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rivista di storia contemporanea

aspetti politici, economici, sociali e culturali

del Vercellese, del Biellese e della Valsesia

l’impegno

Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporaneanelle province di Biella e Vercelli “Cino Moscatelli”

a. XXVII, nuova serie, n. 2, dicembre 2007

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l’impegno

Rivista semestrale di storia contemporaneaDirettore: Piero AmbrosioSegreteria: Marilena Orso Manzonetta; editing: Raffaella FranzosiDirezione, redazione e amministrazione: via D’Adda, 6 - 13019 Varallo (Vc). Tel. 0163-52005, fax 0163-562289. E-mail: [email protected] al n. 202 del Registro stampa del Tribunale di Vercelli (21 aprile 1981).Responsabile: Piero AmbrosioStampa: Gallo Arti Grafiche, VercelliLa responsabilità degli articoli, saggi, note firmati o siglati è degli autori. Non si re-stituiscono manoscritti, anche se non pubblicati. È consentita la riproduzione di articolio brani di essi solo se ne viene citata la fonte.

Prezzi 2007: un numero e 7,00; arretrati e 9,00; estero e 9,00; arretrati estero e 10,00Prezzi 2008: un numero e 7,50; arretrati e 9,00; estero e 9,00; arretrati estero e 10,00Quote di abbonamento 2008 (2 numeri): annuale e 15,00; benemerito e 20,00; sostenitoree 25,00 o più; annuale per l’estero e 20,00

Gli abbonamenti si intendono per anno solare e sono automaticamente rinnovati se noninterviene disdetta a mezzo lettera raccomandata entro il mese di dicembre; la disdettacomunque non è valida se l’abbonato non è in regola con i pagamenti. Il rifiuto o la re-stituzione dei fascicoli della rivista non costituiscono disdetta di abbonamento a nes-sun effetto.Conto corrente postale n. 10261139, intestato all’Istituto.

Il numero è stato chiuso in redazione 10 dicembre 2007. Finito di stampare nel dicembre2007.

In copertina: Comizio, Vercelli, 1948, © Archivio fotografico Luciano Giachetti - Foto-cronisti Baita (Vercelli)

Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea

nelle province di Biella e Vercelli “Cino Moscatelli”Aderente all’Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia“Ferruccio Parri”

L’Istituto ha lo scopo di raccogliere, ordinare e custodire la documentazione di ognigenere riguardante il movimento antifascista, partigiano, operaio e contadino nelleprovince di Biella e Vercelli, di agevolarne la consultazione, di promuovere gli studistorici e, in generale, la conoscenza del movimento stesso, anche con l’organizzazionedi convegni, conferenze e con ogni altra iniziativa conforme ai suoi fini istituzionali.L’Istituto è associato all’Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazionein Italia, in conformità dell’art. 3 L. 16 gennaio 1967, n. 3.

Consiglio direttivo: Luciano Castaldi (presidente), Antonio Buonocore, Marcello Vau-dano (vicepresidenti), Piero Ambrosio (direttore), Enrico Pagano (condirettore), MauroBorri Brunetto, Silvia Cavicchioli, Giuseppino Donetti, Antonino Filiberti, GiuseppeRasolo, Angela RegisRevisori dei conti: Luigi Carrara, Elio Panozzo, Teresio PareglioComitato scientifico: Gustavo Buratti Zanchi, Pierangelo Cavanna, Emilio Jona, Alber-to Lovatto, Marco Neiretti, Pietro Scarduelli, Andrea Sormano, Edoardo Tortarolo,Maurizio VaudagnaDirettore: Piero Ambrosio

Sito internet: http://www.storia900bivc.it

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presentazione

l’impegno 3

In questo numero

Orazio Paggi analizza il rapporto del cine-

ma americano con la guerra del Vietnam, dal

silenzio critico del decennio in cui il conflit-

to è ancora in corso, durante il quale l’argo-

mento viene affrontato indirettamente, al-

l’esplicita accusa nei confronti di una guer-

ra sbagliata e incomprensibile che emerge

dai capolavori di Scorsese, Cimino, Coppo-

la e Kubrick, i quali mettono a nudo le ipo-

crisie e il malessere di un’America che ha

perduto la sua innocenza.

Massimiliano Tenconi, attingendo all’ar-

chivio digitale della Bbc, che raccoglie te-

stimonianze e immagini relative alla secon-

da guerra mondiale, recupera il racconto del

soldato inglese George Evans, prigioniero

del campo Pg 106 di Vercelli che, dopo l’8

settembre 1943, si unisce ai partigiani del

Biellese e diventa infine membro della mis-

sione alleata Cherokee.

Segue la pubblicazione, curata da Raffael-

la Franzosi, delle parti del diario del 63o bat-

taglione “M” relative alla sua permanenza

nelle Marche e in Lombardia, documento

particolarmente significativo poiché la fo-

tocopia conservata nell’archivio dell’Istitu-

to risulta essere l’unica copia esistente.

Andrea Paracchini elabora gli interessanti

risultati di una ricerca condotta su un cam-

pione di insegnanti delle scuole seconda-

rie superiori, allo scopo di studiare l’influen-

za dei mass media nella formazione del “sen-

so comune” riguardo alla Resistenza. Ne e-

merge un quadro in cui i mezzi di comunica-

zione di massa vengono ritenuti fortemen-

te connotati in senso “revisionista”, con

un’accezione del termine ora positiva ora

negativa, a seconda dell’autoposiziona-

mento politico degli intervistati.

Dopo le immagini dedicate al 1946, l’an-

no della Repubblica, Laura Manione e Pie-

ro Ambrosio presentano immagini dell’Ar-

chivio fotografico Luciano Giachetti - Fo-

tocronisti Baita relative a un altro anno fon-

damentale della nostra storia, il 1947. L’an-

no dell’Assemblea costituente è racconta-

to nei suoi aspetti politici, sociali e di co-

stume dalla mostra “1947: l’anno della Co-

stituente”, da cui è tratta la selezione di fo-

tografie relative alla vita politica qui ripro-

posta.

Di seguito, un’altra selezione di immagini

dell’Archivio fotografico Luciano Giachet-

ti - Fotocronisti Baita (facenti parte della

mostra “Sguardi alla pari” curata da Laura

Manione in occasione dell’anno dedicato

alle pari opportunità) ripercorre l’evoluzio-

ne del ruolo della donna nell’arco di cin-

quant’anni di storia locale, rendendo omag-

gio ad una presenza femminile determinan-

te e troppo spesso non adeguatamente mes-

sa in risalto.

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presentazione

4 l’impegno

Francesco Omodeo Zorini, a settant’anni

dalla guerra civile spagnola, ricorda Anello

Poma e rivitalizza la memoria di quanti com-

batterono nelle Brigate internazionali assu-

mendosi la responsabilità di dare un contri-

buto diretto alla lotta contro l’oppressione

del potere.

Pietro Ramella, recensendo due recenti

pubblicazioni relative alla partecipazione

dell’Italia di Mussolini alla guerra civile spa-

gnola, ricorda una pagina della storia del

regime troppo spesso dimenticata, soffer-

mandosi sui bombardamenti aerei sulle cit-

tà spagnole, sulla sconfitta di Guadalajara,

sul tema dei prigionieri italiani nelle mani dei

repubblicani, sull’epurazione subita dagli

ufficiali ebrei dell’esercito italiano in segui-

to alla promulgazione delle leggi razziali, sui

caduti da entrambe le parti.

Seguono infine il resoconto degli incon-

tri di storia contemporanea organizzati dal-

l’Istituto nel corso del 2007, in corrispon-

denza di ricorrenze particolarmente signifi-

cative e la consueta rubrica di segnalazioni

di volumi.

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saggi

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Dalla “guerra giusta” alla “sporcaguerra”

Agli inizi degli anni sessanta gli Usa sonoancora impantanati nella guerra fredda conl’Urss e vivono con disagio un possibileconflitto atomico, che potrebbe risultare ca-tastrofico. Già nel decennio precedente, lacosiddetta “guerra non guerreggiata” tra ledue superpotenze aveva modificato i modu-li interpretativi del bellum, sottolineandonel’implicita ambiguità, basata su ostilità nontrasparenti invece che sulla visibilità delloscontro.

Il cinema è testimone di questa atmosferalattiginosa e rarefatta, con film sulla secon-da guerra mondiale in cui prevale una meta-morfosi dei topoi tradizionali, che porta adesempio con facilità a confondere i soldatidella Wehrmacht con quelli sovietici, al pun-to che ci si chiede chi sia il vero nemico nelprocedimento narrativo. Si parla di tedeschi,ma in realtà si guarda oltre cortina. Così co-me è facile notare il capovolgimento del rap-porto paternalistico ufficiale-soldato in unantagonismo duro, a volte insanabile, chemette in crisi il mito del “grande paese” unitoe democratico. Se anche un cantore, perquanto problematico, dell’epopea del Weste soprattutto della cavalleria, a cui ha dedi-cato una trilogia - “Il massacro di Fort Apa-che” (1948), “I cavalieri del Nord-Ovest”

(1949), “Rio Bravo” (1950) - come John Fordsente l’esigenza nel 1964 di rivedere, con “Ilgrande sentiero”, il giudizio storico sugliindiani, assegnando loro finalmente quelladignità di popolo sempre negata dall’eser-cito e dal cinema americani, si comprendecome il clima politico sia decisamente mu-tato. Ne sono una dimostrazione opere come“A prova di errore” (1964), di Sidney Lumet,e “Il dottor Stranamore, ovvero come impa-rai a non preoccuparmi e ad amare la bom-ba” (1964), di Stanley Kubrick, che, parten-do dall’angoscia della società americana perun possibile conflitto nucleare, rileggonocriticamente il genere bellico. Se il primo ètutto giocato sullo sbaglio umano, come va-riabile da non sottovalutare in un sistemache si presta più all’irrazionalità che non allalogica (metafora in ultima analisi della folliadell’uomo che crea ordigni tecnicamentesofisticati e pericolosi, ma che poi non rie-sce a controllare), il secondo, con caricacorrosiva ed ironica, denuncia il pericolo diessere manipolati da guerrafondai cinici,inaffidabili, irresponsabili, chiusi in un esa-sperato militarismo che esclude ogni altravisione politica. Emblema di tale deriva to-talitaria del potere è il dottor Stranamore,consigliere del presidente americano, il cuibraccio meccanico, alzandosi nel classicosaluto hitleriano, mostra come il passato na-zista sia ora al servizio della superpotenza

ORAZIO PAGGI

Cinema e Vietnam: la fine del sogno americano

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Orazio Paggi

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americana. Si è giunti all’interiorizzazione delconcetto di nemico, che pulsa più dentro dinoi (e, per conseguenza naturale, nella na-zione) che non al di fuori, anticipando unadelle conflittualità tipiche dei film che ver-ranno girati sul Vietnam.

A metà degli anni sessanta l’amministra-zione Johnson decide di rafforzare la presen-za americana in Vietnam, dando vita alla co-siddetta escalation. Non si vuole infatti per-dere altro terreno in Asia, dopo quanto giàsuccesso in Cina e nella Corea del Nord.L’obiettivo non è tanto quello di liberare unpopolo dall’oppressione di un regime totali-tario, quanto piuttosto di far cadere la comu-nista Hanoi. Mentre i network televisivi se-guono l’avvenimento giorno per giorno, in-viando continue immagini dal teatro deicombattimenti, il cinema rinuncia alla suarappresentazione. Film sul Vietnam sarannogirati solo qualche anno dopo la fine dellaguerra, con l’unica irrilevante eccezione delnazionalista “Berretti verdi” (1968), di JohnWayne e Ray Kellogg, teso unicamente a di-fendere la bontà della scelta bellica, ma pri-vo di una pur minima contestualizzazionestorica.

L’attendismo hollywoodiano può essereattribuito a diverse motivazioni: le difficol-tà di riprendere un evento in via di svolgi-mento, con il rischio di ridurre l’opera cine-matografica ad un instant movie per forzadi cose incompleto e riduttivo; le implica-zioni politiche ed ideologiche con cui si ècostretti a fare i conti quando si è alle presecon una materia complessa come il Vietnam;l’ambiguità stessa del conflitto, che mesco-la concetti sostanzialmente opposti (capita-lismo-comunismo, forza-debolezza, demo-crazia-totalitarismo, Occidente-Oriente). So-prattutto appaiono poco credibili le ragionidella guerra: non si combatte più per difen-dere il mondo da una minaccia planetaria,come potevano essere quelle nazista e giap-

ponese degli anni quaranta, al contrario siinvade uno stato sovrano in via di decolo-nizzazione, economicamente povero e arre-trato. Non è infine da sottovalutare la forteopposizione dell’opinione pubblica ameri-cana (e internazionale) all’intervento militarenel Sud-Est asiatico, che trova sicura ri-spondenza nelle posizioni progressiste epacifiste di buona parte della Hollywooddell’epoca. Il punto è che il Vietnam si pre-senta fin da subito come una “guerra sba-gliata”, che con il passare del tempo si rive-la essere una “guerra sporca” (agli antipodidella “guerra giusta” che aveva fatto breccianell’immaginario collettivo durante il secon-do conflitto mondiale), che si tramuta quin-di in una sconfitta amara e sanguinosa.

Reducismo e cattiva coscienza: l’im-possibilità di tornare a casa

Questo silenzio del cinema americano nondeve essere giudicato passivo o compro-missorio con il sistema, piuttosto risuonacensorio e critico nei confronti di una poli-tica che, in nome di un’ideologia che devesempre e dovunque essere vincente, nontiene assolutamente conto del fattore uma-no. Tanto più che l’argomento Vietnam, senegli anni 1965-1975 non viene trattato di-rettamente, è indirettamente sovente citato,esplicitamente o implicitamente, in diversepellicole del periodo, apparendo come unincubo ricorrente della normalità americana.Basti pensare alla categoria del reduce, pre-sentato come un disadattato incapace direinserirsi nel contesto sociale. La sua di-versità inconsciamente rivela le ipocrisie delperbenismo borghese e dei suoi strumentidi controllo del sistema. Il ritorno a casa noncoincide con la fine dell’esperienza bellica,ma produce un altro fronte, creando un’idea-le continuità con quello vietnamita. Il pro-trarsi del sentimento di guerra all’interno di

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Cinema e Vietnam: la fine del sogno americano

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queste figure in un contesto pacifico le por-ta ad assumere atteggiamenti di ribellione edi insofferenza verso le strutture politicheche detengono il potere. Non è un caso chequasi tutti i film che hanno per protagoni-sta il reduce siano saturi di violenza. Così,mentre il veterano de “Il piccione d’argilla”(1971), di Tom Stern e Lane Slate, immi-schiato in una caccia ad uno spacciatore,nel momento in cui è braccato da un grup-po di criminali si ritrova a vivere gli stati an-gosciosi delle imboscate e degli agguati giàconosciuti nel Sud-Est asiatico, in “Gloryboy” (1972), di Edwin Sherin, la violenza simanifesta non solo nei comportamenti ris-sosi di tre ex soldati, ma in modo più sottilenello scontro generazionale tra uno di que-sti, disilluso dalla retorica nazionalista e bel-licista, e il padre, fiero sostenitore di un pa-triottismo virile.

La violenza diventa lo strumento di con-testazione del modello sociale imposto dal-l’establishment politico; attraverso di essasi trova la forza di contrapporsi ad un mon-do non più credibile nelle sue forme e nellesue ritualità. Questo è evidente in “Quel po-meriggio di un giorno da cani” (1975), di Lu-met, dove Sonny, un altro reduce dal Viet-nam, per procurarsi i soldi necessari all’ope-razione per il cambio di sesso del suo aman-te gay, improvvisa la rapina di una banca.L’azione di Sonny è circolare, nella sua di-sperazione non trova altra via d’uscita cheritornare alle armi, unica soluzione per spe-rare di realizzare il proprio sogno. Una prote-sta romantica e malinconica contro un’Ame-rica che ha perso il senso del sentimento,forse già sepolto in Vietnam.

Per altri versi l’individualismo anarcoidedel protagonista, culminante in un tentati-vo di appropriazione indebita, suona comeuna critica indiretta al consumismo di ma-trice capitalista, che prima alimenta sugge-stioni materiali per poi eluderle furbesca-

mente. Ne è una conferma l’atteggiamentodella folla assiepata attorno alla banca cheparteggia per i rapinatori e non per le forzedell’ordine, come la logica vorrebbe. Si trattacomunque di una forzatura per ottenerequello che la condizione sociale di apparte-nenza non permette. In questo modo l’indi-viduo finisce col rifiutare il ruolo assegnato-gli all’interno della comunità, trasformando-si in un “irregolare”.

Emblematica appare la presenza di duereduci dal Vietnam nel gruppo di poliziottisbracati, corrotti, tossici e alcolizzati de “Iragazzi del coro” (1977), di Robert Aldrich,quasi a ribadire che il marciume del Vietnamsi è incancrenito nella società americana,contaminandola completamente, fino nellesue istituzioni più simboliche. L’occhio diAldrich è impietoso nel mostrare un’Ame-rica malata, che non ha più fede nei suoivalori e ostenta un maschilismo virile soloper nascondere le proprie debolezze e paure.

La figura del reduce trova però un model-lo insuperato in “Taxi Driver” (1976), diMartin Scorsese. Travis Bickle, nella sua e-sistenza solitaria per le vie di New York, ri-produce gli stessi meccanismi bellici impa-rati quando era marine. È come se fosse an-cora in guerra: fa esercizi fisici, si esercitanell’uso delle armi, sperimenta strategied’azione, per prepararsi a improbabili mis-sioni. Prima progetta un attentato ad un can-didato alle elezioni presidenziali, senza peròattuarlo, poi invece massacra un gruppo dimalviventi che sfruttano la prostituzione mi-norile. La sua psicologia ubbidisce ai codi-ci assimilati durante l’addestramento: indi-viduare il nemico e annientarlo. La violenzadiventa l’unica resistenza possibile ad unasocietà alienante, così come in Vietnam eranecessità primaria per sopravvivere fisica-mente e mentalmente. “Taxi Driver” dimo-stra l’impossibilità di tornare a casa (comefarà in seguito anche “Il cacciatore”), per-

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Orazio Paggi

8 l’impegno

ché l’America, intesa come il big country

ideale e protettivo, non esiste più (e forsenon è mai esistito) e il Vietnam è la cartina ditornasole di questa perdita di identità.

Si può notare una certa sintonia tra il filmdi Scorsese e quello di Lumet. Entrambi pon-gono l’attenzione sulla ribellione dell’indi-viduo al sistema, non per fini contestatarima sentimentali, derivanti da una struggen-te nostalgia per un mondo in via di dissolu-zione che non sa più dare risposte; inoltre,il fatto che sia Travis che Sonny venganoinnalzati al ruolo di eroi dall’opinione pub-blica rivela il desiderio di riscatto di un’in-tera generazione frustrata da una politicapaludata e da una guerra incomprensibile.

L’equazione Vietnam = fine del sogno a-mericano era già stata anticipata con pro-fondità esplicativa da Elia Kazan nel 1971ne “I visitatori”.

Il titolo, di per sé programmatico, rimandaa due reduci dal Vietnam, Mike e Tony, chegiungono a casa di Bill, un loro ex compa-gno che al fronte li aveva denunciati allacorte marziale per lo stupro e l’uccisione diuna ragazza, decretandone la carcerazione.Essi si comportano come alieni provenientida un altro mondo, appunto “visitatori”, fi-nendo per dare al film atmosfere quasi dafantascienza. Quello che colpisce di piùnella spirale di violenza che perpetrano neiconfronti di Bill e della moglie è l’assenza diuna logica. La loro azione, infatti, non è de-terminata dal desiderio di vendetta per ladenuncia di Bill, ma dal modo di essere chehanno mutuato in guerra, che li rende incom-patibili con la società civile nella quale sonotornati a vivere. I comportamenti di Mike eTony sono istintivi, quasi animaleschi, as-solutamente arazionali; nella loro gestuali-tà parlano un linguaggio incomprensibile,al di fuori di qualsiasi codice comunicativo-referenziale. La violenza è così rappresen-tata come fatto di natura inevitabile, a cui

non ci si può sottrarre. A conflitto non an-cora terminato, Kazan mette problematica-mente sul tavolo la questione morale di unatragedia che trasforma l’uomo in un auto-ma senza sentimento, capace di perpetuaredentro di sé solo l’esperienza della guerra,unica realtà riconoscibile per chi l’ha com-battuta. La casa di Bill, all’apparenza sim-bolo del modello di vita americano, fatto dicalore e protezione, si rivela invece agghiac-ciante metafora di un paese allo sbando, chescopre nei propri figli i nemici più irriducibi-li e pericolosi.

Conflitti di guerra, conflitti di classe

Il reducismo, come è stato fin qui sottoli-neato, è strettamente legato all’altro gran-de tema della New Hollywood: la violenza.Anche questa, almeno in parte, è immaginespeculare della guerra in corso nel Sud-Estasiatico e un continuo richiamo ad essa. Laviolenza di molti film americani tra la finedegli anni sessanta e l’inizio degli anni set-tanta diventa metafora di un conflitto san-guinario e brutale, che non conosce pietà.Tale poetica dell’aggressività è letta in chia-ve di scontro sociale e di diversità cultura-le, attraverso dinamiche che sembrano am-bigue, ma che in realtà sono alquanto linea-ri in qualsiasi direzione esse si svolgano: de-boli-forti, poveri-ricchi, proletari-borghesi,democratici-reazionari.

La rappresentazione della società ameri-cana (ma più estesamente di quella capitali-sta) rimanda, se pur in maniera indiretta, aldramma vietnamita, che gradualmente inne-sca la ribellione a codici politici non più néaccettati né condivisi. Un esempio è “Ame-rica 1929: sterminateli senza pietà” (1972),di Scorsese. La visione collettivistica pre-sente non è unidirezionale, semmai dicoto-mia tra la consapevolezza e la casualità del-la scelta contestataria, simboleggiate dai

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Cinema e Vietnam: la fine del sogno americano

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due protagonisti: il sindacalista consciodella sua missione e la ragazza che lo seguenella sua battaglia per amore, non per con-vinzione ideologica. Ne deriva un ribellismoimmaturo, che non ha ancora preso pienacoscienza delle proprie potenzialità, ma chesi lascia piuttosto irretire dalla nostalgia perun paese che esiste solo a livello immagi-nario, a cui fa da contrappunto una realtàdura, nella quale chi detiene il potere lo di-fende a qualsiasi prezzo. Scorsese dà unalettura politica dell’America della “grandedepressione”, dietro la quale si scorge quel-la contemporanea, individualista e anticol-lettiva, decisa a spazzare via chiunque siponga da ostacolo sulla propria strada, chesia il sindacalista vagabondo e romantico(non a caso ucciso truculentemente median-te crocifissione), che siano i comunisti di HoChi Minh.

Il Vietnam è dunque sintomo rivelatore delmalessere statunitense, evidenziato in que-gli anni pure dal disagio dei movimenti stu-denteschi e hippies di fronte al puritanesi-mo di stampo nazionalista della classe diri-gente come di quella rurale e populista, radi-cata in special modo nel sud del paese. Pen-siamo alla violenta carica della polizia con-tro gli studenti che occupano l’universitàin “Fragole e sangue” (1970), di Stuart Hag-mann, o al finale di “Easy Rider” (1969), diDennis Hopper, dove Billy e Capitan Ame-rica vengono uccisi per la loro diversità so-ciologica e perché incarnazione di una liber-tà disturbante fuori dagli schemi del (falso)perbenismo reazionario piccolo borghese.Si tratta di film che mettono spietatamentea confronto l’anima più nera dell’America,quella conservatrice e anticomunista, conquella progressista e pacifista, desiderosadi significativi cambiamenti in politica inter-

na come in politica estera. In altre opere laviolenza è invece metafora esplicita dellaguerra in Vietnam. Possiamo citare a questoproposito “Cane di paglia” (1971), di SamPeckinpah, e “Soldato blu” (1970), di RalphNelson.

Nel primo è interessante lo scontro trarazionalità e irrazionalità del comportamen-to umano. Un tranquillo matematico ameri-cano va a vivere in un paesino dell’Inghil-terra per dedicarsi in santa pace ai suoi stu-di, ma la sua mitezza viene messa a duraprova dai contadini del luogo, rozzi e impul-sivi. La situazione precipita quando questi,mezzi ubriachi, gli assaltano la casa per cat-turare un malato di mente del villaggio chevogliono impiccare. La reazione dell’intel-lettuale è imprevedibile: messo alle strette,infatti, utilizza il proprio sapere per architet-tare crudeli tecniche di difesa e di attaccocon le quali massacra buona parte dei suoiavversari. Lo spazio claustrofobico e nottur-no dello scontro fa venire in mente l’intri-cata foresta vietnamita, luogo di attesa e ditensione, così come la difesa ad oltranzadella casa ricorda quella strenua del proprioterritorio da parte dei vietcong. Lo stessomontaggio, caotico e frammentato, indice,come afferma il regista, del disordine mora-le dell’uomo, può essere interpretato comesimbolo del caos bellico.

Assai più chiara risulta la lettura di “Sol-dato blu”. Il massacro degli abitanti di unintero villaggio indiano, costituito per lo piùda donne, bambini e vecchi, è un’evidenteallusione alle efferatezze compiute in que-gli anni dai soldati americani in Vietnam. Lostesso Nelson ha dichiarato di essersi ispi-rato agli eccidi di Song My e My Lai1, crean-do un pregnante parallelismo tra la questio-ne indiana e quella vietnamita.

1 FRANCO LA POLLA, Il nuovo cinema americano (1967-1975), Torino, Lindau, 1996, p. 58.

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Orazio Paggi

10 l’impegno

1978-1987: l’occhio critico di Hollywood

Con il 1978 assistiamo al completo sdo-ganamento da parte di Hollywood dellaguerra del Vietnam. Sono ormai trascorsi treanni dal ritorno a casa dei marines, è cam-biato il clima politico con la caduta di Nixondopo il Watergate e i democratici al gover-no, i tempi sono maturi per una riflessionenon più referenziale ma realistica su quantoè avvenuto nel piccolo paese asiatico e sulleconseguenze prodottesi nella società ame-ricana. Si fa strada l’esigenza di capire lanatura di una tragedia collettiva che ha cau-sato fratture molto profonde nella popola-zione, proprio mentre tutto un mondo, all’al-ba degli anni ottanta, sta per finire ed essereinghiottito dal desiderio del riflusso ideolo-gico e dalla chiusura nel privato. Sotto que-sto aspetto il cinema sul Vietnam rappresen-terà, alla vigilia dell’edonismo reaganiano,uno dei pochi tentativi di analisi politica, at-traverso la prospettiva del conflitto bellico,della società americana a cavallo tra i decen-ni settanta e ottanta.

Se in “Un mercoledì da leoni” (1978), diJohn Milius, il Vietnam fa ancora da sfondoal racconto di un’amicizia e della perditadella giovinezza (ma restano scolpite nellamemoria le immagini delle visite di leva edelle furberie per evitarla, creando un con-trappunto tra la spensieratezza della gioven-tù e il dramma dell’esperienza bellica), in“Tornando a casa” (1978), di Hal Ashby, es-so diventa protagonista tout court. La pro-spettiva non è quella dell’action movie, mal’analisi di una sconfitta. Microcosmo delfilm è un ospedale di reduci, dove nasce unastoria d’amore tra un’infermiera sposata,Sally, e Luke, un antimilitarista paralizzatoalle gambe. Quando il marito, tornato dalfronte e già in crisi con se stesso per nonessere stato il militare valoroso che crede-va, scopre la relazione della moglie, la vita

gli crolla addosso e si apre ai suoi piedi ilbaratro del suicidio. Apparentemente delVietnam non si vede nulla, esso è però benpresente nelle mutilazioni dei soldati osten-tate senza reticenze dalla macchina da pre-sa. Ashby propende per un’estetica dellafisicità, fatta di corpi amputati, lacerati, of-fesi, sbattuti in primo piano davanti all’oc-chio dello spettatore, a mostrare le conse-guenze orribili della guerra qualunque essasia, metafora di un altro corpo, quello dellanazione americana, ferito dolorosamente peruna causa insensata, al di fuori di ogni logi-ca (e per estensione simbolo del corpo stes-so dell’umanità costretta a subire sulla pro-pria pelle tragedie belliche non volute). L’im-patto civile del film è purtroppo appesanti-to da una retorica antimilitarista fine a sestessa, incapace di indagare la storicità delVietnam. Non a caso il dettato politico èsemplificato dalla vicenda sentimentale, cheriduce alla sfera privata una presa di co-scienza che dovrebbe essere collettiva.

Su temi analoghi si soffermerà nel 1989Oliver Stone con “Nato il quattro luglio”,seconda opera della trilogia dedicata al Viet-nam dal regista. Se in “Tornando a casa” erala poetica dell’ospedale a dominare, qui èquella della carrozzella. Viene raccontata lavera storia di Ron Kovic che, convinto del-la bontà della guerra, parte volontario per ilSud-Est asiatico. Qui è ferito alla spina dor-sale durante un combattimento, resta para-lizzato e costretto a vivere su una sedia arotelle. Tornato in patria, inizia per lui unvero calvario: ospedali per reduci al limitedella decenza, difficoltà di reinserimentonell’ambito familiare e sociale, problemi ses-suali. Un viaggio alla rovescia rispetto alpassato che lo porta, attraverso diversi mo-menti di crisi, ad abbracciare la causa paci-fista e a parlare alla Convenzione democra-tica del 1976. Stone si mostra, come al soli-to, bravo nel filmare le sequenze di guerra,

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mentre risulta didascalico nelle tirate anti-militariste, finendo per smorzare la ten-sione narrativa. Così come appare sempli-cistica la proposizione cristologica dellacarrozzella, innalzata simbolicamente a cro-ce sulla quale Kovic sconta i propri peccatie quelli del suo paese2.

Fenomenologia di una sconfitta

Il 1978 è soprattutto l’anno de “Il caccia-tore”, di Michael Cimino, con cui si apre lastagione più significativa del Vietnam-mo-

vie, che proseguirà fino a “Full Metal Jac-ket” (1987), di Kubrick.

In realtà “Il cacciatore” non è propriamen-te una pellicola di guerra. Poche infatti sonole sequenze dei combattimenti, mancano letipiche dinamiche di gruppo tra commilito-ni e ufficiali, scarso è il girato sul Vietnam.L’unica concessione al genere è la descri-zione negativa dei vietcong, uomini crudelie senza pietà, secondo il classico assiomadel nemico cattivo e privo di umanità, cheprovocò non poche polemiche all’uscita delfilm. A Cimino interessa ritrarre le conse-guenze disgregatrici di una sconfitta epo-cale, vissute sulla pelle sia di chi ha parteci-pato sia di chi è rimasto a casa. In questomodo pone sotto osservazione critica nonsolo i motivi, apparentemente inspiegabili,di un disastro militare, ma pure i preconcet-ti meccanismi ideologici del sogno america-no, in linea con la New Hollywood, anchese con tonalità più dolenti che corrosive. Neviene fuori un affresco malinconico e com-movente dell’America degli anni settanta,sulla scia di una nostalgia, a tratti struggente,per un paese che non c’è più. Non a caso ilfilm si apre e si chiude significativamentecon due topoi dell’istituzione sociale: il

matrimonio e il funerale, punti di congiun-zione di un percorso preciso nelle sue in-tenzioni programmatiche, il passaggio dallavita alla morte. Il pessimismo presente nellanarrazione non è però completamente risol-to da Cimino, che mantiene una posizioneoscillante tra una visione dell’esistenza ne-gativa e tentazioni ottimistiche. Basti vede-re la sequenza finale, quando gli amici diNick si ritrovano insieme dopo le sue ese-quie. La moglie di Steven, riferendosi al fu-nerale, commenta: “È stata una giornata mol-to grigia”, quasi ad indicare il grigiore esi-stenziale in cui è precipitata l’America conil Vietnam, ma poi tutti intonano “God BlessAmerica”, simbolo di quel vitalismo da fron-tiera da sempre elemento integrante dellospirito statunitense.

“Il cacciatore” è un’opera strutturalmen-te squilibrata, divisa in una prima parte am-pia e prolissa, culminante nelle lunghe se-quenze del matrimonio, e una seconda dal-l’andamento più classico, con la guerra inprimo piano, le torture della roulette russadei vietcong, il ritorno in patria e quindi lacaduta di Saigon. Cimino riprende il “prima”e il “dopo” della vita a Clayton, in Pennsyl-vania, di un gruppo di amici, tre dei qualiparteciperanno alla guerra dall’altro lato delPacifico. All’inizio la macchina da presa in-siste sulle ritualità tipiche della routine co-munitaria: il lavoro all’acciaieria, gli scherzi,le bevute, le battute sulle donne, la caccia.Emerge un quadro all’apparenza serenonella sua normalità borghese, incrinato peròda simbologie lugubri che fanno presagirel’inferno che verrà: il fuoco e il fumo dellafabbrica che rimandano ad un altro fuoco efumo, le inquietudini di Nick e Mike provo-cate dall’imminente partenza per la guerra,

2 PAOLO MEREGHETTI (a cura di), Dizionario dei film, Milano, Baldini & Castoldi, 1994, p.760.

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le gocce rosse di vino che cadono sul ve-stito bianco della sposa di Steven come unsegno di malaugurio, la caccia al cervo anti-cipatrice di altre violenze, il “berretto verde”che, sbeffeggiato da Mike, liquida il Vietnamcon due caustiche parole: “In culo”. Con lavicenda bellica nulla sarà come prima. A dir-celo fin da subito è la soggettiva di Nick al-l’ospedale militare di Saigon: il suo sguar-do si aggira sulle salme di soldati morti acca-tastate nel cortile, pronte per essere rimpa-triate, poi si posa sulla fotografia della suaragazza e quindi su un soldato sdraiato inun letto con gli arti superiori amputati. Lasequenza termina con il pianto di Nick, certonon liberatorio, piuttosto frutto dello spae-samento e del dolore provocati dalla guer-ra. Un pianto che sa di addio a tutto un mon-do di cui è stato parte, ma che ora, dopoquanto vissuto nell’abisso vietnamita, sen-te incomprensibile. Anche l’odissea di Ste-ven finisce per avere sotto questo aspettouna valenza allegorica: la perdita dell’usodelle gambe gli produce infatti una separa-zione dalla sua comunità. La vista della suamenomazione crea per reazione emargina-zione sociale, in quanto ricorda a tutti il pesoe la vergogna di una sconfitta.

Ma è soprattutto Mike a rendere bene ilsenso della disillusione e del disagio post-bellico. Una volta tornato a Clayton, in piùoccasioni confida a Linda, la ragazza di Nick,che la vita non è più la stessa di una volta eche non avrebbe mai immaginato che sareb-be cambiata così drasticamente. Proprioperché Mike incarna più di ogni altro per-sonaggio i valori americani, come la forza,la vitalità, la sicurezza in se stesso, avvertedolorosamente il peso della sconfitta. Laconstatazione del suo fallimento nasce dalnon aver riportato a casa Nick (che si ucci-de davanti a lui giocando alla roulette rus-sa in una bisca di Saigon), nonostante lapromessa che gli aveva fatto di non abban-

donarlo in Vietnam, qualunque cosa fossesuccessa. E, se vogliamo, anche con Stevenla sua azione termina con lo scacco: lo salva,ma non gli evita la carrozzella. L’esperienzabellica gli trasmette uno straniamento neiconfronti della comunità in cui vive, in quan-to si rende conto che chi non ha conosciu-to la guerra non la può capire e chi l’ha co-nosciuta non può comunicarne l’essenza.Ne deriva uno stato d’animo di lontananza,che crea un solco tra Mike e i vecchi amici,i quali continuano a comportarsi come untempo, considerando il Vietnam semplice-mente una parentesi della storia. Tale dico-tomia è ben presente in una delle ultimesequenze, quella della caccia: mentre Mikenon spara all’animale che ha di fronte, for-se perché vede in esso quell’innocenza pri-migenia che lui ha perduto, e per una sortadi rigetto verso la violenza gratuita, i suoiamici invece vedono la caccia come il giocochiassoso e sguaiato di sempre, infierendosul cervo fino ad ucciderlo. Cimino passadal particolare all’universale: il punto di vi-sta di Mike si fonde con quello della nazio-ne, disorientata, confusa, alle prese con la-ceranti sensi di colpa.

“Il cacciatore” è un film di tempi dilatati(il tempo della pace-vita e il tempo dellaguerra-morte), di spazi che si sovrappongo-no (l’acciaieria alla vegetazione tropicale, lemontagne americane a quelle indocinesi, lachiesa e la sala da ballo alle bische di Sai-gon), di suoni che provocano rumori assor-danti e fastidiosi (le sirene della fabbrica, ilronzio degli elicotteri, il frastuono delle auto,i sibili degli spari, i canti religiosi, le canzonidegli invitati al matrimonio di Steven, le urlaplateali e smodate degli spettatori al giocodella roulette russa). In coerenza con la suaestetica, il cineasta americano procede peraccumulo, girando un’opera di ampio respi-ro che si collega al cinema classico del pas-sato, specie a quello di impronta fordiana,

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come i temi dell’individualismo, del vitali-smo, del rapporto uomo-natura e uomo-Sto-ria stanno chiaramente a dimostrare. Anchesul piano poetico mantiene comunque unatteggiamento ondivago, alternando un rea-lismo attento e minuzioso ad un romantici-smo fabulistico, che tende a sfociare nel mi-to, pur sapendo che esso non esiste più. Insostanza il Vietnam per Cimino è più epicache realtà.

La guerra tra mito e folliaSe ne “Il cacciatore” è centrale la “scon-

fitta”, in “Apocalypse Now” (1979), di Fran-cis Ford Coppola, lo è l’essenza della guer-ra3. Anche questo film, come quello di Ci-mino, sfugge alla classificazione del filonebellico, presentandosi come un mix di diver-si generi cinematografici, dal viaggio all’hor-ror, dall’avventura al dramma psicologico.L’impianto narrativo ruota però principal-mente attorno al tema del viaggio, quello delcapitano Willard che, accettata una missio-ne segreta, deve risalire il fiume Lung finoai confini con la Cambogia per trovare euccidere il colonnello Kurtz, un ottimo epreparato ufficiale che, per divergenze ideo-logiche con gli alti comandi, ha disertato,formando nella giungla un suo personaleesercito al di fuori di ogni protocollo milita-re. Willard intraprende un viaggio iniziaticodalle macerie della modernità alla ricerca diuna purezza edenica, che può realizzarsi soloattraverso una regressione verso forme u-mane sempre più primitive, selvagge e tri-bali, prive delle scorie della civiltà. Il tragit-to è cadenzato dalla presenza inquietantedel fiume, culla amniotica che avvolge (e tra-volge) tutto e tutti. Esso segna la verticali-tà di un percorso che non ammette devia-zioni di nessun tipo (l’ordine dato al capita-

no è di porre fine al comando di Kurtz “conestrema determinazione”) e che riduce l’es-sere ad uno stato di bestialità istintiva, con-dizione necessaria perché possa nascere unnuovo uomo e una nuova innocenza.

Il fiume diventa lungo e doloroso cammi-no di espiazione della colpa, la guerra delVietnam, come ricorda la voce fuori campodi Willard parlando di peccati da scontare.Sotto questo aspetto finisce per essere l’e-quivalente aggiornato dell’Acheronte dan-tesco, il labile confine tra il luogo e il nonluogo, tra la terra dei vivi e la terra dei morti.Una discesa agli inferi sottolineata nellaprima parte del film dal fuoco, dal fumo, dalsangue, dalla schizofrenia, nella secondadalla nebbia e da un’oscurità che si fa pro-gressivamente più accentuata dall’imminen-za della punizione. I soldati dell’ultimo a-vamposto americano prima di sconfinare inCambogia, che urlano la propria sofferenzae invocano inutilmente l’aiuto degli uominidi Willard, simboleggiano i dannati chiusinelle loro pene. Così come i cadaveri disse-minati nel regno di Kurtz rappresentano lanecessità ontologica del castigo. Willardnon è però un nuovo Dante alla ricerca del-la salvezza dell’anima, è ancora uno strumen-to del sistema militare, che porta a compi-mento la missione affidatagli. Non riesce ademulare Kurtz, ad andare fino in fondo comelui, la sua è una ribellione passiva. Sa di nonavere più una “casa” a cui fare ritorno, hacompreso che il Vietnam segna la fine deltempo (non per niente l’incipit e il finale delfilm sono accompagnati dalle note di “TheEnd” dei Doors), ma resta con i piedi perterra. “Non lasciamo mai la barca. Un prin-cipio a cui attenersi rigorosamente, a menoche non la si voglia lasciare per sempre”,medita durante il viaggio. Kurtz l’ha fatto,

3 L’analisi del film fa riferimento a Apocalypse Now Redux del 2001, per la sua completezza.

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ma non lui, che resta abbarbicato ad essa.Willard è un personaggio sospeso: ha lapercezione della strada che porta alla “veri-tà”, però non ha la volontà morale per per-correrla. È destinato a vivere nella danna-zione, al massimo può essere, come è statosottolineato prima, strumento del rito sacri-ficale. Non a caso Kurtz gli dirà che lui nonè né un assassino né un soldato, ma “ungaloppino mandato qui dal droghiere a in-cassare i sospesi”. Willard è in perfetta cor-rispondenza con la celebre frase che pro-nunciò Coppola alla presentazione di “Apo-calypse Now” a Cannes nel 1979: “Questonon è un film sul Vietnam. Questo è il Viet-nam”. Willard è il Vietnam, perché è ormaipenetrato nella sua anima, l’ha contamina-to, l’ha metamorfizzato, non riuscirà più aliberarsi di esso.

Nella prima parte del film viene presenta-to un mondo anarchico, senza regole, dovetutto è possibile: feste notturne sulla spiag-gia, spettacoli con le playmate, dosi di aci-do ingurgitate, musica rock a tutto volume.Dietro a quello che potrebbe apparire comeun tentativo di riprodurre la normalità quo-tidiana in un ambiente, quello bellico, chenormale non è, si intravede invece il caos.“In questa guerra le cose si confondono: ilpotere, gli ideali, un certo rigore morale e unbasilare buon senso strategico”, spiega aWillard un alto ufficiale. La guerra è un gio-co assurdo e insensato: “Qua è meglio diDisneyland”, dice Lance, uno dei compagnidi Willard. Il Vietnam si rivela un universosaturo di follia. Quella del tenente colonnel-lo Kilgore che, pur di fare del surf, è dispo-sto a mettere a repentaglio la vita dei propriuomini e a radere al suolo con il napalm unintero villaggio per poi affermare che il na-palm profuma di vittoria, o che utilizza la“Cavalcata delle valchirie” di Wagner percolpire psicologicamente i vietcong. Al pun-to che Willard si chiede se sia più pazzo lui

o Kurtz, accusato dai superiori di usare me-todi insani. Non è forse follia l’atteggiamen-to ambiguo dei comandanti dello stato mag-giore americano che, pur sapendo di man-dare ogni giorno centinaia di giovani allamorte, continuano a condurre una guerrasenza nessuna strategia? Accusano di as-sassinio Kurtz, quando dovunque vi sonocrimini impuniti. Pensano che la guerra siaancora una volta lo scontro tra il bene e ilmale, con loro a rappresentare il primo e ivietcong, e Kurtz soprattutto, a incarnare ilsecondo. Non si sono nemmeno resi contoche in Vietnam tali categorie di giudiziosono completamente saltate. Forse più diogni altro essi simboleggiano lo spaesamen-to di un’America che si credeva invincibilee si è svegliata sconfitta. Willard li defini-sce impietosamente “un branco di pagliac-ci che avrebbero finito per dare via tutto ilbaraccone”. Anche Kurtz nei loro confron-ti è tutt’altro che tenero, li considera degliassassini e dei mentitori, incapaci di colti-vare la “qualità” militare che potrebbe por-tare alla vittoria della guerra, mentre essicredono che questa possa essere risolta conla “quantità” numerica.

Pure Willard non si sottrae a questa idio-sincrasia collettiva, come dimostra la suaostinazione nel portare a termine la missio-ne affidatagli, per la quale è disposto a ri-muovere ogni ostacolo, anche se si trattadi una donna inerme e ferita. Man mano chelegge il dossier su Kurtz, cresce l’ammira-zione nei suoi confronti, ha l’impressioneche egli veda giusto, ma nonostante que-sto resta fedele fino al parossismo al pro-prio dovere. Naturalmente la follia è la cifrapsicologica di Kurtz, ma si tratta parados-salmente di una follia lucida e razionale. So-lo uno stato abnorme come la pazzia puòportare ad avere una concezione della guer-ra senza limiti, ad individuare i reali obietti-vi e a piegare ad essi mente e corpo, accettan-

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do ogni tipo di sacrificio, anche quello estre-mo della vita. “[...] bisogna essere pazzi dinatura per vincere, o bisogna addestrare lapropria natura al raggiungimento di questostadio mitico, che consente di superarequalsiasi ostacolo”, puntualizza AlessandroBertani a proposito delle teorie di Kurtz4. Equesti si addestra a tutti gli effetti a guarda-re la realtà del conflitto con consapevolez-za critica. In una lettera scritta al figlio perdiscolparsi dell’accusa di omicidio gli con-fida: “In guerra c’è tempo per la tenerezza eper la pietà e tempo per l’azione spietata, maciò che spesso si definisce spietato è in mol-te circostanze soltanto chiarezza, la chiarez-za di vedere cosa va fatto e farlo, senza me-diazioni, senza indugi, con prontezza, guar-dandola in faccia. [...] Io sono al di là dellaloro morale falsa ed impacciata, dunque aldi là di ogni risentimento”. Siamo al confron-to tra un’amoralità pragmatica e coscienzio-sa della propria missione e un esercito allosbando, privo di una guida politico-milita-re, in preda a forme di delirio e di allucina-zione che non hanno più nulla di raziocinan-te, travolto da un’agitazione che ne esauri-sce le forze5.

Il ponte di Duo Lung non segna solo ilconfine con la Cambogia, ma introduce allaseconda parte di “Apocalypse Now”, piùmeditativa e inquietante. Lo sguardo diCoppola si fa più politico sia nell’indagarele ragioni di una sconfitta storica, sia nel-l’individuare le radici profonde del concettodi guerra. Sotto questo aspetto è significa-tivo l’episodio dei colonialisti francesi, chesi ostinano a difendere ad oltranza le loropiantagioni, aggiunto in “Apocalypse NowRedux” (2001). La loro apparizione spettra-

le nella nebbia dà l’idea di un retaggio delpassato, di un’appartenenza ad un’altraepoca. Ma proprio perché sono ormai fuoridal tempo e hanno già perso la battaglia, laloro analisi del conflitto risulta precisa edessenziale. Durante una cena, spiegano aWillard le proprie opinioni sulla conduzio-ne della guerra. Sono convinti che la disfat-ta francese sia stata voluta dai politici, chehanno deciso di sacrificare l’esercito a DienBien Phu, pur sapendo che avrebbero per-so, poi hanno ceduto alle manifestazioni dipiazza dei comunisti. Quindi, rivolgendosipiù direttamente al capitano, accusano gliamericani di aver inventato i vietcong perprendere il posto dei francesi in Vietnam e liammoniscono che dovrebbero imparare dailoro errori, perché con l’esercito potente chepossiedono potrebbero vincere la guerrasenza problemi. “Allora lei mi chiede perchévogliamo rimanere qui, capitano. Vogliamorimanere qui perché questa è casa nostra, èparte di noi, tiene unite le nostre famiglie.Noi lottiamo per tutto questo. Mentre voiamericani combattete per il più grande nien-te della Storia”, sbotta caustico Hubert deMarais, l’ufficiale che dirige la colonia, evi-denziando spietatamente la differenza tra ilvecchio colonialismo, basato sul possessoterritoriale, e il subdolo neocolonialismostatunitense, imperniato sul controllo ideo-logico e sullo sfruttamento economico di unpopolo. I primi difendono il concreto, lepiantagioni di gomma, i secondi combatto-no un’idea, il comunismo.

Dietro le parole di de Marais si legge lospietato giudizio di Coppola sul Vietnam: siè combattuto per il nulla, i numerosi morti eferiti sono stati inutili sacrifici, si è fatto cre-

4 ALESSANDRO BERTANI, Uno spaccato sulla vittoria, in “Cineforum”, n. 411, gennaio-febbraio 2002, p. 10.

5 Ibidem.

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dere di avere la guerra in pugno, mentre siconsumava un disastro, costellato da errorisu errori. Il Vietnam dunque è soprattuttoipocrisia. Lo dice bene Willard quando uc-cide la donna inerme già precedentementecitata: “Era così che facevamo i conti connoi stessi laggiù, li falciavamo in due con lamitragliatrice, poi gli offrivamo i cerotti. Eraipocrisia e più ne vedevo, più la detestavoquella ipocrisia”. È contro di essa che lottaKurtz. Nel momento in cui comprende che isuoi superiori non sono intenzionati a vin-cere la guerra, perché incapaci di andare aldi là della morale corrente, allora si ribella,rinunciando ad una probabile e brillantecarriera militare, per innalzare se stesso aduna dimensione totemica che lo avvicinisempre più a un dio. D’altra parte già Ro-xanne, la francese con la quale Willard pas-sa la notte a casa dei de Marais, aveva det-to che in ogni soldato vi sono due uomini,uno che uccide e l’altro che ama, uno bestiae l’altro dio. Nel soldato i contorni del benee del male tendono a sovrapporsi, confon-dendosi l’uno con l’altro. Kurtz sa bene checosa significhi essere soldato, l’ha impara-to sulla propria pelle e lo spiega a Willardraccontandogli un episodio che assume ilvalore della parabola. Ai tempi in cui facevaparte delle Forze speciali, avevano vaccina-to contro la polio dei bambini. Agli stessiera stato amputato da alcuni uomini il brac-cio vaccinato. Di fronte a un simile atto, pri-ma si era messo a piangere, poi però avevacapito: “E mi son detto: oh, Dio, che genioc’era in quell’atto - che genio. La volontà dicompiere un gesto come quello. Perfetto...genuino... completo... cristallino... puro. Al-lora ho realizzato che loro erano più forti dinoi. Perché riuscivano a sopportarlo”. La ca-pacità di sopportare il dolore, di guardarloin faccia, di provocarlo, è l’elemento fonda-mentale per vincere. Subito dopo Kurtz ag-giunge: “C’è bisogno di uomini con un sen-

so morale e allo stesso tempo capaci di uti-lizzare il loro primordiale istinto di uccidere,senza sentimenti, senza passioni, senza giu-dizio... senza giudizio, perché è il giudizioche ci indebolisce”. Un concetto questoche riassume l’arte della guerra. Solo quan-do si raggiunge un così alto grado di disu-manizzazione e si osserva la moralità del do-vere, allora si può compiere ogni tipo di azio-ne e raggiungere l’unico scopo consentito:la vittoria (o la morte).

Le parole di Kurtz si sono rivelate profe-tiche, basti pensare ai conflitti attuali, dal-l’Iraq, all’Afghanistan, alla Palestina, agli at-tentati terroristici dei kamikaze. Le vicen-de di questi anni sono già tutte dentro “Apo-calypse Now”. Chiuso nella sua lucida fol-lia, il genio guerresco di Kurtz non è peròcosì monolitico, anche lui si mostra umano,la sua aspirazione ad essere un dio rimanetale. Prima di morire pronuncerà più volte laparola “orrore”, perché sa che la guerra ècomunque crudeltà, violenza, sopraffazio-ne, cinismo, e che lui non è che una rotelladell’ingranaggio. Ecco in definitiva che co-s’è il Vietnam: orrore e nient’altro.

Le contraddizioni dell’America

“Platoon” (1986), di Stone, al contrario del-le opere di Cimino e di Coppola, si inseriscea pieno diritto nel genere del war-movie,prendendo come modello i film sulla secon-da guerra mondiale. Abbiamo tutti gli ingre-dienti del cinema bellico: la recluta, l’oppo-sizione tra i soldati volontari e quelli profes-sionisti, il sergente buono e quello cattivo,lo spirito di gruppo, il coraggio, il senso deldovere. Anche la composizione etnico-geo-grafica della compagnia Bravo riflette glischemi del cinema del passato, i soldati pro-vengono dalle diverse zone dell’America eaccanto ai bianchi combattono neri e ispa-nici.

Più accentuato è il discorso socio-politi-

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co: è infatti evidente la sottolineatura del-l’appartenenza della maggior parte dei sol-dati alle classi meno abbienti (rispecchian-do quella che fu la realtà del servizio di levaper il Vietnam), che sono poi coloro che, inun’ottica capitalista, si possono di più sa-crificare in un conflitto in quanto meno fun-zionali al sistema consumistico.

Il protagonista Taylor, di estrazione me-dio borghese e arruolatosi volontario, stan-do a contatto con questi uomini impara aconoscerli e ad apprezzarli. Capisce che acasa non c’è niente che li aspetti. Forse perqualcuno, se va bene, ci sarà un posto infabbrica, ma in realtà nessuno li vuole. Ep-pure combattono per l’America rischiandoogni giorno la vita. “Sono uomini che stan-no in fondo al pozzo e lo sanno”, scrive Tay-lor alla nonna. In queste lettere si leggeun’amarezza lancinante per un’ingiustiziasociale che favorisce come sempre i ricchi ascapito dei poveri. Per questi ultimi parados-salmente la guerra è l’unico possibile mez-zo di legittimazione identitaria da parte delproprio paese, che altrimenti li disconoscein quanto non assimilabili all’ideologia bor-ghese che professa. Questi ragazzi avverto-no il divario esistente tra loro e Washing-ton, al punto che il sergente Barnes, un ve-terano che la sa lunga in materia, dice che ipolitici preferiscono combattere “questaguerra da casa, tenendosi strette le pallecon una mano”, mandando a morire chi nonconta nulla. Anche sotto questo aspetto sipuò notare un atteggiamento simile a quel-lo del cinema sulla seconda guerra mondia-le, il quale, se faceva vedere che si combat-teva e anche aspramente, non lesinava peròcritiche a chi sedeva in poltrona a dirigerele strategie militari. Non mancano inoltre ri-ferimenti alle tensioni razziali tra bianchi eneri, con questi ultimi che accusano i primidi “imboscarsi”, di ottenere gli incarichi mi-gliori, come il servizio in lavanderia, solo per

il colore della pelle, evitando così di esserecostantemente in prima linea.

Stone utilizza il Vietnam per riprodurre inscala ridotta i conflitti sociali, le stridentidisuguaglianze classiste, l’arbitrarietà delpotere politico dell’America di quegli anni,ma anche di quella a lui contemporanea. Nona caso la centralità del film sta nella dicoto-mia tra il sergente Barnes, violento e crude-le, profondo conoscitore dei meccanismibellici, che non indugia a torturare e a ucci-dere chi è indifeso, simbolo dell’Americaconservatrice e guerrafondaia, e il sergenteElias, protettivo nei confronti dei suoi sol-dati, rispettoso dei diritti umani e fiduciosonei valori etici, simbolo dell’anima liberal epacifista degli States. In mezzo si trovaTaylor, il ragazzo di buona famiglia (proie-zione dello stesso regista andato volonta-rio in Vietnam nel 1967 e assegnato alla com-pagnia Bravo), partito per il fronte convin-to di servire il proprio paese. Ben presto sisveglierà dall’ingenuità in cui è immerso,rendendosi conto di vivere in un mondoprossimo all’inferno. Scrive ancora alla non-na: “Non so più quello che è giusto e quel-lo che è sbagliato. [...] C’è una guerra civileall’interno del plotone. [...] Fra noi circola ilsospetto e l’odio. Non riesco a credere checombattiamo tra di noi, quando dovremmocombattere contro i vietcong”.

Nel pantano della guerra tutto si confon-de, le certezze non sono più tali. Il Vietnamnon è al di fuori di noi, ma dentro di noi.Stone infatti realizza volutamente un filmchiuso e claustrofobico, tutto interno al plo-tone da cui deriva il titolo. I combattimentiavvengono nel buio di una giungla labirin-tica e soffocante, i vietcong sono figure ci-nematografiche marginali, semplici compar-se, l’introspezione psicologica deve riguar-dare solo i soldati americani. Dal punto divista strutturale manca una trama nel sen-so convenzionale del termine, non vi è una

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storia, ma tanti capitoli, ognuno narrativa-mente autonomo. Quello che interessa al re-gista sono i pensieri, le reazioni emotive, isentimenti dei componenti del plotone, iso-lati dalla contestualizzazione storica. La mac-china da presa è sempre appiccicata ai pro-tagonisti, non dà loro respiro, si fonde conessi.

Dall’altro lato però Stone non dimenticala drammaticità della guerra, utilizzando unmontaggio concitato, che esaspera le ripre-se dei combattimenti, dilatandoli sonora-mente con l’uso del Dolby. Vuole che lospettatore veda che cos’è una guerra, chela tocchi con mano, che si renda conto dellafollia di una scelta politica ingiusta, pagatacon un alto tributo di sangue. Con “Pla-toon” dunque il cinema sul Vietnam diven-ta una riflessione sul malessere dell’Ameri-ca, che la costringe a fare i conti con glischeletri del passato, ma anche il pretestoper denunciare un clima di disuguaglianzasociale che, nonostante la maturità della suademocrazia, non è ancora riuscita a rimuo-vere.

“Sarete un’arma”

Il tragico e il grottesco della guerra (e dellavita) sono colti con la consueta lucidità ana-litica da Kubrick in “Full Metal Jacket”(1987). Il film è diviso nettamente in due parti:l’addestramento delle reclute nella base mi-litare del corpo dei marines di Parris Island,South Carolina, prima, il teatro bellico dopo,colto nel momento in cui i vietcong sferra-no l’offensiva del Tet. Il Vietnam è il prete-sto, come già in “Orizzonti di gloria” (1957),per denunciare la pazzia del militarismo, cheattraverso l’istituzionalizzazione dell’omici-dio porta alla svalutazione della vita e alladisumanizzazione della persona.

Compito del duro sergente Hartman è ditrasformare le giovani reclute in killer infles-sibili, in automi che uccidono, e per raggiun-

gere questo scopo bisogna insegnare loroad annullare il senso di pietà, perché solocosì potranno diventare veri marines. “Sa-rete un’arma, sarete dispensatori di morte,pregherete per combattere”, spiega loroquando arrivano al campo. Da qui deriva laretorica del fucile, associato sessualmenteall’immagine della donna. I ragazzi devonoportarselo a letto, devono dargli un nomeda ragazza, devono restargli sempre fedeli.Il fucile diventa la sostituzione della donnae, per associazione, del sentimento, dellatenerezza, del calore. Nella preghiera chededicano ad esso recitano: “[...] il mio fuci-le è il mio migliore amico, è la mia vita [...]senza di me il mio fucile non è niente, senzail mio fucile io non sono niente”.

Se il primo grado della formazione militareè per così dire ancora un fatto fisico, rap-presentato dalla totale identificazione sol-dato-arma, il secondo, sicuramente più rile-vante, è di natura psicologica: costruire unavolontà omicida, in grado di uccidere senzarimorsi e tentennamenti. “[...] è sulla volon-tà di uccidere che bisogna concentrarsi sevolete riuscire a salvare la vita in combatti-mento. Il vostro fucile è solo uno strumen-to, è il cuore di pietra quello che uccide”,urla Hartman durante la lezione al poligonodi tiro. Ancora una volta ci troviamo di frontead una similitudine sessuale: come la don-na è strumento di procreazione, così il fuci-le è strumento di morte, entrambi, secondoil codice militare, funzionali a perpetrarel’idea di patria. Tutto questo comporta l’an-nullamento dell’interiorità dell’individuo ela riduzione della razionalità ad un compor-tamento meccanicistico assimilato mnemo-nicamente. Le reclute sono sottoposte daHartman ad un lavaggio del cervello tale dacreare una cesura tra l’essere umano e l’es-sere militare, devono convincersi di nonessere più uomini, ma soldati senza paura,pronti ad uccidere e se necessario a morire.

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Cinema e Vietnam: la fine del sogno americano

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La spersonalizzazione è accentuata dalla so-stituzione dei nomi con dei soprannomi,chiudendo nell’anonimato l’individualità,che ha solo più vita nell’unica entità con-sentita, il corpo dei marines. Si aggiunga poiil linguaggio triviale propriamente da caser-ma, di Hartman, un miscuglio di volgarità edi bieca ideologia reazionaria, ultraconser-vatrice, razzista, infarcita di una religiositàal di fuori di ogni ortodossia che esalta pa-ganamente un (inesistente) dio di guerra.

La precisione e la meticolosità nel costrui-re tali macchine di morte, pianificate per ladistruzione, hanno un effetto tragico, so-prattutto nel non tenere in alcun conto lavita umana, che può però essere pagato acaro prezzo. L’addestramento maniacale allabase di Parris Island provoca ben due vitti-me: il soldato Pyle, alias Palla di lardo, ungrassone bersagliato continuamente daHartman, ucciderà il sergente e quindi sisuiciderà. Nella sua azione mostra di averimparato la lezione sul fucile, di saperlo usa-re come si deve, di essergli fedele. Il siste-ma militare finisce così per creare grottesca-mente dei mostri che gli si ritorcono contro.

L’antimilitarismo di Kubrick non vienemeno nemmeno nelle sequenze ambientatein Vietnam, basti pensare all’ufficiale che,redarguendo Joker perché porta sulla divi-sa un distintivo di pace, gli dice in tono pa-cato ma deciso: “Bisogna tener duro fino aquando passerà questa mania della pace”,riferendosi probabilmente ai movimenti pa-cifisti e contestatari di quegli anni (il film èambientato nel 1968). La pace è vista comeuna mania, una moda passeggera, in sostan-za una sciocchezza, ma dietro questa distac-cata considerazione si percepisce che essaè sentita come una minaccia dall’establish-

ment dell’esercito.Sintomatica è anche l’ipocrisia dei corri-

spondenti militari di guerra che raccontanodi un intervento americano che non esiste,

fatto di marines che aiutano pietosamente ivietnamiti o di combattimenti con numero-se vittime di vietcong, solo per fare conten-ta Washington. “Questa non è molto popo-lare come guerra e il dovere nostro è di pub-blicare quello che gli inviati civili della scuola‘che ci stiamo a fare in Vietnam’ non pubbli-cano”, commenta il direttore della rivista aJoker, che aveva contestato questo mododi fare giornalismo. Quel che conta non è laverità, è meglio continuare a mandare almacello altri uomini piuttosto che ammette-re di aver sbagliato e avere il coraggio di fer-mare una strage inutile.

Sull’antimilitarismo si innesta una rappre-sentazione iperrealistica dello scenario bel-lico, che obbliga lo spettatore ad una full

immersion nell’orrore della guerra, a starefisicamente dentro essa. “Full Metal Jacket”è tutto realtà fin dal titolo, che allude alla car-tuccia calibro 7.62 in dotazione ai marines.Lo stesso si può dire dell’addestramentomilitare, per il quale il regista ha voluto uti-lizzare nel ruolo del sergente Hartman unvero ex sergente dei marines, Lee Ermey, perdare ancora più concretezza al dettato nar-rativo. E poi naturalmente è realistica tuttala parte dedicata al Vietnam. Qui Kubrick co-glie alla perfezione l’essenza della guerra: lesalme, i compagni che ti cadono al fianco,le prostitute sudvietnamite, gli elicotteri, icarri armati, le imboscate, gli agguati, i cec-chini, il linguaggio volgare e banale dei sol-dati, unico modo per sopportare un infernodi sangue e di morte. Fa vedere quello chela tv e i reporter non sono in grado di mo-strare: la verità della guerra. Di fronte alledomande di una troupe televisiva i marines

danno risposte per lo più futili e ingessate,mentre il cinema li riprende nella loro auten-ticità, svela il loro modo di essere e di fare,una dimensione visiva scostante che nonpoteva entrare negli schermi televisivi del-le case all’ora di cena. La cifra reale e tragica

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Orazio Paggi

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dell’evento bellico è costantemente deter-minata, come si diceva in precedenza, dallapresenza del grottesco. Pensiamo al mitra-gliere che dall’elicottero spara su povericontadini in fuga, ridendo sgangheratamen-te. Joker gli chiede se spara anche sulledonne e i bambini, questi gli risponde di sìin quanto sono più lenti e quindi sono unbersaglio più facile da colpire. Un altro sol-dato, ripreso accanto ad un vietcong mor-to, definisce i “musi gialli” gente meraviglio-sa perché gli puoi sparare contro come vuoi,senza nessuna restrizione, mentre “quandotorneremo a casa di sicuro non troveremopiù gente a cui valga la pena di sparare”.

La guerra è così ridotta a gioco macabroe l’assenza di regole lo rende inebriante,quasi divertente. Già in “Platoon” un altromarine sentenziava: “Mi trovo bene qui, faiquello che cazzo ti pare, nessuno ti rompele palle”. In entrambi i personaggi si perce-pisce un’attrazione per una libertà anarchi-ca e perversa che non si può avere nellasocietà civile. Ma il contrasto tra tragico egrottesco emerge soprattutto nel finale. Jo-ker, con molta sofferenza, dà il colpo di gra-zia ad una ragazza cecchino gravementeferita, che Animal, il marine a capo del suogruppo, vorrebbe lasciare morire tra dolorilancinanti. A questo gesto di “umanità” fada contrappunto subito dopo l’immaginedei soldati che camminano senza meta inmezzo alle macerie e alle fiamme della cittàdi Hue, intonando la canzone di Topolino.Tutto l’orrore a cui hanno assistito è giàstato dimenticato, il resto non è che una follecarnevalata. A dare il senso della realtà è lavoce fuori campo di Joker che dice: “Sonocontento di essere vivo. Vivo in un mondodi merda, ma sono vivo. E non ho più pau-ra”. Joker ha imparato la lezione insegnata-gli a Parris Island: per salvare la pelle si deveannullare la paura che è dentro di noi, dopodi che si può fare di tutto.

Il Vietnam in “Full Metal Jacket” è asso-lutizzato, è un esempio universale dell’as-surdità della guerra. Kubrick vuole dimo-strare, attraverso il conflitto più insensatoche ci sia mai stato, che da sempre e ancheoggi le guerre sfuggono a qualsiasi criteriorazionale. Ma a ben vedere la guerra non èaltro che il riflesso di un’assurdità più gran-de, quella del mondo stesso. L’individuo sitrova, come sempre nella poetica kubrickia-na, oppresso da una violenza istituzionaleorganizzata e gestita dal potere politico-eco-nomico, simboleggiata nel film dalla caser-ma e dalla gerarchia militare, e da una vio-lenza metafisica e ancestrale di natura bio-logica, che trova la sua piena manifestazio-ne nell’universo bellico. Per rendere piùoggettiva la violenza Kubrick ha inventatoun suo Vietnam, costruito nei sobborghi diLondra, evitando di esotizzarlo e renderlopiù spettacolare, ottenendo invece, graziead uno stile algido, un effetto di straniamen-to nei confronti della guerra e di coinvolgi-mento riflessivo ed emotivo sulle pulsioniaggressive dell’individuo. In questo modoha potuto mettere in luce il comportamentocontraddittorio dell’uomo, che pratica laprofessione della morte (dell’altro) deside-rando la pace, ben rappresentato da Joker,che porta sulla divisa un distintivo di pacema sull’elmetto la scritta “Born to kill”.

Vietnam: il punto di non ritorno

Negli anni ottanta sono stati girati altrifilm sul Vietnam, che non aggiungono nulladi essenziale a quanto già espresso nelleopere finora citate, ma che sono semplici va-riazioni sullo stesso argomento. Possiamoricordare “Rambo” (1982), di Ted Kotcheff,e “Birdy-Le ali della libertà” (1984), di AlanParker, sulle difficoltà di reinserimento delreduce nel tessuto sociale, “Good morning,Vietnam” (1987), di Barry Levinson, ritratto

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comico, grazie all’istrionismo di Robin Wil-liams, di Adrian Cronauer, il disc-jockey piùamato dai soldati americani, “HamburgerHill-Collina 937” (1987), di John Irvin, rac-conto antiretorico sul sangue versato perconquistare un’insignificante collina, “Vit-time di guerra” (1989), di Brian De Palma, cheripropone la classica opposizione buoni-cattivi all’interno di un gruppo di marines.

Interessante è il dolente e intimista “Giar-dini di pietra” (1987), di Coppola, nel qualela prospettiva è di chi guarda la guerra dacasa dagli schermi televisivi. I giardini deltitolo non sono altro che i cimiteri di guerra,soprattutto quello di Arlington, dove ven-gono svolti i riti funebri dei soldati cadutiin Vietnam. I due sergenti protagonisti, nel-l’accogliere le bare che arrivano dal fronte,si rendono conto di preparare le giovani re-clute, più che a salvare la vita, alla morte.Coppola riflette sul tema del dolore, sullafine della visione idealistica dell’esercito,sull’ambiguità del militarismo. “Nessunoodia questa guerra più di quelli che devonofarla”, proferisce malinconicamente uno deidue ufficiali, lo stesso che poi picchia unpacifista e contrasta animatamente le ideeprogressiste della fidanzata che lavora al“Washington Post”. È la stessa ambiguitàdell’America, già rilevata da Stone e Kubrick,divisa tra tentazioni guerrafondaie e sognipacifisti.

A partire dagli anni novanta l’interessedel cinema per il Vietnam inizia a scemare,gli scenari mondiali sono cambiati, è cadu-to il muro di Berlino, il comunismo non è piùil nemico da abbattere, il medesimo paeseasiatico si apre a forme di pre-capitalismo.L’unico che continua a mostrare attenzionealla “sporca guerra” è Stone che, dopo avergirato “Nato il quattro luglio”, conclude lasua trilogia nel 1993 con il melodrammatico“Tra cielo e terra”, storia delle vicissitudinidi una ragazza vietnamita prima nell’infer-

no di Saigon, poi a San Diego al seguito delsuo amante, un sergente americano. Da al-lora altre guerre sono state intraprese dagliUsa, alcune vincenti, altre fallimentari, ma ilVietnam rimane la madre di tutte. Con essotramonta definitivamente il concetto di do-minio di un popolo su un altro popolo, im-posto con l’uso della violenza. L’inspiega-bile sconfitta ad opera di un piccolo paeseha minato per la prima volta le certezze del-l’invincibilità americana, producendo crepeprofonde in seno alla sua società. Gli Sta-

tes sono stati costretti a guardarsi dentro, avedere i peccati originali che hanno decre-tato la loro ascesa e affermazione mondialesenza poterli più rimuovere come era statofatto per decenni. Non è un caso che pro-prio negli anni del conflitto ritorni di attua-lità il genocidio degli indiani, la colpa su cuiè stata edificata (sul sangue, sul sopruso,sull’appropriazione indebita) una nazione.

Vietnam e questione indiana sono faccedella stessa medaglia, quelle di un potereprepotente, pronto a uccidere e a reprimerechi si oppone ai suoi interessi. Pensiamo a“Soldato blu”, di Nelson, o ai marines di“Full Metal Jacket”, che giocano a fare iJohn Wayne della situazione, chiamando ivietcong “musi gialli” in associazione ai pel-lerossa. La caduta di Saigon è il punto di nonritorno dell’imperialismo yankee, che nonpotrà più essere come è stato fino a quelmomento. Elias in “Platoon” mostra di sa-perlo perfettamente: “L’America le ha suo-nate a tanta di quella gente, che, secondome, è arrivato il momento che ce le suoninoa noi”.

Il cinema, nel raccontare il Vietnam, haavuto il merito di mettere in evidenza le con-traddizioni e le ambiguità della società ame-ricana che, sul finire degli anni sessanta enei primi anni settanta, ha scoperto di nonvivere più nel mito dell’innocenza come ave-va sempre creduto. Ha così fatto emergere

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Orazio Paggi

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con chiarezza la natura bifronte degli Usa,l’anima liberal e pacifista contro quella rea-zionaria e militarista, come hanno intelligen-temente mostrato “Platoon” e “Full MetalJacket”. Quel che manca è semmai una mag-gior storicizzazione del conflitto, che risul-ta poco analitica, per non dire approssima-tiva. Non si può però dimenticare il corag-

gio che il cinema ha avuto nel denunciare lemotivazioni assurde della guerra e la colpa,forse peggiore, di non aver voluto vincerla,provocando solo dolore e morti inutili, percedere di fronte al “giudizio che indeboli-sce”, come stigmatizza Kurtz in “Apocalyp-se Now”.

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memorie

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A partire dal giugno 2003, per circa due

anni e mezzo, l’inglese Bbc si è impegnata

in un complesso lavoro finalizzato alla rac-

colta di testimonianze aventi al centro il

tema della seconda guerra mondiale. Ha così

preso forma un grande archivio digitale che

comprende ben 14.000 immagini e 47.000

racconti. Quest’immensa mole di materiali è

suddivisa in una serie di macrocategorie da

cui discendono ulteriori classificazioni, co-

me quelle che riuniscono le memorie ricon-

ducibili agli avvenimenti di uno specifico

paese. In quest’ultimo caso le testimonian-

ze che hanno come oggetto l’Italia risulta-

no essere 7821. Fra queste si trovano anche

quelle scritte dal soldato inglese George

Ernest Evans, che trascorse circa tre anni

nel nostro paese, prima come prigioniero,

poi come partigiano ed infine come membro

della missione alleata “Cherokee”.

Quando, nel maggio del 1940, Evans fu

chiamato alle armi per servire sotto le inse-

gne della bandiera inglese, aveva compiu-

to 24 anni. Sposato e con un figlio, nella vita

civile svolgeva la professione di macellaio.

Fu quindi inquadrato nell’esercito britanni-

co come cuoco e, una volta imbarcato sul

“Reina del Pacifico”, ebbe come destinazio-

ne la Grecia, dove rimase fino all’arrivo nel-

la penisola ellenica della Wehrmacht. L’ap-

poggio tedesco all’impresa fascista avvia-

ta nell’ottobre del ’41, costrinse gli inglesi

a ritirarsi prima a Creta e poi in Egitto. Così,

nel giugno del ’42, Evans si trovò a Tobruk

e, quando la città capitolò, fu fatto prigio-

niero dagli italiani, che lo tradussero a Ben-

gasi.

Nel successivo mese di novembre fu tra-

sferito in un campo di prigionia in Italia.

Giunto a Porto San Giorgio trovò una situa-

zione certamente migliore rispetto a quella

vissuta come prigioniero in Libia, ma nono-

stante ciò Evans si ammalò e, dopo un bre-

ve periodo di ricovero, nel tentativo di mi-

gliorare le proprie condizioni, si offrì vo-

lontario per un lavoro in un campo nel Nord

Italia. Fu così che, nel maggio del 1943, arri-

vò a Vercelli, dove allora era funzionante il

campo per prigionieri di guerra numero 106.

Dopo gli avvenimenti dell’8 settembre, per

circa una settimana continuò a lavorare

nell’azienda agricola dove era stato impie-

gato nei mesi precedenti, ma quando i tede-

schi giunsero a Vercelli decise di abbando-

nare la zona assieme ad altri suoi tre conna-

zionali.

MASSIMILIANO TENCONI (a cura di)

I ricordi partigiani di un soldato inglese*

* La testimonianza di George Evans qui pubblicata è stata tratta dal sito Internet della Bbchttp://www.bbc.co.uk. La traduzione è del curatore dell’articolo.

1 http://www.bbc.co.uk/ww2peopleswar/categories/c1248/.

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Massimiliano Tenconi

24 l’impegno

Ai piedi delle colline di Biella2

Quattro di noi, Maurice Brown, Joseph

Dryhurst, Patrick Meehan ed io, decidem-

mo di andare assieme; eravamo stati avvi-

sati di andare ai piedi delle colline nella zona

di Biella. Il cibo non fu un problema, c’era

abbondanza di pesche, uva, pomodori e al-

tri frutti; anche la popolazione civile fu ge-

nerosa.

Fu presa in considerazione l’idea di attra-

versare il confine con la Svizzera e prendem-

mo la strada per il rifugio religioso di Oro-

pa, il quale è a 6.000 piedi ed è raggiunto

dalla funicolare. C’era un gruppo di prigio-

nieri di guerra che vagliava questa possi-

bilità; io considerai il mio stato di salute e

l’assenza di equipaggiamento ostacoli trop-

po grandi, così decidemmo di tornare nella

zona prealpina.

La vita era piuttosto difficile, ma riuscim-

mo sempre a trovare un granaio o ripari si-

mili per passare la notte. Non accettai mai

l’ospitalità in casa di civili anche se offer-

tami, poiché chiunque era trovato ad assi-

stere i prigionieri di guerra avrebbe avuto

la sua casa bruciata. Il tempo trascorreva e

ora eravamo nella zona collinare di Biella, e

dal modo in cui gli aerei tedeschi volavano

quotidianamente, gettando volantini che ci

chiedevano di arrenderci e di vivere como-

damente nei loro campi di prigionia, sem-

brava che qualcosa dovesse accadere. In

seguito diventarono disperati e offrirono

una ricompensa di 1.200 lire a coloro che

permettevano l’arresto di un prigioniero di

guerra.

Ci incontrammo con un gruppo di prigio-

nieri australiani e ci ritirammo nella valle a

nord di Biella. Qui occupammo una delle ca-

se utilizzate d’estate per le vacanze; era sta-

ta lasciata dai proprietari che erano scesi per

l’inverno verso la pianura. Uscivamo in grup-

po per avere cibo dai civili. La casa era ben

posizionata ed era accessibile solo a piedi,

così non avevamo alcun timore dell’arrivo

di truppe. Questa situazione continuò per un

po’, ma con l’inizio dell’inverno e l’arrivo di

un clima rigido decidemmo di disperderci.

Noi quattro inglesi salutammo gli australia-

ni e prendemmo la nostra strada.

Diventammo partigiani

Continuammo i nostri vagabondaggi e,

sebbene con l’aiuto dei civili le cose andas-

sero molto bene, sapevo che questo stile di

vita non poteva continuare. Le novità che

volevamo ascoltare erano quelle di un atter-

raggio alleato e di un avanzamento rapido

con il collasso della resistenza tedesca, ma

non era così. Prendemmo contatto con un

civile che ci indirizzò verso un punto lonta-

no, Trivero, a nord di Biella, dove stabilim-

mo un contatto con un gruppo di sei ebrei

che avevano sofferto sotto il regime fasci-

sta e ora stavano organizzando un movimen-

to di resistenza (partigiani)3.

Erano molto buoni e non solo ci sfamaro-

no, ma ci spiegarono la loro posizione e quel-

lo che stavano cercando di fare. L’organiz-

zatore accettò che io fossi il leader di noi

quattro, così fui d’accordo che li avremmo

aiutati, perché ci permettevano un’esisten-

za stabile. In quella zona c’era un’abbondan-

za di abitazioni abbandonate nei mesi inver-

2 A British Pow becomes a partisan 1943-1945, in http://www.bbc.co.uk/ww2peopleswar/stories/41/a2001141.shtml.

3 Questo primo collegamento potrebbe essere rappresentato da Silvio Ortona “Lungo”,trasferitosi nel Biellese da Milano con un ristretto gruppo di amici. Ortona era appunto diorigine ebraica.

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I ricordi partigiani di un soldato inglese

a. XXVII, n. s., n. 2, dicembre 2007 25

nali. Diventammo abbastanza organizzati e,

viste le mie conoscenze di macellaio, il ca-

po partigiano comprò un toro giovane, che

macellai, e per un certo periodo avemmo una

buona condizione di vita.

Arrivò l’informazione che un certo ufficia-

le che viveva nella valle di Andorno Micco

(sic) era un collaborazionista. Fummo man-

dati ad investigare. Il gruppo era composto

da circa dieci italiani e da noi quattro ingle-

si e c’era un’abitazione adatta sul lato della

montagna, che occupammo. Dopo le inchie-

ste riguardo a questo individuo, che vive-

va più in alto, nella valle di Sagliano, io e sei

italiani una sera uscimmo. Requisimmo un

bus, che guidai fino ad arrivare vicino al-

l’abitazione dell’uomo, che fu preso per

comparire davanti ad una corte. La mia co-

noscenza dell’italiano non era troppo bril-

lante; egli protestò la sua innocenza ma inu-

tilmente; fu ritenuto colpevole e fucilato.

Tornammo alla base; il giorno seguente fu

tranquillo, ma quello dopo ancora un distac-

camento tedesco arrivò nella valle sotto-

stante. Montarono una piccola forza di ar-

tiglieria nella valle opposta e cominciarono

a bombardare la nostra postazione. Li ave-

vamo visti arrivare e guardammo il distac-

camento procedere verso di noi. Ci disper-

demmo, andando per strade diverse, perché

c’era abbondanza di copertura sul fianco

della montagna. Dalla mia postazione osser-

vai ogni cosa, l’attacco fu abbastanza clini-

co; dopo il bombardamento la fanteria avan-

zò e diede fuoco al lato sinistro della casa.

Si stavano preparando ad andarsene quan-

do improvvisamente sentii urlare in inglese

e dietro a me c’era Maurice Brown che si ar-

rendeva ai tedeschi4. Ci riunimmo e tornam-

mo alla nostra base a Trivero dopo aver sta-

bilito che i partigiani erano là.

La scelta per ogni giovane uomo italiano

diventava ovvia. Se eri adatto ti univi ai

partigiani, altrimenti eri coscritto nella mili-

zia fascista. C’era una componente più an-

ziana che stava scontando le pene delle

condanne politiche e che era fuggita durante

la confusione dell’armistizio; la maggioran-

za aveva un’inclinazione comunista e for-

mò le basi per l’organizzazione partigiana. I

due con i quali fui più a contatto avevano i

nomi di “Gemisto” e “Nanda”5 ed erano dei

buoni organizzatori. Nella nostra vita sopra

le colline di Biella ci sentivamo abbastanza

sicuri. Il terreno era tale che l’accesso dei

veicoli era quasi impossibile, poteva avveni-

re solo a piedi. Vedemmo passare il Natale

del 1943 senza alcuna celebrazione.

La vita a Rassa

Venne febbraio e noi eravamo aumentati

di numero e ricevevamo anche armi e muni-

zioni, con le quali cresceva il nostro morale.

Nel tardo febbraio ci muovemmo in una pic-

cola valle fuori Borgosesia, a nord di Biella,

dove occupammo un piccolo villaggio di no-

me Rassa, il quale offriva una buona siste-

mazione ed era molto confortevole. Io por-

tai con me la mia abilità di macellaio; il capo

della nostra formazione ed io andammo giù

in valle e prendemmo due mucche, che poi

macellai. La vita per un certo periodo fu

molto buona. I partigiani avevano una mi-

4 L’avvenimento, con grande probabilità, è legato al ciclo di operazioni avviato dai tede-schi alla fine dell’ottobre 1943 in concomitanza con la promulgazione del bando riguardanteil ritorno alla vita civile degli sbandati. Il 13 novembre, in particolare, a Sant’Eurosia furonobruciate tre baite e caddero nelle mani dei tedeschi alcuni ex prigionieri di guerra. Cfr. ANELLO

POMA - GIANNI PERONA, La Resistenza nel Biellese, Parma, Guanda, 1972, p. 68.5 Leggasi “Danda”, ovvero Annibale Giachetti.

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Massimiliano Tenconi

26 l’impegno

tragliatrice (la quale sembrava molto effi-

ciente); la carrozzabile girava attorno al fian-

co della montagna e, appena vicino al pae-

se, c’era un piano alto con un promontorio,

che ti permetteva di guardare direttamente

giù in strada. Fu il posto dove installammo

la mitragliatrice; l’unico problema era la

mancanza di munizioni, suppongo che aves-

simo a disposizione una cartuccera con cir-

ca un centinaio di colpi [...].

Il tempo passava e trascorremmo due set-

timane pacifiche, ma arrivarono informazio-

ni che truppe tedesche e militi fascisti si

stavano radunando nella valle di Borgose-

sia. Questo voleva dire solo una cosa; stava-

mo per essere attaccati. La novità di un mo-

vimento di truppe che risaliva verso la valle

arrivò una mattina particolare (i corrieri era-

no per lo più giovani donne che non desta-

vano sospetti ai tedeschi). Ricevemmo la

notizia che si stavano avvicinando e io ave-

vo una giovane ragazza che mi aiutava a ca-

ricare la mitragliatrice. Arrivarono all’incir-

ca alle 2 del pomeriggio e, appena girarono

l’angolo della montagna, contai un ufficia-

le e ventidue altri soldati. Aprii il fuoco e uno

può immaginare l’effetto sorpresa6. Fortu-

natamente per loro c’era un muro sulla sini-

stra della strada che diede loro riparo [...].

Noi sparavamo sporadicamente e potemmo

solo presumere che dalla loro posizione

avessero chiamato rinforzi, perché ci tene-

vano sotto tiro. Il tempo scorreva e le muni-

zioni erano quasi finite, così non avevamo

altra opzione che quella di ritirarci e proce-

dere a scalare la montagna. Nel frattempo

erano arrivate altre truppe, che non incon-

trarono nel villaggio alcuna resistenza; que-

ste aprirono il fuoco sul lato della montagna,

accompagnandolo con fasci di luce. Nessu-

no ci seguiva, così continuammo la nostra

scalata e passammo una freddissima notte

sulla montagna; arrivammo dall’altro lato e

fummo molto lieti di trovare un poco di te-

pore nella casa dell’abitante di un villaggio,

che era abbastanza accogliente.

Si potrebbe dire che questo fu il primo

confronto dei partigiani con il nemico in

quella zona; riflettendoci, l’approccio delle

loro truppe alle nostre posizioni fuori dal vil-

laggio di Rassa fu abbastanza suicida. I par-

tigiani avevano fatto dell’insediamento una

base di resistenza.

A questo punto devo dire che nominare

tutti i villaggi che frequentammo è difficile,

specialmente a nord di Biella. [...]

I tedeschi arrivarono e utilizzarono i loro

abituali sistemi, bruciando il paese di Ras-

sa. Il mio amico Dryhurst fu preso prigionie-

ro, Meehan scappò e non lo vidi più fino al-

la fine della guerra. Ci unimmo a un altro

gruppo di partigiani, che aveva con sé un

australiano ex prigioniero di guerra, il cui no-

me era Frank. Avevano trovato in qualche

modo un mitragliatore Thompson che Frank

aveva usato in maniera abbastanza deva-

stante in uno scontro con la milizia fasci-

sta7. Restammo in un villaggio sciistico chia-

mato Mera, trascorrendo piacevolmente il

tempo in un hotel di prima classe, che era

stato abbandonato, poi tornammo nella

zona di Biella.

6 William Valsesia ha scritto in proposito: “La mitragliatrice del ‘Bandiera’ [...] che dovevadare il segnale della nostra azione a fuoco, s’inceppò tre volte dopo il via dato da Renato.Il mitragliere era Bill, ex prigioniero inglese”. Cfr. WILLIAM VALSESIA, Sui combattimenti diRassa, in “l’impegno”, a. IV, n. 1, marzo 1984.

7 Evans fa quasi sicuramente riferimento allo scontro avvenuto a Varallo l’11 dicembre1943.

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I ricordi partigiani di un soldato inglese

a. XXVII, n. s., n. 2, dicembre 2007 27

La banda Biella

Il tempo passava e noi eravamo in costan-

te movimento. Io ero l’unico inglese con il

gruppo di partigiani, che non aveva un no-

me ufficiale, ma diventammo noti come “ban-

da Biella”. Contattammo molti ex prigionieri

di guerra, ma loro preferivano vivere nasco-

sti, ottenendo cibo dalla popolazione loca-

le, che dava molto soccorso.

Le notizie provenienti dal Sud erano de-

primenti ed io pensavo costantemente di at-

traversare il confine verso la Svizzera. Le

buone notizie erano che i partigiani stavano

diventando più forti e che ora avevamo una

variegata collezione di armi. Ero meraviglia-

to da dove potessero provenire. Le nostre

finanze erano quasi inesistenti e, sebbene

non rubassimo a nessuno, spezzava il cuo-

re comprare il bestiame dai locali, poiché era

la loro unica ragione di vita. Dicevano che

si sacrificavano per la causa. (Durante il mio

periodo con i partigiani uccisi un toro, quat-

tro mucche e numerosi polli).

Entrammo nell’estate del 1944 e, con l’ar-

rivo della stagione calda, la vita divenne più

facile. Suppongo che fossimo un fastidio

per le forze nemiche, poiché a Biella vi era il

loro quartier generale e di lì passava la prin-

cipale strada che univa Torino a Milano. Ci

muovevamo frequentemente in direzione

della pianura, ma solo di notte, rimanendo

nascosti durante il giorno e ritornando alle

colline protetti dall’oscurità. I tedeschi ra-

strellavano ogni boscaglia con le mitraglia-

trici e tutto il granoturco in prossimità di

ogni strada veniva tagliato.

Nel luglio del 1944 fummo contattati da

due ex prigionieri di guerra desiderosi di

unirsi alla nostra formazione; acconsentiro-

no ad utilizzare i nostri metodi. I loro nomi

erano Joseph Fenton, una ex guardia scozze-

se, e Percy Dunmore, ex membro del reggi-

mento “Signals”. Fenton impressionò gli

italiani, ma Dunmore, siccome non voleva

accettare la disciplina, sfortunatamente non

fece altrettanto.

Il tempo passò e Dunmore, Fenton ed io

parlammo della possibilità di attraversare il

confine. Nanda, il nostro capo, mi supplicò

di non andare, ma io non vedevo le nostre

truppe arrivare a liberarci in tempi accetta-

bili e, con gli altri due, sentivo di avere la

possibilità di raggiungere il confine. La-

sciammo i partigiani con le loro buone spe-

ranze e muovemmo verso il sud di Biella,

dove c’era una piccola località chiamata Ar-

ro, dove si trovava un passaggio a livello.

Conoscevo quel passaggio molto bene, così

come conoscevo molti civili dell’area. Era-

vamo vicini al passaggio a livello, dietro il

fiume, e andai da un contadino per avere del

cibo, mentre Fenton e Dunmore andarono

a chiedere all’uomo di servizio delle sigaret-

te. Sfortunatamente arrivò una pattuglia te-

desca che sorprese Fenton e Dunmore, ai

quali fu ordinato di arrendersi. Fenton com-

prese che non potevano scappare, ma Dun-

more fuggì, venendo colpito a morte. Fen-

ton fu poi fatto sfilare attraverso le strade

di Biella.

Io stavo riflettendo sul mio futuro, ma le

notizie viaggiavano veloci e Nanda, il mio

capo partigiano, arrivò e mi riunii alla for-

mazione.

Lancio di armi

Arrivò l’agosto del 1944; erano stati pre-

si contatti con il governo britannico e, dopo

molta preparazione, fu ricevuto il primo lan-

cio di armi. Fu sistemata sul terreno un’im-

ponente lettera H, composta di materiale

infiammabile, il momento fu stabilito da un

annuncio di Radio Londra e poi il ronzio del

motore dell’aereo fu seguito da paracadute

carichi di molti fucili Sten, munizioni e altri

articoli ausiliari. Il giorno seguente, dopo le

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Massimiliano Tenconi

28 l’impegno

attività della notte, ci ritirammo sul fianco

della montagna per valutare e accertare in

sicurezza i contenuti del lancio aereo. Non

avevo mai visto un fucile Sten prima di allo-

ra, ma era elementare e diedi una dimostra-

zione del suo valore8. [...]

Cose migliori dovevano accadere e otto-

bre vide l’arrivo del maggiore Alastair Mac-

donald, con il quale avevo contatti. Sebbe-

ne non rivelasse la sua particolare missio-

ne, mi diede la possibilità di attraversare il

confine oppure, disse, sarebbe arrivata una

missione guidata dal capitano Bell e mi au-

gurò di restare e di unirmi alla sua squadra.

Il capitano Bell arrivò la notte del 16-17 no-

vembre con la sua squadra formata dal ser-

gente Bell9 (operatore radio) e dal sergente

Johns. In seguito reclutammo Bill Smith (au-

straliano ex prigioniero di guerra), Jimmy,

uno scozzese ex prigioniero che parlava un

italiano fluente e, con il sottoscritto, fu co-

stituita la squadra. Questo mutò completa-

mente la mia vita, perché avevo una grande

conoscenza del territorio e fui improvvisa-

mente equipaggiato con nuovi abiti da com-

battimento, stivali ecc., che mi davano la

sensazione di fare finalmente qualcosa di

utile e positivo.

Il primo compito del maggiore Macdonald

fu quello di organizzare e distribuire il mag-

gior numero di armi lanciate in Italia; que-

sto tenne certamente impegnata la nostra

unità con tutti i lanci che arrivavano la not-

te, quando aspettavamo le parole in codice

di Radio Londra, sentendo crescere la ten-

sione. Gli aerei tornavano alla base a un se-

gnale che veniva da una valigetta che il ca-

pitano Bell descriveva come il suo “Eureka”,

poi, provare a portare via ogni cosa gene-

rava una gran confusione, perché non ave-

vamo alcun mezzo di trasporto, eccetto qual-

che mulo occasionale.

In Val d’Aosta, a nord-ovest della nostra

posizione, c’era un’importante fabbrica. Lì

si riteneva che i tedeschi avessero 50.000

tonnellate d’acciaio e 6.000 corpi di siluro

(presumibilmente per le V2) e speravano di

trasportarle via ferrovia in Germania per

sostenere i loro sforzi bellici. I partigiani ita-

liani avevano distrutto un ponte ferrovia-

rio a Pont-Saint-Martin e, sebbene gli inge-

gneri tedeschi l’avessero riparato, fu trovata

una via alternativa. La ferrovia si avvicina-

va ad Ivrea e poi andava sottoterra; infine

ritornava in superficie sul retro dell’Hotel

Dora, per attraversare il fiume. Partigiani e

civili che lavoravano ad Ivrea contattarono

il maggiore Macdonald e si offrirono volon-

tari per attaccare il ponte in quel punto. Due

partigiani italiani, “Noto” ed “Elmiro”10,

8 Negli stessi giorni fu paracaduta anche la missione “Bamon”, guidata da Eugenio Bon-vicini, e poi destinata ad essere assorbita dalla successiva missione “Cherokee”.

9 Il radio operatore, stando alle testimonianze di Macdonald ed Amoore pubblicate ne“l’impegno”, a. XII, n. 1, aprile 1992, era in realtà il caporale maggiore Tony Birch. Il sergenteBell partecipò ad ogni modo alla missione come aiutante. I contatti con il capitano Bell e conlo stesso Macdonald, invece, sono certamente successivi alla data indicata nella testimo-nianza. La missione fu infatti paracadutata nella notte tra il 17 ed il 18 novembre.

10 “Noto” era il nome di battaglia utilizzato da Filiberto Pomo. Lo pseudonimo “Elmiro”è invece errato. In realtà si tratta di “Alimiro” ovvero Mario Pellizzari, appartenente allabrigata Gl “Cattaneo”. Sulla sua esperienza partigiana Pellizzari ha pubblicato un libro diricordi nel 1979 dal titolo Le memorie di Alimiro. Sull’azione del 24 dicembre si vedano lepagine dello stesso Pellizzari, Sabotaggio al ponte ferroviario, disponibili nel sito Internetdell’Anpi di Ivrea: http://www.anpiivrea.it/publicmono/static/pontali.htm.

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I ricordi partigiani di un soldato inglese

a. XXVII, n. s., n. 2, dicembre 2007 29

furono istruiti dal capitano Bell in merito alle

tecniche necessarie. Noi preparammo le ca-

riche e nella notte del 24 dicembre 1944 le

trasportammo in periferia di Ivrea. Da lì No-

to ed Elmiro le presero e si avvicinarono alla

ferrovia per mezzo di uno scantinato del-

l’Hotel Dora. La ferrovia attraversava il fiu-

me Dora e poi procedeva sottoterra e, con

le istruzioni del capitano Bell, Noto e Elmiro

posizionarono le cariche.

Alla vigilia di Natale del 1944 il ponte fu

fatto saltare in aria con successo e crollò nel

fiume Dora. Quello fu certamente un augu-

rio per un felicissimo Natale alle truppe te-

desche che causò loro una grave interruzio-

ne dell’operazione, poiché furono costretti

a chiamare esperti per riparare il ponte. Fu

un’esplosione pesante per il nemico, che

dovette laboriosamente trasportare materia-

li dai vagoni ferroviari alla strada per pas-

sare il ponte. Tornammo alla nostra base il

24 dicembre e, comprato un vitello, lo ucci-

demmo e lo legammo tutto intero sulla schie-

na del mulo; poiché la cosa non ebbe suc-

cesso, lo tagliai in due e il mulo riuscì a por-

tarlo. Il giorno di Natale del 1944 cenammo

con costolette di vitello; fu molto piacevole.

Lo scoppio del ponte ad Ivrea fu per i te-

deschi un duro colpo, ma i partigiani fecero

seguire un’imboscata ad una pattuglia di

tedeschi, nella quale ne uccisero qualcuno

e ne ferirono altri. Questo li fece infuriare e

a gennaio cominciarono a rastrellare casa

per casa. Il maggiore Macdonald fu cattu-

rato mentre era riunito con altri in un caffè

nella zona della Serra. Fu catturato sebbene

scappasse fuori sulla neve; fortunatamen-

te la Gestapo lo prese per interrogarlo anzi-

ché fucilarlo sul posto. Il maggiore Macdo-

nald progettò la fuga e un ragazzo italiano

lo trasportò in barca attraverso un lago sot-

to il naso delle sentinelle tedesche. Poi scap-

pò in Svizzera; non l’abbiamo più visto. I te-

deschi continuavano a cercare casa per ca-

sa ad Ivrea e nelle zone circostanti, sicché il

capitano Bell decise che ci saremmo divisi

per ridurre al minimo il rischio di essere cat-

turati.

I tedeschi fecero una disperata offerta, al-

zando la ricompensa per la cattura del ca-

pitano Bell o di altri componenti del suo

gruppo, ma senza alcun risultato. Il sergen-

te Johns e Bill Smith andarono in un’altra

zona, mentre noi rimanemmo nelle vicinan-

ze di Ivrea in attesa che la situazione si cal-

masse.

La distruzione dei ponti

I partigiani trovarono un cascinale lonta-

no dalla città, isolato, e con una chiara vi-

sta sulla campagna, ma una mattina rice-

vemmo l’informazione che la nostra abita-

zione era sotto controllo. Individuammo

una pattuglia a piedi che stava venendo nel-

la nostra direzione, così dovemmo decidere

se affrontarli o fare una rapida fuga. Fortu-

natamente, il proprietario del cascinale agì

velocemente avvisandoci, e poi ci guidò tra

le colline.

Il contadino, essendo una persona inge-

gnosa, aveva ideato il proprio sistema fo-

gnario, che consisteva in un serbatoio rico-

perto di stecche di legno. Sollevando il co-

perchio, scoprimmo che una estremità della

cisterna era suddivisa con tramezzi e larga

abbastanza perché quattro di noi stessero

in piedi. Poi l’agricoltore rimise a posto il co-

perchio e lo coprì con la neve. L’esperienza

non fu particolarmente divertente, perché

faceva molto freddo ed eravamo stipati den-

tro con tutto il nostro equipaggiamento, ma

fummo grati di uscire due ore più tardi e di

ritornare al calore della casa.

Le cose si sistemarono, noi eravamo sem-

pre molto impegnati a ricevere i rifornimen-

ti; i partigiani erano diventati molto abili nei

sabotaggi.

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Massimiliano Tenconi

30 l’impegno

Il sergente Johns e Bill Smith fecero colpi

fulminei a Livorno e Trozzano11, distruggen-

do due locomotive; abbatterono anche pali

elettrici e danneggiarono un ponte ferrovia-

rio a Sala Sola12, che provocò un grave dan-

no.

A quel punto eravamo ben sistemati e ri-

cevemmo rinforzi: il tenente Amoore, il ca-

pitano Burns (polacco) e un giovane tenente

nigeriano. Il capitano Burns era ovunque e

gli altri due si muovevano tra le diverse for-

mazioni partigiane. L’argomento principale

era quello di armare i partigiani qualora il ne-

mico avesse voluto adottare la “politica della

terra bruciata”. (Questo era probabile poi-

ché gli impianti della Olivetti erano situati a

Ivrea e quelli d’acciaio in Val d’Aosta).

All’inizio del febbraio 1945 apprendemmo

che il ponte d’Ivrea era quasi riparato e il

capitano Bell decise che il prossimo obietti-

vo avrebbe dovuto essere il ponte di Mon-

testratta. Furono preparate le cariche e la

notte del 6 febbraio il capitano Bell, Noto

ed Elmiro attaccarono il ponte, il quale sfor-

tunatamente non cadde nel fiume, ma co-

strinse il nemico ad un mese di lavoro per

ripararlo. In seguito andammo in Val d’Ao-

sta per organizzare tattiche antirastrella-

mento.

Febbraio e marzo furono mesi molto im-

pegnati; i rifornimenti arrivavano settimanal-

mente e noi eravamo molto mobili, il che

voleva dire camminare ovunque. Arrivarono

notizie sulla riparazione del ponte di Mon-

testratta, così il capitano Bell e il sergente

Johns decisero di effettuare un’operazione

11 Evans fa sicuramente riferimento alle azioni condotte in febbraio contro la stazioneferroviaria di Livorno Ferraris. La seconda località menzionata è invece Tronzano Vercellesedove nel medesimo periodo si verificarono sabotaggi sul tratto autostradale. Cfr. GIANNI

ZANDANO, La lotta di liberazione nella provincia di Vercelli. 1943-1945, Vercelli, Sete,1957, p. 141.

12 In questo caso la località Sala Sola non è stata individuata. Forse l’autore di questememorie intendeva Salussola.

sul ponte di Quincinetto; nella notte del 6

aprile riuscirono completamente nella distru-

zione. Si vide che, sotto la minaccia dell’a-

vanzata in Francia, il nemico muoveva trup-

pe e materiali nella valle, trasferiva con ca-

mion i vagoni e li trascinava a Pont-Saint-

Martin. Gli uomini marciarono da Quinci-

netto a Pont-Saint-Martin. Il capitano Bell

decise che avremmo attaccato due piccoli

ponti più in alto nella valle; il piano fu pre-

disposto per il 13 aprile 1945.

Durante la marcia verso l’obiettivo, alcu-

ne guardie poste a sorvegliare il ponte di

Verres ci spararono e cademmo sotto il fuo-

co di una pesante mitragliatrice; fummo co-

stretti a rimanere al riparo fino al calare del-

l’oscurità e poi proseguimmo verso l’obiet-

tivo. I due ponti erano lunghi 50 iarde, sfor-

tunatamente la strada correva parallela alla

ferrovia e le guardie passavano ogni ora e

abitualmente sprecavano poche munizioni.

Portammo con noi due partigiani, che stet-

tero di guardia, uno per ogni lato, mentre il

capitano Bell, Bill Smith e io piazzavamo e

fissavamo le cariche. L’esplosivo che usam-

mo era plastico numero di stock 808.

Il capitano Bell improvvisamente si rese

conto che era venerdì 13, ma ogni cosa andò

bene. Le micce furono predisposte per atti-

varsi dopo tre ore e se ciò non fosse avve-

nuto si sarebbero azionati dei fumogeni. Un

treno venne giù dalla valle due ore più tardi

e fece partire i fumogeni, attivando così le

cariche sul secondo ponte, le quali innesca-

rono le cariche sul primo ponte. Questo vo-

leva dire che la motrice era su un ponte, le

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I ricordi partigiani di un soldato inglese

a. XXVII, n. s., n. 2, dicembre 2007 31

carrozze sull’altro. Vedemmo questo dal fian-

co della montagna e, quando arrivò un grup-

po di partigiani, fu mandato ad attaccare il

treno a colpi di bazooka, facendo perciò una

gran confusione.

Pochi giorni dopo un gruppo di partigiani

fece saltare un piccolo ponte ad Arnaz, ren-

dendo perciò impossibile al nemico l’uso

della linea ferroviaria in Val d’Aosta; in quel

momento ogni cosa che viaggiava sulle stra-

de era infastidito dai partigiani. Le cose an-

davano molto bene per noi, che avevamo

fatto il nostro quartier generale a Gressoney

St. Jean, avevamo fatto saltare la strada

principale e conducevamo una vita confor-

tevole in un hotel. Ogni cosa andava nella

nostra direzione. Arrivarono piani per lan-

ciare armi e rifornire la zona di Biella, così

decidemmo di muovere in direzione di Ivrea

e aspettare l’arrivo delle truppe americane.

Quando arrivarono, controllavamo l’intera

area e stavamo comodamente all’Hotel Do-

ra.

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PIERO AMBROSIO - LAURA MANIONE (a cura di)

Negli occhi la libertà

Partigiani e popolazione nelle immagini di “Lucien”

2005, pp. 96, € 10,00

Il catalogo raccoglie un’ampia selezione delle immagini che compongono la mostra

omonima, realizzata dall’Archivio fotografico Luciano Giachetti - Fotocronisti Bai-

ta e dall’Istituto.

Non si tratta di una didascalica ricostruzione della Resistenza: alle ben note imma-

gini di carattere militare (l’attacco ad un autocarro fascista, il famoso lancio di rifor-

nimenti effettuato da aerei degli Alleati), e a quelle di carattere politico (le lezioni dei

commissari, i comizi nei paesi liberati), si sono preferite le immagini di uomini che

non erano e non avevano la vocazione degli eroi, ma erano uomini e giovani “come

tutti gli altri: ragazzi a cui piaceva fare l’amore, bere in osteria, ballare o giocare o

scherzare sul prato, fantasticare la sera sotto il tetto di travi e di pietre della baita”.

Queste fotografie ritraggono uomini e donne che fecero parte del movimento par-

tigiano nel Biellese e nel Vercellese, come protagonisti o collaboratori, e uomini,

donne e bambini che di quel movimento vissero le fasi culminanti, dall’estate del

1944 all’aprile del 1945.

Volti, gesti, espressioni, che l’obiettivo del partigiano “Lucien” colse e fissò, assie-

me a immagini di vita partigiana negli accampamenti di fortuna, nelle baracche della

“città di legno” costruita nella baraggia, durante la vita nelle cascine e nei paesi,

durante le marce di trasferimento, nei momenti dell’addestramento militare e duran-

te il tempo libero.

Per seguire un percorso già tracciato da “Lucien” - che non volle mai apporre dida-

scalie alle fotografie in mostra - non sono precisati luoghi, persone, date: sia per-

ché, a distanza di tanti anni, i ricordi dei protagonisti non sempre coincidono, ren-

dendo impossibili descrizioni puntuali, sia perché le immagini possiedono ancora

la forza per esprimere autonomamente i valori che le hanno generate. Le brevi sche-

de che aprono i capitoli o corredano alcune sezioni non sono che appunti a margi-

ne, rapidi ragionamenti su una particolarissima e irripetibile esperienza fotografica.

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documenti

l’impegno 33

Il “Diario storico-militare” del 63o batta-glione “M” della Guardia nazionale repub-blicana è stato pubblicato nelle pagine de“l’impegno” nel 1991 unicamente per la par-te di rilevanza locale, ossia quella relativaall’azione del battaglione in Valsesia e Val-sessera dal 1 marzo al 6 giugno 19441. Si trat-ta di un documento eccezionale, di cui l’Isti-tuto conserva una fotocopia, che risulta es-sere l’unica copia esistente: infatti, dopo iltrasferimento degli atti processuali dal Tri-bunale militare di Torino all’Archivio di Sta-to di Milano, la maggior parte della docu-mentazione è risultata irreperibile. Acquistaperciò un particolare valore la pubblicazio-ne anche delle parti, per quanto lacunose2,riguardanti le successive operazioni del bat-taglione.

Si tratta di quarantatré pagine relative alperiodo da giugno ad agosto 1944, quandoil battaglione operò in territorio marchigia-no, in particolare nella provincia di Pesaro-Urbino, e di quarantuno pagine riguardantiil periodo dal gennaio all’aprile 1945, relati-ve alle operazioni in Lombardia, manoscrit-te da due differenti estensori e tutte a firmadel comandante Giuseppe Ragonese.

Il 63o battaglione “M”, facente parte dal 1marzo 1944, insieme al battaglione “Camil-luccia”, della legione “Tagliamento”, erasuddiviso in tre compagnie, comandate ri-spettivamente da Carlo De Mattei, AntonioFabbri e Guido Alimonda3. Dopo la perma-nenza in Valsesia e Valsessera, il 6 giugno1944 lasciò Vercelli diretto a Bologna, dovele tre compagnie si stabilirono per qualche

1 PIERO AMBROSIO (a cura di), Il diario del 63o battaglione “M”, in “l’impegno”, a. XI, n.2, agosto 1991.

2 La parte mancante del diario, manoscritta in un altro registro, non reperito, riguarda ilresoconto dell’attività del battaglione dal 12 agosto al 31 dicembre 1944, periodo in cui operònella zona di Vicenza (fino ad ottobre) e, successivamente, in Lombardia. Il diario, inoltre,si interrompe il 7 aprile 1945, prima del successivo spostamento del battaglione in Trentino,attraverso il Passo del Tonale.

3 Per informazioni specifiche sul 63o battaglione “M” e sulla legione “Tagliamento” sivedano GIORGIO PISANÒ, Gli ultimi in grigioverde. Storia delle forze armate della Repub-blica Sociale Italiana, Milano, Fpe, 1967, pp. 1.887-1.908; Quando bastava un bicchiered’acqua, Borgosesia, Isr Vc, 1974 (requisitoria del vice procuratore militare dott. EgidioLiberti al processo celebrato di fronte al Tribunale militare territoriale di Milano); CARLO

MAZZANTINI, A cercar la bella morte, Milano, Mondadori, 1986.

RAFFAELLA FRANZOSI (a cura di)

Il 63o battaglione “M” nelle Marche

e in Lombardia

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Raffaella Franzosi

34 l’impegno

giorno prima della partenza per le Marche.L’ordine di trasferimento prevedeva lo spo-stamento del reparto nel teatro d’operazionidella Linea gotica, con il compito di “pro-teggere l’esecuzione dei lavori in corso sullalinea […] in attesa di entrare in linea concompiti di difesa attiva, unitamente ad unReggimento di Pionieri Germanici”. La 1a

compagnia si acquartierò ad Auditore (Pu),la 2a compagnia a Tavullia (Pu) e la 3a com-pagnia, insieme al comando di battaglione,a Tavoleto (Pu). Ulteriori spostamenti si ve-rificarono nei giorni seguenti e videro la 3a

compagnia stabilirsi a Sestino (Ar), sul con-fine tosco-marchigiano e il comando batta-glione prima a Mercatale e poi a Caprazzi-no, entrambe frazioni di Sassocorvaro (Pu),sede del comando legione.

Dopo la permanenza in Veneto, nei primimesi del 1945 il battaglione era stanziato inLombardia (dove fu trasferito alla fine del-l’ottobre 1944), con il comando battaglionee la 2a compagnia dislocati a Marone (Bs),la 1a compagnia a Zone (Bs) e la 3a compa-gnia a Pian d’Artogne (Bs)4 e, dal mese difebbraio, il comando battaglione e la 3a com-pagnia a Corteno (Bs)5, la 1a compagnia aSan Giacomo, frazione di Teglio (So), e la 2a

compagnia a Vezza d’Oglio (Bs).Dalle annotazioni del diario (asciutte e

concise quando mirano a sminuire il valoredell’avversario e registrano gli insuccessidel battaglione, gonfie di retorica quandointendono esaltare l’efficienza dei militi e illoro sacrificio) emerge un contesto di guerrain cui si inseriscono tutti gli attori in gioco,dagli Alleati, alla popolazione civile, ai reni-tenti, ai “banditi”, ai disertori, ai “cameratigermanici” e ai loro comandi. Lo scrupolo-

so e spesso ripetitivo resoconto quotidia-no permette perciò di tracciare un quadroin cui si colloca (trovandosi il battaglionesu un fronte di guerra particolarmente cal-do) la presenza intensa e continua di aereidegli “odiatissimi anglo-assassini” che, perquanto causa di perdite tra i legionari, ri-mangono un sottofondo cui non viene datoparticolare rilievo. Inoltre, mentre da un latosi enfatizzano atteggiamenti entusiastici del-la popolazione a contatto con i militi (“neicaffè di Bologna risuonano i canti guerrieridei nostri legionari che destano nei presen-ti ondate di entusiasmo”), in alcune annota-zioni l’estensore non può fare a meno di am-mettere sia che la spinta a collaborare è datadal timore di subire rappresaglie, sia che,nell’ambito dell’azione di contrasto ai “ban-diti” della zona, “la popolazione è molto ri-servata e scarsa d’informazioni”.

Allo stesso modo (per quanto il diario sot-tolinei frequentemente i fermi e gli interro-gatori di sospetti, la cattura di renitenti, av-viati al lavoro obbligatorio o destinati allafucilazione, le azioni di pattugliamento nellazona assegnata, alla continua ricerca di in-formazioni sui “banditi”) emerge, nonostan-te l’accento posto sui risultati positivi con-seguiti (“attiva e proficua è la raccolta di no-tizie sui movimenti e la dislocazione dei ban-diti”), la difficoltà di ottenere vittorie con-crete nell’azione di contrasto al nemico. So-no numerose le perlustrazioni andate a vuo-to e gli scontri in cui, data la resistenza dei“banditi”, i militi sono costretti a ripiegare,in particolare negli ultimi mesi di guerra, incui si registra l’intensificarsi dell’azione par-tigiana.

Da sottolineare anche che i rapporti con i

4 Il Comune di Pian d’Artogne era stato costituito durante il ventennio fascista con lafusione dei comuni di Artogne e Pian Camuno, che negli anni cinquanta riottennero la propriaautonomia amministrativa.

5 Attuale Comune di Corteno Golgi.

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Il 63o battaglione “M” nelle Marche e in Lombardia

a. XXVII, n. s., n. 2, dicembre 2007 35

soldati tedeschi, al di là dell’ostentata fami-liarità (“la 1a Cp offre, in onore dei cameratigermanici, una rappresentazione teatrale,[…] Molto entusiasmo e molto cameratismotra i rappresentanti delle due nazioni del-l’Asse”), sono in alcuni frangenti piuttostotesi e tali da creare frizioni dovute a proble-mi nell’attribuzione delle competenze (“ilComandante la 2a Cp riferisce che non hapotuto fucilare gli otto renitenti alla leva e icinque disertori per intromissione del Co-mando Germanico”).

Da notare infine che, nelle pagine del dia-rio relative ai mesi di permanenza del batta-glione nel Bresciano, quando la fine dellaguerra è ormai vicina, sono completamenteassenti riferimenti all’andamento generaledel conflitto e ai suoi esiti negativi per la Rsi.

Il diario

Giugno 1944

7 mercoledìBattaglione accampato a Bologna S. Ruf-

fillo. Alla sveglia tutti i Legionari sono in pie-di per continuare i lavori d’assestamento.

Alle ore 9.15 allarme aereo. Numerosi ae-rei nemici sorvolano il campo, che non rie-scono però a scorgere perché abilmentemascherato sotto gli alberi. Alle ore 10 ces-sato allarme. Possenti formazioni compatteronzano sul cielo della città e scompaionolontane. Cessato allarme ore 10.45. Il restodella giornata trascorre tranquillo. A seratutti i reparti sono perfettamente assestati,ed i legionari provano i loro canti la fede el’entusiasmo li anima. Tempo buono. Cieloscoperto. Temperatura calda.

8 giovedìBattaglione accampato a Bologna S. Ruf-

fillo. Alla sveglia vengono riprese l’istruzio-ne formale e l’addestramento al combatti-

mento fino alle ore 10. A quest’ora vienecelebrata la S. Messa da don Calcagno, allaquale presenzia tutta la Legione. Sono purepresenti il Commissario Federale di Bolognaed altre autorità civili e militari. Un numero-so gruppo di donne fasciste offrono fiori aiLegionari che si stringono loro intorno can-tando le nostre belle canzoni di guerra.

Durante tutta la giornata si rinnovano glisquilli laceranti delle sirene che annuncia-no l’arrivo degli odiatissimi anglo-assassini.

Nel pomeriggio prosegue senza tregual’addestramento da parte dei reparti dipen-denti. Tempo buono. Cielo scoperto. Tem-peratura calda.

9 venerdìBattaglione accampato a Bologna S. Ruf-

fillo. Alla sveglia viene ripreso l’addestra-mento al combattimento, più volte interrot-to a causa dell’apparizione nel cielo dellacittà di aerei nemici, i quali costringono i re-parti all’immobilità sotto il mascheramentodelle piante. Anche nel pomeriggio i repartisvolgono una intensa e proficua istruzione.Si è in attesa dell’ordine di partenza che puògiungere da un momento all’altro.

A sera, nei caffè di Bologna risuonano icanti guerrieri dei nostri Legionari che de-stano nei presenti ondate di entusiasmo.

Tempo buono. Cielo scoperto. Tempera-tura calda.

10 sabatoBattaglione accampato a Bologna S. Ruf-

fillo (Villa Franca).Continua intenso l’addestramento al com-

battimento, tanto durante il mattino che nelpomeriggio.

Frequenti sono durante la giornata gli al-larmi aerei e possenti formazioni di quadri-motori nemici bombardano località vicine.

Tempo buono. Cielo leggermente coper-to. Temperatura calda.

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Raffaella Franzosi

36 l’impegno

11 domenicaBattaglione accampato a Bologna S. Ruf-

fillo (Villa Franca).Continuano l’istruzione e l’addestramen-

to al combattimento. Alle ore 10 S. Messa.Frequenti gli allarmi per tutta la giornata.

Nel pomeriggio il Legionario della 1a Cp.Vecchiattini Giancarlo rimane ferito dalloscoppio di una bomba a mano che trovava-si nell’interno della tenda. A sera giunge l’or-dine di partenza.

Tempo buono. Cielo leggermente coper-to. Temperatura calda.

12 lunedìBattaglione accampato a Bologna S. Ruf-

fillo (Villa Franca).Nella mattinata il Commissario Federale e

le donne fasciste di Bologna vengono a dareai Legionari il loro saluto ed a porgere gliauguri per la partenza. La Fiduciaria dei Fa-sci Femminili rivolge alcune commosse pa-role ai Legionari i quali prorompono in unamanifestazione d’irresistibile entusiasmo.Nel pomeriggio cominciano i preparativi del-la partenza. La sera gli autocarri del mate-riale sono già caricati. Il Battaglione menola 1a Cp. partirà nelle prime ore di domani.

Tempo buono. Cielo scoperto. Tempera-tura calda.

13 martedìBattaglione in movimento da Bologna ver-

so le nuove località assegnate in Romagna.Alle ore 2 sveglia. Alle ore 3 si inizia il

carico degli uomini sugli automezzi. Alle ore4 partenza. Alle ore 8.35 la 2a Cp. raggiungeMonte Colombo e la 3a Cp. Pian di Castelloalle ore 11. Il Comandante del Battaglionesi reca ad Auditore per prendere visione de-gli accantonamenti della 1a Cp. Il Plot. Com.sosta a Saludecio.

Nel pomeriggio viene dato l’ordine di spo-stare la 2a da Monte Colombo a Tomba di

Pesaro (Tavullia) e la 3a Cp. da Pian di Ca-stello a Tavoleto. Alle ore 16 la 1a Cp. parteautotrasportata da Bologna diritta ad Au-ditore.

L’allarme aereo, ed il passaggio degli ae-rei nemici è quasi permanente, tuttavia imovimenti del Battaglione avvengono sen-za incidenti gravi.

Tempo buono. Cielo scoperto. Tempera-tura calda.

14 mercoledìComando Battaglione Saludecio. 1a Cp. in

movimento da Bologna ad Auditore. 2a

Monte Colombo. 3a Pian di Castello.Alle ore 5 la 1a Compagnia giunge ad Au-

ditore. Di qui si manda immediatamente gliautomezzi a Monte Colombo di dove la 2a

Cp. si sposta a Tomba di Pesaro (Tavullia).La 3a Cp. si sposta da Pian di Castello a Ta-voleto. Il Comando di Battaglione prendesede a Tavoleto.

Per tutta la giornata aerei nemici si incro-ciano nel cielo del territorio dove avvengo-no i movimenti delle compagnie. Nessunincidente grave ostacola però la presa di po-sizione dei reparti. Tempo buono. Cielo sco-perto. Temperatura calda.

15 giovedìComando Battaglione 3a Cp. Tavoleto. 1a

Cp. Auditore. 2a Cp. Tavullia.Il compito del Battaglione è quello di pro-

teggere l’esecuzione dei lavori in corso sullalinea Gotica in attesa di entrare in linea concompiti di difesa attiva, unitamente ad unReggimento di Pionieri Germanici che costi-tuiva Gruppo di Battaglia con la Legione Ta-gliamento.

Le compagnie iniziano immediatamente l’i-struzione e l’addestramento al combattimen-to. Si registra un intenso sorvolo di aerei.

Tempo buono. Cielo scoperto. Tempera-tura calda.

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Il 63o battaglione “M” nelle Marche e in Lombardia

a. XXVII, n. s., n. 2, dicembre 2007 37

16 venerdìComando Battaglione e 3a Compagnia

Tavoleto. 1a Cp. Auditore. 2a Tavullia.Dalla 2a Cp. viene segnalato che verso le

ore 9 i civili cominciavano a saccheggiare isilos di grano di Borgo S. Maria. I nostriLegionari immediatamente inviati sul postosono costretti ad usare le armi contro la fol-la imbestialita. Un civile rimane ucciso ed al-tri 2 feriti. Il grano viene quindi distribuitosenza che nessun altro incidente venga adisturbare l’ordine.

Viene intensamente curata l’istruzione for-male e l’addestramento al combattimento.

Molti sbandati dei Battaglioni lavoratoriin ripiegamento vengono inviati al Coman-do Legione. A sera viene tratto in arresto inTavullia il Podestà, il quale da un lungo pe-riodo compiva atti illeciti a tutto svantaggiodella popolazione. Viene pure arrestato unrenitente di leva.

Un plotone della 2a Cp. viene inviato aBorgo S. Maria (Pozzobasso) per proteggere600 lavoratori, su ordine emanato dal 16o

Reggimento Pionieri Germanico.Aerei nemici sorvolano a lungo la zona

compiendo azioni di spezzonamento e di mi-tragliamento. Tempo buono. Cielo scoper-to. Temperatura calda.

17 sabatoComando Battaglione e 3a Compagnia Ta-

voleto. 1a Compagnia Auditore. 2a Compa-gnia Tavullia.

Nella mattinata il Comando Legione si tra-sferisce da Saludecio a Sassocorvaro. Conti-nua intensamente presso i reparti l’adde-stramento al combattimento. Attiva e profi-cua è la raccolta di notizie sui movimenti ela dislocazione dei banditi. Per tutta la gior-nata e malgrado il cattivo tempo, gli aerei ne-mici sorvolano la zona spezzonando e mi-tragliando. Tempo cattivo. Cielo molto co-perto. Piove a lungo. Temperatura mite.

18 domenicaComando Battaglione e 3a Compagnia a

Tavoleto. 1a Compagnia Auditore. 2a Com-pagnia Tavullia. Continua l’istruzione for-male e l’addestramento al combattimento.

La raccolta di notizie sui banditi procedebene. A sera giunge l’ordine di spostamen-to della 3a Cp. a Sestino (al confine Marco-Toscano) e del Comando di Battaglione adAuditore. Il movimento sarà effettuato nel-la giornata di domani.

Tempo cattivo. Cielo molto coperto. Pioveper quasi tutta la giornata. Temperatura mite.

19 lunedìComando Bat.ne e 3a Compagnia Tavole-

to. 1a Cp. ad Auditore. 2a Cp. Tavullia.Presso la 1a e 2a Cp. continua l’addestra-

mento al combattimento.Nel pomeriggio la 3a Compagnia effettua

il movimento ordinatogli da Tavoleto a Se-stino. Il Comando di Battaglione che deveprendere sede ad Auditore si sposta inve-ce, per necessità di collegamento e logisti-che, a Mercatale, paese che forma quasi unsolo abitato con Sassocorvaro dove si tro-va il Comando Legione. I movimenti vengo-no eseguiti senza che si abbiano a verifica-re incidenti degni di rilievo. Abbastanza for-te l’attività aerea avversaria.

Tempo cattivo. Cielo molto coperto. Piovea tratti. Temperatura mite.

20 martedìComando Battaglione a Mercatale. 1a Cp.

ad Auditore. 2a Cp. Tavullia. 3a Cp. Sestino.Continua presso i reparti l’addestramentoal combattimento e la raccolta di notizie suimovimenti e la dislocazione dei banditi. Dal-le compagnie non vengono segnalate novi-tà degne di rilievo.

Nel pomeriggio aerei nemici sorvolano lazona. Tempo discreto. Cielo leggermente co-perto. Temperatura calda.

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Raffaella Franzosi

38 l’impegno

21 mercoledìComando Battaglione a Mercatale. 1a Cp.

ad Auditore. 2a Cp. Tavullia. 3a Cp. Sestino.I reparti continuano per tutta la giornata

l’addestramento al combattimento.Nel pomeriggio il Ten. Ghirelli Edolo re-

quisisce a Monte Fiore Conca un’auto-fur-goncino tipo “Topolino”. Continua il deli-cato e paziente lavoro di raccolta di notiziesui movimenti e la dislocazione dei banditi.

Tempo buono. Cielo scoperto. Tempera-tura calda.

22 giovedìComando Battaglione a Mercatale. 1a Cp.

ad Auditore. 2a Cp. Tavullia. 3a Cp. Sestino.I reparti continuano per tutta la giornata

l’addestramento al combattimento. Nellamattinata numerose massicce formazioni diaerei nemici.

Nel pomeriggio due automezzi del Coman-do Legione vengono mitragliati da caccianemici, nella strada Mercatale-Casinina. Ri-mane ucciso il Legionario “Vittorio”, ama-tissimo “balilla” della Legione, che è così ilnostro primo caduto in questo fronte. La suamemoria resterà sempre viva in noi tutti edil suo sacrificio sarà di sprone a tutti i legio-nari in questa dura battaglia che combatto-no per l’onore d’Italia. Altri due Legionaririmangono feriti ed un automezzo distrutto.

Nella serata vengono fermati in Mercata-le alcuni individui sospetti provenienti dal-le zone di Sovanne (sic) e di Pennabilli. Do-po l’interrogatorio uno di essi viene tratte-nuto mentre gli altri vengono rimessi in li-bertà.

Tempo buono. Cielo scoperto. Tempera-tura calda.

23 venerdìComando Battaglione a Mercatale. 1a Cp.

ad Auditore. 2a Cp. Tavullia. 3a Cp. Sestino.La 1a Cp. compie con due plotoni appog-

giati da un plotone della Compagnia AA.CC.una operazione di polizia nella zona a sudd’Auditore oltre il Foglia. Un bandito chesi dava alla fuga viene ucciso dal fuoco dellearmi del III Plotone. Viene catturata una au-toambulanza nuova completa di materialesanitario.

I reparti continuano l’addestramento alcombattimento. Tutto attorno fervono i la-vori di fortificazione della linea difensiva.

Tempo buono. Cielo leggermente coper-to. Temperatura calda.

24 sabatoComando Battaglione a Mercatale. 1a Cp.

ad Auditore. 2a Cp. Tavullia. 3a Cp. Sestino.Presso i reparti continuano l’istruzione

formale e l’addestramento al combattimen-to. Nessuna novità degna di nota. Nel po-meriggio il Comando di Battaglione si spostada Mercatale a Caprazzino (2 cm a sud-ovestdi Mercatale - qu. 96/50 della carta al 100.000di Pesaro), e precisamente alla Villa Piselli.

Continua la raccolta di notizie sui movi-menti e la dislocazione dei banditi.

Tempo cattivo. Piove a tratti. Cielo coper-to. Vento forte. Temperatura calda.

25 domenicaComando Btg.ne Caprazzino. 1a Cp. Au-

ditore. 2a Cp. Tavullia. 3a Cp. Sestino.Continua l’istruzione.Presso la 1a Compagnia ha luogo una sim-

patica riunione di Ufficiali e Legionari du-rante la quale rifulgono schietti e sani glientusiasmi dei nostri militi. La 2a Cp. catturaalcuni renitenti alla leva. Il Comandante diBattaglione ordina che vengano fucilatiparte in paese ed alcuni al campo lavoratoridi Tavullia.

Abbastanza intensa l’attività aerea nemica.Tempo discreto. Cielo annuvolato a tratti.

Piove un poco durante il mattino. Tempera-tura calda.

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Il 63o battaglione “M” nelle Marche e in Lombardia

a. XXVII, n. s., n. 2, dicembre 2007 39

26 lunedìComando Battaglione a Caprazzino. 1a Cp.

Auditore. 2a Cp. Tavullia. 3a Cp. Sestino.Continua l’addestramento.Un plotone della 1a Cp. al Comando del

Ten. Mazzoni in addestramento sulle quotecircondanti Auditore, avvista gente sospet-ta e si getta decisamente al loro inseguimen-to, che rimane però senza esito.

Un plotone della 3a Cp. viene staccato aPian di Meleto per vigilare 28 mine abban-donate che i banditi volevano far saltare. Ilplotone pernotta a Pian di Meleto.

Molti aerei nemici sorvolano la nostrazona nel pomeriggio. Tempo buono. Cielocoperto. Temperatura calda.

27 martedìComando Battaglione a Caprazzino. 1a Cp.

Auditore. 2a Cp. Tavullia. 3a Cp. Sestino.Continua presso i reparti l’addestramen-

to al combattimento.La 1a Cp. riceve un ordine di operazione

che metterà in atto alle prime ore di domani.Il Comandante la 2a Cp. riferisce che non

ha potuto fucilare gli 8 renitenti alla leva edi 5 disertori per intromissione del ComandoGermanico. L’Oberfüherer Hildebrandt Co-mandante le SS Polizei per l’Emilia ed il Ve-neto, ordina l’esecuzione dei predetti dan-do al Comando Legione libera iniziativa intema di operazioni di polizia. Il plotone del-la 3a Cp. staccato a Pian di Meleto rientra aSestino portando le 28 mine con sé.

Tempo buono. Cielo leggermente coper-to. Temperatura calda.

28 mercoledìComando Btg.ne a Caprazzino. 1a Cp. Au-

ditore. 2a Cp. a Tavullia. 3a Cp. a Sestino.Alle prime ore del mattino la 1a Cp. appog-

giata da 2 plotoni, mortai da 81, parte daAuditore e tutta unita raggiunge alle ore 5Cabertino (sic). Qui si divide in due colon-

ne: una punta su S. Lorenzo in Cerquieto-buono, l’altra su Martenuovo. La 2a colon-na cattura un bandito armato di fucile mod.91 con 6 caricatori. Il bandito viene passatoper le armi sulla piazza di Mercatale. La com-pagnia rientra ad Auditore alle ore 18.

La 2a Compagnia procede nel pomeriggio,all’esecuzione, che avviene in Tavullia, dei5 disertori e degli 8 renitenti alla leva.

Continua per tutta la giornata l’addestra-mento al combattimento.

Tempo buono. Cielo leggermente coperto.Temperatura calda.

29 giovedìComando Btg.ne a Caprazzino. 1a Cp. Au-

ditore. 2a Cp. Tavullia. 3a Cp. Sestino.Continua l’addestramento al combatti-

mento. Durante tutta la giornata la nostrazona è continuamente ed intensamentebombardata da aerei nemici. Alle ore 18 haluogo presso il Com.do di Btg.ne il rappor-to ai Comandanti di Compagnia. Messa apunto sull’effettuazione del progetto A. Alleore 17 il Colonnello Comandante tiene undiscorso alla radio, con il quale rintuzza fie-ramente le minacce proferite all’indirizzo del-la legione da radio nemiche ed al soldo delnemico.

Tempo buono. Cielo scoperto. Tempera-tura calda.

30 venerdìComando Battaglione a Caprazzino. 1a Cp.

Auditore. 2a Cp. Tavullia. 3a Cp. Sestino.Addestramento al combattimento. Le

compagnie effettuano azioni di pattuglia neipressi dei rispettivi accantonamenti.

Continua la raccolta di informazioni suimovimenti e la dislocazione dei banditi.

Durante tutto il mattino si riscontra unavasta ed intensa attività aerea nemica. Nelpomeriggio pattuglie di cacciabombardierinemici effettuano numerosissime azioni di

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Raffaella Franzosi

40 l’impegno

mitragliamento. Sul tratto di strada Merca-tale - Caprazzino vengono distrutte due mac-chine militari. Tra Mercatale e Casinina vie-ne distrutta la macchina del Cap. De Mat-tei. Sulla strada di Tavullia viene mitragliatala macchina del Cap. Fabbri. Il Ten. SaccoPietro viene ferito ad una gamba e ricovera-to all’ospedale militare di Bologna. A Sesti-no viene prelevato dai banditi il Milite ScanuSalvatore che si era allontanato abusiva-mente dal paese. Finora le accurate ricerchesubito iniziate, non hanno dato esito alcuno.

Tempo buono. Cielo scoperto. Tempera-tura calda.

Luglio 1944

1 sabatoComando Battaglione a Caprazzino. 1a Cp.

Auditore. 2a Cp. Tavullia. 3a Cp. Sestino.Azioni di plotoni in perlustrazione nelle

zone limitrofe alle rispettive compagnie dan-no esiti negativi. Presso la 3a Compagniacontinuano le ricerche del M.te Scanu Sal-vatore.

Continua intenso l’addestramento al com-battimento. Pesante attività aerea nemica nelcielo della nostra zona. Continua la raccol-ta di notizie sui movimenti e la dislocazionedei banditi, che sembrano però assai poconumerosi nella zona.

Tempo buono. Cielo scoperto. Tempera-tura calda.

2 domenicaComando Btg.ne a Caprazzino. 1a Cp. ad

Auditore. 2a Cp. a Tavullia. 3a Cp. a Sestino.Continuano le azioni di pattuglie in per-

lustrazione nelle zone circostanti le sedi dellerispettive compagnie. Nulla di notevole dasegnalare. L’addestramento non ha sosta.L’attività aerea nemica è sempre molto in-tensa. Continua la raccolta di notizie suimovimenti e la dislocazione dei banditi. No-

tizie raccolte dalla 3a Cp. dicono che il Mili-te Scanu Salvatore è stato prelevato da al-cuni individui armati in località Cascina (adun km circa da Sestino), mentre si recava ar-bitrariamente ad un appuntamento con unadonna.

Tempo buono. Cielo scoperto. Tempera-tura calda.

3 lunedìComando Btg.ne a Caprazzino. 1a Cp. ad

Auditore. 2a Cp. a Tavullia. 3a Cp. a Sestino.Continuano le azioni dei plotoni in perlu-

strazione. Nella mattinata la 1a Cp. esegueuna prova della manovra a fuoco. La popo-lazione di Sestino e dei paesi vicini, nellatema di rappresaglie, cooperano nelle inda-gini per le ricerche del M.te Scanu Salvato-re. Un civile andrà oggi in montagna perprendere eventuali contatti con i banditi. Daparte della 2a Compagnia vengono fermati5 individui sospetti. Tra questi viene rico-nosciuto da un lavoratore della OT un suorapinatore a mano armata.

L’azione aerea nemica si è notevolmenteaffievolita, mentre è molto aumentata la rea-zione controaerea germanica.

Tempo buono. Cielo scoperto. Tempera-tura calda.

4 martedìComando Btg.ne a Caprazzino. 1a Cp. ad

Auditore. 2a Cp. a Tavullia. 3a Cp. a Sestino.Continuano le azioni di pattuglia in per-

lustrazione. Nessuna notizia circa il M.teScanu.

Nel pomeriggio il Ten. Col. Comandanteil Btg.ne lavoratori di Macerata Feltria dànotizie al Comando Btg.ne della presenza diun centinaio di banditi molto ben armati chesi troverebbero nella zona di S. Paolo, e chie-de un rinforzo per i 20 legionari della Cp. del-la Morte Aretina che sono aggregati al suoBattaglione.

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Il 63o battaglione “M” nelle Marche e in Lombardia

a. XXVII, n. s., n. 2, dicembre 2007 41

La 1a Cp. parte autocarrozzata alle ore 22da Auditore diretta a Macerata Feltria di do-ve, unitamente con i 20 Legionari della Com-pagnia della Morte Aretina, punta su S. Pao-lo dove dovrebbero trovarsi i banditi.

Anche oggi l’attività aerea nemica è mol-to meno intensa dei giorni precedenti. Sem-pre maggiore l’afflusso dei reparti verso lalinea del fronte.

Tempo buono. Cielo scoperto. Tempera-tura calda.

5 mercoledìComando Battaglione a Caprazzino. 1a Cp.

Auditore. 2a Cp. Tavullia. 3a Cp. Sestino.La 1a Cp. con i 20 legionari della Compa-

gnia della Morte Aretina compie l’azione suS. Paolo. Il paese viene circondato e le caseminuziosamente perquisite. I banditi sonofuggiti ieri vero le ore 18, certamente avver-titi da qualcuno che conosceva il progetto.Si sospetta di alcuni elementi facenti partedel Comando del Btg.ne lavoratori. I bandi-ti risultavano essere 30 armati di moschetti,2 mitra ed un’arma pesante (Breda 37). Ven-gono fermati due renitenti alla leva. La com-pagnia fa ritorno alle ore 12.30 ad Auditoreautotrasportata. La 2a Cp. continua a perlu-strare le zone circostanti. Durante questeoperazioni il S. Tenente Mazzantini Giorgiotrae in arresto una donna fortemente impli-cata nell’affare della rapina a mano armataperpetrata ai danni di alcuni lavoratori dellaO. T. Nulla da segnalare da parte della 3a Cp.

Tempo buono. Cielo scoperto. Tempera-tura calda.

6 giovedìComando Battaglione a Caprazzino. 1a Cp.

Auditore. 2a Cp. Tavullia. 3a Cp. Sestino.Normale attività addestrativa da parte

delle Compagnie dipendenti, le quali conti-nuano anche la perlustrazione dei territoricompetenti. La 2a Compagnia procede all’ar-

resto di 3 renitenti alla leva che vengonoincarcerati in attesa di giudizio.

L’attività aerea nemica è oggi molto inten-sa. Tempo buono. Cielo scoperto. Tempe-ratura calda.

7 venerdìComando Battaglione a Caprazzino. 1a Cp.

Auditore. 2a Cp. Tavullia. 3a Cp. Sestino.Un plotone della 1a Cp. perlustra la zona

di Montecalvo in Foglia.Un plotone della 2a Cp. perlustra la zona

che va da Tavullia a Montecelio, Ginestret-to (sic), S. Giorgio, Bivio Borgo S. Maria,Pozzo Alto, Tavullia. Un plotone della 3a Cp.perlustra la zona di Monte Alto. Nel pome-riggio la 3a Cp. provvede a perlustrare la zo-na di Sestino e di M. Romano per reclutarelavoratori da consegnare alla O.T. Vengonoreclutati 6 individui. I reparti dipendenticontinuano inoltre l’addestramento al com-battimento.

Attività aerea molto limitata.Tempo buono. Cielo scoperto. Tempera-

tura calda.

8 sabatoComando Battaglione a Caprazzino. 1a Cp.

Auditore. 2a Cp. Tavullia. 3a Cp. Sestino.Un plotone della 2a Cp. perlustra la zona,

Tavullia, Colbordolo, S. Angelo in Lizzola,Monteciccardo, Mombaroccio, S. Pietro,Fornase, Pozzo Basso, Tavullia.

Un plotone della 3a Compagnia perlustrala zona a N. di Sestino e Monterone.

Continua intensa l’attività addestrativa.Limitata attività aerea.

Tempo buono. Cielo scoperto. Tempera-tura calda.

9 domenicaComando Battaglione a Caprazzino. 1a Cp.

Auditore. 2a Cp. Tavullia. 3a Cp. Sestino.Un plotone della 3a Compagnia perlustra

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Raffaella Franzosi

42 l’impegno

la zona di Sestino, M. Dese, Casa MonteCere, Monte Cossante, Monte della RoccaCampo. Normale attività addestrativa. Inten-sa attività aerea avversaria.

Tempo buono. Cielo scoperto. Tempera-tura calda.

10 lunedìComando Battaglione a Caprazzino. 1a Cp.

Auditore. 2a Cp. Tavullia. 3a Cp. Sestino.Da informazioni assunte dalla 1a Compa-

gnia risulta che bande di ribelli si aggirereb-bero nella zona di S. Marino.

Alle ore 15 rientra il plotone della 3a Com-pagnia inserito ieri in perlustrazione. Nes-suna novità. La 2a Compagnia alle ore 6,30procede alla fucilazione dell’All. Mil. Luc-chesi Giovanni reo di diserzione.

Normale attività addestrativa da parte deidipendenti Reparti. Continua intensa l’atti-vità aerea nemica.

Tempo buono. Cielo leggermente coperto.

11 martedìComando Battaglione a Caprazzino. 1a Cp.

a Auditore. 2a Cp. a Tavullia. 3a Cp. a Sestino.Nel pomeriggio la 1a Cp. offre, in onore dei

camerati germanici, una rappresentazioneteatrale, con la partecipazione esclusiva diLegionari della Cp. Molto entusiasmo e cal-do cameratismo tra i rappresentanti delledue nazioni dell’Asse.

La 2a Cp. continua l’attività perlustrativae la raccolta di notizie sulla dislocazione suimovimenti dei banditi. Un plotone della 3a

Cp. ha compiuto una ricognizione nella zonadi influenza, spingendosi fino a Borgo Pace.Nessuna novità viene segnalata.

Tempo buono. Cielo sereno. Temperatu-ra molto calda.

12 mercoledìComando di Btg. a Caprazzino. 1a Cp. a

Auditore. 2a Cp. a Tavullia. 3a Cp. a Sestino.

Le dipendenti compagnie continuano nel-le azioni di pattugliamento e di perlustrazio-ne delle rispettive zone di influenza.

Intensa l’attività aerea nemica.Da informazioni assunte, sembra che nel-

la zona del Btg. vi sia un afflusso di elemen-ti fuori legge.

Tempo discreto. Nel pomeriggio piove unpoco, poi il cielo torna sereno.

13 giovedìComando di Btg. a Caprazzino. 1a Cp. a

Auditore. 2a Cp. a Tavullia. 3a Cp. a Sestino.La 1a Cp. esegue una marcia di addestra-

mento Auditore-Mondaino, rientrando nelpomeriggio.

La 2a Cp. invia pattuglie in perlustrazionenelle zone di Monpetrio, Torre Palazzo, Ponterosso, S. Maria del Monte. La 3a Cp. conti-nua il raccolto, già in parte iniziato nei gior-ni precedenti, nei poderi abbandonati daicontadini sfollati per l’avvicinarsi della lineadi combattimento. Attività aerea nemicamolto scarsa.

Tempo buono. Cielo sereno. Molto caldo.Nel pomeriggio alcune nuvole coprono ilcielo, senza però che si verifichino precipi-tazioni atmosferiche.

14 venerdìComando di Btg. a Caprazzino. 1a Cp. a

Auditore. 2a Cp. a Tavullia. 3a Cp. a Sestino.Un plotone della 1a Cp. al comando del

Ten. Mazzoni compie una perlustrazionenella zona di Schieti, rientrando nel pome-riggio. La 2a Cp. fa un intensivo addestra-mento al combattimento, pur continuandonegli interrogatori dei fermati dei giorni pre-cedenti. La 3a Cp., percorrendo in ricogni-zione la sua zona di influenza, raccoglie pre-ziose informazioni sulla dislocazione deglielementi fuori legge.

Tempo buono. Cielo sereno al mattino,leggermente coperto nel pomeriggio.

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Il 63o battaglione “M” nelle Marche e in Lombardia

a. XXVII, n. s., n. 2, dicembre 2007 43

15 sabatoComando di Btg. a Caprazzino. 1a Cp. a

Auditore. 2a Cp. a Tavullia. 3a Cp. a Sestino.Normale attività addestrativa e di pattu-

gliamento delle zone di influenza da partedelle dipendenti Compagnie. La 2a Cp. ese-gue numerosi fermi di sospetti e di renitentialla leva e l’arresto di un rapinatore a manoarmata di lavoratori dell’Organizzazione Pal-ladino, e dei suoi complici. Scarsa attivitàaerea nemica. Tempo buono. Cielo sereno.Temperatura calda.

16 domenicaComando di Btg. a Caprazzino. 1a Cp. a

Auditore. 2a Cp. a Tavullia. 3a Cp. a Sestino.La 1a Cp. perlustra la zona tra Auditore,

Tavoleto e Montecalvo in Foglia. Un Plo-tone della 2a Cp. la zona di Montecchio, S.Gallo, Ginestreto, S. Pietro, S. Angelo, Ta-vullia. Un Plotone della 3a Cp. la zona di Desee Monticone ed un altro dello stesso Repar-to la zona di Presciano, Monte Puccio (sic),Carpegna, onde scegliere le località adatteper alcuni appostamenti ordinati dal Coman-do di Legione. Notizie raccolte dai vari Re-parti fanno presumere che nella zona di in-fluenza della Legione si aggiri una “Briga-ta” di banditi su due battaglioni, la cui forzacomplessiva non viene precisata.

Tempo buono. Cielo sereno al mattino, leg-germente coperto nel pomeriggio. Tempera-tura calda.

17 lunedìComando di Btg. a Caprazzino. 1a Cp. a

Auditore. 2a Cp. a Tavullia. 3a Cp. a Sestino.La 1a Cp. esegue esercitazioni tattiche lun-

go la vallata del fiume Foglia. La 2a Cp., oltrealla normale attività addestativa, procede alfermo di alcuni individui sospetti del paesedi sede. Due Plotoni della 3a Cp. hanno per-corso, in marcia di addestramento, la zonadi Dese, Miraldella, Bottegno. Continua l’im-

pressione, per molte ragioni aumentata, chenella zona effettivamente siano stabiliti for-ti nuclei di banditi, ma la popolazione è moltoriservata e scarsa di informazioni.

Attività aerea nemica sempre scarsa.Tempo buono. Cielo sereno. Temperatu-

ra calda.

18 martedìComando di Btg. a Caprazzino. 1a Cp. a

Auditore. 2a Cp. a Tavullia. 3a Cp. a Sestino.A causa del tempo piovoso, le Compagnie

dipendenti svolgono istruzioni nell’internodegli accantonamenti, e, presso la 2a, conti-nuano intensi gli interrogatori dei fermati.Nel pomeriggio vengono distribuite ai Re-parti nuove armi automatiche, per comple-tare la dotazione secondo gli organici. I le-gionari sono entusiasti perché vedono, nelcompletamento dell’armamento, la possibi-lità di un definitivo impiego al fronte.

Scarsa attività aerea nemica, mentre con-tinuano, con intensità, i lavori del genio Te-desco e Italiano sulle fortificazioni della li-nea di resistenza.

Tempo piovoso al mattino, ritornato sere-no in serata. Temperatura calda.

19 mercoledìComando di Btg. a Caprazzino. 1a Cp. a

Auditore. 2a Cp. a Tavullia. 3a Cp. a Sestino.La 1a Cp. ha proceduto a provare le nuove

armi assegnate, ed ha continuato, con pat-tuglie, l’attività perlustrativa; la 2a Cp. hacontinuato a mantenere il continuo control-lo della zona di Montecchio, S. Angelo. Unplotone della 3a ha, in serata, compiuto ap-postamenti, senza risultati positivi, nellazona di Monte Luccio, Petrella, Massana,sulle carreggiabili e sulle mulattiere cheportano a S. Sisto e Frontino.

Tempo buono. Cielo leggermente coper-to durante tutta la giornata. Temperaturacalda.

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Raffaella Franzosi

44 l’impegno

20 giovedìComando di Btg. a Caprazzino. 1a Cp. a

Auditore. 2a Cp. a Tavullia. 3a Cp. a Sestino.Le dipendenti Compagnie continuano

nelle rispettive attività di pattugliamento edi addestramento. La 1a Cp. prepara unamanovra a fuoco. Scarsa attività degli aereinemici.

Tempo buono. Cielo sereno. Temperatu-ra calda.

21 venerdìComando di Btg. a Caprazzino. 1a Cp. a

Auditore. 2a Cp. a Tavullia. 3a Cp. a Sestino.La 1a Cp. esegue una operazione di poli-

zia a largo raggio nella zona Pian di Castel-lo, Montefiore Conca, Gemmano, catturan-do vari elementi renitenti alla leva, che ven-gono successivamente avviati ai lavori dellefortificazioni militari, e raccogliendo prezio-se informazioni sui movimenti delle bande.Normale attività addestrativa da parte deglialtri Reparti. Sestino, località sede della 3a

Cp., viene bombardata da aerei nemici: du-rante il bombardamento cade, mortalmentecolpito da schegge, il Mil. Magni Ernesto.

Tempo buono. Cielo sereno. Temperatu-ra calda.

22 sabatoComando di Btg. a Caprazzino. 1a Cp. a

Auditore. 2a Cp. a Tavullia. 3a Cp. a Sestino.Normale attività addestrativa dei dipen-

denti Reparti. La 3a Cp. in nottata esegue unaperlustrazione di controllo nella zona Dese-Casalecchio, visitando tutti i cascinali, sem-pre con esito negativo. Scarsa attività ae-rea nemica.

Tempo buono. Cielo scoperto. Tempera-tura calda.

23 domenicaComando di Btg. a Caprazzino. 1a Cp. a

Auditore. 2a Cp. a Tavullia. 3a Cp. a Sestino.

La 1a Cp. continua nelle perlustrazioni,battendo le zone di Montefiore Conca, Piandi Castello, Castelnuovo e monte Altavel-lio, rastrellando dieci renitenti alla leva, chevengono avviati al lavoro obbligatorio.

La 2a Cp. invia, in pattugliamento, due plo-toni: uno nella zona di Mombarroccio (sic),Cartoceto, l’altro a Isola del Piano, MonteGuiduccio, Petriano, Scotaneto. A Candelo-ra un renitente alla leva fuggito al compari-re del Plotone e che non si fermava all’inti-midazione, veniva ucciso e un individuo an-ziano, per la stessa ragione, ferito.

La 3a Cp. osserva una giornata di riposo,data la festività della domenica. Scarsa atti-vità aerea.

Tempo buono. Cielo sereno. Temperatu-ra calda.

24 lunedìComando di Btg. a Caprazzino. 1a Cp. a

Auditore. 2a Cp. a Tavullia. 3a Cp. a Sestino.La 1a Compagnia svolge un’intensa atti-

vità addestrativa. Il Plotone della 2a Cp., giàda ieri nella zona di Mombarroccio, al Co-mando del Tenente Guidicini, a Villagrandedi Mombarroccio ha un piccolo scontro conelementi fuori legge; durante la sparatoriaviene ferito il Mil. Cardinali Antonio. Nelpomeriggio una squadra dello stesso Ploto-ne, veniva fatta segno a raffiche d’arma au-tomatica: veniva ferito, dallo scoppio di unabomba a mano il Mil. sc. Ciuffini Luciano.

L’azione dell’altro Plotone della 2a Cp.,prosegue l’azione.

Presso Sestino un gruppo di banditi as-sale un automezzo germanico, uccidendodue soldati: prontamente escono due squa-dre della 3a Cp. e nello scontro con i fuorilegge, cade da prode il V. Brig. Baglioni Mat-tia. I banditi perdono un ferito e un prigio-niero.

Tempo buono. Cielo sereno. Temperatu-ra calda.

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Il 63o battaglione “M” nelle Marche e in Lombardia

a. XXVII, n. s., n. 2, dicembre 2007 45

25 martedìComando di Btg. a Caprazzino. 1a Cp. a

Auditore. 2a Cp. a Tavullia. 3a Cp. a Sestino.Un plotone della 1a Cp., al comando del

Sten. Fiorineschi perlustra la zona di Madon-na del Piano, inviando varie pattuglie in ri-cognizione, ma con esito negativo. Rientra-no, alla 2a Cp. i Plotoni che hanno operatonei giorni precedenti, conducendo 25 ferma-ti, che vengono avviati ai lavori obbligato-ri. La 3a Cp. guidata dal bandito catturatoieri, perlustra la zona di Bottegno e di Cam-po, senza però rilevare altro che tracce delpassaggio dei fuori legge.

Quasi nulla l’attività aerea nemica. Tem-po buono. Cielo sereno. Temperatura calda.

26 mercoledìComando di Btg. a Caprazzino. 1a Cp. a

Auditore. 2a Cp. a Tavullia. 3a Cp. a Sestino.Un plotone della 1a Cp., al comando del

Tenente Zanotti perlustra la zona di Mon-tefiore Conca, catturando quattro renitentialla leva, sospetti di connivenza con le ban-de. La 2a Cp. osserva una giornata di riposoper gli uomini rientrati ieri. La 3a Cp., sem-pre guidata dal bandito catturato, esploran-do la zona di Montenuovo di Lunano, fer-ma una ebrea polacca il cui marito è sospet-to di essere a capo di bande, latitante.

Scarsa attività dell’aviazione nemica.Tempo buono. Cielo sereno. Temperatu-

ra calda.

27 giovedìComando di Btg. a Caprazzino. 1a Cp. a

Auditore. 2a Cp. a Tavullia. 3a Cp. a Sestino.Normale attività di pattuglie e addestrati-

va dei Reparti dipendenti. Giunge, per radio,la notizia che le prime divisioni italiane, ad-destrate in Germania, stanno per raggiun-gere il fronte: grande entusiasmo.

Scarsa attività aerea nemica. Tempo buo-no. Cielo sereno. Temperatura calda.

28 venerdìComando di Btg. a Caprazzino. 1a Cp. a

Auditore. 2a Cp. a Tavullia. 3a Cp. a Sestino.Intensa attività di pattugliamento dei di-

pendenti Reparti. Si ha notizia che i gruppidi banditi, sentendosi troppo controllati eminacciati dalla nostra continua sorveglian-za della zona si vanno spostando verso al-tre località. Normale attività aerea nemica,che però non danneggia alcuno dei nostrireparti.

Tempo buono. Cielo leggermente coper-to il mattino, coperto in serata. Temperatu-ra calda.

29 sabatoComando di Btg. a Caprazzino. 1a Cp. a

Auditore. 2a Cp. a Tavullia. 3a Cp. a Sestino.Normale attività perlustrativa delle Com-

pagnie. Informazioni raccolte dicono che ilMil. sc. Scanu Salvatore, della 3a Cp., prele-vato dai banditi il 30/6 abbia già passato,sotto scorta, le linee inglesi. Una banda,tormentata e molestata continuamente daipattugliamenti della 3a Cp. si è sciolta neipressi di Sestino.

Anche le zone di influenza delle altre Cp.appaiono attualmente abbastanza tranquil-le. Presso la 1a Cp. continua la preparazionedella manovra a fuoco.

Tempo buono. Cielo leggermente coper-to. Temperatura calda.

30 domenicaComando di Btg. a Caprazzino. 1a Cp. a

Auditore. 2a Cp. a Tavullia. 3a Cp. a Sestino.Normale attività di perlustrazione delle ri-

spettive zone di influenza da parte delle di-pendenti Compagnie e di addestramento alcombattimento.

Continuo sorvolo della zona da parte diaerei nemici, ma senza sganci di bombe omitragliamenti. Tempo buono. Cielo sereno.Temperatura calda.

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Raffaella Franzosi

46 l’impegno

Agosto 1944

1 lunedìComando di Btg. a Caprazzino. 1a Cp. a

Auditore. 2a Cp. a Tavullia. 3a Cp. a Sestino.Intensa attività di pattuglie e addestrativa.Normale attività aerea nemica. Tempo

buono. Cielo sereno. Temperatura calda.

2 martedìComando di Btg. a Caprazzino. 1a Cp. a

Auditore. 2a Cp. a Tavullia. 3a Cp. a Sestino.Mentre la 2a e la 3a Cp. svolgono le solite

attività di addestramento al combattimento,la 1a Cp., con due plotoni, in collaborazionecon una Cp. Germanica rinforzata da mezziblindati, compie una azione di polizia nellazona a sud di Auditore, catturando moltibanditi. Limitata l’attività aerea nemica.

Tempo buono. Cielo sereno. Temperatu-ra calda.

3 mercoledìComando di Btg. a Caprazzino. 1a Cp. a

Auditore. 2a Cp. a Tavullia. 3a Cp. a Sestino.Continua l’attività addestrativa e perlu-

strativa dei dipendenti Reparti. Giunge, perradio, la notizia che il Maresciallo d’Italia,Rodolfo Graziani ha preso il comando diun’Armata Italo Tedesca. L’annuncio riem-pie di gioia i Legionari. Scarsa l’attività del-l’aviazione nemica.

Tempo buono. Nel pomeriggio piove, mapoco e per breve tempo. La temperatura simantiene calda.

4 giovedìComando di Btg. a Caprazzino. 1a Cp. a

Auditore. 2a Cp. a Tavullia. 3a Cp. a Sestino.Normale attività addestrativa delle dipen-

denti Compagnie. Scarsa attività aerea ne-mica. Tempo buono. Cielo sereno al matti-no, annuvolato nel pomeriggio. Temperatu-ra calda.

5 venerdìComando di Btg. a Caprazzino. 1a Cp. a

Auditore. 2a Cp. a Tavullia. 3a Cp. a Sestino.In mattinata, rapporto, al Comando Legio-

ne, dei comandanti di Btg. e di Cp. La Le-gione ha ricevuto l’ordine di trasferirsi nelVeneto, nella zona di Vicenza (Schio, Recoa-ro). La notizia, divulgatasi tra i legionari recamolto dispiacere a questi, che vorrebberoinvece rimanere al fronte sud. Normale atti-vità addestrativa dei Reparti. Scarsa l’atti-vità dell’aviazione avversaria.

Tempo discreto. Cielo sereno in mattina-ta, nel pomeriggio piove un poco. Tempe-ratura tiepida.

6 sabatoComando di Btg. a Caprazzino. 1a Cp. a

Auditore. 2a Cp. a Tavullia. 3a Cp. a Sestino.In mattinata la Legione ha un’ambita vi-

sita quella del Duce, che si intrattiene an-che presso la 2a Cp. di questo Btg. Egli ri-mane a lungo presso i legionari, parla loro,canta con loro. Alla sua partenza, rimane neicuori di tutti il ricordo di una giornata indi-menticabile. Normale attività addestrativa.Scarsa attività aerea. Tempo discreto. Cielocoperto. Temperatura mite.

7 domenicaComando di Btg. a Caprazzino. 1a Cp. a

Auditore. 2a Cp. a Tavullia. 3a Cp. a Sestino.Al mattino, rapporto, al comando di Le-

gione, dei Comandanti di Btg. e di Cp.: ven-gono impartite le disposizioni per il trasferi-mento. Nel pomeriggio incomincia, presso iReparti l’attività organizzativa in vista dellapartenza. Tempo buono. Cielo sereno. Tem-peratura calda.

8 lunedìIl Btg. è dislocato come nel giorno prece-

dente e continuano febbrili i preparativi perla partenza, che avviene verso le ore 19. La

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a. XXVII, n. s., n. 2, dicembre 2007 47

2a Cp. parte puntuale, mentre la 1a inizia lamarcia verso le ore 23 e la 3a Cp. verso le 24.La prima tappa di questo spostamento, checi deve portare a Verrucchio viene percorsaa piedi e procede con regolarità. Anche ilpercorso delle salmerie è compiuto normal-mente. Tempo buono. Cielo leggermente co-perto. Temperatura calda.

9 martedìBattaglione in marcia di trasferimento dalle

sedi di precedente dislocazione verso Ver-rucchio. In mattinata e parte nel pomeriggiole Compagnie raggiungono la destinazione,accampandosi nei dintorni del paese, ecce-zion fatta per la 3a Cp. che non giunge ingiornata.

Nessuna attività nemica.Tempo variabile. Piove a tratti. Tempera-

tura mite.

10 mercoledìBattaglione accampato nella zona di Ver-

rucchio, compresa, nel pomeriggio, la 3a Cp.che giunge alle ore 11 circa. Si compie ilcaricamento degli autocarri con il materialedelle Cp. e con gli zaini dei legionari. Alleore 19 il Btg., con le Compagnie distanziate,si muove alla volta di S. Arcangelo, dovegiunge verso le ore 22, unitamente a tutta laLegione. Scaricati gli autocarri e caricatoinvece il materiale sull’apposito convoglioferroviario, questo si muove verso le ore 24.Tutto procede regolarmente.

Tempo variabile. Piove a tratti. Tempera-tura mite.

11 giovedìBattaglione in movimento per ferrovia.

Viaggio regolare fino a Bologna, dove il con-voglio, giungo verso le ore 9, deve sostarefino alle 23 circa, causa il difficoltoso pas-saggio del fiume Po. Le Compagnie, scesedalle vetture, vengono decentrate nelle cam-

pagne vicine, per misura precauzionale an-tiaerea. Alle ore 23 il treno riprende il per-corso, compiendo il tratto Bologna-Mode-na-Ferrara molto regolarmente.

Tempo discreto. Cielo leggermente coper-to in mattinata, sereno nel pomeriggio. Tem-peratura calda.

Gennaio 1945

1 lunedìComando di Btg. e 2a Cp. a Marone. 1a Cp.

a Zone. 3a Cp. a Pian d’Artogne.Viene osservato l’orario festivo per tutta

la giornata.Tempo buono. Cielo sereno. Temperatu-

ra fredda.

2 martedìComando di Btg. e 2a Cp. a Marone. 1a Cp.

a Zone. 3a Cp. a Pian d’Artogne.Normale attività addestrativa, per quan-

to lo consentono i numerosi servizi da cuisono appesantite le Compagnie in tutte lelocalità.

Tempo buono. Cielo sereno. Temperatu-ra fredda.

3 mercoledìComando di Btg. e 2a Cp. a Marone. 1a Cp.

a Zone. 3a Cp. a Pian d’Artogne.Normale attività addestrativa delle Cp.

dipendenti.Tempo buono. Cielo sereno. Temperatu-

ra fredda.

4 giovedìComando di Btg. e 2a Cp. a Marone. 1a Cp.

a Zone. 3a Cp. a Pian d’Artogne.Normale attività addestrativa dei dipen-

denti Reparti.Tempo mediocre. Cielo coperto durante

tutta la giornata. In serata nevica. Tempera-tura fredda.

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Raffaella Franzosi

48 l’impegno

5 venerdìComando di Btg. e 2a Cp. a Marone. 1a Cp.

a Zone. 3a Cp. a Pian d’Artogne.Attività di istruzione interna, dato il catti-

vo tempo, delle Compagnie dipendenti.Tempo cattivo. Piove a tratti. Temperatu-

ra fredda.

6 sabatoComando di Btg. e 2a Cp. a Marone. 1a Cp.

a Zone. 3a Cp. a Pian d’Artogne.Data la festività dell’Epifania, viene osser-

vato l’orario festivo. La 3a Cp. stacca un Plo-tone a Darfo ed uno a Pian Camuno, con ilcompito di sorvegliare tratti della linea ger-manica difensiva “Blau”, in approntamento.

Tempo discreto. Cielo sereno. Temperatu-ra fredda.

7 domenicaComando di Btg. e 2a Cp. a Marone. 1a Cp.

a Zone. 3a Cp. a Pian d’Artogne.Viene osservato l’orario festivo.Tempo discreto. Leggermente coperto.

Temperatura fredda.

8 lunedìComando di Btg. e 2a Cp. a Marone. 1a Cp.

a Zone. 3a Cp. a Pian d’Artogne.Normale attività addestrativa delle dipen-

denti Cp. Tempo discreto. Leggermente co-perto. Temperatura fredda.

9 martedìComando di Btg. e 2a Cp. a Marone. 1a Cp.

a Zone. 3a Cp. a Pian d’Artogne.Attività addestrativa interna ai Reparti

dipendenti. Tempo cattivo. Nevica. Tempe-ratura fredda.

10 mercoledìComando di Btg. e 2a Cp. a Marone. 1a Cp.

a Zone. 3a Cp. a Pian d’Artogne.Normale attività addestrativa dei Reparti

dipendenti, che curano in particolare l’ad-destramento al combattimento del singoloe della squadra. Tempo discreto. Cielo se-reno. Temperatura fredda.

11 giovedìComando di Btg. e 2a Cp. a Marone. 1a Cp.

a Zone. 3a Cp. a Pian d’Artogne.Normale attività addestrativa. Tempo di-

screto. Leggermente coperto. Temperaturafredda.

12 venerdìComando di Btg. e 2a Cp. a Marone. 1a Cp.

a Zone. 3a Cp. a Pian d’Artogne.Normale attività addestrativa. Giunge a

Marone una pattuglia della 3a Cp. che si re-cherà domani a Zone, per iniziare il corsoaddestramento sciatori, secondo disposi-zione del Com.do Legione. Tempo discreto.Cielo coperto. Temperatura fredda.

13 sabatoComando di Btg. e 2a Cp. a Marone. 1a Cp.

a Zone. 3a Cp. a Pian d’Artogne.Normale attività addestrativa, in mattina-

ta, rivista al corredo, nel pomeriggio. Parto-no da Marone le squadre sciatori della 2a e3a Cp. del Plotone Comando, per recarsi aZone, dove avrà luogo il corso, per il Batta-glione. Tempo cattivo. Nel pomeriggio ne-vica abbondantemente.

14 domenicaComando di Btg. e 2a Cp. a Marone. 1a Cp.

a Zone. 3a Cp. a Pian d’Artogne.Viene osservato l’orario festivo. Tempo

discreto. Leggermente coperto. Temperatu-ra fredda.

15 lunedìComando di Btg. e 2a Cp. a Marone. 1a Cp.

a Zone. 3a Cp. a Pian d’Artogne.Normale attività addestrativa dei Reparti.

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Il 63o battaglione “M” nelle Marche e in Lombardia

a. XXVII, n. s., n. 2, dicembre 2007 49

A Zone inizia il corso sciatori e racchettatori.Tempo discreto. Leggermente coperto.

Temperatura fredda.

16 martedìComando di Btg. e 2a Cp. a Marone. 1a Cp.

a Zone. 3a Cp. a Pian d’Artogne.Normale attività addestrativa delle Com-

pagnie. Tempo discreto. Cielo coperto.Temperatura fredda.

17 mercoledìComando di Btg. e 2a Cp. a Marone. 1a Cp.

a Zone. 3a Cp. a Pian d’Artogne.Normale attività addestrativa presso la 1a

e 3a Cp. e al corso sciatori. La 2a Cp. inviaun Plotone fucilieri, rinforzato da una squa-dra mitraglieri, a perlustrare la località “Oste-ria”, sita sulle montagne ad Est di Sulzano,ove, secondo informazioni, dovrebbero tro-varsi alcuni ex prigionieri britannici armati.

Tempo buono. Cielo sereno. Temperatu-ra fredda.

18 giovedìComando di Btg. e 2a Cp. a Marone. 1a Cp.

a Zone. 3a Cp. a Pian d’Artogne.Alle ore 8 rientra a Marone il Plotone del-

la 2a Compagnia: la perlustrazione ha datoesito negativo: le informazioni erano eviden-temente false, in quanto la presenza degliex prigionieri nella zona pare sia di vecchiadata. La 1a e la 3a Compagnia svolgono unanormale attività addestrativa; così pure ilcorso sciatori.

Tempo buono. Cielo sereno. Temperatu-ra fredda.

19 venerdìComando di Btg. e 2a Cp. a Marone. 1a Cp.

a Zone. 3a Cp. a Pian d’Artogne.Normale attività addestrativa delle Com-

pagnie. Tempo mediocre. Cielo coperto. Nelpomeriggio nevica. Temperatura fredda.

20 sabatoComando di Btg. e 2a Cp. a Marone. 1a Cp.

a Zone. 3a Cp. a Pian d’Artogne.Normale attività addestrativa delle Com-

pagnie. Tempo discreto. Cielo leggermentecoperto. Temperatura fredda.

21 domenicaComando di Btg. e 2a Cp. a Marone. 1a Cp.

a Zone. 3a Cp. a Pian d’Artogne.Viene osservato l’orario festivo domeni-

cale. Tempo buono. Cielo sereno. Tempera-tura fredda.

22 lunedìComando di Btg. e 2a Cp. a Marone. 1a Cp.

a Zone. 3a Cp. a Pian d’Artogne.Normale attività addestrativa delle dipen-

denti Cp. Continua intenso, a Zone, il cor-so sciatori. Tempo buono. Cielo sereno.Temperatura fredda.

23 martedìComando di Btg. e 2a Cp. a Marone. 1a Cp.

a Zone. 3a Cp. a Pian d’Artogne.Normale attività addestrativa della 1a e 2a

Cp. Un Plotone della 3a si reca a perlustrarela zona di Fraine, ove erano stati segnalatigli uccisori di due sottufficiali della G.N.R.:la perlustrazione ha dato esito negativo.

Tempo discreto. Cielo coperto. Tempera-tura fredda.

24 mercoledìComando di Btg. e 2a Cp. a Marone. 1a Cp.

a Zone. 3a Cp. a Pian d’Artogne.Normale attività addestrativa dei Reparti.Tempo buono. Leggermente coperto.

Temperatura fredda.

25 giovedìComando di Btg. e 2a Cp. a Marone. 1a Cp.

a Zone. 3a Cp. a Pian d’Artogne.Normale attività addestrativa dei Reparti.

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Raffaella Franzosi

50 l’impegno

Tempo buono. Leggermente coperto.Temperatura fredda.

26 venerdìComando di Btg. e 2a Cp. a Marone. 1a Cp.

a Zone. 3a Cp. a Pian d’Artogne.Normale attività addestrativa svolta teo-

ricamente a causa delle condizioni atmosfe-riche. Tempo cattivo. Nevica a lungo ed ab-bondantemente. Temperatura fredda.

27 sabatoComando di Btg. e 2a Cp. a Marone. 1a Cp.

a Zone. 3a Cp. a Pian d’Artogne.Normale attività addestrativa. Tempo di-

screto. Cielo coperto. Temperatura fredda.

28 domenicaComando di Btg. e 2a Cp. a Marone. 1a Cp.

a Zone. 3a Cp. a Pian d’Artogne.Viene osservato l’orario festivo domeni-

cale. Tempo mediocre. Cielo coperto. Tem-peratura fredda.

29 lunedìComando di Btg. e 2a Cp. a Marone. 1a Cp.

a Zone. 3a Cp. a Pian d’Artogne.Normale attività addestrativa. Continua,

intensamente, a Zone, il corso sciatori.Tempo buono. Cielo scoperto. Tempera-

tura fredda.

30 martedìComando di Btg. e 2a Cp. a Marone. 1a Cp.

a Zone. 3a Cp. a Pian d’Artogne.Normale attività addestrativa, sempre re-

lativamente al disimpegno dei servizi che leCompagnie dipendenti debbono esplicare.Dalle relazioni settimanali sull’attività svol-ta risulta che, in genere, può prendere parteall’istruzione, al massimo un Plotone perogni Reparto.

Tempo buono. Cielo sereno. Temperatu-ra fredda.

31 mercoledìComando di Btg. e 2a Cp. a Marone. 1a Cp.

a Zone. 3a Cp. a Pian d’Artogne.Normale attività addestrativa. A Zone ha

termine il corso sciatori e racchettatori: i ri-sultati sono stati soddisfacenti.

Febbraio 1945

1 giovedìComando di Btg. e 2a Cp. a Marone. 1a Cp.

a Zone. 3a Cp. a Pian d’Artogne.La 1a Cp. compie, con due Plotoni, una

marcia addestrativa e perlustrativa nella zo-na di sua giurisdizione, senza segnalare no-vità. Normale attività addestrativa della 2a e3a Compagnia. Tempo mediocre. Cielo coper-to. Temperatura fredda.

2 venerdìComando di Btg. e 2a Cp. a Marone. 1a Cp.

a Zone. 3a Cp. a Pian d’Artogne.Normale attività addestrativa delle Com-

pagnie. Tempo buono. Cielo sereno. Tem-peratura fredda.

3 sabatoComando di Btg. e 2a Cp. a Marone. 1a Cp.

a Zone. 3a Cp. a Pian d’Artogne.Attività addestrativa interna in mattina-

ta. Nel pomeriggio rivista alle armi e all’equi-paggiamento. Tempo mediocre. Piove a trat-ti. Temperatura fredda.

4 domenicaComando di Btg. e 2a Cp. a Marone. 1a Cp.

a Zone. 3a Cp. a Pian d’Artogne.Viene osservato l’orario festivo. Tempo

discreto. Cielo coperto. Temperatura fredda.

5 lunedìComando di Btg. e 2a Cp. a Marone. 1a Cp.

a Zone. 3a Cp. a Pian d’Artogne.La 2a Cp. perlustra con un Plotone la zona

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di Sulzano, senza rilevare novità degne dinota. Normale attività della 1a e della 3a com-pagnia.

Tempo buono. Cielo sereno. Temperatu-ra fredda.

6 martedìComando di Btg. e 2a Cp. a Marone. 1a Cp.

a Zone. 3a Cp. a Pian d’Artogne.Normale attività dei dipendenti Reparti.Tempo buono. Cielo sereno. Temperatu-

ra fredda.

7 mercoledìComando di Btg. e 2a Cp. a Marone. 1a Cp.

a Zone. 3a Cp. a Pian d’Artogne.Normale attività addestrativa delle dipen-

denti Cp.Tempo buono. Cielo sereno. Temperatu-

ra fredda.

8 giovedìComando di Btg. e 2a Cp. a Marone. 1a Cp.

a Zone. 3a Cp. a Pian d’Artogne.Normale attività addestrativa della 1a e

della 2a Cp. Il Plotone della 3a Cp. staccato aPian Camuno esegue pattugliamenti nellazona dei monti antistanti il paese, ma nonsegnala novità degne di particolare rilievo.

Tempo buono. Cielo sereno. Temperatu-ra fredda.

9 venerdìComando di Btg. e 2a Cp. a Marone. 1a Cp.

a Zone. 3a Cp. a Pian d’Artogne.Normale attività addestrativa delle Com-

pagnie.Tempo buono. Cielo sereno. Temperatu-

ra fredda.

10 sabatoComando di Btg. e 2a Cp. a Marone. 1a Cp.

a Zone. 3a Cp. a Pian d’Artogne.Attività addestrativa in mattinata, con

cura particolare all’istruzione formale. Nelpomeriggio pulizia alle armi e rivista al cor-redo. Tempo buono. Cielo sereno. Tempe-ratura fredda.

11 domenicaComando di Btg. e 2a Cp. a Marone. 1a Cp.

a Zone. 3a Cp. a Pian d’Artogne.Viene osservato dalle Compagnie l’orario

festivo. Tempo buono. Cielo sereno. Tem-peratura fredda.

12 lunedìComando di Btg. e 2a Cp. a Marone. 1a Cp.

a Zone. 3a Cp. a Pian d’Artogne.Normale addestramento da parte della 1a

e della 2a Cp. Due plotoni della 3a Cp. si re-cano a Rogno, dove sono stati segnalati e-lementi fuorilegge. Dopo aver perlustratotutta la zona, senza riscontrare novità, rien-trano in sede.

Tempo buono. Cielo sereno. Temperatu-ra fredda.

13 martedìComando di Btg. e 2a Cp. a Marone. 1a Cp.

a Zone. 3a Cp. a Pian d’Artogne.Normale attività di addestramento dei

Reparti.Tempo buono. Cielo sereno. Temperatu-

ra fredda.

14 mercoledìComando di Btg. e 2a Cp. a Marone. 1a Cp.

a Zone. 3a Cp. a Pian d’Artogne.Normale attività addestrativa.Tempo discreto. Leggermente coperto.

Temperatura fredda.

15 giovedìComando di Btg. e 2a Cp. a Marone. 1a Cp.

a Zone. 3a Cp. a Pian d’Artogne.Il Battaglione riceve ordine dal Comando

di Legione di trasferirsi nella zona di Edolo,

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Raffaella Franzosi

52 l’impegno

dove assumerà la seguente dislocazione:Comando di Btg. Plotone Comando e 3a Cp.a Corteno. 1a Cp. a S. Giacomo. 2a Cp. a Vez-za d’Oglio.

Alle ore 20 la 2a Cp. parte in treno daMarone, diretta ad Edolo. Alla stessa ora lesalmerie del Btg. si trasferiscono, per viaordinaria, a Breno. Alle ore 21 la 1a Cp. scendeda Zone e, autocarrata, parte alla volta di S.Giacomo.

Tempo buono. Leggermente coperto.Temperatura fredda.

16 venerdìBattaglione in trasferimento.La 1a Cp. arriva alle ore 2 ad Edolo. Du-

rante il trasferimento un autocarro ha urta-to contro ostacoli anticarro. Mentre le per-sone non hanno subito danni, l’automezzoha avuto avarie, che ne hanno reso neces-sario il rimorchio. Alle ore 5 prosegue giun-gendo a S. Giacomo alle ore 8.

La 2a Cp., raggiunto Edolo alle ore 4, pro-segue per via ordinaria, raggiungendo la suadestinazione, Vezza d’Oglio, alle ore 8. IlComando di Btg ed il Plotone Comando, par-tono da Marone alle ore 20 per ferrovia: allastazione di Artogne sale anche un Plotonedella 3a Cp.

Le salmerie, partite da Breno, raggiungo-no Edolo alle ore 19.

Tempo buono. Cielo sereno. Temperatu-ra fredda.

17 sabatoComando di Btg. e 3a Cp. in trasferimen-

to. 1a Cp. a S. Giacomo. 2a Cp. a Vezza d’O-glio.

Il Comando di Btg e il Plotone della 3a Cp.raggiungono alle ore 2 Edolo, di dove, dopouna sosta di 3 ore, proseguono, per via ordi-naria, per Corteno, ove giungono alle ore 8.

Le salmerie, da Edolo, proseguono versole rispettive destinazioni che raggiungono

rispettivamente, quelle della 2a alle ore 8,quelle della 3a e del Plotone Comando, alleore 12 e quelle della prima, alle ore 17. Alleore 20,30 la parte restante della 3a Cp, chenel frattempo ha ritirati i Plotoni staccati,parte in treno da Artogne, diretta ad Edolo.

Tempo buono. Cielo sereno. Temperatu-ra fredda.

18 domenicaComando di Btg e 1 Plotone della 3a Cp. a

Corteno. 1a Cp. a S. Giacomo. 2a Cp. a Vezzad’Oglio. 3a Cp. in trasferimento.

La 3a Cp., giunta ad Edolo alle ore 2, dopouna sosta di 3 ore, prosegue per via ordina-ria alla volta di Corteno, ove giunge alle ore8. Le Compagnie provvedono alla sistema-zione delle nuove sedi. Tempo buono. Leg-germente coperto. Temperatura fredda.

19 lunedìComando di Btg. e 3a Cp. a Corteno. 1a Cp.

a San Giacomo. 2a Cp. a Vezza d’Oglio.I reparti provvedono al miglioramento ed

alla definitiva sistemazione delle rispettivesedi ed accantonamenti. Non vengono se-gnalate novità di sorta dopo il trasferimen-to che è stato regolare.

Tempo discreto. Leggermente coperto.Temperatura fredda.

20 martedìComando di Btg. e 3a Cp. a Corteno. 1a Cp.

a S. Giacomo. 2a Cp. a Vezza d’Oglio.Un Plotone fucilieri ed uno mitraglieri della

1a Cp, d’intesa con il Comando ProvincialeG.N.R. di Sondrio, svolgono un’azione dipolizia, avente per obbiettivo le case Mo-roni, a N.O. di Postalesio. Non vengono ri-levate tracce di banditi né di materiale, ilReparto rientra in sede in serata.

Normale attività di presidio da parte della2a e della 3a Cp. Secondo gli ordini le Com-pagnie dipendenti svolgono e svolgeranno

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a. XXVII, n. s., n. 2, dicembre 2007 53

anche addestramento al combattimento eformale, ma i numerosi servizi da cui sonogravate, le obbligano a parteciparvi consolo pochi uomini.

Tempo buono. Cielo sereno. La tempera-tura è ancora fredda ma migliora, diminuen-do il rigore di intensità.

21 mercoledìComando di Btg. e 3a Cp. a Corteno. 1a Cp.

a S. Giacomo. 2a Cp. a Vezza d’Oglio.Normale attività delle dipendenti Compa-

gnie. Tempo buono. Cielo sereno. Tempe-ratura fredda.

22 giovedìComando di Btg. e 3a Cp. a Corteno. 1a Cp.

a S. Giacomo. 2a Cp. a Vezza d’Oglio.La 1a Cp, d’intesa con il Comando Provin-

ciale G.N.R. di Sondrio, con una forza di 78uomini, svolge un’azione di polizia, in con-comitanza con altri Reparti italiani e germa-nici, nella zona della Valle di Bodengo. Du-rante la marcia non riscontra novità di sor-ta. Sosta per il pernottamento a Pianezze.

La 2a Cp., con una forza di 50 uomini, inseguito ad ordine di questo comando, svol-ge un’azione nella zona di S. Giacomo - Oste-ria del Mortirolo. Incontra, nei pressi del-l’obbiettivo, una forte resistenza da partedei banditi, sistemati a difesa, e, date le con-dizioni particolarmente difficili del terreno,reso quasi impraticabile dalla neve alta, edil forte disturbo provocato dai centri di fuo-co e da un grande numero di tiratori isolati,sparsi dovunque, vista l’impossibilità dipoter ottenere, con le poche forze disponi-bili, risultati concreti, ripiega ordinatamen-te. Durante il movimento, un proiettile diarma pesante uccide il Milite MazzarinoDario. La Compagnia rientra per le ore 21.

La 3a Cp, con una forza di due Plotoni,svolge un’azione concomitante a quelladella 2a Cp, nella zona del Mortirolo. Anche

essa, preso contatto con i fuori legge, dopoaver tentato più volte di attaccare i fortinidei banditi, visto che il terreno difficile ed ilfuoco violento delle armi nemiche, nonavrebbero consentito di ottenere risultatifavorevoli, decide di ripiegare. Una pattu-glia, al comando del Sten. Galletti Silvano,che era in posizione avanzata, non si ricon-giunge con il resto del Reparto, al rientro delquale, alle ore 17 circa, i componenti di essa(10 uomini), vengono dati dispersi. Perditedei banditi: dieci morti.

Tempo discreto. Cielo sereno. Temperatu-ra fredda.

23 venerdìComando di Btg. e 3a Cp. a Corteno. 1a Cp.

a S. Giacomo. 2a Cp. a Vezza d’Oglio.La 1a Cp., impegnata nell’azione di Valle

di Bodengo, dopo aver pernottato a Pianez-ze, a causa della neve ghiacciata, non puòproseguire e, insieme agli altri Reparti concui agiva, rientra in sede, a mezzo autocor-riera.

La 2a Cp. osserva una giornata di riposo.La 3a Cp. invia un Plotone, al Comando del

Sten. Baldi Attilio, a tentare la ricerca dellapattuglia comandata dal Sten. Galletti, di-spersa nell’azione di ieri. Il Reparto incon-tra infatti un gruppo di 4 Legionari, riuscitia sganciarsi durante la notte, ma degli altrisei, compreso l’Ufficiale, non riesce ad avereche vaghe informazioni. Proseguendo, inun ultimo tentativo, cade in una imboscata,a causa della quale, date le posizioni domi-nanti e vantaggiose dei banditi, dopo unbreve violento combattimento, è costrettaa ripiegare.

Perdite avversarie: 10 morti.Perdite della 3a Cp: 5 caduti, 1 disperso, 8

feriti. In serata i feriti vengono trasportatiall’Ospedale civile di Edolo ed ivi ricoverati.

Tempo discreto. Leggermente coperto.Temperatura fredda.

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Raffaella Franzosi

54 l’impegno

24 sabatoComando di Btg. e 3a Cp. a Corteno. 1a Cp.

a S. Giacomo. 2a Cp. a Vezza d’Oglio.Un Plotone fucilieri della 1a Cp, rinforzato

da una squadra mitraglieri, da Corteno, oveè giunta a mezzo autocorriera, raggiunge,dopo una faticosa marcia di sette ore sullaneve, Monte Padrio. In questa località rin-viene i cadaveri dei cinque legionari della3a Cp. caduti nell’azione di ieri, e quelli didue banditi. Dopo aver trasportato le salmea Corteno, il Reparto rientra a S. Giacomo.Un Plotone della 3 a Cp. rinforzato da elemen-ti del Plotone Comando di Btg, compie unappostamento che dura tutto il giorno, allependici del Monte Padrio. Preso contattocon il Plotone della 1a, rientra in serata, sen-za segnalare novità. Un Plotone della 2a Cp.,al comando del Sten. Prezioso Piero, com-pie una ricognizione nella zona della concaformata dalla confluenza delle valli di Gromdi Mortirolo e Varadega. Rientra verso le ore19, non segnalando novità degne di rilevo.

Tempo buono. Cielo sereno. Temperatu-ra non eccessivamente fredda.

25 domenicaComando di Btg. e 3a Cp. a Corteno. 1a Cp.

a S. Giacomo. 2a Cp. a Vezza d’Oglio.I Reparti in sede osservano una giornata

di riposo. Tempo buono. Cielo sereno. Tem-peratura relativamente mite.

26 lunedìComando di Btg. e 3a Cp. a Corteno. 1a Cp.

a S. Giacomo. 2a Cp. a Vezza d’Oglio.La mattina, verso le ore 2,10, un nucleo di

una cinquantina di banditi, dopo aver inter-rotto la linea telefonica, attaccano l’accan-tonamento della 2a Cp, sparando violente-mente con le armi automatiche e lanciandocontro le finestre dei dormitori grossi ordi-gni esplosivi. Alla immediata reazione dellaCp. i banditi si sono dileguati. Perdite della

Compagnia: un ferito leggero. La 1a e la 3a

Cp. compiono in giornata una meticolosaverifica alle armi e al materiale.

Tempo buono. Cielo leggermente coper-to. Temperatura relativamente mite.

27 martedìComando di Btg. e 3a Cp. a Corteno. 1a Cp.

a S. Giacomo. 2a Cp. a Vezza d’Oglio.La 1a Cp, rinforzata da elementi di un Re-

parto germanico di mortai da 81mm, parte daGrosotto, per una azione concomitante divari Reparti della Legione, contro la bandadel Mortirolo. Raggiunta la zona antistanteil passo del Mortirolo, è costretta ad attac-care combattimento con nuclei di banditi,annidati in postazioni in roccia e in ben si-stemate opere difensive. Dopo un lungo edaspro combattimento, nel quale intervenne-ro le armi di accompagnamento tedesche,dato l’esaurirsi delle munizioni al seguito edil calare delle tenebre, in ottemperanza agliordini ricevuti, si sgancia e rientra in sede.

Perdite della 1a Cp: un caduto.Perdite avversarie: 5 morti accertati, ma si

ritiene che la precisa azione dei mortai ab-bia causato ai banditi altre gravi perdite.

La 2a Cp, con una cinquantina di uominial comando diretto del Cap. Fabbri, svolgeuna azione concomitante a quella della 1a

Cp. e, portandosi sulle posizioni assegna-te, batte col fuoco delle sue armi le difesenemiche, permettendo alla 4a Cp del 1o Btg,secondo il piano operativo prefissato, dievadere al suo compito. In serata, la 2a Cp.rientra in sede senza aver subito perdite.

La 3a Cp. svolge una normale attività ad-destrativa. Tempo buono. Leggermente co-perto. Temperatura relativamente mite.

28 mercoledìComando di Btg. e 3a Cp. a Corteno. 1a Cp.

a S. Giacomo. 2a Cp. a Vezza d’Oglio.La 1a e la 2a Cp. osservano una giornata

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Il 63o battaglione “M” nelle Marche e in Lombardia

a. XXVII, n. s., n. 2, dicembre 2007 55

di riposo. La 3a Cp. svolge una normale atti-vità addestrativa. Tempo buono. Cielo se-reno. Temperatura fresca.

Marzo 1945

1 giovedìComando di Btg. e 3a Cp. a Corteno. 1a Cp.

a S. Giacomo. 2a Cp. a Vezza d’Oglio.La 2a Cp. opera una perquisizione in alcu-

ne case della zona, ove erano stati segnala-ti movimenti sospetti: esito negativo. La 1a

e la 3a Cp. svolgono una normale attività diaddestramento.

Tempo buono. Cielo sereno. Temperatu-ra fresca.

2 venerdìComando di Btg. e 3a Cp. a Corteno. 1a Cp.

a S. Giacomo. 2a Cp. a Vezza d’Oglio.Normale attività delle dipendenti Compa-

gnie. Tempo buono. Cielo sereno. Tempe-ratura relativamente mite.

3 sabatoComando di Btg. e 3a Cp. a Corteno. 1a Cp.

a S. Giacomo. 2a Cp. a Vezza d’Oglio.Normale attività addestrativa in mattina-

ta. Nel pomeriggio viene effettuata da tuttii Reparti una minuziosa rivista al corredo eall’equipaggiamento.

In mattinata il Comandante del Battaglio-ne esegue una visita di ispezione agli accan-tonamenti della 2a Cp, senza rimarcare nulladi anormale.

Tempo buono. Cielo sereno. Temperatu-ra relativamente mite.

4 domenicaComando di Btg. e 3a Cp. a Corteno. 1a Cp.

a S. Giacomo. 2a Cp. a Vezza d’Oglio.Le Compagnie osservano l’orario festivo.Tempo buono. Cielo sereno. Temperatu-

ra mite.

5 lunedìComando di Btg. e 3a Cp. a Corteno. 1a Cp.

a S. Giacomo. 2a Cp. a Vezza d’Oglio.Normale attività delle dipendenti Compa-

gnie. Tempo buono. Cielo sereno. Tempe-ratura mite.

6 martedìComando di Btg. e 3a Cp. a Corteno. 1a Cp.

a S. Giacomo. 2a Cp. a Vezza d’Oglio.Normale attività addestrativa dei Reparti

dipendenti. Il Comandante di Battaglione sireca a San Giacomo per una visita di ispezio-ne alla 1a Cp: tutto viene riscontrato in per-fetto ordine. Tempo buono. Cielo sereno.Temperatura mite.

7 mercoledìComando di Btg. e 3a Cp. a Corteno. 1a Cp.

a S. Giacomo. 2a Cp. a Vezza d’Oglio.Normale attività delle dipendenti Compa-

gnie. Tempo buono. Cielo sereno. Tempe-ratura mite.

8 giovedìComando di Btg. e 3a Cp. a Corteno. 1a Cp.

a S. Giacomo. 2a Cp. a Vezza d’Oglio.Normale attività delle dipendenti Compa-

gnie. Tempo buono. Cielo sereno. Tempe-ratura mite.

9 venerdìComando di Btg. e 3a Cp. a Corteno. 1a Cp.

a S. Giacomo. 2a Cp. a Vezza d’Oglio.La 3 Cp., in seguito ad ordine del Coman-

do di Legione, compie in serata un apposta-mento, bloccando tutte le strade che porta-no a Cortenedolo: nessuna novità. Norma-le attività delle altre Cp. Tempo buono. Leg-germente coperto. Temperatura fresca.

10 sabatoComando di Btg. e 3a Cp. a Corteno. 1a Cp.

a S. Giacomo. 2a Cp. a Vezza d’Oglio.

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Raffaella Franzosi

56 l’impegno

Le dipendenti Compagnie svolgono nor-male attività. Una visita di ispezione del Co-mandante del Btg. alla 3a Cp. non rileva de-ficienze. Tempo buono. Leggermente coper-to. Temperatura mite.

11 domenicaComando di Btg. e 3a Cp. a Corteno. 1a Cp.

a S. Giacomo. 2a Cp. a Vezza d’Oglio.I Reparti osservano l’orario festivo. Tem-

po buono. Cielo sereno. Temperatura mite.

12 lunedìComando di Btg. e 3a Cp. a Corteno. 1a Cp.

a S. Giacomo. 2a Cp. a Vezza d’Oglio.Le Compagnie svolgono una normale at-

tività. Una pattuglia della 3a Cp. in serviziodi sorveglianza, viene fatta segno di unascarica di mitra da parte di un gruppo di ban-diti, appostati sopra una roccia. Alla prontarisposta della pattuglia i fuori legge si da-vano alla fuga. La squadra di pronto impie-go della 3a Cp. intervenuta immediatamen-te, compie una perlustrazione, con esitonegativo.

Tempo buono. Cielo sereno. Temperatu-ra mite.

13 martedìComando di Btg. e 3a Cp. a Corteno. 1a Cp.

a S. Giacomo. 2a Cp. a Vezza d’Oglio.Le compagnie svolgono una normale at-

tività addestrativa. La 2a Cp, in serata, com-pie un appostamento sulla strada che con-duce da Vezza d’Oglio alla Cappella dell’Ac-qua Calda: nulla di rimarchevole viene se-gnalato.

Tempo buono. Cielo sereno. Temperatu-ra mite.

14 mercoledìComando di Btg. e 3a Cp. a Corteno. 1a Cp.

a S. Giacomo. 2a Cp. a Vezza d’Oglio.Le Compagnie svolgono una normale at-

tività addestrativa. Una visita di ispezionedel Comandante del Battaglione alla 2a Cp,trova tutto in perfetto ordine. In nottata la3a Cp. compie un appostamento sulle mu-lattiere che conducono da Corteno a Mon-te Padrio e a Baita Foppa, senza che venga-no segnalate novità di sorta.

Tempo buono. Cielo sereno. Temperatu-ra mite.

15 giovedìComando di Btg. e 3a Cp. a Corteno. 1a Cp.

a S. Giacomo. 2a Cp. a Vezza d’Oglio.Normale attività dei dipendenti Reparti.

Tempo buono. Cielo sereno. Temperaturamite.

16 venerdìComando di Btg. e 3a Cp. a Corteno. 1a Cp.

a S. Giacomo. 2a Cp. a Vezza d’Oglio.Normale attività addestrativa della 1a e 3a

Cp. Un Plotone della 2a Cp., inviato per ef-fettuare un controllo sulla strada Vezzad’Oglio-Edolo, viene impegnato, all’altezzadell’osteria Iscla, da un gruppo di banditiche, da posizioni dominanti, lo fanno segnoa violente raffiche di armi automatiche. Men-tre stava rifornendo di munizioni il suo fu-cile mitragliatore, cadeva, colpito a morte, ilMil. “M” Michelini Gustavo. I banditi veni-vano volti in fuga. Nel pomeriggio, nellastessa località, un carro ed un calessino del-la 2a Cp., che rientravano da Edolo dal pre-levamento di foraggi, venivano fatti segnoa scariche di armi automatiche: colpito alpetto, cadeva il Mil. “M” Andreanelli Ada-mo, mentre venivano feriti i Militi “M” Bru-stia Luciano e Colantoni Luigi. L’immedia-to intervento del Plotone che dal mattinonon aveva lasciata la zona, metteva in fugai banditi. Non sono state accertate le even-tuali perdite dei banditi.

Tempo buono. Cielo sereno. Temperatu-ra mite.

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Il 63o battaglione “M” nelle Marche e in Lombardia

a. XXVII, n. s., n. 2, dicembre 2007 57

17 sabatoComando di Btg. e 3a Cp. a Corteno. 1a Cp.

a S. Giacomo. 2a Cp. a Vezza d’Oglio.Normale attività addestrativa dei Reparti

dipendenti.Tempo buono. Cielo sereno. Temperatu-

ra mite.

18 domenicaComando di Btg. e 3a Cp. a Corteno. 1a Cp.

a S. Giacomo. 2a Cp. a Vezza d’Oglio.In mattinata si svolgono, a Vezza d’Oglio,

le onoranze funebri dei Mil. “M” MicheliniGustavo e Andreanelli Adamo, con la par-tecipazione anche di molti civili del paese.Tutti i dipendenti Reparti osservano in gior-nata, l’orario festivo.

Tempo buono. Cielo sereno. Temperatu-ra mite.

19 lunedìComando di Btg. e 3a Cp. a Corteno. 1a Cp.

a S. Giacomo. 2a Cp. a Vezza d’Oglio.Normale attività delle dipendenti Compa-

gnie. Tempo buono. Cielo sereno. Tempe-ratura mite.

20 martedìComando di Btg. e 3a Cp. a Corteno. 1a Cp.

a S. Giacomo. 2a Cp. a Vezza d’Oglio.Normale attività dei dipendenti Reparti.Tempo buono. Leggermente coperto.

Temperatura mite.

21 mercoledìComando di Btg. e 3a Cp. a Corteno. 1a Cp.

a S. Giacomo. 2a Cp. a Vezza d’Oglio.Normale attività dei dipendenti Reparti.Tempo buono. Cielo sereno. Temperatu-

ra mite.

22 giovedìComando di Btg. e 3a Cp. a Corteno. 1a Cp.

a S. Giacomo. 2a Cp. a Vezza d’Oglio.

Normale attività delle dipendenti Compa-gnie. Tempo buono. Cielo sereno. Tempe-ratura mite.

23 venerdìComando di Btg. e 3a Cp. a Corteno. 1a Cp.

a S. Giacomo. 2a Cp. a Vezza d’Oglio.Normale attività addestrativa dei dipen-

denti Reparti. Come già ricordato, in tuttoquesto periodo l’addestramento è stato edè ridotto, per la scarsa disponibilità di uo-mini. Tempo buono. Cielo sereno. Tempera-tura mite.

24 sabatoComando di Btg. e 3a Cp. a Corteno. 1a Cp.

a S. Giacomo. 2a Cp. a Vezza d’Oglio.Normale attività addestrativa in mattina-

ta, nel pomeriggio rivista al corredo.Tempo buono. Cielo sereno. Temperatu-

ra mite.

25 domenicaComando di Btg. e 3a Cp. a Corteno. 1a Cp.

a S. Giacomo. 2a Cp. a Vezza d’Oglio.Le dipendenti Cp. osservano l’orario fe-

stivo. Tempo discreto. Cielo coperto. Tem-peratura mite.

26 lunedìComando di Btg. e 3a Cp. a Corteno. 1a Cp.

a S. Giacomo. 2a Cp. a Vezza d’Oglio.Normale attività addestrtiva delle Compa-

gnie. Tempo mediocre. Nel pomeriggio pio-viggina. Temperatura fresca.

27 martedìComando di Btg. e 3a Cp. a Corteno. 1a Cp.

a S. Giacomo. 2a Cp. a Vezza d’Oglio.Attività interna di istruzione teorica, cau-

sa il cattivo tempo, delle dipendenti Com-pagnie.

Tempo cattivo. Piove durante tutta la gior-nata. Temperatura notevolmente fresca.

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Raffaella Franzosi

58 l’impegno

28 mercoledìComando di Btg. e 3a Cp. a Corteno. 1a Cp.

a S. Giacomo. 2a Cp. a Vezza d’Oglio.Normale attività addestrativa delle Com-

pagnie.Tempo mediocre. Nel pomeriggio piove.

Temperatura fresca.

29 giovedìComando di Btg. e 3a Cp. a Corteno. 1a Cp.

a S. Giacomo. 2a Cp. a Vezza d’Oglio.Alle ore 0,45 una pattuglia della 3a Cp. vie-

ne fatta segno a colpi d’arma da fuoco daparte di banditi appostati su una roccia. Lapronta reazione della pattuglia mette in fugai banditi. Nessuna perdita. Normale attivitàaddestrativa delle Compagnie.

Tempo discreto. Cielo coperto. Tempera-tura fresca.

30 venerdìComando di Btg. e 3a Cp. a Corteno. 1a Cp.

a S. Giacomo. 2a Cp. a Vezza d’Oglio.Normale attività delle dipendenti Compa-

gnie. I Reparti del Battaglione assumono,dietro ordine del Comando di Legione, lostato di allarme, fino a nuovo ordine.

Tempo discreto. Cielo coperto. Tempera-tura relativamente mite.

31 sabatoComando di Btg. e 3a Cp. a Corteno. 1a Cp.

a S. Giacomo. 2a Cp. a Vezza d’Oglio.Informazioni avute dal Comando di Legio-

ne danno molto probabile un attacco not-turno dei banditi su Edolo. Un Plotone della2a Cp. e un Plotone della 3a Cp. si apposta-no nelle vicinanze del paese, pronti ad in-tervenire immediatamente, in caso si effet-tui una minaccia. Nulla di notevole accadedurante la notte ed i Reparti rientrano all’al-ba alle rispettive sedi.

Tempo buono. Cielo sereno. Temperatu-ra mite.

Aprile 1945

1 domenicaComando di Btg. e 3a Cp. a Corteno. 1a Cp.

a S. Giacomo. 2a Cp. a Vezza d’Oglio.Perdura per tutti i Reparti dipendenti lo

stato di allarme. La festività della Pasqua tra-scorre egualmente tranquilla: i Plotoni, del-la 2a e della 3a Compagnia effettuano, comeieri gli appostamenti notturni attorno adEdolo, senza che vengano segnalate novità.

Tempo buono. Cielo sereno. Temperatu-ra mite.

2 lunedìComando di Btg. e 3a Cp. a Corteno. 1a Cp.

a S. Giacomo. 2a Cp. a Vezza d’Oglio.Alle ore 5 viene fatto saltare, da elementi

fuori legge, un tratto di strada tra Aprica eTresenda, producendo una interruzione diuna trentina di metri ed interrompendo le co-municazioni con la 1a Cp. Nulla di notevoleperò accade. Normale attività dei Reparti esoliti appostamenti notturni della 2a e della3a Compagnia. Tempo buono. Cielo sereno.Temperatura mite.

3 martedìComando di Btg. e 3a Cp. a Corteno. 1a Cp.

a S. Giacomo. 2a Cp. a Vezza d’Oglio.Normale attività delle dipendenti Compa-

gnie. Soliti appostamenti notturni della 2a edella 3a Cp. Tempo buono. Cielo sereno. Tem-peratura mite.

4 mercoledìComando di Btg. e 3a Cp. a Corteno. 1a Cp.

a S. Giacomo. 2a Cp. a Vezza d’Oglio.Normale attività delle dipendenti Compa-

gnie. Il Comandante di Btg si reca ad Edoloa conferire con il Sig. Colonnello Coman-dante della Legione. Soliti appostamentinotturni della 2a e della 3a Cp. Tempo buo-no. Cielo sereno. Temperatura mite.

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Il 63o battaglione “M” nelle Marche e in Lombardia

a. XXVII, n. s., n. 2, dicembre 2007 59

5 giovedìComando di Btg. e 3a Cp. a Corteno. 1a Cp.

a S. Giacomo. 2a Cp. a Vezza d’Oglio.Normale attività delle dipendenti Compa-

gnie. Soliti appostamenti notturni della 2a edella 3a Cp. Tempo buono. Leggermente co-perto. Temperatura mite.

6 venerdìComando di Btg. e 3a Cp. a Corteno. 1a Cp.

a S. Giacomo. 2a Cp. a Vezza d’Oglio.In mattinata la 2a Cp. sposta gli accanto-

namenti dal paese di Vezza d’Oglio in alcu-ne case site sul costone di fronte all’abita-to, causa un preannunciato attacco di ban-diti in collaborazione con l’aviazione ingle-

se. Nel pomeriggio la 1a Cp. si trasferisce daS. Giacomo a Teglio, dove trova migliori epiù idonei possibilità di alloggio.

La 3a Cp. svolge in giornata normali atti-vità, in serata effettua il solito appostamen-to. Tempo buono. Cielo sereno. Temperatu-ra mite.

7 sabatoComando di Btg. e 3a Cp. a Corteno. 1a Cp.

a Teglio. 2a Cp. presso Vezza d’Oglio.La 1a e la 2a Cp. provvedono all’assesta-

mento dei nuovi accantonamenti. Normaleattività della 3a Cp.

Tempo buono. Cielo sereno. Temperatu-ra mite.

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PIERO AMBROSIO (a cura di)

“Oggi ricomincia la vita”

Il ritorno dalla Germania degli ex internati militari vercellesi,

biellesi e valsesiani

2007, pp. 84, € 10,00

Negli ultimi decenni si è assistito ad un crescente interesse per la storia degli inter-

nati militari nella Germania nazista dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943. Questo

catalogo, che raccoglie le immagini della mostra omonima, anziché delle loro dram-

matiche esperienze di prigionia e di lavoratori “schiavi di Hitler”, si occupa del ri-

torno di quanti riuscirono a sopravvivere.

La memorialistica ha consentito di ricostruire in parte una storia a lungo dimenticata.

A centinaia di migliaia di ex combattenti al ritorno in patria toccò il trattamento riser-

vato ai prigionieri di guerra, ai perdenti, a coloro che nel momento della lotta parti-

giana e della liberazione dal nazifascismo non c’erano.

Gli ex internati nelle loro memorie ricordano il senso di isolamento, le difficoltà a

trovare un impiego dopo tanti anni di assenza dall’Italia, il disinteresse di un Paese

che voleva solo dimenticare, il rapporto talvolta conflittuale con le associazioni par-

tigiane. Solo negli anni ottanta, la concessione della qualifica di “volontari della

libertà” e un rinnovato interesse degli storici nei confronti dei prigionieri di guerra

hanno assunto il significato di ridare dignità alla loro scelta di rifiutare di aderire

alla Repubblica sociale italiana e di combattere per il nazifascismo.

La maggior parte degli ex internati militari rientrò in Italia tra maggio e novembre

1945, non senza problemi: molti erano malati; la scarsità di mezzi di trasporto e l’ina-

gibilità di tratti ferroviari, ponti e strade bombardati dagli Alleati, li costrinsero spesso

a percorrere lunghi tratti a piedi, o in convogli sovraffollati, e il loro viaggio di ritor-

no durò talvolta parecchie settimane.

Mentre l’assistenza prestata dalle istituzioni statali fu piuttosto precaria, le istitu-

zioni ecclesiastiche, con l’aiuto della Croce rossa, organizzarono una fitta rete di

interventi in favore degli ex internati a Bolzano e a Pescantina, nei pressi di Verona,

dove fu allestito un campo di smistamento.

Luciano Giachetti e Adriano Ferraris, i partigiani “Lucien” e “Musik” divenuti i “Fo-

tocronisti Baita” di Vercelli, si recarono a Pescantina, con uno dei convogli di auto-

carri, e documentarono l’arrivo di un gruppo di ex internati della provincia di Vercelli.

Le pagine d’album riprodotte nel catalogo vogliono onorare il loro sacrificio.

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saggi

l’impegno 61

L’idea di questa ricerca viene da un’inter-vista1 a Giovanni De Luna pubblicata nellepagine culturali del quotidiano “la Repub-blica”, nella quale lo storico parlava di “usopubblico” e “uso politico” della storia, di“senso comune”, di riabilitazioni, di foibe,di memorie collettive e identitarie, di “Portaa Porta” e antifascismo. Il tutto proprio nel-le pagine di un mezzo di comunicazione dimassa per eccellenza. Impossibile non co-gliere la quantità di stimoli provenienti daquelle pagine. Più difficile cercare di filtrar-li, selezionarli e ricomporli in un disegno diricerca mirato, non dispersivo, ma che riu-scisse, o se non altro provasse, ad affron-tare il rapporto fra comunicazione di massae memoria storica.

L’ambito in cui si colloca l’indagine è dun-que quello dell’analisi degli effetti a medioe lungo termine della presenza e dell’acces-sibilità di molteplici messaggi veicolati dalsistema dei media. È questo un ambito pro-blematico, soprattutto quando lo si affron-ta attraverso un’indagine empirica, dal mo-mento che, superata ormai la concezione in-

genua che per lungo tempo ha dipinto i me-dia come aghi che iniettano messaggi inspettatori impotenti, negli anni è emersa conchiarezza la complessità dei contesti e dellemodalità reali di appropriazione dei messag-gi. Sul lungo e medio termine in particolareè difficile identificare le influenze, recipro-che, fra “senso comune” e “senso mediale”,dal momento che l’informazione, una voltafruita ed “appropriata”, entra a far parte de-gli scambi comunicativi e delle interazionisociali quotidiane in cui il “senso comune”costituito dalle rappresentazioni sociali ècreato e ricreato.

L’oggetto della ricerca è dunque il “sen-so comune” riguardo alla Resistenza italia-na, intesa in un’accezione allargata: non so-lo quei venti mesi che vanno dal settembre1943 alla fine dell’aprile 1945, ma anche leloro implicazioni nella nascita della Repub-blica e i nessi con le vicende della secondaguerra mondiale. Non si tratta del “sensocomune” della popolazione italiana, ma diun gruppo in particolare, quello degli inse-gnanti.

* Saggio tratto dalla tesi di laurea Uso pubblico della storia e rappresentazioni socialidella Resistenza: un’indagine tra gli insegnanti di scuola secondaria superiore, Univer-sità degli Studi di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, Corso di laurea specialistica inComunicazione pubblica, sociale e politica, a. a. 2005-2006, relatrice prof.ssa Pina Lalli.

1 SIMONETTA FIORI, La politica della memoria. Intervista a Giovanni De Luna, in “la Re-pubblica”, 24 novembre 2005.

ANDREA PARACCHINI

Rappresentazioni sociali della Resistenza*

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Andrea Paracchini

62 l’impegno

Il quadro teorico di riferimento si riallac-cia ad una serie di analisi sulle forme di co-struzione della conoscenza sociale nel “sen-so comune”, riadattato al contesto specificodi indagine, che riguarda una “cerchia so-ciale” determinata, gli insegnanti. Si è quin-di fatto riferimento al fenomeno delle rappre-sentazioni sociali così come sono proposteda Serge Moscovici2 e applicate in camposociologico nello studio del “senso comu-ne” dei “pensatori dilettanti” da Pina Lalli3.Le rappresentazioni sociali della Resisten-za sono del resto già state oggetto di altristudi. Nel 1997, ad esempio, il Landis ha con-dotto un’indagine4 fra i giovani, pur utiliz-zando un approccio metodologico che si dif-ferenzia in parte da quello adottato in que-sta ricerca.

Un altro importante punto di riferimentoè stato il celebre saggio di Alfred Schütz sul-la distribuzione sociale della conoscenza5.

La ricerca

La ricerca si basa sull’elaborazione dei ri-sultati di un questionario sottoposto ad uncampione di insegnanti delle scuole secon-darie superiori della città di Novara nel cor-so del mese di novembre 2006. La scelta diquesta popolazione di riferimento risponde

a diverse esigenze. Anzitutto il corpo inse-gnante rappresenta una popolazione alta-mente scolarizzata6, capace cioè di esprimer-si su un tema complesso attraverso unostrumento articolato e impegnativo come unquestionario con molte domande aperte. Insecondo luogo, ha dato la possibilità di stu-diare l’influenza dei media nella costruzio-ne delle rappresentazioni sociali di un feno-meno storico fra gli adulti. In particolare, col-laborando con la struttura scolastica (in li-nea teorica più aperta nei confronti della ri-cerca) è stato possibile, attraverso un dise-gno di ricerca relativamente semplice (alme-no rispetto ad una ricerca indiscriminatasulla popolazione adulta della provincia),raggiungere un significativo numero di sog-getti di varie fasce di età e con differenti per-corsi di formazione alle spalle. Bisogna in-fatti sottolineare che del campione sonoentrati a far parte non soltanto insegnantidi materie storico-letterarie o umanistiche,ma anche, quasi in egual misura, di materiescientifiche e tecnico-professionali.

Se questa ricerca non può certo preten-dere di sondare il “senso comune” della Re-sistenza tanto è circoscritto e specifico ilsuo campione, non si può nemmeno defini-re un’introspezione nei convincimenti di ungruppo di specialisti del dibattito storiogra-

2 SERGE MOSCOVICI, Il fenomeno delle rappresentazioni sociali, in ROBERT M. FARR - SERGE

MOSCOVICI (a cura di), Rappresentazioni sociali, Bologna, il Mulino, 1989, pp. 23-94.3 PINA LALLI, L’ecologia del pensatore dilettante, Bologna, Clueb, 1995; ID (a cura di),

Guerra e media. Kosovo: il destino dell’informazione, Verona, Ombre corte, 2003, pp. 15-31; ID (a cura di), Cosa resta dell’informazione, Faenza, Homeless Book, 2003.

4 NADIA BAIESI - ELDA GUERRA (a cura di), Interpreti del loro tempo. Ragazzi e ragazze trascena quotidiana e rappresentazione della storia, Bologna, Clueb, 1997.

5 ALFRED SCHÜTZ, Saggi sociologici, Torino, Utet, 1979; si veda anche P. LALLI, Le arenecomunicative del senso comune, ovvero il “cittadino metainformato”, in MAURO PROTTI

(a cura di), QuotidianaMente. Studi sull’intorno teorico di Alfred Schütz, Lecce, PensaMultimedia, pp. 167-200.

6 La quasi totalità del campione possiede una laurea, dal momento che le sole figure perle quali il titolo non è necessario sono gli insegnanti tecnico-pratici (Itp).

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Rappresentazioni sociali della Resistenza

a. XXVII, n. s., n. 2, dicembre 2007 63

fico, che pure non mancano all’interno delcampione. All’origine si è invece ipotizzatoche fra gli insegnanti fosse più probabile in-contrare esempi di quel “cittadino ben in-formato” cui fa riferimento Schütz7. Un cit-tadino che si documenta, che si informa eche partecipa al discorso nell’arena pubbli-ca, attingendo argomenti dalla sfera media-tica e ricombinandoli con il proprio vissutoe le proprie esperienze maturate in relazio-ne ad altre agenzie sociali.

Se non si fosse privilegiato questo gene-re di opinione documentata (certamenteminoritaria rispetto all’insieme della popo-lazione cittadina) in favore della ben più va-sta popolazione degli “uomini della strada”,non solo la ricerca sarebbe diventata moltopiù complessa dal punto di vista pratico, masi sarebbe corso il rischio di interrogare inmaniera “puntuta” persone su temi che nonli riguardano, su rappresentazioni che nonhanno o hanno solo abbozzato, ottenendorisultati fuorvianti o quantomeno privi diinteresse.

Questa scelta non dovrebbe tuttavia pre-cludere la possibilità di applicare la teoriadelle rappresentazioni sociali di Serge Mo-scovici8. Questi infatti contrappone l’uni-verso reificato del discorso del ricercatorescientifico a quello consensuale del discor-so di senso comune. Ma la realtà quotidia-na degli insegnanti che hanno partecipatoall’indagine, pur collegata in modo “profes-sionale” al settore scientifico, fa comunqueparte di questo universo, caratterizzato da

una molteplicità di fonti di informazione che“metabolizzano e ricostruiscono quotidia-namente le stesse teorie scientifiche rianco-randole a contesti e valori extra-scientifici,‘locali’ potremmo dire. E viceversa, nuoveteorie, una volta giunte, specie grazie aimass media, nel contesto quotidiano, posso-no gettare nuova luce a fenomeni già fami-liari”9.

Peppino Ortoleva10 ha parlato, a propo-sito della crisi delle riviste storiche accade-miche, del boom degli strumenti di comuni-cazione per “intellettuali di massa”, come lepagine culturali dei quotidiani o le rivisteletterarie. Esisterebbe cioè, tra la comunitàspecialistica e il “grande pubblico” concompetenze generiche, un’area intermedia,composta, tra le altre figure, anche dagli in-segnanti. È l’“ampio strato di popolazioneche, pur militando raramente in qualche forzapolitica, si interessa di politica, legge i gior-nali e prende posizione almeno in occasionedelle tornate elettorali” e che, secondo Ales-sandro Cavalli11, è stato parte integrante deldibattito su fascismo e Resistenza.

Analisi dei dati qualitativi

Si prendono ora in considerazione le con-vinzioni e gli atteggiamenti nei confronti delfenomeno della Resistenza del campione diinsegnanti coinvolti nella ricerca, attraver-so l’analisi delle risposte ad una serie di do-mande aperte ed items contenuti nella partecentrale del questionario loro sottoposto.

7 A. SCHÜTZ, op. cit.; P. LALLI, Le arene comunicative del senso comune, cit.8 S. MOSCOVICI, op. cit.9 P. LALLI, L’ecologia del pensatore dilettante, cit., p. 21.

10 PEPPINO ORTOLEVA, Storia e mass media, in NICOLA GALLERANO, L’uso pubblico dellastoria, Milano, Angeli, 1995, pp. 63-82.

11 ALESSANDRO CAVALLI, I giovani e la memoria del fascismo e della Resistenza, in “IlMulino”, n. 1, gennaio-febbraio 1996, p. 52.

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Andrea Paracchini

64 l’impegno

Dalle fotografie di rappresaglie all’imma-

ginario iracheno

La domanda 23, che richiede un brevecommento ad alcune immagini, è una do-manda di libera evocazione sulla base di sti-moli costituiti da due fotografie. La prima fo-tografia mostra un cascinale in fiamme, dueuomini armati, un uomo disarmato e un capodi bestiame in fuga. La foto non è molto ni-tida e i particolari dei volti e dell’abbiglia-mento non sono facilmente identificabili.Sotto la fotografia, con funzione di didasca-lia, è stato indicato “Agosto 1944 - Appen-nino tosco-emiliano”. L’immagine è statascelta volutamente per la sua ambiguità, co-sì da lasciare massima libertà all’interpreta-zione; in particolare, a proposito dei ruoli deiprotagonisti, si è supposto, in fase di rea-lizzazione del questionario, che la scena po-tesse indurre a riflettere sul rapporto com-plesso e cruciale fra i partigiani e la popola-zione nel corso della lotta di liberazione.Come sostiene infatti la storica GabriellaGribaudi, in passato “si è enfatizzato il rap-porto armonioso fra partigiani e popolazio-ne ed è calato il silenzio sui conflitti e sullecontraddizioni che hanno segnato i rappor-ti fra partigiani e popolazione nelle zone dicampagna, ma anche nelle città”12.

Pure senza entrare nel merito della realtàdi allora, il passare del tempo, l’emergere dinuovi episodi, le stesse campagne mediati-che hanno influito sulla trasmissione dellamemoria, determinando fenomeni di “slitta-mento della colpa” delle stragi dai nazifasci-

sti che le avevano commesse ai partigianiche le avevano “provocate” con le loro azio-ni13. Per una documentazione su questo ge-nere di valutazioni si rimanda ad alcune delleinterviste raccolte nello studio del Landis14

e in quello di Bellavite15.Simili fenomeni non sembrano tuttavia es-

sersi verificati all’interno del campione, dalmomento che l’interpretazione prevalente èstata quella di chi ha riconosciuto nella fo-tografia l’immagine di una rappresaglia na-zifascista: interpretazione condivisa da qua-rantuno insegnanti, a cui si possono ag-giungere i sette insegnanti che hanno inqua-drato la scena come una tipica azione diguerra condotta lungo la Linea gotica. Di-versi insegnanti hanno provato anche unacontestualizzazione precisa, suggerendoche la foto riguardasse le rappresaglie con-tro Marzabotto o Sant’Anna di Stazzema:“Potrebbe essere un’immagine delle rappre-saglie e delle stragi di Sant’Anna di Stazze-ma. Uccisione di circa quattrocento civili edistruzione del paese ad opera dei nazifa-scisti”.

Le letture che si concentrano sulle vitti-me civili della guerra, persone comuni che“loro malgrado, si sono trovate coinvoltenella guerra senza aver coscienza dei fatti”,sono poche di più di quelle che si mostranoanche soltanto aperte ad una responsabili-tà dei partigiani dietro all’atto, condivise daun intervistato su dieci. Ecco un esempio:“L’immagine sembrerebbe trasmettere ilmessaggio scomodo secondo il quale la lotta

12 GABRIELLA GRIBAUDI, Guerra totale. Tra bombe alleate e violenze naziste. Napoli e ilfronte meridionale 1940-44, Torino, Bollati Boringhieri, 2005.

13 GIULIANA BERTACCHI - LAURANA LAJOLO, La Resistenza a scuola. Silenzio, monumenta-lizzazione, rovesciamento, in “Quaderno di storia contemporanea”, n. 34, 2003, pp. 57-78.

14 N. BAIESI - E. GUERRA (a cura di), op. cit.15 VITTORIO BELLAVITE (a cura di), Alla ricerca della nostra storia: 156 interviste realizzate

da studenti dell’Istituto tecnico commerciale Besta di Milano sulla Seconda guerramondiale, Milano, Dima&B, 1991.

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Rappresentazioni sociali della Resistenza

a. XXVII, n. s., n. 2, dicembre 2007 65

partigiana ha causato distruzione in villag-gi montani in cui arrivava la guerriglia con-tro i nazifascisti. Tedeschi e fascisti ricorre-vano spesso a rappresaglie nei confrontidelle popolazioni locali (come incendi di vil-laggi) come forma di minaccia o di vendettaper l’aiuto offerto ai partigiani”.

È interessante una chiosa posta in fondoad uno dei commenti, in cui si dichiara chel’episodio “oggi dovrebbe essere definitocome ‘un atto di terrorismo’..”. È il segnaledi come le categorie del presente, le chiavidi lettura proposte anche dai media per in-terpretare la cronaca internazionale, influen-zino e condizionino la stessa visione delpassato, tanto quanto i “discorsi” che trat-tano apertamente di storia. Un’ultima con-siderazione riguarda quella parte del campio-ne che ha espresso valutazioni più comples-se da classificare ed interpretare: orrore,condanna della guerra, biasimo per i respon-sabili degli atti (chiunque essi fossero),espressioni generiche e in alcuni casi velatedi retorica, che si sono rivelate poco utili aifini dell’analisi, ma che sono ritornate confrequenza in tutte le domande aperte delquestionario.

A proposito della seconda fotografia, adesempio, c’è un’analoga proporzione di in-tervistati allineati su questo genere di giu-dizi. L’immagine da commentare in questocaso è corredata dalla didascalia “Giugno1944 - Verbania” e ritrae una processione diuomini e donne (civili) in fila per due fra dueali di uomini armati (poco visibili ai lati del-l’inquadratura). Il capofila porta un cartellocon scritto a caratteri cubitali: “Sono questii liberatori d’Italia oppure sono i banditi?”.Quaranta intervistati hanno commentato lafoto producendo una descrizione dell’imma-gine simile a quella appena abbozzata. Altriventidue hanno invece riconosciuto conprecisione in quell’immagine i “martiri diFondotoce”, secondo il nome con cui i qua-

rantatré civili e partigiani dell’Ossola uccisinel ’44 sono entrati nella storia della Resi-stenza, e si sono dilungati nell’illustrare laloro tragica fine. A riguardo della notorietàdell’episodio, può essere utile citare una ri-sposta in particolare: “L’episodio è ben notoper chi abita da queste parti. Non so quantopossa servire, ma credo di averne abbastan-za dopo decenni in cui ho sentito parlare inmodo unilaterale sempre delle stesse cose”.

È una reazione di rifiuto di inattesa since-rità e veemenza che lascia trapelare un sen-so di insoddisfazione nei confronti della“storia ufficiale”, persino - e qui sta la par-ticolarità - di quella locale. È un segnale lam-pante delle crescenti reazioni di stanchezzacui va incontro il “mito resistenziale”. Inquesto campione non c’è desiderio di “pa-cificazione”, quanto piuttosto di relativizza-zione: esiste una seconda faccia della sto-ria di cui fanno parte tutte le colpe di parti-giani e “resistenti”. Il relativismo spingesino ad equiparare i due fronti. Si consideriad esempio questo commento alla fotogra-fia: “Partigiani trucidati = vittime, ma fasci-sti = vittime. Tutti vittime di propaganda,società, cultura, istruzione, luoghi comuni”.

Come per la fotografia precedente, anchein questo caso era stata scelta un’immagi-ne ambigua, in particolare a causa del car-tello con quel messaggio sibillino. L’obiet-tivo, peraltro apparentemente raggiunto, eraquello di suscitare un ventaglio non banaledi risposte. In un pre-test condotto su unpiccolo gruppo di studenti di scuola supe-riore, molti avevano interpretato la scenacome una libera manifestazione di protestacontro l’esercito americano. Sebbene un in-segnante dichiari: “Chi mai può pensare, os-servando i volti e i soldati armati in testa ein coda, ad una manifestazione ‘sponta-nea’?”, questa interpretazione ha trovato isuoi sostenitori anche in questo campione:secondo sette intervistati la processione dei

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Andrea Paracchini

66 l’impegno

condannati a morte è in realtà una manife-stazione che ha come bersaglio i partigianio l’esercito americano. Qui di seguito dueesempi: “Manifestazione contro gli america-ni” e “La foto mostra la manifestazione dialcuni italiani che non credevano agli alleati,ma pensavano semplicemente di aver cam-biato dominatore”.

Si tratta di un gruppo troppo esiguo perpoterne valutare la composizione rispettoad altre caratteristiche, ma la cui esistenzava comunque sottolineata. Un simile malin-teso si giustifica probabilmente chiamandoin causa la rappresentazione sociale degliStati Uniti, specialmente nel loro ruolo dipotenza militare internazionale, piuttostoche quella della Resistenza. Potrebbe esse-re infatti che l’ondata di ostilità che ha ac-compagnato tutte le recenti missioni milita-ri all’estero condotte dall’esercito america-no - ultima in ordine di tempo quella irache-na - abbia avvalorato (sebbene in una por-zione limitata del campione) l’idea di un eser-cito americano visto dalle popolazioni piùcome “invasore” che come “liberatore”,comunque e in ogni epoca. Si tratta di unamanifestazione del processo di “ancorag-gio” alle rappresentazioni sociali: una nuo-va informazione si lega alla rappresentazio-ne già esistente modificandone il senso16.

Per completare questo ragionamento puòessere utile anticipare l’analisi delle rispo-ste alla domanda 28, nella quale si richiamaun dibattito politico-giornalistico risalente

al 2003, dopo la presa di Bagdad da partedella coalizione guidata dagli Stati Uniti,quando gli attacchi suicidi, le autobomba ele aggressioni alle forze occidentali inizia-rono a moltiplicarsi: “Tempo fa si è discussomolto sull’attribuzione dell’‘etichetta’ ‘resi-stenza’ a gruppi armati iracheni che si op-ponevano alla presenza dell’esercito ame-ricano in Iraq. Ricorda quel dibattito? Tro-va che fosse corretto in quel caso parlare di‘resistenza’?”. Alcuni giornalisti (fra cui LilliGruber del Tg1) cominciarono allora a par-lare di “resistenza irachena”, suscitando allostesso tempo reazioni di condanna e di ap-provazione. Anche in questo caso abbiamouna rappresentazione, quella di “resisten-za”, a cui viene accostato un elemento nuo-vo ed estraneo. Il risultato di questo acco-stamento può essere differente a secondadegli individui. Al netto delle risposte am-bigue (diciannove) e delle affermazioni pro-vocatorie e non pertinenti (due), è possibiledividere le altre risposte fornite in tre cate-gorie: favorevoli e contrarie (più o meno mo-tivate) e problematiche. In quest’ultima ti-pologia, alla quale sono riconducibili ven-tisei risposte, rientrano quelle in cui si fa e-splicito riferimento a differenze (evidenti)storiche e contestuali fra l’attuale situazio-ne irachena17 e il biennio ’44-45 in Italia.Quasi in ugual numero sono gli intervistatiche si dichiarano favorevoli (venticinque),pochi meno i contrari (ventuno in tutto). Ladifficoltà di definire ed inquadrare la situa-

16 S. MOSCOVICI, op. cit.17 Dal momento che il tormentato dopoguerra iracheno occupa aperture di telegiornali e

prime pagine di giornali da ormai oltre quattro anni senza soluzione di continuità, gli inter-vistati hanno mostrato di faticare a ritornare con la mente alla situazione dell’Iraq al momentoin cui il dibattito sulla “resistenza irachena” ha avuto luogo, facendo invece riferimentoall’Iraq di oggi. La differenza, rispetto a quattro anni fa, è che oggi è molto più chiaro, almenoa quanto filtra attraverso i media occidentali, che le origini della guerra civile in atto sonopiù di natura etnica e religiosa che non politica. Le ragioni “antimperialiste” della lotta control’occupante americano parrebbero secondarie.

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Rappresentazioni sociali della Resistenza

a. XXVII, n. s., n. 2, dicembre 2007 67

zione irachena e di catalogare le quotidianeazioni violente che avvengono in Iraq sem-bra essere il motivo principale di questaspaccatura nel campione, come conferma-no gli stessi intervistati nel testo delle rispo-ste che per questa domanda erano partico-larmente eterogenee.

L’Iraq è comunque uno scenario presen-te e attivo nella mente degli intervistati, alpunto da riaffacciarsi anche in altre parti delquestionario, a volte sorprendentemente.

Come si giudica la violenza: piazzale Loreto

’44-45

Ritornando all’ordine delle domande pro-posto dal questionario, la domanda 24 ri-chiede nuovamente di commentare due fo-tografie. In questo caso però gli stimoli ven-gono mostrati simultaneamente, uno a fian-co dell’altro: a sinistra l’immagine di ungruppo di corpi ammassati in terra attornoad un cartello (la scritta è illeggibile) pian-tato nel terreno, in primo piano il volto diun militare con un’aquila ben in vista sulcappello; a destra una piazza gremita di per-sone davanti ai corpi di Mussolini, Petaccie un altro uomo appesi alla tettoia di un ben-zinaio. La didascalia recita rispettivamente:“Piazzale Loreto, agosto 1944” e “PiazzaleLoreto, aprile 1945”.

Le due immagini sono quasi altrettantoambigue di quelle della domanda 23, ma piùnote (in particolare la seconda), e soprattut-to la didascalia in questo caso fornisce unnotevole aiuto all’interpretazione. I risulta-ti lo confermano: otto insegnanti dichiara-no di non riuscire a riconoscere la prima fo-to, solamente uno la seconda18 . Si tratta pe-

rò di un riconoscimento qualitativamentedifferente. Se per la prima immagine infattisoltanto tredici insegnanti contestualizza-no la scena con ricchezza di dettagli e infor-mazioni, contro quarantasette che si limita-no a descriverla completando i “vuoti” condeduzioni elementari, per la seconda imma-gine le proporzioni sono più che invertite.In questo caso infatti sessantatré intervista-ti, su settantacinque che hanno risposto,descrivono i fatti di piazzale Loreto all’in-domani della Liberazione con una precisio-ne che induce chiaramente a pensare che inmolti casi l’intervistato abbia scritto a ruo-ta libera seguendo le sue conoscenze, a pre-scindere dall’immagine. Molti infatti parla-no di Mussolini appeso insieme ad altrigerarchi (Pavolini e Starace in particolare),anche se nella fotografia inserita nel que-stionario è presente soltanto un’altra figu-ra appesa a fianco di Mussolini e della Pe-tacci: Pavolini. Colpisce inoltre la spersona-lizzazione della “folla”, questo il termine concui più spesso ci si riferisce alle personespettatrici, per contrasto con la forte perso-nalizzazione dei corpi esposti. A questo pro-posito è singolare come ben trentanove ri-sposte contengano esplicitamente il nomedi Claretta Petacci, l’amante di Mussolini,uccisa insieme al dittatore a Dongo, sul lagodi Como, ed esposta al suo fianco a piazza-le Loreto. È ragionevole chiedersi se una si-mile “confidenza” con i protagonisti di unadelle due scene possa influenzare la valu-tazione dell’accostamento fra le immagini,pensato e voluto per risultare indiscrimina-tamente provocatorio e costringere tutti gliintervistati, a prescindere dalle loro convin-

18 Il tasso di non risposta a questa domanda è stato piuttosto consistente: sessantottoinsegnanti hanno espresso un commento sulla prima fotografia, settantacinque sulla secon-da. Va segnalato come, sebbene il tasso di non risposta risulti più alto per tutte le domandeaperte rispetto a quelle chiuse, solo la domanda 24 ne faccia registrare uno così alto.

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zioni e valutazioni sulla Resistenza, ad in-staurare un nesso fra le due immagini19. Nonsempre però questo intento è stato assecon-dato dagli intervistati, che il più delle voltesi sono invece limitati a commentare soltan-to la seconda fotografia.

L’analisi delle risposte ottenute porta co-munque ad individuare quattro atteggia-menti differenti: approvazione, giustifica-zione, equiparazione e condanna. L’atteg-giamento di approvazione è condiviso sol-tanto da quattro intervistati e si riscontraunicamente in riferimento alla valutazionedella seconda fotografia. La condanna ge-nerica dell’accaduto (riferita all’uno, all’altroo ad entrambi i casi) risulta invece espressada tredici insegnanti. Più interessanti le al-tre due sfumature di atteggiamento apertead una lettura combinata dei due episodi. Igiustificazionisti sono quindici, appena duein più di quanti condannano i fatti di piaz-zale Loreto. La loro posizione può essere dibiasimo, rammarico, vergogna, ma è accom-pagnata da una valutazione del contesto edelle premesse che li induce a leggere come“inevitabile” l’esposizione di Mussolini.Nettamente maggioritari risultano invecequanti tendono ad equiparare i due episo-di. Trentuno insegnanti vedono nei corpidei partigiani abbandonati al sole e nei ca-daveri appesi a testa in giù l’espressionedella stessa “barbarie”, della stessa disuma-nizzazione. L’orrore per la scena, in partico-lare per quella del ’45, è tale da non consen-tire di instaurare una gerarchia di legittima-zione fra i liberatori e l’oppressore: nel de-

litto sono tutti uguali e colpevoli. Non c’è,come invece prima si era suggerito, un nes-so tra l’atteggiamento verso l’episodio e la“confidenza” verso i protagonisti. Se infat-ti si incrocia la citazione del nome di Claret-ta Petacci con la valutazione data degli epi-sodi non si ottiene alcuna correlazione si-gnificativa. L’unica constatazione che sipuò avanzare è che la citazione di ClarettaPetacci risulta fortemente minoritaria solofra coloro che propendono per l’equipara-zione.

L’elevato tasso di citazione sembrerebbequindi mostrare semplicemente una cono-scenza particolare dell’entourage di Mus-solini. Potrebbe essere un riflesso combina-to di quella passione per i documentari bio-grafici che in molti hanno dichiarato di nu-trire (ma pure in questo caso la correlazionenon è così evidente a livello statistico) e delgrande peso mediatico dato al racconto del-la vita di Mussolini con attenzione, soprat-tutto negli ultimi anni, al lato più umano, fa-miliare, domestico del personaggio. Unasorta di cronaca rosa storica che evidente-mente lascia il segno.

Come già anticipato però, in questa do-manda si riaffacciano le suggestioni prove-nienti dall’Iraq. Anzitutto, nel commento alledue fotografie un’insegnante dichiara lapi-daria: “Quasi Iraq”. Un altro insegnante in-vece, di fronte all’immagine dell’agosto1944, dichiara: “Senza la didascalia potreb-be essere una foto di Bagdad o Kabul diquesti giorni”.

Del resto spunti a sostegno del nesso

19 Non si è trattato tuttavia di un accostamento tendenzioso e manipolatorio. Il fatto chei due episodi siano avvenuti a distanza di pochi mesi nello stesso luogo li rende di per séfortemente correlati (anche se raramente vengono citati assieme). Pur senza addentrarsi neldibattito storiografico legato alle vicende degli ultimi giorni di Mussolini, si può affermareche non fu casuale la scelta del partigiano “Valerio”, Walter Audisio, di deporre la salma diMussolini, prima che venisse appeso al traliccio, proprio nel luogo dove, il 10 agosto 1944,erano stati abbandonati i cadaveri dei partigiani.

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piazzale Loreto-Iraq sono venuti pure dallacronaca recente: il 30 dicembre 2006, infatti,alle 4 di notte ora italiana, è stata eseguitala sentenza di morte per impiccagione del-l’ex rais di Bagdad Saddam Hussein. Al mes-saggio contro la pena di morte inviato dalgoverno italiano ha replicato seccato il pri-mo ministro iracheno Nuri Al-Maliki, ricor-dando il trattamento che l’Italia aveva riser-vato al suo dittatore. È stata la scintilla cheha fatto scoppiare un dibattito che già sta-va prendendo forma dalle prime ore succes-sive all’esecuzione. La sera dell’8 gennaio2007 è così andata in onda una puntata di“Porta a Porta”, in seconda serata su Rai 1,che ha aperto con i risultati di un sondag-gio “esclusivo”: il grande wallscreen allespalle del conduttore riempito dalla fo-tografia di Mussolini a piazzale Loreto (lafoto è la stessa utilizzata nel questionario)e il titolo a caratteri cubitali su fondo rosso:“Mussolini andava salvato”. Il testo delladomanda, parte di un sondaggio telefoni-co, con le alternative di risposa proposte ele relative percentuali, è questo: “Parlandoora di avvenimenti del passato, come lei saBenito Mussolini è stato giustiziato dai par-tigiani nel 1945. Secondo lei è giusto che siastato giustiziato in quanto erano cose nor-mali che succedevano in guerra (8 per cen-to); era giusto giustiziarlo, ma dopo un re-golare processo (32 per cento); era giustoprocessarlo, senza giustiziarlo (45 per cen-to); era giusto lasciarlo libero (6 per cento);non sa/non risponde (9 per cento).

Come si poteva intuire anche dal breve di-battito fra gli ospiti in studio seguito al “di-svelamento” dei risultati di questa doman-da, peraltro già discutibile, lo scoop di Bru-no Vespa non ha avuto alcun seguito. È unacaratteristica di molte delle iniziative di re-

visione storica che partono dai media: na-scono in risposta all’immediata attualità, aquel presente in cui avviene il loro stessoconsumo, concependo “la storia dal puntodi vista della sua fine, di un presente asso-luto in cui il rapporto con il passato è pie-gato alle leggi dello spettacolo”20.

La questione ha tuttavia suscitato ancheriflessioni più profonde e il parallelo fral’Iraq e Mussolini non è sembrato peregri-no a ben più di un commentatore accredita-to. La questione è resa tuttavia ambigua perla sovrapposizione che si è creata anche neldiscorso pubblico fra l’esecuzione di Mus-solini, avvenuta per fucilazione sulle rivedel lago di Como, e l’esposizione e l’oltrag-gio del cadavere, avvenuta il giorno dopoin piazzale Loreto. Non a caso un’intervista-ta commenta didascalica la seconda fotoscrivendo: “Impiccagione Mussolini”. Siverifica cioè un intrecciarsi fra il tema della“condanna a morte” e quello dell’“esposi-zione dei corpi”, anche se non sempre evi-dente dalle risposte fornite. Il caso giorna-listico, e dunque il parallelo con l’impicca-gione di Saddam, attengono solo al primodei due temi. “Come può la sinistra criticareoggi la condanna di Saddam senza rinnega-re anche piazzale Loreto?”, è stata la doman-da che ha occupato per un paio di giorni l’a-rena mediatica. Ma il problema è che allorail confronto dovrebbe essere fra Bagdad eDongo, non Milano. Tuttavia piazzale Lo-reto è diventato il simbolo di quell’esecuzio-ne, al punto che, ancora una volta negli annisettanta, circolava uno slogan che diceva:“Piazzale Loreto: c’è ancora tanto posto”.

Ciò che di veramente vergognoso sembracolpire gli intervistati al punto da spingerealcuni di loro ad equiparare i responsabilidei due piazzale Loreto nella medesima bar-

20 PIER PAOLO POGGIO, Nazismo e revisionismo storico, Roma, Manifestolibri, 1997.

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barie è invece l’“esposizione dei corpi”. Ungesto che, lo ricorda pure un insegnante, fucondannato anche da partigiani come Fer-ruccio Parri, che lo definì “esibizione dimacelleria messicana”, e l’ex presidente dellaRepubblica Sandro Pertini, secondo cui apiazzale Loreto l’insurrezione si era disono-rata. L’“insurrezione” tutta, perché a piaz-zale Loreto non c’erano solo i partigiani ma,come riassume De Luna, ad assistere allospettacolo dei corpi appesi c’erano molteItalie: “Quella della ‘zona grigia’ (la morbo-sa attrazione per le calze della Petacci e perle sue vesti scomposte), l’Italia fascista (l’a-bitudine a esser folla e spettatori, a passaresenza soluzione di continuità dall’osanna alcrucifige), l’Italia contadina e rurale (gli or-taggi e il pane nero gettati su chi ha fattopatire agli altri la fame), l’Italia delle ‘mino-ranze eroiche’ del Partito d’Azione [che so-gnava una piazzale Loreto di ben altro ge-nere] [...], l’Italia dei comunisti”21. Di que-ste tante Italie parla Sergio Luzzatto22, dacui De Luna ha ricavato le considerazioniappena citate, che prova a spiegare il sen-so di quel gesto, almeno per quanto riguar-da Mussolini, distinguendo fra un “prima”,con il culto del corpo del duce, il “durante”,la legge del taglione tipica di ogni guerra ci-vile, e il “dopo”, con le peripezie legate allasalma. Ma questo non basta per spiegare ilperché dell’esposizione anche di ClarettaPetacci. È forse proprio il senso di ingiusti-zia per il coinvolgimento di un’innocenteche può rendere ragione dei riferimenti alla

donna, citata con nome e cognome, da par-te di molti degli intervistati.

È interessante notare, a proposito di quan-ti col senno di poi rimpiangono che non cisia stato un giusto processo al dittatore,una “Norimberga italiana” (sebbene a No-rimberga la pena di morte fosse prevista ecomminata), che l’unico intervistato a par-lare di giustizia e tribunali speciali lo fa con-tro ogni tentazione di relativismo: “L’ucci-sione di civili e l’uccisione di Mussolini nonpossono essere messe sullo stesso piano.Mussolini aveva responsabilità politiche.Oggi sarebbe stato processato all’Aia percrimini di guerra (il gas in Etiopia, le rappre-saglie...). Disapprovo il processo sommarioe la condanna a morte, ma ritengo che si iscri-vano nella logica perversa della guerra”.

Come si giudica la violenza: “La Resisten-

za ce l’ha insegnato...”

Agli insegnanti che hanno partecipato allaricerca è stato poi chiesto, con la domanda27, di commentare lo slogan: “La Resisten-za ce l’ha insegnato, uccidere un fascistanon è reato”. Si tratta di uno slogan piutto-sto estremo, diffuso e scandito soprattuttonel corso delle manifestazioni durante glianni settanta, anni di contestazione ed an-che di violenza23, e che poggiava sulla tesidella “Resistenza tradita”.

Già il movimento studentesco del Sessan-totto aveva aperto una rottura intergenera-zionale fra i più giovani e gli ex partigiani di-ventati parte delle istituzioni, accusati di

21 GIOVANNI DE LUNA, recensione di Il corpo del duce di Sergio Luzzatto, in “L’Indice”, n.10, 1998.

22 SERGIO LUZZATTO, Il corpo del duce. Un cadavere tra immaginazione, storia e memoria,Torino, Einaudi, 1998.

23 Lo slogan è tornato occasionalmente a farsi sentire anche recentemente. Uno degliepisodi più recenti risale all’inizio di settembre 2006, nel corso di un corteo organizzato dalcentro sociale romano Acrobax in memoria di Renato Biagetti, giovane di sinistra ucciso aFocene.

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aver accettato l’involuzione politica dell’Ita-lia, tradendo quindi gli ideali di giustizia eduguaglianza della Resistenza. Come ricordaPavone24, la tesi della “Resistenza tradita”era diventata il controcanto “estremista”delle celebrazioni unitarie. L’ardore rivolu-zionario, unito al clima degli anni dello stra-gismo di stato e della strategia della tensio-ne, aveva portato le frange più estreme adinterpretare la Resistenza come un’opera dacompletare contro il nemico fascista cheancora si trovava nella società italiana. Co-me segnala Caviglia25, è stato un errore dilettura probabilmente imputabile all’incapa-cità della società italiana di rielaborare sto-ricamente gli anni della guerra civile. È sta-to poi agli inizi degli anni ottanta che il “pre-sidente partigiano” Sandro Pertini ha rilan-ciato gli ideali della Resistenza come “fon-damento insopprimibile della democraziaitaliana, baluardo unitario contro il terro-rismo rosso e nero e contro lo stragismo”26.

Se si è scelto di riproporre lo slogan al-l’interno del questionario è stato natural-mente non tanto per sondare la fondatezzadello slogan inteso alla lettera (qualche in-segnante ha ritenuto opportuno ricordareche nel nostro paese l’omicidio è un reatosalvo che in caso di legittima difesa), ma perverificare come gli intervistati configurava-no il rapporto fra “violenza” e Resistenza. Èun tema questo che ritorna in molte parti delquestionario e che è stato introdotto in ri-sposta all’emergere di un diffuso pacifismo

della popolazione italiana (a sinistra, ma an-che in ambiente cattolico). È in questa logi-ca che è stato chiesto agli intervistati di ses-so maschile di indicare se avevano o menosvolto il servizio militare, per poter valutarese l’esperienza della disciplina militare e lapreparazione alla guerra avevano un effet-to, poi non riscontrato, su come si giudica-va una campagna di guerra come la Resi-stenza (e in particolare la sua inevitabilecomponente di violenza).

Ritornando allo slogan dunque, va segna-lato anzitutto che ben trentasette insegnantisu centotré che hanno risposto alla doman-da dichiarano di non averlo mai sentito pri-ma. La proporzione di quanti non lo cono-scono scende quando si sale di fascia di etàda sette su dieci fra i più giovani (trenta-qua-rantenni) all’uno su cinque degli over 50.C’è poi un quinto degli insegnanti che silimita a condannare lo slogan senza nemme-no discuterlo. È un atteggiamento via via piùdiffuso man mano che si sale di fascia di età.Un altro quinto degli intervistati è stato in-vece in grado di riconoscere e contestua-lizzare lo slogan all’interno delle contesta-zioni degli anni settanta27. Dei ventitré in-segnanti che l’hanno fatto, sedici hannoun’età che va dai 40 ai 50 anni (pari ad unterzo dei rispondenti alla domanda compre-si in quella fascia di età). Se si considera chei più anziani fra di loro a metà degli annisettanta erano ragazzi di vent’anni, mentrei più giovani hanno raggiunto la maggiore

24 CLAUDIO PAVONE, Le tre anime della Resistenza, in “il manifesto”, 25 aprile 1995.25 F. CAVIGLIA, Violenza storia e memoria. Lotta armata nella resistenza danese e italiana

e violenza politica negli anni di piombo, in LEONARDO CECCHINI - ALEXANDRA KRATSCHMER

(a cura di), Ancora un’occhiata... la virtù della ponderatezza, Aarhus, Aarhus Universitet,2005.

26 G. BERTACCHI - L. LAJOLO, art. cit., p. 63.27 Anche se c’è chi colloca lo slogan indietro nel tempo a partire dal ’68 e chi invece lo

situa alla fine degli anni settanta. Si tratta di differenze il più delle volte legate alla fascia dietà cui appartengono gli intervistati.

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età prima della fine della “fase calda” deglianni di piombo (primi anni ottanta), è ragio-nevole supporre che abbiano potuto assi-stere o partecipare in prima persona alla sta-gione della contestazione. Si considerino adesempio questa risposta: “Ricordi liceali: fi-ne anni settanta. Ovviamente non sono d’ac-cordo”, ma soprattutto la sorta di confes-sione che segue: “L’ho anche gridato e mene vergogno, anche se sono convinto chesia stato giusto combattere il fascismo e cheè giusto continuare a combatterlo”.

L’atteggiamento prevalente fra chi ricono-sce lo slogan è comunque quello di ribadir-ne la distanza già manifestata in passato.Sembrerebbe dunque confermato quelloche sostiene Caviglia e che cioè “questi slo-gan già allora sembravano orrendi e ingiu-stificabili”28.

Occorre in ultimo menzionare tre inse-gnanti che arrivano ad attualizzare lo sloganmettendolo in relazione con il presente. Datala brevità e l’esiguo numero vale la pena diriportarli integralmente: “Oggi ci sono slo-gan analoghi riferiti ad altri (vedi Islam)”;“Sentita soprattutto negli anni delle conte-stazioni. Oggi si uccide per molto meno”;“Sì. Ciò che penso dello slogan ‘Una-cen-to-mille Nassiriya’...”.

Si tratta di frasi piuttosto sibilline ma nonsi può non notare, almeno in due di queste,il riaffacciarsi dell’Iraq, dell’Islam e di unclima da “scontro di civiltà”. Sembra più dif-ficile invece tentare di realizzare l’intento peril quale era stata introdotta la domanda:troppo poche sono le risposte articolate chesi prestino ad analisi. Prevale una prevedi-bile condanna dell’omicidio, ma pochi en-trano nel merito della legittimità dell’uso

della violenza nel corso della Resistenza (co-me nell’esempio seguente): “[...] da quan-do è finita la Resistenza si torna alla legisla-zione normale dove uccidere ritorna ad es-sere un reato”.

“La Costituzione italiana è figlia della

Resistenza”?

Nel quesito 30 si fa riferimento ad una for-mula diventata ormai una sorta di luogo co-mune: “La Costituzione italiana è figlia del-la Resistenza”. La frase, molto utilizzata nelcorso della campagna referendaria control’approvazione della riforma costituzionale,attribuisce un ruolo di primo piano alla Resi-stenza e ai suoi componenti nella fondazio-ne della Repubblica, istituendo un legamediretto di derivazione tra la legge fondamen-tale dello Stato e il movimento resistenzia-le.

Al termine della seconda guerra mondia-le l’Italia era un paese da rifondare sia dalpunto di vista delle istituzioni politiche chedal punto di vista identitario: le diverse for-ze politiche scelsero i valori dell’antifasci-smo, unici valori condivisi, come base delnuovo regime repubblicano, trasformandola Resistenza da avvenimento storico a “mi-to fondatore della giovane repubblica che,in un paese appena uscito dall’esperienzadel ventennio fascista, trovò nei valori delmovimento di liberazione la fonte della pro-pria legittimità storica”29. Il richiamo, seb-bene non presente esplicitamente nel testodella Carta, è stato sin da subito affermato.Pombeni cita ad esempio un intervento delgiovane Aldo Moro in una sottocommissio-ne della Costituente, il 13 marzo del 1947, incui disse: “Non possiamo dimenticare quello

28 F. CAVIGLIA, op. cit., p. 193.29 ELENA AGA ROSSI, Fare i conti con il proprio passato: la resistenza in Italia tra mito

e realtà, in “Ricerche di storia politica”, n. 1, 2002, p. 10.

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che è stato, perché questa Costituzione og-gi emerge da quella Resistenza, da quellalotta, da quella negazione per le quali ci sia-mo trovati insieme sul fronte della resistenzae della guerra rivoluzionaria ed ora ci trovia-mo insieme per questo impegno di afferma-zione dei valori supremi della dignità uma-na e della vita sociale”30. Non si tratta di unaprerogativa del Pci, ma di una scelta comunea tutte le forze antifasciste, come ricorda an-che Pavone: i grandi partiti di massa, scri-ve, “costruendo una peculiare memoria po-litica della Resistenza e consegnandola nel-la Carta costituzionale, hanno certamentecontribuito a indicare una tavola di valoricapace di tenere insieme la comunità nazio-nale”31. Tuttavia è stata una scelta che haavuto il suo prezzo, “un prezzo tanto più alto,quanto più la vecchia politica perdeva con-senso e si mostrava incapace di rinnovarsi.E il prezzo è stato l’incapacità di fare i contifino in fondo con l’esperienza e l’eredità delfascismo”32.

Con la dissoluzione dell’assetto geopoli-tico bipolare si è tuttavia innescato un pro-cesso di revisione complessivo della storiarepubblicana33 in cui il ruolo dell’antifasci-

smo ha visto la sua crisi entrare nel momen-to più acuto mentre al contempo, con le ele-zioni del 1994, si interrompeva la conventio

ad excludendum nei confronti della destraneofascista34. Si è così assistito al “veniremeno di una pregiudiziale assoluta e [al]l’in-serimento in una memoria ufficiale di elemen-ti di incertezza valutativa e interpretativa inchiave di aperture ‘revisionistiche’...”35. La“battaglia per la memoria” si è dunque re-centemente tradotta in una “battaglia per laCostituzione”, il più delle volte intesa peròcome “semplice espediente per affermaredeterminati progetti politici”36.

In passato non erano del resto mancateovviamente interpretazioni differenti delleradici resistenziali della Repubblica, in par-ticolare incentrate sull’asse oppositivo fraantifascismo e anticomunismo37. Riportan-do la posizione di Ernesto Galli della Log-gia, Guazzaloca così riassume: “L’idea chela Resistenza abbia fissato i propri valorinella Carta costituzionale e che esista unaequivalenza sostanziale tra antifascismo edemocrazia risulterebbe infondata ed arbi-traria proprio in virtù della presenza del Par-tito comunista nella Resistenza e nella tran-

30 PAOLO POMBENI, Fascismo e nazismo nella storia politica nazionale. Una svolta storio-grafica?, in “Contemporanea”, n. 3, 2004, p. 493.

31 C. PAVONE, Saggio storico sulla moralità nella Resistenza, Torino, Bollati Boringhieri,1991, p. 113.

32 Ibidem.33 FEDERICO TROCINI, La Resistenza banalizzata. Il sessantesimo anniversario del 25 aprile

attraverso la lente della stampa, in “Quaderno di storia contemporanea”, n. 37, 2005, pp.22-40.

34 ENZO FORCELLA, Note su una ricerca, in GUIDO CRAINZ - ALBERTO FARASSINO - ENZO FOR-CELLA - NICOLA GALLERANO, La Resistenza italiana nei programmi della Rai, Roma, Rai-Eri, 1996, pp. 13-36.

35 E. COLLOTTI (a cura di), Fascismo e antifascismo: rimozioni, revisioni, negazioni, Roma-Bari, Laterza, 2000, p. XIII.

36 F. TROCINI, art. cit., p. 23.37 GIULIA GUAZZALOCA, Il problema storico-politico della Resistenza nella storiografia

italiana degli ultimi dieci anni, in “Ricerche di storia politica”, n. 1, 2002, pp. 93-112.

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sizione verso la Repubblica democratica”38.Per quanto riguarda il campione di que-

sta ricerca, metà degli intervistati si è dichia-rato in accordo con la frase, seppure con mi-nime sfumature, mentre diciassette si sonodetti contrari, individuando nella Carta l’esi-to di altri eventi. In ventuno invece hannosposato un’interpretazione più problemati-ca della frase. Da segnalare anzitutto duecommenti che mettono in guardia dai rischidelle semplificazioni indotte dalla retorica:“È vero. Ma bisogna evitare la retorica cheè sempre controproducente. Crea, soprat-tutto nei giovani, una reazione di rigetto”;“La frase è diventata retorica e quindi un po’fastidiosa, ma in gran parte è veritiera”.

L’attenzione viene poi spostata sul ruolodella Costituente o delle radici culturali delnostro paese. La tesi del travaso ideale(quando non delle stesse personalità) dallaResistenza alle istituzioni del paese è con-traddetta da quanti condividono un’inter-pretazione che rimanda ad esempio a quelladi Neri Serneri, secondo cui il regime demo-cratico “fu invece l’esito ultimo di un pro-cesso nient’affatto lineare, durante il qualei valori ed i progetti forgiati nel periodo re-sistenziale furono confrontati, ricomposti erielaborati a fornire il denominatore comu-ne dell’elaborazione costituzionale”39.

Bisogna del resto considerare che la va-lutazione della frase dipende anche da cosasi intende per Resistenza e da come si inter-preta il lavoro della Costituente. Analizzan-do più in dettaglio la distribuzione fra leopzioni in funzione di altre caratteristichedegli intervistati si possono avanzare alcu-ne considerazioni, ad esempio in merito allaripartizione fra le diverse opzioni in funzio-ne dell’autoposizionamento politico. Si no-

ta in particolare che più della metà degli in-segnanti che si posizionano a sinistra sonofavorevoli all’affermazione. Tra gli inse-gnanti di centro e di destra il numero dei fa-vorevoli è invece inferiore alla metà. Altri duedati saltano all’occhio: il primo è che tra gliinsegnanti di centro sono più numerose levalutazioni problematiche dell’affermazio-ne; il secondo è che tre dei quattro intervi-stati che hanno risposto polemicamente alladomanda sono di destra. Dal punto di vistadelle fasce di età si nota solo una presenzalimitata di contrari fra i più giovani e di pro-blematici fra i più anziani. Considerando in-vece l’area disciplinare di appartenenza, gliinsegnanti di area tecnica sono in propor-zione meno problematici e più favorevoli ri-spetto agli insegnanti di altre aree. Si trattacomunque di differenze non particolarmen-te consistenti.

La rappresentazione che cambia: tem-po, media, politica e revisionismo

L’ultima domanda aperta, la 31, è forse lapiù importante e complessa, poiché chiedeuna valutazione del cambiamento dell’ideadi Resistenza nel corso degli ultimi anni:“Secondo lei, negli ultimi anni, è cambiatal’idea che la gente ha di che cosa è stata laResistenza? Se sì, quale o quali pensa sia-no state le cause principali di questo muta-mento?”.

Il quesito è stato formulato in termini volu-tamente “popolari” (un insegnante ha stig-matizzato l’uso dell’espressione “gente”, ri-tenuto troppo fumoso) perché non dovevasembrare la traccia di un tema, non dovevaallontanare, ma essere facilmente accessi-bile a tutti gli intervistati. Il risultato è stato

38 Idem, p. 103.39 SIMONE NERI SERNERI, La Resistenza e la storia d’Italia, in ID (a cura di), La Resistenza

e le sue storie, in “Contemporanea”, n. 1, p. 150.

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un numero di risposte sufficientemente alto(ottantotto), anche se a volte decisamentetelegrafiche e poco motivate. L’analisi dellerisposte è stata condotta individuandoquattro fattori ricorrenti, indicati come cau-sa del cambiamento: i media, il passare deltempo, il revisionismo e la politica. Una ri-sposta in particolare esemplifica pratica-mente tutti questi fattori: “Direi che [l’ideadella Resistenza] si è rovesciata e questo èdovuto in gran parte alla scomparsa dei pro-tagonisti, all’incapacità delle forze resisten-ziali di tutelare il loro patrimonio morale esimbolico, ma anche allo straordinario im-patto dei mezzi di comunicazione di massa,che hanno svuotato dall’interno questo pa-trimonio, nonché a una strategia comunica-tiva e a una politica (culturale?) d’improntarevisionista (uso il termine in senso negati-vo)”.

Per ogni fattore è poi stato valutato se gliintervistati vi attribuivano un ruolo positi-vo, negativo o neutro nei confronti dell’ideadi Resistenza. Per rendere completa l’anali-si si è poi cercato di ricavare l’atteggiamen-to di ogni intervistato verso la Resistenzasulla base della sua risposta, dividendo cosìgli intervistati in favorevoli, contrari e neu-tri40. Incrociando atteggiamenti e valutazio-ne dei fattori è così possibile dare una valu-tazione più approfondita delle risposte alladomanda41. Il fattore più citato è risultato il

trascorrere del tempo (con il distanziarsidegli eventi e il venire a mancare dei testimo-ni che comporta), indicato da trenta inse-gnanti. Sono in maggioranza individui conun atteggiamento neutro nei confronti del-la Resistenza, che si distribuiscono equa-mente tra una valutazione positiva e unanegativa dell’impatto del fattore. Nel com-plesso però al trascorrere del tempo è attri-buito un ruolo prevalentemente negativo.

Stessa valutazione prevalentemente ne-gativa per il fattore politica, chiamato in cau-sa ventidue volte esclusivamente da inse-gnanti con un atteggiamento neutro o posi-tivo nei confronti della Resistenza. Mentrei primi, solo cinque casi, risultano divisi (tregiudizi positivi, due negativi), i secondi so-no decisamente negativi (quindici controuno). Dal punto di vista di questi ultimi lastoria sarebbe vittima dell’uso strumentaleche il ceto politico ne fa all’interno della bat-taglia quotidiana.

Secondo Nicola Gallerano “la storia nonappare qui un campo di costruzione di grandinarrazioni coerenti e ideologiche o almenodi costruzione di senso. È piuttosto un ba-cino di pesca di esempi più o meno casualiutili alla polemica dell’ultima ora. L’obietti-vo perseguito non è più un popolo da edu-care ma un’audience da raggiungere, permezzo della storia ma non solo, con lo spet-tacolo della politica”42.

40 È una procedura inevitabile, dal momento che l’impatto di un fattore è valutato in fun-zione dell’idea di partenza che uno ha del fenomeno “Resistenza”. Attribuire un impattopositivo al revisionismo, ad esempio, ha un significato molto diverso se chi lo fa ha un’ideapositiva piuttosto che negativa della Resistenza.

41 Trattandosi di una classificazione ricavata a posteriori sulla base delle risposte, è ne-cessario precisare che sia l’atteggiamento che la valutazione “neutro” possono riferirsi siaad una effettiva professione di neutralità dell’intervistato sia ad una sua, voluta o meno,cautela, vaghezza, omertà, reticenza. Proprio per questo motivo si è scelto di non interpretarenell’analisi l’insieme di quanti manifestano un “atteggiamento neutro” e valutano come“neutro” il ruolo di un fattore.

42 N. GALLERANO, op. cit., p. 32.

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Diversa invece l’opinione del sociologoAlessandro Cavalli43 che vede, col processodi nascita della cosiddetta Seconda Repub-blica, il mito fondativo messo in discussio-ne dalla presenza alla guida del paese diforze politiche che trascendono la storica di-scriminante fascismo-antifascismo. Del re-sto sembra avere ragione Detti44 quandosottolinea che il rapporto fra politica e sto-ria, in particolare quella della Resistenza, nonè mutato particolarmente con l’avvicendar-si delle diverse maggioranze.

Si consideri ad esempio che una delle pri-me aperture verso il riconoscimento delle ra-gioni dei “ragazzi di Salò” fu proprio deldiessino Luciano Violante, all’atto dell’as-sunzione della presidenza della Camera nel1996. Quando poi il deputato di Alleanza na-zionale Menia ha presentato una propostadi legge per concedere un riconoscimentoai congiunti “di coloro che dall’8 settembre1943 al 10 febbraio 1947 in Istria, in Dalma-zia o nelle province dell’attuale confineorientale sono stati soppressi o infoibati”,precisando di assimilare agli infoibati “gliscomparsi e quanti, nello stesso periodo enelle stesse zone sono stati soppressi me-diante annegamento, fucilazione, massacro,attentato in qualsiasi modo perpetrati”, frai relatori della legge si trovava anche lo sto-rico e deputato diessino Domenico Masel-li, il quale evidentemente non temeva che lalegge avrebbe portato ad assimilare alle vit-time delle foibe i caduti delle forze fascisteche combatterono contro la Resistenza ita-liana, croata e slovena45.

È del resto fuor di dubbio che i colpi piùduri siano stati assestati da destra. L’ex pre-sidente del Senato Marcello Pera, dopo averinvitato Giampaolo Pansa a presentare “Ilsangue dei vinti” in Senato, ha ad esempioauspicato il superamento della “pregiudizia-le antifascista” e delle pretese origini “dallaResistenza”46.

Nella maggior parte dei casi si è tuttaviatrattato di iniziative sporadiche e individuali,il cui esito si è rivelato per lo più inconclu-dente: fiammeggianti polemiche sui mediadurate qualche giorno, giusto il tempo di im-bastirci sopra un paio di talk-show. Secon-do Detti infatti il mondo politico sembra“preoccupato anzitutto di prendere le di-stanze dal passato per accreditarsi sul ter-reno della novità”47.

Più nettamente percepito sembra l’impat-to di “media” e “revisionismo”, citati rispet-tivamente da ventitré e venti insegnanti. Lavalutazione del loro ruolo è tuttavia più di-battuta e, limitatamente al ristretto numerodi casi preso in considerazione, maggior-mente correlata. Quando l’atteggiamentonei confronti della Resistenza risulta neu-tro, il ruolo dei media (quando viene citato)viene visto indifferentemente come positi-vo o negativo, mentre netta è la distinzionequando l’atteggiamento è favorevole o con-trario. Il ruolo dei media viene in questi casiunanimemente valutato rispettivamentecome negativo e positivo. L’impressione èdunque quella che i media siano (per chi liconsidera un agente rilevante) fortementeconnotati ideologicamente in senso “revi-

43 A. CAVALLI, art. cit., pp. 51-57.44 TOMMASO DETTI, La storia in vetrina nell’Italia di oggi, in MAURIZIO VAUDAGNA (a cura

di), Gli usi pubblici della storia, in “Contemporanea”, n. 2, 2002, pp. 332-342.45 Si veda ALBERTO DE BERNARDI, Riscrivere la storia?, in “Gli argomenti umani”, n. 7, 2000.46 Si veda ANGELO D’ORSI, Basta con la manipolazione dei fatti storici, in “Micromega”,

n. 1, 2004, pp. 69-80.47 T. DETTI, art. cit., p. 336.

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sionista”. Non a caso la valutazione dell’in-flusso del revisionismo segue la stessa di-stribuzione: ad atteggiamento favorevolecorrisponde (quando citato) sempre un ruo-lo negativo del revisionismo, ad atteggia-mento contrario sempre un ruolo positivo.In quest’ultimo caso, anche coloro che mo-strano un atteggiamento neutro sembranopiù schierati, in particolare valutandone po-sitivamente l’impatto.

Vista la limitata base di riferimento dellanostra analisi non è possibile tentare gene-ralizzazioni, tuttavia sembra di riconoscere,nella ventina di insegnanti che hanno rispo-sto alla domanda e che condividono un at-teggiamento favorevole nei confronti dellaResistenza, una concezione da “fortino as-sediato”. L’idea della Resistenza sarebbecioè presa d’assalto dall’attacco congiuntodi politica e storiografia revisionista, in uncontesto in cui il paradigma revisionistasembra godere di grande popolarità media-tica. A tutto questo si aggiunge il venire me-no del racconto dei testimoni, non a casoindicato come uno dei principali fattori ne-gativi.

Diametralmente opposta risulta invece lavisione condivisa da chi mostra un atteg-giamento contrario alla Resistenza. Il tra-scorrere del tempo in questo caso viene vi-sto come una positiva presa di distanza cheaiuta a guardare con maggiore obiettività edistacco la storia. Revisionismo e media aiu-tano in questo senso a fare chiarezza, men-tre sul piano politico la “pregiudiziale anti-fascista” viene rimessa in discussione.

Da sottolineare infine come, soprattuttosul fronte dei favorevoli alla Resistenza, laminaccia di cui sopra venga proiettata so-prattutto sulle nuove generazioni, sugli stu-denti.

Gli insegnanti, da parte loro, sembranoconsiderarsi “impermeabili” alle tesi revisio-niste e al “bombardamento mediatico”.

Valutazioni della Resistenza: un im-maginario sfaccettato

Veniamo ora a uno degli item più comples-so del questionario. In questo caso all’in-tervistato sono state sottoposte quindicifrasi, molte delle quali volutamente provoca-torie, estreme e paradossali, altre più proble-matiche e sfaccettate, altre ancora costrui-te attorno a veri e propri “luoghi comuni”,tutte accomunate però dal fatto di insisteresu alcuni nuclei tematici controversi. All’in-tervistato era chiesto di scegliere sino a trefrasi con cui si riteneva in accordo e sino atre frasi con cui invece era in disaccordo,fornendo per ciascuna di queste scelte unabreve motivazione.

Si consideri anzitutto l’ordine di preferen-za gerarchico, calcolato cioè come sommadel numero di scelte ricevute da una frase,indipendentemente dal fatto che ci fosse ac-cordo o disaccordo. Risulta in particolareevidente la forte attrazione esercitata dallafrase 7 (“La Resistenza armata era solo unadelle componenti della Resistenza. Personecomuni, donne e soldati hanno fornito uncontributo altrettanto importante”), sceltada oltre la metà del campione e, in misuraminore, dalla frase 6 (“Non ha senso scal-darsi oggi per attribuire le colpe di qualco-sa che è successo più di cinquant’anni fa.Quel che è stato è stato”), indicata da più diun terzo degli intervistati.

A proposito delle frasi che hanno attrattomaggiormente gli intervistati, il primo datointeressante è che la frase numero 7 è risul-tata in accordo per tutti i sessantatré inter-vistati che l’hanno scelta mentre, al contra-rio, la frase numero 6 riceve disaccordo qua-si unanime. Le due frasi più popolari si col-locano quindi ai due estremi opposti dell’or-dinamento accordo/disaccordo. Per quan-to riguarda la frase numero 6, bisogna evi-denziare come questa si discosti molto da

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tutte le altre, dal momento che non presentauna valutazione degli eventi, ma proclamainvece il rifiuto di dare una valutazione, esal-ta il distacco da un passato sentito comeconcluso, archiviato, da dimenticare e su-perare. Se in qualcuno fra gli intervistati èpresente il timore che, soprattutto per i gio-vani, le vicende di cinquant’anni fa sianoormai entrate in un limbo assieme alla presadi Porta Pia o alla prima guerra mondiale, in-dividualmente permangono convinti che“historia magistra vitae”: dal passato sipuò solo imparare.

Se il campione si dimostra piuttosto aper-to verso il concetto di guerra civile e versole “ragioni dei vinti”, è pur vero che nonpassano invece gli appelli che Enzo Forcel-la sente risuonare nel paese: “I morti sonomorti e dai vivi, come ben dice il presidentedella Repubblica [C. A. Ciampi], ‘non giun-ge voce di divisioni, rancori, separazione maunione, fratellanza, amore per la patria’. Pen-siamo alla patria, che ne ha tanto bisogno,e non a tenere in piedi artificiosamente levecchie contrapposizioni e i vecchi ranco-ri”48. È del resto quello che mostrano gli in-segnanti un atteggiamento coerente conl’assunto che rappresentino un campione dicosiddetti “cittadini ben informati”, assolu-tamente impermeabili quindi ad ogni appel-lo che possa suonare come qualunquista49.Una ricerca effettuata su un campione dif-ferente, ma sempre di alto profilo, aveva delresto dato risultati analoghi. Alla domanda“...‘Cosa significa secondo lei oggi la Resi-stenza?’ dei tre atteggiamenti di fondo emer-si a prevalere era stato quello che individua-va nella Resistenza una ‘lezione per il pre-

sente’, contro i due minoritari (un quinto delcampione per entrambe) che la catalogava-no come un’‘esperienza ambivalente’ e co-me un’‘esperienza del passato’, dalla qualesi è avuto quel che si è avuto, nel bene (de-mocrazia) come nel male (guerra civile, di-scriminazioni fra italiani), rappresenta in-somma un fatto storico imbalsamato e, a untempo, travolto dagli sconvolgimenti poli-tici interni e internazionali del post ’89”50.

La frase 7 invece avanza un giudizio piut-tosto importante sulla Resistenza. Quellaproposta è infatti una definizione della Re-sistenza che va oltre quella classica di lottapartigiana ed arriva ad includere i soggettidella società civile, persone comuni, donneed addirittura soldati, nel processo che haportato alla Liberazione. È una presa di po-sizione carica di conseguenze, con la qualesi cerca di dare conto di quella realtà mag-matica che, a seconda delle epoche e dellecorrenti storiografiche, ha assunto il nomedi “attesismo”, “resistenza civile”, “resi-stenza non armata” o “zona grigia”. Giovan-ni De Luna individua, a partire dagli anniottanta, un progressivo slittamento nel rac-conto storico dell’antifascismo dalla dimen-sione etico-politica della lotta armata a quel-la più soggettiva e quotidiana: “Così dal pro-tagonismo esplicito dei grandi soggetti col-lettivi (gli operai, i partigiani) il fuoco del-l’attenzione si è spostato dapprima sullerealtà militarmente ‘marginali’ (i prigionieri,i deportati, gli ebrei, le donne) fino a scopri-re, da ultimo, categorie analitiche e interpre-tative come la ‘zona grigia’ o la ‘resistenzacivile’ in cui sembra scomparsa ogni tracciadella dimensione antagonistica e conflittua-

48 E. FORCELLA, op. cit., pp. 30-31.49 È in effetti l’accusa di qualunquismo quella che ricorre con più frequenza fra le moti-

vazioni al rifiuto della frase.50 GASPARE NEVOLA, Quale nazione civico-democratica?, in “Il Mulino”, n. 3, 1996, p. 529.

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le della prima storiografia resistenziale”51.Il termine “resistenza” dovrebbe quindi

essere usato secondo Forcella quasi comesineddoche: “La parte storicamente più si-gnificativa per definire un tutto assai piùcomplesso, frastagliato, sfuggente”52. Untutto che però, a seconda dei nomi che as-sume, si carica di diversi significati. La “zonagrigia” definita da De Felice riprendendoun’espressione di Primo Levi, mirava a pre-sentare la Resistenza come fenomeno mar-ginale contrapposto all’atteggiamento pre-valente fra gli italiani il cui imperativo eraanzitutto la sopravvivenza a tutti i costi e ilrifiuto di tornare a combattere. Un ventagliodi posizioni comprendenti il doppio gioco eil collaborazionismo passivo oltre che l’at-tendismo, tutte caratterizzate da connotazio-ne individualista e passiva. La recente sto-riografia ha puntato invece a rilanciare ilsignificato profondamente politico di tuttauna serie di “eterogenee, sovente incerte etalora financo ambigue forme di resistenza”,da leggere come “la ripresa di dinamiche dimobilitazione sociale che solo gradualmen-te approdarono - in modo necessariamentesofferto e pure contraddittorio - alla rico-struzione di una scena pubblica, a formenuove di politicizzazione consapevole e ma-nifesta”53. L’individuazione dei molteplicipercorsi individuali e collettivi e le sfumatu-re dei comportamenti della grande maggio-ranza della “gente comune” ha permesso diampliare l’indagine alle forme di resistenzanon armata, includendo nell’analisi soggetti

sino ad allora marginalizzati come le donne54.Se il concetto di “zona grigia” non è lu-

singhiero nei confronti del popolo italiano,nemmeno un’eccessiva enfasi sull’immagi-ne di “un popolo intero in lotta” è esenteda controindicazioni. Questa immagine, se-condo Nicola Gallerano, “ha occultato il pro-cesso faticoso di distacco dal fascismo, chesolo una minoranza è riuscita del resto acompiere, e ha steso un pietoso velo di si-lenzio sulla vasta schiera di coloro che que-sto esame non avevano neppure avviato.Ha funzionato in sostanza come un’assolu-zione generalizzata, rincalzando lo stereoti-po dell’‘italiano brava gente’...”55.

Di fronte ad una valutazione complessi-vamente positiva della Resistenza, accom-pagnata però da un rifiuto per la sua com-ponente violenta, l’unanime riconoscimen-to della componente civile quale indispen-sabile apporto potrebbe dunque risultarenient’altro che una auto-assoluzione postu-ma. L’unico modo per non marginalizzare lapopolazione italiana, pur distanziandosi daipartigiani, sembra dunque quello di ricono-scergli un ruolo essenziale. La popolazionein questo modo avrebbe fatto la sua parte,pur senza macchiarsi di alcun crimine vio-lento. Non a caso risulta molto popolare an-che la frase numero 8 (“La Resistenza nelcomplesso è stata un fenomeno positivo,sebbene alcuni dei suoi membri si siano resicolpevoli di gravi crimini”), che giudica po-sitivamente la Resistenza ma ne riconoscecolpe precise a carico di ben precisi sogget-

51 G. DE LUNA, La passione e la ragione. Fonti e metodi dello storico contemporaneo,Firenze, La nuova Italia, 2001, p. 239.

52 E. FORCELLA, op. cit., p. 23.53 S. NERI SERNERI, art. cit., p. 147.54 G. GUAZZALOCA, art. cit.55 N. GALLERANO, Le verità della storia. Scritti sull’uso pubblico del passato, Roma,

Manifestolibri, 1999, p. 113.

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ti. È una frase nei confronti della quale nes-suno ha ritenuto di dover esprimere disac-cordo, ma che è risultata in accordo solocon intervistati che avevano accettato an-che la frase 7.

Non si può però allo stesso tempo esclu-dere, almeno per alcuni degli intervistati,l’influsso esercitato da una storia “vicina”,fatta di racconti familiari e di episodi raccon-tati dalla viva voce dei testimoni. In unaguerra che ha segnato tutti, tutti si sono sen-titi parte in causa e hanno tramandato la lorostoria privata fatta di piccole e grandi “resi-stenze”. Lo dimostrerebbero frasi di moti-vazione come queste: “Anche i miei genito-ri che erano persone comuni hanno contri-buito a nascondere persone ricercate”; “[...]È la realtà di nonni e nonne, genitori etc...”;“I nostri paesi e le nostre famiglie sono pie-ni di episodi significativi in questo senso”;“I miei nonni [...] hanno ospitato numeroseformazioni partigiane”.

Ritornando alla frase 8, un’osservazioneelementare che si potrebbe avanzare è cheall’interno del campione nessuno condivideun’immagine idilliaca ed idealizzata dellaResistenza. Le sfumature di giudizio tutta-via sono molte e vanno dall’ammissionedell’esistenza di “bande partigiane bandite-sche”, all’evocazione di “testimonianze do-lorose” di chi ha vissuto i lati negativi dellaResistenza, sino alle più esplicite fughe inavanti verso la parificazione come “ogniguerra ha i suoi eroi e antieroi, su entrambii fronti”. A prevalere in molti sembra essereperò una maggiore consapevolezza storicaed un’obiettività di analisi che, pur non in-taccando il giudizio complessivo, lascia spa-zio ad una valutazione più libera e aperta disingoli episodi. Non a caso, a proposito dipiazzale Loreto è emersa nel campione unanetta presa di distanza dalla resa dei conticon l’ex dittatore. Distanza che, in più dellametà di quanti hanno dichiarato il loro ac-

cordo con la frase 8, non si limita alla sem-plice condanna dell’episodio, ma arriva sinoad equiparare l’eccidio dei partigiani conl’esposizione del corpo di Mussolini, a ripro-va che è proprio l’aspetto “armato” e “vio-lento” quello che crea maggiori turbamentiagli intervistati.

Sei frasi si dimostrano invece più contro-verse, avendo ricevuto quasi lo stesso nu-mero di manifestazioni di accordo e disac-cordo. La 4, in particolare, riguarda ancorala definizione complessiva del fenomenoresistenziale (“Tra il ’43 e il ’45 in Italia si ècombattuta una guerra civile e nelle guerrecivili i torti e le colpe sono equamente di-stribuiti tra le parti combattenti”). Qui si met-te in gioco la faccia più dura della Resisten-za, quella di guerra civile, e si invoca unasorta di relativismo: colpe e ragioni sonoequamente distribuiti fra i partigiani e i loroavversari.

È una divisione che rimanda alla frase 8nei confronti della quale è in contraddizio-ne. In effetti, dei dieci insegnanti che han-no scelto entrambe le frasi, solo quattro sisono dichiarati in accordo con entrambe. In-crociando le valutazioni di questa frase conla valutazione dell’episodio di piazzale Lo-reto, si mette in evidenza come coloro chesi dichiarano in accordo propendano quasiunanimemente per l’equiparazione fra gliepisodi delle fotografie, ritenuti evidente-mente una conferma della tesi espressa dallafrase 4. Chi si dichiara in disaccordo è inve-ce quasi esclusivamente schierato sulla po-sizione giustificazionista.

La frase insiste in realtà su due concettichiave: quello di “guerra civile” e quello di“equiparazione delle colpe”. Il primo, l’at-tribuzione del carattere di guerra civile allalotta tra resistenti e saloini, ha stentato afarsi strada nel dibattito pubblico e politi-co. Secondo Rosario Romeo infatti “la Re-sistenza, valorizzata nei termini di un sia pur

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ipotetico ‘secondo Risorgimento’, consen-tiva [...] di stabilire solidi collegamenti conla più prestigiosa tradizione nazionale”56.Nel campione preso in esame, l’interpreta-zione in chiave di “guerra civile” dei ventimesi della Resistenza sembra però esserestata accettata, se si considera che nellemotivazioni dei rifiuti non si fa quasi mai ri-ferimento a questo aspetto. In particolare unsolo intervistato dichiara esplicitamente diconsiderare la Rsi “un organismo politicosatellite della Germania” e quindi “stranie-ro”. Del resto, dopo l’uscita del saggio diPavone, sono ormai in pochi, anche in am-bito pubblico, a mettere in discussione quel-lo che ormai è considerato un assunto. Mae-stri57 è arrivato addirittura ad estendere pro-vocatoriamente la categoria di “guerra civi-le” anche all’ascesa al potere del fascismonel periodo 1919-1924. Ma è pure un inter-vistato a proporre un’estensione dell’ambi-to temporale di riferimento dichiarando tral’altro: “[...] la Resistenza non è comprensi-bile, né giudicabile, senza partire dal 1921”.

Ben più problematico risulta invece il giu-dizio sui due schieramenti. Secondo Detti eFlores, dire, come fa l’alfiere del “revisioni-smo” italiano Sergio Romano, che “...‘cosìè fatta la storia: un impasto di ideali e di fan-go in cui non è mai facile calcolare con esat-tezza le dosi degli uni e la dose dell’altro’ eparlare di un ventesimo secolo ‘fatto di uo-mini e Stati che non sono mai né completa-mente buoni né completamente cattivi’ nonequivale a guardare alla realtà con occhiodistaccato e obiettivo, ma a fare professio-

ne di relativismo”58. Un relativismo che miraanzitutto a tirare fuori tutto il buono possi-bile del fascismo e al contrario screditare ilpiù possibile la Resistenza nel complesso,perché interpreta la “guerra civile” nell’ac-cezione di “guerra fratricida”, intesa comeconflitto sanguinoso in cui i combattentidelle due parti sono allo stesso tempo di-stinti dagli ideali ugualmente nobili e degnidunque di ricordo, ma assimilati in nome delcomune ricorso alla violenza59.

A questa logica risponderebbe l’accosta-mento enfatico ed esclusivo fra le foibe e laguerra di liberazione, quasi che le foibe nonfossero un evento specifico e complesso,ma semplicemente “l’altra faccia” della Re-sistenza. Accostamento puntualmente mes-so in campo da un intervistato che così di-chiara: “Sia da parte dei fascisti che da par-te dei partigiani ci sono stati stermini di mas-sa. I nazisti con i campi di concentramento,mentre coloro che aderirono alla Resisten-za con le foibe”.

Secondo Bertacchi e Lajolo, autori dallaaccentuata visibilità mediatica come Giam-paolo Pansa hanno ripreso temi già al cen-tro della polemica alla fine degli anni ottan-ta, come gli omicidi di fascisti dopo il 25aprile in Italia e gli eccidi delle foibe, pro-muovendoli a “fenomeno connotante l’in-tera Resistenza ed esemplificativo del si-lenzio colpevole degli storici di sinistra”60.L’enfasi sulle colpe e i crimini della Resisten-za dovrebbe così indurre a mettere sullostesso piano vinti e vincitori all’insegna del-la pacificazione nazionale e dell’amor patrio.

56 Citato in E. COLLOTTI (a cura di), op. cit., p. 24.57 DELMO MAESTRI, recensione di Il sangue dei vinti, in “Quaderno di storia contempo-

ranea”, n. 34, 2003, pp. 176-178.58 TOMMASO DETTI - MARCELLO FLORES, Il revisionismo malinteso, in “Il Mulino”, n. 1, 1999,

p. 11.59 Cfr. N. GALLERANO, L’uso pubblico della storia, cit., e S. NERI SERNERI, art. cit.60 G. BERTACCHI - L. LAJOLO, art. cit., p. 68.

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Un obiettivo perseguito61, anche con ap-procci meno frontali e aggressivi nei con-fronti della Resistenza, da quanti invocanola legittimità di tutte le forze in campo e dellacomune pietà umana verso tutti i morti. Co-me sottolinea Trocini, “se basta poco percomprendere che non tutte le cause checontano un certo numero di martiri posso-no essere considerate moralmente e politi-camente equivalenti, più sottile è la distin-zione che si deve fare tra pacificazione e re-visione storica”62.

Secondo Pavone, ma è una posizione con-divisa da molti ex partigiani, “è da respin-gere la confusione fra l’eguaglianza di frontealla morte e le differenze di fronte alla vita”63.Differenze che, pure ammettendo che tra ipartigiani ci fossero personaggi moralmen-te discutibili e fra i saloini giovani in buonafede, riguardano anzitutto la causa degliuni, la liberazione d’Italia e il suo rinnova-mento, e quella degli altri, il fascismo e lasudditanza nazista64. Il significato profon-do di questa distinzione starebbe in una fra-se, richiamata da Antonicelli65, attribuita adun partigiano francese che prima di essereucciso disse al suo carnefice: “Imbecille, iomuoio anche per te”. Secondo De Bernardi:“Riconoscere la memoria dei vinti, rispetta-re i morti di tutte le parti non può significa-re, in nessun caso, dimenticare da qualeparte stavano quei valori di libertà, di egua-

glianza, di tolleranza di rispetto della perso-na, che costituiscono i principi su cui si èvenuta faticosamente rifondando l’identitàeuropea dopo la barbarie del fascismo”66.Una conclusione su cui non sembra esser-ci l’accordo del campione e che dunque nonfa ben sperare nella possibilità di un “esa-me partecipe ma critico delle azioni compiu-te dai partigiani [quale] miglior omaggio chesi possa fare oggi a chi ha combattuto an-che duramente per la libertà cercando di nonfarsi contagiare dalla mistica della violenza,ma senza rifiutare l’idea che in circostanzeestreme possa essere necessario rischiarela vita propria e quella altrui”67.

Un’altra frase piuttosto controversa èquella (frase 1) sulla presenza massiccia deicomunisti tra le fila della Resistenza (“NellaResistenza non tutti erano comunisti, ma icomunisti c’erano tutti”). A giudicare dallemotivazioni addotte, parrebbe che qui la di-visione non sia tanto sulla base di una vici-nanza più o meno sentita con i comunisti (lafrase riscuote consensi anche a destra, co-me pure disaccordi a sinistra), ma piuttostosul rifiuto o meno di riconoscere un prima-to ai comunisti all’interno della Resistenza.Chi si oppone non si richiama ad una pre-sunta apoliticità della Resistenza (chi è inaccordo con la frase 7 sulla resistenza civi-le e ha valutato anche la 1 si dimostra pre-valentemente in accordo con entrambe), ma

61 A volte anche inconsapevolmente, dal momento che molti, come il partigiano ed expresidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, hanno interpretato gli appelli alla paci-ficazione tra combattenti dell’una e dell’altra parte come un riconoscimento di buona fedee buoni sentimenti o perdono.

62 F. TROCINI, art. cit., p. 27.63 C. PAVONE, Negazionismi, rimozioni, revisionismi: storia o politica?, in E. COLLOTTI (a

cura di), op. cit., p. 42.64 A. D’ORSI, art. cit.65 FRANCO ANTONICELLI, Resistenza continua, in “Diario del mese”, 24 gennaio 2003.66 A. DE BERNARDI, art. cit.67 F. CAVIGLIA, op. cit., p. 195.

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sembra proprio voler rifiutare una “paten-te” speciale ai comunisti, cittadini come glialtri e quindi altrettanto codardi o eroici, at-tivi o passivi. Si riferisce così di “molti comu-nisti [...] imboscati come Togliatti”, “resi-stenti del giorno dopo”, si allude a “chi eraall’estero” e si ironizza “’sti comunisti: sonosanti!!!”.

Sempre riguardo alla composizione dellaResistenza, ma qui con attenzione più voltaal problema della scelta dello schieramen-to, è stata proposta la frase 3, dedicata almomento critico dell’8 settembre (“Nel caosdell’8 settembre, era il caso a determinare daquale parte si sarebbe combattuto”). Nellafrase si dubita della consapevolezza dellascelta e si spinge verso un’ipotetica parifi-cazione dei due schieramenti. Si mette inparticolare in dubbio che l’antifascismo ab-bia costituito una prospettiva di riferimen-to per le scelte individuali, un esito alla rot-tura costituita dall’8 settembre. Il tema del-la svolta dell’8 settembre è stato al centrodi un dibattito pubblico sull’identità e sullapatria e, secondo Gallerano, “ha alimentatouna letteratura sovrabbondante e rissosa,dispensatrice di ‘rivelazioni’, a difesa diquesto o quell’altro ‘protagonista’...”68.

La rilettura dell’armistizio e delle sue con-seguenze non è certo una novità degli ulti-mi anni e anzi risale già al 1964 quando ungiornalista, Ruggero Zangrandi, pubblicò“1943: 25 luglio - 8 settembre”69 in cui, “men-tre il cinema riduceva lo smarrimento e ilcaos di quei giorni alla misura corriva e au-togratulatoria della commedia all’italiana,[l’autore] procedeva a una salutare opera didemistificazione delle falsità, delle copertu-

re, delle omissioni [...] che una memorialisti-ca interessata aveva costruito attorno aquelle vicende”70.

Il numero troppo ridotto di intervistati chesi sono pronunciati su questa frase purtrop-po non consente di ricavare maggiori indi-cazioni: l’unico dato che emerge è che le ra-gioni di chi scelse l’uno o l’altro schieramen-to non sono ancora una pagina archiviata.Da segnalare che, benché i romanzi sianoritenuti meno affidabili di altre fonti, un in-tervistato, incerto sulla valutazione della fra-se, così motiva il suo disaccordo: “Nonsono d’accordo, ma posso ammettere (Fe-noglio docet) che in certi casi il caso possaaver avuto un ruolo”. Evidentemente, alme-no per qualcuno, la letteratura è una fonteanche di sapere storiografico.

Altre due frasi che dividono sono quelleche più tendono ad idealizzare la Resistenza.La frase 10 (“Dobbiamo tutto alla Resisten-za: libertà, diritti, ideali e valori in cui crede-re”), positiva sino alla retorica, ottiene tuttii suoi diciassette consensi tra gli insegnantiche si collocano al centro-sinistra. A destrainvece la frase suscita solo disaccordi (tan-ti quanti la somma delle manifestazioni didisaccordo provenienti da sinistra e centro).Identica distribuzione rispetto all’autoposi-zionamento politico per la frase 12 (“La sto-ria d’Italia è piena di pagine oscure, ma laResistenza non è una di quelle”). Tra le mo-tivazioni di disaccordo ne va segnalata unache denota una particolare consapevolezzadei rischi legati alla monumentalizzazione delpassato, cui la Resistenza è stata soggetta:“I ‘miti fondatori’ sono pericolosi perché in-ducono a far tacere lo spirito critico”.

68 N. GALLERANO, Le verità della storia, cit., p. 145.69 RUGGERO ZANGRANDI, 1943: 25 luglio - 8 settembre, Milano, Feltrinelli, 1964; edizione

riveduta L’Italia tradita, 8 settembre 1943, Milano, Mursia, 1971.70 N. GALLERANO, Le verità della storia, cit., p. 147.

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C’è poi un’ultima frase, la 9 (“È solo oggiche grazie a film e libri coraggiosi scopria-mo finalmente tutta la verità su quanto èaccaduto in Italia tra il ’43 e il ’45”), che di-vide il campione. Si tratta di una frase cheinveste in pieno la sfera mediatica e l’“usopubblico della storia”, alludendo alla pub-blicazione recente di libri che fanno luce sul-le vicende legate alla Resistenza. Anche perquesta frase la chiave politica sembra esse-re utile per l’analisi, sebbene i numeri sianomeno consistenti e le generalizzazioni piùcontroverse.

Le motivazioni fornite sono diametralmen-te opposte e tutte piuttosto accese nei toni:“Finalmente si sono sentite più voci a volteanche dissonanti con il coro dei pro-Resi-stenza, che ha ampliato il dibattito e ha toltoquella sorta di pudore che bloccava il giu-dizio”; “È da decenni ormai che della Resi-stenza non si fornisce più una rappresenta-zione agiografica, perciò non ritengo di con-dividere l’idea che ‘solo oggi’...”; “Ci sonostati anni di censura retorica”; “A volte ilcoraggio viene confuso con la ricerca delsuccesso editoriale”; “Era ora che qualcunoparlasse”; “Le recenti pubblicazioni mostra-no una delle facce della medaglia, non la ve-rità”; “Finalmente si è alzato il velo di men-zogne su tanti episodi della Resistenza”; “Cisono altre fonti più attendibili”. Non man-cano anche i giudizi più sfumati, in partico-lare quelli che ridimensionano la “novità”delle tante rivelazioni degli ultimi anni:“Sono d’accordo ma solo parzialmente, mol-te cose la gente già le conosceva”; “Si sa-peva anche prima, ma il differente clima po-litico non ne aveva fatto dei best seller”;“Tanto si è sempre saputo, chi non vuoleignora anche oggi”.

A proposito del rapporto fra “uso pubbli-co della storia” sui media e memoria è utileconsiderare anche questa frase di motiva-zione: “Già da piccolo ho sentito tanti rac-conti che hanno coinvolto persone cono-sciute e che erano ben diversi dalla storiaufficiale, ora qualcuno inizia a parlare”.

Sembrerebbe quasi configurarsi un rap-porto a due velocità fra la memoria privata,vicina e la storia ufficiale, che solo in ritar-do si è adeguata e ha riscoperto la prima. Lastoria orale ha del resto conosciuto una no-tevole rivalutazione, come testimoniano ilavori di Alessandro Portelli, Gabriella Gri-baudi e dello stesso Claudio Pavone. C’èd’altronde il rischio populista di legittimareoltre ogni ragionevolezza la parola di chi faparte delle proprie cerchie, svilendo l’ap-proccio scientifico percepito come lontanoe inadeguato. Quello che deve interessarequi è però che per alcuni la storia racconta-ta da chi l’ha vissuta ha un alto valore.

È utile a questo punto prendere rapida-mente in esame i risultati ottenuti dalle frasirimanenti. Nettamente staccate dalla frasenumero 6 di cui già si è detto, si trova ungruppo di tre frasi tendenzialmente impopo-lari. La frase 2 (“Chi pensava fosse priorita-rio l’orgoglio patrio e il senso d’onore aderìalla Rsi; chi, invece, riteneva fosse priorita-rio il desiderio di libertà scelse la Resisten-za”) è una citazione di Giano Accame, intel-lettuale che in gioventù scelse di arruolarsinelle file della Rsi proprio il giorno della Li-berazione71. La sua tesi che la guerra civileche si è combattuta in Italia sia stata lo scon-tro fra il senso dell’orgoglio nazionale nu-trito da chi aderì alla Rsi e l’anelito di libertàdei partigiani non trova alcun sostegno fragli intervistati. Nelle motivazioni l’intero im-

71 Si veda FRANCESCO GERMINARIO, L’altra memoria. L’estrema destra, Salò e la Resisten-za, Torino, Bollati Boringhieri, 1999.

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pianto è messo in discussione: “Chi aderìalla Rsi era sotto il comando tedesco inva-sore. Dov’è l’orgoglio patrio?”; “Anche chiaveva il senso della patria militò nelle filepartigiane come dimostrano le presenze dimolti ufficiali dell’esercito”.

Questo è confermato sia a livello di scel-te individuali, che su scala più generale,come mostrano i risultati della frase 5 (“LaResistenza ci ha ridato la libertà, ma è stataun duro colpo per l’orgoglio nazionale”),una riformulazione del medesimo concettoin chiave di giudizio complessivo sulla Re-sistenza e sui suoi effetti. La tesi sulla “mor-te della patria”, deceduta l’8 settembre perresponsabilità diretta di quanti scelsero at-tivamente l’antifascismo e cominciarono laguerra civile, non trova nessun esplicito ac-cordo, ma scatena in un consistente nume-ro di intervistati una reazione di disaccor-do. Del resto, ha suggerito Neri Serneri, lapatria era forse già morta “nel 1922 o, co-munque, nel 1925, quando il fascismo se neera appropriato”72.

Da notare poi la tendenziale opposizionealla massima della frase 13 (“La storia lascrivono sempre i vincitori, la Resistenza neè una prova”), talvolta passata come veritàstorica incontrovertibile, spesso tacciata diessere uno dei luoghi comuni più triti. Se-condo questa tesi, un’immagine mitica e ce-lebrativa della Resistenza sarebbe stata di-fesa da “un compatto e unanime schieramen-to dei partiti dell’arco costituzionale e deiloro intellettuali”, con “la conseguente dam-

natio memoriae nei confronti dei suoi av-versari”73.

Anche in questo caso la collocazione po-litica risulta essere uno spartiacque nettis-

simo per la valutazione della frase: nove indisaccordo e nessun accordo a sinistra, unoa uno al centro contro due in accordo e nes-sun disaccordo a destra. Con tutte le cau-tele che il campione ridotto impone alle ge-neralizzazioni, nonostante lo “sdoganamen-to” ormai assodato degli ex fascisti sullascena pubblica e politica, un certo senso dirivalsa sembra permanere in chi si colloca adestra. Tra le motivazioni c’è chi cita la co-siddetta “legge di Brenno” (“guai ai vinti!”).Viceversa, per chi sta a sinistra, forse pro-prio in ragione del venir meno dei vecchisteccati, è difficile sentirsi vincitore e so-prattutto “padrone della storia” in un mo-mento in cui è prevalente al contrario la sen-sazione di “assedio” da parte delle riscrit-ture revisioniste. Come dichiara un intervi-stato: “Il revisionismo attuale, le sue moda-lità, sono prove evidenti che non è statascritta solo dai vincitori; che gli uomini e leidee della Resistenza abbiano ‘vinto’, è tut-to da dimostrare”. Entrambe le visioni sem-brano poggiare su questioni che, sottolineaNeri Serneri, “confondono o assimilano sen-za riserve - non è dato sapere quanto scien-temente - la storiografia resistenziale con lapur legittima narrazione politica della Resi-stenza”74. L’uso dell’antifascismo a scopodi legittimazione delle forze politiche uscitevincitrici dalla guerra non deve nasconde-re che è dagli anni ottanta che la storiogra-fia, anche quella più fedele al “paradigmaantifascista”, si interroga “certo tra contra-sti ed anche lacerazioni, proprio attorno ainodi della pluralità delle scelte, delle moti-vazioni e dei comportamenti dei diversi pro-tagonisti della stagione del 1943-45”75.

Risulta più complessa l’interpretazione

72 S. NERI SERNERI, art. cit., p. 147.73 N. GALLERANO, Le verità della storia, cit., p. 110.74 S. NERI SERNERI, art. cit., p. 145.75 Ibidem.

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delle frasi più popolari cui ancora non si èaccennato, la 11 e la 15. La frase 11 (“Contutto quello che gli italiani avevano patitodurante il fascismo, era inevitabile che colcrollo del fascismo si sarebbero verificatevendette ed episodi di violenza”), che ha ri-scosso molti accordi e un solo disaccordo,giustifica gli eventuali eccessi della Resi-stenza in relazione alle vessazioni subitesotto il regime. Non è stato possibile tutta-via scorgere alcuna correlazione fra questafrase e le valutazioni degli episodi a piazza-le Loreto, quasi come se propositi genericidi comprensione delle ragioni da parte di al-cuni crollassero di fronte ai casi concreti. Sulpiano dell’analisi storiografica la tesi trovadiversi sostenitori. Ad esempio d’Orsi insi-ste sul carattere di inevitabilità degli episo-di avvenuti nelle “giornate immediatamen-te successive al 25 aprile, in cui si lasciò fare,giustificando gli indubbi eccessi”, invitan-do a storicizzare e contestualizzare il feno-meno in una situazione “di difficilissima go-vernabilità [in cui] gli stessi comandi alleatiebbero la netta sensazione che molti di queidelitti erano privi di motivazione politica”76.Anche Maestri richiama l’attenzione sulcontesto dei giorni successivi alla Libera-zione nei quali “ci si muoveva nell’assenzadello stato e del suo potere, nel convulsoagitarsi di organizzazioni, partiti, gruppi, in-dividui, si agiva più per impulsi e decisionisingole che per regole”77.

Alcuni intervistati così motivano il loroaccordo con la frase, addebitando le reazio-ni eccessive al comportamento “particolar-mente odioso” tenuto dai fascisti o alla “na-tura umana” vendicativa o riconducendo a

“quello che avviene sempre quando un po-polo intero esce da un periodo di dittatura”.

Inoltre d’Orsi minimizza il numero di questiepisodi di “rivalsa” e Neri Serneri arriva ad-dirittura a proporre un confronto con altrerealtà coeve: “In Italia si stimano in circa10.000-12.000 i fascisti uccisi nei giorni del-la Liberazione e nelle settimane successive,ad esempio in Francia, i ‘vinti’ uccisi nel-l’estate del 1944 furono 17-18.000”78. Ma èun argomentare piuttosto debole sul pianomorale ed ideale e che di certo non farebbeche confermare le motivazioni di quanti nelcampione hanno accettato la frase 11. Tragli argomenti avanzati si parla infatti di“onore”, di possibilità di evitare gli eccessi,di scuse per “giustificare anche altre violen-ze”. Maestri percorre invece un’altra stra-da, evidenziando la compresenza di atti digenerosità a fianco degli “innumerevoli attidi violenza”, al cui interno però distinguefra “la sorte dei ‘poveri stracci’ che pagaro-no sproporzionatamente e i fanatici, perse-cutori, torturatori che in questo periodo‘senza stato’ subirono una specie di rozzotaglione”79.

C’è in particolare una motivazione checerca di trovare un equilibrio valutativo ri-spetto al tema della frase: “[...] non è giusti-ficabile usare lo schermo resistenziale percoprire vendette personali né usare quelleinutili vendette per tacciare la Resistenzacome negativa”.

La frase 15 (“La gente comune si è trova-ta presa in mezzo nello scontro tra fascisti,nazisti e partigiani”) è invece ispirata allaversione più passiva del concetto di “zonagrigia”, secondo cui la popolazione italiana

76 A. D’ORSI, art. cit., p. 79.77 D. MAESTRI, art. cit., p. 177.78 S. NERI SERNERI, art. cit., p. 149.79 D. MAESTRI, art. cit., p. 178.

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sarebbe stata estranea alla lotta resistenzialee vittima del fuoco incrociato delle parti av-verse. Chiaramente questa frase è incompa-tibile con la numero 7, che insiste al contra-rio su una definizione allargata di Resisten-za che comprenda al suo interno anche glisforzi della popolazione civile. Ci sono in-fatti sette casi in cui all’accordo sulla frase7 corrisponde il disaccordo esplicito versola frase 15.

Per approfondire l’analisi di questo item,è interessante prendere in esame le reazionialle frasi del sottocampione determinato dal-l’autoposizionamento politico. Il sottocam-pione degli insegnanti collocatisi al centro-destra evidenzia le differenze più significa-tive rispetto agli altri. Tenendo conto delminor numero di casi presenti in questo sot-tocampione, colpisce il punteggio ottenu-to dalla frase numero 10: suscita accordo nelsottocampione di sinistra, è piuttosto igno-rata in quello di centro, mentre a destra è lafrase con più disaccordi, superando anchel’impopolare frase 6. È evidente in questosenso il rifiuto da parte di chi si schiera adestra di rendere un così grande tributo allaResistenza. È facile supporre che la frase 10venga letta a destra come il più tipico esem-pio di retorica antifascista e resistenzialevolta a cancellare la destra dalla “foto digruppo” dei fondatori della moderna Repub-blica. Fondazione della Repubblica che vie-ne messa in relazione non tanto con la libe-razione dall’invasore nazista quanto piùcon la mancata caduta nell’orbita comuni-sta, sventata solo grazie all’intervento del-l’esercito americano. Non a caso la frase 14(“La Resistenza ha contribuito a liberarel’Italia, ma se non fosse stato per gli ameri-cani in Italia si sarebbe imposta una dittatu-

ra comunista”), che paventa il rischio del-l’instaurarsi di una dittatura comunista inItalia subito dopo la fine della guerra, è lapiù citata in positivo all’interno di questosottocampione, nel quale non trova nean-che un disaccordo. È questa una tesi del re-sto piuttosto popolare anche al centro (cin-que accordi, un disaccordo), a conferma diun diffuso e radicato anticomunismo oppo-sto all’antifascismo. Nelle motivazioni c’èchi sostiene che “Tito sarebbe riuscito adannettere Trieste e la regione allo stato jugo-slavo” o che “anche nel dopoguerra la rivo-luzione è stata un motivo ricorrente. Il ri-schio c’era”.

Svalutare il contributo della Resistenzaed anzi presentarla come una sorta di infiltra-zione comunista nel paese (tesi cara a granparte della memorialistica e della storiogra-fia neofascista, come bene illustra Germina-rio80), significa infrangere il rapporto tra an-tifascismo e democrazia repubblicana che sisarebbe dunque “formata ‘a prescindere’ e‘nonostante’ la Resistenza, per l’agire esclu-sivo di fattori esterni prevalentemente dinatura internazionale”81. Chi infatti si di-chiara in disaccordo con la frase tende a ri-badire questo concetto. Ad esempio: “Noncredo si sarebbe imposta una dittatura co-munista visto che ha contribuito proprio taleideologia a costruire la Carta costituziona-le”.

All’interno del sottocampione di destra sicoglie poi il limitato impatto del concetto diresistenza civile, espresso dalla frase 7. Lafrase più popolare sia a sinistra che al cen-tro (nessun disaccordo) è scelta soltanto daun intervistato di destra. È un elemento coe-rente con l’accordo con la frase 15, che nelcampione di centro e di destra è piazzata ai

80 F. GERMINARIO, op. cit.81 A. DE BERNARDI, art. cit.

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primissimi posti. Come infatti anticipato, ledue frasi sono fra loro incompatibili. Per ilsottocampione di destra si configura cosìchiaramente una lettura della Resistenza co-me movimento minoritario del tutto slegatodalla popolazione.

Più ambigua le posizioni all’interno delsottocampione di centro, dove le frasi 15 e7 ottengono praticamente lo stesso nume-ro di assensi e due degli intervistati si di-chiarano in accordo con entrambe. Il sotto-campione di sinistra si dimostra invece coe-rente quanto quello di destra, ma sposan-do la tesi inversa: la frase 7 è al primo po-sto, mentre la frase 15 è piuttosto arretrata.Da considerare inoltre la progressiva pro-mozione, passando da sinistra a destra, dellafrase 9, quella sui “libri coraggiosi”. Una let-tura in chiave politica della frase 9 parrebbepiù efficace, sebbene i dati a sostegno sia-no sempre piuttosto modesti e la conflittua-lità all’interno dei sottocampioni risulti ab-bastanza evidente (cinque accordi controdieci disaccordi a sinistra, due a due al cen-tro, e solo a destra accordo in entrambi i ca-si): la valutazione della frase 9 si confermadunque problematica.

Conclusioni

L’obiettivo prefissato di questo lavoro eralo studio degli effetti sociali dei mass mediaa lungo e medio termine sul “senso comu-ne” riguardo alla Resistenza italiana. L’a-nalisi condotta ha messo in luce tutte le pro-blematiche relative all’identificazione delleinfluenze reciproche fra “senso comune” e“senso mediale”, una volta che l’infor-mazione è stata fruita ed “appropriata”.

Le caratteristiche del campione su cui èstata condotta questa ricerca non autoriz-zano generalizzazioni e non offrono basisufficientemente solide per teorizzazioni diampio respiro. Qui di seguito verranno per-

tanto avanzate alcune annotazioni, basatesui risultati ritenuti più interessanti, utilieventualmente come spunto per ulterioriricerche, magari su scala più ampia e con unmaggiore dispiego di “mezzi” e risorse.

La fase di trasformazione che il “sensocomune” sulla Resistenza attraversa (faseche è lecito supporre duri ormai da molti an-ni, per non dire da sempre, e non è dato sa-pere quando e se terminerà), vede la Resi-stenza e la sua memoria in uno stato di atti-vazione a tratti contraddittorio. Il vivo en-tusiasmo, le reazioni appassionate, a voltepersino di rabbia e insofferenza che il que-stionario ha suscitato in alcuni intervistatisono sintomatici del fatto che l’argomentosia ancora vivo, per qualcuno addirittura“bruci”.

Per altri invece lo stesso argomento ap-pare come qualcosa di inerte, di definitiva-mente “scritto”, anche se accettano volen-tieri di tornare indietro a “rileggerlo”. È que-sta una tendenza che in alcuni casi porta adesiti singolari. Si è detto ad esempio del con-tinuo riemergere della vicenda irachena nellerisposte del questionario, oltre che nelladomanda dedicatagli. A tratti, ma è soloun’ipotesi, parrebbe che la Resistenza an-ziché fare da cornice, da ancora per interpre-tare episodi recenti (come la domanda sullaresistenza irachena cercava di sondare), siain realtà lei stessa ancorata alla rappresen-tazione del conflitto iracheno, o meglio del-l’immaginario di guerra affermatosi negliultimi anni. Il ricorrere a paragoni con il ter-rorismo e lo scenario mediorientale sembraessere per alcuni (sono una minoranza, maè un dato che va sottolineato) uno strumen-to per riattivare e riattualizzare questo “og-getto” inerte.

Un altro aspetto evidente che segna inmaniera conflittuale il senso comune sullaResistenza è il marcato rifiuto della violen-za, emerso con forza anche dai molti inter-

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vistati in cui prevale la convinzione che lalotta di liberazione sia stata una “guerra giu-sta”. È un rifiuto che può essere certo lega-to ad una particolare maturazione etico-mo-rale recente, ma che in realtà era già presen-te dopo la fine della guerra. Già allora i fattidi sangue erano apparsi gravissimi, terribi-li, persino evitabili. Nei confronti della vio-lenza sono pochi gli intervistati che cerca-no di operare dei distinguo. Mancano adesempio riferimenti eroici ai partigiani o a chiseppe fare una “scelta”, il cui valore vienetuttavia spesso riconosciuto.

L’analisi degli effetti a medio e lungo ter-mine della comunicazione mediatica risultasempre decisamente complessa e quasi maiporta a solide dimostrazioni scientificheinappellabili. In questo caso poi, di frontead un campione così limitato e specifico, nonsi presumeva nemmeno di poter giungere aconclusioni generalizzabili. Possono peròessere avanzate alcune considerazioni: an-zitutto, emerge un’ennesima conferma delfatto che i media, e la televisione in partico-lare, non hanno di per sé il potere di cam-biare opinioni e convincimenti delle personeper il semplice effetto dell’esposizione, ri-petuta o meno, a determinati messaggi. Èla conferma cioè dell’esistenza di forme diinfluenza e di resistenza legate al contestosociale e alle pratiche di fruizione e di ap-propriazione dei contenuti da parte del pub-blico. Ma viene alla luce soprattutto l’impor-tanza degli scambi comunicativi quotidianie delle interazioni sociali all’interno delle retiprossemiche nel corso delle quali nuoviframmenti di “discorso” si ricombinano e siancorano a rappresentazioni già esistenti esempre soggette al mutamento.

Quando accade così di avere l’impressio-ne che l’interpretazione di un dato eventoda parte dei media sia stata accolta, il piùdelle volte è in realtà perché si è “inserita inun tessuto preesistente di rappresentazio-ni e valori con cui essa era coerente”82.

Il giudizio tendenzialmente positivo datodagli intervistati di destra al ruolo dei me-dia nell’evoluzione dell’idea di Resistenzaè quindi indicativo non tanto di un’adesio-ne supina ai messaggi trasmessi quanto piùdi una sostanziale coincidenza di veduteladdove, viceversa, gli intervistati di sini-stra si trovano di fronte ad una forte “dis-sonanza cognitiva”. L’impressione è infattiche i media siano ritenuti fortemente con-notati ideologicamente in senso “revisioni-sta”. Per quanti si collocano all’interno deiquadri di riferimento valoriali comuni alladestra e vorrebbero rivedere l’immagine del-la Resistenza, i mass media si configuranocome divulgatori di un racconto più obiet-tivo e distaccato della storia. Al contrarioper quanti si collocano a sinistra la Resisten-za appare presa d’assalto dall’attacco con-giunto di politica e storiografia revisionistain un contesto in cui il paradigma revisioni-sta sembra godere di grande popolaritàmediatica.

Il filtro dell’appartenenza politica non siapplica del resto solo nelle “quasi-interazio-ni mediate”83 televisive ma pure nel rappor-to con il sapere “esperto”. Sono molti infat-ti i commenti e le risposte che denuncianola faziosità degli storici, la partigianeria deigiornalisti o degli “pseudo-esperti” (così lidefinisce un intervistato) degli istituti sto-rici della Resistenza. Non si tratta tuttaviadi sostenere una sorta di determinismo sul-

82 SILVIA GUIDO, Le rappresentazioni dell’evento Kosovo: nota metodologica, in P. LALLI

(a cura di), Guerra e media, cit., p. 51.83 JOHN B. THOMPSON, Mezzi di comunicazione e modernità. Una teoria sociale dei media,

Bologna, il Mulino, 1998.

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la base delle opinioni politiche. È stato mes-so in luce anzi come ad esempio, all’internodel sottocampione degli insegnanti che sicollocano a sinistra, convivano diverse in-terpretazioni e posizioni tra loro anche for-temente discordanti. Questa è del resto unaconseguenza delle caratteristiche del cam-

pione. Come già detto i “cittadini ben infor-mati” si affidano ad una molteplicità di fon-ti mediatiche e non solo, possono contaresu un ricco bagaglio di memorie ed espe-rienze oltre che su un radicato coinvolgi-mento all’interno di numerose reti interper-sonali.

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documenti

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Il vocabolo costituente, nonostante sia

inserito come contrassegno nel titolo di una

mostra sul 1947, permette di superare il si-

gnificato strettamente politico e di adattar-

si a una ricerca che, oltre a indagare un pe-

riodo storico, si serve specificamente della

fotografia per rappresentarlo. Costituente,

come forma verbale, rimanda all’azione del

fondare; in linguistica all’unità che concor-

re a sviluppare una sintassi più ampia.

A ridosso della tragica esperienza ditta-

toriale e bellica italiana, i fotografi ravvisa-

rono l’urgenza - civile oltre che autoriale -

di edificare la loro pratica su nuove basi, li-

bere da ogni repressione di regime e strut-

turate unicamente intorno al desiderio di tra-

scrivere con realismo le condizioni dell’Ita-

lia. Anche Luciano Giachetti e Adriano Fer-

raris, ex partigiani e da due anni titolari del-

l’agenzia Fotocronisti Baita a Vercelli, avver-

tirono uguali pulsioni espressive, anche se

parzialmente soffocate dalle esigenze com-

merciali di uno studio di provincia e da un

lavoro che spesso si rivelava ripetitivo.

L’idea stessa della costruzione, o meglio

della ri-costruzione, è interpretata da diver-

se immagini: in maniera più didascalica ne-

gli esempi dedicati ai manifesti o ai lavori di

ripristino del ponte ferroviario sulla Sesia,

bombardato durante la guerra. In forma più

evocativa, nella documentazione del rinno-

vato e spontaneo ripopolamento delle piaz-

ze, dell’istituzione di nuovi simboli politici

e della ripresa lavorativa.

Il senso filologico che assume il termine

costituente presta ancor più il fianco a ri-

flessioni ispirate dalla fotografia. Appurato

che il secondo dopoguerra portò a una com-

plessa ridefinizione del linguaggio fotogra-

fico, ciò che interessa maggiormente, in

questo frangente, è proprio il rapporto gram-

maticale fra i singoli scatti e le varie sequen-

ze. Certe immagini riescono a vivere e co-

municare anche isolate dai nuclei tematici a

cui sono state sottratte, comportandosi

come parole chiave, titoli, a volte esclama-

zioni. Altre, invece, manifestano appieno il

loro valore se riproposte a gruppi, nella pro-

gressione originale di ripresa, quasi fosse-

ro pensieri o racconti brevi.

Due furono i vercellesi impegnati nell’As-

semblea costituente, che nel 1947 elaborò

la Costituzione della Repubblica italiana: il

democristiano Ermenegildo Bertola, trentot-

tenne insegnante di filosofia, eletto con

26.543 voti, e il comunista Francesco Leo-

ne, quarantottenne dirigente di partito, elet-

to con 36.275 voti. Entrambi avevano parte-

cipato alla Resistenza: il primo come presi-

dente del Cln provinciale, il secondo (che

aveva scontato sei anni di carcere, commi-

natigli dal Tribunale speciale fascista, e che

aveva partecipato alla difesa della Repub-

LAURA MANIONE - PIERO AMBROSIO (a cura di)

1947: l’anno della Costituente

Immagini dei Fotocronisti Baita

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Laura Manione - Piero Ambrosio

92 l’impegno

blica spagnola) come componente del co-

mando generale del Corpo volontari della

libertà.

La provincia di Vercelli aveva inoltre elet-

to i biellesi Giuseppe Pella, democristiano,

con 25.632 voti; Virgilio Luisetti ed Ernesto

Carpano Maglioli, socialisti, rispettivamente

con 27.509 e 27.207 voti; Vittorio Flecchia e

Francesco Moranino, comunisti, già diri-

genti della Resistenza, con 13.423 e 11.009

voti, e il valsesiano Vincenzo “Cino” Mo-

scatelli, comunista, già commissario di guer-

ra del Comando zona Valsesia del Corpo vo-

lontari della libertà, che aveva ottenuto

45.282 voti (uno dei consensi più alti ad elet-

ti piemontesi).

Inoltre il biellese Pietro Secchia, comuni-

sta, e il valsesiano Giulio Pastore, democri-

stiano, entrambi dirigenti politici, erano stati

eletti nel collegio unico nazionale.

Bertola intervenne in discussioni nell’as-

semblea plenaria e presentò numerose in-

terrogazioni, riguardanti in particolare la

scuola e l’economia agricola; anche Leone

contribuì ai lavori della Costituente presen-

tando interrogazioni ma, essendo soprattut-

to uomo d’azione, concentrò il suo impegno

prevalentemente nell’ambito del partito, co-

me è documentato anche da molti servizi dei

Fotocronisti Baita.

Nel 1947 la partecipazione alla vita politi-

ca fu notevole anche a Vercelli: numerosi i

comizi e altre iniziative che richiamarono

migliaia di persone, che gremivano le piazze

e le vie cittadine. Molti furono anche i diri-

genti politici di rilievo che vi presero parte:

tra questi i costituenti Giuseppe Pella (an-

che nella sua veste di ministro delle Finanze)

e Umberto Terracini, che dell’Assemblea fu

presidente.

Perché l’Italia viva, Vercelli, sd

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1947: l’anno della Costituente

a. XXVII, n. s., n. 2, dicembre 2007 93

Anniversario della Liberazione, Vercelli, 25 aprile

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Laura Manione - Piero Ambrosio

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Festa dei lavoratori, Vercelli, 1 maggio

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1947: l’anno della Costituente

a. XXVII, n. s., n. 2, dicembre 2007 95

Festa dei lavoratori, Vercelli, 1 maggio; Festa delle mondine, Lignana, 29 giugno

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Laura Manione - Piero Ambrosio

96 l’impegno

Elvira Pajetta, Lignana, 29 giugno; Umberto Terracini, Vercelli, 12 luglio

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1947: l’anno della Costituente

a. XXVII, n. s., n. 2, dicembre 2007 97

Comizio, Vercelli, settembre; Il ministro Pella, Vercelli, 27 ottobre

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LAURA MANIONE - PIERO AMBROSIO (a cura di)

1946: l’anno della Repubblica

Immagini dei Fotocronisti Baita

2006, pp. 72, € 10,00

Il catalogo raccoglie un’ampia selezione di immagini che compongono la mostraomonima, realizzata dall’Archivio fotografico Luciano Giachetti - Fotocronisti Bai-ta e dall’Istituto, con la compartecipazione del Comitato della Regione Piemonteper l’affermazione dei valori della Resistenza e dei principi della Costituzione re-pubblicana e l’Amministrazione comunale di Vercelli.Nel 1946 i Fotocronisti Baita seppero inquadrare con acutezza le varie componentidi una città che era chiamata alla grande svolta politica e referendaria, al proprioriassetto amministrativo, a un lento reinserimento nel mondo del lavoro, al deside-rio corale di sostituire la disillusione con l’aspettativa.Esaminando il materiale scattato nel ’46, occorre fare una distinzione tra gli scattidedicati alla vita istituzionale e amministrativa e quelli rivolti a un’ampia descrizio-ne della società; nel primo caso - complice la committenza giornalistica rappresen-tata principalmente da “L’amico del popolo” - vi è difformità quantitativa tra i servi-zi fotografici collegati alla sinistra e quelli riguardanti le restanti forze di governo. Ècomunque necessario sottolineare che, al di là delle ragioni determinate dall’affida-mento degli incarichi, sullo sbilanciamento politico dei fotocronisti pesò l’esperienzapartigiana vissuta nelle brigate “Garibaldi” di ispirazione comunista; basti pensareche, fino al 1948, anno in cui si interruppe il sodalizio fra i due, Giachetti e Ferraristimbrarono le loro fotografie con i nomi di battaglia “Lucien” e “Musik”. Nelle foto-grafie di comizi affollati, di manifesto consenso, di personaggi passati dalla clande-stinità alla vita pubblica, fino a quelle scattate per educare i vercellesi al gesto delvotare, si ravvisa - e si legittima, in fondo - il compiacimento dei due giovani foto-cronisti nel rintracciare gli esiti concreti della lotta anche ideologica sostenuta du-rante la Resistenza.Di una completezza eccezionale, invece, le immagini che tratteggiano il profilo so-ciale della città e del suo territorio, generate da una pratica fotografica rinnovatanel linguaggio e nei contenuti.In questo vasto ed eterogeneo insieme, il nucleo più importante è rappresentatodalle fotografie di lavoro: la ripresa delle attività produttive dopo la tragica paren-tesi bellica spinse i fotografi a intraprendere una vera e propria ricognizione dellerealtà occupazionali vercellesi.

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documenti

l’impegno 99

Anzitutto un’avvertenza: “Sguardi allapari” è un progetto (costituito da una mo-stra con catalogo) che racconta di donne fo-tografate esclusivamente da uomini. Que-sta affermazione, apparentemente senten-ziale, non anticipa alcun giudizio di meritonei confronti dei Fotocronisti Baita; piutto-sto - e doverosamente, trattandosi di un’e-sposizione di immagini - inscrive la difficol-tà (quando non l’impossibilità) di autorap-presentarsi tra gli ostacoli che le donne han-no incontrato nel loro complesso camminodi emancipazione. E la rimanda allo spetta-tore (dallo spazio ristretto di un breve arti-colo) quale spunto di riflessione e richiamocostante.

Sono proprio le vicende locali a illustrareulteriormente il concetto: pur essendo il Ver-cellese territorio di forte impegno femmini-le, dagli ultimi decenni dell’Ottocento finoal lungo arco temporale coperto dall’attivi-tà dei “baitini” non si registrano, diversa-mente da altre zone del Piemonte, significa-tive presenze di fotografe. In provincia (nellasua attuale estensione geografica, Bielleseescluso) esistono almeno tre avvenimentichiave, antecedenti l’apertura dell’agenziafotocronistica, in cui l’apporto determinan-te delle donne fu mediato da obiettivi esclu-sivamente maschili: la conquista delle ottoore di lavoro da parte delle mondariso nel1906, ripresa dal fotoamatore Andrea Tar-

chetti; lo sciopero alla Manifattura lane diBorgosesia del 1914, cui fa riferimento unaserie di cartoline pubblicate da un anonimo(perciò, quand’anche donna, senza identi-tà né dignità autoriale); la Resistenza, capil-larmente documentata da Luciano Giachet-ti nel 1944-45, assistito - ancora una volta amargine - dalla partigiana Kira.

Ciò premesso, tornando all’iniziativa, ènecessario chiarire un secondo aspetto fon-damentale. Fra le numerose ricerche svilup-pate autonomamente dai Fotocronisti Baita(spesso sfociate in mostre prodotte dallastessa agenzia), non esiste un’indagine si-stematica sulla donna, a esclusione di quellacondotta sulle mondariso, concepita peròcome un sottoinsieme di un più ampio pro-getto sul lavoro rurale. La mancanza di in-dicazioni “autografe” riguardo all’argomen-to non presuppone automaticamente cheGiachetti e collaboratori non disponesserodella sensibilità o dell’interesse necessarialla trattazione del femminile, ma obbliga lostudioso contemporaneo a fare i conti conla natura occasionale di certi scatti, a iso-larli e riorganizzarli secondo criteri diversi olontani dagli autori, a percorrere forzatamen-te la via dell’interpretazione.

Nelle immagini selezionate, a complicarel’analisi del materiale e delle intenzioni chelo produssero, contribuiscono tanto la vo-lontà dei professionisti vercellesi di espri-

LAURA MANIONE (a cura di)

Sguardi alla pari

Immagini dei Fotocronisti Baita

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Laura Manione

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mersi con un linguaggio al tempo stessospontaneo e rigorosamente scevro da con-dizionamenti (sviluppato per reazione allerestrizioni fasciste), quanto la loro incapa-cità di resistere a modelli iconografici obso-leti, adottati dalla fotografia fin dai primi annidella sua messa a punto.

A partire dai ritratti. Se in quelli eseguitiin strada si riconosce tutta la freschezza deiFotocronisti Baita, scaturita ogni qualvoltafosse capitato loro di poter instaurare unrapporto confidenziale e paritario con i sog-getti, squisitamente giocato sulla complici-tà degli sguardi, in altre occasioni non sipuò far a meno di verificare i limiti di unaformazione intaccata (fortunatamente inmaniera parziale) dagli stereotipi prodotti dauna società tendenzialmente maschilista odalla tradizione pittorica ottocentesca diuguale estrazione. È il caso della famiglia diimmigrati ripresi in cucina in una composi-zione piramidale che ne sottolinea i ruoli: lamoglie (madre) seduta, impegnata a imboc-care la figlia, l’uomo (capofamiglia) in piedi,nell’atto di supervisionare la scena; all’artevisiva del XIX secolo s’ispirano invece lesignore in abito da sera che posano coneleganza nel salotto buono. Esempi limite,in apparenza diversi per ambientazione e for-ma espressiva, che relegano comunque ladonna all’ambiente strettamente casalingo.

Maggiormente articolata si rivela la lettu-ra delle immagini dedicate al lavoro. Comesi è già detto in occasione di altri eventiorganizzati dall’Archivio, i Fotocronisti Bai-ta si prefissero (per personale vocazionedocumentaristica) ed ebbero modo (tramitei servizi su commissione) di censire fotogra-ficamente le realtà produttive e occupazio-nali del Vercellese. Due sono gli elementi checonvergono in questo capitolo, ricco dicomparse femminili: l’oscillante concezionedei fotografi, a cui si è già fatto riferimentonelle righe precedenti, e le preclusioni car-

rieristiche imposte dal clima culturale delPaese, indipendenti quindi dalla volontà de-gli autori.

Se si escludono l’esiguo gruppo di imma-gini di fabbrica e la fotografia delle donnepoliziotto, fino agli anni sessanta (ovveroal periodo di maggior operatività dei Foto-cronisti Baita) più che di donne al lavoro sideve fatalmente alludere a lavori “da don-na”, trascrizioni pratiche di economia dome-stica, materia da cui nessuna studentessapoteva essere esonerata. “Sguardi alla pari”ne fornisce una panoramica esauriente. Fratutte, segnaliamo la serie relativa all’Istitu-to Sacro Cuore, vero e proprio compendiodei mestieri cui la donna avrebbe dovutoaspirare. Non si contano poi, in archivio, lefotografie di dattilografe, sarte, cuoche,centraliniste, maestre oppure ostetriche einfermiere spesso radunate intorno al medi-co, quasi a rimarcarne una “naturale” subor-dinazione. A questa logica non sfuggononeppure le coltivatrici dirette radunate au-tonomamente in convegno (1966), ma sedu-te al tavolo dei conferenzieri a fianco di col-leghi (o soprintendenti?) maschi.

Rimanendo in ambito rurale, merita uncenno a parte l’ampia sequenza del 1950 chedescrive la vita delle mondariso. Queste im-magini, attraverso un linguaggio rigoroso,di stampo neorealista, scardinano il carat-tere oleografico di rappresentazioni appar-tenenti al passato e risarciscono i danni dellacensura fotografica operata dal regime neiconfronti delle mondine, personaggi ribellie scomodi, al tempo stesso incompatibili conla politica di sbracciantizzazione ed essen-ziali al funzionamento della filiera risicola,incentivata perché meno onerosa della la-vorazione del frumento.

È sembrato opportuno inoltre includere inquesta sezione, come simbolo di una foto-grafia che ammicca esclusivamente al pub-blico maschile, tre ritratti di ballerine di va-

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Sguardi alla pari

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rietà, appartenenti a una lunga serie in cui icostumi di scena lasciano gradualmente ilposto a succinta biancheria intima.

In conclusione, si può sostenere (poichéin larga parte è vero) che il diradamentodella produzione fotografica negli ultimidecenni di attività dell’agenzia di Giachetti,non permetta di annotare i cambiamenti av-venuti nella società vercellese in favore del-l’emancipazione professionale; pur tuttavia,fa riflettere il fatto che l’ultima immagine dilavoratrici, datata 1986, continui a rappre-sentare un gruppo di maestre d’asilo.

Nonostante all’esperienza fotografica re-sistenziale di Giachetti non corrispondaun’adeguata descrizione dell’apporto fem-minile alla lotta di liberazione, già dall’imme-diato dopoguerra si può reperire una discre-ta quantità di materiale riguardante l’impe-gno politico e sociale delle donne. Interes-sati a sottolineare la coralità della parteci-pazione alla ricostruzione dello Stato, i Fo-tocronisti Baita non lesinarono inquadratu-

re alle protagoniste di quella straordinariastagione storica. Ecco allora susseguirsidonne nell’atto di esercitare il diritto al voto,tenere comizi, manifestare per migliorare lecondizioni salariali.

Doverosamente incluse nella stessa cate-goria, le donne che praticavano il volonta-riato nelle sue manifestazioni più eteroge-nee: dalla Croce rossa alla cooperazione, dal-la Chiesa alla prevenzione della poliomieli-te, fino all’organizzazione di sagre rionali.

Chiude l’esposizione e il volume una bre-ve ma eloquente carrellata di sport che, si-gnificativamente, si apre con due immaginidi lotta libera (1946), disciplina per consue-tudine frequentata da uomini. È dunque lafotografia sportiva, costruita intorno al-l’esclusiva raffigurazione della prestazioneatletica, a non ammettere distinzioni né di-scriminazioni sessuali; a rivelarsi, pur contutta la sua leggerezza, postazione privile-giata da cui intravedere finalmente una li-nea di traguardo.

Le fotografie in questo articolo e nel precedente sono di Luciano Giachetti - FotocronistiBaita. © Archivio fotografico Luciano Giachetti - Fotocronisti Baita (Vercelli). Riproduzionevietata.

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Madre con i suoi tre gemelli, Vercelli, 1987; Ostetriche, Vercelli, 1950

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Sguardi alla pari

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Lavandaie, Quinto Vercellese, 1952; Istituto Sacro Cuore, Vercelli, 26 marzo 1953

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Laura Manione

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Stiratrici dell’Ospedale, Vercelli, 1960/62; Convegno di coltivatrici dirette, Vercelli, 1966

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Sguardi alla pari

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Convegno di maestre d’asilo, Vercelli, 1986; Mondine, Vercellese, giugno 1950

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Crocerossine, Vercelli, 13 maggio 1956; Gara di atletica, Vercelli, 1952

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saggi

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Nel settimo decennale dello scoppio del-la guerra civile spagnola gli Istituti per lastoria della Resistenza di Torino, Novara eVerbano-Cusio-Ossola, Vercelli e Biella han-no organizzato, in novembre e dicembrescorsi, un ciclo di incontri (Biella, Torino, Va-rallo e Novara) di presentazione del volumea cura di Italo Poma “Impararono a osare.Anello Poma, un internazionalista dallaGuerra di Spagna alla Resistenza nel Bielle-se” e del dvd allegato “Autobiografia in vi-deo tra passione e militanza politica”, regiadi Gianfranco Pancrazio, editi dall’Istitutopiemontese.

La retrospettiva filmata della vita di Anel-lo Poma è lo snodarsi di un percorso politi-co che ha nella guerra di Spagna l’acme e lasvolta decisiva. Il ventiduenne attaccafilid’mouliné (silenziose “mani d’oro” al bovo-lo dell’aspo dalla capecchia liscosa), espa-triato come migliaia, decine di migliaia di altrigiovani provenienti da ogni parte del mon-do per combattere in difesa della Repubbli-ca spagnola, matura nei tre durissimi epicianni della guerra civile la cognizione politi-ca e le capacità militari che faranno di lui ilcapo riconosciuto della lotta di liberazione

locale: commissario generale del Raggrup-pamento divisioni “Garibaldi” del Biellese.

Militante comunista, poi sindacalista se-gretario della Camera del lavoro di Biella dal1955 al 1961, aperto alle trasformazioni econtraddizioni del mondo contemporaneo,alle sue nuances, al paradosso della minac-cia e dell’ambiguità insito in ogni apparen-za, lontano da schematismi ideologici e inpari tempo sollecito alle istanze dei giovaninon rassegnati a far da figuranti in una lo-gica oligarchica di mera gestione dell’esi-stente, come documenta il volume che ac-compagna il video (prefazione di ClaudioDellavalle, interventi del curatore, di GianniPerona e di Nedo Bocchio, testimonianze diWilliam Valsesia, Argante Bocchio, CarlaGobetti, Brunello Livorno e Giuseppe Nico-lo), Poma fu lucido disincantato testimonedelle proprie esperienze proletarie. A lui sideve se fu prodotta la prima monografiascientifica sulla Resistenza nel Biellese,scritta a quattro mani con lo storico Perona1,a cui fece seguire la ricognizione biograficadegli antifascisti piemontesi e valdostaninella guerra di Spagna2.

La memoria della guerra di Spagna, hysto-

FRANCESCO OMODEO ZORINI

Anello Poma, un operaio biellese tra guerra di

Spagna e Resistenza

1 ANELLO POMA - GIANNI PERONA, La Resistenza nel Biellese, Parma, Guanda, 1972.2 Antifascisti piemontesi e valdostani nella guerra di Spagna, Torino, Centro Studi Piero

Gobetti, 1975.

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Francesco Omodeo Zorini

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ria y lejenda, compenetrò la sua riflessionematura e i racconti come fuoco non sopito.Va da sé che la rievocazione di Anello ha vo-luto essere un omaggio dovuto ai piemon-tesi che combatterono nelle Brigate interna-zionali. Far rinvenire la memoria, aprire unaporta nella profondità del tempo è doverecivile e politico perché essa “è la vita - ciammonisce Pierre Nora - la vita portata a-vanti dei gruppi viventi, e, a questo titolo,si trova in un’evoluzione permanente, apertaalla dialettica del ricordo e dell’amnesia [...]La storia è ricostruzione sempre problema-tica e incompleta di ciò che non esiste più”.

A Novara l’incontro è stato ospitato, nonsenza valenza simbolica, all’Istituto Omar -nobile e antesignana istituzione d’istruzio-ne tecnica della città - in cui insegnò il padrenaturale dell’estensore di queste note, inge-gnere progettista e costruttore di aeroplaniche l’Italia fascista impiegò nell’aggressio-ne alla Repubblica spagnola. Al proposito,diciamo d’entrata che mette conto menzio-nare Durango, ancor prima di Guernica im-mortalata da Picasso, villaggio basco neldistretto industriale tra Bilbao e San Seba-stian bombardato dall’Aviazione legionariaitaliana per fiaccare la resistenza di popolo:bombe da 500 libbre, prime bombe su civilinella storia con effetto terroristico il 31 mar-zo 1937. Primato nazionale nel terrorismo distato praticato su popolazioni inermi, sporttrendy molto in voga oggi. Durango: quasiquattrocento morti e altrettanti feriti su no-vemila abitanti. Padre Rafael Billalabeitiaseppellito dalle macerie della chiesa insie-me a quaranta fedeli mentre stava offrendoel Santisimo Sacramento del altar.

Far conoscenza è l’esatto contrario del-l’adulterazione dei fatti, opinioni appiccicatecon la saliva per fomentare inimicizia, vele-nosa contraffazione: rimuovere, ridimensio-nare, cancellare, aggiungere, abbellire. O-biettivo principale la volgare omologazione:

i nostri avversari antifascisti erano ancheloro come noi, stesse debolezze, stesse bas-sezze. Giù tutti nello stesso fango. Far cono-scere invece, affilare la parola contro l’affa-bulazione del discredito, a ridosso di mi-tologie tese a demolire culti orgogliosamen-te levigati, inscalfibili, induritisi in certezzainviolabile. Per contrastare bufale tenden-ziose d’infamie confezionate ad arte in ma-lafede, imbroglio di leggende metropolita-ne insinuanti, scoop, mensonges menzogne.Mai arrendevoli abbassare la testa di fronteai fascisti, mai tregua al nemico. Il che nonva scambiato per pulsione di vendetta. Que-sto è sostanzialmente il tentativo di ripristi-nare l’impossibile condizione antecedentel’offesa. La vendetta danna, è incapace dirisarcimento anche quando distrugge l’altroe può sembrare una compensazione. L’odioci inchioda a ciò che ci ha offeso, blocca ilflusso vitale, ci si rivolta contro.

All’Omar (plasticità degli eventi simboli-ci) ebbe modo d’insegnare anche uno deipadri putativi di chi scrive: Alessandro Boca“Andrei”, contadino della Cacciana di Fon-taneto d’Agogna, il quale diciassettenneascolta Radio Barcellona in quella piccolapatria del proletariato nemmeno segnatasulla carta, luogo della memoria, villaggiomesso a ferro e fuoco dai nazifascisti nel ’44,che ha dato forse più anni di carcere e confi-no da parte del Tribunale speciale fascistache tutta la provincia messa assieme. Andreicomandante della leggendaria brigata “PizioGreta”, campione dell’incessante guerrigliadi movimento al piano nella baraggia nova-rese. Andrei laureato ingegnere nel 1950, alcompimento degli studi intrapresi dopo laLiberazione, nei Convitti scuola della Rina-scita, originati tra i garibaldini dei nostri ter-ritori. Storia di emancipazione e di pensiero.

Del libro, gioiello da regalarsi, hanno det-to il curatore e Argante Bocchio “Massi-mo”, comandante della XII divisione “Nedo

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Anello Poma, un operaio biellese tra guerra di Spagna e Resistenza

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Pajetta” del Biellese a latere di Poma, divi-dendosi il compito di tratteggiare l’uno l’in-ternazionalista di Spagna e l’altro l’operaioassurto alla guida della lotta contro il nazi-fascismo nella sua terra di telai. Il libro nonè soltanto il risarcimento a un fratello mag-giore, a un battistrada di alta statura umanamodello di dignità, è un documento coraleappassionato messo a punto dal figlio Ita-lo, che ne traccia una biografia il più possi-bile asettica, proprio per non cedere alla ten-tazione dei sentimenti, lui che porta il nomedi “rivoluzionario professionale” del padre,un padre scartato al servizio militare checombatterà da volontario - lezione di Gari-baldi - due guerre antifasciste (stessa sortetoccata a Giovanni Pesce “Visone”, mai sta-to sotto la naja eppure uno dei tanti “sol-dati senza uniforme”, come si racconta nelsuo libro del 1950, capo dei gruppi di fuocodi città a Torino e a Milano). Antimilitaristiper vocazione datisi d’istinto appuntamen-to per fare una guerra e divenuti miliziani sulcampo. Ma si potrebbe dire del saggio di Pe-rona che si addentra, tra l’altro, con la rico-nosciuta competenza nel concetto di “qua-dro di partito”, termine mutuato dal francesecadre: cornice non... quadro e quindi ruolo,struttura, viene dalla prestigiosa école d’am-

ministration e dall’organizzazione militaredi derivazione rivoluzionaria giacobina enapoleonica. Altrettanto meriterebbe intrat-tenere sulla serrata testimonianza di Massi-mo e su quella commossa di suo figlio Nedo.

Del superbo video - un lungo incalzantecuéntame como pasò raccontami come andò- a buon diritto, come dicevano i greci, epo-

pea ossia narrazione in versi per aedi poeticantori - in cui Anello con pacatezza e obiet-tività disfrena e aggueffa dalla sbroglia in-torcinati fili pendenti e ne tesse il vivissimoponsò - è stata ascoltata vista purtropposolo una piccola parte, attirando in partico-lare l’attenzione dei convenuti intorno al-

l’unità di tono, alla padronanza della parolaal servizio del pensiero sulle labbra di unoperaio (si pensi a Gorki de “Le mie univer-sità”). Operaio che ignora cosa sia l’affan-no, il fiato corto della testimonianza. Parolae pensiero inscindibili dall’azione: lezione diMazzini.

Non si può non sottolineare la prospetti-va di dimensione europea dell’iniziativa,sostenuta dal Consiglio regionale del Pie-monte (per il quale ha portato il saluto PaoloCattaneo), su uno dei vencidos de la desper-

dida uno dei vinti della sbaragliata Repub-blica democratica. Legittimamente eletta evilmente attaccata con la sedizione di Me-lilla dell’8 luglio 1936 (la stessa isola che oggidivide nord e sud del Mediterraneo-mondoper i migranti della morte). “Cielo sereno intutta la Spagna” era l’anfibio messaggio ci-frato da Radio Ceuta de los quatros gene-

rales felloni: Millàn-Astray, Mola, Queipode Llano, capeggiati dal generalissimo Fran-co, “scelto dalla grazia del Signore” per sal-vare la Spagna dal marxismo, costi quel checosti, anche si dovesse fucilare mezza Spa-gna. “Adelante! Andate a scavare le fos-se!”. Purchessia.

Anello Poma, uno della moltitudine digenerosi accorsi in difesa del fronte popo-lare repubblicano che aveva cominciato adare alla Spagna: la terra ai contadini, cosae casa pubblica, scuola laica, misure socialie autonomia locale. Centoventimila italianimandati dal duce e da suo genero Ciano,ministro degli Esteri, a sopraffare in armi, go-mito a gomito ai nazisti, Espana libre, re-

pubblicana y socialista. “Bisogna farla fi-nita coi rossi prima che i rossi la faccianofinita con la Spagna: i prigionieri si dannoalla dolce vita, i maestri fanno sloggiare ipreti dalle scuole, le donne votano come sefossero uomini, il divorzio profana il sacrovincolo del matrimonio, la riforma agraria mi-naccia il diritto della Chiesa sulle terre...”.

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Francesco Omodeo Zorini

110 l’impegno

Echar al olvido, relegare nell’oblio è ilprecetto che vige nella Spagna di oggi, re-

sirò sospetto. Echar por el suelo, buttarealle ortiche, calpestare denigrare (que es lo

mismo), in un pacto de silencio, quello chei francesi chiamano conspiration du silen-

ce della classe politica, nell’impunità del re-gime garrotatore del “generalissimo”, lun-go il tormentato corso dell’interminabiletransizione dalla dittatura alla democraziache ha vissuto il paese iberico, nel quale -nonostante gli stivali delle sette leghe in-forcati da Zapatero - val la pena ricordare ètuttora tabù la satira alla Corona. È neces-sario infatti, tanto per non sovvertire la sto-ria, prendere in considerazione il percorsoinverso della Spagna rispetto all’Italia: dal-la democrazia alla dittatura, col feroce tiran-no deceduto nel proprio letto, mentre qui siè andati dalla dittatura alla democrazia at-traverso la Resistenza libertadora.

La storia fa il suo giro, ma il cerchio ine-sorabilmente rimane aperto: in Spagna stentatuttora a decollare il dibattito storiografico,a differenza del cinema, della letteratura edell’arte, che assolvono, come spesso suc-cede, alla loro funzione con coraggio, pas-sione, estro, agudeza. Fin l’estremo eremodi Cuenca de la Mancia (di cervantina a-scendenza) lo testimonia, coi suoi artisti infuga dalla falange, ciudad antigua encan-

tada artigliata come avvoltoio sull’orlo delbaratro, velata di nieblina llorona, sottilenebbia piovigginosa, eppure pervasa da im-peto da gavazzante baraonda balcanica.Scrittori in esilio volontario dal proprio pae-se: Alberti, Guillen, Altolaguirre, Salinas...

Dalla metà del Novecento il ruolo dell’in-tellettuale “pubblico” non è più quello dispiegare una verità incomprensibile allemasse, né di mettere in piedi un’egemoniasulla base della libertà e della ragione illu-minata dei pochi, ma è quello di lottare con-tro le forme del potere utilizzato come stru-

mento di dominio, per rompere la catena de-gli errori, dell’omertà, dell’insordescenza.Responsabilità significa adeguatezza a darerisposte, additare la strada maestra e aiutarea imboccarla, compierla insieme prendendo-si per mano, al passo dei più deboli, nontanto perché vogliamo essere buoni, ma per-ché la nostra aspirazione è essere felici. L’e-tica ha a che fare con l’estetica piuttosto checon la politica. Il bene con la bellezza. Re-sponsabilità è dare il proprio contributo di-retto a schiudere alla speranza di cambia-mento.

E poi citazione per tutti è l’opera di JavierCercas con la metafora de “I soldati di Sala-mina” (il cui protagonista è Miralles, comu-nista percosidire “di carta”, data la fragilitàdisarmante nell’umile grandezza): al paridegli uomini di Temistocle nella battaglia di2.486 fa, difendono (e lì vincono!) la demo-crazia greca dalla strapotente flotta imperialedi Serse.

Similmente i combattenti repubblicani delFronte popolare, gli internazionalisti convo-catisi da cinquantré paesi, democratici sen-za bandiera e aggettivi, repubblicani del-l’edera e repubblicani rossi, liberalsocialisti,mazziniani intransigenti, libertari, anarchiciinsurrezionalisti, socialrivoluzionari, radical-nihilisti, comunisti come Poma (biellese manovarese, è infatti l’antica provincia di No-vara che proprio nel Biellese già nel 1854,vivente Marx, pochi anni dopo il suo “Ma-nifesto dei comunisti”, stupisce l’Europa in-tera con una delle più importanti lotte dellavoro, certamente la prima in Italia per pro-porzioni e livello di coscienza politica). Il fi-latore Poma del lanificio Rivetti & Bracco,licenziato e schiaffeggiato dal padrone, at-traversa la Francia con permesso turistico,senza esitare a recidere ogni legame affetti-vo dietro di sé, nessuna protezione alle spal-le, fino in Spagna, a prendere le difese og-gettivamente di che cosa se non della civil-

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tà liberal-democratico-parlamentare e delprincipio di autodeterminazione di tutti ipopoli interni ed esterni alla Spagna aggre-dita da nazismo e fascismo nell’imbelle as-senteismo, nell’afasia capitolarda delle de-mocrazie borghesi europee? Piccoli grandiuomini che si sono tentati, controtempo efuorivia, nell’improba impresa di mettere inasse l’asimmetria del diritto rispetto alla bru-talità della violenza. Eleutheros: liberi insenso civile, coloro che smettono di esserein servitù volontaria staccandosi dalle coseche non hanno niente a che vedere con lasalvezza.

Se si guarda indietro lungo un secolo,ogni disfatta ha i propri sconsigliati “Facta”privi di carisma, volti senza sembiante comequelli di Grosz. Una storia che pesa addos-so. Allora meglio non vedere dove si va cheandare soltanto fin lì dove si vede, quasi cheil tempo con al centro le loro e le nostre viteintrecciate fosse passato inutilmente. Osa-re, come dice il titolo del libro, osare il tuttoper tutto, oltre quello che vediamo. Sappia-mo a mente che il più delle volte, quandonon si può fare a meno di mandar tutto all’a-ria, è per non finire gambe all’aria. L’ultimaparola pronunciata da Argante Bocchio nelsuo intervento al calor bianco nella serataall’Omar è stata drammaticamente, quasiuna presa di congedo, la parola “sconfitta”,misurare una sconfitta; severità di linguag-gio scandito: “Noi donne e uomini della Re-sistenza siamo stati sconfitti”. Con le spal-le al muro. Fallimento storico del ceto poli-tico nato dalla lotta partigiana? Uomini d’a-zione del “vento del nord”, combattenti diuna loro autonoma guerra dentro la guerra,dalla passione politica “non governativa”,peraltro nemmeno molto amati dal “miglio-re”, avvezzo a contornarsi dei più affidabilie navigati uomini di apparato.

Una dura lezione per l’oggi ci manda achiare lettere la storia di settant’anni fa. Stap-

pa il filtro ceroso della memoria fatta di strap-pi, colature, spiaggiamenti di massa, giun-zioni e incastri, restituisce l’oggettività diuna presenza trasfigurata mitizzata neutra-lizzata. Fa risuonare precise analogie con lanostra contemporaneità. Muore dopo undi-ci anni di carcere Antonio Gramsci, ancor-ché costretto a diventare suo malgrado ilpensatore della sconfitta: guerra di posizio-ne e guerra di movimento il nucleo centraledella sua elaborazione. Cercare: anagrammadi carcere. Sconfitta della rivoluzione in Ita-lia, della Rivoluzione d’ottobre in UnioneSovietica e nell’Internazionale comunista,sconfitta della democrazia borghese capita-listica in Europa. “Io sono un combattente,che non ha avuto fortuna nella lotta prati-ca”. Gramsci costretto dietro le sbarre a farei conti con l’ambiguità italiana: da un lato lacongenita debolezza politica della sua sto-ria, dall’altro lato il paese - come ha dettoMario Tronti, oratore ufficiale a Montecito-rio commemorando Gramsci - forse più po-litico del mondo, che con Machiavelli, ilgrande uomo del Rinascimento, ha inven-tato la politica per la modernità. Anche Ma-chiavelli, nota Tronti, “dietro la stagionemagica che, fra Trecento e Quattrocento,aveva visto svolgersi quella stagione lan-cinante fondativa della nostra successivanatura, la contraddizione tra una storia d’Ita-lia, ancora molto lontana dal presentarsi co-me tale, e una poesia, una letteratura, un’ar-te, una filosofia, già italiane, in forme dispie-gate e mature, con in più, una naturale voca-zione universalistica; quello che Pico dice-va, Piero raffigurava, ecco Machiavelli vie-ne fuori da qui, l’invenzione della politicamoderna viene fuori da qui: dal contestostorico tra Umanesimo e Rinascimento, diqui la nobiltà del suo codice genetico”.

Un mese dopo Gramsci vengono assas-sinati da spie prezzolate della Cagoule fa-scista i fratelli Rosselli, mandante Galeazzo

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Francesco Omodeo Zorini

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Ciano, lo stesso che aveva ordinato Duran-go (ma non si era parlato di dedicargli unavia in Roma, all’epoca della giunta Rutelli oricordiamo male?). Carlo Rosselli, dall’“ac-cademia dell’esilio”, dall’“emigrazione ita-liana tornata ad essere fatto vivo e presen-te nella storia italiana”, fa in tempo a com-memorare Gramsci: “L’ideale, lo si serve enon ce ne si serve. E, se necessario, si muo-re, con la semplicità di un Gramsci, piutto-sto che vivere perdendo la ragione di vita”.Ciascuno a perder la vita per guadagnarse-la. “Oggi in Spagna, domani in Italia”, indi-viduando nella guerra civile spagnola “laguerra di tutto l’antifascismo”.

Le ceneri non restano mai sterili, infrut-tuose. “Ad ascoltarli, i morti, la storia la rac-contano”, constata Mimmo Franzinelli, rico-struendo pezzo per pezzo l’eccidio dei Ros-selli3. La pluralità del lutto condiviso si po-pola di presenze che si temevano perdute.

Allora perché parla a noi la storia di set-tant’anni fa? Perché rinchiusi in irrespirabi-li feudi comunitari, mangiatosi il futuro pez-zo per pezzo, siamo ridotti da cittadini a stolticlienti spettatori, in un sociale indifferenzia-to subito e assunto come potente inelutta-bile narrazione, narrazione dei media edifi-cante il reale, in cui persino il negativo tro-va collocazione a rendere per contrasto piùfulgido il positivo. Impotenti e rinunciatariin uno a frenare quella sorta di slavina diconservatorismi, tradizionalismi e inediti as-setti ordinativi-autoritari di governance checi sta franando sulle spalle. Fare harakiri

in forsennata apologia di mercato (dei pa-droni predoni), officiato quale assetto mi-rabile di un ordine naturale immodificabile,act of God atto di Dio. Realismo conservato-re, dispotismo dello stato di cose esistente,

la forza delle cose eletta a dogma, adesionemimetica da basso impero, ancillare alla real-tà fattuale che identifica democrazia con ca-pitalismo da amministrare con dispositivid’imperio nella democrazia dell’opinione,della seduzione della fede pubblica.

Democrazia della réclame: a furia di sen-tircele rintronare negli orecchi si finisce colcrederci, col paradosso che finiscono colcrederci persino quelli che le mettono in cir-colazione le promesse da marinaio, al puroscopo di turlupinare i loro sottoposti, cioènoi, oggetti di decisione, carne da voto. Ipartiti-satrapi, e i loro attachés con codaz-zo di venali attorney, grands commis à coté,yes man, suiveurs, paperassiers caricati amanovella, si assegnano il compito di farlenient’altro che da cassa di risonanza perintercettarne, strizzando l’occhio, il consen-so elettorale, presto meramente elettronicovirtuale. Indifferenza o inabilità a ribattere auna crisi di legittimazione se non arrabattan-dosi a nasconderla, omologandosi, giusti-ficandosi, autoassolvendosi, in tutto similia mascalzoncelli pantalons courts colti inflagrante col dito nella marmellata senza at-tenuanti.

Accampati nella radura dove i sentieri sisono interrotti, dovremmo tutti posporre ildiritto di ridere al dovere di piangere. Assi-stiamo intorpiditi in silenzio assenso alla li-quefazione delle certezze storiche dellamodernità: lavoro, morale, storia, pace; allosfaldarsi della fiducia nelle protezioni forni-te dalle sue tradizionali istituzioni: famiglia,stato, scuola, fabbrica.

Molto ci illuminano al proposito le pagi-ne di Etienne Balibar sull’estremismo di cen-tro. Esso poggia su una validazione tauto-logica: la presunzione che in un “paese ci-

3 MIMMO FRANZINELLI, Il delitto Rosselli. 9 giugno 1937. Anatomia di un omicidio po-litico, Milano, Mondadori, 2007.

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vile”, in un paese cosiddetto “normale” laposizione moderata, sia per definizione de-cretale, maggioritaria. Stanza cui sono statiposti i sigilli. Non si entra. Parole feticcio: latautologia è che è maggioritaria perché mo-derata e, viceversa, moderata perché mag-gioritaria. Un double bind, non se ne escese non tagliando il nodo. Si corre il pericolodi restarne a gola stretta.

Gramsci Rosselli la Spagna definitivamen-te interrati adesso 2007.

Spagna ieri. Sappiamo che in Anello Pomae nelle centinaia di migliaia di suoi compa-gni di cammino meritevoli ed eroici che ilmondo ha conosciuto e dei quali si fa van-to, la nostra storia è soggettivamente bla-

goveshensk annunciazione, il sogno di ri-scatto dall’oppressione padronalfascistaall’insegna della “patria sovietica sociali-sta”, che di socialista, di uguaglianza giu-stizia e libertà, di krasnaij rosso, di rabocij

operaio, sotto la cappa di acciaio bronzo epiombo di Stalin, ha ben più poco o ormaipiù nulla, ma la storia non si fa col senno dipoi, non si fa coi se e coi ma.

Noi meticolosi maestri elementari allievi diRodari conosciamo a menadito l’uso del me-tagramma (cambiare una lettera a una paro-la per farne un’altra di senso compiuto),l’uso dell’epentesi (inserire una lettera inuna parola per farne un’altra di pieno signi-ficato). Se/no danno appunto senno, sen-no di poi, ma la storia si fa con la ricerca, lostudio, la documentazione e il suo crivelloattraverso paradigmi critici, scepsi e conte-stualizzazione lontani dall’agiografia. Noncon la spettacolarizzazione mediatica-me-dianica. Il passato è già là, per ciò solo me-rita attenzione e rispetto; su di esso ci sfor-ziamo con intelligenza individuale e collet-tiva, con deontologia e strumenti scientifi-ci, che vuol dire innanzitutto energia etica,di far emergere pallidamente aleteia verità,vale a dire ciò che per principio non si sot-

trae. A fatica ci studiamo di gettarvi debolisprazzi di luce, fune tesa tra le leggi della me-moria e l’oblio, è lavoro in fieri senza posa,un non-finito per antonomasia che ha peròdei paletti fermi. È disonesto fare storia conla clava del revisionismo negazionista peropportunismo di fazione, pigliando come dauna discarica la seggiola o il tavolo sgan-gherato che possiamo riassestare, quandoci fa comodo, lasciando ammonticchiato àla poubelle al macero, quello che non ci ap-passiona, non ci va a genio. Talquali a sol-dati di ventura che si abbandonano al sac-cheggio. Tantomeno la si fa correttamentecol cerchiobottismo, col rovescismo dell’an-ti antifascismo.

Una e cento volte dovremmo domandarciperché a difendere la memoria dei comunistisiano rimasti o persone che non sono maistate comuniste (si pensi a Bocca, per esem-pio, a Colombo, Santoro) o chi, venti e piùanni prima della caduta del muro di Berlino,in tanti casi poco più che muchacho, avevaavuto la temerarietà di bruciare i vascelli,talvolta pubblicamente e per di più istituzio-nalmente, precludendosi, guarda un po’,carriere privilegi potere prebende vitalizi;“prerogative” le chiamano gli spudorati.Senza bottino, senza prendere nulla per sé -mani nude pulite e soprattutto, soprattuttovuote (Para todos todo, nada para nos-

otros, lezione del Che) - ma non ha mai rin-negato né salcielo potrebbe rinnegare nel-l’ora presente (sconfitta non implica resa,una resa politica incondizionata) gli idealidi una repubblica platonica di libertà e giu-stizia, della fine dello sfruttamento, del ribal-tamento del lavoro alienato. Il che può es-sere ingenuo infantile fuoritempo o utopi-co, ma non è né criminale né complice di cri-minali.

Ciò vale maggiormente per Anello Poma:seppe essere un comunista quando esser-lo voleva dire mettere avanti a ogni cosa

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Francesco Omodeo Zorini

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una concezione del mondo e dei rapporti tragli esseri umani paritari orizzontali solidali,avendo come divisa un progetto politico-educativo di redenzione. Quando esserlovoleva dire pagare di persona. “Continuatea lavorare nella fede che la sofferenza im-meritata è fonte di redenzione” (San Paolo,II Corinzi, 12,10). Chi scrive ha stampata in-delebile nella mente la sua amarezza conditadi velato sarcasmo all’epoca dell’improvvi-do, per usare un eufemismo, conio del sin-tagma “ragazzi di Salò”, quando a Biella pre-sentò il proprio libro “Una scrittura morale”.

Chi scrive è andato a recuperare la pro-pria agenda del 1974. Alla data del 23 dicem-bre ci sono poche parole d’appunti: il pro-prio figlio di cinque mesi pesa 7 chili e mez-zo... al mattino si ferma a Borgosesia da CinoMoscatelli e mentre mamma Maria è intentaa fare, bell’e d’impiedi, un’iniezione al com-missario politico della Valsesia garibaldina(e gli vede... si può ben immaginare cosa),gli passa furtivamente la fotocopia di unalettera in caratteri cirillici che proviene dalsuo dossier di polizia e che è stata letta pre-sumibilmente soltanto dai secondini del car-cere di Castelfranco Emilia... storia di celledisadorne quella dei comunisti, spoglie, af-flittive, sudari di patimento, tavolacci, bu-glioli, terra battuta... al pomeriggio appun-tamento a Pavignano Biellese da AnelloPoma... minuto magrissimo acuti occhi ce-rulei di uno che sa guardare dritto nel cielo,come dice nella sua affettuosa testimonianzanel libro Carla Gobetti, nei turni di guardiaper attivare uno sguardo sagittale verso im-perturbabili congiunzioni siderali, luce zo-diacale che rischiari la notte.

Va da lui per farsi aiutare nella ricerca suicombattenti volontari antifascisti in Spagnadella nostra antica provincia, la storica pro-vincia ammantata di un’aura di leggenda,non ancora smembrata per ritorsione dalregime e poi una seconda volta per interes-

si di bottega dai politicanti locali prima/se-conda repubblica, destra/centro/sinistraambidestri, ora è un decennio. E anche quipossa valere, e vale, un solo nome per tuttii sessanta e più compagni: Nunzio Guerrini,da Omegna, caduto col grado di tenente aGuadalajara, luogo di una sconfitta dei le-gionari fascisti, comandati da Roatta, adopera degli Internazionali. Mario Roatta, ela catena potrebbe continuare, responsabi-le dei campi di concentramento per interna-ti civili durante l’occupazione della Jugosla-via di Gonars in Friuli, di Arbe (Dalmazia),quattromilacinquecento morti. Lui, scampa-to al giusto processo con la fuga e la com-piacente ospitalità del caudillo, morto nelproprio letto nel ’68 a Roma.

Dall’assassinio dei liberalsocialisti Ros-selli alle stragi di Stato, dei servizi deviati/paralleli/infiltrati/conniventi interni/esterni/asserviti a stranieri multinazionali o lobby,mafiose/malavitose/parafasciste di faida, aipiani golpisti, alle trame segrete e palesi, allestrategie della tensione tra opposti estremi-smi più o meno pilotati, nessun colpevole,nessun mandante. Memoria corta quella deldopoguerra, amputata; mancata punizionedei crimini fascisti, giustizia come optional

(alleato inconsapevole l’amnistia-amnesiaTogliatti). Forse c’è una ragione per un pas-sato che si ostina a non passare e poi noinon vogliamo essere ammessi accatastati aquella necropoli, piano inclinato rugginosoper incagliarvisi rovinosamente, dakhma

dei parsi, torri del silenzio visitate da avvol-toi. Può essere tragico. Non ci stiamo.

Prenderanno così forma e contenuto i trearticoli su “Resistenza Unita” del 1975-76 adopera dell’estensore di questa nota. Versodi essi è stato fin troppo longanime il diret-tore dell’Istituto di Novara e del Verbano-Cusio-Ossola Mauro Begozzi (chi fosse percaso punto da vaghezza può andare a sfo-gliare “Nuova Resistenza Unita”- Speciale

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Anello Poma, un operaio biellese tra guerra di Spagna e Resistenza

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Spagna del gennaio-febbraio 2007 o compul-sare il sito www.isrn.it).

Per quanto ogni nuovo versamento didocumenti intrighi e si tramuti in scoperta.Ultimi esempi la splendida fotografia delrepubblicano federalista verbanese GiorgioBraccialarghe in Spagna o il dépliant del“concerto per solisti” della sezione dellaFgci “Carletto Leonardi” di corso della Vit-toria (la mitica “Zdanov”) per il “Mese del-la Stampa Democratica” del giugno 1950.Eseguono Carla Canevari alla fisarmonica,Guido Bosetto al violino, Isidoro Rabbi allachitarra. Rabbi, a memoria di Bosetto, sareb-be stato combattente nella guerra di Spagna.Tant’è che suonava lo strumento con pizzi-cato da chitarra spagnola a la vihuela, e-stensione tonale soprattutto alle note bas-se, alla flat-top da flamenco, ritmi jewish-

flamenco sublimemente ibrido con schizzifree, scherzi rumoristi anima ebraica Zohar

libro dello splendore, a tratti più rapido sic-ché riusciva a mantenere una sottile venamalinconica sognante. Ricordava la vando-

la, progenitrice della chitarra, ma già unachitarra a cinque corde, talvolta sei...

Qualche punto fermo. La guerra di Spa-gna rappresenta l’anello (toh, come il nomedi Poma!) di congiunzione, pur con tutti idistinguo della distanza temporale e delcontesto, tra la battaglia degli anni 1919-1922 (quella fattasi sì guerra civile, ci diceniente la tardiva medaglia al valore antifa-scista assegnata a Lumellogno “paese nonitaliano”?) contro lo squadrismo agrario-in-dustrial-fascista e la resistenza armata. Laquasi totale provenienza dei combattentivolontari antifranchisti dall’emigrazioneeconomico-sociale-politica europea, speciedalla Francia (mitica emblematica Salle

Pléielle menzionata nella video-intervistada Poma). Conferma della persistenza dellaforza d’urto del movimento operaio e con-tadino novarese.

Ancora un biellese, Pietro Secchia, com-missario generale delle brigate “Garibaldi”nella Resistenza italiana, analizza un cam-pione di circa millesettecento “dirigenti” mi-litari e politici, deducendo che il 10 per cen-to di essi proviene dall’esperienza spagno-la (e non sono tra essi presi in considerazio-ne alcuni, chessò, come Emilio Calderoni oEttore Maffioli e altri non garibaldini, per at-tenerci al nostro caso); si comprende cosìquanto significò per la Resistenza italianal’incunabolo della guerra di Spagna, allaquale parteciparono complessivamente sol-tanto (si fa per dire) quattromila-cinquemilaconnazionali.

Da provinciale a internazionale, AnelloPoma “Italo” (italiano!) ci ha dato commia-to nel 2001 e ci piace figurarci con in boccale parole di Saulo: “Ho combattuto la miabattaglia, ho conservato la fede”. È sepoltoa Biella, avvolto nella bandiera del paese dicui era divenuto - mention honorable - cit-tadino onorario, lui internato alla caduta del-la Repubblica nei campi di concentramentodi Gurs e del Vernet, consegnato nel 1940dai collaborazionisti di Vichy alla polizia fa-scista e tradotto al confino a Ventotene. Re-strizione trasformata in accademia politicad’eccellenza (isola delle Eolie in cui, metteconto ricordare, prese forma l’idea di Euro-pa), insegnanti uomini come Curiel, Terra-cini, Pertini, Jacometti, Li Causi, Secchia, DiVittorio, Longo, Frausin, Scoccimarro...

Mala noche; sen vajan, sen vajan todos!

Salud a tigo companero!

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PAOLO CEOLA

Armi e democrazia

Per una teoria riformista della guerra

2006, pp. 80, € 5,00

Nell’ambito delle relazioni internazionali, i sistemi democratici devono fronteggiare

quattro cavalieri dell’Apocalisse che potrebbero, in un prossimo futuro, causarne

la fine. Le dittature, il terrorismo fondamentalista, di matrice islamica e non, la crisi

del sistema internazionale quale lo conosciamo, nei suoi aspetti giuridici e istituzio-

nali dalla fine del secondo conflitto mondiale, e infine la guerra stessa, costituisco-

no minacce sempre più gravi ed immediate.

Il libro tenta, dopo aver gettato uno sguardo sulle caratteristiche della guerra futu-

ra, di indicare delle soluzioni alternative sia all’ideologia neoconservatrice che al

pacifismo più radicale, ponendosi nell’ottica di una teoria della guerra che possa

risultare praticabile ed effettiva e in grado di salvare la pace senza sacrificare ad

essa le ragioni della libertà e della giustizia.

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in biblioteca

l’impegno 117

Rari sono stati nel dopoguerra i libri sullapartecipazione alla guerra civile spagnoladell’Italia di Mussolini. Il più importante è“I fascisti italiani alla guerra di Spagna”1,dell’americano John F. Coverdale; normal-mente l’intervento viene trattato in forma in-diretta nel più vasto quadro del conflitto.Ora, due libri usciti verso la fine del 2006 ri-propongono l’argomento; si tratta di un’o-pera di Dimas Vaquero Peláez, pubblicata inSpagna e non ancora tradotta in italiano,“Creer, obedecer, combatir... y morir”, editadalla Institución Fernando El Católico di Sa-ragozza, e del volume “I ragazzi del ’36” diMassimiliano Griner, edito da Rizzoli.

L’autore spagnolo suddivide il suo lavoroin capitoli che richiamano il famoso slogandi Mussolini, che è anche il titolo del libro.Nel primo capitolo, “Aggredire per vince-re”, suddiviso in due sottocapitoli, “Creer”e “Obedecer”, esamina le motivazioni chespinsero Mussolini ad impegnarsi in Spa-gna.

La prima è senz’altro l’aggressività checaratterizzò il fascismo, che si espresse nonsolo nel disprezzo delle convenzioni inter-nazionali e delle decisioni del Comitato dinon intervento, ma anche nei confronti diFrancisco Franco che, malgrado fosse con-

trario all’invio in Spagna di truppe stranie-re, in quanto già sotto accusa per l’impiegodi reparti marocchini, fu posto dal dittatoreitaliano davanti al fatto compiuto.

La seconda è l’intento di ampliare il con-trollo del Mediterraneo, denominato dal du-ce “mare nostrum”, in aperto contrasto conla Francia, nonché di bloccare un’eventua-le alleanza tra i due governi di Fronte popo-lare; solo in un secondo tempo, quando co-minciarono ad arrivare le prime navi carichedi materiale bellico dalla Russia, l’interven-to prese una valenza anticomunista.

Occorre ricordare che il governo repub-blicano dell’epoca comprendeva due soliministri comunisti, che alle ultime elezionipolitiche avevano ottenuto alle Cortes 14seggi su 453. L’autore insinua che i primiaiuti dell’Italia non fossero disinteressati ela componente ideologica non c’entrasse,in quanto vennero prontamente pagati siacon l’oro custodito nella Banca di Spagnadell’isola di Maiorca, in mano ai ribelli, cheil 19 agosto 1936 fu trasferito sulla torpedi-niera “Maestrale” e portato in Italia, sia con5.000.000 di lire che il finanziere Juan Marchaveva depositato nella Banca d’Italia di Ro-ma, come testimoniano le ricevute di presain consegna dell’istituto d’emissione.

PIETRO RAMELLA

La partecipazione fascista alla guerra di Spagna

1 JOHN F. COVERDALE, I fascisti italiani alla guerra di Spagna, Roma-Bari, Laterza, 1977.

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Pietro Ramella

118 l’impegno

Mussolini era all’apice della sua popola-rità in patria, la conquista dell’Impero ave-va galvanizzato gli italiani, le sanzioni de-cretate dalla Società delle Nazioni non ave-vano funzionato, il che aveva aumentato ilsuo prestigio tra i conservatori europei. Sa-peva che Francia e Inghilterra temevano diimpegnarsi a favore della democrazia spa-gnola, paventando un conflitto con Germa-nia ed Italia, alleate di Franco, anzi il gover-no conservatore inglese vedeva con preoc-cupazione le riforme previste nel program-ma del Fronte popolare che potevano lede-re i suoi interessi economici in Spagna. Tut-to questo indusse Mussolini ad interveni-re inizialmente con la fornitura d’aerei e re-lativi equipaggi che, con quelli forniti dallaGermania, garantirono la copertura aereaindispensabile al trasferimento dell’Arma-ta d’Africa dal Marocco, truppe che cam-biarono il rapporto di forza a favore dei gol-pisti.

Per supponenza il duce sottovalutò glispagnoli delle due parti; era convinto chesolo un intervento di truppe organizzate, cheavevano dimostrato la loro capacità combat-tiva in Abissinia, poteva favorire una rapi-da conclusione del conflitto. Diede quindiil via libera ad un affrettato arruolamento diun contingente di tremila camicie nere che,dopo un breve periodo di addestramento,furono imbarcate sul piroscafo “Lombardia”con destinazione Spagna, dove sbarcaronoil 22 dicembre 1936. Il loro arrivo diede il viaad una serie di contrasti con gli spagnoli,che si sarebbero ripetuti fin dopo la batta-glia di Guadalajara.

Gli italiani intendevano costituire unità in-dipendenti, sotto il loro comando, autono-mo nelle decisioni strategiche. Tutto que-sto irritò Franco, che non voleva che le sor-ti della guerra fossero decise da soldati stra-nieri, il che avrebbe diminuito il prestigio chestava faticosamente conquistando tra gli

spagnoli. L’essenzialità dei rifornimenti dimateriale bellico dell’Italia però, compresearmi chimiche (iprite, granate di arsina ebombe al fosforo, usate in Etiopia, in segui-to non utilizzate per timore del negativo im-patto sull’opinione pubblica mondiale), loindussero ad accondiscendere alle preteseitaliane.

Con l’arrivo di circa cinquantamila uomi-ni, appoggiati da aerei, cannoni, carri arma-ti ed automezzi, fu costituito il Corpo truppevolontarie (Ctv), al comando del generaleRoatta. A molti degli arruolati non era stataspecificata la destinazione, tanto che moltiritenevano che avrebbero costituito dellecompagnie di lavoro da impiegarsi nell’im-pero appena conquistato. La chiamata ave-va interessato anche militari del regio eser-cito e della Mvsn; il maggiore Faldella, chesarebbe poi diventato capo di Stato mag-giore del Ctv, ricordò che in un’assembleafu chiaramente proposto l’arruolamento peruna destinazione ignota, e che alla stessarisposero prontamente sedici ufficiali e cen-tosessanta soldati. Per questi militari, sicu-ramente anche motivati politicamente, fu disprone la prospettiva d’avanzamento dicarriera in una guerra che si riteneva brevee con scarsi rischi, dovendo combatterecontro milizie di civili impreparati, con l’ag-giunta di un’elevata paga e di un’indennitàdi firma. Un soldato semplice avrebbe per-cepito un’indennità di 3.000 lire di allora(pari a 1.700 euro) più una paga mensile di1.200 lire (pari a 700 euro), cifra che spinsead arruolarsi molti che in Italia erano sottoc-cupati o disoccupati.

La fretta fu cattiva consigliera, perché nel-le selezioni non si andò tanto per il sottile,cosa che si sarebbe in seguito ripercossasull’andamento delle operazioni belliche.Tra i volontari si contarono infatti uominid’età avanzata, con malattie croniche o conpendenze con la giustizia. L’importante era

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partire, partecipare e conseguire una rapi-da vittoria per una maggior gloria dell’Italiae di Mussolini.

Continuando sul tema dell’aggressivitàfascista, l’autore ricorda le repressioni com-piute nell’isola di Maiorca da ArconovaldoBonaccorsi, le azioni di pirateria marittimadei sottomarini italiani contro navi di statineutrali dirette ai porti della Spagna repub-blicana, i bombardamenti aerei sulle cittàindifese. Ma ricorda anche l’agente conso-lare italiano Tranquillo Bianchi, che si pro-digò per strappare alla morte alcune centi-naia di cittadini di Malaga implicati nellasanguinosa limpieza messa in atto dai na-zionalisti dopo la conquista della città. Ag-ghiacciante la descrizione delle fucilazioni.

Vaquero Peláez ricorda la buona acco-glienza riservata dagli spagnoli ai legionariitaliani, di cui ammiravano le perfette divisee le scarpe sempre lucide, mentre i loro con-nazionali non erano così eleganti e aveva-no calzature di fortuna. Molti italiani frater-nizzarono con donne spagnole e nacquerobambini; in molti casi si ebbero matrimoniriparatori, ma molte ragazze si ritrovarononubili con bebè a carico. La presunzione de-gli italiani di contribuire a portare a terminela guerra in breve tempo, aumentata dopola facile conquista di Malaga, fu fatta paga-re alla sconfitta di Guadalajara, con canzonie battute che ricordavano che “gli spagnolianche se rossi erano valorosi” e l’acronimoCtv che diventava “Cuando te vas” o “Cor-ren tuto veloce”.

Nel secondo capitolo, “Combatir negociary morir en España”, Vaquero Peláez riper-corre gli avvenimenti della battaglia di Gua-dalajara, mettendo in evidenza le carenze lo-gistiche e le difficoltà che portarono allasconfitta. Ancora una volta entra in giocola presunzione e la faciloneria con cui l’of-fensiva fu preparata e condotta. Troppi fu-rono gli errori compiuti dallo Stato maggio-

re italiano. Anzitutto non si doveva iniziarel’attacco con un tempo che stava peggio-rando, che impediva all’aviazione legiona-ria di alzarsi in volo e creava alle colonnemotorizzate difficoltà di muoversi su un ter-reno reso infido dalla pioggia. È vero che leavvisaglie di riuscita in un primo tempo era-no buone; le linee repubblicane erano statefacilmente sfondate ed il paese di Brighue-ga, primo obiettivo dell’offensiva, occupa-to, ma a questo punto, considerando il peg-gioramento delle condizioni atmosferiche,sarebbe stato opportuno trincerarsi ed at-tendere un miglioramento per riprendere leoperazioni.

La distanza tra il Comando e le truppe diprima linea (oltre km 80) fu un altro fattoreche contribuì a generare confusione nellatrasmissione degli ordini quando, a sorpre-sa, i repubblicani contrattaccarono contruppe temprate nella difesa di Madrid e dal-la battaglia del Jarama, appoggiate da carriarmati pesanti, artiglieria e soprattutto daun’aviazione che, partendo da aeroportivicini, poteva intervenire con continuità. Ilegionari, bombardati dal cielo e da terra,atterriti dai carri armati e dalla determinazio-ne con cui i repubblicani combattevano, fra-stornati dalla propaganda trasmessa daglialtoparlanti con cui gli antifascisti italiani liesortavano a disertare, affermando che era-no stati ingannati, che erano carne da ma-cello mandata ad uccidere altri proletari co-me loro, dopo aver tentato coraggiosamen-te di opporsi alla superiorità nemica, si di-spersero, abbandonando armi e materiali ecoinvolgendo nella fuga i camerati della ri-serva mandati in loro aiuto.

L’autore, analizzando le perdite delle dueparti, evidenzia come quelle repubblicanesiano state superiori a quelle fasciste, an-che perché all’inizio dell’offensiva vennerotravolte milizie poco organizzate. Da un esa-me comparativo tra i diversi scrittori che si

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sono interessati alla battaglia, derivano datinettamente divergenti sul numero dei cadutifascisti: vanno dai trecentocinquanta accer-tati da Vaquero Peláez, avendo come riferi-mento le tombe curate dall’Archivio com-missariato generale onoranze caduti Spa-gna, ai duemila di Hugh Thomas2. Altro ar-gomento del contendere fu la quantità dimateriale perduto nella battaglia, moltiplica-to da parte repubblicana, ridotto da parteitaliana. Ma la sconfitta, che pure non avevapermesso ai repubblicani di riconquistaretutto il territorio occupato dal nemico, dimo-strò che il duce non era invincibile e da ciòne conseguì anche un mutamento della suapolitica nei confronti di Franco: le unità ita-liane non avrebbero più combattuto auto-nomamente, ma agli ordini dello Stato mag-giore nazionalista. Il Ctv fu riorganizzato,epurandolo di circa tremilasettecento ele-menti ritenuti inadatti, che furono rimpatriati.

Un aspetto però ignorato dall’autore, co-me da tutti gli altri storici finora, è quellodella sorte dei prigionieri italiani. Si sa chefrequentemente i catturati venivano uccisisia da una parte che dall’altra, ma in questocaso la questione è diversa. Il governo re-pubblicano presentò alla Società delle Na-zioni un libro bianco in cui, in centouno pun-ti, denunciava il diretto intervento del go-verno italiano, accompagnandolo con un e-lenco nominativo dei prigionieri, per cui èdifficile ritenere che siano stati uccisi, comeipotizzò Lucio Ceva in un articolo in “Italiacontemporanea”3 attingendo a fonti stranie-re. Da documenti della Croce rossa interna-zionale, che fece da tramite a scambi di pri-gionieri, si deduce che nel 1938 furonoscambiati 433 prigionieri italiani contro 243inglesi (esistono loro fotografie scattate

prima dello scambio), 87 americani, 68 fran-cesi, 11 svizzeri, 10 danesi, altrettanti sve-desi e 4 cileni. Ora, un numero così elevatodi italiani non poteva essere stato cattura-to che nella battaglia di Guadalajara, dovela cifra indicata dai diversi storici oscilla trai trecento ed i cinquecento, compresi però idispersi.

Archiviata la battaglia, l’autore denuncial’ambiguità del governo fascista, che tolle-rò il contrabbando da parte di privati a fa-vore della Repubblica cioè, mentre sostene-va i ribelli, permetteva di vendere al nemicoprodotti quali grano, zucchero, derrate edanche materiali strategici per l’industria bel-lica. L’Italia attuò un doppio gioco, attentaa non incorrere nelle ispezioni degli osser-vatori del Comitato di non intervento. Lenavi delle compagnie di navigazione italia-ne trasportavano soprattutto grano ed orzodai paesi danubiani, zucchero dall’Italia (siritiene che l’80 per cento delle importazionispagnole fossero prodotte in Italia), ma an-che elettrodi per forni prodotti dalla TalcoGrafite Valchisone, manganese ed altro. Va-quero Peláez elenca nomi di piroscafi e del-le rispettive compagnie, porti di carico e sca-rico, date di partenza e d’arrivo, rotte segui-te. Dapprima fu utilizzato il porto di Marsi-glia poi, quando l’intenso traffico cominciòa destare sospetti, le navi cambiarono de-stinazione e toccarono prima porti africani,per poi raggiungere la Francia, da dove lemerci venivano trasportate in Spagna. L’au-tore nelle note riporta a sostegno numerositelespressi scambiati tra i diversi ministeriitaliani coinvolti nel commercio (Affari este-ri, Guerra, Marina, Comunicazioni), nonchéambasciate, consolati e legazioni. Un’ulte-riore preoccupazione fu quella di controlla-

2 HUGH THOMAS, Storia della guerra civile spagnola, Torino, Einaudi, 1963.3 LUCIO CEVA, Ripensare Guadalajara, in “Italia contemporanea”, n. 192, settembre 1993,

pp. 473-486.

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re gli equipaggi delle navi, che a loro voltacontrabbandavano valuta, gioielli o aiuta-vano disertori dell’esercito nazionalista a la-sciare la Spagna.

Altro argomento inedito è quello dell’e-purazione attuata nei confronti degli ufficialiebrei, per effetto delle leggi razziali promul-gate nel 1938 dal governo fascista. Una di-rettiva del Ministero degli Affari esteri di-sponeva il censimento degli ufficiali del Ctv,per rimpatriare quelli che rientravano neicosiddetti cittadini di “razza ebraica”. Ne fu-rono censiti tre, di cui uno, il tenente colon-nello di fanteria Giorgio Morpurgo, capo diStato maggiore della divisione Frecce verdi,insignito in Spagna di tre medaglie di bron-zo, in preda all’angoscia per l’affronto, lanotte del 24 dicembre si suicidò, gettandosidal ponte di Serós; fu decorato di medagliad’oro alla memoria. Un altro alto ufficiale, chenon poté essere rimpatriato, fu il consolegenerale Alberto Liuzzi, comandante del-l’11o gruppo della divisione Penne nere, ca-duto nella battaglia di Guadalajara, insignitoanche lui con la medaglia d’oro e sepoltonel Sacrario militare di Saragozza in un setto-re riservato.

La parte sicuramente più interessante dellibro è quella che riguarda la tumulazionedelle salme dei soldati italiani del Ctv. Nelcapitolo “La morte in cifre”, l’autore indicain 3.796 il numero dei caduti, molto prossi-mo a quello stabilito dal Commissariato ge-nerale onoranze caduti del Ministero dellaDifesa italiano pari a 3.731 caduti, di cui1.765 della Mvsn e 1.339 dell’esercito, più133 morti in Italia e 218 dispersi. A dimostra-zione del risultato delle sue ricerche presen-ta una serie di tabelle: a) indicazione dei du-ecentotrentasei cimiteri dove furono tumu-late in un primo tempo le salme, suddivi-

dendo la Spagna in tre zone (Nord, Centroe Sud), più le isole Baleari. Interessante que-sta suddivisione perché dà una visione del-la maggiore o minore asprezza delle batta-glie. Il maggior numero di morti (2.262) siebbero nel Centro: Guadalajara (376), Ebro(1.074) e Catalogna (495). Quest’ultimo datosmentisce quanti sostennero che i repub-blicani non si fossero difesi con accanimen-to; b) suddivisione dei caduti a secondadelle province di provenienza. Le principalifurono: Napoli con 138 caduti, Catanzarocon 125, Bari con 105; c) ospedali italianidove morirono i 133 feriti rimpatriati; d) sud-divisione tra cimiteri militari (almeno cinquesalme tumulate in un cimitero municipale),cimiteri di guerra (almeno cinque salme fuoridai cimiteri municipali), località con tombeisolate (meno di cinque salme dentro o fuo-ri dei cimiteri municipali).

L’autore, in un inciso, non perdona agliitaliani i bombardamenti aerei effettuati sul-le città spagnole e, oltre ai conosciuti attac-chi su Barcellona e Guernica, cita quello sul-la città di Alcaniz del 3 marzo 1938, che cau-sò, secondo i testimoni, da cinquecento aottocento morti, cifra difficile da verificare.Inoltre ritorna sulla resa firmata a Santoña il24 agosto 1937 dove gli italiani, dopo averaccettato la resa dei baschi a patto che lapopolazione civile non fosse perseguitata,ai giovani non fosse imposto l’arruolamen-to nell’esercito di Franco ed i dirigenti poli-tici potessero imbarcarsi su navi inglesi perlasciare la Spagna, rinnegarono i patti e ce-dettero alle pressioni di Franco, che diedeinizio alla solita sanguinosa resa dei conti,non risparmiando, complice l’indifferenzadelle autorità ecclesiastiche spagnole, an-che sedici sacerdoti. Emilio Faldella, nel suolibro “Venti mesi di guerra in Spagna”4, con-

4 EMILIO FALDELLA, Venti mesi di guerra in Spagna (luglio 1936 - febbraio 1938), FirenzeLe Monnier, 1939.

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ferma l’avvenuta accettazione della resa dei“rossi”, anche se parla di resa incondizio-nata.

Vaquero Peláez nell’ultima parte del libro,“Fascismo e morte”, ricorda come il gover-no di Franco, terminato il conflitto, conver-tisse i morti della sua parte in martiri. Quan-do la morte viene estratta dalla sfera priva-ta, riservata a congiunti e conoscenti, perassumere l’immagine del sacrificio per unacausa, di un atto di abnegazione, entra nel-l’evocazione popolare e si converte in unospazio di memoria, una memoria di eroi. Sonoancora visibili in molti cimiteri monumenti,monoliti e targhe dedicati ai “caduti per Dioe per la Spagna”, onorati anche in centriabitati e sulle facciate di molte chiese, men-tre in angoli abbandonati di molti cimiteri oin zone impervie esistono fosse comuni dei“fucilati per Dio e per la Spagna”. L’autoreconclude con la presentazione del Sacrariomilitare della torre ossario di Sant’Antonioin Saragozza, dove sono tumulati i resti di2.289 soldati del Ctv e quelle di 22 combat-tenti italiani delle Brigate internazionali.

Appena conclusa la guerra il governo ita-liano fece costruire tra Burgos e Santanderil monumento del Puerto del Escudo, dovefurono tumulate le salme di 372 soldati ca-duti sul fronte nord nei combattimenti perla conquista delle province basche (marzo-ottobre 1937). Il monumento è ora in statod’abbandono, dopo che 268 salme sono sta-te rimpatriate e 104 tumulate a Saragozza.Costruito su un’altura di 1.100 metri, con-stava di una piramide di pietra a scaloni di-gradanti, al cui interno vi era una cripta con360 loculi, ma in cui furono tumulate soltan-to dodici salme, mentre le altre vennero se-polte all’esterno, in un cimitero circolare chefaceva corona alla piramide. Dato che le sal-me dei caduti erano disseminate in centina-ia di cimiteri sparsi in quasi tutte le provin-ce spagnole, il che rendeva difficoltoso aver

cura delle tombe, il governo italiano, simil-mente a quanto era stato fatto per i cadutidella prima guerra mondiale, decise di riuni-re in un unico ossario i morti di Spagna. Nelmarzo 1941 una missione militare italianascelse la città di Saragozza, l’antica coloniaromana Cesareaugusta dal nome del suofondatore, l’imperatore Augusto, in quan-to vi sorgeva il Santuario del Pilar, uno deitempli religiosi più venerati della Spagna.Era dunque la sintesi tra la grandezza impe-riale di Roma e la fede cristiana per il cuitrionfo i legionari avevano combattuto ederano morti.

Il 3 maggio 1942, alla presenza dell’amba-sciatore italiano a Madrid e delle maggioriautorità civili, militari e religiose della città,fu posta la prima pietra della costruzione, cheprevedeva una torre ossario con annessauna chiesa e un convento. Nella pietra fusigillata una pergamena con le parole: “Re-gnando Vittorio Emanuele III, mentre l’Ita-lia combatte contro i nemici del diritto e dellaFede, sotto gli auspici di Mussolini e Fran-co, con la benedizione del Romano Pontefi-ce Pio XII, quest’opera di pace secondo latradizione dei padri per la diffusione dellareligione e la memoria dei legionari italianicaduti in Spagna si costruisce con romanagrandezza. Il giorno 3 maggio 1942”.

L’ambasciatore nel suo discorso affermòche veniva in nome del duce e dell’Italia apagare un debito di gratitudine e d’ammira-zione ai quattromila eroi suoi compatrioti cheall’unità, alla grandezza e alla libertà dellaSpagna avevano sacrificato la loro vita. Leparole richiamavano quelle di FranciscoFranco riportate nel preambolo del decretodel 1 aprile 1940, che stabiliva la costruzio-ne del Mausoleo della Valle dei Caduti, de-stinato ad onorare “gli eroi ed i martiri dellaCruzada”. Però, la somma di 3.200.000 pe-setas stanziata dall’Italia per coprire le spe-se dell’intera costruzione si esaurirono pri-

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ma che fosse completata per cui, con la ca-duta del fascismo, i lavori furono interrotti.All’epoca, la chiesa era praticamente finita;la torre raggiungeva i 20 metri d’altezza con-tro gli 80 previsti; il convento era costruitofino al primo piano.

I rappresentanti del nuovo governo ita-liano informarono Roma che secondo lorol’amministratore padre Pietro Bergamininon aveva gestito correttamente i fondistanziati; la stessa accusa fu formulata dalrappresentante della Repubblica sociale, in-tervenuto dopo l’armistizio.

Alla fine della guerra il nuovo governodemocratico italiano si trovò di fronte all’in-congruenza di dover finanziare un’opera delregime fascista celebrante la memoria dicaduti per Mussolini; venne allora decisodi dedicare l’opera “a tutti gli italiani cadutiin Spagna appartenenti a tutti i partiti” e direperire i fondi per ultimare la torre, ridottaa 42 metri, vendendo la parte del conventogià costruita ed il terreno circostante ai pa-dri cappuccini per la somma di 1.000.000 dipesetas. La torre fu inaugurata il 13 giugno1945, mentre il 25 luglio dello stesso annofu consacrata la chiesa. Sopra l’arco princi-pale della cripta venne posta la lapide: “L’I-talia a tutti i suoi caduti in Spagna”, mentrein un altro lato della stessa un’altra lapidericorda: “In questa torre ossario sono ricor-dati 4.183 italiani caduti in terra di Spagnanella guerra del 1936-1939”.

Tra loro sono compresi 526 soldati delleBrigate internazionali accorsi per difenderela libertà e la democrazia spagnola.

Il recupero ed il trasporto delle 2.876 sal-me dei caduti del Ctv fu agevolato dal fattoche, se anche erano disseminati in numero-si cimiteri, al momento dell’inumazione ipadri cappuccini incaricati delle sepoltureavevano deposto nella fossa una bottigliacontenente l’indicazione di nome, grado, re-parto e data della morte. Notevoli difficoltà

sorsero nell’individuare le tombe dei briga-tisti, definiti “rinnegati” dai fascisti, che inmolti casi erano rimasti abbandonati sul luo-go della morte o, se fucilati dopo la cattura,interrati in anonime fosse comuni; inoltre gliincaricati dal Commissariato onoranze cadutidel recupero di queste salme non furonoagevolati dalle autorità spagnole. Molti bri-gatisti giacevano in tombe anonime aven-do, come disse la Pasionaria, “la terra di Spa-gna come sudario”; infatti, su circa seicen-to morti, furono solo ventidue le salme diantifascisti riconosciute e sepolte nella torreossario. Tutti gli anni, il 2 novembre, vienecelebrata una messa in suffragio dei cadutimentre, in particolari occasioni, delegazio-ni delle associazioni d’arma delle due partisi recano al Sacrario per rendere loro omag-gio con la deposizione di corone di fiori.

La lettura del secondo libro mi ha creatoun certo disagio; infatti, mentre nei ringra-ziamenti ho ritrovato due persone, Luigi Pa-selli, che conosco personalmente, e Mim-mo Franzinelli, di cui ho sempre apprezzatoi lavori, vicine al mio pensiero, non mi sonotrovato d’accordo su diversi punti del lavo-ro di Griner, inquadrato nel filone storicosulla guerra di Spagna iniziato da Sergio Ro-mano, la cui pubblicazione dei diari di duecombattenti antagonisti della guerra susci-tò una feroce polemica.

Mentre, quando si tratta di eccidi o mas-sacri commessi dai ribelli (Guernica, Ba-dajoz) viene sempre evidenziato che i numerisono stati gonfiati da scrittori favorevoli allaRepubblica, tale rettifica non appare quan-do vengono riportati eccidi di parte lealista.Ad esempio, nel citare le “pagine illuminantiper precisione e solerzia” di un articolo diNello Quilici sulle uccisioni di religiosi (11vescovi, 17.000 preti e centinaia e centinaiadi religiosi), non viene precisato che in ef-fetti le vittime furono 6.832, come accertatoda una rigorosa ricerca del 1941 del sacer-

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dote Antonio Montero Moreno (4.184 delclero secolare, 2.365 religiosi e 283 religiose),numero accettato dalla Chiesa. Di questi,471 sono stati elevati agli onori degli altarida papa Giovanni Paolo II, non solo religio-si, ma anche laici uccisi per la loro devozio-ne a Cristo.

Griner afferma che all’aprile 1938 gli ita-liani arruolati nelle brigate internazionali era-no in tutto 2.908 contro i 40-50.000 del Ctv.Certo esiste una netta disparità tra le duecifre, ma occorrerebbe considerare che i ga-ribaldini erano in massima parte emigratidall’Italia per sfuggire alle persecuzioni fa-sciste o per cercare lavoro in paesi europei,che quindi costituivano un bacino di pochemigliaia di possibili volontari e che agli an-tifascisti in Italia era estremamente difficileespatriare, dato il rigido controllo delle fron-tiere; quelli provenienti dalla penisola infattifurono poche centinaia.

La questione che i brigatisti si arruolaro-no per denaro mi sembra priva di fondamen-to; infatti percepivano una paga giornalie-ra di 10 pesetas (contro le 20, più indennità,percepite dai fascisti), delle quali riversava-no una parte all’intendenza militare per aiu-ti alla popolazione spagnola, soprattutto aibambini. La maggioranza fu senz’altro mos-sa da motivazioni ideologiche ed è innega-bile che nel prosieguo della guerra si ebbe-ro disillusioni e malumori, che portarono an-che a tentativi di diserzione.

In tutto questo s’inquadra la correlazio-ne posta dall’autore tra il Lajolo prima fa-scista e poi antifascista, di cui vengono ci-tati in contrapposizione brani dallo stessopubblicati prima e dopo il diventare un “vol-tagabbana”. Sono espressioni di due diver-si modi di vedere la vita; prima fu un entu-siasta fascista poi, deluso dagli sviluppi del-la politica mussoliniana, si ricredette e cam-biò bandiera. Ai giorni nostri sono diversi ipolitici che hanno militato nel Partito comu-

nista italiano e sono passati al fronte oppo-sto o figli di famosi personaggi della sini-stra che, nutriti dal “latte rosso”, si sono ri-creduti per diventare fieri oppositori degliideali paterni. L’importante sarebbe spiega-re con chiarezza il perché senza rinnegare ilpassato.

Riguardo ai bombardamenti effettuati dal-l’aviazione nazifascista mi sembrano giustedue precisazioni. La prima: Guernica era unbersaglio importante, sede di comando, confabbriche d’armi e un ponte strategico; pec-cato però che questi due ultimi obiettivi nonfurono bombardati, ma tutte le bombe cad-dero sulla città. Così come l’affermare chele vittime furono meno di duecento è l’accet-tare il “minimo stimabile”, mentre da studicomparativi fatti avendo come riferimento ibombardamenti alleati della seconda guer-ra mondiale si otterrebbe una cifra di trecen-to-quattocento morti.

L’affermazione che il bombardamento diBarcellona del 18 marzo 1938, effettuato daaerei italiani di stanza a Maiorca, non cau-sò vittime, viene smentito dai dati ufficialidell’Esposizione che quest’anno, a Barcel-lona, ha ricordato le 285 incursioni italianecompiute dal 13 febbraio 1937 al 24 gennaio1939, causando 2.550 morti. In particolare,dai succitati dati si desume che i bombar-damenti del 18, 19 e 20 marzo 1938 fecero1.300 morti e 22.000 feriti. La città ha volutoricordare tutte le vittime con un monumen-to dell’artista Margarita Andreu posto allaconfluenza tra la Gran Via e la Rambla deCatalunya. Come successe per il bombarda-mento di Guernica, di cui la Germania si scu-sò ufficialmente, donando alla città un cen-tro sportivo, così l’Assessorato alla Cultu-ra del Parlamento catalano ha presentatouna mozione per esigere le scuse dell’Italia,mozione che non ha avuto seguito.

La fotografia del miliziano incatenato allamitragliatrice scattata da un ufficiale del Ctv

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e largamente divulgata potrebbe essere unfalso fotografico con un chiaro intento pro-pagandistico, come quella del famoso mili-ziano di Robert Capa, come è falsa quella deimarines ad Iwo Jima, presa a modello per ilmonumento del cimitero di Arlington a Wa-shington. Nel “Corriere della Sera” del 13febbraio 1938 era apparsa una foto dove“con bestiale ferocia dei bolscevichi spa-gnoli” esponevano delle teste umane moz-zate di prigionieri, ma il falso venne sma-scherato dimostrando che la foto era statascattata durante le guerre marocchine ed eragià stata riprodotta in un libro pubblicato aParigi nel 1927. In realtà i massacratori eranolegionari del Tercio, la legione straniera spa-gnola.

Mentre viene giustamente riconosciutol’intervento umanitario per tentare di limi-tare i massacri dei franchisti nelle città oc-cupate, si dimenticano i brigatisti italianiuccisi a pugnalate a Guadalajara dalle cami-cie nere e la brutta figura fatta dagli italiania Santoña nel corso dell’occupazione deiPaesi baschi, sopra ricordata.

Quanto al fatto che i combattenti fascistisiano caduti nel dimenticatoio, una certacolpa è attribuibile alla loro organizzazione,che pure nel dopoguerra ha sempre parte-cipato a manifestazioni in Spagna, sia a Sa-ragozza che alla Valle de los Caidos. Non co-nosco il numero degli iscritti a detta asso-ciazione ma, considerando quanti andaro-no in Spagna, dovrebbe avere avuto migliaiad’iscritti. L’Associazione italiana combat-tenti volontari antifascisti di Spagna, che hapotuto contare su poche centinaia di redu-ci ed un limitato numero di simpatizzanti, èriuscita a produrre due volumi, numerosiopuscoli, una pagina web e ad organizzareviaggi in Spagna e manifestazioni comme-morative in Italia. Ritengo che i reduci anti-fascisti dalla Spagna non abbiano mai su-perato il migliaio, cifra ottenuta sommando

ai 749 confinati od incarcerati dal fascismo(meno i 51 morti nella guerra di liberazione)quelli rientrati in Italia dall’esilio.

Infine, definire screditata la concezioneche in Spagna vi fu una lotta tra fascismoed antifascismo non mi sembra giusto; i bri-gatisti infatti accorsero a difendere una Re-pubblica il cui governo era stato legalmen-te eletto e che i generali golpisti insorseroper abbattere. Che la democrazia, con il pro-sieguo della guerra, fosse da parte lealistalimitata è comprensibile, tenuto conto deltragico momento vissuto dalla Repubblica,che aveva contro tutti, stati interventisti estati cosiddetti neutrali. Che la Spagna di-venisse un satellite sovietico è molto impro-babile, i futuri satelliti furono tutti confinan-ti con l’Urss, che in quel preciso contestostorico teneva molto di più ad un accordocon Francia ed Inghilterra in funzione anti-germanica, che ad espandere la sua ideolo-gia in Europa occidentale.

Se fu un merito del fascismo quello di ar-restare il bolscevismo in Spagna, allora pos-siamo dedurne che, se Hitler avesse scon-fitto l’Urss, lo avrebbe cancellato in tutta Eu-ropa e, distrutta l’Armata rossa, avrebbepotuto trasferire le sue divisioni migliori inOccidente ed invadere l’Inghilterra, dopo diche l’intero continente sarebbe diventatonazista ed i forni di Auschwitz avrebberodovuto essere moltiplicati per eliminare gliantagonisti del Nuovo ordine.

L’ipotesi che la vittoria di Franco abbiaimpedito alla Spagna di divenire comunistaresta da dimostrare, in quanto i seguaci diStalin erano una minoranza (ancora nel gen-naio 1938 Togliatti segnalava al Cominternin duecentomila l’effettiva forza numericadel Partito comunista spagnolo). Infatti,quando essi sostennero la necessità di con-tinuare la guerra dopo la caduta della Cata-logna, i militari che controllavano le provin-ce centrali si opposero ed appoggiarono il

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Pietro Ramella

126 l’impegno

golpe del colonnello Casado. Gabriele Ran-zato, il maggiore storico italiano della guer-ra di Spagna, nell’introduzione a “L’eclissidella democrazia”5, ritenuto il libro italianopiù completo sul conflitto, a proposito deirapporti tra l’Urss e la Spagna scrive: “Nel-la seconda fase della guerra, quando la ri-voluzione era stata ridimensionata e la Re-pubblica per diversi mesi fu governata dauna coalizione in cui i democratici avevanouna posizione di rilievo, l’astensione diFrancia ed Inghilterra da qualsiasi interven-to che favorisse e incoraggiasse quella com-ponente politica a risolvere la guerra e aconsolidarsi nel governo del paese, fu, sot-to il profilo della loro vocazione democrati-ca, molto più ingiustificata di quanto nonfosse stata nella fase precedente. È vero chenella Spagna repubblicana russi e comuni-sti continuarono ad avere un ruolo di cre-scente importanza. Ma tutto ciò che ci è no-to induce a credere che essi sarebbero statiben lieti di lasciare alle potenze democrati-che libero il campo, sia militare sia politico,solo se queste avessero voluto”. Resta tut-tavia da chiedersi se un eventuale avvento

del comunismo in Spagna avrebbe instau-rato un regime più sanguinoso di quello diFrancisco Franco. Il governo Zapatero, il cuinonno, ufficiale dell’Esercito repubblicano,fu fucilato dai franchisti, ha varato la Leyde Memoria Histórica per onorare i mortilealisti, legge che ha permesso di localizza-re duecentottantatré fosse comuni in cui siritiene siano sepolti i trentamila desapare-

cidos denunciati dai familiari.Con la fine della guerra, la Spagna diven-

ne un enorme cimitero (le vittime della re-pressione furono decine di migliaia) e proli-ferarono i campi di lavoro forzato, dove i vin-ti più fortunati, sfuggiti ai plotoni di esecu-zione, lavorarono come schiavi alla ricostru-zione del paese e ad erigere il mausoleo dellaValle dei Caduti. Camminate sull’erba delFossar della Pedrera a Barcellona e vi sem-brerà di sentire le voci di quanti vi furonosepolti, repubblicani uccisi dopo un proces-so sommario e civili barcellonesi morti neibombardamenti dell’aviazione legionaria,che tanto contribuì a salvare la Spagna dalcomunismo.

5 GABRIELE RANZATO, L’eclissi della democrazia. La guerra civile spagnola. 1931-1939,Torino, Bollari Boringhieri, 2004.

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attività dell’Istituto

a. XXVII, n. s., n. 2, dicembre 2007 127

L’Istituto, nel corso del 2007, ha realizza-

to un ciclo di conferenze di storia contem-

poranea, in corrispondenza delle significa-

tive ricorrenze del Giorno della Memoria, del

Giorno del Ricordo, della Festa della don-

na, dell’anniversario della Liberazione, del-

la Festa dei lavoratori, della Festa della Re-

pubblica e dell’anniversario della vittoria

nella prima guerra mondiale. Gli incontri,

tutti svoltisi nella sede dell’Istituto, hanno

ricordato le tappe fondamentali della nostra

storia, spesso con l’ausilio di musica,brani

di film della storia del cinema e immagini do-

cumentarie.

Il Giorno della Memoria

Sabato 27 gennaio, in occasione del Gior-

no della Memoria, si è tenuta la prima con-

ferenza del ciclo di incontri.

Alberto Lovatto, etnomusicologo, consi-

gliere scientifico dell’Istituto, ha ripercorso,

utilizzando come filo conduttore brani mu-

sicali della tradizione ebraica, le tre tappe

costitutive della storia e della memoria del

popolo eletto: il ricordo della liberazione

dall’Egitto, ritualmente celebrato nella cena

pasquale, la sofferenza della vita nel ghetto

durante gli anni della persecuzione razziale,

l’orrore della Shoah.

In un’atmosfera estremamente suggesti-

va e coinvolgente, Lovatto ha rievocato il

seder, ossia la cena di Pasqua in cui, seguen-

do il precetto di nutrirsi solo di pane non

lievitato, i genitori tramandano ai figli, leg-

gendo il testo dell’Haggadah, il racconto

dell’intervento diretto dell’unico Dio che,

“con mano forte e braccio disteso”, sottras-

se il popolo eletto alla schiavitù dei faraoni.

Il seder, con la codificazione dei riti e dei

canti liturgici, è un rendimento di grazie e

una lode che gli ebrei rivolgono al loro Si-

gnore, nella cui potenza e nel cui aiuto ri-

pongono completa fiducia.

La celebrazione di Pesach, della pasqua

ebraica, è accompagnata anche in Italia da

un intenso repertorio di canti di tradizione,

di cui Lovatto ha proposto alcuni ascolti,

tratti dalle registrazioni effettuate da Leo

Levi alla fine degli anni cinquanta del No-

vecento.

Nella seconda parte della relazione/rac-

conto la serenità della cena di pasqua è in-

terrotta drammaticamente dall’occupazione

nazista. A segnare la cesura Lovatto ha pro-

posto l’ascolto del canto “La nostra città

brucia”, scritto in lingua yiddish da Morde-

chai Gebirtig nel 1938, che racchiude in sé

sia la disperazione della popolazione del

ghetto che subì la devastazione di ciò che

aveva di più caro, sia l’esortazione a reagi-

re all’ingiustizia, a non rimanere passivi, ma

a combattere per difendere se stessi e la

propria comunità: Al fuoco, fratelli, al fuo-

Incontri di storia contemporanea

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attività dell’Istituto

128 l’impegno

co!/ la salvezza è solo in noi stessi;/ se

questa città vi è cara,/ mano agli attrezzi,

spegnete il fuoco,/ spegnetelo con il san-

gue!.

La repressione della resistenza nei ghet-

ti, che comportò distruzione, massacri e de-

portazioni di massa, è ricordata nella tradi-

zione ebraica da canti dai quali emerge la no-

stalgia dolente per le città offese e ferite che

seppero opporsi con coraggio alla furia na-

zista (come Vilna, ricordata nella omonima

poesia yiddish di L. Volfson, musicata da A.

Olshansky, che per prima seppe “innalzare

la tanto amata bandiera della libertà”) e lo

scoramento che assale chi, cercando in Dio

un conforto alla sofferenza e all’orrore, arri-

va a dubitare che la sua preghiera possa es-

sere ascoltata, come nella canzone “Sotto

la bianca stella”: Vorrei tanto, mio Signo-

re/ affidarti ciò che mi è più caro/ […] Io

corro in alto, sopra i tetti/ e ti cerco: “Ma

tu dove sei?”.

La forza della fede però emerge prepoten-

temente come momento di affermazione del-

la propria identità ebraica, e quindi come

opposizione estrema al tentativo di annien-

tamento compiuto dai nazisti, nel brano di

Arnold Schönberg “Un sopravvissuto di

Varsavia”, con l’ascolto del quale Lovatto

ha concluso il suo percorso. Di straordina-

ria intensità emotiva, l’opera, composta da

Schönberg nel 1947 per indurre a riflettere

sull’assurdità dello sterminio, scritta per

voce recitante, orchestra e coro, racconta

la vita nel ghetto di Varsavia e il momento

terribile in cui i prigionieri ebrei vengono ra-

dunati per essere condotti alle camere a gas,

ferocemente percossi lungo la strada dai

soldati nazisti col calcio dei fucili. L’accelera-

zione del ritmo della musica imprime una cre-

scente drammaticità alla composizione, che

culmina nel canto ebraico “Shema Isroël”

che i prigionieri, poco prima di essere ucci-

si, trovano la forza di intonare. Questa co-

raggiosa professione di fede in Dio, com-

piuta in un momento estremo di paura e do-

lore, manifesta la ferma volontà dei condan-

nati a morte di non lasciarsi sopraffare dalla

cieca brutalità della guerra e dall’odio degli

uomini e la speranza che il compositore ri-

pone in un mondo in cui possano vincere

la pace e il rispetto dei diritti di tutti, senza

distinzioni di razza o religione. Così Schön-

berg disse, nel periodo in cui componeva

“Un sopravvissuto di Varsavia”: “[…] non

dobbiamo mai cessare di aspirare alla santi-

tà universale dei diritti dell’uomo. La nostra

anima ha in sé la forza di desiderarla con

intensità creativa”.

Il Giorno del Ricordo

Sabato 10 febbraio si è svolta, in occasio-

ne del Giorno del Ricordo, la conferenza di

Marcello Vaudano, vicepresidente dell’Isti-

tuto, che ha inquadrato e approfondito il

tema controverso delle foibe e dell’esodo

istriano. Dopo aver sottolineato che l’argo-

mento, nonostante quanto sostenuto da chi

ne fa materia di polemica politica, fu studia-

to in realtà già nel primo dopoguerra e nel

corso degli anni sessanta e settanta, Vau-

dano ha evidenziato che tali studi ebbero

comunque una diffusione del tutto circo-

scritta all’ambito degli storici di professio-

ne e agli ambienti degli esuli, mentre la vera

e propria divulgazione di saggi storici e

opere di memorialistica si ebbe a partire dalla

seconda metà degli anni ottanta e soprat-

tutto negli anni novanta.

Il lungo periodo di oblio, interrottosi uffi-

cialmente nel 2004 con l’istituzione per leg-

ge del Giorno del Ricordo in memoria delle

vittime delle foibe, dell’esodo giuliano-dal-

mata, delle vicende del confine orientale, fu

determinato da una molteplicità di elementi

politici, strategici ed economici che, in un

clima di guerra fredda, indussero l’Italia a

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attività dell’Istituto

a. XXVII, n. s., n. 2, dicembre 2007 129

evitare aperti contrasti con la Jugoslavia di

Tito, dopo il 1948 non allineata con l’Urss

e, quindi, vero e proprio stato cuscinetto nei

confronti dei paesi facenti parte del blocco

sovietico.

La complessità della questione del confi-

ne orientale è data, oltre che dalle travaglia-

te vicende storico-politiche di Istria e Dal-

mazia e dei loro confini instabili, anche dal-

l’intreccio in quest’area di diverse etnie

mescolate le une con le altre (italiani, slove-

ni, croati). Nel corso del Novecento, la for-

zatura dell’identificazione tra nazione ed

etnia e quindi la sostituzione dell’entità po-

litica dello Stato-nazione ottocentesco con

uno Stato inteso come entità etnico-cultu-

rale, aprì la strada a un esasperato naziona-

lismo, incapace di accettare la compresen-

za di differenze etniche e culturali all’inter-

no degli stessi confini e mirante quindi ad

una semplificazione etnica.

Con l’avvento del fascismo, i territori che

all’indomani della grande guerra, col Trat-

tato di Versailles prima (1919) e il Trattato di

Rapallo poi (1920), erano stati assegnati al-

l’Italia (la Venezia-Giulia, l’Istria e la città di

Zara in Dalmazia, mentre Fiume diventò ita-

liana nel 1924) furono fatti oggetto di una

politica aggressiva definita “fascismo di

frontiera”, che mise in atto una durissima

azione di snazionalizzazione nei confronti

delle popolazioni slave dell’area, costrette

a subire la chiusura di giornali, scuole, cir-

coli culturali e ricreativi, enti cooperativi e

mutualistici, nonché l’arresto e la condan-

na a morte di numerosi esponenti dell’op-

posizione politica slovena e croata e il di-

vieto di utilizzo della propria lingua in ogni

ambito, dalla toponomastica alla celebrazio-

ne dei culti religiosi.

La situazione, già estremamente difficile,

era destinata a peggiorare ulteriormente con

lo scoppio della guerra e l’occupazione ita-

liana nel 1941 di parti della Slovenia (pro-

vincia di Lubiana) e della Dalmazia (provin-

ce di Zara e Spalato). La repressione anti-

partigiana messa in atto dai fascisti compor-

tò violente rappresaglie e massicce depor-

tazioni in campi di prigionia allestiti allo sco-

po, contesto in cui si inserì, all’indomani

dell’8 settembre, la prima ondata di violen-

ze contro gli italiani in Istria (in particolare a

Pisino), per la maggior parte esponenti del-

la classe dirigente (industriali, proprietari

terrieri) e della pubblica amministrazione del

territorio, fatti oggetto di rapimenti, brutali

uccisioni, infoibamenti e vere e proprie rese

dei conti di carattere personale.

A questa prima fase ne seguì una secon-

da, nel periodo di tempo di circa un mese

tra l’occupazione di Trieste da parte dei

partigiani titini il 1 maggio del 1945 e gli ac-

cordi sulla divisione del territorio tra Alleati

e jugoslavi (con la pace di Parigi del 1947

verrà istituito il Territorio libero di Trieste,

suddiviso in una Zona A, amministrata da-

gli Alleati e in una Zona B assegnata al-

l’esercito jugoslavo). La foiba di Basovizza

è divenuta il simbolo di una tragedia che vide

la sparizione e l’uccisione, secondo gli stu-

di di uno stimato storico quale Raoul Pupo,

di circa diecimila persone nelle zone di Trie-

ste e Gorizia - la questione del numero delle

vittime è però controversa -, non solo mili-

tari italiani e tedeschi, esponenti fascisti,

uomini delle istituzioni, dirigenti di imprese,

banche, uffici, ma anche membri non comu-

nisti del Cln e persone comuni vittime di

vendette personali.

Vaudano, nel ricercare le cause di tale vio-

lenza, ha evidenziato che la storiografia più

recente, che ha guardato attentamente alla

complessità degli eventi definendo meglio

il contesto in cui si verificarono, ha ricostrui-

to un quadro sfaccettato in cui le tradizio-

nali opposte tesi basate l’una sull’idea di una

pulizia etnica determinata da un radicato

odio anti italiano da parte degli slavi e l’al-

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attività dell’Istituto

130 l’impegno

tra sulla spiegazione della brutalità come

ritorsione nei confronti delle violenze fasci-

ste, responsabili dell’equazione italiano = fa-

scista compiuta dai titini, vengono integra-

te con la considerazione di altri fattori. Non

possono non essere valutati ad esempio il

carattere etnico-sociale della violenza, vista

come un riscatto degli slavi da una condi-

zione di subalternità durata secoli e inaspri-

tasi con il fascismo; il progetto egemonico

dei titini, che miravano all’instaurazione di

un nuovo ordine comunista realizzabile

unicamente con la conquista completa del

territorio e che, seguendo l’ideologia del

terrore staliniana, puntavano all’epurazio-

ne preventiva nei confronti di quanti, disco-

standosi dalla più rigida ortodossia, pote-

vano rappresentare un ostacolo per il rag-

giungimento dei loro obiettivi; il prevalere

dell’identificazione del nemico sulla base di

considerazioni politiche, piuttosto che di

carattere nazionalistico od etnico.

In conclusione, Vaudano ha affrontato,

con l’aiuto della proiezione di un filmato, il

tema dell’esodo che vide, in un lasso di tem-

po che va dal 1942 al 1957, la fuga di circa

350.000 italiani dai territori annessi alla Ju-

goslavia (Zara, Fiume, Pola, il territorio del-

la Zona B, l’interno dell’Istria) e una loro pro-

gressiva dispersione, dopo i primi approdi

nelle aree di Venezia e Ancona, in tutta la

penisola e anche all’estero, in particolare in

Australia e Sud America, in condizioni psi-

cologiche di spaesamento e con enormi dif-

ficoltà di inserimento in una realtà nuova e

sconosciuta.

La Festa della donna

Giovedì 8 marzo, in occasione della Festa

della donna, Marisa Gardoni, dirigente sco-

lastico del liceo scientifico “G. Ferrari” di

Borgosesia, ha seguito l’evolversi del mo-

vimento femminile dalla sua nascita fino ad

oggi, sottolineando i momenti più significa-

tivi del processo attraverso il quale le don-

ne hanno progressivamente acquisito pie-

na consapevolezza dei propri diritti e del

proprio ruolo nella società.

Evidenziando come il modificarsi delle ri-

chieste e degli obiettivi del movimento sia

strettamente legato al contesto sociale, cul-

turale e politico nel quale si è trovato ad ope-

rare, Marisa Gardoni ha compiuto un excur-

sus attraverso le tappe fondamentali della

battaglia per l’emancipazione femminile, a

partire dalla rivendicazione, alla fine dell’Ot-

tocento, del ruolo fondamentale svolto dalla

donna operaia nel processo di industrializ-

zazione e di produzione della ricchezza e,

quindi, dalla lotta per la parità della retribu-

zione. Cominciò così a farsi strada un’idea

di affrancamento della donna dalla tutela

maschile che, dopo aver posto l’attenzione

sul tema economico, si spostò, nel primo de-

cennio del Novecento, sul piano politico e

della rappresentanza, individuando nel di-

ritto al voto l’obiettivo fondamentale da

conseguire per poter consentire alle donne

la difesa dei propri interessi specifici.

La presa di coscienza da parte della don-

na del proprio valore, dopo un periodo di

appannamento nel periodo dei totalitarismi,

in cui si radicò nella società l’idea della don-

na moglie e madre, emerse nuovamente con

prepotenza nel periodo della Resistenza,

durante la quale la partecipazione femmini-

le fu fondamentale dal punto di vista orga-

nizzativo e politico, e sfociò in un dopo-

guerra in cui centrale divenne il fare politi-

ca per poter decidere in prima persona della

propria sorte.

Nei decenni successivi che, dal punto di

vista normativo, raccolsero i frutti delle lot-

te fino ad allora combattute, la battaglia si

spostò dal piano giuridico a quello cultura-

le: non si trattava più solo di un movimento

per l’emancipazione, ma in primo luogo di

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attività dell’Istituto

a. XXVII, n. s., n. 2, dicembre 2007 131

un movimento di liberazione. Gli anni ses-

santa e settanta videro le donne rivendicare

la libertà di decidere del proprio corpo, l’af-

francamento da un’immagine stereotipata,

veicolata dalla pubblicità e dai mass media,

che rappresentava la donna come oggetto

sessuale, l’importanza della differenza di ge-

nere, che rifiutava l’assimilazione della don-

na nella società maschile e ne affermava con

forza la diversità; mentre gli anni ottanta e

novanta sono il periodo in cui il movimento

operò maggiormente su un piano istituzio-

nale, per consolidare gli obiettivi raggiunti

e lavorare, all’interno delle organizzazioni

preposte, all’eliminazione delle discrimina-

zioni.

Il lungo viaggio che la relatrice ha percor-

so, facendo parlare direttamente le donne

che ne sono state protagoniste, mediante

la lettura di brani sull’argomento, si è con-

cluso riflettendo sull’oggi e sul fatto che,

nonostante tutte le conquiste ottenute, le

battaglie per i diritti delle donne sono an-

cora necessarie, sia sul piano culturale, sia

sul piano della rappresentanza politica e ri-

cordando che la diversità delle donne, ade-

guatamente valorizzata, può far sì che si

delinei un modo di fare politica diverso ri-

spetto a quello maschile dominante, più ba-

sato sull’autenticità di rapporti non gerar-

chici e sulla capacità di attenzione alle per-

sone e ai loro problemi.

L’anniversario della Liberazione

Martedì 24 aprile, in occasione dell’anni-

versario della Liberazione, si è tenuta la

quarta conferenza del ciclo.

Tiziano Ziglioli, docente del Liceo classi-

co “D’Adda” di Varallo, ha rievocato gli an-

ni del fascismo, della guerra e della Resi-

stenza attraverso lo straordinario racconto

di Giorgio Bassani “La notte del ’43” (1956)

che, dalla ricostruzione di un fatto tragico

realmente accaduto il 15 dicembre del 1943

a Ferrara, fa emergere le contraddizioni, le

colpe rimosse, le verità nascoste di una so-

cietà civile incapace di riconoscere le pro-

prie responsabilità.

In questo caso la letteratura, con il suo

sguardo meno diretto di quello della storia,

ma altrettanto sottile e implacabile, è in gra-

do di portare alla luce le implicazioni morali

di un evento complesso, concentrandosi su

quegli aspetti minori di esso che ne rivela-

no efficacemente il significato più profon-

do.

Bassani smaschera le ipocrisie della bor-

ghesia ferrarese conformista e sonnolenta,

che fin dall’inizio aderisce entusiasticamen-

te al fascismo, e in seguito lo sostiene o, co-

munque, lo subisce senza opporre resisten-

za. L’eccidio di undici persone (due sociali-

sti, tre membri del Partito d’azione, tre ex

fascisti schierati con Badoglio, due ebrei e

un operaio), fucilate dai fascisti nel centro

cittadino per rappresaglia in seguito all’uc-

cisione dell’ex segretario federale Bologne-

si, è un evento di cui i ferraresi vorrebbero

dimenticare l’orrore, mettendo a tacere la

propria cattiva coscienza, per tornare alla

tranquilla vita di sempre.

Ma il protagonista del racconto, Pino

Barilari, figlio del farmacista della città, da

anni ammalato di sifilide e perennemente

affacciato alla finestra della sua stanza che

dà su corso Roma, proprio dove avviene la

strage, con la sua sola sfacciata presenza

non consente ai cittadini di rimuovere la

tragedia. Barilari ha certamente assistito al-

la fucilazione degli undici civili, ma al pro-

cesso contro il temuto fascista ferrarese Car-

lo Aretusi detto “Sciagura”, ritenuto respon-

sabile del massacro, si limita ad affermare:

“Dormivo”, impedendo in tal modo la con-

danna.

Pino è un “uomo senza qualità”, insigni-

ficante, la cui paralisi fisica, arrogantemen-

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attività dell’Istituto

132 l’impegno

te esibita, diventa metafora della ben più

deleteria paralisi morale di un’intera città,

che nei suoi confronti prova l’irritazione e

l’imbarazzo di chi vede riflessa come in uno

specchio la propria colpa. Allo stesso modo

di Barilari, che per un errore di gioventù

contrae una malattia così indecorosa, i fer-

raresi, a causa della colpevole convivenza

con il fascismo, sono portatori di un’infer-

mità che si rifiutano di riconoscere: la cor-

ruzione della propria coscienza.

L’impossibilità di attribuire alla strage per

via processuale un colpevole preciso non

consente alla borghesia ferrarese di voltare

pagina, di appagare il proprio desiderio di

rimozione, e la presenza continua di Pino

Barilari alla finestra, quasi come un monito

vivente, preclude ai cittadini il sollievo del-

la liberazione dal senso di colpa. Così Bas-

sani, con questa figura esemplare di uomo,

costruisce una metafora dello scacco esi-

stenziale di una città e di una nazione inte-

ra, impossibilitata a sfuggire ad un rimosso

oscuro e ad ottenere la tanto desiderata au-

toassoluzione.

L’incontro si è concluso con la visione di

un brano del film “La lunga notte del ’43”,

per la regia di Florestano Vancini e con il

contributo alla sceneggiatura di Pier Paolo

Pasolini che, pur dando maggiore rilievo ai

dati storico-giudiziari e alla dinamica dell’ec-

cidio e introducendo personaggi assenti dal

racconto originale, ne mantiene intatto lo

spirito, denunciando con forza un’Italia

immemore del proprio recente passato e su-

perficialmente pacificata.

La Festa dei lavoratori

Sabato 5 maggio, in occasione della Fe-

sta dei lavoratori, la quinta conferenza del

ciclo ha visto Giorgio Orsolano, sindacali-

sta della Cgil di Borgosesia, ricostruire in

maniera coinvolgente e suggestiva, serven-

dosi di immagini cinematografiche, di brani

musicali e della recitazione di parti del rac-

conto di una testimone dei tragici eventi di

Portella della Ginestra, la difficile lotta dei

lavoratori per l’emancipazione e la conqui-

sta dei diritti.

La Festa dei lavoratori, dal 1886 celebrata

il 1 maggio in ricordo delle numerose vitti-

me della violenza esercitata dalla polizia di

Chicago contro pacifici manifestanti, grazie

all’azione del nascente movimento sociali-

sta, negli ultimi decenni dell’Ottocento si dif-

fuse rapidamente in tutto il mondo e comin-

ciò ad imporsi anche in Italia, nonostante la

severa repressione messa in atto dal gover-

no di Francesco Crispi. A cavallo tra Otto-

cento e Novecento, accanto alla lotta per la

riduzione dell’orario di lavoro, il Primo mag-

gio cominciò ad acquisire il valore simboli-

co di una domanda di mutamento sociale ra-

dicale e di una battaglia per il conseguimen-

to dei diritti civili.

Strumento di alfabetizzazione politica di

massa per gli intellettuali socialisti, che ve-

devano nella ricorrenza un mezzo per edu-

care i lavoratori alla coscienza della propria

identità di classe, l’astensione dal lavoro il

1 maggio, nonostante i divieti delle autorità

e il dispiegamento massiccio di forze dell’or-

dine, divenne una realtà sempre più conso-

lidata tanto nel Nord quanto nel Sud Italia,

dove prese la forma di opposizione allo stra-

potere degli agrari da parte dei movimenti

bracciantili.

Ripristinata nel dopoguerra, in seguito

alla sospensione del diritto di sciopero da

parte del fascismo e la conseguente con-

danna dei festeggiamenti alla clandestinità,

la celebrazione della ricorrenza, dopo l’ini-

ziale entusiasmo per la ritrovata libertà, co-

nobbe una svolta drammatica il 1 maggio del

1947, quando i lavoratori convenuti a Por-

tella della Ginestra subirono un sanguino-

so atto terroristico, che lasciò sul terreno

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attività dell’Istituto

a. XXVII, n. s., n. 2, dicembre 2007 133

undici morti. Connivenze tra potere politi-

co, interessi degli agrari e mafia siciliana

armarono la mano dei banditi di Salvatore

Giuliano, che con la violenza fermarono il

processo di cambiamento innescato dalla

vittoria delle sinistre alle elezioni per l’As-

semblea regionale siciliana.

Le tensioni politiche e sociali che attra-

versarono l’Italia dalla fine degli anni qua-

ranta ai primi anni sessanta si ripercossero

negativamente sui lavoratori, che però, no-

nostante le pesanti svolte autoritaristiche

di Scelba prima, che impose il divieto di riu-

nione nelle fabbriche, e di Tambroni poi, che

represse duramente le lotte operaie, conti-

nuarono a portare avanti le proprie rivendi-

cazioni, tra cui la riduzione dell’orario di la-

voro a 40 ore settimanali.

Con il mutato clima degli anni sessanta,

che videro l’esperienza politica del centro-

sinistra e la nascita del grande movimento

studentesco del Sessantotto, il movimento

operaio, sceso in piazza a fianco degli stu-

denti, acquistò un impulso e un’energia

nuovi, che si tradussero concretamente, nel

maggio del 1970, nella ratifica dello Statuto

dei lavoratori.

Orsolano, dopo aver rievocato i momenti

più significativi della storia del movimento

operaio, unito e compatto nella consapevo-

lezza dei propri diritti negati e nella coscien-

za della propria identità di classe, ha eviden-

ziato la differenza sostanziale tra il lavorato-

re di allora e il giovane precario di oggi, che

il lavoro flessibile ha privato del senso di

appartenenza ad una classe operaia solida-

le e combattiva.

La Festa della Repubblica

Venerdì 1 giugno, in occasione della Fe-

sta della Repubblica, Enrico Pagano, con-

direttore dell’Istituto, con l’aiuto di docu-

menti sonori e di brani del film “Una vita

difficile” di Dino Risi, ha ripercorso le tap-

pe che portarono alla definizione della for-

ma istituzionale del nostro paese, a partire

dalla liberazione di Roma nel giugno del

1944, per arrivare, dopo aver seguito il suc-

cedersi dei governi, alle elezioni del 2 giu-

gno e alla vittoria della repubblica.

Con l’accordo siglato nel giugno ’44 con

gli angloamericani all’indomani del loro in-

gresso a Roma, che prevedeva la rinuncia

ai suoi poteri da parte di Vittorio Emanuele

III e l’assunzione da parte del principe Um-

berto del ruolo di luogotenente del Regno,

si sancì una tregua che rinviò la complessa

questione istituzionale alla fine della guerra.

I due governi Bonomi di coalizione nazio-

nale, succedutisi dal giugno 1944 al giugno

1945, cedettero il posto al cosiddetto gover-

no della “Resistenza” dell’azionista Ferruc-

cio Parri, composto da molti tra i membri del

Clnai che, nel dicembre del 1945, a causa di

una crisi voluta dai liberali, fu sostituito dal

primo governo De Gasperi. Durato fino al

luglio 1946, questo governo accompagnò il

paese attraverso le tappe più significative

del primo dopoguerra: elezioni amministra-

tive (le prime a suffragio universale), elezioni

politiche per l’Assemblea costituente e re-

ferendum istituzionale.

La Consulta nazionale elettorale, istituita

per l’occasione, stabilì l’obbligatorietà del

voto e decise di affidare alla decisione po-

polare, anziché al voto parlamentare del-

l’Assemblea costituente, la definizione della

forma istituzionale del paese. Con lo schie-

rarsi netto dei partiti repubblicano, sociali-

sta e comunista a favore della repubblica e

di quello liberale a favore della monarchia,

e con l’atteggiamento meno chiaramente

definito della Democrazia cristiana che, pur

essendo per la maggior parte repubblicana,

lasciò libertà di coscienza ai suoi elettori a

causa dell’emersione di posizioni differenti

dal congresso del partito, ebbe inizio una

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attività dell’Istituto

134 l’impegno

campagna elettorale condotta in maniera ca-

pillare dai partiti di massa a favore della re-

pubblica e portata avanti con tenacia anche

dal principe Umberto, divenuto re dopo la

rottura della tregua istituzionale causata il

9 maggio dall’abdicazione di Vittorio Ema-

nuele III.

Il 2 giugno le operazioni di voto si svol-

sero senza alcun problema di ordine pubbli-

co, nonostante la tensione dei giorni prece-

denti, dovuta anche alla dichiarazione del

31 maggio di Umberto II, che preventiva-

mente gettava un’ombra di illegittimità sul

risultato della consultazione, proclamando

l’intenzione di ricorrere nuovamente alle

urne in caso di vittoria della monarchia per

uno stretto margine, allo scopo di consen-

tire il voto anche ai cittadini delle province

di confine del Nord-Est e ai prigionieri di

guerra non ancora rientrati.

I giorni seguenti, data la lentezza nell’af-

flusso dei risultati e il successivo ribaltamen-

to dell’esito inizialmente favorevole alla mo-

narchia, videro liberali e simpatizzanti mo-

narchici muovere pesanti accuse di brogli,

in un clima reso sempre più teso dalla man-

cata proclamazione del vincitore da parte

della Cassazione, che si limitò a fornire i dati

specificando la loro provvisorietà, e dal ri-

fiuto di Umberto II di riconoscere ufficial-

mente la sconfitta. La situazione si sbloccò

il 13 giugno, con la partenza di Umberto II,

e si risolse definitivamente il 18 giugno con

la proclamazione della repubblica da parte

della Cassazione che, respingendo i ricorsi,

ne sancì la vittoria con una differenza di

quasi due milioni di voti.

L’anniversario della vittoria

Il 5 novembre, in occasione dell’anniver-

sario della vittoria nella prima guerra mon-

diale, si è svolta l’ultima conferenza del ci-

clo di incontri.

Enrico Pagano ha raccontato la tragicità

della guerra avvalendosi, insieme alla terri-

bile contabilità delle vittime e ai dati stati-

stici sulla loro età e composizione sociale,

della drammatica essenzialità dei versi del

poeta-soldato Giuseppe Ungaretti, che ben

rappresentano la fragilità della vita al fron-

te e la fratellanza e solidarietà che la condi-

visione della sofferenza genera tra i commi-

litoni. Le note poesie “Fratelli”, “Soldati” e

“San Martino del Carso” hanno fatto da filo

conduttore alla presentazione di tabelle re-

lative alle vittime di una durissima e logo-

rante guerra di trincea: oltre venti milioni di

uomini tra caduti e feriti su entrambi i fronti.

L’Italia, con i suoi 650.000 caduti, in com-

battimento, per malattia o per le conseguen-

ze della guerra nel periodo dal 1918 al 1925,

vanta il drammatico rapporto di un morto

ogni dieci combattenti, includendo nel con-

teggio anche gli ufficiali, e di uno ogni set-

te, facendo riferimento alla sola truppa.

Seguendo un percorso che, partendo dal-

lo scenario internazionale, ha poi conside-

rato quello nazionale, per giungere a tratta-

re dell’incidenza del conflitto a livello loca-

le, Pagano ha presentato i primi risultati, ri-

cavati dalla consultazione dei registri di leva

e dei fogli matricolari conservati negli archi-

vi di Stato di Varallo e Vercelli, di una ricer-

ca condotta sui varallesi coinvolti nella

grande guerra. Ne è emerso un quadro in cui

i settantacinque caduti in guerra, ai quali si

aggiungono i ventotto deceduti nell’ospe-

dale militare di Varallo, si rivelano per la

maggior parte giovani nati tra il 1890 e il

1895, di basso grado militare e di provenien-

za prevalentemente popolare (falegnami,

operai, manovali, muratori).

Affrontando infine il fenomeno dei prigio-

nieri di guerra, aspetto del conflitto tanto più

significativo in quanto inedito fino ad allo-

ra in così massicce dimensioni, Pagano ha

sottolineato come dei 600.000 prigionieri ita-

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attività dell’Istituto

a. XXVII, n. s., n. 2, dicembre 2007 135

liani poco meno della metà fossero cattura-

ti o si arrendessero durante la disordinata

ritirata conseguente alla disfatta di Caporet-

to. Dispersi in un centinaio di campi di con-

centramento austriaci e tedeschi, i prigio-

nieri italiani, sottoposti a lavori massacran-

ti e forniti di una razione quotidiana di cibo

largamente insufficiente, morirono in mag-

gioranza per malattia, fame, freddo, stenti,

con un tasso di mortalità nove volte supe-

riore rispetto ai prigionieri austriaci e tede-

schi in Italia.

Se appare scontata l’ovvia conclusione

che il peggiore trattamento dei prigionieri

italiani fosse dovuto a un sentimento di ven-

detta da parte di Austria e Impero germani-

co determinato dal tradimento del nostro

paese, entrato in guerra a fianco delle forze

dell’Intesa, non lo è altrettanto la tesi che

attribuisce la responsabilità delle condizio-

ni dei prigionieri direttamente all’Italia. Di

fronte all’impossibilità dei governi di man-

tenere l’elevato numero di prigionieri nelle

stesse condizioni delle proprie truppe quan-

to ad alloggio, vestiario, cure mediche e ali-

mentazione, come prescritto dalle conven-

zioni allora in vigore, Francia e Impero bri-

tannico, su sollecitazione degli organi pre-

posti al problema dei prigionieri di guerra

(Croce rossa internazionale e Agenzia di

Ginevra), si impegnarono ad inviare diret-

tamente aiuti ai propri soldati prigionieri,

mediante convogli scortati da rappresentan-

ti neutrali.

Il governo italiano invece, con colpevole

ritardo, autorizzò l’intervento diretto da par-

te dei privati, ma non intervenne mai uffi-

cialmente con aiuti di stato, abbandonan-

do a se stessi i propri ufficiali e soldati, come

emerge chiaramente dalle lettere scritte dal-

la prigionia di cui Pagano ha letto due si-

gnificativi esempi. Inoltre, alla fine della

guerra, i prigionieri dovettero affrontare an-

che le difficoltà del rimpatrio e la diffidenza

del comando supremo dell’esercito che, allo

scopo di vagliare la situazione di molti uo-

mini sospettati di diserzione, creò apposi-

tamente nuovi campi di concentramento,

smantellati solo grazie alla pressione della

stampa e dell’opinione pubblica.

Ha concluso la conferenza la proiezione

di una scena del film del 2005 “Joyeux Noel”,

di Christian Carion, in cui soldati tedeschi,

scozzesi e francesi, alla vigilia di Natale del

1914, fraternizzano inaspettatamente so-

spendendo, anche se per poco, la guerra

che li mette gli uni contro gli altri: un mes-

saggio di pace e fratellanza che evidenzia

come siano molto più forti e radicati i valori

che uniscono gli uomini, di quanto possa-

no esserlo i conflitti che li dividono.

r. f.

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136 l’impegno

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(a cura di)Organizzare e gestire i documenti speciali dell’as-sociazionismo culturale, politico, e sindacaleGuida orientativa per gli operatori delle bibliote-che, dei centri di documentazione e degli archiviFirenze, Regione Toscana, 2007, pp. 51.

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BIDDAU, NICOLA (a cura di)Piemonte industriaUn secolo di lavoro in fotografiasl, Photo publisher, 2007, pp. 100.

BONAPACE, WILLIAM (a cura di)Socialismi e libertàGiacomo Matteotti tra antifascismo e democraziaAsti, Israt, 2006, pp. 117.

BONARDI, CLAUDIA - NATOLI, CRISTINA (a cura di)Il Mortigliengo fra XVI e XIX secoloIndagine su un habitat montanoBiella, DocBi, 2005, pp. 352.

BONENTE, ROBERTO

“Condannato a ricordare”Augusto Tebaldi a Soave: vita, Resistenza, depor-tazioneCaselle di Sommacampagna (Vr), Cierre; Verona,Ivsrec, 2006, pp. 174.

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CAIROLI, ROBERTA

Nessuno mi ha fermataAntifascismo e Resistenza nell’esperienza delledonne del Comasco 1922-1945Como, Isc, 2005, pp. 288.

in biblioteca

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