni, sebbene non applicate in nessuna di tali strutture. Il primo aspetto citato da tutti è quello dell’orientamento scolastico. Questo tema è particolarmente complesso, con differenze evidenti in base al tipo di scuola in cui viene attuato e con implicazioni diverse a seconda dell’utenza che ne diviene oggetto. livello di scuola secondaria di primo grado, un testimone ha illustrato il progetto di orientamento che viene proposto agli alunni della scuola in cui insegna e che si sviluppa per gradi nel triennio, con l’intento di far acquisire ai giovani la consapevolezza della propria sfera ‘vitale’, partendo dal territorio di riferimento per

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arrivare alla consapevolezza di sé, ma soprattutto della scelta del passaggio verso la scuola secondaria Superiore. Il testimone, oltre a ricordare le attività di orientamento mirate ai genitori, cita inoltre:

� le attività di orientamento rivolte a soggetti definiti difficili, supportate sia dai Centri per l’Impiego, sia dai Centri di Formazione Professionale; inizialmente previste per singoli ragazzi, tali attività sono state estese alle classi intere per ragioni di prevenzione;

� l’orientamento rivolto ai soggetti portatori di handicap, che prevede anche un parziale accompagnamento al lavoro.

In generale l’attività a livello del ciclo dell’obbligo è decisamente fondamentale in quanto, oltre a mettere i ragazzi nelle condizioni di ricevere stimoli per sviluppare anche la propria personalità, ha l’obiettivo di aiutarli nel momento particolarmente complesso, rappresentato dalla scelta dell’iter scolastico futuro da seguire. Le scuole secondarie di primo grado tendono anche a predisporre sistemi di “valutazione ex post” degli esiti dell’orientamento per la parte scolastica (essenzialmente rilevando come i ragazzi hanno concluso il primo anno di scuola secondaria di secondo grado), in modo da conoscere quali risultati abbiano prodotto i ‘consigli’ dati alle famiglie in merito alle scelte post obbligo dei propri figli. I problemi che gli orientatori devono affrontare non sono pochi. In primo luogo, non sempre le indicazioni proposte vengono tenute in considerazione dai genitori, con conseguenze talvolta fortunatamente nulle, talvolta anticamera di irregolarità nel percorso scolastico, quando non di dispersione. In secondo luogo non è sempre facile consigliare i percorsi più indicati da seguire con gli scenari produttivi locali che si modificano in tempi più rapidi di quelli che occorrono ad uno studente per completare il proprio ciclo scolastico secondario. Ne può dunque derivare una parziale inadeguatezza delle conoscenze acquisite (quindi in funzione delle scelte fatte) rispetto alle richieste del mercato del lavoro. In terzo luogo, sempre per l’incognita dell’andamento nel tempo dei mercati locali, il rischio è quello di standardizzare l’orientamento sulla base del solo rendimento scolastico, a prescindere dalle effettive propensioni dei giovani.

“Se sei bravo vai al liceo, se sei meno bravo vai al tecnico, se proprio non ce la fai vai o al professionale o alla formazione. Questo è quanto. Risultato è che abbiamo licei dove la motivazione non è per le materie, ma solo per la scuola in sé” (Ricercatore e docente)

Lo stesso testimone aggiunge anche l’importanza di saper individuare nei ragazzi le diverse propensioni e di incoraggiarli ad esprimere i propri interessi e il personale orientamento, anche se il rischio è che tali interessi possano essere ‘viziati’

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dall’intervento delle famiglie o dal non voler riconoscere loro stessi gli eventuali propri limiti; il risultato può quindi essere quello di voler tentare comunque la strada di un certo tipo di scuola superiore solo per compiacere la cerchia parentale o amicale, o nella genuina convinzione di potercela fare, pur se oggettivamente abbastanza improbabile. Un altro aspetto degno di nota, in particolare per il livello delle scuole secondarie di secondo grado, è legato agli interventi sui curricula, che vengono così illustrati da un intervistato. Come primo tentativo viene indicato il cosiddetto curriculum diluito, che “rappresenta lo stesso programma fatto in quattro anni anziché tre senza bocciature. Ma questo non è praticabile, perché il sistema scolastico nazionale è strutturato in modo tale che ogni anno bisogna decidere se la persona può o meno andare avanti. Ci sono inoltre quelli che fanno il primo biennio con una certa facilità, ma che poi cadono però nel triennio, dove ci sono oneri maggiori di apprendimento”.Lo stesso testimone formula anche altre due ipotesi su cui riflettere, che pure comportano difficoltà e rischi di non riuscita. La prima è quella di cambiare il metodo didattico con alcuni studenti, anche se per far ciò occorrono docenti preparati e fortemente motivati. Il rischio resta però di “fare classi ghetto, per ovvi motivi: bisognerebbe attuare una equa distribuzione di studenti nelle classi”.L’altra strada potrebbe essere quella di utilizzare l’alternanza scuola lavoro come metodo utile di apprendimento e di sviluppo del curriculum formativo, come sostiene ancora il testimone precedente. Ma allo stesso tempo egli evidenzia il rischio che “laformazione in alternanza produca effetti di apprendimento minore di quella che si potrebbe invece raggiungere, diventando così un iter che può produrre paradossalmente danni allo studente, perché escluderebbe le medesime opportunità di apprendimento ad alcuni. In questo iter il rischio grosso è anche che le famiglie percepiscano intuitivamente le differenze di apprendimento di cui le parlavo e non supportino il figlio, che invece potrebbe imparare di più con questa alternativa didattica” (Ex dirigente scolastico, attualmente consulente esperto).Un altro rispondente aggiunge poi una riflessione sulla capacità che un docente dovrebbe avere nella ‘costruzione’ dello studente medio, ossia quella di concentrarsi sulle abilità di studio dei ragazzi, stimolandoli a sfruttare le proprie doti intellettive per le poche ore che in una giornata sarebbero sufficienti a renderli adeguatamente preparati. Infine, secondo tutti i testimoni intervistati, quel che certamente deve essere implementato è il dialogo tra i diversi soggetti coinvolti nei percorsi orientativi di qualunque grado scolastico. L’evoluzione delle situazioni locali, dal punto di vista sociale ed economico, richiede un continuo processo di adattamenti e aggiustamenti nelle politiche orientative delle

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scuole, con correlata necessità che i docenti delle secondarie di primo grado si rapportino costantemente con i colleghi del ciclo superiore. Allo stesso tempo i fenomeni di potenziale dispersione, presenti già nella scuola dell’obbligo, impongono contatti più stretti con i Centri per l’Impiego e i Centri di Formazione Professionale, che possono rappresentare per i ragazzi il punto di continuità dopo l’eventuale abbandono e l’anticamera dell’ingresso nel mondo del lavoro regolare. Un punto critico evidenziato da tutti gli intervistati, collegato a quanto affermato in precedenza, è la mancata attuazione del sistema informatizzato dell’anagrafe scolastica, che potrebbe rappresentare un elemento centrale per la lotta alla dispersione. Questo strumento permetterebbe anche di evitare che singoli docenti volontariamente si facciano carico di un ruolo, definibile quasi ispettivo, per segnalare eventuali casi di abbandono (anche semplicemente potenziale) ai Centri per l’Impiego o ai Centri di Formazione. Sono stati inoltre segnalate, oltre alle innegabili criticità delle strutture pubbliche nel riuscire a seguire tutti i casi che potrebbero preludere a forme di abbandono, anche la difficoltà nel diffondere presso gli utenti ogni informazione che possa servire a fornire alternative professionalizzanti alla frequenza scolastica interrotta. Nonostante anche in questo caso il sistema informativo abbia dimostrato di funzionare, quel che emerge è come esso non sia ancora in grado di assolvere la propria funzione pienamente. Di certo in questo senso i soggetti direttamente interessati (utenti e loro famiglie) hanno una parte di responsabilità innegabile.

3.5 I possibili interventi per combattere la dispersione scolastica

ispetto a questo ultimo tema i testimoni sono stati chiamati ad esprimere liberamente il proprio pensiero in merito ad ulteriori interventi possibili per la

lotta alla dispersione scolastica. Nelle frasi che seguono sono contenute le riflessioni emerse; per loro chiarezza ed efficacia non richiedono particolari commenti aggiuntivi. Come si potrà osservare, vengono considerati dagli intervistati tutti gli aspetti e i soggetti che in questo particolare fenomeno possono avere un ruolo anche minimo.

“Promuovere le azioni verso le famiglie favorendo la collaborazione con le stesse. Ci sarebbero anche i percorsi individuali che dovrebbero essere incentivati, ma per quelli è molto difficile che vengano stanziati fondi. Ribadisco le azioni di sostegno anche economico alle scuole secondarie, perché intensifichino i contatti con le famiglie. Se si verificassero casi di potenziale abbandono o irregolarità ripetute,

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potrebbe essere opportuno spiegare alle famiglie le alternative che possono far percorrere ai propri figli” (Docente di scuola secondaria di primo grado)

“Come singolo istituto, favorire il successo scolastico. Perché questo avvenga, gli insegnanti devono saper motivare i ragazzi, ma per poterlo fare devono conoscere bene il proprio mestiere e saper insegnare bene per stimolarli al meglio. Per i ragazzi ci devono essere stimoli dalla scuola per valorizzarli e tenerli volentieri a scuola. Per le famiglie ci vuole la capacità di coinvolgimento da parte della scuola, un colloquio ininterrotto non sanzionatorio per aiutarli nelle scelte. Con le istituzioni occorrono accordi di rete. E infine più finanziamenti, e noti che come motivazione la metto in fondo” (Dirigente scolastico di scuola secondaria di primo grado)

“Le ‘curvature’ del curriculum, la modulazione del curriculum, le attività di recupero e di sostegno… Noi avevamo un pacchetto per la prevenzione dell’insuccesso che comprendeva ad esempio lo sportello studenti, le lezioni di recupero gratuite e la diffusione di laboratori didattici che possono rendere più ampi i campi di interesse degli studenti (animazione, teatro, ecc.). Fra l’altro nei professionali era possibile tentare varie attività grazie all’esistenza della cosiddetta “Area di approfondimento” (130 ore annuali per queste attività, cioè quattro ore alla settimana)” (Ex dirigente scolastico, attualmente consulente esperto)

“La scuola deve migliorare il proprio approccio con gli studenti, stimolarli e aiutarli a capire cosa significhi studiare. Il resto, come ho già detto, lo faranno gli stessi studenti, se la scuola è riuscita a convincerli della propria valenza e del proprio significato e a organizzarli al meglio per lo studio” (Docente di istituto tecnico)

“Penso che la scuola media dovrebbe essere rivista come sua funzione, in particolare nella parte didattica. Ma questo vale anche per la secondaria superiore” (Ricercatore e docente)

Infine, con riferimento alle esperienze attive nel territorio torinese, si rimanda al Capitolo 6 dedicato agli studi di caso, che in parte coincidono con quelli indicati dagli stessi testimoni privilegiati, in parte rappresentano ulteriori esperienze censite direttamente dal gruppo di lavoro.

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CapitoloCapitoloCapitoloCapitolo

4444Il parere degli insegnanti: i focus group

e l’opinione dei testimoni privilegiati, analizzata in precedenza, ha permesso di tracciare alcune forme caratterizzanti il fenomeno della dispersione scolastica, in

questo capitolo il quadro si arricchisce attraverso l’analisi dei principali risultati emersi durante i focus group condotti con insegnanti di scuole di diverso ordine e grado6. Ai partecipanti è stato chiesto di riflettere ed esporre le proprie opinioni a proposito di diversi aspetti della dispersione scolastica; per non incorrere nel rischio di infruttuose semplificazioni, in fase di avvio della discussione, particolare attenzione è stata dedicata alla chiarificazione concettuale, stabilendo che per dispersione si intendevano sia i casi di vero e proprio abbandono scolastico, sia quelli di irregolarità nel percorso (bocciature e ritardi, interruzioni temporanee, assenze ripetute, trasferimenti). Il tema è stato trattato, quindi, nel senso più ampio possibile per favorire sia le comparazioni all’interno dei diversi aspetti che compongono il fenomeno sia l’interazione tra i partecipanti, elemento fondamentale quando si utilizza questo metodo di osservazione qualitativa. Prima di entrare nel dettaglio dei risultati, occorre precisare che l’analisi del materiale empirico ha permesso di evidenziare un aspetto generale di indubbio interesse: il fenomeno della dispersione scolastica viene considerato in modo parzialmente differente nei vari livelli scolastici e queste differenze sono riconducibili sia alle diverse caratteristiche dell’utenza, connesse alle rispettive fasi della vita7 (infanzia, pre-adolescenza e adolescenza), sia – elemento forse di maggiore valenza – al vissuto degli insegnanti inseriti nei vari livelli scolastici, che sembra dipendere dai percorsi formativi e esperenziali propri degli insegnanti stessi. Pertanto, nel corso della trattazione si è cercato di evidenziare queste differenze laddove si sono palesate.

6 Per una migliore descrizione delle caratteristiche e del metodo utilizzato in questa fase di indagine si rimanda all’appendice metodologica. 7 Intendiamo per ciclo di vita il punto in cui un individuo si trova nel corso della sua vita con il tipo di compiti che è chiamato a fronteggiare e con il tipo di risorse che ha a disposizione per affrontare questi compiti. Secondo questa prospettiva, il concetto degli stadi della vita deriva dalle teorie degli scienziati evoluzionisti e sottolinea non solo il fatto che esistono diverse fasi della vita, ma enfatizza anche l’ipotesi che ognuna di tali fasi si costruisca su quelle precedenti. In questo senso, ad esempio, come un bambino non può imparare le divisioni o le moltiplicazioni se prima non ha imparato le addizioni e le sottrazioni, così il fatto di staccarsi dalla famiglia e formare una relazione adulta sarà problematico per un individuo che non ha mai avuto una relazione soddisfacente nella sua famiglia di origine.

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4.1 I sintomi dell’abbandono scolastico

l primo tema sul quale è stato chiesto ai partecipanti di riflettere ha riguardato la presenza di sintomi specifici che possono, ancor prima di produrre esiti parziali o

conclusivi, fare ipotizzare che un giovane sia a rischio di abbandono. Numerose ricerche, infatti, mettono in luce come l’abbandono della scuola sia spesso un evento annunciato, dal momento che si realizza nella maggior parte dei casi a seguito di ripetute esperienze di fallimento, ma non solo. Un primo elemento, emerso trasversalmente a tutti gli insegnanti dei vari livelli scolastici, è la manifestazione nel giovane di una qualche forma di disagio che si può palesare in varie modalità, a volte esteriori, altre interori. Generalmente, questo disagio si modifica in relazione alla specifica fase di vita in cui si trova l’alunno: se nella scuola primaria assume maggiormente le forme di patologie depressive (malinconia, abbattimento, pianto, isolamento, aggressività verso se stessi, gli altri o entrambi) all’aumentare dell’età può diventare un vero e proprio comportamento deviante. La dichiarazione di questo insegnante di una scuola primaria sembra riassumere quanto appena accennato.

“In classe dimostrano difficoltà di ascolto, scarsa concentrazione, demotivazione acuta rispetto alle esperienze proposte, scarsa autostima, aggressività verbale ma anche fisica, difficoltà di integrazione con il gruppo classe. Il disagio si manifesta anche con pianti e stati depressivi. Talvolta, ma non sempre, possono essere anche presenti varie forme di disturbi dell’apprendimento” (Insegnante, scuola primaria)

Quando il disagio-sintomo assume progressivamente le forme di comportamenti atipici, o addirittura devianti, questa estrinsecazione è più facile da cogliere perché la sua forma non solo è evidente ma disturbante. Tali comportamenti “devono essere definiti come disadattivi ed è perciò corretto parlare, in questi casi, di disadattamento scolastico o sociale a seconda dell’ambito in cui si evidenziano. Questa forma di disagio, il vero e proprio disadattamento, si propone quindi mediante l’azione, che è qualcosa di molto diverso dai segnali e anche dai sintomi” (...) “Rientrano in questa tipologia di disagio agito il rifiuto e l’abbandono scolastico (oltre alle varie forme di condotta dissociale, certamente ancor più gravi da un punto di vista psicopatologico)” (Panarello, 2004). Si delinea, quindi, un universo ampio nel quale la dispersione si colloca, caratterizzato da forme di disagio scolastico – poiché si palesa appunto tra i banchi di scuola – ovvero situazioni di sofferenza e difficoltà dei giovani rispetto, da un lato, allo studio e all’apprendimento, dall’altro in riferimento alle relazioni interpersonali che nella scuola si instaurano con gli insegnanti e il gruppo dei pari (Manini, 1998). Questo disagio, più o meno espresso e consapevole, assume diverse forme di

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devianza in termini di leadership negativa oppure di egocentrismo, ma sempre con l’obiettivo di “mettersi in mostra a tutti i costi” (Insegnante di istituto tecnico). Il disagio si rafforza quando il ragazzo non riesce a integrarsi nel gruppo classe e a svolgere le attività quotidiane di studio e apprendimento. Cominciano così le “processioni al gabinetto”, le varie forme di ribellione che si manifestano con il rifiuto o dell’ascolto dell’adulto o dell’istituzione (il voler “spaccare tutto”) o di entrambi.

“Noi cerchiamo di farli parlare di musica, dei rapporti con i loro pari, ma se cerchi di fare le materie scolastiche è spesso un dramma: cominciano le processioni al gabinetto, le ribellioni, ti spaccano il banco o la sedia, si mettono le cuffie in testa...è una lotta continua. (…) Questo succede soprattutto con i minorenni, i maggiorenni sono un po’ più maturi” (Insegnante, CFP)

“Vivono in un modo loro, hanno le cuffiette costantemente addosso, provi a dire di spegnere, ti dicono che lo fanno e poi non è vero. Per loro la musica ha un valore profondo, li riconcilia, a volte è l’unico contatto che hanno con le emozioni” (Insegnante, istituto professionale)

Il disagio può assumere anche altre forme che vanno dall’isolamento, alla mancanza di attenzione, di concentrazione, al rifiuto verso qualunque attività gli venga proposta.

“Trovo che loro tendano ad isolarsi o con eccessi di egocentrismo o, al contrario, appartandosi, creando una barriera non tanto con gli insegnanti ma soprattutto all’interno del gruppo classe” (Insegnante, istituto tecnico)

Queste forme di disagio ed egocentrismo, portate all’estremo, possono ingenerare anche bullismo e teppismo scolastico, un tema attualmente molto discusso.

Appare interessante sottolineare che, come anche evidenziato dai testimoni privilegiati8, queste forme di disagio assumono una connotazione di genere, laddove le estrinsecazioni sono diverse tra ragazzi e ragazze. Sul tema delle differenze di performance scolastiche tra maschi e femmine esistono ampie testimonianze in letteratura; in questa sede appare utile ricordare che, generalmente, le femmine percorrono iter formativi meno accidentati di quelli dei coetanei maschi e, quindi, hanno maggiori possibilità di continuare e completare gli studi con successo. I maschi, inoltre, sembrano anche più in difficoltà a trovare il modo di comunicare il proprio disagio e manifestano spesso in forme più aggressive le loro inquietudini, le

8 Si veda a questo proposito il Capitolo 3 del presente rapporto.

Capitolo IV

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loro sofferenze, ad esempio nei termini ricordati di leadership negativa, quasi cercassero una qualche forma di riconoscimento e investitura dal gruppo, quando non una sorta di reale adesione da parte dei compagni.

“Non sono bravo a fare una cosa, ma ti faccio vedere che però ne so fare altre. Prevalentemente i maschi hanno questo atteggiamento, in questo caso la differenza tra maschi e femmine è evidente” (Insegnante, istituto professionale)

Le ragazze, al contrario, sembrano porsi in modo diverso di fronte ai problemi, dimostrano maggiore capacità e volontà di aprirsi e, talvolta, chiedono anche aiuto utilizzando, probabilmente, forme più facilmente comprensibili.

Mentre per la ragazza i sintomi di abbandono si traducono nello stare male perché prendono brutti voti, piangere, i ragazzi al contrario chiedono più spesso di uscire e cominciano a fumare. Con le ragazze la mediazione discorsiva è più facile” (Insegnante, istituto professionale)

Tutti gli insegnanti appaiono concordi nell’affermare che il fenomeno della dispersione presenta alcuni sintomi comuni, a volte immediatamente riconoscibili, altre meno. Tuttavia, considerato che tra gli insegnanti emerge talvolta l’utilizzo indifferenziato di termini, che corrispondono ad altrettante categorie concettuali, a questo punto del percorso, appare utile riassumere e offrire un tentativo di definizione e classificazione.

SINTOMO E MOTIVAZIONE

Appare opportuno distinguere tra sintomo e motivazione: il sintomo rappresenta

in un certo senso la dimensione latente della motivazione. In altre parole, mentre

la motivazione è manifesta al ragazzo, il sintomo può anche non esserlo e portare

il soggetto a estrinsecare, ma in modo inconscio, il proprio disagio senza esserne

consapevole. In questo senso, il sintomo appare dunque un’alterazione della

normale sensazione di sé in relazione ad uno stato di disagio.

Il sintomo, dunque, si situa “a monte” della motivazione addotta e rappresenta la prima spia della presenza di un disagio che può condurre al rischio di abbandono scolastico. Al contrario, la motivazione è la spiegazione di tale sintomo che può essere più o meno nota al ragazzo. Gli insegnanti, stimolati su questo aspetto, aggiungono ulteriori elementi di interesse che possono così essere riassunti:

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� I sintomi generalmente sono individuali, possono avere riflessi sul gruppo, ma

possono essere anche di gruppo.

� I sintomi producono degli effetti sull’individuo, ma anche sul gruppo.

� Quando questi sintomi producono effetti si possono tradurre in esiti quali:

difficoltà di apprendimento, difficoltà di relazione, difficoltà di integrazione,

assenze più o meno prolungate e giustificate, interruzioni, scarso rendimento,

voti negativi di condotta, bocciature, ripetenze, ritiri

Vale la pena soffermarsi brevemente sulle assenze; questa forma di disagio, infatti, può essere più o meno ripetuta nel tempo e più o meno nota e controllata dalla famiglia. L’assenza in termini di assenteismo ha un impatto inevitabile sul rendimento scolastico, diventando essa stessa causa di lacune spesso incolmabili. Se questo si traduce in insuccessi e bocciature può dunque diventare la premessa per una dispersione irreversibile (Balottin et al., 1999). Quando il sintomo si traduce in un esito negativo protratto, nel ragazzo può anche verificarsi un processo retrospettivo che può condurlo ad avere una scarsa stima di sé e un atteggiamento orientato verso l’insuccesso (Weiner, 1971; 1982).

“In genere chi molla ha un atteggiamento passivo, quando ha rifiutato ha rifiutato; chi invece si chiede come possa superarlo, riconoscendo magari i propri limiti, ha già fatto un passo avanti, invece purtroppo accade che chi non chiede ha già deciso a priori che mollerà, ha un atteggiamento passivo” (…) Il vero problema dell’abbandono, infatti, riguarda quello che scompare del tutto, che non hai modo di contattare, di riorientare” (Insegnante, istituto professionale)

Questa “passività appresa” viene definita “l’effetto psicologico di ripetute esperienze nel corso delle quali il soggetto apprende che i risultati cui la situazione può portare sono indipendenti dal suo comportamento” (Marini, 1990).

“Non credo che si tratti di una causa generalizzabile, ma c’è anche una scarsa autostima da parte di questi ragazzi – “io non capisco, io sono stupido e allora a che cosa serve”. Per qualcuno c’è anche il convincimento che non si valga più di tanto” (Insegnante, istituto professionale)

La reiterazione di eventi negativi innesca così un meccanismo di “reazione a catena”; molte ricerche, come già ricordato, mostrano infatti che l’abbandono della scuola è un evento annunciato che si realizza a seguito di numerose esperienze di fallimento, tra cui importanti sono le bocciature. La passività appresa che prende avvio dal ripetersi di questi risultati negativi conduce il giovane a individuare le cause nella scarsa abilità e, quindi, in una riduzione dell’autostima.

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Ovviamente, come ricordato, gli eventi negativi immediatamente osservabili, poiché “misurabili”, sono l’aspetto esplicito e più evidente della problematica. Esiste, infatti, anche un livello meno appariscente – e, quindi, meno “misurabile” – della dispersione che si palesa in tutte quelle situazioni in cui “l’alunno, pur senza subire bocciature, non raggiunge un adeguato livello di padronanza delle competenze fondamentali di un certo grado scolastico, terminando così l’iter formativo senza un corredo culturale e intellettuale idoneo rispetto agli scenari sociali, civili e professionali dell’odierna società conoscitiva” (Baldacci, 2004).

“Se un alunno che fa il liceo scientifico ha sempre avuto debiti nelle materie scientifiche, che formazione ha ottenuto?” (Insegnante, liceo)

Per alcuni insegnanti questa mancanza di “corredo culturale e intellettuale” assume forme più ampie, in termini addirittura di carenza di cittadinanza attiva, tema molto attuale e che riconduce agli aspetti striscianti della dispersione scolastica, più volte citati. Questo sembra essere un rischio ancora più grande della mera mancanza di conoscenze, poiché la scuola non sembra più riuscire ad assicurare a tutti il raggiungimento di determinate abilità, ritenute indispensabili per esercitare il proprio ruolo di cittadino attivo (Marescotti, 2004).

“A me preoccupa di più che non c’è la consapevolezza che una competenza è un valore fondamentale per una società, noi abbiamo come scopo un uomo-cittadino. Ma chi sto allevando? Delle persone che non si rendono neanche conto di non sapere.” (Insegnante, liceo)

A questo punto appare utile proporre una classificazione gerarchica che riassuma quanto detto finora; tale classificazione riprende anche quanto emerso nella fase di ricerca rivolta ai testimoni privilegiati, riportata per esteso nei due prospetti presentati in precedenza.

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In questo “iceberg della dispersione” tutti gli esiti negativi rappresentati da: scarso rendimento (“misurato” in valutazioni negative), ritardi ed interruzioni (“misurato” in numero di assenze), bocciature (“misurato” in numero di bocciature e ripetenze) rappresentano la “punta dell’iceberg” ovvero l’esito finale, la variabile manifesta. In prospettiva sociologica (macro), dunque, voti negativi, assenze e bocciature rappresentano gli indicatori9 quantitativi della dispersione scolastica, immediatamente misurabili, mentre i sintomi richiamano alla dimensione psico-pedagogica (micro) del fenomeno di più difficile individuazione10.Di seguito si riportano schematicamente i sintomi indicativi del rischio di dispersione e di abbandono e gli indicatori quantitativi attraverso i quali è possibile stimarlo, individuati attraverso l’analisi del materiale raccolto nei focus group e della letteratura esistente.

9 Per indicatore si intende una tentativo di traduzione empirica di un concetto non direttamente misurabile; un’informazione quantitativa su un qualsiasi aspetto della realtà (con riferimento ad un territorio o ad un gruppo sociale) che sia utile a chiarire la situazione in cui quel territorio o quella collettività si trova rispetto al fenomeno considerato (Zajczyk, 1997). 10 Come già ricordato nel rapporto relativo all’indagine desk, non esiste un confine netto tra approccio sociologico e psico-pedagogico. Al fine esclusivamente di sistematizzare e ridurre la complessità del fenomeno, per approccio sociologico intendiamo gli aspetti macro del fenomeno, misurabili a livello di sistema, mentre l’approccio psico-pedagogico riguarda tutto ciò che coinvolge più specificamente l’individuo nella sua sfera personale. È indubbio, naturalmente, che il contesto sociale influenzi gli atteggiamenti e i comportamenti dell’individuo e viceversa.

ESITI

MOTIVAZIONIADDOTTE

SINTOMI

L’“ICEBERG” DELLA DISPERSIONE

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IL DIAGRAMMA DEL DISAGIO: I SINTOMI DEL RISCHIO DI DISPERSIONE E ABBANDONO

PERCEZIONE DI MALESSERE FISICO

SOMATIZZAZIONE

DIFFICOLTÀ DI RELAZIONE

CON GLI INSEGNANTI

DIFFICOLTÀ DI RELAZIONE

CON IL GRUPPO DEI PARI

ISOLAMENTO

ASSENZA DI PARTECIPAZIONE

STATI DEPRESSIVI

ANSIA

DISATTENZIONE

DIFFICOLTÀ DI ASCOLTO

APATIA

DISINTERESSE

PASSIVITÀ

ABBANDONO

DEMOTIVAZIONE

ESTRANEITÀ

RIFIUTO DELLE REGOLE

IPERATTIVITÀ

INCAPACITÀ DI AUTOCONTROLLO

EGOCENTRISMO

AGGRESSIVITÀ

PROTAGONISMO

DISTURBI DELL’APPRENDIMENTO

DIFFICOLTÀ DI APPRENDIMENTO

DISAGIO SINTOMO

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GLI INDICATORI QUANTITATIVI DEL RISCHIO DI DISPERSIONE E ABBANDONO

La molteplicità degli aspetti e delle dimensioni che contribuiscono a formare il fenomeno della dispersione scolastica, fin qui presentati, sembra confermare la necessità di adottare approcci di studio integrati per analizzare il fenomeno non solo in un’ottica sistemica, di interrelazione delle molteplici dimensioni, ma anche per cercare di interpretare il significato della dispersione scolastica nelle sue forme più insidiose e meno controllabili. In questo senso, l’individuazione e l’interpretazione precoce dei sintomi può diventare un prezioso strumento di prevenzione.

VOTI NEGATIVI DI CONDOTTA

DIFFICOLTÀ NELLE

MATERIE

SCARSORENDIMENTO SCOLASTICO

ASSENZE RIPETUTE

TRASFERIMENTI

BOCCIATURERIPETENZE

ABBANDONO

RITIRI*

*Il ritiro è un dato difficilmente calcolabile, con la conseguenza che i tassi di ripetenza possono risultare sottostimati

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4.2 Le cause dell’abbandono scolastico

uando si fa riferimento alla dispersione scolastica è difficile, se non impossibile, individuare delle cause isolate che, agendo singolarmente, determinano

l’abbandono scolastico. Come si è visto, la letteratura sul tema è vastissima e difficilmente sintetizzabile poiché le conclusioni spesso variano secondo l’approccio adottato. Tuttavia, è opinione condivisa che il fenomeno sia riconducibile a una serie di concause, ovvero un insieme di cause che concorrono simultaneamente e con diversi livelli di incidenza a determinare l’evento negativo. Se, quindi, sono molteplici gli aspetti connessi, entrano anche in gioco diversi fattori: individuo, famiglia, scuola, contesto sociale di riferimento. In questo senso si parla di influenza prioritaria sulla dispersione scolastica di alcuni elementi individuali, familiari,scolastici e sociali che sono riconducibili a quattro tipi di cause: personali, socio-culturali, socio-economiche e scolastiche (Besozzi, 1990). Dal punto di vista della loro origine, questi elementi, come ricordato in premessa, possono essere definiti interni o esterni (Baldacci, 2004). Naturalmente, queste macro-categorie possono agire, caso per caso, con diversi livelli di incidenza ed essere inserite in contesti caratterizzati da differenti livelli di interconnessione ed intensità. Dopo aver riassunto nel paragrafo precedente le opinioni degli insegnanti coinvolti nell’indagine in merito ai sintomi della dispersione, la naturale prosecuzione della discussione si è dunque orientata all’individuazione delle sue cause. Un primo fattore che sembra emergere con forza in modo condiviso tra gli insegnanti, in particolare della scuola secondaria di secondo grado, è la circostanza che i ragazzi facciano scelte sbagliate; questo può verificarsi in modo autonomo, seppur raramente, oppure, più spesso, quando la scuola orienta male o non orienta per nulla, oppure ancora se la famiglia orienta forzosamente i figli. In questo senso, dunque, anche la famiglia può giocare un ruolo controproducente quando spinge un giovane a fare un percorso diverso da quello al quale sembra essere “naturalmente portato”.Questi elementi sembrano entrare in gioco soprattutto nella scelta della scuola superiore, e in particolare al biennio, come ricordato anche dai testimoni privilegiati. Quando gli insuccessi si verificano nei primi due anni della scuola secondaria si fa riferimento alla selezione differita o dispersione di passaggio (Dutto, 2001).

“Per le prime classi, soprattutto per gli istituti professionali, si tratta di una scelta sbagliata, i ragazzi pensano di studiare poco e poi si trovano in una realtà complessa” (…). Il problema della dispersione è soprattutto nei primi due anni perché negli istituti professionali il terzo anno è caratterizzante, per cui se uno arriva al terzo anno generalmente termina il percorso” (Insegnante, istituto professionale)

Q

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Secondo molti insegnanti, sia trasversalmente tra coloro che appartengono a scuole secondarie di secondo grado sia tra quelli che afferiscono all’universo della formazione professionale, queste scelte sbagliate derivano molto spesso dalla carenza, o totale assenza, di forme di orientamento nelle scuole secondarie di primo grado. Laddove, infatti, l’orientamento non arriva sembra prevalere il passaparola. In questo senso sembrano delinearsi, quindi, cause di tipo scolastico.

“Un punto centrale è l’orientamento della scuola media, perché nella mia esperienza ho rilevato il mancato orientamento da parte della scuola media o un orientamento non corretto. I ragazzi così non sanno dove iscriversi o dove continuare il loro percorso scolastico; a volte si affidano al passaparola, a volte decide la famiglia, a volte nessuno. Sicuramente la mancanza di orientamento o un orientamento inadeguato è una causa di dispersione” (..) Arrivano al Centro (di formazione, n.d.a.) e ti dicono “io sono nella formazione professionale perché è l’ultima chance”e quindi non vorrebbero studiare, mentre anche qui scoprono poi che ci sono materie da studiare come matematica e italiano, si lamentano degli orari, vorrebbero uscire prima” (Insegnante, CFP)

Ma di chi è la colpa se un giovane non viene aiutato nella scelta del percorso formativo più adatto a lui? A parere degli insegnanti sicuramente degli adulti, che agiscono in modo concatenato: da una parte la famiglia11 e, dall’altra, la scuola. E quando un ragazzo fa scelte sbagliate si rivela utile attivare azioni di riorientamento che, quando riescono, possono scongiurare il rischio di dispersione e, quindi, di abbandono.

“Se un ragazzo si riesce a riorientare non lo consideriamo neanche un disperso, cioè se si rende conto che non riesce a continuare in questa scuola si trasferisce altrove attraverso il riorientamento in un altro istituto, bene, quello non è disperso. Il vero problema è che hai delle percentuali altissime di ragazzi che spariscono nel nulla. Gli proponi di prendere un appuntamento con l’Orientatore della Provincia e lui niente, sparisce, dicono che si aggiustano e non li vedi più, non ne sai più niente” (Insegnante, istituto tecnico)

In particolare, negli istituti professionali sembra esserci anche il problema di una confusione gnoseologica, mentre chi sceglie il percorso liceale sembra avere una motivazione iniziale più forte.

11 Questo può accadere, ad esempio, quando i genitori spingono i figli a reiterare le proprie scelte scolastiche fatte in passato, non considerando i mutamenti intervenuti nel tempo nel mondo del lavoro. Talvolta, essi sono animati anche dalla convinzione di poter “dare una mano” ai figli per l’inserimento lavorativo in un settore di cui magari hanno conoscenza per esperienza diretta; in questo caso il problema è quello di aver verificato quanto ai figli possa effettivamente interessare il tipo di percorso scolastico così ‘imposto’ e il tipo di sbocco finale.

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“Confondono la formazione professionale con gli istituti professionali” (…) Nei Professionali arrivano persone che non sanno che cosa fare nella vita e che non hanno gli strumenti per fare delle scelte e, soprattutto, rimandano la scelta. In questo senso si può così trasferire il problema all’infinito, fino all’Università”(Insegnante, istituto professionale)

La “corsa ai licei” che si è verificata negli ultimi anni ha complicato lo scenario, poiché ha provocato il “travaso” negli istituti professionali di giovani reduci da fallimenti sperimentati nei licei, con il rischio della “spirale del fallimento” ricordata in precedenza. Ed è proprio negli istituti professionali che i testimoni privilegiati hanno riscontrato la maggiore incidenza del fenomeno dell’abbandono, mentre nel ciclo dell’obbligo non risulta particolarmente rilevante, per la presenza di poteri conferiti dalla legge che aiutano a contenerlo, ma anche per il carattere di “maggiore accoglienza” che contraddistingue in particolare la scuola primaria.

“La scuola ha della responsabilità, però io anticiperei la responsabilità a livello dell’asilo, perché quando i ragazzi arrivano a 13-14 anni è fatta. Proporre la scuola come una cosa estremamente positiva va fatto da subito e non si può dire solo che se si studia si guadagna di più. Sovente i ragazzi hanno difficoltà ad orientarsi perché li abbiamo coccolati per otto anni senza averli educati a prendere decisioni sulle loro cose” (Insegnante, liceo)

Ma la scuola sembra avere anche altre responsabilità, perché non sempre è in grado di fornire gli strumenti e le “armi” adatte ad affrontare le battaglie scolastiche future. Quando un giovane affronta un percorso senza questi strumenti è come se “guidasse la macchina senza aver prima preso la patente” (insegnante di istituto tecnico) con tutti i rischi che ne derivano, come sostiene un insegnate nell’esempio riportato di seguito. Se la scuola, quindi, spesso non orienta e non forma a sufficienza nei livelli inferiori, la famiglia entra in gioco altrettanto spesso ma con ruoli e responsabilità differenziate e con profili che appaiono piuttosto definiti. Secondo una distinzione ormai consolidata, quando ci si riferisce alla famiglia entrano in gioco fattori di tipo socio-economico e socio-culturale, la cui presenza o assenza può influenzare in modo rilevante le possibilità di successo scolastico.Dalle dichiarazioni degli insegnanti, appare confermata la presenza, tra i soggetti più a rischio di dispersione anche nell’area provinciale torinese, di ragazzi figli delle classi sociali più svantaggiate per condizioni socio-economiche, socio-culturali o caratterizzate da assetti familiari problematici. Questi ragazzi, confluiti spesso nei percorsi più professionalizzanti del sistema educativo, portano con sé esperienze

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negative pregresse dal punto di vista dell’apprendimento e del contesto relazionale (Benvenuto, Rescalli e Visalberghi, 2000).

“Un dato da cui occorre cominciare è quello della famiglia, ci sono famiglie che non sono in grado di aiutare a studiare, sia perché non sono presenti, sia perché non hanno studiato” (Insegnante, scuola secondaria di primo grado)

“Ci sono anche carenze della famiglia, a volte la famiglia manca proprio, non c’è e questo succede anche tra gli studenti locali. La famiglia non si interessa, molto spesso si tratta di famiglie monoparentali, con situazioni di disagio e livelli culturali molto bassi” (Insegnante, CFP)

In questo contesto sembra, dunque, trovare conferma la tesi secondo la quale la fruizione della scuola è ancora fortemente connotata in base a caratteristiche ascritte. Il risultato più evidente di queste dinamiche, talvolta subdole, è che “a tutt’oggi la probabilità di conseguire un diploma di scuola media superiore varia in misura rilevante secondo la classe sociale di origine” (Schizzerotto, 2002). Problemi familiari e situazioni di disagio complicano quindi lo scenario finora presentato, di per sé già articolato. Le cause familiari vengono segnalate più spesso dagli insegnanti delle scuole primaria e secondaria di primo grado che puntano molto sulla responsabilità della famiglia; in questo senso, l’esistenza di problemi o carenze all’interno nei nuclei familiari, a loro parere, incide pesantemente sul comportamento dei ragazzi e, conseguentemente, sul loro rendimento scolastico in senso lato. Per questi insegnanti non entrano in gioco tanto la mancanza di metodo o di prerequisiti quanto, piuttosto, le difficoltà legate a contesti familiari problematici che si riversano sul giovane e sulle sue future possibilità di successo. In questa prospettiva, la presenza di cause familiari assume quasi i contorni di una predestinazione.A volte la famiglia non appare particolarmente problematica ma, tuttavia, può giocare un ruolo negativo, seppur latente, quando non sa stimolare sufficientemente i propri figli al di fuori del tempo scolastico. È la “sindrome da ipermercato” ricordata anche dai testimoni privilegiati.

“Dipende dal contesto sociale e familiare nel quale il bambino è inserito, quanto tempo la famiglia gli dedica per sperimentare altre esperienze. Ad esempio, molti dei nostri bambini trascorrono la domenica nell’ipermercato che c’è nella nostra zona e stanno lì a “ascoltare” anziché andare, ad esempio, a raccogliere le castagne che sembra una cosa banale ma rafforza la relazione” (Insegnante, scuola primaria)

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La famiglia in alcuni casi, sebbene sporadici, sembra giocare un ruolo addirittura controproducente, quando cerca di orientare i figli verso percorsi considerati migliori di altri che, però, non sono necessariamente quelli più adatti a loro, come già in parte accennato12.

“Le famiglie caricano di aspettative i ragazzi molte volte sopra le loro possibilità. Si tratta sia di genitori con basso titolo sia di famiglie con livello di istruzione elevato (..) La famiglia vuole che il figlio prenda il diploma, non che impari e questa scuola però non riesce a dartelo, ti boccia…” (Insegnante, istituto tecnico)

“A volte ci sono studenti che vengono spinti a fare il liceo dalla famiglia e noi vorremmo consiliare altri percorsi ma c’è un accanimento e così lo studente ripete l’anno due, tre volte” (Insegnante, liceo)

Le considerazioni fin qui esposte sembrano quindi confermare, a parere degli insegnanti coinvolti nel lavoro di ricerca, la compresenza di tutti quei fattori – individuali, familiari, scolastici e sociali – che contribuiscono, in vario modo e a vari livelli di responsabilità, ad alimentare il rischio di dispersione scolastica. La frase di questo insegnante sembra riassumere in modo sintetico, ma efficace, quanto detto finora.

“(Si tratta di, n.d.a.) …mancanza di basi, certamente, ma anche l’ambiente non solo familiare nel quale vivono che non dà importanza allo studio e alla scuola, il quartiere, il gruppo dei pari, l’insieme dei punti di relazione di questi ragazzi” (Insegnante, istituto tecnico).

Fino a questo punto, però, il tema è stato trattato in modo indistinto, ovvero dando per scontato che riguardasse solo giovani inseriti dalla nascita nel rispettivo contesto locale, escludendo dunque l’incidenza dei flussi migratori. In realtà, emerge un ulteriore aspetto che complica notevolmente lo scenario: il problema delle migrazioni e la conseguente presenza di stranieri. Per la specificità del tema, appare opportuno inserirlo in una trattazione a parte. Gli stranieri possono essere considerati un “fattore esterno” alla dispersione, poiché, come ricordato dai testimoni privilegiati, i flussi migratori (anche se non soltanto di soggetti extracomunitari) rappresentano uno degli aspetti caratterizzato da assenza di regolarità o prevedibilità per cui appare complicato anche attivare con successo attività di monitoraggio.

12 Si rimanda a quanto contenuto nella precedente nota 10.

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“Qui ci sono problematiche di tutt’altro genere. È un caso gravissimo quando i ragazzi arrivano senza un’esperienza italiana alla spalle; così succede che da noi arrivano ragazzi assolutamente disorientati e si buttano nella prima scuola che incontrano e provano poi a capire che cosa sia la scuola italiana. Molti di questi ragazzi nel loro Paese hanno fatto percorsi disarticolati, alcuni addirittura nel loro Paese potrebbero iscriversi all’Università e qui si trovano a dovere rifare la scuola superiore (…) Ci sono cinesi, marocchini, peruviani, ci sono i cinesi che non comprendono l’inglese e scrivono con gli ideogrammi, uno mi ha scritto che sta facendo un corso” (Insegnante, istituto tecnico)

In questo contesto, appare perdere senso, quantomeno in parte, la categoria e il significato concettuale stesso del termine dispersione.

“In questo caso parlare di dispersione non ha senso, tu stai quaranta ore in classe e non capisci nulla, a volte non riesci neanche a fare ginnastica, ed è proprio la ginnastica che ti unisce perché è linguaggio del corpo” (Insegnante, istituto tecnico)

Alcuni insegnanti, inoltre, appaiono molto critici verso le possibilità del sistema di integrare e gestire i flussi migratori.

“Con gli stranieri questo si complica, però lo straniero è molto più motivato però l’accoglienza non esiste, non c’è accoglienza linguistica, siamo in una situazione penosa, ci sono classi che vengono tappate al massimo, classi di quattordicenni e quindicenni di trentatre persone con cinque/sei non parlanti, magari ci sono anche dei diciottenni che cominciano ad andare in fibrillazione” (Insegnante, istituto tecnico)

Ad aggravare la situazione, oltre al problema della lingua, concorre anche la compresenza di modelli culturali diversi che rende difficoltoso lo svolgimento omogeneo delle attività scolastiche.

“Alcuni ragazzi arrivano dopo l’inizio dell’anno scolastico, ad esempio i magrebini, perché hanno diverse gestioni del tempo e questo complica lo svolgimento delle attività scolastiche” (Insegnante, scuola secondaria di primo grado)

“Un problema simile riguarda i cinesi che difficilmente si integrano” (Insegnante, scuola secondaria di primo grado) 13

13 Va detto, con riferimento alla comunità cinese, che spesso gli insegnanti italiani rilevano un distacco e un disinteresse pressoché totali sulle questioni scolastiche da parte delle famiglie verso i figli. Questo atteggiamento, sebbene a prima vista possa ovviamente sembrare negativo, ha peraltro delle

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Tra tutti gli insegnanti, sono soprattutto quelli degli istituti tecnici e professionali a vivere il problema della presenza di stranieri. Ma, ancor più, gli insegnanti dei Centri di Formazione Professionale per i quali la dispersione scolastica è prevalentemente orientata proprio alla componente straniera dell’utenza. Stimolati a riflettere sul fenomeno, per loro il primo riferimento spontaneo è alla forte presenza di stranieri nei corsi e alle varie problematiche ad essa connesse.

“La prima cosa che mi viene in mente (pensando alla dispersione, n.d.a.) sono gli stranieri e questo è un problema molto vario e articolato. Quest’anno abbiamo avuto diversi problemi con gli stranieri, dal punto di vista sia delle storie individuali sia normativo, ad esempio manca il permesso di soggiorno. Gli stranieri non conoscono la lingua, hanno scarsa alfabetizzazione e titoli di studio bassi e tutto questo crea grossi problemi” (Insegnante, CFP)

“Noi abbiamo dei corsi di preparazione al lavoro anche con stranieri. Alcuni hanno fatto delle scuole, che loro chiamano anche Università, e quindi hanno avuto una sorta di educazione scolastica, altri invece non hanno studiato per niente e cercano un lavoro perché non vogliono continuare a studiare. L’alfabetizzazione è comunque un aspetto difficile, alcuni conoscono il francese, altri l’inglese, altri ancora solo la loro lingua di origine” (Insegnante, CFP)

Il fenomeno della dispersione nel tempo è diventato, quindi, più complesso rispetto al passato per la presenza di variabili nuove; a detta degli insegnanti se il sistema scolastico non sarà in grado di adeguarsi alla presenza sempre più numerosa di studenti stranieri si verificherà un “abbassamento del livello generale”.

“Sulla parte didattica ha senso intervenire ad esempio con gli stranieri con i quali è indispensabile modificare i programmi e non tutti i colleghi sono d’accordo. Se, ad esempio, arriva un ragazzo cinese, come puoi pretendere che in due mesi capisca? E magari in matematica poi è bravissimo” (Insegnante, istituto tecnico)

“C’è poi il problema dei nomadi, è difficile agganciare le famiglie. Io credo che in questi casi ci sia molta responsabilità da parte della famiglia, ma anche da parte

motivazioni ‘culturali’ che parzialmente possono giustificarlo: in Cina infatti nessun genitore si rapporterebbe mai con gli insegnanti dei propri figli, poiché considererebbe questa un’interferenza, ma soprattutto una manifesta mancanza di rispetto verso i docenti stessi i quali, se sono stati chiamati a coprire quell’incarico, hanno per definizione tutte le necessarie competenze per svolgere al meglio il compito di educatori. È, quindi, probabile che, oltre alle ovvie difficoltà linguistiche, la comunità cinese in Italia continui in realtà a reiterare quanto semplicemente farebbe se fosse ancora nella patria d’origine.

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nostra (di noi insegnanti, n.d.a), noi non siamo pronti, non siamo formati ad affrontare questi casi” (Insegnante, scuola primaria)

Per concludere, un’ultima osservazione. Esistono anche altre situazioni di disagio che coinvolgono i giovani locali; ad esempio, la circostanza che i ragazzi vivano al di fuori dei nuclei familiari, in comunità. In questi casi, la situazione si complica ulteriormente laddove i vari attori si trovano costretti a dialogare e non sempre riescono in modo funzionale.

4.3 Il ruolo del sistema scolastico: criticità e responsabilità

ià nelle pagine precedenti sembra emergere, in modo più o meno dichiarato, una certa responsabilità attribuita al sistema scolastico nel generare rischi di

dispersione o insuccesso, in termini soprattutto di orientamento non efficace e di scarsa trasmissione di strumenti e metodi. L’attribuzione alla scuola di una qualche responsabilità trova opinioni a favore anche in letteratura; secondo alcuni approcci sociologici, infatti, il sistema scolastico continua ad avere un ruolo passivo e a riprodurre le disuguaglianze senza assumere, al contrario, il ruolo di promozione delle capacità e delle chance di vita individuali indipendentemente dall’origine sociale. Quanto questo aspetto è condiviso dagli insegnanti dell’area provinciale torinese? Quali e quante “colpe” vengono attribuite dagli stessi alla scuola? Cercare di offrire risposte, seppur parziali, a questi interrogativi è l’oggetto del presente paragrafo. Molti insegnanti concordano sul fatto che la scuola abbia delle responsabilità, ma occorre distinguere tra coloro che spostano le presunte “colpe” a livello di sistema14,assumendo, quindi, un atteggiamento passivo e di impotenza (“se il sistema non funziona, che colpa ne ho io?”) da quelli che, al contrario, anche in chiave autocritica, affermano che parte delle responsabilità sono individuali, ovvero dei singoli educatori.

“Tu, sistema, devi darmi gli strumenti, i mezzi per operare, io ti posso dare la risposta di come fare, dopo di che molte di queste attività sono sotto potenziate perché non ci sono i mezzi per portarle avanti” (Insegnante, istituto tecnico)

14 Del resto, nel corso dei focus group è stato sollevato il problema della correlazione potenziale tra alcuni casi di dispersione scolastica e il periodo anche di due anni che studenti di 13-14 anni devono attendere prima di accedere alla formazione: per rispettare le norme sull’obbligo essi si iscrivono ad una secondaria superiore, che non frequentano (con conseguente bocciatura), per poi passare alla formazione al compimento del quindicesimo anno d’età.

G

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Alcuni, come accennato, puntano invece l’attenzione all’incapacità e, talvolta, all’impreparazione, anche culturale, dei colleghi.

“C’è il problema dell’aggiornamento dei docenti. Non facciamo il paragone con altri Paesi, dove hai a disposizione dei mesi per aggiornarti, hai il distacco dall’insegnamento, qui siamo lontani anni luce. (…) Però dobbiamo anche riconoscerci qualche responsabilità noi, ci sono docenti che non leggono un libro, non una rivista, non sono tenuti a farlo, tu provi a dirgli “Devo parlarti!”, e lui ti risponde: “Ora non posso” (Insegnante, istituto professionale)

Alcune volte, poi, i colleghi fanno resistenze oppure “sono latitanti”. In questo caso, il sistema scolastico dovrebbe dimostrarsi maggiormente meritocratico e capace di un reale controllo.

“Secondo me i nostri colleghi sono strapagati per quello che fanno, perché c’è chi non lavora affatto e chi lavora troppo. Chi non lavora illude e andrebbe buttato fuori e bisognerebbe invece premiare chi lavora” (Insegnante, istituto tecnico)

Anche gli insegnanti dei CFP, desiderosi di prendere le distanze da un “certo tipo di insegnamento”, riportano qualche esperienza diretta.

“Nella formazione professionale arrivano persone che nelle scuole elementari e medie hanno imparato che loro con la scuola non c’entrano niente e qui a volte gli insegnanti hanno delle responsabilità. (…)” (Insegnante, CFP)

Naturalmente, non è possibile effettuare alcuna generalizzazione, poiché si tratta di dichiarazioni individuali. Tuttavia, sono gli stessi insegnanti a dichiarare in alcuni casi le proprie difficoltà a svolgere questo ruolo di ascolto non solo per la difficoltà di conciliare trasmissione delle conoscenze e counseling con il tempo a disposizione e la necessità di “portare avanti i programmi didattici previsti”, ma anche per una sensazione di impreparazione e inadeguatezza a svolgere questo compito. E questa sensazione, talvolta, si traduce in un vero e proprio senso di impotenza e frustrazione.

“Sì, c’è responsabilità nell’incapacità di non sapere affrontare certi problemi, c’è responsabilità nel non sapere gestire le difficoltà di relazione con i ragazzi e con le famiglie. (…). Oggi è sicuramente più difficile avere relazioni con gli studenti, non stanno seduti, disturbano e questo mette completamente in discussione il nostro modello di insegnamento” (Insegnante, istituto tecnico)

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Questa sensazione di impotenza e inadeguatezza può anche portare gli insegnanti alla progressiva perdita di entusiasmo verso il loro mestiere e a forme di burn out. Tale patologia, finora considerata specifica di altre situazioni di lavoro, tipicamente quelle in ambito socio-sanitario, secondo alcuni oggi coinvolgerebbe anche in varia misura la categoria dei docenti. Tra i vari, uno studio, effettuato in provincia di Torino, ha evidenziato alcuni elementi di differenziazione a questo proposito: emerge da parte degli insegnanti la richiesta di “una sempre maggiore specializzazione e la necessità di un aggiornamento continuo” (…) e, dal punto di vista relazionale, “la necessità di conoscere la personalità dell’allievo e parallelamente di acquisire una competenza comunicativa allargata per i rapporti che il docente deve stabilire con le altre figure della realtà sociale all’interno e all’esterno dell’istituzione scolastica” (Vizzi, 2002). Questa necessità dichiarata dagli insegnanti, che appare sempre più imprescindibile, di assumere una molteplicità di ruoli e di “comprendere l’allievo” sarà approfondita nel paragrafo successivo. Lo scenario fin qui descritto si articola per la difficoltà – per alcuni, la vera e propria incapacità – di lavorare in gruppo e la mancanza di tempo a disposizione.

“C’è un altro aspetto molto importante: manca a noi insegnanti un tempo e uno spazio specifico nel quale lavorare collegialmente, perché la collegialità non si realizza solo nel consiglio di classe, non basta, è un lavoro grosso costruire un percorso per i ragazzi” (Insegnante, istituto tecnico)

Se, poi, vengono a mancare anche le risorse economiche diventa pressoché impossibile realizzare qualsiasi progetto.

“La scuola dovrebbe fare uno sforzo enorme per ripensare il sistema scolastico in base ai cambiamenti avvenuti nei ragazzi, ma questo non può essere uno sforzo solo del singolo, ma a livello di consiglio di classe e di sistema. Noi ci scoraggiamo però anche perché questo sforzo impone degli sforzi che non sono ricompensati in termini di stipendio ed è demotivante per noi insegnanti dover affrontare questi sforzi gratuitamente. (Insegnante, istituto tecnico)

Sul versante della didattica, intesa come “scienza dell’educazione che si sta facendo carico dell’ineludibile compito formativo di traslocare cultura e modelli socio-esistenziali da un emittente (un adulto, un’istituzione educativa, etc.) ad un ricevente (le età generazionali)” (Frabboni, 2004), la responsabilità della scuola viene attribuita ai programmi, da una parte e alle metodologie, dall’altra che appaiono obsoleti e inadeguati a trasferire le conoscenze, soprattutto in relazione ai cambiamenti che si sono verificati in questi ultimi anni nei giovani e nel loro rapporto con le tecnologie; e

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questa sensazione sembra essere maggiormente avvertita dagli insegnanti degli istituti tecnici e professionali, meno da quelli dei licei.

“Loro hanno continuamente macchine in mano, sicuramente un cellulare, ma a volte anche due, la play station, l’iPod, hanno un rapporto con la tecnologia che noi non capiamo sempre” (…) Continuano ad imporci dei programmi che non sono assolutamente adeguati, pensate alla storia, è impossibile seguire la scansione temporale imposta” (Insegnante, istituto professionale)

“I metodi di didattica tradizionali sull’apprendimento non funzionano su questi ragazzi, la didattica sociale non esiste” (…) I programmi andrebbero rivisti, sono troppo difficili, troppo articolati, ad esempio statistica non si fa mai, non ce la fai”(Insegnante, istituto tecnico)

Sull’opportunità di modificare i programmi però non tutti concordano.

“Un insegnante così rinuncia per forza ad un po’ di didattica, però non tutti i colleghi la pensavo così, ci sono resistenze da parte di colleghi, c’è questa ansia di dover svolgere il programma a tutti i costi, ci sono dei colleghi molto arcaici”(Insegnante, istituto professionale)

“Occorre stare vicino ai ragazzi ma non si può rinunciare a passare quei contenuti che la nostra società ritiene indispensabili, la scuola non può diventare troppo facile” (Insegnante, liceo)

Gli insegnanti dei licei si differenziano leggermente rispetto agli altri; infatti, attribuiscono alla scuola maggiori responsabilità in campo educativo e di crescita dell’individuo, anche se qualcuno rileva comunque l’incidenza di cause esterne:

“La scuola non mette sufficientemente i giovani di fronte alle proprie responsabilità e così alla prima difficoltà di arrendono (…) La scuola non rende consapevoli i ragazzi che studiare comporta delle difficoltà (…) Magari fino a quel momento il ragazzo ha sempre avuto bene o benino e poi improvvisamente al liceo si trova un 4, e così entra in crisi” (Insegnante, liceo)

“Stiamo combattendo una battaglia contro i mulini a vento, i ragazzi sono circondati da messaggi molto diversi da quelli che noi insegnanti vorremmo fare passare, loro vedono “la Pupa e il Secchione” e pensano che se vai là prendi un sacco di soldi, e tu invece cerchi di spiegare loro che la cultura è importante”(Insegnante, liceo)

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4.4 Cambiano i giovani, la famiglia, la società. Il ruolo dei diversi attori nella relazione scuola-discente-famiglia

quanto detto finora occorre aggiungere un ulteriore elemento, condiviso in pratica da tutti gli insegnanti: la convinzione che la società è profondamente

cambiata e, con essa, la relazione scuola-discente-famiglia. Sono cambiati i giovani, è cambiata la famiglia – negli aspetti sia sociali sia relazionali – e la scuola non sempre è riuscita a vivere in modo sereno questi cambiamenti. Per molti insegnanti, infatti, non solo la relazione con i ragazzi e le rispettive famiglie è diventata più conflittuale ma, al contempo, la scuola ha perso la sua antica autorevolezza rendendo così difficile, se non impossibile, un recupero. Lo “scollamento tra scuola e famiglia” per alcuni ha radici antiche, per altri più recenti. In ogni caso, limita la possibilità di realizzare azioni di riorientamento nei confronti di ragazzi a rischio di dispersione.

“La comunicazione scuola-famiglia è molto difficile, spesso si tratta di famiglie che lavorano troppo o per lo meno ti dicono così (…) Può anche succedere che li convochi e non vengono, rimandano, questa settimana non posso, lavoro, non ho tempo da perdere” (Insegnante, istituto professionale)

“Le famiglie non si fidano del giudizio degli insegnanti, le famiglie pensano che gli insegnanti non siano capaci a giudicare i ragazzi” (Insegnante, istituto tecnico)

Naturalmente, non tutte le famiglie reagiscono in modo negativo messe di fronte alla necessità di affrontare l’insuccesso dei propri figli.

“Al contrario ci sono famiglie che non fanno particolari resistenze, anzi ti chiedono aiuto, entrano in crisi quando il loro figlio va male a scuola” (Insegnante, istituto tecnico)

Sono soprattutto gli insegnanti della scuola primaria ad avvertire, rispetto agli altri livelli scolastici, la perdita di autorevolezza nei confronti delle famiglie.

“Una volta il maestro era un’autorità, come lo era il medico, il parroco. Poi abbiano voluto aprire la scuola verso la famiglia, abbiamo perso così alcuni nostri privilegi. I professori (dei livelli scolastici superiori, n.d.a.), invece, questo non lo hanno fatto. Mentre alle elementari abbiamo un’utenza spesso contestatrice, perché ci hanno detto che bisogna dare ai genitori uno spazio di parola e guai dare due

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‘paginette’ da studiare al sabato, quando poi i ragazzi arrivano alle medie dove inizia un carico di studio molto potente, allora lì questi genitori tacciono” (Insegnante, scuola primaria)

Anche gli insegnanti della scuola secondaria di primo grado percepiscono la perdita di autorità e il rifiuto dei giovani e delle famiglie a riconoscere la presenza di un disagio.

“Quando tu dici che un ragazzo ha qualche difficoltà, la famiglia non lo riconosce e la colpa è sempre della scuola e a quel punto il ragazzo magari cambia scuola o rischia proprio di disperdersi. Però la colpa è sempre degli insegnanti che non lo capiscono” (Insegnante, scuola secondaria di primo grado)

In questo quadro di cambiamento alcuni insegnanti riconoscono una certa fragilità nei giovani, anche al di là del disagio e dei comportamenti talvolta devianti e “disturbanti” ricordati in precedenza. Questa fragilità si esplica, nuovamente, in forme di isolamento, solitudine, scarso interesse (se non per telefonini e play station)che ricorda le inquietudini emerse in precedenza.

“C’è un altro aspetto: quando accompagni i ragazzi in gita di classe o didattica vedi che in classe sono sbruffoni e sicuri, poi quando escono sono insicuri, ti si appiccicano addosso. (…) Una aveva addirittura paura di dormire da sola in gita, mi ha chiesto se poteva lasciare la luce accesa” (…)Che cosa fanno questi ragazzi? Stanno a casa, vanno dai nonni, guardano la televisione e poco più. (…) I ragazzi in gita si portano la loro play station, tu cerchi di coinvolgerli ma loro ti dicono che sono stanchi, e così si chiudono in albergo, anzi per loro la gita è proprio in albergo” (Insegnante, istituto professionale)

Oltretutto, questi atteggiamenti appaiono tipici non solo dei giovani a rischio di dispersione, ma di tutti i giovani. Non a caso, è stata coniata l’espressione “generazione invisibile” (Buzzi, Cavalli, De Lillo, 1997; Diamanti, 2000, et al.) alludendo alle difficoltà dei giovani a costruire la propria identità di fronte ai continui cambiamenti sociali e culturali.

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4.5 Che fare, come fare: le azioni per la prevenzione e riduzione dell’abbandono

n questo paragrafo, infine, si riassumono le azioni contro la dispersione che sono state citate dagli insegnanti coinvolti nei focus group. Si tratta di azioni

differenziate a seconda dei destinatari, dei diversi livelli di istruzione e, talvolta, dei singoli istituti. Prescindendo temporaneamente da queste differenze, gli insegnanti condividono – in modo pressoché unanime ma con differenti approcci di metodo – la necessità di attivare tutte le risorse che la scuola può offrire, ancor più se le famiglie presentano delle criticità. In questi casi, che appaiono sempre più numerosi, l’ambiente scuola può diventare uno spazio di accoglienza per il giovane in una circostanza delicata, anche quando la “naturale ipersensibilità dell’adolescente si accompagna al timore del rifiuto o al disprezzo nei confronti del mondo degli adulti” (Panarello, 2004).Prima, però, di entrare nel merito delle singole azioni, appare interessante analizzare la percezione che gli insegnanti hanno delle modalità cui la propria scuola/istituto affronta in generale il problema dell’abbandono scolastico. A questo proposito, in fase conclusiva del focus group gli insegnanti sono stati stimolati a riflettere, singolarmente, proprio su questo tema. In generale, come già ricordato, la maggior parte, indipendentemente dal livello scolastico, ha dichiarato che la propria scuola/istituto ha coscienza quantomeno formalmente del fenomeno. Tale coscienza, tuttavia, si esplica in diverse forme che vanno dalla semplice dichiarazione di interesse alla vera e propria adozione di azioni e interventi a seconda dei casi. Tra gli atteggiamenti positivi il livello più debole appare la semplice manifestazione di interesse, attenzione o osservazione che, però, non implica necessariamente la conseguente adozione di strategie per scongiurare e ridurre il rischio di abbandono. Procedendo in ordine gerarchico, alcuni insegnanti evidenziano l’adozione di vere e proprie forme di sostegno (nei casi riconosciuti) e recupero, la ricerca di nuove soluzioni o l’utilizzo di metodologie didattiche specifiche. Tuttavia, emergono opinioni fuori dal coro che vanno dall’impotenza, ad un atteggiamento di aperta critica, all’interesse forzato, alla rassegnazione. Appare significativo, inoltre, che alcuni insegnanti ignorino quali strategie siano adottate dalla propria scuola per prevenire e, ove occorra, porre rimedio al fenomeno dell’abbandono scolastico. La figura successiva riassume in sintesi l’ordinamento gerarchico dell’atteggiamento delle varie scuole/istituti così come evidenziato dagli insegnanti.

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L’ATTEGGIAMENTO DELLA SCUOLA VERSO L’ABBANDONO SCOLASTICO

Come appena visto, l’atteggiamento delle singole scuole/istituti si pone dunque su più livelli di intervento e può essere immaginato su una scala gerarchica che va dal totale disinteresse verso il fenomeno fino all’adozione e realizzazione di azioni. A questa eterogeneità si aggiunge un ulteriore elemento: le azioni realizzate sembrano apparire in diversi casi frutto di istanze isolate e, al contempo, difficilmente visibili e comunicabili all’esterno. In questo senso emerge quindi anche la difficoltà nel trasferimento delle esperienze. Anche il tema delle singole azioni realizzate è stato affrontato con gli insegnanti, che hanno riportato diverse testimonianze. In primo luogo gli insegnanti evidenziano l’importanza dell’orientamento che, come visto in precedenza, assume un ruolo ambivalente. Prescindendo dall’orientamento, per i vari livelli scolastici le azioni e i “tentativi” finalizzati a ridurre il rischio di dispersione sono plurimi: vanno dai laboratori di recupero ai percorsi individualizzati, alle attività extra curriculari di vario tipo (uscite programmate, attività alternative, attività concordate con altri soggetti). Spesso si tratta di azioni attivate in modo volontario dal singolo istituto e, talvolta, anche volontaristico da parte di singoli insegnanti.

REALIZZAZIONE DI AZIONI ED INTERVENTI

STUDIO DI AZIONI, STRATEGIE E

METODOLOGIE

OSSERVAZIONE, PRESA IN CARICO DEL PROBLEMA

FORZATO INTERESSE, RASSEGNAZIONE

DISINTERESSE, NESSUNA PRESA IN CARICO DEL PROBLEMA, MANCANZADI OSSERVAZIONE E ANALISI

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La possibilità però di attivare azioni efficaci si scontra con la mancanza endemica di risorse intellettuali, umane, temporali e, non per ultimo, economiche di cui la scuola sembra soffrire ormai in maniera cronica. Ancora una volta, l’eventualità che queste azioni possano essere realizzate dipende dalle risorse a disposizione. A volte, l’opportunità di reperire le risorse appare legata alla presenza di dirigenti scolastici “presenti e attivi”.

“I dirigenti scolastici bravi sono quelli che riescono ad attivare risorse, quelli che si attivano, che si informano per reperire risorse per fare progetti” (Insegnante, istituto tecnico)

Di seguito si riportano, divisi per area tematica, alcuni esempi di azioni attivate, citate dagli insegnanti; si rimanda peraltro al capitolo precedente e al sesto dedicato all’analisi di alcune esperienze significative per un’analisi più dettagliata.

� Le consulenze esterne “Un’importanza possono averla le consulenze esterne, noi abbiamo attivato una consulenza esterna, un’azione di counseling per le classi prime. Siccome poi la psicologa da sola non ce la faceva è riuscita ad ottenere dall’Università una tirocinante” (Insegnante, istituto professionale)

Per fare questo appare necessario attuare un intervento di rete, ovvero attivare forme di collaborazione tra scuola e operatori socio-sanitari. Diverse esperienze mostrano che gli stessi possono coadiuvare il personale docente e stabilire un rapporto di collaborazione con tutte le figure con cui i ragazzi si relazionano. Ad esempio, lo psicologo può affiancare gli insegnanti in diversi ambiti, ponendosi come figura amichevole e disponibile e riducendo il rischio che i ragazzi assumano forme di isolamento non esplicite anche di carattere autodistruttivo.

� Le attività extra-curriculari “Noi li portiamo in giro con Didartica15, fanno dei laboratori, visitano Torino (…) Cerchiamo di coinvolgerli in diverse attività, attiviamo il giornalino scolastico, i laboratori” (Insegnante, istituto professionale)

15 Progetto DIDARTICA: Gestione e coordinamento laboratori artistici psico-didattici rivolti agli studenti delle scuole di Torino e provincia.

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“Alcuni ragazzi nella nostra scuola sono stati recuperati attraverso i laboratori di teatro. I ragazzi sono stati molto gratificati e sono tornati anche dopo, una volta concluso il percorso scolastico” (Insegnante, scuola secondaria di primo grado)

� I corsi tematici “Quest’anno abbiamo introdotto anche corsi sul bullismo perché pare che sia un problema emergente” (Insegnante, istituto professionale) faceva vedere dei filmati…”(Insegnante, istituto professionale)

� Il tutoraggio “generazionale” “Un’idea però non sempre facile da realizzare è quella del tutoraggio tra ragazzi, ovvero ragazzi più grandi che possono supportare quelli più piccoli (…) Noiquest’anno abbiamo due diplomati della nostra scuola per quaranta ore alla settimana che conoscono quindi le problematiche della scuola; loro sono stati nelle classi, si sono presentati agli insegnanti e alle classi, li utilizziamo nei laboratori, si affiancano ai ragazzi per dare loro assistenza, li aiutano nelle attività del pomeriggio e fanno anche uno sportello di ascolto” (Insegnante, istituto professionale)

� Il doposcuola di qualità “Io ho visto mi sembra in Emilia che hanno attivato un progetto del genere, una specie di doposcuola vero e non finto e mi è sembrata una cosa interessante, c’erano dei docenti veramente bravi” (Insegnante, istituto professionale)

� La co-docenza “Una cosa che funziona è la co-docenza tra colleghi, io ho praticamente rivisto completamente il programma grazie proprio alla compresenza del collega e questo funziona bene dove c’è una programmazione seria, così riusciamo anche a dividere la classe e a fare al contempo approfondimenti e recuperi dove serve” (Insegnante, istituto tecnico)

In ultimo, ma non per importanza, un discorso a parte merita la bocciatura che viene considerata dagli insegnanti, soprattutto quelli della scuola primaria e secondaria di primo grado, come un evento non necessariamente negativo ma anche funzionale. In quest’ottica la bocciatura, seppur rappresenti una soluzione estrema, può tuttavia sortire effetti positivi, soprattutto se questa viene concordata con la famiglia e rappresenta l’occasione per “tenere il ragazzo ancora un anno al fine di permettere la sua maturazione”. A questo proposito diversi studi mostrano come ritardare la progressione scolastica, in particolare negli anni di passaggio da un ciclo scolastico all’altro, sia una tendenza abbastanza diffusa (Stellacci, 2003).

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“Se un ragazzino non frequenta, frequenta in modo irregolare, ha problemi in famiglia, io però lo posso fermare in modo che i servizi sociali possano magari intervenire e porre rimedio” (Insegnante, scuola secondaria di primo grado)

Non tutti però sono concordi con questa prospettiva poiché può assumere i contorni di un “accanimento formativo”. Un’insegnante ad esempio afferma:

“Conviene di più mandare avanti un ragazzino che tenerlo lì nella scuola dell’obbligo. Se lo tieni comunque che cosa fa? Ce cosa ha da condividere un ragazzino di 15 anni con uno più piccolo? Hanno esperienze assolutamente diverse. Io sono assolutamente contraria alle ripetenze, le ripetenze non servono a niente (Insegnante, scuola secondaria di primo grado)

Un’altra docente riflette invece sul senso che la scuola dovrebbe avere per ogni alunno e afferma quanto segue:

“Io non sono così convinta che sia necessario mandare tutti a scuola, va bene che sia un diritto ma quando un ragazzo lo percepisce come un dovere, forse è meglio che rimandi l’istruzione quando la motivazione sarà più forte” (Insegnante, scuola secondaria di primo grado)

Inoltre, la bocciatura non si configura sempre come un evento facilmente realizzabile, per le resistenze che si possono verificare all’interno del sistema scolastico.

“In realtà tu non puoi proprio bocciare, le bocciature sono pochissime, se bocci, la Dirigente Scolastica ti salta addosso. Io avevo un ragazzino che abbiamo dovuto promuovere a tutti i costi, quando questo è andato al primo anno della scuola media superiore è stato subito bocciato ed è immediatamente uscito dal percorso. In questo caso il fallimento non è della scuola media superiore, ma nostro” (Insegnante, scuola secondaria di primo grado)

Inoltre, alcuni docenti di Istituti di Primo e Secondo grado hanno manifestato diverse posizioni sulla bocciatura, considerandola un indicatore allo stesso tempo di buona e di cattiva qualità della scuola che vi fa ricorso.

“La scuola dove ci sono tanti bocciati non funziona, non sa insegnare” (Insegnante, istituto tecnico) “Secondo me non è così, la scuola che boccia è selettiva” (Insegnante, istituto tecnico)

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E anche laddove è possibile respingere un allievo, emergono comunque altre problematiche.

“I bocciati però si iscrivono di nuovo, ogni anno immancabilmente si ripropongono ragazzi che si iscrivono anche per la terza volta; naturalmente ci sono anche ragazzi che vanno altrove” (Insegnante, istituto tecnico)

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5555I giovani si raccontano: I giovani si raccontano: I giovani si raccontano: I giovani si raccontano: l’approccio biografico allo l’approccio biografico allo l’approccio biografico allo l’approccio biografico allo studio della dispersione studio della dispersione studio della dispersione studio della dispersione scolasticascolasticascolasticascolastica

approccio di studio della dispersione scolastica ampiamente condiviso dalla comunità scientifica consiglia, come più volte ricordato, di affrontare il

fenomeno lungo la maggior parte delle traiettorie possibili; l’estrema eterogeneità dei percorsi di dropping-out che non sembrano più riconducibili a sequenze rigide e predefinite rende necessario, infatti, poter approfondire sempre più la conoscenza dei vissuti individuali a cui sono associate varie forme di irregolarità o abbandono. A definire il quadro a livello macro, intervengono elementi di tipo contestuale; la “società dell’incertezza”, nella quale il fenomeno si inserisce e si esplica; se, da un lato, il nostro contesto sociale sembra offrire nuove opportunità di crescita e confronto, dall’altro rende più difficile, per i giovani ma non solo, la costruzione del proprio progetto individuale di vita e, al dipanarsi della propria esistenza, l’attribuzione di significati coerenti con il progetto stesso. Vedremo nelle prossime pagine gli esiti di questa parte della ricerca.

5.1 Introduzione: i giovani si raccontano5.1 Introduzione: i giovani si raccontano5.1 Introduzione: i giovani si raccontano5.1 Introduzione: i giovani si raccontano

e si osserva la condizione giovanile nelle società contemporanee, come già ricordato in altra parte del volume, si può notare come le forme dell’”essere

giovane” oggi appaiano, infatti, meno definite e sempre più discontinue di un tempo e come la ricostruzione delle biografie relative alla transizione dall’infanzia all’età adulta diventi più difficoltosa e meno prevedibile. In particolare, sembrano più incerti i confini dei tradizionali “riti di passaggio” (Ajello, Maggiolini, 2002), che aiutavano i giovani a passare da una fase all’altra dell’esistenza in qualità di membri di un gruppo coeso e li sostenevano nella sensazione di aver intrapreso la strada giusta. Con la progressiva riduzione di questo sostegno il passaggio diviene sempre più incerto; se questa nuova condizione da una parte può ampliare i margini di libertà entro i quali una “persona in divenire” può progettare la sua esistenza, dall’altra può ingenerare forme di incertezza, indifferenza e instabilità, rendendo più difficoltosa per i giovani

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la costruzione della propria identità di fronte ai continui cambiamenti sociali e culturali (Buzzi, Cavalli, de Lillo, 1997; 2002; Diamanti, 2000). Questo provoca anche una conseguenza indiretta: se i giovani diventano più “invisibili” poiché non più membri di movimenti collettivi forti e, quindi, portatori di valori, diventano anche più sfuggenti di fronte all’opinione pubblica e, dal punto di vista sociologico, più difficili da studiare, classificare e tipizzare. Da qui traggono origine le difficoltà di studio ed analisi ricordate in precedenza e la necessità di adottare metodi di osservazione, quali quello in esame, che permettano l’esplorazione della relazione “individuo-sistema” tenendo conto il più possibile dei vari livelli di interconnessione nei quali la stessa si realizza. Sulla base della consapevolezza che analizzare un fenomeno di tale complessità soltanto attraverso strumenti standardizzati e quantitativi sarebbe risultato riduttivo – e considerate anche le difficoltà, più volte citate, di accedere a fonti aggiornate e complete – l’esplorazione delle dimensioni e delle forme della dispersione scolastica nell’area provinciale torinese ha previsto proprio una fase qualitativa di questo tipo: la ricostruzione dei profili biografici, attraverso una serie di interviste in profondità16, a giovani di diverse coorti di età e livelli scolastici che hanno vissuto fenomeni di irregolarità e abbandono. Alcuni di loro hanno sperimentato bocciature e ripetenze, altri hanno interrotto il percorso per un periodo e, successivamente, lo hanno ripreso, altri ancora vivono al di fuori del sistema educativo avendolo abbandonato definitivamente. Seppur senza alcuna pretesa di generalizzazione, se si accetta l’assunto che attraverso l’osservazione scientifica del singolo soggetto si può arrivare a osservare l’intero contesto, poiché ci sono altre vite e situazioni non troppo dissimili, l’approccio qualitativo può leggere i mutamenti individuali come espressione di un cambiamento più generale, ascrivibile per estensione dal singolo individuo ad una coorte intera. La prospettiva di analisi del materiale raccolto non si è quindi limitata alla restituzione delle parole degli intervistati ma, in chiave analitica, ha cercato di cogliere più in generale il significato che i giovani attribuiscono alle proprie esperienze. In molti casi, infatti, proprio le caratteristiche e i percorsi individuali dei giovani coinvolti in questa fase di ricerca hanno caratterizzato in modo forte l’analisi; in altre parole, la presenza di profili deboli ha suggerito di registrare non solo il comportamento verbale, le narrazioni così come riportate dagli intervistati, ma anche di prendere nota del comportamento non verbale, ovvero di un insieme di comportamenti, non espressi direttamente attraverso la parola, riconducibili ad atteggiamenti, movimenti del corpo, posture. In diversi casi, infatti, si sono registrate difficoltà di espressione, comprensione, legate non necessariamente a disturbi

16 Per una migliore descrizione del metodo e dei soggetti coinvolti si rimanda all’appendice metodologica.

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dell’apprendimento o cognitivi in senso stretto17 ma, molto spesso, a forme di disagio comportamentale18.Sembra anche aver influito, considerate proprio le storie di vita dei giovani, in particolare scolastiche, il fatto che la narrazione di sé era connessa al significato attribuito all’esperienza stessa (Schutze, 1992) e che i giovani stessi hanno molte volte operato una selezione, non sempre consapevole, legata a come vedono e collegano il passato al loro presente, ma anche a come immaginano il loro futuro (Kholi, 1981).Prima di entrare nel dettaglio dei risultati, occorre evidenziare un elemento di interesse generale. Il fenomeno della dispersione, così come emerge dai profili biografici, assume forme e contorni specifici che appaiono fortemente associati da una parte all’età del giovane e, dall’altra, al livello scolastico in cui il giovane si trova. Da questo punto di vista, il vissuto esperenziale di un giovane inserito nella scuola secondaria di primo grado appare diverso da quello di un giovane nella scuola secondaria di secondo grado. Naturalmente, i due fattori sono spesso correlati, ma non necessariamente: può capitare, infatti, di trovare giovani inseriti ancora nei percorsi formativi di primo grado. Nei paragrafi seguenti vengono proposte le risultanze di questa fase di ricerca; in particolare, nel primo paragrafo, sulla base delle biografie, si riportano le immagini e i vissuti dei giovani drop-out in relazione al mondo della scuola, del lavoro e delle relazioni sociali; il corso della narrazione è volutamente sequenziale al fine di mostrare la traiettoria che, partendo da un disagio, può portare anche all’abbandono definitivo. Questo tema è poi approfondito nel paragrafo successivo, nel quale si riflette sulla condizione post-abbandono con i suoi vantaggi e svantaggi, così come percepiti dai protagonisti. Infine, nel terzo paragrafo, con esplicito riferimento alla scuola superiore di secondo grado – e, in particolare, al biennio, nel quale il fenomeno della dispersione assume i livelli più rilevanti – si cerca di ricostruire dei possibili itinerari che un giovane può sperimentare delle difficoltà, incertezze e sensazioni di solitudine incontrate nel processo di scelta al termine della scuola secondaria di primo grado.

17 Per disturbi cognitivi intendiamo in questa sede disturbi neuropsicologici, ovvero disturbi delle funzioni alte, quali l’intelligenza generale, l’attenzione, la memoria, le funzioni esecutive (abilità di giudizio, pianificazione, flessibilità cognitiva, ecc.), le abilità visuo-spaziali e prassiche, il linguaggio, la lettura, la scrittura. In età adulta una loro alterazione causa elevate difficoltà nell’adattamento sociale e lavorativo, ed è spesso associata a problemi relazionali ed emotivi (ansia, insicurezza, depressione, ecc.).18 La particolare delicatezza della situazione di ricerca, ma anche la difficoltà a trovare soggetti disponibili per le normali vie istituzionali, ha richiesto l’adozione di un metodo di campionamento parzialmente a valanga, basato su contatti personali; la conoscenza del soggetto da intervistare è stata necessariamente filtrata da un mediatore, per garantire i potenziali rispondenti rispetto alla serietà dell’indagine e alla correttezza degli intervistatori e dei Committenti.

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5.2 Immagini e vissuti di sé: scuola, lavoro, relazioni sociali5.2 Immagini e vissuti di sé: scuola, lavoro, relazioni sociali5.2 Immagini e vissuti di sé: scuola, lavoro, relazioni sociali5.2 Immagini e vissuti di sé: scuola, lavoro, relazioni sociali

a totalità dei giovani intervistati, come ricordato, ha vissuto varie esperienze di irregolarità – bocciature, singole o plurime, ritardi, ritiri – e, in diversi casi,

anche di vero e proprio abbandono. Talvolta i percorsi sono così accidentati e tortuosi da rendere difficoltosa la loro ricostruzione analitica; il verificarsi di eventi anche drammatici complica lo scenario, con il rischio di trasformare un insuccesso scolastico anche in vere e proprie “patologie psicosomatiche”, come in questo caso:

“Io ho finito la scuola media e non ero mai stata bocciata, poi ho fatto un anno di corso di sala bar, ma mi è venuta la gastrite perché avevo problemi in classe e con i miei compagni e così mi sono dovuta ritirare e ho perso l’anno” (femmina)

Tuttavia, anche i percorsi molto accidentati, seppur nella loro flessibilità, possono prevedere forme di reversibilità, ovvero di rientro nel percorso formativo. L’esperienza seguente appare emblematica poiché rappresenta una testimonianza diretta di questa frammentarietà e della rinnovata “amicizia”, quantomeno parziale, con la scuola.

“Dopo la media avevo scelto un istituto tecnico industriale, è stata una scelta ad esclusione… per scegliere mi avevano dato un libro, era fatto bene, ti spiegava cosa potevi fare in quella scuola, c’era una bozza del percorso scolastico, ti avvicinavano a quello che volevi fare, però non c’è stato verso, non mi piaceva il meccanismo della scuola, l’ambiente scolastico, così ho smesso e ho lavorato. Sono andato a lavorare nel negozio di un mio amico, un negozio di modellismo come aiutante. Poi me ne sono andato, ho fatto altri lavori, perché quello è un lavoro che ti devi aggiornare, devi avere la passione, e la passione si stava spostando da altre parti. Quando sono andato a lavorare avevo 13 anni e lavoravo in nero, poi sono andato a lavorare al mercato, ho fatto altri lavoretti che comunque mi hanno fatto vedere e capire il mondo del lavoro soprattutto quello della vendita. A me piaceva il fatto di convincere la gente, però non mi piacevano altre cose: l’ambiente perché è di sciacalli e poi perché iniziavo anche a vendere ai miei amici e così nascevano i problemi e ho lasciato perdere anche quello. Così ho deciso di tornare a scuola perché mi ha preso questo lampo e sono andato a fare un corso che non mi ricordo neanche come si chiama, ma nonostante tutto non ho chiesto niente ai miei (genitori, n.d.a.), ho comprato la cartella e i libri a rate con i soldi che avevo guadagnato lavorando… Io sono un carattere che quando inizio una cosa difficilmente non riesco a portarla a termine” (maschio)

Prescindendo dai percorsi individuali, un tratto che accomuna tutti i drop-out è l’immagine complessivamente negativa associata al periodo della loro esistenza trascorso all’interno della scuola. “Un ricordo positivo, ne basta uno, anche uno solo…”: per questi giovani è estremamente difficile, e in certi casi impossibile, individuare e riportare un ricordo piacevole della loro esperienza scolastica;

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frequentemente sembra prendere forma la consapevolezza che rispondano per compiacere l’intervistatore, quasi si trovassero di fronte ad una delle tante interrogazioni che hanno incontrato nel loro percorso di studi. Con un’esplorazione più profonda emergono, tuttavia, alcune immagini, spesso legate a specifici eventi o persone, che hanno interrotto (seppur temporaneamente) il vissuto scolastico sostanzialmente negativo e che hanno sedimentato un corrispondente ricordo spiacevole. Una di queste immagini riguarda indubbiamente gli amici: gli aspetti di tipo relazionale legati al proprio gruppo dei pari sono evidenziati con frequenza da quasi tutti i drop-out. L’amicizia è molto spesso associata alle occasioni e opportunità di divertimento, ma emergono anche riferimenti alla comunicazione, allo scambio reciproco di idee, al confronto, alla crescita individuale e all’interno del gruppo. Può anche capitare, seppur sembrino eventi isolati, che le relazioni amicali siano così forti da superare le “differenze culturali” e si reiterino nel tempo, nonostante le strade formative si siano successivamente divise.

“L’unico ricordo che ho della scuola sono i miei amici, i miei amici sono molto importanti… due miei amici sono laureati, però non ci siamo persi” (maschio)

L’amicizia, quale valore in sé, travalica l’ambito scolastico configurandosi come una vera e propria esigenza per la maggior parte di questi giovani; c’è chi la concentra “sulla migliore amica”, caricandola anche di una valenza forte e di aspettative, e chi la diluisce in un gruppo, la “compagnia”, nel quale è possibile non solo condividere esperienze, ma anche in qualche misura legittimare i propri insuccessi scolastici “perché alla maggior parte è capitata la stessa cosa”. In questo senso è frequente per i giovani dispersi avere relazioni con amici molto simili per caratteristiche e percorsi, ovvero gruppi dei pari all’interno dei quali, come detto, è più facile, se non naturale, identificarsi (e forse anche sopportare eventuali insuccessi). D’altra parte l’importanza attribuita dai giovani all’amicizia trova conferma in numerose ricerche e questa tendenza appare in crescita: i giovani sembrano attribuire sempre più importanza alle relazioni interpersonali, in particolare a quelle amicali ed affettive accanto a quelle familiari. Questa tendenza è stata definita “l’irresistibile ascesa della socialità ristretta”: i giovani, in generale, appaiono sempre più orientati intorno ad un insieme di valori riferiti all’intorno della persona, piuttosto che alle dimensioni del collettivo, dell’impegno pubblico (de Lillo, 2002). Nella società dell’incertezza e del rischio, i giovani sembrano trovare quindi certezze e sostegno soprattutto nel proprio gruppo dei pari e questo aspetto assume maggiore rilevanza laddove emergano situazioni di disagio all’interno della famiglia di origine. Appare interessante come in certi casi emergano delle vere e proprie fratture tra “sé e il gruppo degli amici”, da una parte, e “il resto del mondo” dall’altra, una contrapposizione forte che segna anche il voler prendere le distanze da un mondo che non li ha capiti. In questo contesto la bocciatura, vissuta talvolta dai genitori in modo talvolta drammatico, tra gli amici appare maggiormente “normale”.

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“Quando mi hanno bocciato, i miei (genitori, n.d.a) ci sono rimasti male, i miei amici invece non mi hanno detto niente, la maggior parte di loro ha perso degli anni a scuola” (maschio)

“Molti miei amici sono stati bocciati molti come me, caso strano quella era la mia compagnia” (maschio)

Un’altra regolarità nei vissuti amicali dei giovani drop-out appare la circostanza che gli amici abbiano in diversi casi età più elevate e siano già inseriti nel mondo del lavoro, generalmente con profili professionali medio-bassi.

“I miei amici sono tutti più grandi di me. L’età va dai 20 ai 25 anni, io sono il più giovane del gruppo. Stiamo tanto all’aperto, non è che bisogna andare per forza in un locale, magari ci vediamo in un parcheggio e restiamo lì a parlare. La maggior parte dei miei amici lavora, alcuni studiano, fanno dei corsi, altri ancora non fanno niente. Un mio amico fa lo spazzino, altri amici in fabbrica, un altro lavora in ospedale” (maschio)

“I miei amici sono quasi tutti più grandi, 6-7 anni di più. C’è chi lavora, c’è chi studia, non so chi lavora cosa fanno, alcuni costruiscono qualcosa, tipo i muratori, non lo so spiegare bene. Chi studia fa l’elettricista, la parrucchiera” (maschio)

La circostanza che i giovani drop-out privilegino le relazioni amicali con persone di età più elevata rispetto alla propria coorte trova conferma nella sensazione di “essere fuori posto” quando, a seguito di episodi anche ripetuti di bocciature, gli stessi sono stati inseriti in classi con compagni fisiologicamente più giovani. E la difficile compresenza di giovani di coorti di età differenti viene ricordata anche dai docenti, come abbiamo avuto modo di vedere in precedenza: “A volte avere anche solo un anno in più fa differenza, figuriamoci 3-4 anni”.Un altro elemento centrale che caratterizza l’universo dei giovani è la musica in tutte le sue forme: individuale (l’ascolto) o aggregata (la frequentazione di locali e discoteche); la musica assume anche una valenza simbolica e, ricordando le parole di un’insegnante che ha partecipato alla fase di ricerca qualitativa realizzata attraverso i focus: “hanno sempre le cuffiette in testa, tu dici loro di toglierne, lo fanno per un secondo, ti guardano e le rimettono…la musica li riconcilia con il mondo”. In alcuni casi, per i giovani intervistati la musica non rappresenta solo un hobby, ma anche una vera e propria aspirazione professionale e di vita che mal si concilia con il loro percorso formativo. Di fronte all’impossibilità di “realizzare il sogno”, il lavoro – talvolta qualunque lavoro – diventa solo il mezzo per continuare a coltivare le proprie passioni e non un fine, ovvero il traguardo naturale del proprio percorso formativo.

“Io adesso ho capito che devo trovare le soddisfazioni fuori del lavoro, io non posso suonare per contratto e così lo faccio fuori… Se tu decidi di vivere di musica devi

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lasciare perdere tutto il resto, ma io ho visto gente di 30-35 anni completamente bruciata” (maschio)

Il mondo delle relazioni è molto vario poiché i giovani possono essere coinvolti contemporaneamente in una pluralità di situazioni biografiche identificanti – da un hobby, ad esempio la musica, ad uno sport, per i maschi sicuramente il gioco del calcio che costituisce una delle principali forme di identificazione; prescindendo dalle diversità di esperienze il tratto comune sembra essere per i giovani, alla ricerca di una propria posizione identitaria e sociale, la possibilità di trovare in questi contesti un’alternativa valoriale, esperienziale, emozionale rispetto ad una frequenza scolastica “odiosa” e angosciante.

“Io alle medie andavo male, io odio studiare, a scuola non mi piace andare, ho sempre avuto problemi” (femmina)

In alcuni casi il rifiuto della scuola assume i contorni di una predestinazione, come se a parere dei giovani drop-out “andare bene o male” possa dipendere dal possesso di determinate caratteristiche genetiche.

“Per andare bene a scuola ci vuole la testa e il comportamento, io non riesco, mi annoio, non mi interessa niente di quello che si fa qua, non so come vorrei studiare…non mi riesco a spiegare perché non mi piace la scuola” (maschio)

Appare interessante specificare che il rifiuto della scuola, in termini di istituzione e di tutto quello che in questo senso comporta, può trascinare con sé un altro tipo di rifiuto, per alcuni versi più preoccupante: il rigetto verso ogni forma di acculturamento. La rinuncia a forme di cultura “tradizionale” può comportare la difficoltà, se non l’impossibilità, ad acquisire non solo conoscenze spendibili nel mondo del lavoro, ma anche le competenze di base trasversali necessarie affinché i giovani possano orientarsi e muoversi in una società sempre più complessa. Il problema sembra dunque spostarsi dalla funzione scolastica in termini di agenzia formativa all’esercizio della “cittadinanza sociale” (Capecchi, 1998). E questo può limitare ai giovani non solo l’accesso a posizioni professionali migliori, ma anche l’esercizio del proprio ruolo di cittadini. Infatti, come abbiamo visto, per alcuni insegnanti dell’area provinciale torinese intervistati nei focus, questa mancanza di “corredo culturale e intellettuale” assume forme più ampie, in termini di carenza di cittadinanza attiva. Questo sembra essere un rischio ancora più grande della mera mancanza di conoscenze, poiché la scuola non sembra più riuscire ad assicurare a tutti il raggiungimento di determinate abilità, ritenute indispensabili per esercitare il proprio ruolo di cittadino attivo (Marescotti, 2004). La dispersione scolastica in questo senso si configura, dunque, anche come negazione della possibilità di acquisire una formazione di base e questo può provocare un deficit di democrazia (Lupoli, 1999).

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“Io non leggo, non mi piace leggere, leggo solo se mi obbligano, ho letto in tutto tre libri nella mia vita” (maschio)

“Non mi piace leggere, non mi piace neanche il cinema…” (femmina)

La percezione di non possedere le stesse opportunità sembra palesarsi tra i giovani nel “sentirsi inferiori” e, quindi, in termini di una maggiore distanza sociale percepita rispetto alle persone appartenenti alla medesima coorte di età.

“Non è che mi sento inferiore, però a volte mi viene da pensare che valgo meno” (maschio)

Per contro emerge da alcuni giovani intervistati, e in diversi casi viene espressamente citata, la difficoltà a parlare, relazionarsi con gli altri e queste problematiche sembrano associate proprio alle predilezione delle materie letterarie, poiché la conoscenza della lingua sembra essere un mezzo per esercitare la piena cittadinanza e partecipare attivamente alla società.

“A volte non riesco ad esprimermi, non trovo le parole e allora mi agito… A me piace l’italiano, se sai l’italiano puoi parlare con gli altri, puoi confrontarti e dire le tue idee” (maschio)

“La scuola serve per imparare a parlare con gli altri… Dovrebbero impegnarsi a confrontarti con le altre persone, a imparare a confrontarti con le altre persone, se hai argomenti puoi confrontarti, devono insegnarti ad avere un bagaglio che tu puoi dare a qualcun altro. Non c’è un modo sbagliato o giusto di confrontarti, però devono insegnarti questo… Non è importante la materia per se stessa, è importante poter parlare con altri di tutti gli argomenti” (maschio)

Quando però il rifiuto verso ogni forma di cultura si consolida, si rafforza parallelamente la sfiducia nella scuola non solo come canale privilegiato di ingresso nel mondo del lavoro ma anche, più in generale, il discredito verso la sua utilità a livello di sistema. L’istruzione, quindi, sembra svuotarsi di importanza nell’immaginario di questi giovani sia come strumento fondamentale per la vita, per il futuro, sia in un’ottica complessiva di arricchimento personale, sia dal punto di vista dell’inserimento occupazionale. Si intensifica così l’importanza di stare in strada perché è l’unico modo percepito dai ragazzi per “imparare a stare al mondo”. La visione della scuola come un disinvestimento professionale, inoltre, può anche essere anche rafforzata dalla famiglia di provenienza del giovane, laddove l’ottenimento del titolo di studio non sembri funzionale al lavoro perché non garantisce necessariamente l’inserimento occupazionale. Quando questi fattori si presentano contestualmente, la demotivazione al proseguimento del percorso scolastico diventa davvero molto forte.

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“Mio padre ha la terza media però ha aperto un bar, mio zio ha fatto una scuola professionale, mica si è laureato ma guadagna anche abbastanza bene” (maschio)

“Io ho visto delle persone che sono andate a scuola che non sanno niente e poi ho visto altre persone che non sono mai andate a scuola e che tu non diresti che non ci sono mai andate. Quindi secondo me cambia da persona a persona, la scuola non è così fondamentale” (maschio)

Se, come accennato in precedenza, è estremamente difficoltoso per i giovani riuscire a ricordare o, meglio, individuare un indizio di positività nel loro percorso scolastico, non accade così al contrario; stimolati a fare emergere elementi di negatività, gli intervistati disegnano un quadro ricco di risposte ed elementi di riflessione. Il ricordo negativo per antonomasia appare, tra tutti coloro che l’hanno sperimentata, la bocciatura. Questa rappresenta un vero e proprio fallimento ed è ricordata, tra i giovani intervistati, con grande sconforto, qualche volta con sgomento associato alla percezione di essere stati vittime di un’ingiustizia.

“Come vuoi che dovevano prenderla i miei genitori (la bocciatura, n.d.a.)? Ero stato bocciato, non c’era tanto da dire. Io l’ho presa male, ce n’erano peggio di me e sono stati promossi. Io sapevo che andavo male, ma non pensavo di essere bocciato. A me non piace proprio la scuola, preferisco fare i lavoretti” (maschio)

“Quando sono stato bocciato, questo è l’aspetto più brutto che mi ricordo” (maschio)

Se in alcuni casi l’evento è sopraggiunto anche in modo del tutto inaspettato (o quanto meno è stato percepito come inaspettato, anche in presenza di evidenti segnali precedenti), disorientando e sconcertando qualcuno di loro, in altri invece assume i tratti della profezia che si autoadempie. In questo caso anche le famiglie appaiono in un certo senso preparate e, quel che forse è peggio, rassegnate all’evento.

“Il primo anno la mia famiglia l’ha presa male, il secondo anno se lo aspettava” (maschio)

“I miei non l’hanno presa proprio benissimo, perché non se l’aspettavano, però poi quando abbiamo deciso di venire qua (ha cambiato istituto successivamente alla bocciatura, n.d.a.) sono diventati più sereni” (maschio)

L’atteggiamento verso la bocciatura non appare, tuttavia, uniforme. Se alcuni attribuiscono responsabilità al sistema scolastico, altri ancora, in modo introspettivo, percepiscono delle responsabilità proprie cercando nell’evento qualche elemento di positività in termini di “lezione di vita”. In questi casi la narrazione di sé appare strumentale all’esigenza di dare un senso compiuto al proprio percorso, seppur segnato da pesanti sconfitte.

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“Quando mi hanno bocciato io sono stato un po’ deluso di me stesso anche se lo sapevo, ho pensato che potevo fare meglio. I miei genitori subito l’hanno presa male, poi mi hanno detto che è una lezione di vita e io la penso abbastanza così. Anche i professori hanno detto la stessa cosa” (maschio)

La bocciatura non è vissuta soltanto come episodio isolato; dalla ricostruzione e lettura delle biografie emerge come essa rappresenti il punto di arrivo di un percorso, del quale rappresenta l’esito finale, che anticipa a volte l’abbandono. Il ricordo negativo è allora ricondotto all’intero processo, ovvero a tutta una serie di meccanismi conflittuali realizzatisi all’interno della classe, in particolare con gli insegnanti, spesso accusati di non riuscire a capire le diverse esigenze degli alunni e di non essere obiettivi nelle valutazioni (“l’insegnante di inglese fa le preferenze”)Questi giovani vivono con grande sofferenza i conflitti relazionali, la distanza anche “affettiva” instaurata tra loro e gli insegnanti e le ingiustizie che pensano di subire senza veder concesso loro di comprendere le ragioni delle proprie difficoltà. La figura dell’insegnante, in generale, acquisisce così una valenza prevalentemente negativa: la scuola, soprattutto a livello superiore, è vissuta come un luogo in cui le relazioni con i docenti sono piuttosto fredde e distaccate, spesso conflittuali. E questi contrasti non sorgono soltanto tra alunni e professori, ma anche tra compagni, in particolare laddove il clima è particolarmente competitivo. Anche se, come visto, il gruppo dei pari rappresenta un aspetto fortemente positivo, quando la relazione si incrina sembra difficilmente recuperabile. Nascono così i conflitti, incentivati da un eccessivo bisogno di emergere e di imporsi sugli altri, soprattutto negli istituti caratterizzati da un’utenza prevalentemente maschile, oppure di prevalere nei risultati scolastici, in particolare nelle scuole considerate di più alto livello come i licei classici. I conflitti tra pari possono così favorire l’allontanamento dalla scuola o, nei casi più favorevoli, il “cambio di rotta”.

“Io ho cambiato una classe, l’altra non mi piaceva per niente, ora sono più contento, con i compagni di classe ora mi trovo abbastanza bene, qualche volta abbiamo qualche litigio ma poi si risolve. Con quelli della classe vecchia mi trovavo peggio e non li vedo più perché credevano di essere tutti geni e mi prendevano in giro”(maschio)

La competizione non sembra avere soltanto radici scolastiche, connesse con gli esiti e le valutazioni, ma può scaturire anche da ragioni di immagine, dal mancato adeguamento agli stili e alle mode presenti tra i giovani in un dato momento e, in definitiva, ancora una volta, dall’appartenenza ad una classe sociale più svantaggiata. Riemerge così quella sensazione di “predestinazione” che più volte traspare dalle dichiarazioni di questi giovani intervistati.

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5.3 La condizione post5.3 La condizione post5.3 La condizione post5.3 La condizione post----abbandonoabbandonoabbandonoabbandono

uando sopraggiunge una bocciatura, singola o plurima, una delle scelte possibili per i giovani drop-out è andare a lavorare. Lasciata la scuola, infatti, nessuno di

questi ragazzi è rimasto inattivo a lungo, per sopraggiunte necessità di tipo economico ma non solo. Il lavoro, dunque, ha rappresentato molte volte una scelta naturale; a orientarsi verso il mondo del lavoro talvolta hanno influito anche le condizioni familiari, la condizione di disoccupazione – antecedente alla bocciatura o sopraggiunta – di uno o di entrambi i genitori. E proprio il rapporto con il mondo del lavoro è un’altra dimensione rilevante per la definizione della tipologia di drop-out. Da questo punto di vista molti giovani intervistati hanno manifestato una certa vicinanza al mondo del lavoro già nel periodo della frequenza scolastica, mentre per tutti coloro che hanno sperimentato l’abbandono vero e proprio il lavoro ha acquisito una posizione di rilievo dopo il verificarsi di questo evento, assumendo anche le forme di un riscatto dalla ferita e, in alcuni casi, percepita “ingiustizia” patita nel contesto scolastico. Chi ha sperimentato varie forme di lavoro o “lavoretto”, sembra averlo vissuto come un mezzo di emancipazione, economica ma non solo; le esperienze citate sono molto varie e spaziano da forme di lavoro saltuario, informale e non regolamentato (“la baby sitter per una mia amica”) a attività anche pesanti e che hanno creato ansietà e preoccupazioni nei propri familiari.

“Io per fare questo tirocinio ho lasciato un lavoro, facevo il metalmeccanico in fabbrica, ma era un lavoro duro, lì non ero veramente un metalmeccanico, ero solo due braccia. In questo progetto sto imparando a capire i contratti, cose che magari ho fatto nel lavoro ma non sapevo come spiegare… Dopo questo vorrei fare un lavoro che mi possa dare da mangiare sempre, ad esempio il meccanico. Io però non ho ancora un’idea precisa, le mie passioni sono altrove, la musica… è dura però vivere di musica, anche di palestra e di culturismo, lì ci vogliono i soldi per aprire una palestra. Io ho fatto lavori molto pesanti, così ero interessato a fare il magazziniere perché lo possono fare quasi tutti, quindi io pensavo questo. Chiedono tutti esperienza. Io ho accettato questo tirocinio proprio perché io in sei mesi avrei imparato a fare qualcosa che posso poi fare tutta la vita. In famiglia sono solo io che lavoro e quello che mi passa mio padre non basta, è poco. Mia madre è stata contenta, perché dov’ero nell’ultimo lavoro era preoccupata, mi stancavo, mi spaccavo la schiena” (maschio)

Prescindendo dalla reversibilità delle interruzioni e abbandoni appena ricordata, di fronte alla possibilità di scegliere un’alternativa nella diade scuola-lavoro, praticamente la totalità dei giovani sembra non avere dubbi: il lavoro è, e resta per ora, la scelta preferibile.

Q

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“Mi piace di più lavorare che venire a scuola, al 100%. A me piacerebbe fare il meccanico, io dovrei fare la prima superiore e invece faccio la terza media, quest’anno devo prendere la terza media. Io a scuola non ci voglio più andare” (maschio)

Naturalmente, l’abbandono della scuola produce inevitabilmente una dequalificazione professionale: i giovani privi di un titolo di studio superiore possono trovare occupazione quasi esclusivamente in attività poco qualificate. I giovani intervistati fanno spesso riferimento ad esperienze lavorative nei settori commerciale, industriale e dell’artigianato; talvolta emergono, come si è visto poc’anzi, anche lavori pesanti e ‘usuranti’. Inoltre, dal punto di vista normativo, le forme di inserimento contrattuale nel mercato del lavoro sono spesso precarie e ai limiti della regolarità. Questi giovani sono soggetti allora ad un forte rischio di sotto-occupazione e di disoccupazione. Nei confronti del mondo del lavoro emergono tuttavia alcune contraddizioni, soprattutto tra coloro che hanno già accumulato diverse esperienze; il lavoro non appare tanto un valore monolitico, quanto multidimensionale a seconda delle tipologie di lavoro. In altre parole, approfondendo il tema, per questi giovani non tutti i lavori appaiono desiderabili: in questo senso prende forma la consapevolezza che con un titolo di studio possa essere “più facile trovare il lavoro che ti piace fare”.Infatti, se una parte dei ragazzi intervistati, per lo meno all’epoca dell’intervista, sembra persuasa di aver preso la decisione più giusta, abbandonando la scuola, soprattutto in riferimento alla situazione specifica che stava vivendo con grande difficoltà, un’altra parte esprime qualche perplessità: da questo punto di vista il lavoro sembra assumere i contorni dell’”unica soluzione possibile”. Tra coloro che dichiarano di essere soddisfatti o, per lo meno, di voler tornare indietro, l’aspetto più positivo dell’aver interrotto gli studi è certamente la possibilità di emanciparsi economicamente e diventare così finalmente “grandi”. Tuttavia, lasciare la scuola per il lavoro, come viene affermato molto apertamente, non appare una scelta definitiva ma temporanea; infatti, in molti degli intervistati è presente la possibilità di riprendere, prima o poi, a studiare, magari non appena guariti dal “mal di scuola”. E questo può accadere soprattutto dopo un periodo di esperienza lavorativa: il lavoro non sempre soddisfa le proprie attese, anche se sembra produrre vantaggi immediati. Può gradualmente crescere così la “nostalgia” della scuola, non tanto in termini di ambiente quanto di gap rispetto alle proprie aspirazioni professionali non realizzate e, forse, realizzabili. Tra i giovani può emergere, così, il desiderio di riprendere in qualche modo gli studi19. Tuttavia, la reversibilità dei

19 A questo proposito due esperienze appaiono particolarmente significative. Il primo caso si riferisce ad un giovane, iscritto al primo anno di un istituto tecnico: la storia di questo giovane comincia dall’abbandono a 16 anni della Scuola frequentata e dal successivo ingresso nel mondo del lavoro. Un infortunio occorsogli di recente lo ha costretto ad abbandonare il posto di lavoro: avendo peraltro ricevuto un buon indennizzo a seguito di tale infortunio, ha scelto di ritornare a Scuola, ripartendo anche in questo caso da capo. Un altro riguarda un giovane di 18 anni che, dopo essere arrivato al terzo anno di superiore con alle spalle già un anno perso, ha ritenuto non più di interesse il tipo di istituto

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percorsi non si rivela sempre facilmente realizzabile, laddove la distanza dal mondo della scuola sembra essere ormai incolmabile.

“Io non posso più tornare a scuola, non riesco a stare nel banco, devo fare qualcosa, non riesco a stare fermo… io sono uno che deve fare per forza qualcosa” (maschio)

“Ho provato a tornare a scuola, poi però parlavano sempre di cose che non mi interessavano e così sono tornato a lavorare” (maschio)

La scommessa per gli operatori, in questo caso, sembra essere quella di riuscire a trovare programmi ma, soprattutto, metodi didattici in grado di “catturare” l’interesse anche di quei giovani che, seppur lontani dal mondo della scuola tradizionalmente considerato, potrebbero essere reinseriti. E questa scommessa sembra aumentare le proprie probabilità di vincita di fronte alla capacità (e, forse, volontà?) della scuola di recuperare un atteggiamento di fiducia con questi giovani, ovvero di riallacciare quel “patto” che appare ormai infranto. Nonostante le numerose critiche verso la scuola (e gli insegnanti in particolare), infatti anche tra coloro che hanno abbandonato gli studi scuola e sono ormai “lontani dai banchi” sembra essere diffusa la coscienza della propria condizione; in questo senso, appare interessante verificare l’esistenza di fattori di successo scolastico comuni tra irregolari e drop-out. Di fronte alla possibilità di individuare “quello che serve per andare bene a scuola” la maggioranza dei giovani, seppur indicando risposte di tipo normativo, proprio per questo ha riconfermato l’importanza di andare a scuola, individuando nel raggiungimento della maggiore età la soglia minima adeguata di interruzione degli studi.

“Per andare bene a scuola conta tutto, lo studio, il comportamento, la voglia. Per fare aumentare la voglia di studiare ad una persona bisogna avere dei compagni con cui ti trovi bene e questo ti fa sembrare più bello andare a scuola” (femmina).

Per questi giovani traspare forse la consapevolezza dei propri errori, della necessità di un impegno adeguato per raggiungere risultati nello studio, nonostante le forti responsabilità attribuite alla scuola. E l’impegno sembra proprio essere il fattore di successo principale, anche più importante delle capacità individuali: questo, forse, appare un segnale del mantenimento di un certo grado di fiducia nelle proprie potenzialità, per lo meno in un certo gruppo di giovani. Ma l’impegno si traduce

frequentato e ha deciso di ricominciare da capo. Attualmente è iscritto al primo anno di un istituto tecnico. Entrambe queste esperienze sono riconducibili a due dei giovani estranei al campione effettivo descritto nell’appendice metodologica, dato che, nonostante avessero dato la propria disponibilità ad un incontro, all’ultimo momento hanno declinato l’intervista, chiedendo comunque ai loro insegnanti di fare loro da “portavoce”, come ricordato in nota 3.

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anche in dimensioni più vicine alla pratica scolastica quotidiana quali “stare attenti”, “prendere appunti”, mantenere il passo e “non perdere il ritmo”.

“Sicuramente essere attenti in classe, lo penso e l’ho vissuto. Se tu non stai attento poi ti trovi male. Se prendi appunti in classe metà delle cose poi te le ricordi” (maschio)

“Impegno, la volontà, la voglia di mettersi sulle cose, tenere duro, impuntarsi e convincersi di potercela fare” (maschio)

Appare interessante sottolineare come alcuni giovani sentano l’esigenza di stabilire dei confini tra impegno e comportamento, a dimostrazione che “essere bravi in classe nella condotta” non sempre rappresenta il presupposto per conseguire risultati soddisfacenti. Ma, soprattutto, sembrano voler sostenere il contrario, ovvero che “essere vivaci” non è necessariamente la premessa a cui devono fare seguito, inesorabilmente e fatalmente, fenomeni di insuccesso.

“L’impegno è importante, la vivacità no, uno può essere vivace e studiare lo stesso, oppure può non essere vivace e andare male” (maschio)

Per un’altra parte dei giovani, al contrario, gli sforzi compiuti nello studio possono non essere sufficienti a raggiungere gli obiettivi che la scuola esige: questi ragazzi hanno un minor livello di fiducia nelle proprie potenzialità e nell’efficacia dell’impegno ai fini scolastici. Riemerge quella sensazione di predestinazione e di “destino segnato” che nulla sembra poter modificare.

“Per studiare ci vuole la testa e quella o ce l’hai o non ce l’hai” (maschio)

In tutti i casi, trasversalmente, viene riconfermata l’importanza di tutti quei fattori scolastici, riconducibili agli insegnanti, all’ambiente, al clima, ai compagni di classe; laddove gli insegnanti non riescono a relazionarsi, “non sanno dare incentivi”,nascono conflitti e impegnarsi e raggiungere risultati diventa una strada in salita, talvolta così erta da fermare, prima del raggiungimento della vetta, anche i più allenati. E la salita sembra farsi più dura al termine della scuola dell’obbligo, di fronte alla necessità di scegliere la scuola superiore. Come si vedrà nel prossimo paragrafo, di fronte a scelte effettuate in assenza di un orientamento adeguato, dettate da valutazioni superficiali, stimolate dall’amico che si indirizza verso questa o quella scuola, dalla vicinanza della scuola alla propria abitazione, piuttosto che dalla comprensione di una propensione o inclinazione verso il percorso intrapreso, il rischio di sperimentare forme di dispersione diventa molto più alto.

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5.4 Scegl5.4 Scegl5.4 Scegl5.4 Scegliere, provare, cambiare: traiettorie nella scuola iere, provare, cambiare: traiettorie nella scuola iere, provare, cambiare: traiettorie nella scuola iere, provare, cambiare: traiettorie nella scuola superiore di secondo gradosuperiore di secondo gradosuperiore di secondo gradosuperiore di secondo grado

a scuola per questi giovani comporta, come visto, grandi difficoltà e, talvolta, sofferenze. In questo senso, se in termini di vissuti individuali non emergono

grosse differenze tra i vari livelli scolastici, un primo elemento di differenziazione scaturisce invece quando i giovani terminano il loro percorso all’interno della scuola secondaria di primo grado e si trovano di fronte alla “responsabilità” di scegliere dove continuare il proprio percorso formativo. Di fronte a queste scelte, come vedremo, i giovani si sentono spesso impreparati, soli e abbandonati, e proprio nella fase in cui è più probabile che un soggetto possa prendere decisioni cruciali per la sua intera storia biografica, come quella di immettersi nel mercato del lavoro. Ed è a questo punto che il fenomeno della dispersione assume i contorni e i numeri più rilevanti; se, infatti, come anche ricordato dai docenti dell’area provinciale torinese, la dispersione nella scuola dell’obbligo riveste un ruolo ridotto, è proprio nel biennio delle scuole superiori che si esplica con tutta la sua forza. Ma come e da chi sono stati aiutati i giovani in questa scelta? Anche in questo caso alla scuola vengono attribuite le maggiori responsabilità, in termini di inadeguatezza o di totale assenza di strumenti e azioni orientativi. Passaparola, consiglio dei genitori, di amici, esperienze pregresse dei propri fratelli e sorelle, criteri territoriali (“era la scuola più vicina a casa”): sembrano essere questi i fattori che hanno inciso sulla scelta della scuola superiore di secondo grado, tutto ad eccezione di “quello che mi piaceva davvero fare”. In questo senso sembrano echeggiare le parole di un insegnante che attribuisce proprio alla “scelta sbagliata” le maggiori cause della dispersione che si verifica al biennio superiore.

“Io ho scelto la scuola più vicina a casa, poi mi sono trovato male e allora ho cercato altro” (maschio)

“Non è venuto nessuno dall’esterno a spiegarci, anzi andavo io con mia mamma a vedere direttamente le scuole” (maschio)

“Questa scuola non è molto conosciuta, se io lo avessi saputo prima sarei venuto subito, alle medie nessuno mi ha detto niente. Noi eravamo andati a vedere qualche scuola, ma soprattutto il liceo scientifico” (maschio)

Soltanto in alcune scuole secondarie di primo grado i ragazzi ricordano di essere stati sottoposti a test attitudinali per poter scegliere il tipo di istruzione superiore più adeguata, test i cui esiti non si sono sempre rivelati “azzeccati”.

“In generale ci hanno fatto fare verso la fine della terza media ci avevano fatto fare delle specie di domande di logica e da queste cose loro dicevano di riuscire a capire

L

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se tu eri portato ad un liceo classico o ad una scuola che ti insegna a lavorare” (maschio)

“Anche io ho fatto dei test, c’erano anche domande su matematica o qualcosa del genere, ma a me avevano detto che sarei potuta andare in qualsiasi scuola, ho fatto due anni e poi mi sono trovata male” (femmina)

La scelta della scuola media superiore viene fatta, dunque, spesso in totale solitudine, un altro tratto distintivo della “società dell’incertezza” che vede i giovani sempre più soli di fronte a scelte importanti per la costruzione della loro identità. Che cosa è possibile fare quando la sensazione di aver fatto una scelta sbagliata rispetto alle proprie propensioni e desideri diventa consapevolezza? Una delle possibili alternative che si pone ai giovani in questa circostanza è riprendere il timone della propria esistenza e “cambiare rotta”.

“A me è sempre piaciuto il teatro, dopo due anni di seguito che allo scientifico è andata male sono allora venuto qua” (maschio)

A seguito di un insuccesso, il passaggio ad una scuola diversa non è vissuto necessariamente in modo negativo: anzi, nella gran parte dei casi i giovani non percepiscono l’aumento delle loro responsabilità come inopportuno e dimostrano una certa consapevolezza degli aspetti positivi derivanti dallo sforzo a migliorarsi. Ecco allora che il nuovo contesto scolastico risulta davvero “altro” nella loro percezione:

“Questa scuola è una delle poche che ti permettono di fare all’interno della stessa struttura anche quello che sarebbe stato un hobby se fosse stata una scuola diversa; in un’altra scuola io avrei dovuto andare a fare quello che mi piace in un’altra scuola, qui è tutto concentrato” (maschio)

“La mia esperienza in questa scuola è buona, all’inizio ho avuto difficoltà ad ambientarmi perché è diversa, poi sono riuscito a fare quello che mi è sempre piaciuto fare… I professori non sono come quelli della scuola, non stanno solo in cattedra, è molto più divertente, il rapporto è diverso, in un certo senso ti diverti più qui che quando sei fuori, quando sei fuori hai voglia di tornare dentro per progettare degli spettacoli. Anzi, io sono dispiaciuto che sto per finire… Qui tutto è diverso, anche se abbiamo anche qua ore abbastanza pesanti non le senti, i professori sono diversi” (maschio)

“Qui i professori ti dicono: “se c’è qualcosa che non capisci chiamami” e ti dà il numero di telefono e tu lo puoi chiamare. Nell’altra scuola era un’altra cosa. Io nell’altra scuola avevo un rapporto con i professori… no, non si può definire rapporto, c’era solo una professoressa di italiano che è andata via al primo anno… no poi abbiamo cambiato tantissimi professori” (femmina)

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Naturalmente, il cambio di scuola rappresenta un evento positivo nella misura in cui permette ai giovani di rimanere all’interno del circuito formativo e di riorientare le proprie scelte di vita. Quando le attività di riorientamento producono risultati di questo tipo sono gli insegnanti stessi a non considerare questi giovani come dispersi, come abbiamo visto in precedenza: “Se un ragazzo si riesce a riorientare non lo consideriamo neanche un disperso, cioè se si rende conto che non riesce a continuare in questa scuola si trasferisce altrove attraverso il riorientamento in un altro istituto, bene, quello non è disperso. Il vero problema è che hai delle percentuali altissime di ragazzi che spariscono nel nulla” (Insegnante, istituto tecnico) Quando le azioni di riorientamento sembrano produrre risultati positivi sono i giovani stessi ad evidenziare le differenze tra il “prima” e il “dopo”, tra “quella scuola” – la precedente con tutto quello che per loro ha comportato in termini di disagio, conflittualità e insuccessi – e “questa scuola”, ovvero quella che hanno cominciato a frequentare dopo il cambio di rotta. In alcuni casi, riaffiora anche una certa passione per lo studio.

“Secondo me la scuola era noiosa, prima non ci trovavo niente di positivo, imparavo la matematica e pensavo che non mi serviva a niente, poi l’ho imparato, con calma (quando ho cambiato scuola, n.d.a) che invece le cose servono… ho cambiato idea” (femmina)

Viceversa, in assenza di correzioni adeguate e tempestive gli esiti possono essere i più gravi e, in alcuni casi qui esaminati, hanno condotto all’abbandono definitivo dalla scuola. In ogni caso, entrambe le tipologie – irregolari e dispersi – condividono il senso di incertezza provato nel momento della scelta della scuola superiore, un’indecisione che la scuola sembra affrontare in modo discontinuo e non efficace. A parere sia degli insegnanti sia dei giovani l’analisi attitudinale appare spesso carente e le attività di orientamento sembrano piuttosto assumere semplificazioni per classificare tra giovani “portati per i licei” e giovani “portati per gli istituti professionali o tecnici”. Alla scuola secondaria di primo grado viene anche addebitata la responsabilità, da parte sia dei giovani ma ancor più dei docenti, di non fornire gli strumenti adeguati ad affrontare il cambiamento. Molti studenti si sono trovati, così, disorientati, sprovvisti dei mezzi necessari; conseguentemente, le difficoltà incontrate nello studio e nella frequenza scolastica hanno portato anche all’abbandono. A questo proposito appare estremamente emblematica questa testimonianza, che dimostra come la scelta scolastica di una giovane (peraltro, come si può notare, già ‘bocciata’ l’anno precedente in un’altra secondaria) sia stata dettata dall’aver voluto seguire la sua migliore amica che, a sua volta, si era iscritta a quella scuola per fare “piacere a sua nonna”

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“La scuola che sto facendo adesso non mi interessa per niente, io mi sono iscritta perché c’è la mia amica che è qui per fare un piacere a sua nonna. Io ho già perso un anno e per non perdere un altro anno sono venuta qui… Qui non potevo andare alle scuole di estetica perché non avevo l’età… Questa è una scuola tecnica, con indirizzo che riguarda la moda, l’abbigliamento, ma a me non interessa, me l’immaginavo completamente diversa, qua ci insegnano a cucire a macchina e a mano, però visto che ci insegnano a cucire potrebbero anche insegnarci a fare una gonna… anche quest’anno sarà un anno perso, sto cercando su Internet dei corsi da fare, oppure proverò a stare a casa e il prossimo anno farò un’altra scuola, non lo so…” (femmina)

In questo contesto, la famiglia sembra avere ancora una grande incidenza nel percorso scolastico individuale, non soltanto in termini di risultati conseguiti, ma anche nella fase della scelta del tipo di studi superiori. Ancora oggi, infatti, è molto forte il legame tra status socio-economico e culturale e il tipo di istruzione intrapresa dopo la scuola secondaria di primo grado. La famiglia d’origine incide, infatti, in modo molto significativo sulle possibilità di conseguire risultati positivi nel proprio percorso scolastico e di ottenere titoli di studio elevati. I giovani intervistati appartengono nella maggior parte dei casi alle classi inferiori e questa estrazione sociale è associata a situazioni familiari di disagio socio-economico ma anche affettivo. Il contesto, come è emerso in quest’indagine, è in molti casi quello di un assetto familiare problematico, caratterizzato da conflitti o separazioni. Riemerge così la “riproduzione sociale” delle disuguaglianze. Questa prevedibilità dei destini formativi dei giovani connessa all’appartenenza sociale viene ricordata anche dagli insegnanti dell’area provinciale torinese secondo i quali la dispersione interessa soprattutto le fasce sociali economicamente e culturalmente più deboli. In questo senso, nella tipologia delle cause proposta da Elena Besozzi (1990) – cause socio-culturali, socio-economiche, scolastiche, personali – tutti i fattori appaiono direttamente coinvolti, talvolta singolarmente, più spesso congiuntamente in un modello di causalità multifattoriale e probabilistica (Fonzi, 2002): la famiglia, la scuola, il giovane, e non in ordine di importanza.

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CapitoloCapitoloCapitoloCapitolo

6666ContContContContrastare la dispersione rastare la dispersione rastare la dispersione rastare la dispersione scolastica: caratteristiche, scolastica: caratteristiche, scolastica: caratteristiche, scolastica: caratteristiche, metodologie e trasversalità metodologie e trasversalità metodologie e trasversalità metodologie e trasversalità delle esperienze analizzatedelle esperienze analizzatedelle esperienze analizzatedelle esperienze analizzate

uest’ultimo capitolo è dedicato all’analisi delle opinioni e delle esperienze emerse da chi quotidianamente “lavora sul campo” per contrastare la

dispersione. L’approccio di osservazione adottato è stato quello tipico degli studi di caso (best practices). Ciascun progetto viene trattato con le sue specificità in una sezione suddivisa al suo interno in: 1) obiettivi, organizzazione e gestione del progetto; 2) tipologia delle azioni e modalità di relazione con gli utenti; 3) caratteristiche dell’utenza e modalità di contatto; 4) operatori coinvolti e fabbisogni formativi; 5) valutazione e rilevanza del progetto, esiti e impatti. Al termine di ogni trattazione è riportato un riquadro riguardante il ruolo della Provincia di Torino auspicato dagli intervistati e le prospettive di sviluppo e mutamento nel tempo dei singoli progetti.

6.16.16.16.1 Ci sei e ci fai. Centralità della relazione educativa sul Ci sei e ci fai. Centralità della relazione educativa sul Ci sei e ci fai. Centralità della relazione educativa sul Ci sei e ci fai. Centralità della relazione educativa sul territorterritorterritorterritorioioioio

l progetto “Ci sei e ci fai” è promosso dal C.I.S.A.P., Consorzio Intercomunale dei Servizi alla Persona dei Comuni di Collegno e Grugliasco, in partnership con il

Comune di Collegno, il Comune di Grugliasco, l’A.S.L. 5 – Dipartimento patologie delle dipendenze e la cooperativa sociale “La Carabattola”. Partecipano al progetto il Centro per l’Impiego di Rivoli e l’Ente di Formazione professionale “Casa di Carità Arti e Mestieri” di Grugliasco. Il progetto interessa l’area territoriale dei Comuni di Collegno e Grugliasco che conta circa

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87.000 abitanti. L’obiettivo principale del progetto è la realizzazione di programmi di prevenzione finalizzati a contrastare la dipendenza patologica. All’interno del progetto nel tempo si è sviluppato un modulo dedicato in modo specifico alla prevenzione della dispersione scolastica e al recupero dei drop-out, al quale è dedicata la presente analisi.

6.1.1 Obiettivi, organizzazione e gestione del progetto Come appena specificato, il progetto “Ci sei e ci fai” è promosso dal C.I.S.A.P., Consorzio Intercomunale dei Servizi alla Persona dei Comuni di Collegno e Grugliasco (vedi box), in partnership con il il Comune di Collegno, il Comune di Grugliasco e l’A.S.L. 5 – Dipartimento patologie delle dipendenze. Alla realizzazione del progetto partecipano anche altri soggetti, ciascuno dei quali con specifici ruoli, come si vedrà meglio oltre:

a) il Centro per l’impiego di Rivoli; b) la cooperativa sociale “La Carabattola” di Grugliasco; c) l’Ente di Formazione professionale “Casa di Carità Arti e Mestieri” di

Grugliasco.

Il progetto si inserisce nel filone dell’educativa territoriale rivolta ad adolescenti e giovani; questo approccio si basa sul concetto che il territorio, oltre ad essere produttore e sede di marginalità, disagio o devianza, può divenire al tempo stesso agente di prevenzione e promozione sociale. Affinché ciò si realizzi, a parere dei referenti e responsabili di progetto occorre “da un lato potenziare le attività rivolte a tutti i giovani, dall’altro sostenere quelle che diminuiscono lo svantaggio di alcuni rispetto ad altri, senza però creare gruppi e strutture che isolino i minori disagiati dalla rete di risorse del territorio”. Poiché i meccanismi di crescita del disagio si fondano sul tipo, modo, qualità e quantità di relazioni sociali di un individuo o un gruppo, incidere su questi meccanismi significa, dunque, innescare cambiamenti nelle relazioni che l’ambiente ha rispetto alla persona e viceversa. L’educatore di territorio garantisce così la mediazione tra individuo in difficoltà e ambiente, favorendo la crescita e l’avvicinarsi di entrambi. Il modello di riferimento adottato nel progetto considera l’adolescente in disagio o in manifesta devianza nella sua complessità affettiva e psicosociale, con difficoltà a svolgere i compiti evolutivi che gli sono richiesti e prevede come intervento il supporto relazionale, tra cui appunto l’educativa territoriale. Il presupposto di fondo è adottare un approccio nel quale, pur sottolineando l’importanza dell’accettazione e della tolleranza della diversità, possano svilupparsi ulteriormente processi di cambiamento, autopromozione e protagonismo adolescenziale, connettendo il lavoro sul singolo con l’azione sul territorio. Il progetto prevede, quindi, sia l’accompagnamento, tramite l’offerta di aiuto e il supporto nella condivisione dei

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percorsi di vita quotidiana del ragazzo, sia la promozione di capacità tramite lo sviluppo delle potenzialità personali e di gruppo, l’incremento di competenze ed abilità, la sperimentazione di tecniche e metodi di azione in diversi campi: relazionale, creativo, lavorativo. Il progetto “Ci sei e ci fai”, immaginato inizialmente per la prevenzione delle dipendenze, ha sviluppato in seguito un modulo specifico finalizzato ad incidere sul fenomeno del disagio adolescenziale e, in particolare, sulle problematiche collegate alla dispersione scolastica. Come più volte ricordato in altre parti della ricerca svolta in provincia di Torino, proprio la dispersione scolastica è uno dei fattori di rischio più rilevanti per lo sviluppo di un percorso patologico di devianza e questo trova conferma anche nelle opinioni dei referenti e responsabili del progetto laddove dichiarano che “tra le variabili che delineano una condizione di rischio vi sono l’interruzione precoce dei percorsi formativi, l’inserimento precario nel mondo del lavoro e la difficoltà di socializzazione con i coetanei”.Il modulo finalizzato al miglioramento dell’educativa territoriale si traduce nei seguenti obiettivi specifici: estensione dell’educativa di strada; aumento del lavoro con le famiglie dei ragazzi e loro coinvolgimento attivo; aumento dell’attenzione rispetto ai minori stranieri svantaggiati presenti sul territorio e alle loro famiglie all’interno delle attività di educativa territoriale; aumento del coinvolgimento delle ragazze nelle attività di educativa territoriale, in cui la presenza maschile è predominante; aumento del protagonismo dei giovani e della loro partecipazione attiva alla vita sociale. Il progetto si inserisce in un background consolidato: dal 1996, infatti, sul territorio si è realizzata un’esperienza di educativa di strada in due borgate. Questa esperienza, dopo aver superato le fasi di mappatura e ricognizione del territorio e di contatto con i giovani, si è successivamente strutturata con il progetto “Ci sei e ci fai”. In seguito alla sperimentazione rivolta alla prevenzione delle dipendenze si è poi sviluppato il modulo di prevenzione della dispersione scolastica che nasce come naturale estensione del progetto originario poiché, secondo quanto dichiarato da un responsabile del progetto stesso, “l’azione specifica sulla dispersione, prevista nel progetto, è partita dalla constatazione che parte del nostro lavoro riguardava già adolescenti e, quindi, è sembrato importante affiancare iniziative finalizzate ad evitare il fallimento anche attraverso una conoscenza più approfondita degli adolescenti”.

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Qualche notizia sul C.I.S.A.P.

Il C.I.S.A.P. - Consorzio Intercomunale dei Servizi alla Persona dei Comuni di

Collegno e di Grugliasco - ha preso avvio nel gennaio 1996 per volontà dei due

Comuni che, a fronte dei cambiamenti legislativi che hanno determinato la

trasformazione delle Unità Socio-Sanitarie Locali da Enti strumentali dei Comuni

ad Aziende Sanitarie Locali, hanno scelto la forma istituzionale del Consorzio per

continuare a gestire i Servizi Socio Assistenziali in modo associato, come già

avveniva fin dal 1983 con la delega all’USSL. La gestione associata delle funzioni

socio-assistenziali da parte dei Comuni di Collegno e Grugliasco ha consentito, in

questi anni, di realizzare un ampliamento degli investimenti sia sul piano delle

risorse finanziarie che su quello delle risorse professionali, razionalizzando ed

ottimizzando l’uso delle risorse rispetto al bacino operativo (fonte:

www.cisap.to.it). In ambito socio-educativo il C.I.S.A.P. realizza attualmente

diversi interventi rivolti ad adolescenti, in collaborazione con la Cooperativa

Sociale “La Carabattola”: educativa di strada in due borgate (una a Collegno ed

una a Grugliasco), educativa territoriale individuale (tra cui il sostegno

all’inserimento in borsa lavoro di adolescenti svantaggiati), comunità diurna,

comunità alloggio residenziale, gruppi di sostegno alla genitorialità.

Dal punto di vista dei finanziamenti e delle risorse a disposizione, il progetto “Ci sei e ci fai” dal 2006 dispone di finanziamenti erogati dalla Provincia di Torino e dal C.I.S.A.P., oltre alle collaborazioni già ricordate. Il Progetto originario (anni 2003-2005) è stato invece finanziato in toto dalla Regione Piemonte con legge n. 45/1999 per la Lotta alla Droga.

6.1.2 Tipologia delle azioni e modalità di relazione con gli utenti Con specifico riferimento alle attività dedicate ai ragazzi drop-out, il progetto “Ci sei e ci fai” realizza un inserimento sociale e lavorativo con le seguenti finalità specifiche: sviluppo di attitudini e capacità dei ragazzi e di abilità sociali; reinserimento di alcuni ragazzi nel circuito scolastico; reinserimento dei ragazzi nel più ampio circuito formativo previsto dalla normativa vigente fino alla maggiore età; facilitazione dell’inserimento nel mondo del lavoro in collaborazione con i C.F.P. ed il Centro per l’Impiego di Rivoli, anche sotto forma di stage, tirocini, borse-lavoro, etc. Obiettivi più generali del progetto sono altresì l’aumento della coesione di gruppo, della cooperazione e del senso della collettività, il miglioramento della competenza sociale, della conoscenza di se stessi e della capacità di progettazione del proprio futuro, la riduzione del senso di abbandono sperimentato da molti ragazzi già

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all’interno della famiglia e poi confermato all’esterno. In questo senso, la presenza all’interno del progetto della figura dell’educatore contribuisce a soddisfare tali carenze, dedicando attenzione e consentendo una nuova fiducia dei ragazzi verso il mondo adulto. Operativamente, l’inserimento sociale e lavorativo dei ragazzi drop-out si realizza attraverso l’attivazione di moduli collettivi strutturati propedeutici all’inserimento nel mondo del lavoro; tali moduli coinvolgono circa trenta ragazzi all’anno (quindici per ogni modulo, per due moduli all’anno, ovvero quattro moduli nel biennio) e prevedono attività di orientamento al lavoro, motivazione, counseling, bilancio di competenze, empowerment, per circa trenta ore per modulo. Ai moduli collettivi si affiancano attività educative mirate (ludiche, socializzanti, tecniche di ricerca attiva del lavoro, …), interne ed esterne, che coinvolgono trasformazioni psichiche ed emozionali, relazioni interpersonali, rapporti sociali ed istituzionali, con l’obiettivo di affrontare in modo concentrato ed intrecciato passaggi irrisolti precedenti.In pratica, la sezione del progetto “Ci sei e ci fai” dedicata in modo specifico alla dispersione scolastica si sviluppa quindi secondo il seguente iter:

1. ogni anno vengono attivati due moduli annuali propedeutici all’inserimento nel mondo del lavoro per circa trenta ragazzi drop-out all’anno (quindici per ogni modulo). Le attività svolte in questa fase prevedono: l’orientamento al lavoro, la motivazione, il counseling, il bilancio di competenze, l’empowerment per un totale di circa trenta ore per ogni modulo. I moduli sono svolti dall’Ente di Formazione Professionale “Casa di Carità Arti e Mestieri” di Grugliasco, in collaborazione con gli educatori della Cooperativa “La Carabattola”

2. successivamente alle citate attività, per i ragazzi che hanno partecipato al modulo di cui al punto precedente, il Centro per l’Impiego di Rivoli attiva i tirocini presso le aziende preventivamente contattate, con erogazione di borse-lavoro da parte dei Comuni di Collegno e di Grugliasco. Per i giovani in tirocinio è previsto l’affiancamento di un educatore della Cooperativa “La Carabattola” come figura di mediazione tra il luogo di lavoro, la famiglia e lo stesso utente.

Per quanto riguarda gli attori del progetto e i relativi ruoli, l’Ente di Formazione professionale “Casa di Carità Arti e Mestieri” realizza in particolare i moduli propedeutici finalizzati all’orientamento e all’inserimento nel mondo del lavoro, avendo maturato esperienza sul territorio nel periodo compreso tra il 1999 e il 2001. Il Centro per l’Impiego di Rivoli si occupa della ricerca di strutture aziendali disponibili a tirocini, trovando imprese disponibili ad accogliere i ragazzi in tirocinio, e della loro attivazione per chi ha partecipato al modulo, con erogazione di borse-

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lavoro da parte dei Comuni di Collegno e di Grugliasco, in base alla residenza del giovane.In questo modo, ai soggetti dispersi si offre la possibilità di sperimentare esperienze lavorative20 e questo appare un elemento importante poiché semplifica il processo e il lavoro degli educatori: “il pezzo della ricerca delle aziende per lo stage lo fa il Centro per l’Impiego e questo è un grande vantaggio perché permette di evitare all’educatore di “battere porta a porta” per cercare un’azienda ospitante” (responsabile di progetto).

6.1.3 Caratteristiche dell’utenza e modalità di contatto Destinatari del progetto “Ci sei e ci fai” nel suo complesso sono circa duecentocinquanta ragazzi per biennio con particolare riferimento a: ragazzi dell’educativa strada (in due nuove borgate), ragazzi drop-out, ragazze, minori stranieri, interventi individualizzati in comunità diurna. La sezione dedicata ai giovani drop-out coinvolge nello specifico circa trenta ragazzi all’anno. Il primo contatto con gli utenti arriva dai Servizi Sociali, dagli educatori di strada, ma anche dagli operatori del Centro per l’Impiego; in ogni caso, la “presa in carico avviene essenzialmente da queste tre fonti. O è l’educatore che parla di questo progetto e poi manda il ragazzo al Centro per l’Impiego, oppure può accadere il contrario, ovvero che il ragazzo arrivi al Centro per l’Impiego dove gli vengono prospettate le attività previste nel progetto. (…) Ognuno fa la sua parte, poi naturalmente la famiglia viene informata e chiediamo una partecipazione perché può anche capitare che le famiglie “remino contro21” (responsabile di progetto). Quando un adolescente appartiene ad un contesto socio-familiare svantaggiato ha una probabilità di sperimentare un percorso patologico di devianza molto superiore rispetto ad un altro coetaneo. La presenza di condizioni svantaggiate sul piano personale, relazionale e sociale riduce gli stimoli che permettono all’adolescente di affrontare in modo costruttivo l’evoluzione della propria identità, in quanto i ripetuti insuccessi ne compromettono l’autostima. I ragazzi drop-out coinvolti nel progetto hanno generalmente sperimentato vissuti negativi con la scuola, oltretutto in un contesto in cui questa rappresenta spesso il

20 La Provincia di Torino, infatti, nell’ambito del Piano provinciale di attività di Orientamento per l’obbligo formativo, ha messo in atto nella Zona Ovest il progetto strategico “Orientarsi”, sperimentando un modello di intervento integrato e sinergico tra le strutture del Centro per l’Impiego, il Patto territoriale Zona Ovest, il C.I.S.A.P. e le Scuole superiori. Attraverso le attività già in atto nel progetto “Ci sei e ci fai” è stato possibile coinvolgere i ragazzi dispersi dal punto di vista scolastico/formativo e proporre loro percorsi guidati di formazione al lavoro, affinché potessero sperimentare esperienze lavorative. 21 La difficoltà di relazione con le famiglie e il ruolo conflittuale e spesso negativo è un elemento ricorrente in tutto il lavoro di ricerca realizzato nell’area provinciale torinese.

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sostituto della famiglia. In simili casi, dove il patto implicito tra famiglia, scuola e ragazzo è stato più volte violato, è importante mettere in contatto i protagonisti e riformulare il patto. A questo percorso di ricostruzione della relazione partecipa anche il Servizio Sociale che appare “una presenza di garanzia e protezione per il ragazzo, ma anche una presenza istituzionale che può essere importante soprattutto quando il confine tra condotte trasgressive e condotte criminali diventa estremamente labile”.Per i ragazzi che proseguono il percorso con inserimenti nel mondo del lavoro sotto forma di stage, tirocini, borse-lavoro, si prevede l’affiancamento di un educatore come figura di mediazione tra il luogo di lavoro, la famiglia ed il ragazzo. Per quanto riguarda i bisogni degli utenti, questi vengono individuati nel corso di colloqui specifici, ma il traguardo finale non è forzatamente l’inserimento lavorativo: “l’obiettivo primario non è necessariamente trovare lavoro ai ragazzi, ma fare cambiare il loro stile di vita, fare conoscere le regole del vivere comune, il mercato del lavoro; naturalmente se il lavoro poi arriva è un sub-obiettivo realizzato. Noi (attraverso il progetto, n.d.a.) li portiamo al termine del tirocinio e a quel punto il ragazzo rientra in formazione oppure si consolida la componente del lavoro. Il ragazzo può anche entrare in apprendistato. (…) Si portano i ragazzi in aziende e durante il tirocinio si integra con la formazione con l’obiettivo o di essere assunti, ma al di là di quello è importante che i ragazzi imparino le regole del lavoro, cosa significa avere degli orari, la puntualità. In alcuni casi si verifica anche l’obiettivo più difficile da realizzare, ovvero il rientro del ragazzo in formazione” (responsabiledi progetto). Dal punto di vista delle modalità e degli strumenti di primo approccio all’utenza, ancora una volta emerge l’importanza imprescindibile della reciprocità della relazione e, al contempo, dell’utilizzo di metodologie non tradizionali. L’abbandono scolastico, infatti, si accompagna inevitabilmente alla ristrettezza dell’uso della parola, alla notevole difficoltà nell’uso degli spazi simbolici ed, in generale, alla prevalenza dell’agire sul pensare. A parere dei referenti di progetto, è necessario, quindi, che “la comunicazione ed il contatto avvengano più su basi emozionali e relazionali che concettuali”.Con questa consapevolezza, nello svolgimento del progetto una particolare attenzione è dedicata all’acquisizione di capacità di relazioni sociali sia in contesti socializzanti sia nel mondo del lavoro (con il datore di lavoro, i colleghi, i clienti…), la problematicità delle quali spesso è motivo di emarginazione o espulsione. Appare altresì rilevante “l’attenzione alla competenza comunicativa e al miglioramento della consapevolezza delle strategie che si possono attivare per rendere più significative le relazioni interpersonali, nella direzione di costruire progetti di vita nei quali inevitabilmente la dimensione relazionale risulta centrale, imprescindibile” (responsabile di progetto).

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Il punto di vista dei destinatari del progetto

Al pari di tutti i giovani intervistati, la ragazza ama molto la musica, confermando

il potere taumaturgico di questo strumento già emerso in vari contesti, non ha

hobby, legge poco e ha sperimentato una relazione conflittuale con la scuola, in

particolare nella fase di passaggio dalla scuola secondaria di primo grado a quella

superiore. Tutti i suoi amici appartengono a coorti di età superiori, elemento

esperienzale nuovamente ricorrente nelle biografie di questi giovani. La ragazza

nel progetto “Ci sei e ci fai” sta seguendo la fase di orientamento; quando andrà

in tirocinio vorrebbe poter andare in un bar o in un negozio come commessa.

“Non è che mi piacesse proprio andare a scuola, io avevo l’ambizione di fare la parrucchiera, ma le scuole che sono sovvenzionate dalla Regione sono sovraffollate e quelle private non me le posso permettere. Secondo me per fare la parrucchiera ci vuole comunque una qualifica, è indispensabile. (…) Io ho fatto due volte la prima (della scuola secondaria di secondo grado, n.d.a.), con i compagni di classe mi sono sempre trovata bene, mentre i professori mi avevano preso di mira perché quando ero più piccola mi vestivo da punk, era soprattutto il professore di italiano a fare così. Alle medie ho preso buono, poi non so che cosa è successo, io non ho mai fatto casino a scuola, verso gennaio ho cominciato ad andare, non andare, e a metà maggio ho smesso del tutto di andare a scuola. I miei genitori ci sono rimasti male, anzi sono stati forse troppo indulgenti, mia madre voleva che continuassi gli studi, ma io non avevo più voglia” (femmina, 16

anni).

6.1.4 Operatori coinvolti e fabbisogni formativi Il team operativo del progetto “Ci sei e ci fai” è un’équipe integrata composta da tutor appartenenti all’area della formazione professionale, che da tempo operano anche nell’ambito delle fasce deboli, da educatori che contattano e seguono i ragazzi sul piano educativo “professionale” e da assistenti sociali. In situazioni specifiche può essere coinvolto lo psicologo dell’età evolutiva operante sul territorio. Il progetto ha anche “una cabina di regia” composta dal C.I.S.A.P., da operatori/tutor del Centro per l’Impiego, dal responsabile della Cooperativa Sociale “La Carabattola”, da operatori dell’Ente di Formazione professionale “Casa di Carità Arti e Mestieri”. La “cabina di regia” effettua incontri di coordinamento, verifica e ritaratura delle attività in itinere circa una volta al mese. L’équipe di lavoro è invece composta da due tutor, altri due tutor del Centro per l’Impiego e tre/quattro educatori, oltre a borsisti che sono attivati su singoli progetti.

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Il punto di vista dell’educatore

“Questi ragazzi hanno pochi interessi personali, non hanno strumenti per scegliere, non sanno che cosa fare, prendono in prestito le idee da altri. Nelle loro scelte sono più determinanti i gruppi di amici che le famiglie22. Con questa consapevolezza abbiamo strutturato il progetto affinché i ragazzi riescano poi a gestire in autonomia la propria vita al termine della loro esperienza nel progetto. Ci siamo accorti, infatti, che le scelte obbligate sono le peggiori ma anche le scelte in totale autonomia possono essere tragiche. Ci siamo comunque dati come obiettivo non il lavoro “nudo e crudo”, ma abbiamo anche dato per scontato che l’esperienza e l’opportunità di sperimentarsi fosse comunque un risultato; nel tempo ci sono stati, infatti, ragazzi che sono entrati in tirocinio ma che poi non hanno retto. Per questo motivo, secondo noi (educatori, n.d.a.) che siamo in contatto continuo con i ragazzi c’è la necessità di dare spazio a quelli che terminano il percorso non necessariamente con l’assunzione anche dopo il termine del progetto. (…) Il progetto si articola in: fase di orientamento, ore d’aula in cui si parla del lavoro, dei diritti e dei doveri, non si fanno materie curriculari. Alla fine dell’orientamento si chiede ai ragazzi di fare un colloquio individuale per orientare le scelte del tirocinio. I ragazzi arrivano già alla fine dell’orientamento con la determinazione di voler andare a lavorare23. Si danno loro tre scelte proprio per evitare di ripetere l’errore della scuola di obbligare i ragazzi a fare un percorso che non volevano fare. L’obiettivo di fondo è: personalizzazione. Noi (educatori, n.d.a.) lavoriamo in coppia, maschio e femmina, come Cooperativa copriamo quattro zone, due lavorano nello stesso quartiere gli altri si distribuiscono dove serve. Come operatori noi cerchiamo di partecipare alle reti, ma le reti sono poche e sono specializzate, noi non abbiamo un’associazione di categoria, la nostra conoscenza è per forza all’interno del quartiere dove lavoriamo. La mia scelta è maturata in maniera diversa da chi si è iscritto all’università o alla formazione di base: io credo in quello che faccio e questa mission da volontario ti rimane. Lo ripeto, il ruolo dell’educatore non è trovare un lavoro agli adolescenti in difficoltà a tutti i costi, ma è aiutarli a trovare un’identità”.

22 Elemento ricorrente in tutte le fasi della ricerca (focus group, interviste ai giovani dispersi, agli stakeholder).23 Sono, infatti, i ragazzi stessi a dichiarare con forza il loro orientamento al lavoro, in contrapposizione spesso ad un’esperienza scolastica sofferta, conflittuale e frustrante. Il lavoro è vissuto come un’opportunità di riscatto e autonomia, non solo economica ma riguardante tutto il percorso di crescita e costruzione del proprio progetto di vita (si veda a questo proposito quanto riportato nel capitolo relativo alle interviste rivolte ai giovani dispersi).

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Il lavoro con i ragazzi, secondo quanto dichiarato dagli operatori di progetto, è spesso faticoso e richiederebbe talvolta delle ‘pause’. In questo scenario appaiono importanti le occasioni di formazione “che non siano però generiche e nebulose”, ma “pratiche ed utilizzabili”. I fabbisogni formativi degli operatori sono molteplici, ma possono essere ricondotti essenzialmente alle metodologie di contatto, gestione e osservazione di ragazzi a rischio di dispersione. Ascoltando le opinioni degli operatori, emerge la difficoltà fisiologica a relazionarsi con gli utenti e con le famiglie e questo richiede una grande empatia e capacità di ascolto che si configurano in certi casi quasi come una ‘missione’. Aldilà, infatti, della formazione specifica, gli educatori dimostrano grande entusiasmo per il lavoro svolto. A tale proposito, appare interessante la seguente storia biografica: “io sono un educatore di strada, ho un diploma di ragioneria, mi sono iscritto a Scienze politiche, poi ho cambiato indirizzo, ma non mi sono ancora laureato. La mia prima esperienza lavorativa è stata il magazziniere, poi ho fatto per un po’ di anni l’agente assicurativo, anche se nella vita privata durante tutto questo periodo ho sempre fatto il volontario a Collegno. Quando è nato il progetto, ho maturato la possibilità di fare un corso di riqualificazione per educatori e così ho cominciato a fare di questa passione un vero lavoro” (educatore operante nel progetto).

6.1.5 Valutazione e rilevanza del progetto, esiti e impatti Con la consapevolezza che la difficoltà a valutare il lavoro educativo ed, in particolare, il lavoro di strada sconta spesso gli inconvenienti dell’utilizzo di metodologie tradizionali di valutazione nell’ambito del lavoro sociale, il progetto “Ci sei e ci fai” prevede un sistema di valutazione di tipo interno basato su indicatori qualitativi e quantitativi: “è sempre più evidente che la qualità di un intervento come quello progettato non si può misurare solo attraverso il numero dei ragazzi contattati o il numero degli eventi organizzati, ma soprattutto attraverso il cambiamento che si stimola e si produce nei processi relazionali e che tutti i soggetti devono imparare a tradurre in indicatori” (responsabile di progetto). Il sistema di valutazione prevede, dunque, indicatori sia di processo (ore reali di frequenza alle attività di orientamento, frequenza alle attività integrative al modulo, etc.), sia di risultato (famiglie coinvolte nel progetto e, in particolare, quelle coinvolte negli incontri di gruppo degli educatori, numero di minori stranieri inseriti nelle attività educative, numero di ragazze inserite nelle attività, numero di minori re-inseriti nel circuito scolastico e formativo, numero di ragazzi inseriti nel mondo del lavoro, anche sotto forma di stage, tirocini, borse-lavoro). In alcuni casi la misurazione del raggiungimento degli obiettivi non può avvenire nel biennio di durata del progetto ma dopo alcuni anni. In prospettiva autovalutativa, l’opinione dei referenti, dei responsabili e degli operatori in merito al progetto è complessivamente positiva. In particolare, i punti di

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forza del progetto appaiono: il fatto di lavorare in rete con altre agenzie; la collaborazione tra soggetti diversi con punti di vista differenti che rafforza la complementarietà; la capacità di relazionarsi con le famiglie (in questo senso le attività di orientamento rappresentano un fattore di rinforzo estremamente efficace); la possibilità di offrire ai ragazzi un’occasione concreta di sperimentazione su motivi più alti rispetto alla loro vita; la considerazione anche verso le aziende che in qualche misura “dimostra che non tutti questi ragazzi sono dei “lavativi”, ma che ci sono anche adolescenti che non studiano e che sono validi”. Al contrario, i punti di debolezza appaiono legati alla difficoltà di individualizzare i percorsi, poiché “ogni ragazzo è un’incognita, è una storia a sé”; la provvisorietà delle previsioni e delle stime di raggiungimento di obiettivi certi; la penuria e il carattere non continuativo dei finanziamenti che producono incertezza nei percorsi (“tu metti in piedi i tavoli, i tutor, i tirocini e “navighi a vista” perché non sai se potrai poi andare avanti”).

Il ruolo auspicato della Provincia di Torino

La Provincia di Torino svolge già il proprio ruolo avendo finanziato il progetto fino

al 2007 e attraverso la collaborazione con il Centro per l’Impiego. In prospettiva

futura, gli intervistati individuano comunque quale ambito di intervento e

sviluppo la maggiore presenza di operatori abituati a stare con ragazzi drop-out.

In questo senso, la Provincia potrebbe prevedere l’intervento di persone dal

basso, creare meno distanza tra chi accoglie e chi va al Centro per l’Impiego,

incentivando negli operatori le modalità di lavoro di tipo empatico.

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6.2. In…pari di più. Prevenzione della dispersione attraverso 6.2. In…pari di più. Prevenzione della dispersione attraverso 6.2. In…pari di più. Prevenzione della dispersione attraverso 6.2. In…pari di più. Prevenzione della dispersione attraverso l’integrazione sociolinguistica nomadi e stranieril’integrazione sociolinguistica nomadi e stranieril’integrazione sociolinguistica nomadi e stranieril’integrazione sociolinguistica nomadi e stranieri

l progetto “In…pari di più”, attivo dal 200124, è finalizzato all’integrazione sociolinguistica di ragazzi nomadi e stranieri, al fine di prevenire e limitare il

verificarsi di fenomeni di dispersione. È promosso dall’Istituto Comprensivo Leonardo Da Vinci di Torino. L’area territoriale di riferimento è la Circoscrizione 6 della città di Torino, con particolare riferimento alla zona di Falchera nella quale si trova l’Istituto Comprensivo, formato da sei plessi (tre scuole secondarie di primo grado, due scuole primarie e una scuola dell’infanzia) con una popolazione scolastica

complessiva pari a circa 1.000 alunni all’anno.

6.2.1 Obiettivi, organizzazione e gestione del progetto L’area territoriale della Città di Torino, nella quale è inserito il plesso scolastico promotore e realizzatore del progetto, ha un tessuto socioeconomico abbastanza definito. Da questo punto di vista, il livello generale è medio-basso e anche dal punto di vista dei livelli di istruzione la percentuale di laureati appare inferiore a quella media. Tuttavia, la zona si è modificata nel tempo; Falchera attualmente può essere considerata un “borgo satellite” di Torino che, tuttavia, a parere del responsabile di progetto, ha mantenuto e preservato una certa connotazione di quartiere, nonostante la presenza esigua di servizi. Falchera “è e resta una periferia, anche se ora è maggiormente collegata con i mezzi ed è sicuramente più facile raggiungere il centro rendendo più facile l’accesso ai servizi”.

24 Secondo quanto dichiarato dai responsabili di progetto, a partire dal 2001, infatti, il flusso di migranti ha assunto una particolare rilevanza.

I

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Secondo i responsabili e referenti di progetto, in generale a livello territoriale il fenomeno della dispersione scolastica si è trasformato nel tempo rendendo più difficili le diagnosi e più difficoltose le stime e le rilevazioni quantitative. Infatti, se in passato era più facile classificare le varie scuole rispetto al tasso di dispersione potenziale ed effettivo, utilizzando il criterio della collocazione territoriale, negli anni la dispersione si è aggravata a seguito dei flussi migratori che hanno appunto reso il fenomeno più difficilmente prevedibile. L’aumento di tali flussi ha provocato cambiamenti considerevoli, determinando, da una parte, un riequilibrio casuale e, dall’altra, mantenendo le caratterizzazioni già presenti. Dal punto di vista della presenza di stranieri, a parere degli intervistati, la distribuzione sul territorio provinciale non appare omogenea: ci sono, infatti, “sempre e comunque isole felici. Basta andare ai piedi della collina, lì ci sono istituti che hanno una bassa percentuale di immigrati. (…) Sicuramente il grosso dell’immigrazione all’interno della provincia è avvenuto in modo rilevante negli ultimi dieci anni. Naturalmente, esistono anche altri fenomeni nostrani che determinano il fenomeno della dispersione; ci sono, infatti, delle differenze sociali all’interno della popolazione torinese antiche e tuttora irrisolte”. Per quanto riguarda nello specifico i nomadi, a Falchera sono presenti molti nomadi stanziali, per i quali l’Istituto Comprensivo rappresenta prevalentemente la struttura scolastica di riferimento, mentre, solo in tempi più recenti, è arrivata anche una parte di nomadi che vive invece in aree attrezzate. Secondo i responsabili di progetto i nomadi del campo presentano specificità di non facile soluzione poiché “vivono realtà totalmente diverse, è difficile farli frequentare, non riesci a contattare le famiglie, non hanno idea di cosa vuol dire rispettare gli orari, noi (insegnanti, n.d.a.) siamo costretti comunque ad accoglierli in classe, loro però non ti portano i certificati medici e tu hai paura di mettere a rischio la sicurezza degli altri studenti, l’anno scorso ad esempio c’è stata un’epidemia di epatite. (…) Tra i nomadi del campo c’è anche il problema delle faide che lì si producono con maggiore violenza. (…) Le ragazze, inoltre, non possono tradizionalmente studiare oltre la terza media perché poi devono rientrare in percorsi prestabiliti di tipo familiare”.

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Caratteristiche dell’area territoriale in cui il progetto si realizza

Il quartiere Falchera, che nasce in una zona ai confini della Città di Torino, chiuso

a Nord dalla tangenziale e ad Ovest dall’autostrada Torino-Milano, ha un territorio

che può essere suddiviso essenzialmente in due parti: Falchera vecchia (tra

l'autostrada Torino-Milano e la provinciale per il Canavese) e Falchera nuova (tra

la provinciale per il canavese e la tangenziale). La storia del quartiere è legata

particolarmente al problema della casa, alle lotte per l’assegnazione degli alloggi

popolari e alle difficoltà strutturali di un ambiente cresciuto troppo in fretta. La

situazione è attualmente migliorata grazie soprattutto all’opera svolta dalle

associazioni culturali e sociali e alla presenza delle istituzioni; permangono,

tuttavia, situazioni di degrado ambientale, di scarsa dinamicità del tessuto

economico e di disagio socio–culturale. Aspetti che risentono fortemente

dell’isolamento territoriale del quartiere dal resto della Città e dell’incidenza

negativa che questo ha rispetto a prospettive di sviluppo. Falchera, tuttavia, a

differenza degli altri quartieri periferici di Torino, ha fatto della sua perifericità un

motivo di aggregazione per fronteggiare congiuntamente e, dunque, con più

incisività, i problemi del suo territorio. Tra le varie iniziative, nel 1999 si è

costituito il Comitato per lo Sviluppo della Falchera, il cui strumento progettuale

ed operativo è il Tavolo Sociale, un organo che, sostenuto dalle istituzioni locali,

ha assunto ormai da diversi anni un ruolo guida nella programmazione dello

sviluppo locale del quartiere. Nel Tavolo sociale, a cui partecipano il Settore

Periferie, la Circoscrizione VI, le scuole di zona, le associazioni, Enti attivi sul

territorio e singoli cittadini, assume sempre più valore la partecipazione giovanile

grazie anche alla recente costituzione di un tavolo giovani.

Il progetto “In…pari di più” si inserisce in questo contesto con l’obiettivo di facilitare l’integrazione sociolinguistica dei giovani nomadi e stranieri attraverso vari percorsi e, quindi, di limitare il verificarsi di fenomeni di dispersione. Seppur nato per questa specifica tipologia di studenti, il progetto non coinvolge però solo questi giovani, anche se gli studenti appartenenti a queste due categorie si configurano quali utenti privilegiati. L’integrazione sociolinguistica si realizza essenzialmente attraverso un percorso articolato in due fasi, ciascuna delle quali si sviluppa in uno specifico contesto:

1) contesto linguistico. Il contesto linguistico è finalizzato a favorire le competenze comunicative aiutando i ragazzi in fase di alfabetizzazione attraverso la realizzazione di corsi articolati di insegnamento della lingua italiana come se fosse una lingua straniera;

2) contesto socializzante. Nell’ambito del contesto socializzante si realizzano iniziative che poggiano sulla creazione di contesti rilevanti finalizzati alla produzione di un evento (un laboratorio alimentare, uno spettacolo teatrale).

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L’alternanza tra i momenti di studio della lingua italiana e la progettazione e realizzazione di un evento socializzante appare estremamente funzionale all’integrazione di questi giovani poiché coinvolge anche le loro famiglie. Dal punto di vista dei costi il progetto prevede uno stanziamento annuo pari a circa 20.000 euro, quasi integralmente finanziati dall’esterno, soprattutto dal Ministero e, in subordine, dalla Regione Piemonte e dal Comune di Torino. La scuola partecipa ma con una quota che varia a seconda dei finanziamenti ottenuti di anno in anno. Alla realizzazione del progetto partecipano, inoltre, associazioni presenti sul territorio che mettono a disposizione risorse umane e strumentali.

6.2.2 Tipologia delle azioni e modalità di relazione con gli utenti Come accennato, il progetto si sviluppa seguendo due filoni: contesto linguistico e contesto socializzante.

Le azioni previste nel contesto linguistico prevedono corsi linguistici di italiano come lingua straniera. Queste lezioni sono differenziate secondo i livelli scolastici: per gli alunni della scuola secondaria di primo grado si svolgono soprattutto in orario extrascolastico, mentre per quelli della scuola primaria sono realizzate in orario scolastico; i bambini della scuola dell’infanzia sono inseriti, invece, solo nei contesti socializzanti poiché sono troppo piccoli per essere avviati all’apprendimento della lingua italiana in modo strutturato. Dal punto di vista dell’impegno in termini di ore, secondo quanto affermato dai responsabili c’è una grande eterogeneità. Volendo offrire un ordine di grandezza, si tratta di circa quaranta ore alla settimana, suddivise tra i cinque plessi (non tra i sei totali, in quanto è esclusa la scuola dell’infanzia). In media, sono circa otto ore di italiano alla settimana per plesso, ma in realtà da una parte sono molto di più e, dall’altra, emerge una grande eterogeneità di bisogni concreti tra i plessi che può giustificare una distribuzione oraria differenziata in corrispondenza di ogni anno scolastico. In caso di necessità vengono utilizzati anche mediatori esterni, non presenti quindi nell’organico della scuola, specialmente se la comunicazione appare particolarmente difficoltosa, come avviene ad esempio con i cinesi.

OBIETTIVO:INTEGRAZIONE

SOCIOLINGUISTICA

AZIONI PER FAVORIRE L’APPRENDIMENTO

DELL’ITALIANO COME LINGUA STRANIERA

AZIONI PER FAVORIRE LA SOCIALIZZAZIONE E

L’APPRENDIMENTO DELL’ITALIANO IN

CONTESTI NON FORMALI

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Per quanto riguarda le azioni finalizzate alla socializzazione e all’apprendimento della lingua italiana in contesti non formali, queste prevedono il coinvolgimento dei giovani e delle loro famiglie nella progettazione e realizzazione di eventi collettivi, in particolare di un laboratorio alimentare e di uno spettacolo teatrale. La realizzazione e progettazione del laboratorio alimentare è parte integrante del progetto “In…pari di più”, ovvero è specificamente dedicato all’integrazione sociolinguistica dei giovani nomadi e stranieri, mentre lo spettacolo teatrale si inserisce in un altro progetto d’Istituto (“Compagni di scena”). Considerata la trasversalità degli obiettivi, nella pratica esiste una compenetrazione e un interscambio tra le due iniziative. Il laboratorio alimentare esiste da circa due anni; è stato immaginato e promosso direttamente dalla referente e responsabile del progetto con l’obiettivo di condividere le competenze e le esperienze tra italiani e stranieri: “Il laboratorio alimentare non è riservato agli stranieri ma è aperto anche agli italiani, anzi scegliamo volutamente alunni italiani altrimenti si creerebbe un ghetto, mentre l’obiettivo è proprio il confronto e lo scambio culturale” (responsabile di progetto). Le attività non si svolgono necessariamente in una unica sede, i responsabili parlano di “sede diffusa”, poiché gli studenti nomadi e stranieri sono presenti in tutti e cinque i plessi. Ogni anno il laboratorio prevede circa cinque incontri di tre ore ciascuno in ognuno dei tre plessi nei quali esso si svolge (il plesso di scuola media B. Chiara, con una popolazione scolastica più numerosa ed eterogenea; il plesso di via Cavagnolo che ospita il laboratorio sia per i ragazzi delle medie che per i bambini dell’elementare Ambrosini; la sede, Leonardo da Vinci, con l’utenza delle classi medie e quella delle elementari Neruda); gli incontri si svolgono sempre in orario extrascolastico. La realizzazione di questi incontri, a parere del responsabile di progetto, “costa molto cara, perché c’è il personale ATA che bisogna pagare in orario straordinario, poi ci sono tutti gli altri costi, dagli alimenti agli utensili. E poi ci sono le persone, mediamente venti persone per incontro, e tu ovviamente devi essere in grado di dare da mangiare a tutti. Noi facciamo la spesa a rotazione, poi si dividono gli ingredienti per i vari plessi, è un lavoro faticosissimo ma ne vale assolutamente la pena”.La gestione del laboratorio alimentare, come appena visto, non è affatto semplice, sia per la tipologia delle attività sia per la sua polverizzazione nei vari plessi; a questo si aggiunge che è necessario, per il raggiungimento degli esiti attesi, che le famiglie degli studenti partecipino in modo attivo, circostanza non sempre semplice da realizzare per la presenza di figli più piccoli. A questo proposito, all’interno del progetto i responsabili stanno studiando una soluzione per accogliere, in un’area attrezzata di baby-sitting, i figli più piccoli (anche neonati) in modo che le madri possano partecipare e soprattutto cucinare con tranquillità. Appare, infine, utile, riportare qualche elemento che caratterizza lo spettacolo teatrale “Compagni di scena”, seppur questa iniziativa non riguardi in modo specifico il

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progetto qui presentato, per le sue specificità e, in particolare, per il suo legame con il territorio. Alla produzione e costruzione dello spettacolo teatrale partecipano tutti gli studenti di diverse nazionalità e questo elemento favorisce l’integrazione tra loro; inoltre, questa iniziativa appare molto seguita anche dalle famiglie anche in prima persona. L’iter per la sua realizzazione è quello tipico degli spettacoli teatrali, solitamente interviene anche un’associazione che fa da guida anche per gli insegnanti (nello specifico ha operato in questi due anni l’associazione Antescena di via Talucchi). “Sono circa cinquanta/sessanta ragazzi tra bambini della materna e delle medie, sono cose bellissime da vedere. Il gruppo esterno propone un tema che è quello su cui lavorano i ragazzi, ma supporta anche le variazioni e le proposte emerse dai ragazzi e dagli insegnanti in itinere; naturalmente si agisce anche dal punto di vista linguistico oltre che espressivo, si fanno le prove e si presenta alla fine lo spettacolo al quartiere e naturalmente a tutti i genitori. Il quartiere segue tantissimo questa iniziativa, i progetti di teatro sono stati due negli ultimi due anni, uno è quello di cui stiamo parlando, nato all’interno della commissione nomadi e stranieri, l’altro è un progetto teatrale di grossa portata che è riuscito a mettere in scena oltre cento allievi; si tratta del gruppo teatrale costituitosi all’interno della scuola con il nome di ‘Con…vinci a teatro’ ” (responsabile di progetto). Alla ‘prima’ dello spettacolo finale partecipano oltre cinquecento fra allievi, insegnanti e genitori; considerato che la scuola non dispone di spazi che possano accogliere un numero così elevato di persone, si utilizza ad esempio la palestra della parrocchia o il teatro dell’associazione Speranza Azzurra, entrambi presenti, ovviamente, sul territorio del quartiere Falchera. La dimensione della partecipazione all’evento dà anche una misura del rilievo che assume questa iniziativa nel favorire la creazione di un legame con la comunità, che risulta fondamentale ai fini di una integrazione che per i più giovani agisce certamente come una vera e propria forma di prevenzione alla dispersione.

6.2.3 Caratteristiche dell’utenza e modalità di contatto Destinatari del progetto sono tutti gli studenti nomadi e stranieri della scuola primaria e secondaria di primo grado. Trattandosi di studenti interni, il primo contatto avviene naturalmente a scuola. Come già ricordato, i corsi di lingua italiana di tipo strutturato sono riservati agli studenti della scuola primaria e secondaria di primo grado, mentre i bambini della scuola dell’infanzia sono inseriti solo nei contesti socializzanti, poiché troppo piccoli per essere avviati all’apprendimento della lingua italiana in modo strutturato. Sul totale di circa 900 studenti, 200 sono stranieri; di questi quelli direttamente coinvolti nelle attività previste nel progetto sono circa 100, poiché molti degli altri sono già integrati. “Per noi i ragazzi stranieri sono quelli che hanno problemi, non tutti gli stranieri per definizione hanno difficoltà, per noi lo straniero è tale se c’è

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una difficoltà nel viverlo” (responsabile di progetto). Non tutti i ragazzi possono essere coinvolti perché non presentano lo stesso livello di integrazione culturale e, soprattutto, di apprendimento linguistico. La prima fase del progetto, infatti, è quella di effettuare una lettura delle situazioni individuali ed è finalizzata ad escludere gli studenti stranieri e nomadi che risultano sufficientemente integrati, ovvero che seguono già con relativa disinvoltura il percorso scolastico. Viceversa, entrano nel progetto tutti quelli che sono da alfabetizzare più tutti quelli che sono al livello immediatamente superiore, ed è proprio in questo senso che lo sforzo di integrazione è contemporaneamente azione di prevenzione alla dispersione scolastica. A tale fine, si effettuano dei test di ingresso tarati sui livelli europei di riferimento. Il progetto si sviluppa lungo tutto l’anno scolastico e prosegue anche l’anno successivo; spesso succede, infatti, che gli alunni che frequentano e partecipano al progetto il primo anno continuano anche nel secondo o, almeno, in parte di esso. Dal punto di vista della provenienza sono presenti giovani di diverse nazionalità: appaiono molto numerosi gli arabi, “…seguiti dai bosniaci, gli albanesi, i cinesi, i rumeni, i russi…vengono da tutto il mondo…” (responsabile di progetto). Un elemento che riemerge con forza e appare indispensabile per la riuscita del progetto è la capacità di instaurare una relazione con i giovani e le loro famiglie, a maggior ragione laddove si verificano situazioni di devianza. “Per lavorare su queste cose bisogna sapere stare con i ragazzi, saperli tenere, sembra banale ma non lo è affatto e non è una abilità che si acquisisce, è una sorta di dote naturale. Di questi ragazzi devi conquistare la stima, la fiducia, promuoverti con autorevolezza, se così non è questi ti mangiano, ti fanno fuori, se invece riesci ad instaurare una relazione li puoi condurre anche in percorsi che ritenevi inimmaginabili” (responsabile di progetto).

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Il punto di vista dei destinatari del progetto

L’utente intervistato è una ragazza marocchina di 14 anni che sta frequentando la

classe terza della scuola secondaria di primo grado. La sua famiglia è composta di

sette persone, i due genitori, due fratelli/sorelle più grandi e due fratelli/sorelle

più piccoli. I fratelli/sorelle hanno sperimentato tutti esperienze di dispersione o

abbandono. Ama la lettura, le lingue straniere e lo sport; in generale, non ha mai

pensato di non volere venire a scuola perché i rapporti dichiarati con i compagni e

con gli insegnanti sono buoni. La ragazza vorrebbe continuare a studiare, non

avere mai problemi di studio, non essere mai bocciata e riuscire a iscriversi alla

scuola media superiore di secondo grado, anche se è consapevole delle sue

difficoltà. Non ha ancora chiaro il percorso che intraprenderà in futuro, anche se

le piacerebbe fare la maestra d’asilo.

Il progetto di integrazione sociolinguistica le è stato proposto dagli insegnanti,

ovvero dalla responsabile di plesso del progetto insieme all’insegnante di lettere.

In particolare, la ragazza ha partecipato al laboratorio alimentare insieme alla

madre e alla nonna: “ho fatto un dolce marocchino, insieme a mia mamma e mia nonna, poi ha fatto anche il pane, quello normale e il pane alle olive” (…) Il laboratorio si svolgeva in un posto dove c’era il materiale, noi dicevamo le ricette e loro facevano la spesa, quando andavamo ci mettevamo in gruppi e ognuno faceva qualcosa e poi lo mangiavamo tutti insieme. A me è piaciuto farlo perché era divertente, io ho mangiato la pasta italiana (…) Mia mamma era contenta e andavamo insieme agli incontri, mio papà invece non veniva perché lavora e mio fratello non ha mai partecipato perché andava a giocare a calcio”.

L’opinione verso gli operatori del progetto è positiva, la ragazza è contenta e

dichiara di essere interessata a partecipare in futuro al progetto insieme con i

suoi genitori.

6.2.4 Operatori coinvolti e fabbisogni formativi Il progetto prevede una specifica Commissione interna, che organizza, coordina, gestisce e controlla tutte le attività. Questa Commissione ogni anno effettua una valutazione ex ante della situazione e delle caratteristiche dell’utenza in modo da realizzare le attività, nell’ambito dei filoni sopra citati, in modo più corrispondente possibile ai reali bisogni dell’utenza. “Noi ogni anno analizziamo la situazione dell’utenza e adattiamo le attività del progetto secondo le caratteristiche degli alunni che abbiamo nelle classi” (responsabile di progetto). Il modulo progettuale che prevede l’integrazione attraverso l’educazione alimentare interculturale viene realizzato con il coinvolgimento di famiglie ogni anno diverse, poiché esse si alternano seguendo i cicli scolastici, a parte i passaggi di classe, dalla prima alla seconda e dalla seconda alla terza. In pratica, il ricambio annuale coinvolge le famiglie fin delle prime classi della scuola primaria.

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Per quanto riguarda il personale della scuola, i docenti sono, tendenzialmente, sempre gli stessi, ovvero sono gli insegnanti che partecipano alla Commissione del progetto e che si occupano di entrambi i filoni (linguistico e socializzante). Il progetto appare fortemente integrato nel territorio; infatti, alla sua realizzazione, partecipano in modo attivo associazioni esterne e, più in generale, tutte le realtà presenti nel “tavolo sociale” di Falchera. La partecipazione di questi soggetti permette di poter disporre di risorse diversamente non ottenibili se non con tempistiche molto lunghe: “il tavolo sociale può anche utilizzare degli operai, ad esempio per montare le scene teatrali, e noi traiamo vantaggio da questo perché ci rivolgiamo a loro così non dobbiamo aspettare i tempi di intervento dell’ente pubblico” (responsabile di progetto). All’interno poi del tavolo sociale ci sono associazioni culturali e ricreative che si occupano del doposcuola e supportano gli insegnanti nell’allestimento dei percorsi alternativi per quelli che sono a rischio di abbandono. Molte volte si tratta delle stesse associazioni che intervengono nel progetto “Provaci ancora Sam”. L’interconnessione, quindi, tra la scuola e il territorio, appare abbastanza stretta; all’interno della stessa scuola, inoltre, esiste una rete interna che mette in contatto la scuola dell’infanzia, le due scuole primarie e le due scuole secondarie di primo grado. Dalle parole dei responsabili del progetto emerge un grande entusiasmo verso le attività svolte; nonostante lo sforzo richiesto per la sua realizzazione; il laboratorio alimentare sembra realizzare davvero quello scambio culturale reciproco che “permette di far scoprire qualcosa di nuovo a tutti”. La testimonianza riportata ne rappresenta un chiaro esempio.

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Il punto di vista di chi opera all’interno del progetto

“Di solito il laboratorio alimentare viene realizzato in primavera. Noi qui non possiamo cucinare, almeno sulla carta, e così all’inizio abbiamo cominciato a pensare a dei laboratori teorici, cercando di aggirare il problema relativo alla preparazione del cibo; noi però siamo sempre riusciti a cucinare e mangiare la nostra roba grazie alle cucine che ci mette a disposizione l’associazione di Padre Mario Loi, Speranza Azzurra; ha delle cucine meravigliose, grandissime e ha la sede qui vicino nel quartiere. Il laboratorio è partito da subito con il coinvolgimento delle famiglie e vi è stata una partecipazione straordinaria perché è un modo di vivere la dimensione scolastica in modo diverso. In pratica, si tratta di realizzare alcune ricette di cucina a scopo dimostrativo cercando di scegliere quelle delle etnie maggiormente presenti nel nostro Istituto. Ad esempio, abbiamo preparato il tè alla menta, predisponendo delle schede tecniche per capire, non solo come concretamente esso si prepari, ma anche il significato che assume nell’area del magreb presso le popolazioni che ne fanno largo uso. Le mamme russe hanno realizzato le crepes, con i rumeni abbiamo preparato la polenta rumena, con i cinesi il riso alla cantonese e, in questo caso, i genitori sono stati indispensabili per il reperimento degli ingredienti che loro avevano già in casa. Per facilitare lo scambio comunicativo, ci siamo anche avvalsi di mediatori perché le mamme che partecipano, spesso, non parlano l’italiano. Le mamme sono tutte bravissime in cucina, noi facciamo pena! Muovono farine e pagnotte e io resto incantata e loro non sanno neanche di avere delle competenze da trasferire ad altri”.

Per quanto riguarda le competenze richieste agli insegnanti per partecipare in modo efficace al progetto, emerge l’esigenza di conoscere e saper utilizzare metodi e approcci non tradizionali. Si delinea nuovamente la necessità di formazione e specializzazione mirate che appare un elemento trasversale a tutti i progetti. “L’anno scorso ho chiesto che ci fosse una maggiore professionalizzazione dell’intervento da parte delle persone coinvolte, nel senso che al progetto non partecipassero solo insegnanti motivati e interessati ma che ci fosse una formazione specifica standardizzata per tutti gli insegnanti impegnati in esso. Ho dato tempo ai componenti del gruppo di formarsi almeno fino ad un certo livello di base per continuare ad operare e poi io conto che la formazione successivamente diventi strutturata in modo che gli insegnanti intervengano sulla base di specifiche competenze acquisite”(responsabile di progetto). Appare, infatti, fondamentale, superare l’approccio tradizionalmente utilizzato nei percorsi di apprendimento della lingua italiana per studenti italiani poiché la traslazione e l’applicazione in contesti in cui l’italiano “è per loro una lingua straniera” non produce i risultati attesi. “Facciamo un esempio: l’insegnante di italiano non è affatto esperto nell’insegnamento dell’italiano come lingua straniera; rischia così di insegnare la lingua italiana come la insegnerebbe agli italiani e così

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non serve assolutamente a niente. Questi (gli stranieri, n.d.a.) hanno bisogno di sapere l’italiano per comunicare, quindi non a caso quelli che sono più pronti ad intervenire sono appunto gli insegnanti di lingua straniera che sono più naturalmente preparati ad insegnare una lingua seconda; adottano un approccio funzionale di tipo comunicativo, partono da campioni di lingua parlata per poi passare a strutturazioni di tipo linguistico. Al contrario, l’insegnante di italiano, anche se è bravo, rischia di essere noioso o, peggio, inefficace” (responsabile di progetto). A parte le specifiche competenze necessarie per favorire l’alfabetizzazione, appare fondamentale che gli insegnanti e gli operatori abbiano, o si dotino, di un buon livello di flessibilità culturale, elemento trasversale a tutte le azioni e necessario per qualsiasi figura professionale che lavori in un contesto multi-etnico.

6.2.5 Valutazione e rilevanza del progetto, esiti e impatti La valutazione del progetto viene effettuata in primo luogo in termini di strutturazione progressiva di tutte le sue fasi, attraverso le valutazioni dei profili in ingresso e in uscita, e con verifiche finali realizzate attraverso dei test. Attualmente, il nucleo di valutazione interno al progetto sta effettuando la standardizzazione sia dei processi, sia degli strumenti utilizzati in ingresso e in uscita. Per quanto riguarda l’autovalutazione in termini di punti di forza del progetto, questi riguardano soprattutto la presenza di un “doppio filone” di intervento, ovvero la presenza dell’apprendimento linguistico formale affiancato da attività laboratoriali fortemente socializzanti e centrate su un progetto e sulla costruzione di un prodotto finale di valenza pubblica. Questo permette la compresenza della “solennità” e della “piacevolezza”. Un altro punto di forza riguarda la continuità progettuale che rende stabili gli obiettivi e continuativi gli interventi realizzati. I punti deboli dichiarati sono riconducibili all’esigenza di professionalizzare maggiormente l’intervento, attraverso la formazione specifica degli insegnanti, e strutturare meglio i percorsi formativi, mentre le difficoltà appaiono di tipo fisiologico, poiché i numeri solo elevati. “Un punto di debolezza è sicuramente la dimensione (della scuola, n.d.a); siamo tanti ed essere tutti d’accordo è una grande fatica, oggi abbiamo quasi 200 allievi stranieri, fare il test di ingresso è stato ad esempio difficoltoso, non sempre si riesce ad essere precisi, puntuali, il rischio di soggettività è alto”.A questo si aggiungono le difficoltà di relazione con gli studenti e le loro famiglie, in un contesto che cambia velocemente: “la difficoltà più forte in assoluto è con i rom, io nonostante lavori da diversi anni non ho ancora trovato una soluzione, anche quelli che vengono hanno risultati insoddisfacenti, poi ci sono quelli che non vengono, che non hanno alcun interesse per l’ambiente scolastico e oltretutto vogliono che questo loro atteggiamento sia rispettato. Il mondo dei rom è diventato molto eterogeneo soprattutto da quando sono diventati stanziali.” (responsabile di

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progetto). In questo scenario si è inserita in tempi relativamente recenti la componente religiosa: “adesso è intervenuto il discorso religioso, il ragazzo marocchino se non è molto abile ad integrarsi viene molto ostracizzato, una volta questo accadeva con modalità meno manifeste” (responsabile di progetto). La valutazione dei responsabili è assolutamente positiva, sia in termini di esiti del progetto sia di relazione con i colleghi, all’interno, e con il territorio all’esterno: “io comunque sono molto contenta, il gruppo della Commissione è molto forte, lavora bene, ci sono diversi insegnanti che fungono da collegamenti tra me, la referente, e i plessi perché non è facile gestire un progetto così su vari plessi. E non è facile, soprattutto perché lavori con etnie completamente diverse tra loro”In particolare, il laboratorio alimentare sembra produrre esiti decisamente positivi, in quanto permette ai ragazzi, come effetto inatteso, di diventare mediatori delle proprie madri e questo appare un aspetto fortemente positivo: “a volte sono proprio i ragazzini che vivono con grande disagio il fatto che le mamme non parlino l’italiano, poi quando vedono che le mamme invece si divertono ai laboratori, tu senti che sei passato dall’accoglienza alla fiducia e questo è un risultato enorme” (responsabile di progetto). Proprio con questa consapevolezza, i responsabili di progetto auspicano, in futuro, la creazione di una “scuola delle mamme”, un’iniziativa rivolta in generale alle famiglie, consapevoli che “se i genitori entrano nella scuola è più facile che i figli restino nella scuola, perché è più difficile tagliare una relazione che esiste rispetto ad una che non c’è mai stata”.

Il ruolo auspicato della Provincia di Torino

A parere dei responsabili e operatori di progetto la Provincia di Torino potrebbe

promuovere, attraverso il CESEDI, la formazione specifica per insegnanti e

operatori sulle metodologie relazionali e didattiche più opportune da adottare con

giovani stranieri e nomadi, eventualmente ampliando o caratterizzando in modo

più specifico i percorsi formativi già esistenti. Questo tipo di interventi formativi

dovrebbero essere finalizzati ad acquisire abilità immediatamente e

concretamente applicabili, competenze pratiche e operative.

In secondo luogo, la Provincia di Torino e, in generale, l’Ente pubblico,

potrebbero fare da tramite, favorendo lo scambio di informazioni e le occasioni di

incontro. Appare, infatti, veramente difficoltoso conoscere le esperienze presenti

in altre realtà, le buone pratiche. La testimonianza della responsabile operativa

del progetto a questo proposito appare significativa: “l’idea di fare il laboratorio alimentare mi è venuta aprendo un quotidiano, allora perché non scambiare le idee, le esperienze, le buone pratiche? Se dalla Svizzera, ad esempio, mi dicessero di provare a fare questo o quello io ci proverei e magari racconterei loro la mia esperienza”.

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6.3. Quo Vadis. Prevenire la dispersione scolastica6.3. Quo Vadis. Prevenire la dispersione scolastica6.3. Quo Vadis. Prevenire la dispersione scolastica6.3. Quo Vadis. Prevenire la dispersione scolastica

l progetto “Quo Vadis” è promosso dalla Cooperativa Sociale “Un sogno per tutti” di Torino in collaborazione con le reti e le associazioni territoriali e con il

C.O.S.P., Centro di Orientamento Scolastico e Professionale della Città di Torino. Prevede la realizzazione di attività strutturate rivolte in particolare agli alunni delle prime e seconde classi della scuola superiore di secondo grado, finalizzate alla prevenzione della dispersione scolastica, alla motivazione e rimotivazione, al supporto nella dimensione aggregativa e relazionale e nello studio.

Qualche notizia sulla Cooperativa “Un sogno per tutti” La cooperativa sociale “Un sogno per tutti” si ispira ai principi preventivi della pedagogia salesiana collocandoli come base di un proprio modello pedagogico e formativo dinamico ed evolutivo rispetto ai nuovi bisogni e alle nuove culture e competenze sociali. La Cooperativa realizza i propri scopi sociali attraverso la creazione di una piattaforma educativa dinamica orientata in via prioritaria, ma non esclusiva, alla risposta ai bisogni del mondo giovanile. In tale piattaforma trova spazio la progettazione, la gestione, il coordinamento e la promozione di iniziative miranti a: gestire in convenzione, in proprio o per conto terzi, servizi socio-assistenziali, sanitari e educativi, creare modelli educativi e formativi giovanili condivisi con la famiglia ed esportabili in altri contesti sociali, prevenire e recuperare fenomeni di devianza e dispersione scolastica, gestire azioni di orientamento personale, formativo e professionale, sviluppare sinergie tra chi opera in ambiti similari, in particolare la scuola. Con specifico riferimento alle tematiche in esame, la Cooperativa “Un sogno per tutti” collabora al progetto “Provaci ancora Sam” e, in generale, a progetti di prevenzione della dispersione scolastica in scuole primarie, secondarie di primo grado e secondarie di secondo grado dell’area torinese (fonte: www.unsognopertutti.it).

La Cooperativa realizza attualmente le attività previste nel progetto “Quo Vadis” in diversi istituti scolastici di Torino, tra i quali: l’I.T.I “Carlo Grassi” indirizzo aeronautico, l’Istituto Tecnico Commerciale “Boselli”, l’I.P.S. Alberghiero “Colombatto”, l’I.T.I. Majorana. Le attività sono finanziate quasi integralmente dai singoli istituti e in parte da finanziamenti pubblici.

6.3.1 Obiettivi, organizzazione e gestione del progetto Come accennato in premessa, il progetto “Quo Vadis”, finalizzato alla prevenzione della dispersione scolastica, alla motivazione e rimotivazione e al supporto nella dimensione aggregativa e relazionale e di studio, è rivolto in particolare ad alunni in

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difficoltà che frequentano il primo biennio della scuola secondaria superiore di secondo grado. Questa, infatti, è una fase particolarmente delicata del percorso formativo nella quale il rischio di dispersione scolastica si presenta più elevato: “l’abbandono riguarda soprattutto la classe prima della scuola superiore e, in particolare, determinate scuole; a differenza della scuola media, la scuola superiore ha più difficoltà. L’irregolarità o la bocciatura si verificano prevalentemente nel primo biennio, anche se sicuramente ci sono casi anche in altre classi, ma la percentuale più elevata è sicuramente nel primo biennio” (responsabile di progetto della Cooperativa).Gli obiettivi del progetto sono principalmente ridurre la dispersione scolastica e garantire in classe un buon livello di qualità della vita; a questo fine, parte del lavoro è incentrato sull’accoglienza iniziale, sul trasferimento di regole comuni al vivere in classe e al vivere sociale in genere, sul supporto allo studio, sulla possibilità offerta ai ragazzi di cambiare percorso attraverso il riorientamento. Presupposto di fondo del progetto è la prevenzione del disagio attraverso la trasmissione di “poche regole ma certe”.Dal punto di vista dei finanziamenti il progetto è finanziato quasi integralmente con risorse interne alle scuole e il problema della disponibilità economica è particolarmente avvertito sia dai responsabili di progetto sia dai referenti operativi: “per i fondi che ci sono non è possibile pensare ad ampliare le attività, io sto in aula, faccio osservazione attiva, utilizzo diversi strumenti, i giochi di ruolo, cerco di risolvere i conflitti, il tutto finalizzato alla creazione del gruppo classe. Se le risorse fossero maggiori, tutte queste attività potrebbero essere rivolte ad un numero superiore di ragazzi” (referente operativo di progetto della Cooperativa). Emerge, da subito, quindi la difficoltà ad estendere i confini delle attività a causa delle “pocherisorse umane per le poche risorse economiche” (responsabile di progetto della Cooperativa).

6.3.2 Tipologia delle azioni e modalità di relazione con gli utenti Il progetto, nato in una prima versione nel 1998, successivamente rielaborata, si ispira come già accennato ai principi preventivi della pedagogia salesiana e prevede diverse attività riconducibili ai seguenti filoni:

1) fase di accoglienza iniziale; 2) fase di accompagnamento/inserimento; 3) fase di supporto allo studio; 4) fase di valutazione e riorientamento fino all’eventuale iscrizione in una nuova

struttura.

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Oltre agli interventi individuali, le attività coinvolgono soprattutto il gruppo classe poiché è in questo contesto che, a parere dei responsabili e referenti di progetto, si evidenziano e si esplicano le problematicità. Viceversa, il supporto specifico avviene in ambiente sia scolastico sia extrascolastico, soprattutto all’inizio di ogni anno di scuola, periodo particolarmente delicato. “Cerchiamo di accogliere i ragazzi che arrivano in prima, affinché possano conoscersi tra loro, possano confrontarsi anche nell’utilizzo di termini come intercultura, riorientamento. Se si accorgono o ci accorgiamo che la loro scelta non è corretta, li accompagniamo anche a visitare nuove scuole” (…) “Noi siamo convinti che lo star bene con i compagni sia una condizione fondamentale per stare bene a scuola. Noi (operatori, n.d.a.) entriamo a scuola prima dell’orario scolastico per poter aver un rapporto con tutti i soggetti, scolastici e parascolastici, è importante avere una relazione con i bidelli, ad esempio, molte volte i bidelli conoscono i ragazzi meglio degli insegnanti” (referente operativo della Cooperativa). Oltre alle attività realizzate in orario scolastico, è previsto un supporto allo studio al pomeriggio. Tale supporto fino al 2005 era realizzato solo in orario extrascolastico; a partire dall’anno attualmente in corso, questo tipo di intervento viene realizzato anche nei pomeriggi in cui i ragazzi si fermano a scuola. Come si può notare, il progetto è articolato su più filoni, alcuni anche molto specifici; uno di questi, ad esempio, prevede azioni mirate di genere, rivolte in particolare alle ragazze in quelle realtà scolastiche in cui la componente femminile rappresenta la minoranza con i conseguenti problemi che ne possono derivare: “all’interno del Grassi (I.P. aeronautico di Torino, n.d.a.) facciamo poi un lavoro specifico con le ragazze, perché lì il problema di genere si pone perché sono poche. (…) Le ragazze le vediamo anche fuori della scuola e facciamo con loro altre attività (…) C’è stata una richiesta da parte della scuola per via della disparità numerica (delle ragazze rispetto ai ragazzi, n.d.a.) e poi c’è stata una richiesta forte proprio da parte delle ragazze” (responsabile di progetto della Cooperativa).

6.3.3 Caratteristiche dell’utenza e modalità di contatto L’utenza è molto variabile a seconda della scuola sia in termini numerici, sia per quanto riguarda le caratteristiche e i bisogni espressi e inespressi dei ragazzi. Complessivamente, il numero dei ragazzi coinvolti nelle attività della Cooperativa sui vari filoni ricordati in precedenza si aggira intorno ai 200 casi, suddivisi nei vari istituti.Il primo contatto e l’individuazione degli studenti che parteciperanno al progetto avviene a scuola attraverso gli insegnanti o la Cooperativa; successivamente, viene attivata una relazione con la famiglia, anche attraverso il supporto di psicologi. Tra i destinatari del progetto “Quo Vadis”, alcuni ragazzi hanno partecipato in passato ad altri progetti similari.

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Considerato che l’obiettivo primario del progetto è la prevenzione, l’eventuale passaggio del giovane dall’ambito preventivo all’ambito deviante o critico avviene, ancora una volta, attraverso gli insegnanti di riferimento; in queste circostanze il caso davvero critico viene gestito in modo diverso da altri soggetti. Tra i vari utenti, un’attenzione particolare è dedicata all’accoglienza degli studenti nelle classi prime della scuola di secondo grado, al fine di personalizzare il più possibile gli interventi e di proporre ai ragazzi e alle scuole obiettivi uguali ma personalizzati, poiché “non è pensabile fare un intervento uguale per tutti”(responsabile di progetto della Cooperativa). Oltre alle azioni svolte in classe, esistono inoltre le attività di doposcuola che coinvolgono i ragazzi in modo non obbligatorio. Tali attività sono programmate in accordo con le famiglie e su consiglio degli insegnanti. Dal punto di vista dei profili biografici dei giovani che partecipano al progetto, al pari di altre realtà si tratta di ragazzi in difficoltà, con problemi personali o familiari e con scelte sbagliate alle spalle, frutto di un mancato o inadatto orientamento effettuato ai livelli scolastici inferiori o di forzature da parte delle famiglie (un esempio citato è la scelta dell’istituto superiore in base al criterio territoriale della vicinanza a casa).

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Il punto di vista dei destinatari del progetto

La ragazza intervistata ha 15 anni, ha l’hobby della danza latino-americana e, al

pari di altri giovani drop-out, frequenta un gruppo di amici di età superiore alla

sua con esperienze di dispersione scolastica. Sta frequentando la seconda classe

della scuola secondaria di secondo grado e partecipa con dichiarata soddisfazione

alle attività del progetto “Quo Vadis”.

“Io ho scelto questa scuola, ma non è quella che volevo scegliere, io volevo andare in un’altra scuola, mia madre non voleva che andassi in una scuola lontana e ha preferito una più vicina a casa. (…) La mia esperienza in questa scuola è molto amichevole, ci conosciamo bene tutti, ci salutiamo, è una scuola aperta, non ci sono cose negative. (…) Io non ho perso degli anni, sono entrata in questa attività (“Quo Vadis”, n.d.a.) perché mi aiutano a fare i compiti, io a casa li posso anche fare ma ho paura di sbagliare, poi a casa mia c’è sempre rumore, non riesco e non c’è nessuno che mi aiuta. Io in questa attività faccio soprattutto i compiti, mi è subito piaciuto se no non sarei qua, l’anno scorso ho fatto solo un’assenza. Qui facciamo i compiti soprattutto delle materie principali, quelle più difficili. Se ti serve una mano in una materia loro (gli operatori di progetto, n.d.a.) ci sono sempre, trovano sempre il tempo per aiutarti. Sono persone gentili, non trovo neanche un aspetto negativo. Adesso per me questo progetto a giugno finisce perché è valido solo per le prime e le seconde che fanno rientro, io l’anno prossimo chiederò se posso continuare altrimenti mi fermerò. (…) I miei genitori all’inizio non erano convinti, mi dicevano <<ma che cosa vai a fare>>, poi si sono convinti che poteva essere una cosa buona per me”

La consapevolezza del supporto e dell’occasione rappresentata dal progetto trova

conferma in un’aperta critica verso i compagni che non lo frequentano: “ci sono dei miei compagni che non vengono qua (che non seguono le attività del progetto

“Quo Vadis”, n.d.a.) e per questo perderanno l’anno; qua ti aiutano, anche se non si tratta solo di fare i compiti, perché c’è qualcuno con cui puoi anche parlare. Qui ti aiutano anche per la promozione perché vedono che sei venuto qui, che hai preso un impegno e ti sei impegnato per questo. Non puoi dire ai miei compagni di venire qui per forza, ti devi convincere da solo, devono essere loro a venire qui da soli, ma loro non hanno voglia perché non vogliono perdere tempo, vogliono uscire a divertirsi. Io invece mi sono presa un impegno, se fossi uno dei miei compagni che rischia l’anno verrei prima qua poi andrei a divertirmi”.

A parere dei responsabili e referenti di progetto, il raggiungimento degli obiettivi previsti, al di là di finalità educative e relazionali circoscritte a specifici periodi (ad esempio, una particolare fase di difficoltà legata ad un evento contingente della vita del giovane), può avvenire soprattutto se si realizza la continuità educativa, ovvero impostando con i ragazzi un lavoro articolato su più anni e mantenendo il contatto in modo forte. L’accoglienza e il sostegno allo studio, infatti, “non riguardano solo le

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scuole più difficili, perché l’orientamento e il riorientamento è un problema che riguarda tutti e che permane nel tempo” (responsabile di progetto della Cooperativa).

6.3.4 Operatori coinvolti e fabbisogni formativi Il progetto, come già ricordato, è realizzato dalla cooperativa sociale “Un sogno per tutti”. L’équipe di lavoro per ogni scuola è composta in media da due educatrici della Cooperativa, di cui una con compiti anche di coordinamento, una volontaria del servizio civile e una stagista/tirocinante (molto spesso della Facoltà di Psicologia). La programmazione degli incontri viene gestita dai referenti senior, ai quali fanno seguito delle riunioni periodiche di verifica con gli insegnanti. A tutti i componenti dell’équipe la Cooperativa richiede una grande disponibilità di ascolto, di relazione su più livelli (ragazzi, famiglie, scuola) e di individuazione di soluzioni immediatamente applicabili. Dal punto di vista del background, buona parte degli operatori è in possesso di una laurea in Scienze dell’Educazione e partecipa ad attività periodiche di formazione promosse dalla Cooperativa. In fase di individuazione dei ragazzi da inserire nelle attività previste nel progetto, gli operatori della Cooperativa insieme agli insegnanti analizzano la biografia di ciascun giovane potenzialmente a rischio di dispersione, al fine di valutare l’opportunità di inserirlo in un programma dedicato e di contattare la famiglia per proporre percorsi da svolgersi anche al di fuori anche dell’orario scolastico. In alcuni casi sono i ragazzi stessi ad autoproporsi e a stringere il “patto formativo” con gli operatori del progetto. Il momento della valutazione appare importante poiché permette di capire “se il problema è della scuola o se è suo, capita che, quando li porti in giro a vedere altre scuole nell’ambito delle attività di riorientamento, ti senti dire “io rimango qua” perché magari lo ha lasciato la fidanzata, oppure ha una situazione difficile”(referente operativo di progetto).

6.3.5 Valutazione e rilevanza del progetto, esiti e impatti La valutazione del progetto “Quo Vadis” avviene attraverso un sistema di monitoraggio interno effettuato dalla Cooperativa. In termini autovalutativi, un punto di forza del progetto, a parere del responsabile, è sicuramente rappresentato dall’accoglienza che si realizza in quella fase particolarmente delicata del percorso formativo dei giovani, ovvero nel passaggio dalla scuola secondaria di primo grado a quella di secondo grado. Al contrario, un punto di debolezza è riconducibile alla penuria di risorse economiche a disposizione: “essendo pochi i fondi non si riesce a fare un lavoro che coinvolga tutti i ragazzi ma solo alcuni di questi, mentre l’accoglienza è un problema che riguarda tutti” (responsabile di progetto della Cooperativa). Ma i finanziamenti non sembrano essere l’unico problema di cui soffre il mondo della scuola. Talvolta,

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infatti, quando si riesce a disporre delle risorse economiche necessarie a realizzare le attività, possono insorgere altri fattori di criticità legati alla difficoltà ad instaurare una relazione con la scuola per la mancanza di figure sensibili alle problematiche della dispersione. A parere del responsabile di progetto della Cooperativa, la possibilità di “entrare nelle scuole” e realizzare progetti di prevenzione della dispersione dipende molto dalla sensibilità dimostrata dai rispettivi dirigenti scolastici o da figure intermedie (ad esempio la funzione obiettivo); questo elemento di relativa “discrezionalità” è stato evidenziato anche dagli stessi insegnanti intervistati durante la fase di ricerca attuata attraverso i focus group25.Sul fronte dell’utenza, d’altra parte, la relazione non è sempre lineare; è spesso arduo contattare le famiglie – in gran parte assenti o, peggio, contrarie – e proporre loro un programma di attività per i propri figli poiché non sempre “le famiglie riescono sempre a vedere il proprio figlio, e soprattutto non accettano che sia la scuola a dirlo” (…) Qui le famiglie sono totalmente assenti: le famiglie sono presenti molto nella scuola elementare, presenti a singhiozzi nella scuola media, spariscono del tutto nella scuola superiore limitandosi a venire a prendere la pagella” (responsabile di progetto della Cooperativa). In prospettiva futura, il miglioramento del progetto potrebbe essere realizzato da una parte attraverso una maggiore quantità di risorse finanziarie e, dall’altra, favorendo un cambio di mentalità e una maggiore presa di coscienza del problema; la dispersione, infatti, a parere dei responsabili e referenti di progetto, “è sicuramente un fenomeno noto, non si può dire che non si conosca”.Un ultimo elemento da considerare è la tipologia degli interventi realizzati con i ragazzi e i contesti nei quali questi si realizzano; in questo senso, appare più efficace il tempo e il contesto “informale” che le azioni attuate a scuola. A questo proposito, i responsabili e i referenti di progetto auspicano di poter trovare in futuro maggiori spazi di confronto e relazione con i ragazzi dove sviluppare rapporti meno formali, ovvero non mediati dalla struttura. Il tempo “informale”, infatti, appare fondamentale per instaurare quella relazione da più parti considerata indispensabile al mantenimento del “patto”: “i migliori rapporti che riesci ad avere con i ragazzi sono nelle ore che passi con loro sull’autobus quando li porti in giro magari a vedere altre scuole (…) Per noi i momenti fondamentali sono le <<chiacchiere>>, anche se già in classe con noi (operatori, n.d.a.) sono più spontanei che con i professori”(referente operativo di progetto).

25 Si rimanda alla relativa trattazione.

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Il ruolo auspicato della Provincia di Torino

A questo proposito, l’approccio del responsabile della Cooperativa è molto

pragmatico; il riferimento è, dunque, a modalità di supporto da parte dell’Ente

pubblico molto pratiche e meno culturali e intellettuali, con l’obiettivo di facilitare

la permanenza del giovane nella scuola e la relazione tra tutti gli attori che

intervengono nel suo percorso formativo. Una delle proposte auspicate riguarda

l’istituzione all’interno della scuola della figura di mediatore educativo che possa

vivere le esperienze nella scuola in modo continuativo per osservare le dinamiche

tra insegnanti e ragazzi e risolvere le problematiche e le conflittualità.

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6.4. Provaci ancora Sam! Prevenzione 6.4. Provaci ancora Sam! Prevenzione 6.4. Provaci ancora Sam! Prevenzione 6.4. Provaci ancora Sam! Prevenzione e recupero della e recupero della e recupero della e recupero della dispersione scolastica. La tutela integratadispersione scolastica. La tutela integratadispersione scolastica. La tutela integratadispersione scolastica. La tutela integrata

l progetto “Provaci ancora Sam!” è promosso dal Comune di Torino, Divisione Servizi educativi e Servizi sociali, dal U.SR. del Piemonte e dalla Compagnia di

San Paolo. Obiettivi primari del progetto sono il raggiungimento di buoni livelli di successo scolastico, il recupero della dispersione scolastica attraverso il

conseguimento del diploma di scuola secondaria di primo grado, l’orientamento verso il completamento della formazione. Iniziato nel 1989 come recupero, riconosciuto in modo ufficiale dal Ministero della Pubblica Istruzione nel 1995, inserito nel 1997 nei percorsi rivolti ai quindicenni dei CTP, aperto nel 2000 alla prevenzione primaria, il progetto “Provaci ancora Sam!” ha già coinvolto oltre ottomila ragazzi

dell’area torinese nelle azioni di prevenzione e recupero26.

6.4.1 Obiettivi, organizzazione e gestione del progetto Il progetto “Provaci ancora Sam!” nasce per iniziativa della Città di Torino come programma di recupero della allora licenza media e di successivo accompagnamento fino all’inserimento lavorativo (tramite "scuole estive", corsi di formazione, borse-lavoro e, infine, vero e proprio ingresso nel mercato del lavoro). Negli anni successivi, il progetto, pur mantenendo la sua architettura di fondo, si è ampliato orientando le attività verso la prevenzione della dispersione scolastica, focalizzandosi soprattutto sulla classe prima della scuola secondaria di primo grado. Accanto all’iniziale strategia volta al recupero, sono state così studiate iniziative che puntano soprattutto alla prevenzione, allargando l’intervento da un’area circoscritta ai ragazzi che, allontanati dalla scuola, non hanno preso la licenza dell’obbligo a quella, molto più vasta, che raccoglie tutti quegli studenti che manifestano disagio socio-relazionale e di apprendimento e, quindi, disadattamento al mondo della scuola.

26 Per la stesura della sezione dedicata al presente progetto, oltre alle testimonianze rilasciate dai referenti, si è fatto ricorso anche a materiale bibliografico fornito dagli stessi intervistati e, precisamente: Città di Torino, Divisione Servizi Educativi, Divisione Servizi Sociali, Ufficio Pio e Fondazione Scuola della Compagnia di San Paolo, Provaci ancora, Sam!, materiale di lavoro, 2003, 2004, 2006, 2007; IPRASE, Ricomincio da me. L’identità delle scuole di seconda occasione in Italia,Provincia Autonoma di Trento, 2006; Fondazione IDIS – Città della Scienza, Programma Leonardo da Vinci, YOUNG, Azioni integrate contro la dispersione scolastica e il lavoro minorile, Napoli, 2005.

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Nell’anno 2004 il progetto, per la parte del recupero, si arricchisce ulteriormente con la firma del protocollo di intesa tra la Città di Torino, l’Ufficio Pio e la Fondazione per la scuola della Compagnia di San Paolo, il M.P.I. e le Agenzie formative presso le quali gran parte dei ragazzi proseguono la loro formazione prima di entrare nel mondo del lavoro. Questo protocollo ha lo scopo di dare continuità all’esperienza di rientro formativo favorendo il passaggio tra la scuola e i Centri di formazione. Il presupposto di tutte le azioni è la consapevolezza che per contrastare la dispersione l’unico possibilità sia far scattare nel ragazzo potenzialmente a rischio la leva di un qualche interesse, appassionandolo a qualche cosa, utilizzando attività che stiano a metà tra lavoro e gioco, studio e lavoro e cercando di fare emergere un qualche talento nascosto anche in chi a scuola “perde colpi” o appare del tutto disinteressato. Considerato, inoltre, che le cause che provocano la dispersione riguardano il mondo della scuola e i luoghi di vita dello studente, la prevenzione e il recupero sono possibili solo se le due realtà si avvicinano; il primo obiettivo del progetto è, dunque, creare integrazione tra realtà scolastiche e realtà extra-scolastiche, aiutando i due mondi a dialogare. Concretamente, il progetto si propone di coordinare le potenzialità educative del territorio rappresentate dalle strutture dei servizi socio-assistenziali, dalle organizzazioni di volontariato, dai laboratori educativi territoriali puntando sulla valenza formativa del rapporto con soggetti appartenenti al “gruppo dei pari” e sulle modalità dell’ascolto, come rivalutazione degli aspetti emotivi dell’apprendimento. Il progetto è sostenuto economicamente dalla Compagnia di San Paolo, dal Comune di Torino, dal U.S.R. e dalle strutture scolastiche appositamente predisposte che,aderendo al progetto, s’impegnano a curare, insieme ai volontari ed ai servizi, la programmazione e l’offerta delle proposte didattiche integrate, nonché la verifica delle azioni avviate. Al progetto collaborano diverse organizzazioni reperite nell’album delle associazioni di volontariato: all’interno dei moduli della “tutela integrata”, che afferisce all’Istituto Turoldo, sono presenti l’associazione “Un Sogno per tutti” che copre due dei quattro moduli, l’associazione “Oratorio San Francesco di Sales” di ambito salesiano che copre un modulo e un’altra associazione dei Padri Somaschi che copre l’altro modulo. Per il percorso di prevenzione primaria e nei CTP si aggiungono altre ventidue associazioni.

6.4.2 Tipologia delle azioni e modalità di relazione con gli utenti Il progetto “Provaci ancora Sam”, evolvendosi nel tempo, ha sviluppato due filoni correlati ma relativamente autonomi tra loro: da una parte la prevenzione e, dall’altra, il recupero, rivolti a diverse tipologie di utenti. Il recupero si rivolge a giovani drop-out la cui selezione e scelta avviene in base a criteri definiti dal gruppo di lavoro, mentre il filone finalizzato alla prevenzione interviene inizialmente sugli studenti che frequentano la prima classe della scuola secondaria di primo grado e ha la durata di

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un anno scolastico. Nelle classi successive, pur non escludendo la prosecuzione del percorso intrapreso, con l’azione preventiva, si tende piuttosto ad inserire i ragazzi in altri progetti in modo da dare continuità senza, tuttavia, proseguire con la situazione di assistenza. Il progetto è, dunque, suddiviso in due filoni: 1) la prevenzione primaria che prevede attività di osservazione della classe e analisi

dei casi a rischio, progettazione di attività di supporto e integrazione presso scuole primarie e secondarie di primo grado presenti in tutte le dieci circoscrizioni della Città di Torino;

2) la prevenzione secondaria, articolata a sua volta in due percorsi, uno nei CTP e uno nei moduli che dipendono dall’Istituto Comprensivo Turoldo di Torino e che afferiscono alla “tutela integrata”, oggetto specifico della presente analisi. Nella prevenzione secondaria si svolgono in una prima fase, da ottobre a dicembre, attività di accoglienza, si presentano le offerte formative, si costruisce la relazione con il minore e si favorisce l’espressione delle sue motivazioni e interessi. “Si tratta di un periodo di inserimento che serve a compensare la rabbia e ad accettare la sofferenza, questa fase generalmente dura fino a dicembre”(operatore di progetto della associazione). A dicembre si definisce il percorso formativo e si concorda il patto formativo individualizzato, costituito dall’acquisizione delle abilità di base fondamentali, dall’orientamento scolastico, oltre che professionale, fino all’accompagnamento in uscita.

Le attività extrascolastiche si realizzano in spazi appositamente messi a disposizione, sedi di associazioni presenti sul territorio o oratori; le attività extrascolastiche sono svolte in orario pomeridiano. Il programma svolto in classe di prevenzione secondaria prevede, inoltre, l’affiancamento di volontari. Questa figura, che generalmente ha un’età media di 26 anni, avvalendosi delle strutture della propria associazione, offre opportunità di aggregazione con altri ragazzi, stabilisce rapporti di controllo del lavoro scolastico e assolve una funzione familiare e rassicurante. Con specifico riferimento alla “tutela integrata” questa sezione del progetto “Provaci ancora Sam” è stata affidata all’Istituto Turoldo per la “sensibilità da sempre avuta da questa scuola verso la dispersione scolastica (…) In origine, il progetto era stato dato come sperimentazione, è stata la prima sperimentazione. (…) Il progetto raccoglie tutti quei ragazzi che hanno abbandonato la scuola o sono stati abbandonati dalla scuola, (…). È un progetto a cui possono accedere tutti i ragazzi di 13, 14 o 15 anni che non abbiano ancora l’età per accedere ai CTP, Centri Territoriali Permanenti, per recuperare il tempo perso e conseguire la terza media. Si rivolge a ragazzi in determinate condizioni che sono in ritardo di almeno due anni e che si trovano o ancora in prima o ancora in seconda (…). In un solo anno cerchiamo di fare acquisire loro la licenza media facendo recuperare gli anni persi

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con modalità e con contenuti diversi dalla scuola tradizionale” (responsabile di Istituto del progetto). La tutela integrata prevede lezioni che riguardano quattro ambiti disciplinari:

1) linguistico, letterario, storico, antropologico, geografico e lingua straniera (Docente di lettere);

2) matematica e scienze (Docente di matematica); 3) tecnologico e artistico (Docente di educazione tecnica); 4) corporeo, espressivo e musicale (Docente di educazione fisica).

I quattro docenti, messi a disposizione dal U.S.P., sviluppano le materie tradizionali raggruppate in ambiti disciplinari. Gli insegnanti sono sempre affiancati da un educatore che lavora in compresenza e ha il compito anche di inserire i ragazzi in strutture socializzanti del territorio (sportive, ludiche, ecc.). Numericamente, i gruppi sono generalmente piccoli e composti da 10/12 ragazzi. Il metodo didattico adottato non prevede libri testo, gli strumenti in una logica dal basso sono costruiti direttamente “su misura” dei ragazzi. “Quando si riesce ad ottenere dei risultati è una grande soddisfazione: due anni fa i nostri ragazzi hanno vinto il primo premio del Festival nazionale Under18 con un filmato sulla loro situazione, hanno recitato benissimo, qualche scivolamento sui congiuntivi, ma hanno fatto un testo altamente poetico. L’anno scorso hanno prodotto un bellissimo filmato sulle Olimpiadi (…) È necessario lavorare con strumenti alternativi, la fotografia, il laboratorio di informatica, è più difficile utilizzare gli strumenti tradizionali. È chiaro che è necessario lavorare in maniera non tradizionale, ad esempio i ragazzi si sono appassionati al fotoromanzo, e hanno potuto così utilizzare diversi linguaggi (…) Alla fine dell’anno i ragazzi sostengono l’esame di terza media con gli insegnanti che li hanno seguiti durante l’anno e, in termini di esiti, l’80% prosegue gli studi, chi nell’istruzione superiore chi nella formazione professionale. Il 20% si perde completamente, va a lavorare anche in nero ovvero con contratti non regolamentati” (responsabile di progetto). Se, dunque, il metodo didattico non è tradizionale, non lo sono neanche i contenuti: “Per esempio, per quanto attiene la geografia si prevede di studiare un continente in un anno perché non è tanto la quantità di contenuti che interessa fare passare, quanto piuttosto il metodo di studio, la qualità dell’approccio. Quest’anno sarà l’Africa, che sarà studiata attraverso il diario di una persona che ha visitato il continente, non un libro tradizionale. Questo sarà il loro libro di testo. Relativamente alla storia, si prevede lo studio del Novecento e della Costituzione” (referente di progetto).Il percorso didattico è strutturato in lezioni che, fino all’anno scorso, erano di tre ore al giorno di lezione dal lunedì al venerdì, dalle 9.00 alle 12.00, mentre attualmente sono quattro ore al giorno, dalle 9.00 alle 13.00 poiché “ci siamo inventati un

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percorso che prevede quattro ore al mattino, perché ci siamo accorti che tre ore al mattino erano un po’ poche, dal lunedì al giovedì dalle 9.00 alle 13.00. Il venerdì le lezioni sono solo di tre ore, dalle 9.00 alle 12.00 e solo con gli educatori (non con gli insegnanti)” (operatore di progetto dell’associazione).Il percorso prevede la divisone in moduli, ogni materia è modulata per singoli tasselli, viene valutata la capacità di ogni ragazzo, in modo da sviluppare le singole competenze, e si studiano degli incentivi per stimolare l’interesse e la frequenza: “per ciascun modulo, se un ragazzo conosce abbastanza bene la materia, lo lasciamo uscire prima, gli facciamo lo “sconto” e questo è motivante. Alle persone che dimostrano un interesse particolare, invece, diamo la possibilità di approfondire i propri interessi. Così, differenziando il ripasso dall’apprendimento, ogni ragazzo ha una sorta di orario variabile che garantisce il monte ore generale e si riesce a portare avanti un percorso di apprendimento individualizzato. Il venerdì invece facciamo orientamento e proviamo a mirare la didattica su quello che ogni ragazzo presenta come attitudine nei limiti del possibile” (operatore di progetto dell’associazione).

6.4.3 Caratteristiche dell’utenza e modalità di contatto Il recupero si rivolge a giovani drop-out la cui selezione e scelta avviene in base a criteri definiti dal gruppo di lavoro per favorire le situazioni di maggiore disagio, ma che consentano anche di avere una probabilità di riuscita delle azioni del progetto. Nel tempo l’utenza si è gradualmente modificata: sono diminuiti i giovani italiani e sono aumentati gli stranieri, rendendo più complessa la gestione e imponendo una parziale revisione degli obiettivi e dei metodi didattici. Talvolta si è reso necessario l’inserimento della figura del mediatore, in possesso di competenze non solo di tipo linguistico, ma anche riguardanti in generale il mondo della scuola. La selezione dei partecipanti avviene a cascata: in primo luogo, viene inviata una circolare a tutte le scuole chiedendo, nel caso siano presenti ragazzi in particolari difficoltà, di segnalarli o alla scuola Turoldo o ai Servizi Sociali. “Quelli che accedono alla tutela integrata sono solo una parte degli studenti in situazione di dispersione scolastica, noi in primis accettiamo i casi segnalati dai servizi sociali, c’è una richiesta sempre più elevata di casi rispetto al numero che noi possiamo accogliere. C’è tutta una dispersione che sfugge a questi controlli. (…) Nella città di Torino ci sono molti quindicenni in terza media, ovvero in ritardo, ma questi casi rimangono generalmente nella scuola di appartenenza. Noi ci occupiamo dei casi più gravi” (responsabile di Istituto di progetto). Operativamente, il gruppo tecnico esamina le domande e le relazioni che contengono la storia di ogni studente. Il criterio di selezione, in caso di penuria di posti, prevede che siano esclusi i giovani che appaiono meno problematici e con situazioni più fortunate. Successivamente, vengono contattate collegialmente le famiglie alle quali si spiega il progetto, i corsi,

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le attività, il ruolo degli insegnanti e degli educatori. A seguito dell’incontro collegiale avviene un colloquio individuale durante il quale avviene il patto formativo, ovvero “noi esplicitiamo quello che facciamo ma anche quello che ci aspettiamo da loro” (responsabile di Istituto di progetto).

Il punto di vista dei destinatari del progetto

L’utente del progetto intervistata è una ragazza di 14 anni, ama la danza, la

musica, gli amici la maggior parte dei quali, generalmente, ha un’età superiore

alla sua. Ama il cinema, la lettura, lo shopping. I suoi genitori sono separati e la

ragazza dichiara di aver sofferto questa situazione. La ragazza è stata bocciata

nella prima e seconda classe delle scuola superiore di primo grado. “Non mi piaceva la scuola , non mi piacevano gli insegnanti, mi sono sempre sentita più grande, così ho smesso di andare a scuola. (…) Ho provato a tornare a scuola, ma erano tutti più piccoli, io sono una che se non si trova in un posto se ne va”.Attualmente sta seguendo le attività per il conseguimento del diploma all’interno

del progetto “Provaci ancora Sam” ed è entrata attraverso la segnalazione del

Dirigente scolastico “quando sono entrata nel progetto ero contentissima, c’era qualcuno che non mi considerava un’ignorante, io prima ero molto scoraggiata (…) Noi facciamo le lezioni normali, matematica, italiano, artistica e tecnica, ma le facciamo in modo diverso” (…) Poi ci sono anche gli educatori che ci aiutano a conoscerci meglio e a fare amicizia tra di noi (…) Gli operatori sono molto disponibili con noi, ti puoi fidare di loro e sono sempre pronti ad aiutarti anche su cose che non riguardano la scuola, anche se vuoi solo parlare (…) L’unica cosa che non mi piace è che non ci lasciano fumare (...)”.

4.4 Operatori coinvolti e fabbisogni formativi Dopo la valutazione ex ante i ragazzi sono suddivisi in quattro moduli sulla base di un criterio di tipo territoriale. In pratica, i ragazzi sono collocati non solo in base alla residenza nei quattro moduli, ma anche prestando attenzione a separare quelli provenienti dalle stesse scuole per evitare di creare gruppi negativi. Ciascun modulo è seguito da diversi operatori che provengono tutti dal mondo dell’associazionismo; in media sono presenti due operatori per modulo, più i referenti, a cui si affiancano tutte le persone che lavorano su altri percorsi. Le competenze necessarie per insegnanti e operatori sono, ancora una volta, di tipo relazionale, il lavoro è talvolta pesante, tanto da richiedere delle “pause” per evitare il verificarsi di fenomeni di burn-out. Gli operatori spesso si fanno carico anche di situazioni familiari ed emotive molto critiche (ad esempio, l’anno scorso un’operatrice è andata a seguire in ospedale una ragazza con problemi e lo ha fatto esclusivamente al di fuori della sua attività).

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Il punto di vista dell’operatore

“La nostra associazione lavora in questo percorso da molti anni, io personalmente dal 1996, prima lo facevo come volontario in ambito salesiano; la Cooperativa è nata poi in modo strutturato per occuparsi proprio di questo. Inizialmente, infatti, erano tutti volontari che si occupavano dei ragazzi e li preparavano per l’esame di terza media come privatisti. Poi sono arrivati gli insegnanti e questo ha reso tutto più facile perché prima fare l’esame da privatista era molto difficile, c’erano infatti insegnanti quando andavi a fare l’esame che erano un po’ arrabbiati con i ragazzi perché li avevano fatti dannare. La tutela integrata è una parte del “Provaci ancora Sam” ed è finalizzata al recupero, noi prendiamo in carico i ragazzi e li inseriamo in moduli esterni che nulla hanno a che fare con la scuola (associazioni, oratori). C’è sempre con i ragazzi un insegnante e un operatore, l’operatore ha un ruolo di cuscinetto tra il ragazzo, l’insegnante e anche la famiglia. La maggior parte dei ragazzi che seguiamo noi è seguita anche dai servizi sociali. Come criterio di selezione si tratta di ragazzi che hanno 14 anni compiuti che non potrebbero però essere introdotti ai percorsi nelle 150 ore, quindi si copre l’area relativa all’utenza che non può ancora accedere direttamente alla formazione professionale per questioni d’età poiché esiste un buco normativo della riforma Moratti che in alcuni casi può essere colmato solo da un ‘parcheggio’ temporaneo nella scuola secondaria di secondo grado. Se si parcheggia della gente nei licei si tratta di dispersione apparente poiché in realtà questi soggetti stanno solo aspettando di poter accedere alla formazione professionale (…) Oltre alle lezioni didattiche, l’altro pezzo interessante è monitorare ciò che fanno i ragazzi nel pomeriggio, molti giocano a calcio nell’oratorio, o frequentano amici e noi cerchiamo di metterli in rete, ci relazioniamo ad esempio con l’allenatore di basket e questo ci permette un controllo anche nelle attività extra-scolastiche che è fondamentale (…). Noi abbiamo il grosso problema delle famiglie assenti o assolutamente inadeguate, e quest’anno stiamo cercando di investire molto nella relazione con le famiglie, è molto difficile relazionarsi con le famiglie (…) Per fare questo lavoro un operatore, al di là del percorso di studio - noi siamo tutti educatori, laureati in scienze dell’educazione - deve saper utilizzare l’aspetto relazionale, noi non abbiamo strumenti coercitivi per fare venire un ragazzo a scuola, se un ragazzo viene a scuola significa che la relazione tiene” (operatore di

progetto dell’associazione).

Per quanto riguarda le esigenze di aggiornamento e formazione, oltre alle materie riguardanti i metodi di approccio con ragazzi drop-out, a parere degli operatori appare utile promuovere corsi riguardanti la supervisione e il monitoraggio. Un’altra area di intervento riguarda il supporto alla didattica rivolto soprattutto agli insegnanti: “avolte è complicato per gli insegnanti perché vengono da un altro mondo e non sanno gestire questi conflitti emotivi, gli anni scorsi grazie ad alcune risorse economiche che abbiamo attivato abbiamo avuto una psicologa che collaborava con noi a supporto di questo” (operatore di progetto dell’associazione). La formazione e la consulenza dovrebbero essere in itinere, lungo tutto il percorso e non solo discontinue in occasione di incontri sporadici.

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6.4.5 Valutazione e rilevanza del progetto, esiti e impatti Il gruppo di lavoro formato da insegnanti, coordinatori socio-educativi, educatori territoriali, esperti dei servizi educativi, operatori delle associazioni territoriali esercita in ciascuna sede un’azione di autovalutazione interna che ha lo scopo di compiere una verifica sistematica delle azioni svolte con i ragazzi e di costruire e consolidare un metodo di lavoro comune tra i diversi gruppi. Le attività di autovalutazione appaiono fondamentali per migliorare il progetto nel suo complesso nelle edizioni successive: “È grazie a questo lavoro di autovalutazione che abbiamo capito l’importanza di continuare il supporto oltre il termine previsto per il conseguimento dell’esame di terza media. Abbiamo così prodotto un cambiamento: fino a due anni fa, infatti, abbiamo seguito i ragazzi solo fino alla terza media, da due anni a questa parte gli operatori accompagnano anche i ragazzi nei tre mesi successivi al conseguimento del diploma di scuola secondaria di primo grado nella scuola secondaria di secondo grado o nella formazione professionale. Questo è stato un elemento di innovazione rispetto a quanto fatto finora. Ci siamo accorti infatti che occorreva una continuità non solo formativa ma soprattutto relazionale” (responsabile di progetto). Nell’ambito del progetto “Provaci ancora Sam!” si sono sviluppati scambi e relazioni con altri soggetti istituzionali in diverse realtà, ad esempio a Napoli e a Trento.

Il ruolo auspicato della Provincia di Torino

Il progetto “Provaci ancora Sam!” si sviluppa nella Città di Torino; a questo

proposito, il contributo della Provincia potrebbe riguardare l’estensione del

progetto ad altre realtà del territorio provinciale, magari particolarmente critiche.

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6.5. Scegli di Sce6.5. Scegli di Sce6.5. Scegli di Sce6.5. Scegli di Scegliere/Presto che è tardi. Sostegno e gliere/Presto che è tardi. Sostegno e gliere/Presto che è tardi. Sostegno e gliere/Presto che è tardi. Sostegno e supporto nelle scelte scolastiche e nelle fasi di supporto nelle scelte scolastiche e nelle fasi di supporto nelle scelte scolastiche e nelle fasi di supporto nelle scelte scolastiche e nelle fasi di passaggiopassaggiopassaggiopassaggio

6.5.1 Obiettivi, organizzazione e gestione del progetto Il progetto, come si può intuire dalla sua duplice intestazione, è prevalentemente finalizzato a prevenire forme di dispersione scolastica supportando in particolare una parte degli utenti finali (ragazzi tra 13 e 15 anni) nel superamento dell’esame di scuola secondaria di primo grado e nella prosecuzione dell’iter scolastico in una scuola secondaria di secondo grado scelta con il supporto e il sostegno di educatori qualificati, che si occupano di seguire i ragazzi soprattutto nel primo anno post-

licenza. L’utenza è circoscritta ad un’area particolarmente difficile del Comune di Torino (zona barriere di Milano) e la sede stessa dell’associazione che gestisce con altre il progetto è in Via Perosi. I livelli di dispersione scolastica dichiarati dal gruppo di coordinamento dello stesso progetto sono definibili ‘sconcertanti’, assestandosi su una quota prossima al 70% del totale dei residenti in età scolare post-obbligo. Altri indicatori di disagio sociale sono dati, come riferisce la coordinatrice del

progetto “dall’elevato numero di soggetti in condizione di dipendenza da sostanze stupefacenti e dall’altrettanto elevato numero di casi di residenti ‘indultati’. Il gruppo di lavoro, per il conseguimento del risultato finale descritto in precedenza, mantiene strettissime relazioni con le scuole frequentate dagli utenti, sostituendosi alle famiglie nei colloqui con gli insegnanti, nel controllo delle lezioni da preparare giornalmente e nel sostegno alla concreta effettuazione dei vari compiti assegnati. Gli utenti, inoltre, possono contare sulla sede accennata in precedenza in cui poter svolgere le varie attività, sotto il controllo degli educatori, dove l’accesso è garantito dal lunedì al venerdì fino alle 19.30. Per i minori di età compresa tra 6 e 12 anni le attività di studio si uniscono a momenti ludici, che cambiano secondo il giorno della

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settimana, mentre un giorno solo è interamente dedicato allo studio. Per i più grandi, invece, ogni giornata è principalmente dedicata a compiti e ripasso delle lezioni. Lo sviluppo delle attività previste nel progetto si basa anche su un lavoro continuo di creazione e mantenimento di contatti con le varie strutture scolastiche, come già accennato, ma anche di relazioni con associazioni di volontariato e con varie istituzioni, nell’ottica finale della creazione di una rete stabile e soprattutto implementata costantemente, in quanto considerata un elemento imprescindibile per il conseguimento degli specifici risultati attesi. La maggiore concentrazione delle attività di relazione e di confronto è riscontrabile in particolare nelle scuole secondarie di primo grado zonali, in cui sono iscritti gli utenti, e nelle varie secondarie di secondo grado cui essi vengono ‘traghettati’ (per usare il termine direttamente usato dalla coordinatrice) una volta terminato il percorso dell’obbligo; opinione diffusa è che questo per i ragazzi sia il momento più drammatico in cui “non possono e non devono essere lasciati soli”, mancando di strumenti e di adeguati stimoli dalle famiglie di appartenenza.

6.5.2 Tipologia delle azioni e modalità di relazione con gli utenti Le azioni del progetto si indirizzano verso numerosi ambiti di intervento, anche se il principale resta l’abbattimento per quanto possibile della casistica estremamente ‘pesante’ di dispersione scolastica, tipica dell’area di riferimento. I ragazzi vengono portati fin dall’ultimo anno delle scuole secondarie di primo grado a recuperare la stima di sé, “minimamente alimentata dalle famiglie di origine per lo più impegnate in una sorta di sopravvivenza quotidiana”, che non riesce a coniugarsi facilmente con forme di attenzione ai propri figli. Gli educatori si prodigano anche in attività di orientamento verso le differenti opportunità di continuità scolastica, costruendo insieme ai ragazzi stessi un percorso condiviso e ragionato di iter superiore, basato sul sostegno costante, sulla possibilità di affrontare - insieme ad adulti disponibili e competenti, riconosciuti dall’utenza come tali - i problemi quotidiani ingenerati dalla scuola, così come quelli personali. La frequenza del centro diurno, che spesso viene percepito dagli utenti “come un oratorio”, permette anche di incontrare altri “compagni di viaggio”, che magari sono già avanti nei rispettivi percorsi o che stanno vivendo analoghe esperienze difficili: in questo senso, il concetto che viene trasmesso costantemente è la lotta alla solitudine interiore e relazionale, che per prima può produrre scelte di vita sbagliate visto che, come ha sostenuto la coordinatrice di progetto, nella zona l’unica certezza che ragazzi di 14 anni, fuori dai circuiti scolastici e senza progetti di vita, possono avere “è quella di andare a fregare motorini”.

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L’autostima, la possibilità di poter contare su adulti-guida, l’opportunità di conoscere quali possano essere le occasioni che il mondo esterno al quartiere può offrire, in termini di iter scolastico, formativo e in un momento successivo anche lavorativo, rappresentano quindi la sintesi di ciò che il progetto vuole proporre ai propri utenti. Un messaggio che soprattutto viene costantemente fatto passare è che nel quartiere esistono ancora i concetti di aiuto e solidarietà, che vengono attuati concretamente intervenendo anche sui nuclei familiari, coinvolti il più possibile nelle attività dei ragazzi; in questo modo è anche possibile creare contatti con altre associazioni, qualora anche i genitori dovessero trovarsi in condizioni o situazioni di bisogno diffuso.

6.5.3 Caratteristiche dell’utenza e modalità di contatto Come già visto per gli altri progetti, l’utenza viene segnalata a monte, in prevalenza dai Servizi Sociali e dalle stesse scuole. Un altro canale che talvolta è risultato particolarmente vincente è il passaparola o la presentazione di nuovi utenti tramite quelli precedenti. Anche nel caso in cui, comunque, i bambini e/o i ragazzi siano mediati da servizi o scuole, il contatto vero e proprio è ricercato attraverso modalità il più possibile informali, visto che, come nuovamente ha sottolineato la coordinatrice “i ragazzi indotti a venire in genere non vengono, salvo che non siano portati da loro coetanei. I ragazzi che arrivano convinti sono quelli che scelgono spontaneamente di partecipare alle attività” Attualmente l’utenza è varia. Il centro accoglie una ventina di bambini in età compresa tra 6 e 12 anni che dalle 15.30 alle 19.30 di ogni giorno possono svolgere varie attività cadenzate come segue: “Lunedì è dedicato al gioco perché i bambini non hanno in genere compiti, martedì e giovedì si fa laboratorio, mercoledì si guarda un film, venerdì è dedicato solo ai compiti” (Referente operativa del progetto).Per i più grandi (quattro in tutto, di cui tre alle secondarie di primo grado e una alla secondaria di secondo grado) la settimana è principalmente scandita dagli obblighi scolastici, che hanno un peso maggiore dal punto di vista quantitativo rispetto a quello dei loro colleghi più giovani. Il centro garantisce un’assistenza più serrata, in termini di educatori addetti, ai più piccoli, che studiano separati dai più grandi in quanto gli operatori avevano constatato l’impossibilità di garantire agli uni e agli altri l’adeguata concentrazione, se simultaneamente presenti negli stessi spazi. La referente operativa ha, inoltre, aggiunto le seguenti riflessioni: “Le maggiori difficoltà sono con l’utenza: a volte collaborano a volte non hanno voglia di fare nulla. (…) Noi cerchiamo l’interazione con l’utente e cerchiamo di supportarlo. Non esiste uno standard di utenza, ognuno rappresenta un caso a sé ed ha la sua storia totalmente personale”.

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Il punto di vista dell’utente intervistato

“Ho 14 anni. Non ho particolari hobby, ogni tanto mi piace andare al cinema, a vedere film comici o dell’orrore. Ho un gruppo di amici che frequento, quasi tutti coetanei fra i 14 e i 16 anni. Vivono tutti nella mia zona. Insieme usciamo, facciamo battute, ci organizziamo e ci incontriamo non sempre nello stesso posto, se dobbiamo andare a ballare davanti alla discoteca, se no in centro. Le mie amiche studiano o lavorano (prevalentemente come parrucchiere, n.d.r.).

La mia famiglia è formata da mia madre e mia nonna. Io non vivo più con loro. Ho un fratello dalla parte di mio padre. Mia madre ha 30 anni, mio fratello 2 e mio padre non so. Mia madre è commerciante, ma adesso non lavora. Alla media inferiore mi sono trovata bene, ora anche mi trovo bene a scuola, forse è anche più facile. Ora sono in prima superiore. Questa scuola l’ho scelta perché mi piace il mestiere dell’educatore che ho conosciuto qui al centro. Nella scuola mi trovo bene con i compagni, con i professori quasi con tutti, non mi trovo con i prof di diritto e scienze. La mia scuola è una bella struttura, insegnano bene… aspetti negativi sono il riscaldamento. La mattina mi alzo e per me è un peso andare a scuola solo perché mi devo svegliare, non per quello che faccio. Il contatto con il centro l’ho avuto per caso, sono entrata e li ho conosciuti e mi sono trovata bene. Avevo 9 anni quando ho cominciato; mia nonna aveva un negozio in piazzetta qui vicino e io ci sono entrata con un mio amico. Facevo compiti e giocavo con gli altri bambini. Ora vengo per i compiti e per stare con i miei amici di zona e con gli educatori. Con gli operatori mi trovo bene per la maggior parte delle volte; qualche volta mi fanno girare le scatole, perché mi dicono cose che non hanno senso. Quando faccio cose che non vanno bene e mi riprendono non mi va bene, anche se capisco che devono farlo. Mi piace il loro carattere e la simpatia, sento che di loro mi posso fidare. Penso di venire qui fino a quando ne avrò voglia, fino a quando non mi stufo. I motivi potrebbero essere che non avrò più voglia di stare nello stesso posto. Magari verrei lo stesso ma molto di meno. Mia nonna del centro ne pensa bene, mia mamma lasciamo perdere… Da grande mi piacerebbe fare l’educatore, in particolare con i bambini, e penso che per realizzare il mio sogno dovrò andare a scuola. E frequentare questo centro mi può servire per vedere come lo fanno loro.”

6.5.4 Operatori coinvolti e fabbisogni formativi Nel centro operano quattro persone: una coordinatrice e tre educatori con esperienze curriculari diverse. La referente operativa, che è anche responsabile del centro diurno, è laureata in Scienze dell’Educazione con indirizzo “Consulente delle interazioni familiari”. Il percorso universitario svolto è stato valutato ottimale per le basi teoriche che permette di acquisire, anche se non soddisfacente per la mancanza di occasioni di sperimentazioni su campo delle nozioni acquisite. L’auspicio è che l’università possa preventivare più occasioni di stage e di confronto con le realtà esistenti nei territori di riferimento.

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Una seconda educatrice ha da poco cominciato la facoltà di Giurisprudenza e ha fatto esperienze pregresse, anche se non in quantità rilevante essendo molto giovane (20 anni). La terza, invece, si è strutturata attraverso percorsi di formazione mirati. Quel che più spesso è emerso è il problema provocato dal fatto che parte degli educatori agisca all’interno del centro in forma di volontariato: questo aspetto causa rischio di turnover anche frequente, come è accaduto di recente quando un altro collega dello staff educativo ha scelto di staccarsi dal progetto per concludere gli studi, in questo ‘aiutato’ anche (non solo, peraltro) dalla precarietà professionale e dalla mancanza di una contropartita economica, seppur minima, per le ore dedicate al progetto.Dal punto di vista formativo, le occasioni di approfondimento non mancano: ogni persona che entra a far parte del progetto deve fare un percorso di formazione mirata, curato dalla cooperativa “Liberi Tutti”, con cui esiste una consolidata collaborazione in tal senso. La stessa coordinatrice ammette peraltro che “la formazione mirata non manca, solo che non si può fare tutto in volontariato, che è già richiesto troppo agli educatori”.È comunque sempre prevista e garantita la possibilità di seguire corsi fra quelli organizzati sia dal Comune, sia dalla Provincia.

6.5.5 Valutazione e rilevanza del progetto, esiti e impatti Le modalità di valutazione si basano su metodologie quantitative (questionari di gradimento somministrati sia agli utenti, sia agli stessi operatori, per valutare la percezione dei risultati ottenuti e delle modalità con cui sono stati acquisiti). Il sistema di valutazione è fondato su un sistema semplice di indicatori, anche per evitare di appesantire troppo il lavoro degli educatori. Come ha precisato la coordinatrice “Quella in corso è una sperimentazione volontaria (del sistema di valutazione, n.d.r.)”. Resta comunque in ogni caso il fatto che uno dei migliori indicatori esistenti è dato dai risultati scolastici dei ragazzi. In particolare, l’utente del progetto che è stato intervistato, nonostante lo staff fosse convinto che non avrebbe retto oltre novembre alla frequenza della prima classe di un istituto professionale, ha portato invece voti ottimi in molte materie, anche se talvolta – in particolare per ragioni connesse ad una condotta non sempre esemplare – gli insegnanti dell’istituto lo hanno sanzionato proprio attraverso valutazioni negative di profitto. Tra i punti di forza del progetto la coordinatrice ha ricordato in particolare:

� la rete che si è creata, i cui membri spesso si incontrano per discutere delle attività messe in campo, per confrontarsi sui risultati ottenuti e per attuare iniziative esterne che producano effetti anche attraverso azioni di potenziale ‘disturbo’;

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� il personale qualificato ed esperto che lavora nelle associazioni, che viene formato attraverso percorsi mirati, concretamente attuati da strutture appartenenti al mondo della cooperazione;

� il fatto di non dare nulla per scontato, di non accettare gli obiettivi raggiunti come il massimo risultato possibile, preferendo invece continuare a mettere in atto idee e iniziative nuove;

� la conoscenza diretta degli abitanti della zona, con cui gli operatori cercano di rapportarsi sempre per approfondirne la conoscenza e per offrire aiuto in caso di necessità, potendo come già detto contare sulla rete esistente;

� la disponibilità a lavorare anche nelle difficoltà, non cercando di semplificare le diverse situazioni che peraltro, di per sé, sono caratterizzate da complessità decisamente particolari e differenti da caso a caso.

L’auspicio principale è certamente che il progetto possa essere esteso anche ad altre scuole dell’area comunale torinese. Ma perché ciò possa avvenire è davvero necessario che siano reperite adeguate risorse finanziarie: come afferma infatti la coordinatrice “Ci piacerebbe molto ampliare anche le scuole con cui lavorare: abbiamo avuto una richiesta da parte di una scuola che non avevamo mai contattato, ma non ce la facciamo.”

Il ruolo auspicato della Provincia di Torino

È stato segnalato in particolare il bisogno estremo di informazioni sul terzo

settore, sul volontariato e sull’universo giovanile, di cui la Provincia avrebbe

disponibilità (o potrebbe avere, come ad esempio attraverso l’Osservatorio

Giovani). In generale, la richiesta è stata quella di promuovere maggiormente la

diffusione di ogni notizia, studio o report di ricerca che questo Ente, per ruolo

istituzionale o per disponibilità di strutture dedicate, può rendere fruibile verso

l’esterno.

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ConclusioniConclusioniConclusioniConclusioni

el corso di questo volume, abbiamo avuto modo di ribadire a più riprese la multidimensionalità del fenomeno dispersione e probabilmente il lettore che ha

avuto la pazienza di leggere l’intero testo si ritroverà con un numero di interrogativi superiore a quello con cui aveva iniziato la lettura. Crediamo siano due i motori generatori di complessità del fenomeno e di domande in chi lo studia. In primo luogo, la compresenza di molte forme di dispersione, che vanno dal disagio scolastico all’interruzione degli studi, a cui corrispondono quindi molteplici definizioni operative. Sembra opportuno, quindi, parlare di dispersioni e non di dispersione.In secondo luogo, come abbiamo avuto modo di illustrare, le dispersioni sono solo l’esito finale di processi che hanno origine dall’interazione di un nutrito insieme di attori; limitandosi solo ai più visibili, troviamo i giovani studenti, i loro genitori e gli insegnanti. L’aspetto che risulta però determinante nell’accrescere la complessità del fenomeno da analizzare è che tutti questi soggetti agiscono all’interno di contesti socio-istituzionali governati da proprie dinamiche e norme di condotta: la scuola, la famiglia, ma anche l’ambito socio-economico di appartenenza. È facile osservare che, infine, tutti questi contesti sono interessati da profonde e rapide mutazioni: si pensi, ad esempio, alle riforme del sistema scolastico, ai cambiamenti del mercato del lavoro, ai processi di immigrazione, ma anche all’affermarsi di nuove forme di convivenza familiare. Le differenti forme di dispersione, quindi, sono l’esito di un fitto intreccio di azioni individuali e processi sociali che presentano elementi di instabilità e mutamento. Infine, i dati quantitativi ufficiali disponibili, anche in un contesto come quello torinese che può disporre di lunghe serie storiche, non sono in grado di gettare luce sul fenomeno, ma si limitano a confermare alcune sue caratteristiche di fondo. Niente è più naturale, quindi, di un accavallarsi di molteplici interrogativi, quando siamo chiamati a indagare con un approccio analitico il presunto fenomeno unico denominato “dispersione”. Nonostante la complessità dell’oggetto di indagine, è però possibile implementare strategie di ricerca capaci di fornire alcune risposte e soprattutto di essere stimolo per intuizioni sui mutamenti in corso dello stesso. Lo sforzo di ricerca intrapreso e presentato nel volume ha cercato di fare proprio questo, integrando molteplici strategie di indagine e focalizzandosi su alcune tematiche poco esplorate. Vediamo quindi quali sono le conclusioni a cui siamo giunti.

N

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In primo luogo, osserviamo che esiste un insieme di risultati consolidati sulla dispersione che hanno trovato conferma nelle nostre indagini. Accanto alla già citata multidimensionalità del fenomeno e al suo essere generato da una pluralità di cause, rileviamo che esistono alcuni importanti elementi di strutturazione dello stesso. Ecco, allora, che giocano un ruolo centrale nel determinare la probabilità di incorrere nelle diverse forme di dispersione alcune caratteristiche dei soggetti:

o le risorse economico-culturali della famiglia di origine; o il genere, con i maschi costantemente a rischio maggiore; o il tipo di scuola frequentato; o i risultati scolastici pregressi; o l’età.

Vale la pena soffermarsi brevemente su questi ultimi tre aspetti: sono maggiormente coinvolti nelle differenti forme di dispersione gli studenti della scuola secondaria di secondo grado (e in una certa misura di primo grado), soprattutto nella fase di passaggio tra i due ordini scolastici. Inoltre, rileviamo che i risultati scolastici che precedono questa fase sono un buon predittore di insuccesso e, al contempo, sono strettamente associati al tipo di scuola di secondo grado che i soggetti frequentano: ciò comporta che gli studenti a minor rendimento (e maggior rischio) siano tipicamente concentrati negli istituti professionali e/o nella formazione professionale. Infine, osserviamo che esiste una stretta e problematica sovrapposizione tra l’età tipica di dispersione e l’ingresso degli studenti nella fase adolescenziale, caratterizzata da forti e spesso difficili mutamenti individuali. Nonostante i dati a disposizione presentino i molteplici problemi metodologici illustrati nel secondo capitolo, è possibile tracciare quindi un profilo del soggetto a più elevato rischio di dispersione: un giovane maschio di circa 14 anni con risultati scolastici scarsi nella secondaria di primo grado, proveniente da una famiglia di modesta estrazione socio-culturale e iscritto a una scuola professionalizzante. Infine, un ulteriore dato consolidato e riscontrato anche nell’esplorazione qualitativa sui dispersi torinesi mostra che l’esito tipico di chi abbandona la scuola è la collocazione nei segmenti deboli del mercato del lavoro. Qui osserviamo un primo elemento peculiare del contesto locale: l’abbandono scolastico non sembra associarsi nel torinese a un alto rischio di disoccupazione, quanto piuttosto all’inserimento in ambiti occupazionali a bassa qualifica.

Accanto a questo nutrito insieme di risultati confermativi, le indagini condotte hanno però dato vita anche ad alcune conclusioni innovative, che mostrano elementi emergenti nel fenomeno dispersione.

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Crediamo che questi elementi emergenti siano stati individuati grazie al fatto che si è lavorato per approfondire l’analisi del contesto torinese (e riteniamo possano essere estesi ad altre realtà) e grazie alla decisione di dare ampio spazio all’analisi del ruolo che la scuola riveste oggi nei processi di generazione e di contrasto della dispersione. In particolare, abbiamo individuato alcuni macrofenomeni emergenti, che esercitano un importante impatto nella generazione e nella distribuzione tra gli individui del rischio di dispersione. Vediamoli brevemente. In primo luogo, rileviamo che il panorama della dispersione sta subendo una profonda trasformazione legata all’affermarsi anche nel nostro Paese, e in particolare nelle grandi aree urbane come Torino, dei fenomeni immigratori. Infatti, non solo gli studenti immigrati sono portatori di proprie peculiari esigenze nei confronti del sistema scolastico, ma soprattutto presentano una forte eterogeneità interna; ecco allora che non basta aggiungere agli elementi caratterizzanti il profilo del disperso la parola “immigrato”, dal momento che dietro questa definizione possiamo trovare problemi di natura molto diversa, dalle semplici difficoltà linguistiche a problemi legati al dis-orientamento in un nuovo sistema scolastico, all’integrazione socio-culturale, alla deprivazione economica, etc. Inoltre, esistono molti casi in cui, al contrario dell’aspettativa di luogo comune, all’immigrazione si associano risultati scolastici brillanti e quindi una riduzione del rischio dispersione. Quel che più interessa però, nel modificarsi del panorama della dispersione, è che l’immigrazione tende a concentrarsi, nella scuola di secondo grado, proprio in quei canali caratterizzati già da elevata dispersione, quindi in particolare nelle scuole professionalizzanti. Ciò significa che i meccanismi generatori di dispersione in questi contesti vedono crescere ulteriormente la loro complessità, con la conseguente imprevedibilità dei risultati a cui porteranno. In secondo luogo, è molto cambiato il rapporto esistente tra la famiglia e la scuola. Gli insegnanti e i testimoni privilegiati segnalano alcune tendenze fondamentali nel mutamento: da un lato, da parte delle famiglie c’è un minor riconoscimento del ruolo della scuola e ciò si lega a frequenti deleghe basate sul disinteresse per ciò che accade in essa; al contempo, in alcune situazioni chiave, come ad esempio nella scelta della secondaria di secondo grado e nella gestione dell’insuccesso scolastico, il rapporto tra insegnanti e famiglie diviene teso poiché diverse sono le considerazioni che vengono compiute rispetto agli studenti. In altri termini, non si assiste ad una composizione delle divergenze tra i due mondi adulti che fungono da riferimento per i giovani figli/studenti, bensì ad una tensione in cui spesso è la famiglia a dire l’ultima parola, non sempre in modo positivo per i figli. A tal proposito, si pensi ad esempio ai casi di “orientamento al rialzo” citati nelle interviste, quindi alle situazioni in cui i genitori hanno spinto i figli a iscriversi a scuole poco affini a loro, spesso perché troppo difficili, nonostante il parere contrario degli insegnanti. Sembra evidente, dalle interviste, che qualcosa nel rapporto scuola-famiglia si è rotto e che quindi il meccanismo di generazione della dispersione legato a questo rapporto funziona in

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modo diverso rispetto al passato: non è solo la dotazione economico-culturale della prima a pesare sui destini dei figli, oggi, ma anche l’investimento che i genitori fanno nel dialogo/confronto con la scuola e con i figli come studenti. In altri termini, un ulteriore fattore di rischio potrebbe oggi essere identificato nella capacità di insegnanti e genitori di collaborare nella definizione dei percorsi scolastici dei giovani studenti/figli. Un terzo elemento di mutamento strettamente legato al precedente, anzi forse alla sua base, è la difficoltà che incontra la scuola oggi nel fare fronte ai mutamenti in essere nella Società della conoscenza. La diffusione del sapere in forme e modalità nuove (si pensi ad esempio al ruolo giocato dalle ICT o alla rilevanza assunta dalle lingue e dalla dimensione del viaggio) fatica a essere integrata nei programmi scolatici e, soprattutto, nelle pratiche quotidiane. La scuola sembra essere combattuta tra un tentativo di riforma profonda in grado di mutarne gli assetti e i contenuti e la preservazione dell’esistente, anche a costo di risultare obsoleta o, peggio, di importare in essa le innovazioni solo dopo averle snaturate in modo che siano conformi ai suoi meccanismi di funzionamento. A tal proposito, si pensi, ad esempio a come vengono impiegati i personal computer in molte scuole: si tratta di strumenti con grandi potenzialità di rivisitazione del modo in cui vengono trasmessi i contenuti, ma spesso il ruolo a cui sono relegati è quello di banali supporti a latere di lezioni tradizionali27.La dispersione, quindi, sembra legarsi oggi anche alla capacità della scuola di valorizzare le abilità e competenze degli studenti, senza sanzionare quelle che non rientrano nei suoi “protocolli” tradizionali e che sono riconosciute e valorizzate al di fuori di essa. Un ulteriore elemento di mutamento e di difficoltà della scuola nel rapportarsi con i giovani e con le famiglie è dato dalle mancate, o meglio parziali, riforme del suo ordinamento. Oggi l’offerta scolastica, soprattutto nella secondaria di secondo grado, è meno identificabile che in passato: si pensi, ad esempio, alla corsa ai licei degli ultimi anni e ai mutamenti nell’identità degli stessi licei, come degli istituti tecnici e professionali. In particolare questi ultimi due tipi di scuola spesso risultano in affanno dato che è venuto meno il legame con il territorio e gli sbocchi occupazionali che erano in grado di offrire queste scuole sono oggi meno sicuri di un tempo. Ricordiamo, a tal proposito, che i testimoni privilegiati hanno segnalato la minor capacità di orientare in presenza di un mercato del lavoro molto più mutevole e che gli insegnanti hanno spesso lamentato la confusione degli studenti in fase di iscrizione tra istituti professionali e formazione professionale. Si tratta, in tutti i casi, di fenomeni che mostrano l’accresciuta difficoltà della scuola nel comunicare con l’utenza la propria identità e i propri obiettivi, nonostante l’istituzione dei P.O.F. In buona sostanza, sembra aggravarsi il costante problema del ridotto orientamento degli studenti alla scelta dei propri percorsi scolastici; a ciò conseguono, purtroppo, la

27 Rimandiamo, ad esempio, alle considerazioni di F. Antinucci [2001]

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crescita di alcune forme di dispersione (si pensi anche al meno visibile underachievment) e, soprattutto, l’aggravarsi dei ritardi nelle cosiddette “scuole di seconda scelta”, dove la situazione diviene quindi più difficile. Tutto ciò si lega inoltre alla capacità delle scuole di essere precoci nell’individuare i soggetti a potenziale rischio di dispersione, in modo tale che non si verifichino per gli studenti spirali negative (nel testo si parla ad esempio di “passività appresa”), che portano dal disagio all’abbandono scolastico. È evidente che gli insegnanti sono, assieme ai genitori, i primi soggetti che possono rilevare l’affacciarsi di disagi potenzialmente rischiosi per la dispersione e che sono quindi chiamati a vigilare su questo. Come abbiamo avuto modo di vedere nell’analisi delle esperienze di contrasto della dispersione, tanto più precoce e individualizzato è l’intervento tanto maggiori sono le possibilità che abbia un esito positivo. Riteniamo che difficilmente la scuola possa arrivare alla flessibilità mostrata dagli interventi negli studi di caso esaminati, essendo un’organizzazione fortemente consolidata; quel che non può essere raggiunto nell’individualizzazione è però probabilmente conseguibile nella capacità della scuola di essere tempestiva nell’individuare le situazioni di rischio e di mettersi in rete con le realtà che operano efficacemente con gli studenti in situazioni di disagio scolastico.

Alcuni di questi elementi emergenti del fenomeno dispersione, come abbiamo avuto modo di sostenere, sembrano essere anche peculiari del contesto torinese: in particolare, volendo soffermarsi su questo aspetto dell’indagine, possiamo individuare alcuni tratti tipici. In primo luogo, il torinese si configura come un’area di benessere economico diffuso,

aspetto sembra far spostare la bilancia dell’influenza familiare dalla mera disponibilità di risorse economiche all’aspetto del coinvolgimento nei processi di educazione, ma anche di formazione e di iter scolastico dei figli. Un intervistato segnalava la cosiddetta “sindrome da ipermercato” per mettere in luce la mancanza di comunicazione nelle famiglie. Ciò che preme sottolineare è che mutando il ruolo della famiglia nei processi di scelta educativa dei figli, devono anche mutare le modalità di coinvolgimento della stessa nell’orientamento scolastico. Un ulteriore aspetto peculiare legato al benessere diffuso è dato dal fatto che i giovani dispersi torinesi non sembrano andare incontro a lunghi periodi di disoccupazione, ma piuttosto a inserimenti lavorativi in fasce deboli del mercato del lavoro. Un ulteriore elemento del torinese è legato al passaggio da un’economia fortemente

degli istituti tecnici e professionali, che faticano maggiormente a dialogare con il mondo del lavoro rispetto al passato, come riferito del resto dagli stessi insegnanti e come discusso nelle pagine precedenti.

alcuni testimoni privilegiati hanno parlato di “nordestizzazione” e proprio questo

industriale a una dei servizi, con i conseguenti spiazzamenti nell’identità e nel ruolo

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Un altro elemento peculiare del torinese, come abbiamo avuto modo di mettere in luce, è l’espansione dei fenomeni immigratori e con essi dei relativi mutamenti nel profilo della dispersione, su cui non ci soffermeremo ulteriormente. Infine, abbiamo avuto modo di osservare che il torinese ha la peculiarità di presentare, in un territorio geograficamente limitato, la coesistenza di realtà socio-culturali fortemente difformi (banalmente, si va dai piccoli centri di contesti montani alla grande metropoli). Nei rapporti di ricerca abbiamo avuto modo di effettuare

certamente i decisori locali chiamati a intervenire devono considerare che la dispersione assume diverse costellazioni nei differenti ambiti territoriali della Provincia.

Chiudiamo questo volume mettendo in luce gli elementi positivi trasversali ai casi di studio indagati, così che possano essere trasferiti ad altre realtà del territorio; segnaliamo però anche quelle che possono essere le criticità di queste esperienze, criticità su cui lavorare, al fine di potenziarne la portata. Il cambiamento dello “stile di vita”, inteso come acquisizione di capacità di relazioni sociali, capacità di progettare il proprio futuro, di essere cittadini attivi, è l’obiettivo fondamentale e la scommessa iniziale di tutti i progetti esaminati. Prima di tutto è necessario ristabilire la fiducia dei ragazzi dispersi nel mondo adulto, del quale la scuola rappresenta l’esperienza per loro fallimentare. Il riavvicinamento alle regole sociali avviene attraverso metodologie e contenuti non tradizionali, che si fondano sulla dimensione relazionale e sulla individualizzazione dei percorsi. Una “didattica dell’occasione socializzante” è comune a tutti i progetti: è nella ricerca di una relazione empatica, di una comunicazione su base emozionale piuttosto che concettuale che è possibile trasmettere regole condivise e contenuti culturali, e le attività progettuali esaminate si fondano su questi canali. La realizzazione di filmati o di spettacoli teatrali e musicali, l’utilizzo delle nuove tecnologie e di laboratori rappresentano quindi gli strumenti di una didattica non convenzionale ma efficace per trasferire elementi di apprendimento. Sottostante la relazione esiste però un patto formativo tra gli operatori e i giovani, senza il quale il percorso di recupero è improbabile da realizzare. La relazione di fiducia che lega i ragazzi agli insegnanti e agli educatori è alla base dello sviluppo del processo di cambiamento negli atteggiamenti e nei comportamenti. Il profilo delle persone che operano all’interno dei progetti è a questo proposito essenziale. Di fondamentale importanza è, al pari della formazione, la spinta motivazionale che guida i responsabili e gli operatori di questi progetti. Spesso infatti il loro ruolo assume gli aspetti di una collaborazione volontaristica, quando non di vera e propria missione. L’impegno e l’investimento emotivo che implica lavorare con i giovani in situazione di disagio è però spesso sostenuto in condizioni di incertezza, in situazioni

alcune elaborazioni per sotto-territori (non riportate nel volume per ragioni di spazio);

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di squilibrio tra richieste/esigenze lavorative e risorse disponibili, che aumenta il rischio di burn-out da parte dei soggetti coinvolti. Venendo infine alle criticità di queste esperienze, su cui è necessario lavorare, vale la pena partire dalla difficoltà da noi incontrata nel trovare progetti di lotta alla dispersione sul territorio torinese. Dopo un iniziale smarrimento, ci siamo resi conto che le esperienze non mancavano, anzi, ma che erano e sono in un certo modo “invisibili”. Il punto è che questa invisibilità si estende spesso anche alle famiglie, alla scuola, ai giovani in difficoltà. Vediamo brevemente le ragioni di questa “invisibilità”. La scuola è il luogo in cui il disagio si manifesta e in cui è quindi più a portata di mano ciò che notoriamente è difficile individuare e avvicinare, i giovani a rischio di dispersione; come abbiamo già sostenuto, è pertanto necessario che i dirigenti e gli insegnanti siano in stretto contatto con le micro-esperienze attive localmente. Inoltre vi è la necessità di creare una rete più vasta di quella di quartiere o di circoscrizione, uno spazio in cui creare sinergie tra associazioni, servizi sociali e territoriali e scuole per accrescerne la visibilità. Si tratta di un’esigenza sentita anche a proposito della conflittualità con le famiglie dei giovani drop-out, che spesso viene citata come un ostacolo al percorso di recupero; il rapporto con la famiglia costituisce un elemento cruciale per la riuscita del cambiamento degli atteggiamenti verso la scuola da parte dei giovani a rischio. Accanto alla “invisibilità” legata al ridotto territorio su cui operano, queste esperienze presentano anche problemi di raggiungibilità legata al fatto che spesso vivono di finanziamenti temporanei e che quindi la loro stessa esistenza non è continuativa. Anche su questo è necessario lavorare, per fare in modo che le buone prassi possano estendersi, consolidarsi e soprattutto divenire uno stabile punto di riferimento per la scuola, per le famiglie e per le istituzioni locali. Non si tratta di realizzare con queste realtà esclusivamente servizi di supporto per i soggetti a rischio dispersione o dispersi, ma di valorizzare il patrimonio di esperienze e conoscenze accumulato nella pratica di molti anni a diretto contatto con il fenomeno.

In conclusione, nonostante tutte le difficoltà conoscitive e gli interrogativi sollevati dalla ricerca, il messaggio con cui questo volume vuole chiudersi è che la dispersione si può contrastare e che ciò già avviene in alcuni ambiti del torinese, come mostrano i casi di studio indagati. Il “riconciliarsi con la scuola” che emerge dalle parole degli utenti di queste esperienze è proprio la prova tangibile che la dispersione è un fenomeno che può essere combattuto con successo, ove esista la volontà di farlo.

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AppendiceAppendiceAppendiceAppendicemetodologicametodologicametodologicametodologica

,Per consultare l appendice metodologica: www.provincia.torino.it/fidati/scuola/iard

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Bibliografia generale

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Per consultare la bibliografia generale: www.provincia.torino.it/fidati/scuola/iard