Arte L’arte a Roma dal Nathan al Sessantotto Il boom ... · piare, tra il 1954 e il 1964, il...

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28 Il Sole 24 Ore DOMENICA - 1 APRILE 2018 n. 90 Arte L’arte a Roma dal Nathan al Sessantotto La mostra «Roma città moderna. Da Nathan al Sessantotto», aperta alla GNAM di Roma fino al 28 ottobre ripercorre tutte le correnti artistiche del ’900 con in primo piano la città di Roma. Attraverso 180 opere (dipinti, sculture, grafica e fotografia), la rassegna offre uno spaccato della cultura artistica cittadina, dal sindaco Ernesto Nathan (1907-1913) al turbolento ’68 firenze Il boom italiano in rosso A Palazzo Strozzi gli artisti più sperimentali del nostro Dopoguerra che hanno formato la nuova arte nazionale dominata dal Pci di Ada Masoero C ome una grandiosa pala d’alta- re, espressione della religione laica del Partito comunista ita- liano, il «telero» della Battaglia di Ponte dell’Ammiraglio di Re- nato Guttuso (nella versione del 1955, realizzata per l’Aula magna dell’Istituto di Studi Comunisti: per tutti, «le Frattoc- chie»), accoglie dall’alto i visitatori della mo- stra che Luca Massimo Barbero ha ordinato in Palazzo Strozzi. Nascita di una nazione è il titolo della rassegna, e questo quadrone fu davvero concepito dal suo autore come un di- pinto eponimo del formarsi dell’Italia: evo- cando le battaglie garibaldine in Sicilia, gra- zie alle quali l’Italia sarebbe diventata una “nazione”, Guttuso, che del Pci era l’artista- principe, in realtà parlava dell’Italia degli an- ni ’50, quella uscita dalla guerra e impegnata a ricostruirsi, nei suoi auspici, sotto le rosse bandiere del partito. E rosso, rossissimo - per via delle innumerevoli camicie garibaldine - è anche questo dipinto un po’ greve, in cui l’artista assegna ad alcuni dei combattenti il proprio volto o quello dei compagni di lotta Guido Pajetta e Antonello Trombadori. Tut- t’intorno, come in un fregio mobile, spezzoni di video d’epoca raccontano le vicende di quel dopoguerra in cui l’Italia cresceva e si moder- nizzava impetuosamente, tanto da raddop- piare, tra il 1954 e il 1964, il proprio reddito na- zionale (da leggere, in catalogo, il denso sag- gio dello storico Guido Crainz). Fu il Daily Mail, nel 1959, a parlare per pri- mo di «miracolo italiano». Da noi occorse qualche tempo ancora per capirlo, poiché nel nostro territorio permanevano vaste aree di miseria e arretratezza. Ma il processo era avviato e il volto del Paese stava cam- biando radicalmente. È Guttuso, dunque -il “pittore militante” per eccellenza, fedele ai diktat di Palmiro To- gliatti, che aborriva l’astrazione- ad aprire i giochi con il suo realismo celebrativo, di pro- paganda. Ma proprio alle spalle del suo dipin- to, nella sala seguente, ecco il fiammeggiante Comizio, 1950, del non meno militante Giulio Turcato che però, al contrario di lui, scelse la via della sintesi astratta: il percorso della mo- stra si apre con queste due icone della querelle artistica e ideologica tra realismo e astrazio- ne, che infiammò i primi anni del dopoguerra. Quale via si percorra qui, è evidente: quella dell’astrazione, tra Informale e monocromia, che presto s’intreccerà con la «nuova figura- zione» romana degli anni ’60, per confluire poi nell’arte militante del Sessantotto. Le ragioni? Da un lato per l’eredità tuttora viva lasciata da quegli artisti, che erano allora trascurati dal collezionismo ma che oggi, ri- scoperti dai mercati internazionali e dalla cri- tica, sono riconosciuti come i maestri che era- no; dall’altro, perché appare evidente come i linguaggi elaborati dalle aree più sperimenta- li della nostra arte del dopoguerra abbiano contribuito fortemente al formarsi della nuo- va identità nazionale, dopo una guerra deva- stante seguita a vent’anni di dittatura. Il sottotesto della mostra è, dunque, den- sissimo. Ma non si pensi a una mostra dida- scalica (cioè noiosa). Il curatore, infatti, non ha certo compilato un regesto ma si è mosso per “accensioni”, per flash di forte suggestio- ne, in un susseguirsi di sale spettacolari che, in più, riuniscono opere scelte e cercate una per una perché fortemente rappresentative dei dibattiti più vivaci. Tipica del panorama cul- turale italiano, sostiene Barbero, è la compre- senza di linguaggi diversi, in una geografia ar- tistica dai confini sfrangiati e cangianti, e con la mostra prova l’assunto: ecco allora che, con il Comizio di Turcato, si affacciano il volto la- cerato di Mussolini nel décollage di Mimmo Rotella e il beffardo Generale ringhiante di En- rico Baj, testimoni del nostro “nuovo Risorgi- mento” di pace. Di qui si penetra nella sala ma- gnifica che riunisce gli esempi del più alto In- formale: in un buio profondo si confrontano il grande Sacco di Alberto Burri (che, esposto da Palma Bucarelli alla Gnam di Roma, provocò l’irata interrogazione parlamentare del sena- tore del Pci Umberto Terracini) e il dirompen- te Scontro di situazioni di Emilio Vedova; la scultura magmatica di Leoncillo e quella, di cemento, di Mirko Basaldella, che prelude al suo cancello per le Fosse Ardeatine, fino al su- perbo, gigantesco rame lacerato di New York 10, dove Lucio Fontana nel 1962, di ritorno da- gli Stati Uniti, evoca i «torrenti di luce» che aveva visto scorrere sui grattacieli di Manhat- tan. Il passaggio dal buio della sala dell’Infor- male al candore abbacinante di quella dell’ar- te monocroma è brutale ed emozionante: «una scelta di libertà» la monocromia, per Barbero, che allinea qui altri (capo)lavori di Fontana, giunto alla purezza dei tagli delle At- tese, e di Piero Manzoni, di Castellani (con un’opera monumentale), Bonalumi, Scheggi, Scarpitta e di un Turcato ora del tutto aniconi- co, insieme alle candide sculture di Consagra e Alberto Viani. Di qui in poi, in quell’intreccio di alfabeti artistici che connota la nostra cul- tura, il percorso continua attraverso il nuovo realismo militante degli anni ’60, fino ai mae- stri dell’Arte Povera, in sale tematiche fitte an- ch’esse di opere capitali, in cui si rievoca una stagione che in pochi anni, tra la metà dei ’50 e il Sessantotto, ha cambiato il nostro tempo. © RIPRODUZIONE RISERVATA Nascita di una nazione. Tra Guttuso, Fontana e Schifano, Firenze, Palazzo Strozzi, fino al 22 luglio. Catalogo Marsilio allestimento | Una della sale della mostra «Nascita di una nazione. Tra Guttuso, Fontana e Schifano» aperta a Palazzo Strozzi di Firenze I l cuore di Firenze si arricchisce di un nuovo museo (sebbene il suo fondatore preferisca chiamarlo, semplicemente, Collezione): un museo privato di arte moderna e contemporanea, frutto del mecenatismo del collezionista, e poi gallerista, Roberto Casamonti, patron di quella costellazione multinazionale che sono ormai le gallerie Tornabuoni. Acqui- stato il piano nobile del Palazzo Bartolini Salimbeni di Firenze (eretto da Baccio d’Agnolo in piazza Santa Trinita) e restau- rato l’intero edificio, Roberto Casamonti condivide gratuitamente con il pubblico (su semplice prenotazione) la sua ricchis- sima raccolta personale, ora inalienabile perché conferita alla Collezione. Nella mostra inaugurale ordinata da Bruno Corà, curatore della raccolta, sono esposte per un anno le opere che dall’esordio del XX secolo giungono fino agli anni ’60; poi, toccherà al nucleo dai ’60 a oggi. I grandi maestri dell’arte italiana della prima metà del ‘900 (e anche qualche nome oggi meno osannato, come Mario Tozzi o René Paresce, qui con dipinti affascinanti) ci sono tutti, molti con opere altissime: Sironi, Morandi e de Chirico. E ben documentati sono anche i maestri internazionali, da Soutine a Vla- minck, da Picasso a Braque e Léger, e poi Kandinsky e Klee, Fautrier, Hartung e i CoBrA (e, più avanti, Warhol e Yves Klein), ma è con gli artisti italiani attivi tra i ’50 e i ’60, frequentati con assiduità da Casamonti, che la collezione s’impenna. Qui emerge, infatti, la passione vera del collezionista per quei linguaggi radicali: dall’amico («e maestro», precisa lui) Dorazio ad Accardi, Sanfilippo, Turcato, Capogrossi, Afro, Vedova, i fratelli Pomodoro, le opere si fanno via via più centrali nella vicenda artistica di ognuno. Con il culmine dell’ultima sala, dove sfilano opere museali di Fontana, amato da Casamonti da tempi molto lontani, e lavori non meno preziosi di Manzoni, Castellani, Bonalumi, Burri, Kounellis, tutti riuniti in quella che si può considerare un’estensione, di pari livello, della mostra di Palazzo Strozzi. – A. Masoero © RIPRODUZIONE RISERVATA Aperta la collezione di Roberto Casamonti nuovi musei

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28 Il Sole 24 Ore DOMENICA - 1 APRILE 2018 n. 90

ArteL’arte a Roma dal Nathan al Sessantotto

La mostra «Roma città moderna. Da Nathan al Sessantotto», aperta allaGNAM di Roma fino al 28 ottobre ripercorre tutte le correnti artistiche del

’900 con in primo piano la città di Roma. Attraverso 180 opere (dipinti,sculture, grafica e fotografia), la rassegna offre uno spaccato della cultura

artistica cittadina, dal sindaco Ernesto Nathan (1907-1913) al turbolento ’68

firenze

Il boom italiano in rossoA Palazzo Strozzi gli artisti più sperimentalidel nostro Dopoguerrache hanno formato la nuova arte nazionale dominata dal Pci

di Ada Masoero

Come una grandiosa pala d’alta-re, espressione della religionelaica del Partito comunista ita-liano, il «telero» della Battagliadi Ponte dell’Ammiraglio di Re-nato Guttuso (nella versione del

1955, realizzata per l’Aula magna dell’Istitutodi Studi Comunisti: per tutti, «le Frattoc-chie»), accoglie dall’alto i visitatori della mo-stra che Luca Massimo Barbero ha ordinatoin Palazzo Strozzi. Nascita di una nazione è iltitolo della rassegna, e questo quadrone fudavvero concepito dal suo autore come un di-pinto eponimo del formarsi dell’Italia: evo-cando le battaglie garibaldine in Sicilia, gra-zie alle quali l’Italia sarebbe diventata una“nazione”, Guttuso, che del Pci era l’artista-principe, in realtà parlava dell’Italia degli an-ni ’50, quella uscita dalla guerra e impegnataa ricostruirsi, nei suoi auspici, sotto le rossebandiere del partito. E rosso, rossissimo - pervia delle innumerevoli camicie garibaldine -è anche questo dipinto un po’ greve, in cuil’artista assegna ad alcuni dei combattenti ilproprio volto o quello dei compagni di lottaGuido Pajetta e Antonello Trombadori. Tut-t’intorno, come in un fregio mobile, spezzonidi video d’epoca raccontano le vicende di queldopoguerra in cui l’Italia cresceva e si moder-nizzava impetuosamente, tanto da raddop-piare, tra il 1954 e il 1964, il proprio reddito na-

zionale (da leggere, in catalogo, il denso sag-gio dello storico Guido Crainz).

Fu il Daily Mail, nel 1959, a parlare per pri-mo di «miracolo italiano». Da noi occorsequalche tempo ancora per capirlo, poichénel nostro territorio permanevano vastearee di miseria e arretratezza. Ma il processoera avviato e il volto del Paese stava cam-biando radicalmente.

È Guttuso, dunque -il “pittore militante”per eccellenza, fedele ai diktat di Palmiro To-

gliatti, che aborriva l’astrazione- ad aprire igiochi con il suo realismo celebrativo, di pro-paganda. Ma proprio alle spalle del suo dipin-to, nella sala seguente, ecco il fiammeggiante Comizio, 1950, del non meno militante GiulioTurcato che però, al contrario di lui, scelse la via della sintesi astratta: il percorso della mo-stra si apre con queste due icone della querelleartistica e ideologica tra realismo e astrazio-ne, che infiammò i primi anni del dopoguerra.Quale via si percorra qui, è evidente: quella

dell’astrazione, tra Informale e monocromia, che presto s’intreccerà con la «nuova figura-zione» romana degli anni ’60, per confluire poi nell’arte militante del Sessantotto.

Le ragioni? Da un lato per l’eredità tuttoraviva lasciata da quegli artisti, che erano alloratrascurati dal collezionismo ma che oggi, ri-scoperti dai mercati internazionali e dalla cri-tica, sono riconosciuti come i maestri che era-no; dall’altro, perché appare evidente come ilinguaggi elaborati dalle aree più sperimenta-

li della nostra arte del dopoguerra abbiano contribuito fortemente al formarsi della nuo-va identità nazionale, dopo una guerra deva-stante seguita a vent’anni di dittatura.

Il sottotesto della mostra è, dunque, den-sissimo. Ma non si pensi a una mostra dida-scalica (cioè noiosa). Il curatore, infatti, nonha certo compilato un regesto ma si è mossoper “accensioni”, per flash di forte suggestio-ne, in un susseguirsi di sale spettacolari che, inpiù, riuniscono opere scelte e cercate una peruna perché fortemente rappresentative deidibattiti più vivaci. Tipica del panorama cul-turale italiano, sostiene Barbero, è la compre-senza di linguaggi diversi, in una geografia ar-tistica dai confini sfrangiati e cangianti, e conla mostra prova l’assunto: ecco allora che, conil Comizio di Turcato, si affacciano il volto la-cerato di Mussolini nel décollage di MimmoRotella e il beffardo Generale ringhiante di En-rico Baj, testimoni del nostro “nuovo Risorgi-mento” di pace. Di qui si penetra nella sala ma-gnifica che riunisce gli esempi del più alto In-formale: in un buio profondo si confrontano ilgrande Sacco di Alberto Burri (che, esposto daPalma Bucarelli alla Gnam di Roma, provocò l’irata interrogazione parlamentare del sena-tore del Pci Umberto Terracini) e il dirompen-te Scontro di situazioni di Emilio Vedova; la scultura magmatica di Leoncillo e quella, dicemento, di Mirko Basaldella, che prelude al suo cancello per le Fosse Ardeatine, fino al su-perbo, gigantesco rame lacerato di New York10, dove Lucio Fontana nel 1962, di ritorno da-gli Stati Uniti, evoca i «torrenti di luce» cheaveva visto scorrere sui grattacieli di Manhat-tan. Il passaggio dal buio della sala dell’Infor-male al candore abbacinante di quella dell’ar-te monocroma è brutale ed emozionante: «una scelta di libertà» la monocromia, per Barbero, che allinea qui altri (capo)lavori di Fontana, giunto alla purezza dei tagli delle At­tese, e di Piero Manzoni, di Castellani (con un’opera monumentale), Bonalumi, Scheggi,Scarpitta e di un Turcato ora del tutto aniconi-co, insieme alle candide sculture di Consagrae Alberto Viani. Di qui in poi, in quell’intrecciodi alfabeti artistici che connota la nostra cul-tura, il percorso continua attraverso il nuovorealismo militante degli anni ’60, fino ai mae-stri dell’Arte Povera, in sale tematiche fitte an-ch’esse di opere capitali, in cui si rievoca una stagione che in pochi anni, tra la metà dei ’50 eil Sessantotto, ha cambiato il nostro tempo.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Nascita di una nazione. Tra Guttuso, Fontana e Schifano, Firenze, Palazzo Strozzi, fino al 22 luglio. Catalogo Marsilio

allestimento | Una della sale della mostra «Nascita di una nazione. Tra Guttuso, Fontana e Schifano» aperta a Palazzo Strozzi di Firenze

Il cuore di Firenze si arricchisce di un nuovo museo (sebbene il suo fondatorepreferisca chiamarlo, semplicemente,

Collezione): un museo privato di arte moderna e contemporanea, frutto del mecenatismo del collezionista, e poi gallerista, Roberto Casamonti, patron di quella costellazione multinazionale che sono ormai le gallerie Tornabuoni. Acqui-stato il piano nobile del Palazzo Bartolini Salimbeni di Firenze (eretto da Baccio d’Agnolo in piazza Santa Trinita) e restau-rato l’intero edificio, Roberto Casamonti condivide gratuitamente con il pubblico (su semplice prenotazione) la sua ricchis-sima raccolta personale, ora inalienabile perché conferita alla Collezione. Nella mostra inaugurale ordinata da Bruno Corà, curatore della raccolta, sono esposte per un anno le opere che dall’esordio del XX secolo giungono fino agli anni ’60; poi, toccherà al nucleo dai ’60 a oggi. I grandi maestri dell’arte italiana della prima metà del ‘900 (e anche qualche nome oggi meno osannato, come Mario Tozzi o René Paresce, qui con dipinti affascinanti) ci sono tutti, molti con opere altissime: Sironi, Morandi e de Chirico. E ben documentati sono anche i maestri internazionali, da Soutine a Vla­minck, da Picasso a Braque e Léger, e poi Kandinsky e Klee, Fautrier, Hartung e i CoBrA (e, più avanti, Warhol e Yves Klein), ma è con gli artisti italiani attivi tra i ’50 e i ’60, frequentati con assiduità da Casamonti, che la collezione s’impenna. Qui emerge, infatti, la passione vera del collezionista per quei linguaggi radicali: dall’amico («e maestro», precisa lui) Dorazio ad Accardi, Sanfilippo, Turcato, Capogrossi, Afro, Vedova, i fratelli Pomodoro, le opere si fanno via via più centrali nella vicenda artistica di ognuno. Con il culmine dell’ultima sala, dove sfilano opere museali di Fontana, amato da Casamonti da tempi molto lontani, e lavori non meno preziosi di Manzoni, Castellani, Bonalumi, Burri, Kounellis, tutti riuniti in quella che si può considerare un’estensione, di pari livello, della mostra di Palazzo Strozzi.

– A. Masoero© RIPRODUZIONE RISERVATA

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