Articolo sulla mostra One to One di Alessandro Beltrami Avvenire nazionale 10:01:2014

1
Pavia Ruggeri & Gabriel, tra bianco e nero c’è il colore del sacro Parigi Una retrospettiva sull’architetto francese che insegnò a Le Corbusier l’uso del nuovo materiale nella costruzione. Una singolare ricerca tra innovazione e classicità riletta attraverso otto suoi capolavori Pr pro arche piena che l’a ministro degli Sc lista Un adope che il affres le c ric DANIELE ZAPPALÀ PARIGI osteneva che «l’architettura è l’ar- te di far cantare il punto d’appog- gio». E in effetti, pochi altri archi- tetti novecenteschi hanno tanto insistito come il francese Auguste Perret (1874-1954) sulla piena vi- sibilità delle strutture portanti e sull’economia di rivestimenti. Da questa concezione talora contestata, sono nate alcune opere emblematiche del moder- nismo, anche nel campo dell’arte sacra. Per rendersene conto, è possibile visitare a Parigi la mostra Auguste Perret, otto capolavori. Ar- chitetture del cemento armato (gratuita, aper- ta tutti i giorni, ore 11-18), ospitata proprio in uno degli edifici più celebri disegnati e costruiti da Perret, il Palazzo di Iena, oggi sede del Con- siglio economico, sociale e ambientale. Ma fino a che punto è lecito parlare di moder- nità per un architetto che mai nascose d’inse- guire l’ideale estetico della Grecia classica, de- finendo sempre il Partenone come l’edificio più vicino alla “perfezione”? La mostra evi- denzia bene quanto questo paradosso sia solo apparente, attraverso plastici, foto, disegni pro- gettuali e filmati che ruotano attorno a otto o- pere emblematiche di Perret. Per l’architetto, che diresse pure una florida società familiare di costruzione, modernità rima innanzitutto con funzionalità e padronanza tecnica. Fu un innovatore, per esempio, nell’impiego del ce- mento armato al servizio di un’architettura di qualità e non per scopi brutalmente economi- ci. Anche se non ha mai suscitato il clamore e il fascino di Le Corbusier, che si formò proprio nel suo studio d’architettura rimanendovi un anno tra il 1908 e il 1909, Perret ha inciso il suo nome nella storia dell’architettura moderna proprio per la bravura con cui seppe unire in- novazione tecnica e classicità architettonica. In un documentario inconsueto presentato nella mostra, l’attestano pure gli inquilini di un importante edificio residenziale di Perret, quel- lo parigino della rue Franklin (1903), scelto dai curatori della mostra per aprire la serie delle ot- to opere rappresentative. Le altre sono, nel- l’ordine espositivo che è anche cronologico, il Teatro degli Champs-Elysées (Parigi, 1913), la Chiesa Notre-Dame a Raincy (1923), l’audito- S ALESSANDRO BELTRAMI P AVIA osa significa la frase per cui “tutta l’arte è sacra”? Si tratta di un’affermazione frequente, ma che rischia di restare uno slogan. Una risposta è nella mostra One to One. L’infinito nel finito, in corso allo Spazio per le Arti Contemporanee del Broletto di Pavia. È la prima di una serie di esposizioni in cui la Fondazione Frate Sole mette il lavoro di padre Costantino Ruggeri a colloquio con artisti contemporanei. A inaugurare il dialogo è Raul Gabriel, artista argentino che da tempo riflette sui temi del sacro nella contemporaneità, anche a livello teorico. Quattro bianchi Spazi mistici del francescano risalenti agli anni ’60 e ’70, tra cui due belle e poco note ceramiche in cui la materia che si fa gesto rivelano la meditazione su Fontana, sono messi a confronto dai curatori Marilisa di Giovanni e Andrea Vaccari con le opere di Gabriel, alla cui base c’è invece una riflessione tra parola e corpo. Si tratta di lavori solo remotamente figurativi in cui la superficie bianca o nera della tela è coperta da segni e colate di materiale, prevalentemente industriale, dello stesso colore. In lavori come Big White o Big Black a distinguere l’immagine dal fondo è soprattutto la luce che, a seconda dell’incidenza, rivela e modifica la forma. Writing X è invece la "trascrizione" di un corpo prima che la sua descrizione/rappresentazione. L’aspetto espositivo è centrale. L’architetto Vaccari ha ricavato all’interno dell’ambiente medievale una sorta di labirinto di “cappelle laiche”, o meglio ancora di celle, ognuna delle quali ospita un solo lavoro. La visione diventa quindi l’abitare uno spazio in cui si crea una relazione tra due unicità: l’opera e l’osservatore. One to one, appunto. Il quadro diventa un dispositivo per meditare non sul soggetto sacro ma sulla sacralità dell’atto creativo in sé. L’opera di Gabriel ricentra il problema dell’arte sacra. Non è l’elemento iconografico il problema, né quello dell’intelligibilità. Semmai la vera distinzione tra arte sacra e non sta nella genuinità, che non è naïveté, dell’adesione alla verità che solo un arte non decorativa può raggiungere. Giustamente Gabriel chiosa che l’arte «è sempre sacra se arte autentica». Il fallimento di gran parte dell’“arte sacra” dell’ultimo mezzo secolo sta da una parte nel pensare di recuperare una purezza originaria riattualizzando l’icona bizantina, dall’altra nell’ancoraggio al mito della Biblia pauperum, aggiornata in superficie con i linguaggi della contemporaneità, senza però fare proprie le problematiche del tempo di cui sono espressione. Dimenticando che la formazione delle assemblee ecclesiali negli ultimi 50 anni è molto migliorata, ma anche non accorgendosi che il compito di raccontare – di nuovo: in superficie – le storie dei Vangeli e dei santi se lo è assunto la fiction televisiva. A l’arte si deve e si può chiedere di più. Solo così può diventare davvero quel «ponte» (quindi struttura di relazione) «gettato verso l’esperienza religiosa», come la definiva Giovanni Paolo II. © RIPRODUZIONE RISERVATA Pavia, Broletto ONE TO ONE Raul Gabriel. Costantino Ruggeri Fino al 20 gennaio C Interno chiesa Saint-Joseph a Le Havre Roma. Il «divus» Adriano, storia e a 14 arte rium Cortot (Parig lio nazionale (Pari Iena (1937), il Mu seph a Le Havre (1 Proprio nella città chitetto ricostruì il bardamenti bellic veva già ottenuto internazionali. Pe sua cifra estetica, i 2005 nella lista de l’umanità stilata d poche altre creaz centesche. Lungo il percorso tore può confron sciutta che ricord triche del mondo della simmetria, non a caso, in un cura della Scuola P L de Auguste Perret,

description

Articolo sulla mostra One to One di Alessandro Beltrami Avvenire nazionale 10:01:2014

Transcript of Articolo sulla mostra One to One di Alessandro Beltrami Avvenire nazionale 10:01:2014

Page 1: Articolo sulla mostra One to One di Alessandro Beltrami Avvenire nazionale 10:01:2014

PaviaRuggeri & Gabriel,tra bianco e neroc’è il colore del sacro

ParigiUna retrospettiva sull’architetto

francese che insegnòa Le Corbusier l’uso del nuovo

materiale nella costruzione. Unasingolare ricerca tra innovazione

e classicità riletta attraversootto suoi capolavori

BRAY«PRESTO LA GRANDE POMPEI»

Il ministro dei Beni artistici e culturali, Massimo Bray, ha resonoto ieri alla Camera dei Deputati, a proposito dell’attuazione del

Progetto «Grande Pompei», che «verranno bandite a breve leprocedure di gara per l’assegnazione dei lavori di restauro dell’area

archelogica di Pompei». Bray ha anche assicurato «attenzione semprepiena e vigile» dal parte del ministero sulla situazione di Pompei e ha ribadito

che l’attuazione del piano entrerà nel vivo «già dalla prossima settimana». Ilministro ha anche giudicato «meritevole» la proposta di candidare la Cappelladegli Scrovegni di Padova e il circuito dei siti trecenteschi per l’inserimento nellalista Unesco del Patrimonio dell’Umanità: «Come ministero – ha detto – ciadopereremo per fare sì che la proposta venga considerata» e ha ricordatoche il ministero ha contributi con 33,5 miliardi di lire al restauro degliaffreschi. Il Mibac, ricorda però il ministro, «non sostiene economicamentele candidature ma fornisce un apporto tecnico scientifico». Bray ha

ricordato anche che la proposta di inserire il complesso di Giottonella lista dell’Unesco è depositata fin dal 1996. I promotori, ha

ribadito infine il ministro, devono farsi carico della propostadi candidatura con il relativo piano di gestione.

DANIELE ZAPPALÀPARIGI

osteneva che «l’architettura è l’ar-te di far cantare il punto d’appog-gio». E in effetti, pochi altri archi-tetti novecenteschi hanno tantoinsistito come il francese AugustePerret (1874-1954) sulla piena vi-sibilità delle strutture portanti e

sull’economia di rivestimenti. Da questa concezione talora contestata, sononate alcune opere emblematiche del moder-nismo, anche nel campo dell’arte sacra. Perrendersene conto, è possibile visitare a Parigila mostra Auguste Perret, otto capolavori. Ar-chitetture del cemento armato (gratuita, aper-ta tutti i giorni, ore 11-18), ospitata proprio inuno degli edifici più celebri disegnati e costruitida Perret, il Palazzo di Iena, oggi sede del Con-siglio economico, sociale e ambientale. Ma fino a che punto è lecito parlare di moder-nità per un architetto che mai nascose d’inse-guire l’ideale estetico della Grecia classica, de-finendo sempre il Partenone come l’edificiopiù vicino alla “perfezione”? La mostra evi-denzia bene quanto questo paradosso sia soloapparente, attraverso plastici, foto, disegni pro-gettuali e filmati che ruotano attorno a otto o-pere emblematiche di Perret. Per l’architetto,che diresse pure una florida società familiaredi costruzione, modernità rima innanzituttocon funzionalità e padronanza tecnica. Fu uninnovatore, per esempio, nell’impiego del ce-mento armato al servizio di un’architettura diqualità e non per scopi brutalmente economi-ci. Anche se non ha mai suscitato il clamore eil fascino di Le Corbusier, che si formò proprionel suo studio d’architettura rimanendovi unanno tra il 1908 e il 1909, Perret ha inciso il suonome nella storia dell’architettura modernaproprio per la bravura con cui seppe unire in-novazione tecnica e classicità architettonica.In un documentario inconsueto presentatonella mostra, l’attestano pure gli inquilini di unimportante edificio residenziale di Perret, quel-lo parigino della rue Franklin (1903), scelto daicuratori della mostra per aprire la serie delle ot-to opere rappresentative. Le altre sono, nel-l’ordine espositivo che è anche cronologico, ilTeatro degli Champs-Elysées (Parigi, 1913), laChiesa Notre-Dame a Raincy (1923), l’audito-

S

ALESSANDRO BELTRAMIPAVIA

osa significa la frase per cui “tuttal’arte è sacra”? Si tratta diun’affermazione frequente, mache rischia di restare uno slogan.

Una risposta è nella mostra One to One.L’infinito nel finito, in corso allo Spazioper le Arti Contemporanee del Brolettodi Pavia. È la prima di una serie diesposizioni in cui la Fondazione FrateSole mette il lavoro di padre CostantinoRuggeri a colloquio con artisticontemporanei. A inaugurare il dialogo èRaul Gabriel, artista argentino che datempo riflette sui temi del sacro nellacontemporaneità, anche a livello teorico.Quattro bianchi Spazi mistici delfrancescano risalenti agli anni ’60 e ’70,tra cui due belle e poco note ceramichein cui la materia che si fa gesto rivelanola meditazione su Fontana, sono messi aconfronto dai curatori Marilisa diGiovanni e Andrea Vaccari con le operedi Gabriel, alla cui base c’è invece unariflessione tra parola e corpo. Si tratta dilavori solo remotamente figurativi in cuila superficie bianca o nera della tela ècoperta da segni e colate di materiale,prevalentemente industriale, dello stessocolore. In lavori come Big White o BigBlack a distinguere l’immagine dal fondoè soprattutto la luce che, a secondadell’incidenza, rivela e modifica la forma.Writing X è invece la "trascrizione" di uncorpo prima che la suadescrizione/rappresentazione. L’aspettoespositivo è centrale. L’architetto Vaccariha ricavato all’interno dell’ambientemedievale una sorta di labirinto di“cappelle laiche”, o meglio ancora dicelle, ognuna delle quali ospita un sololavoro. La visione diventa quindi l’abitareuno spazio in cui si crea una relazione tradue unicità: l’opera e l’osservatore. Oneto one, appunto. Il quadro diventa undispositivo per meditare non sulsoggetto sacro ma sulla sacralità dell’attocreativo in sé. L’opera di Gabriel ricentrail problema dell’arte sacra. Non èl’elemento iconografico il problema, néquello dell’intelligibilità. Semmai la veradistinzione tra arte sacra e non sta nellagenuinità, che non è naïveté,dell’adesione alla verità che solo un artenon decorativa può raggiungere.Giustamente Gabriel chiosa che l’arte «èsempre sacra se arte autentica». Ilfallimento di gran parte dell’“arte sacra”dell’ultimo mezzo secolo sta da unaparte nel pensare di recuperare unapurezza originaria riattualizzando l’iconabizantina, dall’altra nell’ancoraggio almito della Biblia pauperum, aggiornatain superficie con i linguaggi dellacontemporaneità, senza però fareproprie le problematiche del tempo dicui sono espressione. Dimenticando chela formazione delle assemblee ecclesialinegli ultimi 50 anni è molto migliorata,ma anche non accorgendosi che ilcompito di raccontare – di nuovo: insuperficie – le storie dei Vangeli e deisanti se lo è assunto la fiction televisiva. Al’arte si deve e si può chiedere di più.Solo così può diventare davvero quel«ponte» (quindi struttura di relazione)«gettato verso l’esperienza religiosa»,come la definiva Giovanni Paolo II.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Pavia, Broletto

ONE TO ONERaul Gabriel. Costantino Ruggeri

Fino al 20 gennaio

C

tettura di Versailles, le citazioni includono ilPantheon di Roma, la Casa del Mantegna (Man-tova, 1476), il Pozzo di San Patrizio di Antonioda Sangallo il Giovane (Orvieto, 1537), la VillaRotonda di Palladio (Vicenza, 1571), oltre alprogetto per la Biblioteca Reale di Etienne LouisBoullée (Parigi, 1786). Ma di quest’ultimo e delversante più estremo del neoclassicismo fran-cese, Perret rinnegò sempre la smoderatezzautopistica, accostandosi più all’equilibrio fraarmonia formale e padronanza costruttiva deimaestri storici di quell’Italia che l’architetto pa-rigino visitò nel 1922 assieme all’amico scultoreAntoine Bourdelle, chiudendo simbolicamen-te il tour a Pompei e Paestum. Concepiti per durare, nella scia ideale dei tem-pli greci, gli edifici di Perret sono al contempomolto spesso abitabili, armoniosi e luminosi.La libertà della luce e i riflessi sono garantitipure da certi materiali associati al cemento ar-mato, come il gres, con i suoi effetti sottilmen-te policromi.L’austerità, l’organicità costruttiva e la libertàfunzionale di questo stile si sono rivelati con-geniali pure per l’edilizia sacra. La mostra pre-senta in particolare il caso della Chiesa Notre-Dame di Raincy (banlieue parigina), spesso so-prannominata la "Sainte Chapelle in cementoarmato", per le sorprendenti analogie sensorialirispetto alla visita del capolavoro gotico due-centesco voluto da Luigi IX nel cuore di Parigi.A Raincy, la facciata grigia e slanciata della chie-sa suscita ancor oggi giudizi contrastanti. Mauna volta varcata la soglia, i fedeli si ritrovanoal centro di uno spazio architettonico unico,pervaso soprattutto al mattino da estesi eprofondi fraseggi di luce policroma garantitidalle grandi vetrate. L’esperienza sovrasta dicolpo la forma, dando vita sorprendentemen-te al "canto" ricercato fino all’ultimo dietro alcemento dal visionario e talora sottovalutatoPerret.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Parigi, Palazzo di Iena

AUGUSTE PERRET,OTTO CAPOLAVORIFino al 19 febbraio

Interno chiesa Saint-Joseph a Le Havre

Roma. Il «divus» Adriano, storia e apoteosi di un imperatoreMARCO BUSSAGLIROMA

nimula vagula blandula, / Ho-spes comesque corporis / Quaenunc abibis in loca / Pallidula,rigida, nudula, / Nec, ut soles,

dabis iocos...». Sono questi i celebri versi chela critica riferisce al momento del trapasso del-l’imperatore Adriano che li avrebbe pronun-ciati in punto di morte. Il suo significato è uni-versale e può essere considerato un atto d’a-more nei confronti della sua (ma pure nostra)«Animuccia smarrita e soave / ospite e com-pagna del corpo» che ora, liberata dalla carne,si avviava verso i luoghi pallidi, freddi, nudi del-l’aldilà, dove non avrebbe potuto più divertir-si con i suoi «giuochi consueti». Contro questoscenario deludente e triste, la ritualistica dellaRoma antica, aveva immaginato, per tutti gliimperatori e per loro soltanto, un percorso diapoteosi, ossia di trasformazione in divinità

A«ginale forma architettonica del mausoleo, condisegni e plastici appositamente realizzati.La successione dei tre corpi di fabbrica delmausoleo, allora, potrebbe alludere a quelladella pira sulla quale veniva adagiato il corpoesanime degli imperatori per essere cremato.È possibile vederne un esempio nello straor-dinario rilievo in avorio del IV secolo, prestatodal British Museum (che di per sé vale una vi-sita) che raffigura, appunto, l’apoteosi di unimperatore non ancora identificato, ma sulquale gli studiosi hanno fatto diverse ipotesi,

come Antonino Pio (supponendo la presenzadella consorte Faustina sull’altra valva), oppu-re Giuliano l’Apostata o, come più probabile,sulla base del monogramma riconosciuto daAlföldi quale quello dei Simmachi, l’imperato-re Valente.Non è, però, questo il solo pezzo importanteche si può ammirare in mostra. Di grande fa-scino, è il letto funebre in osso provenientedalla tomba 6, dall’antica Aquinum, l’attualeAquino nel basso Lazio. A questo si devono ag-giungere la testa di Augusto proveniente da Pa-

lestrina, l’eros alato in bronzo del Museo Na-zionale Romano e il prezioso vaso a figure ne-re del 510 a.C. con l’Apoteosi di Ercole. Si tro-va proprio in questo episodio, infatti, la radi-ce culturale del processo di divinizzazione cheda Romolo, in poi (divus per eccellenza), siapure in modo intermittente, interesserà la cul-tura religiosa romana, anche se, com’è noto,già i faraoni egiziani venivano considerati dinatura divina. La contaminazione, con la Gre-cia e i suoi eroi, divenuti semi-dei, si estese a-gli imperatori, ad iniziare dal Divo Augustodel quale, come si sa, ricorre il bimillenariodella sua apoteosi. Unico neo della mostra, ilcatalogo che è ancora in stampa per i tipi del-la Palombi.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Roma, Museo di Castel Sant’Angelo

APOTEOSI. DA UOMINI A DÈIFino al 27 aprile

Una grande rassegna allestitaa Castel Sant’Angelo, antico

mausoleo degli imperatoriromani, documenta il confinedove avviene la trafigurazione

da uomini a dèi dei cesari

che avrebbe concesso al sovranoscomparso l’appellativo di divus egli avrebbe riservato memoria im-peritura e gli onori delle are sacrifi-cali.A questo particolare aspetto dellareligiosità romana è ora dedicata u-na splendida mostra, Apoteosi. Dauomini a dei(l’ultima fra quelle rea-lizzate grazie alla direzione di Ma-ria Grazia Bernardini), giustamente ospitatanella sede del Museo di Castel Sant’Angelo aRoma che – com’è noto – prima di essere roc-caforte papale, era il mausoleo dell’imperato-re Adriano e, poi, di tutti i successori della suaschiatta. Ideata e diretta da due maestri dellacultura e dell’archeologia non solo italiane, co-me Filippo Coarelli e Piero Lo Sardo, la mostraè stata curata da studiosi e ricercatori di famacome Letizia Abbondanza, Aldo Mastroianni ePaolo Vitti. In particolare, quest’ultimo, ha pro-posto una nuova ipotesi ricostruttiva dell’ori-

14 Venerdì10 Gennaio 2014a r t e

Rilievo di Amiternum con scena di trasporto funebre

rium Cortot (Parigi, 1928), l’edificio del Mobi-lio nazionale (Parigi, 1934), lo stesso Palazzo diIena (1937), il Municipio e la Chiesa Saint-Jo-seph a Le Havre (1950 e 1951). Proprio nella città portuale sulla Manica, l’ar-chitetto ricostruì il tessuto urbano dopo i bom-bardamenti bellici, a un’epoca in cui Perret a-veva già ottenuto importanti riconoscimentiinternazionali. Per il suo rigore funzionale e lasua cifra estetica, il centro storico è entrato nel2005 nella lista del Patrimonio mondiale del-l’umanità stilata dall’Unesco, aggiungendosi apoche altre creazioni architettoniche nove-centesche.Lungo il percorso espositivo lineare, lo spetta-tore può confrontarsi con un’architettura a-sciutta che ricorda a tratti le strutture schele-triche del mondo animale. Dominano l’artedella simmetria, la coerenza e l’equilibrio. Enon a caso, in un gioco di analogie storiche acura della Scuola normale superiore d’archi-

PERRETLa poesia

del cementoarmato

Auguste Perret, interno del Teatro degli Champs-Elysées

L’esterno del Palazzo di Iena realizzato da Perret

La scala interna del Palazzo di Iena