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Arte Egizia La cultura egiziana ha lasciato testimonianze di un'arte assolutamente originale perché il territorio in cui si sviluppa, chiuso fra deserti e mare, impedì per lungo tempo i contatti con le altre civiltà. Tali testimonianze riguardano soprattutto grandiose costruzioni funerarie (tombe riunite in necropoli, piramidi) e monumentali templi, caratterizzati dall'uso di altissime colonne, con capitelli dalle forme assai varie, spesso ispirate ad elementi naturali, quali foglie e fiori. L'arte egiziana è l'espressione di uno Stato organizzato assai rigidamente. A capo di ogni cosa è il Faraone, sovrano e sommo sacerdote, dio in terra ed assunto fra gli dei dopo la morte. Accanto a lui, la casta sacerdotale è la più privilegiata e potente. L'arte egiziana, quasi sempre commissionata dall'autorità politica e religiosa, deve glorificare attraverso imponenti edifici la divinità e il faraone, incutere nel popolo rispetto sacro e venerazione per una classe politica forte e immutabile nel tempo. L'artista è un artigiano anonimo, spesso uno schiavo che non può esprimersi liberamente, ma obbedisce a precise disposizioni imposte dall'alto. Se il popolo può ammirare le grandi costruzioni, simbolo di potere sul territorio, pittura e scultura si trovano soprattutto in ambienti destinati alle classi che detengono questo potere. Rigidezza e frontalità, quindi, dipendono da una volontà precisa e non da incapacità di rappresentazione; non mancano esempi molto significativi dell'abilità dell'artista di ritrarre con naturalismo scene di vita quotidiana, piante ed animali. ARCHITETTURA LE PIRAMIDI Sulle cause che portarono la piramide, cioè la tomba regale, ad assumere caratteri determinati e fissi, gli studiosi non sono concordi. Per alcuni può essersi trattato di una semplice evoluzione architettonica: dalla mastaba, alla piramide a gradoni , alla piramide vera e propria e infine all’i pogeo.

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Arte Egizia La cultura egiziana ha lasciato testimonianze di un'arte assolutamente originale perché il

territorio in cui si sviluppa, chiuso fra deserti e mare, impedì per lungo tempo i contatti con

le altre civiltà.

Tali testimonianze riguardano soprattutto grandiose costruzioni funerarie (tombe riunite in

necropoli, piramidi) e monumentali templi, caratterizzati dall'uso di altissime colonne, con

capitelli dalle forme assai varie, spesso ispirate ad elementi naturali, quali foglie e fiori.

L'arte egiziana è l'espressione di uno Stato organizzato assai rigidamente.

A capo di ogni cosa è il Faraone, sovrano e sommo sacerdote, dio in terra ed assunto

fra gli dei dopo la morte. Accanto a lui, la casta sacerdotale è la più privilegiata e potente.

L'arte egiziana, quasi sempre commissionata dall'autorità politica e religiosa, deve

glorificare attraverso imponenti edifici la divinità e il faraone, incutere nel popolo rispetto

sacro e venerazione per una classe politica forte e immutabile nel tempo.

L'artista è un artigiano anonimo, spesso uno schiavo che non può esprimersi liberamente,

ma obbedisce a precise disposizioni imposte dall'alto. Se il popolo può ammirare le grandi

costruzioni, simbolo di potere sul territorio, pittura e scultura si trovano soprattutto in

ambienti destinati alle classi che detengono questo potere.

Rigidezza e frontalità, quindi, dipendono da una volontà precisa e non da incapacità

di rappresentazione; non mancano esempi molto significativi dell'abilità dell'artista di

ritrarre con naturalismo scene di vita quotidiana, piante ed animali.

ARCHITETTURA

LE PIRAMIDI

Sulle cause che portarono la piramide, cioè la tomba regale, ad assumere caratteri

determinati e fissi, gli studiosi non sono concordi.

Per alcuni può essersi trattato di una semplice evoluzione architettonica: dalla mastaba,

alla piramide a gradoni, alla piramide vera e propria e infine all’ipogeo.

Durante l’Antico Regno (intorno al 3000 a.C.) la sepoltura più comune era la tomba a

mastaba termine che in arabo indicava le panche poste davanti alle case. Le mastabe

avevano forma rettangolare, o a lingotto e di solito erano costruite con i mattoni crudi a

volte integrati col legno e solo successivamente in pietra. Nelle fasi più antiche erano

dotate di poche stanze e di una nicchia di solito sulla parete est con una stele; in seguito

venne scavato anche un pozzo, a volte anche due uno per il marito ed uno per la moglie.

Tali pozzi ospitavano le camere funerarie scavate sottoterra.

Esternamente la mastaba era decorata con colori vivaci,

mentre internamente è collocata la falsa-porta, una stele

con il nome e i titoli del defunto con forma di simbolica

porta che il defunto avrebbe attraversato per accedere

alla sala del banchetto.

In questa falsa-porta ritrovata recentemente in una mastaba a Saqqara

sono incisi il nome del suo possessore e i suoi titoli, una preghiera

egizia, e un ritratto del defunto davanti a una tavola con le offerte

votive. Le false porte, rinvenute un po' in tutte le tombe di epoca

faraonica, avevano lo scopo di mettere in contatto il regno dei viventi

con quello dei morti.

Dalla mastaba si arriverà gradualmente alla piramide

a gradoni, a quella a facce lisce e all’ipogeo.

Con la nascita della III Dinastia si inizia ad utilizzare la pietra al posto del mattone. Le

mastabe continuano ad essere costruite ma il materiale utilizzato diventa la pietra, più

solida e durevole.

Il Regno Antico (2657-2166 a.C.) è chiamato Tempo

delle Piramidi. Queste inizialmente non sono che

sovrapposizioni di mastabe una sull’altra.

La più antica è quella del faraone Zòser che volle

per la propria sepoltura un grandioso complesso

funerario con piccoli edifici e cappelle votive.

L’impianto sepolcrale era in origine solo una mastaba

poi innalzata e modificata fino a creare una piramide

a gradoni alta 60 m, che era visibile anche all’esterno della cinta muraria del complesso di

ben 11 m. L’architetto incaricato della realizzazione del complesso è Imhotep e progetta

due successivi innalzamenti della mastaba reale, prima con quattro mastabe sovrapposte,

poi sei, fino alla grande Piramide

a gradoni.

Secondo altri la forma della

piramide va fatta risalire a motivi

religiosi, poiché richiama la pietra

sacra simbolo di Ra, il dio Sole,

padre del faraone, e potrebbe

quindi essere un simbolo solare di

ascensione (il termine egiziano

mer, designante la piramide,

significherebbe "luogo

dell'ascensione").

I complessi piramidali fondamentali si trovano nella piana di Giza. La località ospita

le tre piramidi più famose, situabili intorno alla metà del I millennio.

La più grande è quella di Cheope, seguono nell'ordine quelle di Chefren e di Micerino.

Le misure iniziali della piramide di Cheope erano di 232 m di lato e 147 m di altezza. Le

quattro facce sono perfettamente orientate secondo i punti cardinali e presentano

un’inclinazione di 52°. Diversamente dalla regola la cella funeraria del faraone è posta al

centro della costruzione e vi si

accede attraverso una complicata

rete di cunicoli. Nella costruzione si

impiegarono fra 2,3 e 2,6 milioni di

blocchi di granito rosso e di più

pregiato calcare bianco.

Alla camera funeraria interna,

rivestita di granito rosso e coperta da

nove lastre del peso di 44 t. ciascuna,

si accede percorrendo una galleria

lunga quasi 47 m. e alta 8,54: dati

sufficienti per dare un'idea della

grandiosità di queste opere.

I TEMPLI

Oltre alle piramidi gli egizi edificarono i templi, abitazioni terrene degli dei, a partire dal

1550 a.C. (Nuovo Regno).

I templi egizi sono unici nel loro genere, perché non hanno nessuna similitudine, quanto a

funzione, né con altre costruzioni sacre dell’antichità, né tanto meno, con quelle dei nostri

giorni. Non sono luoghi di preghiera, né di predicazione: rappresentano l’abitazione

terrena degli dei e vengono consacrati alla conservazione della creazione.

Per l’antica religione egizia, il succedersi del giorno e della notte deriva sempre dalla

quotidiana e sofferta vittoria degli dei sulle forze

oscure e negative dell’universo.

Ogni alba rappresenta una nuova, miracolosa creazione. Il tempio è quindi il luogo sicuro

in cui gli dei possono trovare riposo, nutrimento, conforto e onori nella loro perenne attività

di conservazione dell’universo.

L’impianto del tempio prevede un percorso che parte da un viale d’accesso

affiancato da sfingi, per arrivare alla cella del dio attraverso una serie di piloni, cortili e

sale ipòstile.

Il tempio egiziano, casa del dio, e le piramidi, monumenti funerari, formavano complessi

unitari. Gli Egiziani non consideravano la tomba solo un monumento per ricordare il

defunto: era il luogo dove il corpo doveva conservarsi in eterno, assieme agli oggetti

posseduti in vita, utilizzabili nell'esistenza ultraterrena.

Le forme dei templi sono riconducibili diversi tipi ma quello più complesso è il cosiddetto:

Penetrale con una sequenza di ambienti immutata dopo il II millennio:

via d'accesso fiancheggiata da sfingi

porta monumentale nel primo pilone

cortile

atrio

vestibolo

cella

Alla cella (o sacrario - "luogo da non conoscere"), al quale si giungeva con un percorso

sempre più stretto, avevano accesso solo i sacerdoti e il faraone: si trattava di una saletta

includente una cappella o tabernacolo di granito con la statua o i simboli del dio. Una cinta

muraria racchiudeva il tempio e altri edifici (le abitazioni dei sacerdoti, i magazzini, ecc.).

Uno dei templi più famosi è quello di Karnak dedicato al dio Amon, che assommava in sè

la solarità del dio Ra (Amon-Ra).

È la più vasta costruzione egizia, una delle più grandi del mondo (occupa un’area di

circa 48 ettari), eretta nel corso di oltre mezzo millennio (dal XVI all’ XI sec. a. C.), e mai

conclusa.

Nella grande impresa si

impegnarono vari faraoni,

desiderosi di ampliarlo, arricchirlo

e render- lo sempre più maestoso.

Il complesso è racchiuso dalla

cinta muraria di Amon, un grande

recinto in mattoni crudi con un

perimetro di 2400 m. L’accesso al

tempio avviene dalla Via degli Dei:

un lungo viale fiancheggiato da 40

gigantesche sfingi in pietra aventi

corpo di leone e testa di ariete,

poste ad eterna guardia all’intero

complesso.

La sala ipostila era costituita da una selva

di 134 colonne papiriformi (con i capitelli

a forma di papiro aperto o chiuso) che

sorreggono la copertura, oggi in gran

parte crollata, e consistente in giganteschi

lastroni monolitici in pietra.

Approfondimento tempio di Karnak

Un altro mirabile esempio di tempio, unico nel suo genere, è quello di Abu Simbel,

scavato nella roccia dal faraone Ramses II nel XIII secolo a.C. ed eretto (insieme a quello

minore dedicato ad Hathor e alla moglie Nefertari) per intimidire i vicini Nubiani e per

commemorare la vittoria nella Battaglia di Kadesh.

Il sito archeologico fu scoperto

nel 1813 dallo svizzero

Johann Ludwig Burckhardt ma

quasi completamente

ricoperto di sabbia, fu violato

per la prima volta il 4 agosto

1817 dall'archeologo italiano

Giovanni Battista Belzoni.

Nel 1979 è stato riconosciuto

come patrimonio dell'umanità

dall'UNESCO.

Sulla facciata, alta 33 metri e

larga 38, spiccano le quattro

statue di Ramses II, ognuna

delle quali alta 20 metri, in

ognuna il faraone indossa le corone dell'Alto e del Basso Egitto, il copricapo chiamato

"Nemes" che gli scende sulle spalle ed ha il cobra sulla fronte. Ai lati delle statue colossali

ve ne sono altre più piccole, la madre e la moglie

Nefertari mentre tra le gambe ci sono le statue di

alcuni dei suoi figli, riconoscibili dai riccioli al lato del

capo.

Sopra le statue, sul frontone del tempio ci sono 14

statue di babbuini che, guardando verso est,

aspettano ogni giorno la nascita del sole per adorarlo,

in origine c'erano 22 statue di babbuini, tante quante

le province dell'Alto Egitto, anche se secondo un'altra

ipotesi le statue erano 24, una per ogni ora del giorno.

L'entrata del tempio conduce a una sala con

statue del faraone, alte 11 metri, avente

sembianze di Osiride. Nel soffitto ci sono

disegni incompiuti che rappresentano la dea

Mut, che protegge il tempio con le sue ali

distese.

Da qui si entra nella sala più piccola del tempio,

detta dei nobili, con quattro pilastri quadrati

coperti da rilievi raffiguranti il faraone con varie

divinità. Questa sala conduce al Sancta

sanctorum (il Santuario) che contiene quattro

statue sedute che guardano verso l'entrata e

che, da sinistra a destra, raffigurano Ptah (dio

dell'arte e dell'artigianato), Amon-Ra (dio del

sole e padre degli dei), Ramses II deificato e Ra

(il falco con il disco solare).

Qui, grazie all'orientamento del tempio calcolato dagli architetti, due volte all'anno, il 21

febbraio, il giorno della nascita di Ramses II, ed il 21 ottobre, giorno della sua

incoronazione il primo raggio del sole si focalizza sul volto della statua del faraone. I

raggi illuminano parzialmente anche Amon-Ra e Ra. Secondo gli antichi egizi i raggi del

sole avrebbero così ricaricato di energia la figura del faraone. Il dio Ptah considerato dio

delle tenebre non viene mai illuminato.

Nel 1960 il presidente egiziano Nasser decise l'inizio dei lavori per la costruzione della

grande Diga di Assuan, opera che prevedeva la formazione di un enorme bacino

artificiale.

Tale grande progetto

rischiava di cancellare

numerose opere costruite

dagli antichi egizi tra cui

gli stessi templi di Abu

Simbel. Grazie

all'intervento dell'Unesco,

ben 113 paesi si

attivarono inviando uomini, denaro e tecnologia, per salvare il monumento.

Vennero formulate numerose proposte a tale scopo e quella che, infine, ottenne maggiori

consensi fu quella di tagliare, numerare e smontare blocco per blocco l'intera parte

scolpita della collina sulla quale erano stati eretti i templi e successivamente ricostruire i

monumenti in una nuova posizione 65 m più in alto e 300 m più indietro rispetto al bacino

venutosi a creare.

I lavori durarono dal 1964 e il 1968 con l'impiego di oltre duemila uomini e uno sforzo

tecnologico senza precedenti nella storia dell'archeologia. L'impresa costò in totale circa

40 milioni di dollari.

Dopo lo spostamento del tempio non si è riuscito a replicare questo fenomeno che

cominciò a verificarsi il 22 febbraio e il 22 ottobre

PITTURA E SCULTURA

La pittura e la scultura vengono utilizzate dagli Egiziani soprattutto per abbellire templi e

tombe, con scene religiose o della vita quotidiana.

Per gli antichi Egizi dipingere significa

campire (riempire di colore) il contorno di

una figura disegnata su una superficie

liscia, pietra levigata o intonaco di limo; (il

limo è una fanghiglia finissima di colore

bruno-nerastro depositata dai grandi fiumi

mediorientali nel corso dei loro ciclici

straripamenti).

Le rappresentazioni seguono regole fisse

e la figura umana viene ripetuta secondo

schemi uguali, rigida nei movimenti, priva

di rilievo, con il busto in posizione frontale

e gli arti di profilo. Appare evidente

l'intenzione di mostrare con chiarezza tutte

le parti del corpo, evitando sovrapposizioni

fra braccia e gambe. Le proporzioni fra le

parti sono definite in modo rigoroso e gli arti sono disposti con uno stesso orientamento,

senza differenze fra destra e sinistra. Il colore non definisce illusoriamente, con luci ed

ombre, il volume dei corpi, ma è dato a zone piatte.

I colori erano piatti e senza sfumature, anch’essi convenzionali (gli uomini sono rosso-

bruno, le donne color ocra giallognolo).

Nel disegno della figura umana vengono messe in evidenza le caratteristiche fisiche più

signiicative: la testa è di proilo ma l’occhio è frontale come il busto; è invece di nuovo

laterale la vista di braccia, gambe e piedi.

La tecnica pittorica egizia consiste nella miscelazione di pigmenti ottenuti dalla

macinazione di varie terre colorate con un agglutinante (collante) a base di acqua, lattice

di gomma e albume d’uovo. Il colore così ottenuto ha una consistenza semiliquida e viene

disteso grazie a dei pennelli ricavati dalle fibre di palma. Questo tipo di pittura si definisce

a tempera (temperare = mescolare) e potendosi sciogliere con l’acqua, va

necessariamente usata solo su delle superfici perfettamente asciutte e al riparo da

eventuali piogge.

Anche nella rafigurazione di ambienti naturali c’è

la stessa bidimensionalità e il ribaltamento delle

figure. Molto noto è in questo senso il dipinto

murale che rapprsenta un giardino: gli alberi

sono visti di fronte con gli alberi ribaltati rispetto

alla vasca. La vasca è vista in pianta ma i pesci

e le piante che vi stanno dentro sono visti di lato.

Lo spazio non è reale e non mostra alcuna

profondità.

Nelle sculture a tutto tondo la figura è solenne e composta

nell'atteggiamento. Gli artisti si preoccupavano molto della

somiglianza fisica della persona ritratta perché l'anima (il KA),

che doveva trasferirsi nella statua, potesse riconoscere il corpo in

cui aveva abitato nella vita terrena.

Il primo esempio di scultura reale a tutto tondo è la statua di Zoser

rappresentato con il nemes sulla testa, seduto e di dimensioni

reali.

Originariamente collocata in una cella sul lato est della piramide,

Zoser poteva “vedere” di notte la

stella polare attraverso due fori

praticati nel muro all’altezza dei

suoi occhi. Il sovrano è seduto sul

trono, così da costituire un unico

solido blocco, rigidamente frontale:

pochi volumi squadrati che rendono il senso della potenza.

È in piedi, invece, il re Micerino tra due dee nell’altorilievo

che lo mostra con la corona conica dell’Alto Egitto, in posa

frontale, le braccia aderenti al corpo, i pugni chiusi, una

gamba leggermente avanzata.

Sulla sinistra è la dea Hathòr venerata sotto forma d

vacca e dunque rappresentata con le corna fra le qu sta il

disco solare perché identificata con Iside.

Con la riforma religiosa del faraone Akhenaton (1379-1362 a.C.) che introdusse il

monoteismo, opponendo Aton, il sole, ad Amon, appare per la prima volta nelle

rappresentazioni egiziane un maggior realismo. Successo ad Amenofi III come Amenofi

IV, Akhenaton prese il nuovo nome che significa "colui che è utile a Aton". Le opere d'arte

del periodo mostrano, in effetti, una tensione realistica inconsueta: anche nelle

rappresentazioni del faraone l'accento è posto sulla sua umanità non sulla sua divinità.

Amenofi IV non lasciò eredi maschi. Il trono toccò a Tutankhamon, marito della

terzogenita del faraone. Il giovanissimo sovrano cedette presto alle pressioni del clero

tebano, avido di rivalsa, e si fece protagonista di una controriforma che cancellò ogni

traccia dell'operato del suocero. Riportò la capitale a Tebe, restituì ai sacerdoti gli antichi

privilegi, rilanciò il culto di Amon.

Tutankhamon è celebre per il tesoro della sua tomba inviolata, il cui ritrovamento si deve

all'archeologo inglese Howard Carter (Londra 1874) che nel 1907 intraprese ricerche

finanziate dal conte inglese lord Carnavon. Dopo 8 anni di scavi, durante i quali furono

scoperte numerose tombe private, a partire dal 1915, Carter iniziò le ricerche nella Valle

dei Re e, nonostante le modeste scoperte dei primi 7 anni di scavi, ottenne da lord

Carnavon, finanziamenti fino alla stagione 1922-1923.

Finalmente il 4 novembre 1922 furono scoperti i primi gradini di una scala che conduceva

alla porta sigillata di una tomba ancora sconosciuta che, alla presenza di Lord Carnavon fu

aperta il 24 novembre successivo.

1. Annesso

2. Anticamera

3. Corridoio

4. Camera funeraria

5. Camera del tesoro

I reperti più famosi dello splendido

corredo funerario del faraone

Tutankhamon sono il trono, la

maschera funeraria e il sarcofago

del re.

Il trono in legno è rivestito d'oro; le gambe sono in

basso zampe leonine e nella parte superiore recano due

musi di leone. Cobra alati decorano i pannelli dei

braccioli. Ma l'elemento che più attrae è lo schienale, la

cui parte interna reca intagliata la raffigurazione del re e

della regina in vesti da cerimonia sormontati da un sole

rappresentato con un disco da cui partono raggi che

terminano con mani. Il re è seduto e la regina lo sta

aspergendo con un unguento, che attinge da un vaso

sorretto dalla mano sinistra.

Il sarcofago del re, o meglio, il sarcofago più interno di una serie incastrati l'uno nell'altro,

era d'oro massiccio, avvolto da una resina profumata e da un sudario di lino, e raffigurava

il faraone come Osiride, con nelle mani gli emblemi del dio, il pastorale e il flagello.

La mummia regale si presentò agli archeologi, quando sollevarono il coperchio, con il volto

e le spalle coperte da una magnifica maschera d'oro con intarsi di vetro blu.

Il faraone porta il tradizionale nemes, il copricapo

a strisce blu e dorate, simbolo del dio solare Ra.

Anche gli occhi hanno un loro simbolo: quello

sinistro rappresenta la Luna, mentre quello

destro il Sole. Scintillano sulla fronte del re, le

due divinità associate al potere reale,

l’avvoltoio del Sud e l’ureo del Nord. Il becco

dell’avvoltoio è di lapislazzuli e gli occhi sono di

quarzo dipinto in bianco e nero, mentre l’ureo è

intarsiato di cornalina, lapislazzuli e turchese.

Le spalle di Tutankhamon sono coperte da un

ampio collare, anch’esso di lapislazzuli, quarzo,

feldspato verde, che termina con due teste di

falco intarsiate sulle spalle.

Sul sarcofago e addosso alla mummia, fra le bende che l'avviluppavano, una profusione di

preziosi: oggetti d'uso personale, collari, collane, pendagli, braccialetti, anelli, amuleti.

Il volto di Tutankhamon oggi è tornato a vivere dopo più di tremila anni. Lo ha voluto il

direttore delle Antichità egizie, insieme al National Geographic. È stata Elisabeth Daynes,

l'artista francese esperta in termoplastica, la stessa che aveva ridato un volto all'Uomo di

Neanderthal, a ricostruirlo. La Daynes, nel suo laboratorio a Parigi, è partita da dati certi,

le dimensioni della testa del faraone fornite dalla Tac cui la mummia era stata sottoposta

nel gennaio 2010. È partita prima dal cranio, in plastica. Poi, con la creta, ha ricreato gli

zigomi, le guance, i muscoli della fronte e del collo. Infine, usando il silicone, ha

completato il volto, tanto da farlo sembrare reale.