Are you art? - 2° numero - Aprile 2015
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Numero 2, Aprile 2015
ARTESPLORANDO
Qualche settimana fa ho avuto la possibilità di partecipare ad un evento molto interessante oltre ad
aver modo di conoscere dal vivo persone che già "conoscevo" nel web! Bellissima e strana
esperienza che ci insegna forse come il web possa anche servire a unire le persone e non solo a
farne delle isole scollegate dai rapporti umani.
Ed è così che nell'interessante cornice di Affordable Art Fair Milano, una fiera d'arte contemporanea
caratterizzata dalla facilità di acquisto, dell’ampiezza di scelta, dei prezzi accessibili e dell’approccio
amichevole, Elena Datrino mi ha reso parte di un progetto che ha lo scopo di dare un volto ai tanti
blogger che animano la rete. Il progetto si chiama appunto "Facce da blogger" e si è già
concretizzato in una mostra a Roma ed in un catalogo. Ma a Milano Elena ha voluto porre l'accento
su una categoria di blogger poco conosciuta, fino ad ora! Gli art blogger. Persone che, sotto diversi
punti di vista, cercano di diffondere l'arte, la storia dell'arte e l'educazione ad essa connessa, in
maniera totalmente libera e gratuita.
E una cosa è emersa da questa giornata: c'è un gran fermento in atto, forse un nuovo Rinascimento,
attuato da tanti appassionati d'arte che sempre più spesso scelgono il blog come strumento di
condivisione e diffusione. Questo evento è stato un modo per dire che anche noi ci siamo e che è
bello potersi conoscere e fare rete, per provare, nel nostro piccolo, a cambiare qualcosa nel paese in
cui viviamo a riaccendere l'interesse verso l'arte e, perché no, a cercare di diventare persone
migliori. Ed è un po' quello che Artesplorando sta cercando di fare con Are you art, un magazine
interamente realizzato da blogger.
Grazie ad Elena e Caterina che hanno permesso questa bellissima giornata.
Il progetto di Elena Datrino lo trovate all'indirizzo: www.elenadatrino.it/facce-da-blogger-2015/
C. C.
La scoperta degli art blogger
c'è un gran
fermento in
atto, forse un
nuovo
Rinascimento
Sono Cristian, classe 1983, laureato in restauro e conservazione dei beni culturali, mi piace
l'arte, la musica, la pittura. Da sempre la vera passione della mia vita è la storia dell'arte e oggi
cerco di diffonderla anche attraverso questo notiziario, fondato insieme ad altri blogger con cui
condivido questa passione!
artesplorando.blogspot.it [email protected]
MICHELANGELO BUONARROTI È TORNATO
La vita complicata della Madonna di Bruges
Eccomi di nuovo qua a raccontarvi di me
attraverso i miei post. Mi sono assentato
per una giornata intera. Ho voluto di
proposito rimanere lontano da questo
trabiccolo che chiamate computer per
riorganizzare perbenino il mi povero
cervello. Le idee a volte son troppe e si
ingarbugliano fra di loro divenendo
indecifrabili. Già era un bel casino da vivo,
ora che son morto è ancora peggio. Non vi
illudete: anche nell’esistenza eterea avrete
un bel po’ da fare quasi tutti i giorni. Però
almeno la domenica si riposa, non si fa
nulla o al limite si guardano le partite in
televisione.
Cosa vi racconto oggi? La conoscete la
mia Madonna di Bruges? Ebbene, mentre
ero tutto preso nella realizzazione del
David, non mi mancò l’occasione di
accettare altre commissioni. Già,
nonostante mi portasse via un bel po’ di
tempo trovavo anche il modo di dedicarmi
ad altro.
Una potente famiglia di mercanti
fiamminghi mi commissionò la
realizzazione di una Madonna con
Bambino da collocare nella loro cappella di
famiglia presente nella chiesa di Notre
Dame di Bruges. Erano clienti della banca
del Galli, non potevo dirgli di no.
Ideai una composizione mai vista prima e
siccome i ladri d’idee erano più scaltri che
mai, impedii a tutti di vederla e la feci
imbarcare su un bastimento al porto di
Livorno nel 1506 alla volta della sua
destinazione finale. Tanto era sconosciuta
che addirittura nemmeno i miei biografi la
conoscevano. O meglio, la citarono ma in
modo del tutto fantasioso. Il Varchi e il
Condivi nei loro testi fanno riferimento a
una Madonna con Bambino in bronzo
mentre il Vasari racconta la realizzazione
di un tondo.
(continua nella pagina seguente)
Una potente
famiglia di
mercanti
fiamminghi mi
commissionò
la
realizzazione
di una
Madonna con
Bambino
Antonietta Bandelloni, da sempre appassionata di arte ma soprattutto di Michelangelo e delle
sue opere. Scrive per passione, per lavoro e per evadere dalla quotidianità. Casa sua è invasa
dai libri, dai tubetti di colore e dalla vivacità di due piccole birbanti.
michelangelobuonarrotietornato.com [email protected]
Tuttavia nonostante tutte le precauzioni che presi ho paura che quel giovanetto di
Raffaello abbia fatto in tempo a darle una sbirciata prima che la imbarcassi. In qualche
sua opera io ce la rivedo tutta la mi Madonna.
Quante ne ha passate quella scultura!
I Musucron mi pagarono 4mila fiorini a opera conclusa: una cifra considerevole per
l’epoca che nessun artista si sarebbe mai sognato di ricevere per un’opera di quelle
dimensioni. Arrivò nelle fiandre nel 1508 e inizialmente fu collocata nella cappella di
famiglia dove il pittore Durer la vide.
Durante il periodo dell’occupazione napoleonica, la mia Madonna di Bruges venne
rapita e portata a Parigi. Nel 1815 fu restituita alla nazione legittima proprietaria ma
poco più di un secolo dopo, nel 1944, la trafugarono i tedeschi durante la ritirata. Per
non dare nell’occhio l’avevano infagottata nei materassi e caricata su un convoglio
della Croce Rossa.
Da allora se ne persero le tracce. Grazie a Dio due anni dopo fu rinvenuta in Austria e
per la precisione in una miniera di Altaussee, in Austria e riportata in Belgio.
Da allora è sempre rimasta lì sull’altare della famiglia Musucron… se si esclude la sua
esposizione temporanea a Firenze al Museo del Bargello in occasione di una mostra
che comprendeva il noto Trittico Portinari del fiammingo Hugo van der Goes,
solitamente esposto agli Uffizi.
E chi l’ha detto che le sculture hanno una vita monotona e poco movimentata? Di
sicuro non la mia Madonna di Bruges!
Il sempre vostro Michelangelo Buonarroti che stasera è allegro e vi regala anche un
sorriso, si sì, un sorriso vero e non quelli fatti a mezza bocca!
A. B. E chi l’ha detto
che le sculture
hanno una vita
monotona e
poco
movimentata?
WWW.ALESSANDRAARTALE.IT
Caravaggio, genio pettegolezzi e tormenti dell’anima
Era dannato e lo sapeva benissimo, a tal punto
che dipinse la sua faccia allucinata nella testa
mozzata di Golia.
Ma non era solo dannato. Era un genio.
Un genio dagli occhi e dai capelli foschi che
sconvolse quella Roma della Controriforma
strangolata dall’Inquisizione.
E la sconvolse non perché sembrava uno
sgherro più che un pittore, non perché era
sempre pronto a far baruffa, non perché andava
a letto vestito col pugnale in fianco e non si
separava mai dalla sua spada che adoperava
quanto i pennelli e non perché frequentava
puttane e furfanti, ma perché stravolse
buttandola a gambe all’aria quella pittura
stereotipata così cara all’Accademia di San
Luca, perché fu l’inventore della natura morta
italiana fino ad allora appannaggio assoluto dei
fiamminghi, perché colse nella luce e nelle
ombre una forza inimmaginabile, perché mise in
discussione l’iconografia classica, perché
ripudiò il bello ideale per affermare il dramma
dell’esistenza e della morte, dell’angoscia, della
solitudine e della salvezza eterna.
Non serve il tarlo del pettegolezzo becero che
spesso racconta del suo primo maestro
Un genio dagli
occhi e dai
capelli foschi che
sconvolse quella
Roma della
Controriforma
strangolata
dall’Inquisizione
Alessandra Artale, storica dell’arte, giornalista, scrittrice e blogger, laureata all’Università di
Genova tanti anni fa. Il mio peggior difetto l’essere maniaca della precisione, la mia maggior virtù
l’essere maniaca della precisione. L’arte è sempre stata la mia passione, fin da piccola. Non mi
piace l’arte contemporanea, amo invece quella antica. Il mio cuore è per Tiziano e Caravaggio,
ma c’è posto anche per qualcun altro.
www.alessandraartale.it [email protected]
Davide e Golia, particolare
Peterzano come un pedofilo che lo insidia,
tralasciando che fu lui a insegnargli la forza
del colore imparata a sua volta da Tiziano.
Non serve parlare dei baci e delle carezze
con ragazzi o prostitute senza citare
l’ambiente colto del palazzo del cardinal
del Monte che lo vide amico del poeta
Giovan Battista Marino.
Non serve bisbigliare del suo infilare una
rosa nei capelli del suo modello
omosessuale per ritrarlo nel Ragazzo
morso dal ramarro senza dire che
nell’insidia dei sensi rappresentata da
quella rosa si nasconde la morte.
Di quel ragazzo piovuto dalle nebbie del
Nord nella Roma papale si spettegola di
duelli e risse ma poco si discute del
conflitto interiore che lo vide dilaniato tra la
forza della fede e una vita da peccatore.
Ci si scandalizza nel vedere una prostituta
far da modella per la Giuditta ma non
sempre si fa capire che quel quadro
inaugurò con la teatrale violenza del gesto,
drammaticamente sottolineato dalla luce,
la sua poetica dell’orrore su cui ritornerà
spesso negli anni a venire.
(continua nella pagina seguente)
Canestra di frutta
Si spettegola ancora sulla ragazza affogata nel Tevere distesa tra le candele e poi ritratta con
il ventre gonfio nella Morte della Vergine, ma poco si fa cenno al tema del pianto già presente
nella deposizione al sepolcro tutto volto ad esprimere l’umana realtà di un dolore non ancora
trasfigurato dalla Grazia.
Si raccontano sangue e omicidi, ubriacature e feste con femmine poco aristocratiche.
Poco importa.
Al di là di pettegolezzi quasi fosse un personaggio da copertina di giornaletti scandalistici, di
Caravaggio rimarrà la gloria sempiterna, il suo essere genio al di là delle convenzioni accade-
miche e delle persone ‘per bene’.
A. A.
Si raccontano
sangue e
omicidi,
ubriacature e
feste con
femmine poco
aristocratiche.
Giuditta
La morte della Vergine, particolare
APPUNTI D’ARTE
Danzando al "Moulin de La Galette"
Un momento,
rappresentato per
l'eternità.
"Al Moulin de La Galette" ( 1876 ), P. A. Renoir
" Ma se Renoir trasformava la collina di Montmartre in un paradiso terrestre, ciò non era
completamente frutto della sua immaginazione: le lavoratrici si mettevano davvero l'abito della
festa, e indossavano tutte le vesti, le acconciature e la bigiotteria che riuscivano a trovare
mendicando, rubando o prendendole in prestito. Le ragazze erano raggianti e il sole splendette
per tutta l'estate, facendo brillare il Moulin, sfolgorante di luce e di colori."
( "Impressionisti. Biografia di un gruppo", Sue Roe, Laterza.)
Un momento, rappresentato per l'eternità. E' questo l'omaggio che il pittore Pierre-Auguste
Renoir ( 1841-1919 ) gli diede. Nel periodo più spensierato della storia, la "Belle Epoque"; il
"Moulin de La Galette" divenne uno dei simboli di quegli anni, dove borghesi, operai, modelle,
cortigiane, intellettuali, disoccupati, si
divertivano e ballavano senza distinzione di ceto; in un baccanale di euforia e gioia effimeri …
Nel 1809 una famiglia, i Debray, comprarono i due mulini sulla collina di Montmartre, il Blut
Fin e il Radet. All'epoca, Montmartre non era la deliziosa "piazzetta degli artisti" che
conosciamo noi oggi. Era un villaggio poco vivibile, sporco e buio, e il sostentamento dei suoi
abitanti proveniva dalle risorse della campagna. Ma con l'avvento delle fabbriche anche il
lavoro cambiò, lasciando i mulini a vento fermi per sempre. Dopo la morte di Debray, il figlio
superstite decise di riconvertire la sua proprietà in "guinguette" (sorte di balera)
chiamandolo "Moulin de La Galette" dal nome delle famose frittelle di pane nero (dette "
gallette), offerte all'ingresso.
(continua nella pagina seguente)
Mi chiamo Michela, nata a Roma nel 1984,dove conseguito la maturità classica. Questa mi ha
dato la possibilità di ampliare fortemente le passioni che nutrivo fin da piccola, in particolar mo-
do la letteratura ( soprattutto francese), l'arte, biografie e storia.
appuntario.blogspot.it [email protected]
Divenne subito un locale in cui si potevano godere di un buon pane caldo, un bicchiere di vino, lo
speciale succo di melograno e una splendida vista di Parigi dall'alto; si aggiungeva dal 1833 uno
spazio dedicato al ballo. Dopo il 1870, complice anche un clima di distensiva vivacità, "Le Moulin
de La Galette" raccoglieva ogni giovedì, sabato, domenica e giorni di festa (rispetto al "Moulin
Rouge" aveva prezzi decisamente più popolari) donne e uomini di ogni estrazione sociale: le
donne con i loro abiti alla moda, dalle linee nuove, stretti alla vita (da poco era decaduta la
crinolina) o quelli a buon mercato, ma comunque sgargianti e colorati, fresche ragazze, un po'
sensuali in cerca di ascesa o semplicemente di un lavoro come modelle; uomini che ostentavano
vanità e patrimoni fittizi, luogo di ritrovo per intellettuali, artisti e scrittori; tutto condito con canti,
risate, musica e ballo. Ma nessun aneddoto ci può descrivere meglio cosa ha rappresentato
questo locale del famoso quadro di Renoir, "La Moulin de La Galette". Renoir amava l'atmosfera
allegra e volgare di Montmartre e rifugiarsi al Moulin per guardare le belle ragazze ballare. Iniziato
a dipingere nell'estate del 1876 sul posto e terminato nel suo atelier di rue Cortot ( oggi sede del
museo di Montmartre ), il pittore ci ritrae una scena di ballo dove giovani uomini e fanciulle
abbandonati in un'atmosfera quasi surreale di estrema spensieratezza, che fissa un momento
della vita parigina nella "Belle Epoque"," tagliando le figure a destra e a sinistra del primo piano,
perché l'osservatore avesse l'impressione di sbirciare uno scorcio di realtà."
I soggetti del quadro, inoltre, non sono altro che amici e clienti abituali del locale : in primo piano,
la bella ragazza seduta su una panchina verde, Estelle, "al tavolo, con i bicchieri di succo di
melograno, Lamy, Goeneutte e Rivière." Al centro del dipinto, con un paio di pantaloni aderenti,
alla moda, mentre balla con Margot, una delle ragazze di Montmartre preferite dal pittore,
c'è Cordenas, un pittore spagnolo. A destra della coppia una delle clienti più affezionate del
Moulin, Angèle, una graziosa ragazza di diciotto anni mentre balla con un uomo.
Ma Renoir non fu l'unico a dipingere il locale, ci pensarono: Henri de Toulouse-Lautrec (1864-
1901), Kees van Dongen (1877-1968), Maurice Utrillo (1883-1955), Vincent van Gogh (1853-
1890), Pablo Picasso (1881-1973) a testimoniare l'importanza storica di esso. Con la fine della
"Belle Epoque" anche la fama del Moulin andò decadendo fino agli inizi del '900, dove "
Associazione Amici della vecchia Montmartre" salvarono i mulini dalla distruzione e
successivamente vennero restaurati. Oggi è sede di un ristorante.
Ma guardando la tela di Renoir ci sembra ancora che quel ballo, quella musica, quelle voci, quelle
luci non si siano mai arrestati...
M. P.
Renoir amava
l'atmosfera
allegra e
volgare di
Montmartre e
rifugiarsi al
Moulin per
guardare le
belle ragazze
ballare…
"Moulin de La Galette" ( 1904-06 ) di Kees van Dongen
ARTE PER BIMBI CURIOSI
Giallo, rosso, blu
Kandinsky tra musica e colore
Alcuni mesi fa il Sole 24 ore dava la possibilità di
collezionare dodici libri d’arte, allegati settimanalmente al
quotidiano, rivolti ai bambini; ogni settimana un artista
diverso, da Canova a Van Gogh, da Botticelli a Chagall. I
libri in questione raccontano la vita di questi pittori/scultori,
accennano ai vari stili pittorici da loro seguiti o “inventati” e
mostrano alcune delle opere principali, sempre tenendo in
considerazione il pubblico, piccolo ma esigente, a cui sono
dedicati. Manco a dirlo, li ho comprati tutti, facendo la
felicità di mia figlia, ma anche del mio bimbo più piccolo,
che li sfoglia tutto soddisfatto raccontando alla sorella
storie surreali e affascinanti che solo lui conosce.
Ultimamente stiamo leggendo il volumetto dedicato a
Kandinsky, la cui vita, devo ammettere, conoscevo solo
superficialmente, anche se i suoi lavori mi hanno sempre
catturata.
Di origini russe, Kandinsky è riconosciuto universalmente
come il creatore della pittura astratta. Pur avendo iniziato a
dipingere seguendo lo stile tipicamente russo, dallo
spiccato accento popolaresco e folkloristico, nel giro di
pochi anni Kandinsky ha modificato radicalmente il suo
stile pittorico, lasciando che i colori prendessero il posto di
persone o paesaggi.
(continua nella pagina seguente)
Kandinsky è
riconosciuto
universalmente
come il
creatore della
pittura astratta
Improvvisazione n.8
Sono Monica, mamma full, full, full-time di due bimbi pestiferi e meravigliosi. Diplomata al liceo
artistico, successivamente ho intrapreso un percorso universitario che con l'arte non ha niente
in comune. Amo condividere la mia passione per l'arte con i miei figli, nonostante siano ancora
piccoli. Perchè non è mai troppo presto per imparare.
arteperbimbicuriosi.altervista.org [email protected]
Diversi cerchi
Composizione n.10 Composizione n.6
Tornando al libro, la parte che è piaciuta maggiormente a mia figlia (ad essere onesta, anche a
me…) è quella che spiega il cosiddetto “Astrattismo lirico”. Kandinsky afferma che per lui ogni
forma geometrica può essere collegata ad una melodia e ad un colore, ad esempio, l’energia del
giallo può essere perfettamente contenuta in un triangolo, mentre il blu, più tranquillo, starebbe
meglio in un morbido cerchio. Non solo. I colori possono essere messi in relazione con i vari
strumenti musicali, a seconda delle emozioni che sono in grado di trasmetterci, quindi, tornando
al giallo di prima, questo potrebbe rappresentare il suono squillante di una tromba, mentre il blu
sarebbe più adatto per il contrabbasso, dal suono profondo e freddo. E’ così che nascono tre
serie di opere: “Impressioni”, “Improvvisazioni” e “Composizioni”, nelle quali Kandinsky diventa
un direttore di orchestra che fa “suonare” i colori, i quali creano la melodia, il dipinto.
Quello che secondo me manca nel libro sono le illustrazioni, decisamente scarse. M. avrebbe
voluto vederne di più, quindi ne ho cercato alcune aggiuntive nelle quali abbiamo ricercato forme,
colori e strumenti, seguendo il filo di una melodia che sentivamo solo noi. Eccole anche per voi,
buon divertimento!
M. F.
Kandinsky
afferma che
per lui ogni
forma
geometrica
può essere
collegata ad
una melodia e
ad un colore
Blu
Accento in rosa
Cerchi in cerchi
Improvvisazione n.26
ARTE A SCUOLA PRESENTA ...
Prospettiva Surrealista nello spazio
Osservando le opere dei
Surrealisti abbiamo pensato
di creare queste stanze
immaginarie, collocate in uno
spazio siderale e riempite
con oggetti senza nessuna
connessione logica tra loro.
Il mondo del sogno e
dell’inconscio sembra entrare
in queste stanze, generando
un senso di assurdo e di
mistero, proprio come nella
pittura surrealista.
In questo collage, realizzato
con gli studenti di seconda
media, abbiamo dapprima
disegnato una stanza in
prospettiva centrale, secondo
le regole geometriche della
costruzione prospettica.
Successivamente abbiamo
disegnato un paesaggio
“spaziale” con matite colorate
su un foglio nero, per creare
l’ambientazione
fantastica della nostra
prospettiva.
L’immagine della stanza è
stata poi ritagliata, incollata
sul disegno e completata con
un collage di oggetti e figure
ritagliate da riviste e
assemblate in modo
paradossale.
La nostra stanza surreale,
fluttuante nell’universo è
pronta!
M. P.
Il mondo del
sogno e
dell’inconscio
sembra entrare
in queste
stanze
Sono Miriam Paternoster, insegnante di Arte e Immagine presso la Scuola Secondaria di Primo
Grado. Dal 2008 lavoro a questo blog, pubblicando e condividendo i lavori fatti a scuola e le
lezioni ideate per la scuola: da allora questo sito è diventato un luogo dove scambiare nuove
idee, confrontare lezioni, sperimentare tecniche e creazioni. “Arte a scuola”, scritto in italiano
ed inglese, è un’occasione per incontrare insegnanti e studenti di tutto il mondo e per promuo-
vere la creatività in classe e nella vita.
arteascuola.com [email protected]
LETTEREARTE
Gli infiniti sensi della ‘Primavera’
Quanto è celebre, tanto è complesso nel suo significato il dipinto che rappresenta
nell'immaginario collettivo la stagione che stiamo vivendo: La Primavera di Botticelli, infatti, ha
originato una vastissima serie di interpretazioni che si intrecciano e si avvolgono una nell'altra in
virtù della rete di riferimenti e allegorie care all'ambiente filosofico e artistico della Firenze
medicea. Realizzato fra il 1478 e il 1482, il dipinto, oggi esposto alla Galleria degli Uffizi, ha
dimensioni notevoli (203x314) e presenta il ricorso ad una tecnica di pittura chiamata 'tempera
grassa', che comporta l'unione di olio al pigmento. Si tratta indubbiamente di una celebrazione
delle glorie della signoria e della fioritura stessa di Firenze sotto la guida dei Medici, ma,
sebbene si possa con buona probabilità supporre che l'opera sia stata commissionata dal
Magnifico, non è chiaro se l'occasione del dono sia la nascita del nipote Giulio (figlio del
Giuliano ucciso nella Congiura dei Pazzi nel 1478) o il matrimonio del cugino Lorenzo di
Pierfrancesco, che sicuramente lo conservava nella propria dimora nel 1498.
Il motivo della committenza, tuttavia, non è l'unico problema nell'interpretazione dell'opera. La
letteratura e l'arte dell'Umanesimo e del Rinascimento fiorentino hanno un carattere elitario,
esclusivo: le opere d'arte e poesia che si producono alla corte medicea sono destinate alla
fruizione da parte del Magnifico e dei suoi sodales. Tale chiusura fa sì che La Primavera sia
soggetta agli stessi dilemmi: quale tipo di messaggio il Botticelli, per volere di Lorenzo, ha
affidato al suo dipinto?
(continua nella pagina seguente)
Quale tipo di
messaggio il
Botticelli, per
volere di
Lorenzo, ha
affidato al suo
dipinto?
Mi chiamo Cristina, ho studiato lettere e filologia classiche, ma al grande amore per la letteratura
si unisce da sempre la passione per l’arte. Dal connubio dei miei interessi, è nato, nel febbraio
2013, il blog Athenae Noctua, in cui confluiscono interventi dedicati ai libri, alle opere d’arte, al
teatro, al cinema e all’attualità e non di rado mi trovo a fondere insieme spunti provenienti da tutti
questi mondi.
athenaenoctua2013.blogspot.it [email protected]
Per rispondere dobbiamo affrontare una sorta di esegesi artistica che parte dal distinguere il si-
gnificato letterale dell'opera da quello simbolico.
Al primo livello, la scena si presenta abbastanza semplice: nel giardino delle Esperidi, in una
natura rigogliosa e descritta con attenzione quasi scientifica per la sua varietà, si incontrano, da
destra a sinistra Mercurio (identificabile dai sandali alati e dal caduceo), le tre Grazie, Aglaia,
Eufrosine e Talia, simboli della bellezza, della gioia e della fecondità, Venere, Cupido, Flora (la
Primavera, ornata di fiori e ghirlande), la ninfa Clori e il suo amante Zefiro, che, rapendola, gene-
ra con lei proprio la Primavera. Il valore letterale del dipinto, insomma, non è altro che la storia
della nascita stessa della Primavera da Clori e Borea sotto lo sguardo delle divinità della prospe-
rità.
Le allegorie individuate come possibili chiavi per illuminare il significato della Primavera sono
ricche di riferimenti alla filosofia di Marsilio Ficino; fra di esse si distinguono quella di Ernst Gom-
brich e di Edgar Wind; il primo vede nell’opera l’associazione fra Venere e l’Humanitas, cioè la
virtù intellettuale che eleva l'uomo dalla sensibilità (rappresentata da Zefiro) alla ragione, identifi-
cata con Mercurio, mentre il secondo sostiene che Botticelli abbia rappresentato il percorso
dell'anima dall'amore carnale (rappresentato dall'unione e dalla generazione di Zefiro, Clori e
Flora) a quello intellettuale (Venere e Cupido), per arrivare all'amore spirituale (le Grazie e Mer-
curio, che indica il cielo).
Non si possono poi dimenticare le allegorie familiari, con il tentativo di Mirella Levi D'Ancona di
identificare i diversi personaggi del quadro con gli stessi sposi cui era destinata l'opera, ma non
manca chi vede nella Primavera la traduzione visiva di un passo delle Stanze per la Giostra di
Poliziano, scritte fra il 1475 e il 1478 e interrotte per la morte prematura di Giuliano, che ne dove-
va essere il protagonista. Nelle ottave 71-78 del libro I si incontra una descrizione del giardino di
Venere che presenta diverse affinità con quella botticelliana ; in particolare, si può raffrontare il
dipinto all'ottava 77, che sembra richiamata dal fluire dei fiori e delle foglie dalla bocca di Clori
alle vesti di Flora per opera del soffio fecondo di Zefiro:
Con tal milizia e tuoi figli accompagna
Venere bella, madre delli Amori.
Zefiro il prato di rugiada bagna,
spargendolo di mille vaghi odori:
ovunque vola, veste la campagna
di rose, gigli, violette e fiori;
l’erba di sue belleze ha maraviglia:
bianca, cilestra, pallida e vermiglia.
La Primavera ha, dunque, sensi, forme, valori ed effetti infiniti, vari e molteplici come i colori e le
fogge dei fiori ai piedi delle delicate figure, significati sfuggenti e allusivi come la trasparenza del-
le vesti di Clori e delle Grazie e una forza fresca e prorompente come il soffio di Zefiro. E noi,
come la bella Clori, ci lasciamo rapire da tali suggestioni, godendoci uno dei più bei dipinti nati
dal genio di un artista nostrano in uno dei momenti più luminosi della storia culturale italiana.
C. M.
La Primavera ha,
dunque, sensi,
forme, valori ed
effetti infiniti
Pagina 14 Are You Art ?
THE ART POST BLOG
Henri Rousseau. Il candore arcaico
Venezia, Palazzo Ducale. Visitare il Palazzo Ducale di Venezia per me è sempre una grande
emozione. Si tratta di un luogo pieno di storia e di fascino, tappa fondamentale per chi visita
Venezia, ma dove mi piace tornare più volte perché ogni sala di questo edificio ha molte storie
da raccontare. Ma alle vicende di Palazzo Ducale dedicherò un post speciale a breve.
Oggi, invece, vi voglio raccontare la mostra dedicata a Henri Rousseau, inaugurata un mese fa
e che potrete visitare fino al 5 luglio 2015. Devo confessare che ho partecipato all’anteprima
della mostra con grande emozione, perché di Rousseau ricordavo le opere più famose, ovvero
le foreste immaginarie popolate da animali esotici, e conservavo nella mia mente una citazione
dell’artista, che disse in un’intervista del 1910 “mi hanno già detto che non appartengo al mio
secolo”. La bellezza della parabola artistica di Rousseau sta tutta in questa frase, che ho
ritrovato in mostra, nella consapevolezza di essere fuori dagli schemi, impossibile da conciliare
con altre correnti del suo tempo, troppo avanti ma anche troppo indietro. Questa mostra per me
è stato un viaggio alla scoperta di Rousseau, che è sicuramente uno degli artisti più importanti
nella nascita di un moderno linguaggio pittorico, ma troppo spesso relegato ai margini dei
grandi movimenti artistici tra Ottocento e Novecento, perché si sottrae ad ogni definizione. La
mostra, attraverso otto sezioni tematiche, sottolinea l’importanza che le sue opere ebbero
nell’ambiente intellettuale di Parigi soprattutto ai primi del Novecento. In ogni sala potrete
ammirare le opere di Rousseau che dialogano con i capolavori dei protagonisti di quella
stagione fenomenale della storia dell’arte e che vedeva l’imporsi di artisti come Picasso,
Cezanne, Gauguin, Klee, Morandi, Carrà, Kandinsky, Frida Kahlo e Diego Rivera.
L’esposizione di Palazzo Ducale mette in luce non solo l’arte di Rousseau, ma l’unicità della
sua ricerca artistica, che rappresentò un punto di riferimento per i giovani talenti che proprio in
quegli anni aprirono nuove strade all’arte. Per chi vuole conoscere Rousseau questa è una
mostra imperdibile! Vi potrete avventurare alla scoperta delle sue foreste incantate e allo
stesso tempo comprendere l’ostinato desiderio, di un Doganiere in pensione, di cercare la
semplicità per arrivare alla massima purezza dell’immagine.
Henri Rousseau. Il candore arcaico.
Dal 6 marzo al 5 luglio 2015
Palazzo Ducale di Venezia
Sito ufficiale della mostra – www.mostrarousseau.it
Fond. Musei Civici di Venezia – palazzoducale.visitmuve.it/it/mostre
C.S.
“mi hanno già
detto che non
appartengo al
mio secolo”
H.R.
Io non racconto una mostra, ma le storie che racconta una mostra. Non spiego la storia dell’arte,
ma narro le storie di cui parla l’arte. Nel mio blog ci sono dettagli, frammenti, curiosità, piccole
storie contenute in grandi capolavori, realizzati da uomini e donne di grande talento. Divertiti e
fatti ispirare.
www.theartpostblog.com [email protected]
LA SOTTILE LINEA D’OMBRA: SEGUENDO IL FILO DI ARIANNA
Esordisco con lo slogan di un movimento artistico che ormai ha più di un secolo, che è nato per
aspirare all’eterno ma è finito per essere superato nell’arco di pochi anni. Sto parlando della
Secessione viennese, ovvero quello che succede quando in un clima di vivacità intellettuale le
accademie di arte e di architettura della capitale dell’Impero Asburgico continuano a propinare le
solite discipline classicheggianti e banali.
Una tale rigidità convince menti brillanti come Gustav Klimt e Otto Wagner a separarsi per
fondare una secessione di artisti indipendenti e capaci, volti alla creazione dell’opera d’arte
totale. Come gli Impressionisti a Parigi nei Salons des Indipendents insomma, soltanto
decisamente più visionari.
Sulla questione filosofica che sta dietro al concetto di opera d’arte totale non mi dilungherò,
anche se non posso evitare di ricordare il sarcasmo di un signorino come Adolf Loos (scrittore de
Ornamento e Delitto, per capirci), teorico dell’architettura contemporanea ed invelenito
oppositore della Secessione.
È di un altro artista tuttavia che voglio parlare, di un altro architetto per la precisione: il giovane
Joseph Maria Olbrich (dico giovane perché anche lui fa parte del club dei geni morti piuttosto
giovani, a quarantun anni per la precisione).
Incaricato di progettare niente meno che il Palazzo della Secessione, roccaforte dorata di questo
movimento, esprime tutto il simbolismo e l’ossessione di questa generazione, che nonostante
tutto soffre della crisi fin du siècle e inizia ad accusare un po’ di stanchezza della vita su una
giostra tra la belle époque e l’imperialismo con le sue politiche di potenza.
(continua nella pagina seguente)
“A ogni epoca la sua arte e a ogni arte la sua libertà”
il Palazzo della
Secessione,
roccaforte
dorata di
questo
movimento,
esprime tutto il
simbolismo e
l’ossessione di
questa
generazione
Per alcune persone io sono Arianna Senore, un architetto ventiquattrenne che vive e lavora in
provincia di Torino. Per altri invece sono La sottile linea d’ombra, la mano invisibile che scrivendo
cerca di trasmettere la sua grandissima passione per il mondo dell’arte e della bellezza.
lasottilelineadombrablog.wordpress.com [email protected]
Joseph Maria Olbrich, il palazzo della Secessione viennese, particolare.
Ci sono i riferimenti alla cultura classica, leggibili tra le civette, gli allori e le Gorgoni, i particolari
fiabieschi costituiti dagli animali riprodotti e infine ci sono le scritte: Ver Sarum (Primavera sacra)
e, per l’appunto, il titolo di questo mio articolo. Esiste poi la modernità dei volumi e del loro
assemblaggio, insieme alla freschezza di un lessico architettonico che non è ancora vincolato a
regole stilistiche.
Ultimo ma non meno importante, è presente in questo palazzo anche il fregio realizzato per
l’occasione da Gustav Klimt, emblematico del clima fantasioso e visionario del periodo.
Se andate a Vienna, fermatevi a vedere questo palazzo e fotografatelo su tutti i lati, perché
garantisco che ne vale la pena. E pensate a Olbrich, a questi ragazzi che cento anni fa
credevano in un futuro fatto di bellezza e cultura, che immaginavano di poter vivere in una
colonia di Artisti (a Darmstadt, progettata dallo stesso Olbrich), lontani dalla guerra che presto
avrebbe distrutto tutto e fatto crollare quello che allora era un impero secolare.
A.S.
pensate a
Olbrich, a
questi ragazzi
che cento anni
fa credevano in
un futuro fatto
di bellezza e
cultura
Gustav Klimt, fregio all’interno del Palazzo della Secessione Viennese, particolare.
Joseph Maria Olbrich, il palazzo della Secessione viennese.
ARTE E DIDATTICA: SCOPRIAMO LA STORIA E I GRANDI NOMI CHE CI HANNO INSEGNATO A GIOCARE CON L'ARTE!
Chiunque approcci all’insegnamento della storia dell’arte o delle materie artistiche in genere ha
fatto i conti con la definizione della didattica dell’arte. Che cos’è precisamente questa materia?
Qual’è la sua storia e la sua evoluzione? Iniziamo a conoscerla meglio
Didattica dell’arte o didattica museale?
Non solo un problema di definizione, ma un diverso campo di azione quello che vede distinte la
didattica dell’arte dal settore più specifico invece della didattica museale. Si legge
nell'Enciclopedia Universale dell'Arte:
“Per didattica dell’arte si intende l’insegnamento artistico, in tutte le sue diverse manifestazioni
(…) strettamente collegato con gli aspetti concreti del produrre opere d’arte.”
Ed è in questa accezione di significato che inquadriamo ad esempio la magnifica esperienza
della Bauhaus e di tutte le scuole di discipline artistiche che fanno riferimento a quella
esperienza, come modello di insegnamento. Una scuola nata per volere di Walter Gropius con
l’intento di arrivare a un’unificazione di tutte le arti, unendo le competenze teoriche a quelle
pratiche, proprie degli artigiani. Anche lo schema dei corsi di formazione seguiva questo
principio: divisi in corsi teorici e pratici, i ragazzi che si sono formati alla Bauhaus hanno
competenze a tutto campo. Gli insegnanti stessi, reclutati da Gropius furono gli stessi artisti.
Ricordiamo tra gli altri Klee, Kandinskji, Schlemmer.
Per didattica museale invece si intende quella didattica dell’arte volta a trasmettere insegnamenti
propri dell’opera d’arte nell’ambiente del museo. Ma attenzione, è vietato semplificare!
(continua nella pagina seguente)
Didattica dell'arte: ma che cos'è?
un diverso
campo di
azione quello
che vede
distinte la
didattica
dell’arte dal
settore più
specifico invece
della didattica
museale
Pagina 18 Numero 2, Aprile 2015
Nata e cresciuta nel verde della Sabina, pendolare per vocazione (artistica), incline per natura al
mondo dei bambini. Gli ingredienti delle mie giornate? Colori, pennelli, carta q.b., studio tutti i
giorni, tanto web, uova, zucchero, farina (che ci stanno sempre) e amore per tutto quello che
faccio...a volontà! Sono una delle fondatrici di zebrart.it, uno spazio web dove si parla di arte e
didattica, per me una preziosa e inesauribile fonte di arricchimento e di confronto!
zebrart.it [email protected]
Didattica museale: l’arte non solo per bambini
Fondamentale è, a mio modesto avviso, ricordare che la didattica museale è una disciplina
scientifica a tutti gli effetti ( e con questo voglio dire che esiste una vasta letteratura in materia e
moltissimi studi scientifici condotti da personale espertissimo) e non è una banale
semplificazione dell’arte per bambini.
Due sono i pregiudizi da sfatare: la didattica museale non si applica solo ai bambini, ma al
contrario comprende tutto l’apparato didattico dell’allestimento di una mostra o di un museo,
e per secondo, la didattica museale si rivolge dunque non solo alla fascia scolastica del pubblico
ma anche agli adulti e non ultimo alla fascia di pubblico “speciale” utilizzando mezzi e strumenti
specifici per abbattere le barriere della fruibilità dei beni.
Didattica non è semplificazione, si legge perentorio in Immaginare il Museo, Riflessioni sulla
didattica e sul pubblico di Maria Teresa Balboni Brizza, nel quale emerge l’importanza di sfatare
questi luoghi comune: rivolgersi a un pubblico più amplio ( che siano bambini o ragazzi in età
scolare piuttosto che il cosiddetto pubblico speciale), non significa necessariamente semplificare.
Una definizione impossibile quella della didattica museale
Insomma dare una definizione esaustiva alla didattica museale è quasi impossibile!
L’indicazione guida sul campo della didattica museale, con la dichiarazione anche lì presente,
della non esaustività di tale definizione, è sicuramente quella fornita dal Ministero dell’Istruzione,
dell’Università e della Ricerca, che ha creato un portale di Didattica Museale, curato da Antonio
Ciocca, per lo studio di questa amplia materia.
Si può leggere lì:
“Per “didattica museale” si intende, allora, l’insieme delle metodologie e degli strumenti utilizzati
dalle istituzioni museali e da quelle scolastiche per rendere accessibili ad un più vasto pubblico
collezioni, raccolte, mostre e in generale ogni tipo di esposizione culturale. Ma tale definizione
non è esaustiva della complessa realtà rappresentata”
Bisogna andare in campo internazionale per rintracciare una delle prime definizione adattabili
alla didattica museale e più in generale alla valenza estetica dell’insegnamento dell’arte. È datata
1934 e firmata da J. Dewey: Art as experience, un saggio per comprendere che l’arte se vissuta
come esperienza sensoriale è fonte di arricchimento e liberazione dell’energia creativa del
bambino. L’arte non deve essere finalizzata alla produzione di “manufatti”, ma diviene lo
strumento per acquisire capacità di osservazione, di memoria, di immaginazione
In Italia tale teoria fu ripresa ed elaborata da Maria Montessori che definì
“L’esperienza manipolativo-sensoriale, tipica della produzione artistica, assume un ruolo centrale
in chiave evolutiva e la mano può essere considerata una sorta di “protesi” della mente”
Approfondimenti sulla didattica museale in arrivo…
Abbiamo visto quindi che la didattica museale e la didattica dell’arte hanno innumerevoli
sfaccettature, che proveremo ad analizzare prossimamente per scoprirne e ripercorrerne le
principali tappe storiche .
S.A.
“La storia
dell’attribuzione
del dipinto a
Caravaggio
inizia quasi un
secolo fa”
Pagina 19 Numero 2, Aprile 2015
SVIRGOLETTATE - PENNELLATE DI CURIOSITÀ DAL MONDO DELL'ARTE
So già dove andare a parare. Ma per pacare curiosità ed abbracciare il sapere, guarderò ad una
panoramica un po’ più ampia, prima di incanalare l’argomento che tratterò.
Il MoMA, acronimo di Museum of Modern Art, è uno dei musei più celebri e fantastici del mondo.
Collocato in Midtown Manhattan, sulla 53a strada a New York, è uno dei musei d’arte moderna
che senza dubbio più hanno inciso sulla diffusione e fruizione di un’arte sempre in costante
evoluzione.
Ricercando info furtive e generiche su Wikipedia, è possibile aver una visione d’insieme circa le
opere contenute nel museo, che spaziano da progetti d'architettura e oggetti
di design, disegni, dipinti, sculture, fotografie, serigrafie, illustrazioni, film e opere multimediali.
Inoltre la sua biblioteca ed i suoi archivi, raccolgono più di 300.000 libri e periodici, oltre alle
schede personali di più di 70.000 artisti.
Non a caso ho cercato su Wikipedia nozioni a riguardo. Ufficialmente il sito enciclopedico riporta,
qualunque sia l’argomento trattato, spiegazioni coadiuvate da fonti certe.
E allora su questa base, leggendo però di come è nato il MoMA, mi sorge qualche dubbio:
“L'idea originale di un museo di arte moderna fu sviluppata nel 1928 principalmente da Abby
Aldrich Rockefeller (moglie di John D. Rockefeller Jr.) e da due delle sue amiche, Lillie P.
Bliss e Mary Quinn Sullivan. Il loro gruppo divenne noto con vari soprannomi, tra cui "the
La vera nascita del MoMA di New York
Il MoMA,
acronimo di
Museum of
Modern Art, è
uno dei musei
più celebri e
fantastici del
mondo.
Antonio Dario Fiorini, storico dell'arte e blogger. Il suo miglior pregio è la curiosità; il suo peggior
difetto: la curiosità. Laureatosi presso l'Università degli Studi Roma Tre, ama l'arte moderna e
contemporanea, provando una particolare predilezione per Caravaggio, Otto Dix, Ernst Ludwig
Kirchner e Henri Matisse.
svirgolettate.blogspot.it [email protected]
P. Picasso, Les Deimoselles d'Avignon, 1907, olio su tela,
MoMA, New York
Ladies" (It. Le Signore), "the daring ladies" (It. Le ardite
Signore), e "the adamantine ladies" (It. Le Signore adamantine).
Come sede del museo da loro ideato affittarono un edificio
piuttosto modesto e lo aprirono al pubblico il 7 novembre1929, 9
giorni dopo il crollo di Wall Street. Abby invitò A. Conger
Goodyear, in precedenza presidente del consiglio di
amministrazione della Albright Art Gallery di Buffalo, a diventare
presidente del nuovo museo. La Rockefeller stessa assunse
l'incarico di tesoriere. Si trattò di uno dei primi musei statunitensi
ad essere dedicato interamente all'arte moderna e
d'avanguardia (si veda anche la Gallery of Living Art di Gallatin e
La Société Anonyme di K.Dreier) europee. Goodyear
convinse Paul J. Sachs e Frank Crowninshield ad unirsi a lui
come membri del consiglio di amministrazione. Sachs,
condirettore e curatore della sezione stampe e disegni del Fogg
Art Museum presso l'Università Harvard, fu incaricato di reperire
i curatori. Goodyear gli chiese di suggerire un direttore e lui
propose Alfred H. Barr Jr., un suo promettente giovane pupillo.
Sotto la guida di Barr la collezione del museo, che in origine era
composta di sole otto stampe e un disegno avuti grazie ad una
donazione, si ampliò velocemente. Nel novembre del 1929 si
tenne la prima mostra di successo, in cui furono esposte opere
di Van Gogh, Gauguin, Cézanne, and Seurat.”
(continua nella pagina seguente)
Nulla di più vero, senza dubbio. Però il vero sarebbe stato ancora più vero se avessi riscontrato la
presenza delle motivazioni che hanno indotto i Rockefeller a fondare il museo. Motivazioni che ovvia-
mente non è possibile neanche riscontrare sul sito ufficiale del MoMA.
E allora, fiero del mio “Autocritico Automobile” di Bonito Oliva sul comodino, racconterò di una verità
scomoda che ha permesso la nascita di un progetto grandioso.
Quando Bonito Oliva introduce il discorso sulla mostra American Art al Whitney Museum, durante il
bicentenario della nascita dello stato nel 1974, ricorda l’impegno effettivo dei Rockefeller nel mondo
dell’arte, essendo questi presidenti, vicepresidenti e membri associati dei più grandi musei americani,
tra cui proprio il Whitney.
Lo storico dell’arte, ricollocando la mostra in un periodo di forte consapevolezza della tutela verso la
diversità quale unicum nel suo genere, non fa tanto leva sulla protesta derivante dal fatto che alla
mostra avesse aderito solo una donna e nessun artista di colore, quanto sul fatto che nessuno aves-
se protestato per la presenza opprimente dei Rockefeller, quali artefici di un evento spiacevole acca-
duto nel 1914, nascosto dal muro figurato MoMA, erto proprio per relegarlo nell’oblio.
Ebbene nel 1914, il padre di John D. Rockfeller, l’allora presidente del MoMA, fu costretto a reprime-
re uno sciopero scoppiato in una sua miniera a Ludow, nel Colorado. Per farlo utilizzò il suo esercito
privato e richiese la collaborazione dell’esercito federale: il risultato fu la morte di alcuni minatori, di
due donne e undici bambini.
Quindi, caduto nell’onta del disgusto, per far dimenticare l’eccidio decise di consultare un public rela-
tions man, Ivy Lee, per cercar di rilanciare la testata della grande famiglia.
Il consiglio che ne ricevette fu quello di associare il nome della sua famiglia ad opere di beneficienza
e cultura, magari verso un’arte ancora poco capita, che meritava di una spinta verso la totale fruizio-
ne pubblica.
E fu così che arrivò la Rockefeller Foundation ed il Museum of Modern Art.
Beh si, decisamente alla luce di questa realtà è più facile mostrare ora una reticenza, una sorta di
delusione, verso quella che è oggi un’istituzione indiscutibilmente straordinaria.
Ma è anche vero che l’arte non è colpevole; è colpevole l’uomo, quindi se doveste andarci in futuro,
(io mi auguro di poterlo fare quanto prima) godetevi Picasso, Cezanne, Dalì, Chagall, Degas, Monet,
Pollock, Rothko o Kandinskij senza riserva e ragionate sul fatto che in fondo, anche se come rimedio
ad un gesto aberrante, in fondo il magnate americano simbolo del capitalismo temuto, qualcosa di
buono per l’umanità è riuscito a farla.
A. D. F.
tutti gli indizi
parrebbero
confermare il
dipinto al
Caravaggio
R. Lichtenstein, Drowing girl, 1963, olio e
polimero sintetico su tela, MoMA, New York.
V. Van Gogh, Notte stellata, 1889, olio su tela, MoMA, New York.
SCIADOGRAFIE
Il Baldacchino della discordia. Le origini della rivalità tra Bernini e Borromini
Roma, 1623. Il cardinale Maffeo Barberini sale al soglio pontificio con il nome di Urbano
VIII ereditando una Basilica di San Pietro non ancora terminata con l'anziano architetto Carlo
Maderno a capo dei lavori, il quale aveva precedentemente ricevuto l'incarico da Papa Paolo V.
Maderno aveva preso a lavorare con sé un giovane parente dal talento straordinario che diventò
presto suo braccio destro in qualsiasi commissione: Francesco Castelli, conosciuto
universalmente comeFrancesco Borromini. Ma Papa Barberini aveva già il suo giovane di talento
del quale fu mentore dal momento in cui Papa Paolo V ne constatò il genio: stiamo parlando
di Gian Lorenzo Bernini, figlio dello scultore fiorentino Pietro Bernini - lo stesso Pietro, che tra le
tantissime eccellenti opere realizzate nella sua vita ha ideato e scolpito a Roma in Piazza di
Spagna la fontana della Barcaccia (oggi tristemente nota in tutto il mondo per gli atti vandalici
degli hooligans olandesi subiti nel mese di febbraio 2015). Il giovane Bernini viene così
assegnato dallo stesso Papa all'entourage di Maderno sia nei lavori alla Basilica sia alla
realizzazione di Palazzo Barberini vicino al Quirinale.
Si possono ben intuire fin da principio i progetti di Urbano sul suo giovane protetto, basati sugli
anni a lui dedicati nel formare un vero artista e cortigiano papale: Gian Lorenzo Bernini era
diventato un uomo dalla viva intelligenza, diplomatico nelle relazioni lavorative e con attenta
sensibilità nei confronti dei committenti, con calibrata simpatia e teatralità. Decisamente un uomo
ben voluto dalla nobiltà. Lo stesso non si può dire di Francesco Borromini: ragazzo che non ebbe
mai una protezione influente come la ebbe Gian Lorenzo, uomo dal carattere chiuso, irascibile,
poco propenso alla compagnia, dal grande genio architettonico del quale era consapevole. Di
certo non una persona con la quale si potesse discutere dei suoi modi di lavorare, spesso non
compresi per il loro essere visionari e plasmatori di un nuovo stile.
Mettere due artisti di tale calibro a collaborare tra di loro fu di certo l'errore più grande di Papa
Urbano VIII - specialmente per la dichiarata propensione nei confronti di uno rispetto all'altro.
Infatti in poco tempo arrivò la causa del loro attrito più grande: la commissione papale
delBaldacchino sopra l'altare della Basilica di San Pietro. Normalmente, la copertura dell'altare è
sempre stata determinata dalla presenza del ciborio, elemento architettonico permanente spesso
realizzato in marmo, composto da quattro colonne a sorreggere una cupola o un tetto. Il
baldacchino invece è una copertura di stoffa temporanea sorretta da quattro aste, destinata
principalmente a proteggere e segnalare durante processioni la presenza del Santissimo
Sacramento o un personaggio importante. Tale opera fuori dai canoni fu però voluta inizialmente
da Papa Paolo V che nel 1606 assegnò l'incarico della sua realizzazione a Maderno, il quale
negli anni successivi propose diversi progetti, uno dei quali fu approvato un mese prima
dell'elezione di Urbano VIII. Non stupisce quindi il forte malumore di Borromini nel veder tolto
l'incarico al suo maestro e sostituito per di più da un giovane scultore che poco conosceva
dell'architettura. Purtroppo oltre al danno arrivò la beffa: la Congregazione della Reverenda
Fabbrica di San Pietro indisse un bando per trovare il miglior progetto del baldacchino, bando
terminato appena dieci giorni dopo il suo annuncio con l'inizio dei pagamenti regolari a Bernini
per la realizzazione dell'opera.
(continua nella pagina seguente)
Pagina 22 Numero 2, Aprile 2015
Laura Cesari, laureata in Scienze Umanistiche, studiosa ed appassionata di storia dell'arte. Fon-
datrice e curatrice del blog Sciadografie: il nome deriva dagli esperimenti condotti nel 1833
dall'inglese William Henry Fox Talbot, il quale attraverso delle soluzioni specifiche rese sensibile
alla luce un foglio di carta. Ponendovi sopra degli oggetti ed esponendo il tutto alla luce del sole
notò come l'oggetto stesso lasciasse la sua ombra (shadow) sulla carta, creando ciò che noi
definiremmo un "negativo". Il blog segue lo stesso concetto: filtrare l'arte e l'attualità attraverso le
mie personali conoscenze e punti di vista
sciadografie.blogspot.it [email protected]
Francesco Borromini.
Anonimo.
Mettere due
artisti di tale
calibro a
collaborare tra
di loro fu di
certo l'errore più
grande di Papa
Urbano VIII
Gian Lorenzo Bernini,
autoritratto.
Borromini insieme a Maderno si ritrovò a collaborare attivamente con Bernini per i nove anni
successivi - dal 1623 al 1633 - ad un progetto già avviato, dal quale lo stesso Bernini aveva
preso spunto: il riferimento è all'inserimento delle colonne (elementi più da ciborio) a sostegno
del tendaggio, idea avuta precedentemente da Maderno. La genialità di Gian Lorenzo portò alla
fusione di colonne tortili - a ricordo della "colonna santa" ospitata nella nicchia nordovest della
cupola, alla quale secondo tradizione si appoggiò Gesù durante una predicazione nel Tempio di
Gerusalemme - utilizzando il procedimento di fusione a cera persa che gli permetteva di inserire
oggetti veri nelle colonne. Le critiche arrivarono immediatamente: l'espediente fu causa di
derisione, poiché diede il pretesto alle voci che circolavano su Bernini, il quale non era
abbastanza bravo da scolpire certe cose con le sue stesse mani. Altre critiche furono sulla
scarsa esperienza dell'artista nella fusione del bronzo, che lo portarono a contare
eccessivamente sui collaboratori. Ed infine il malumore generale nei riguardi della provenienza
del bronzo: Papa Barberini aveva fatto rimuovere sia i costoloni a sostegno della cupola di San
Pietro sia, e ben più grave, le travi di bronzo di una capriata del portico del Pantheon - questo
portò Giulio Mancini, medico del Papa stesso, a dire la famosissima frase «Quod non fecerunt
barbari fecerunt Barberini», Quel che non fecero i barbari lo fecero i Barberini.
Per l'effettivo completamento del baldacchino però ci vollero altri sei anni: Bernini infatti ricevette
altri incarichi che lo distrassero dal baldacchino, come la tomba di Urbano VIII e i campanili per
la Basilica di Santa Maria ad Martyres - il Pantheon (eliminati poi nel 1883).
Ma la morte di Maderno all'inizio del 1629 determinò sia il prolungamento dei lavori che
l'inasprimento dei rapporti con Borromini. Papa Urbano VIII nomina immediatamente Gian
Lorenzo Bernini architetto capo della Fabbrica di San Pietro e di Palazzo Barberini, decisione
che turba profondamente Francesco Borromini, poiché era per lui logico ricevere tali incarichi in
quanto braccio destro di Maderno. Logico per lui ma non per il Papa, il quale aveva fin da subito
dichiarato il suo scarso apprezzamento per l'anziano architetto.
La drammaticità si appresta ad arrivare al culmine quando Borromini si trova a ricoprire il posto
di primo assistente di Bernini nei suoi lavori, primo tra tutti quello del baldacchino. A pochi è noto
infatti il suo ruolo chiave nel completamento di un'opera passata alla storia come "il Baldacchino
del Bernini". Gian Lorenzo aveva pensato di porre sulla cima della struttura una statua del Cristo
Risorto, elemento troppo pensante per dei sostegni sottili voluti dal Bernini stesso. L'intervento di
Borromini fu illuminante: inserì al posto della statua un globo d'oro sormontato da una croce,
richiamo alla sommità stessa della cupola della basilica. Le volute di legno dorato a sostegno del
globo ricordano dei delfini che si tuffano, i quali rimandano alle volute usate da Borromini nella
maggior parte dei suoi lavori, alla sua propensione al movimento ondulato, alla flessibilità delle
linee, alla ricerca degli angoli arrotondati e alla sinuosità dello spazio architettonico da lui
utilizzato. Come se non bastasse Borromini contribuì ampiamente ai lavori di Palazzo Barberini,
anche questo assegnato a Bernini, nel quale è chiaro il contrasto tra i due artisti. Il cardinale
Francesco Barberini (nipote del Papa) confessò al cardinale Virgilio Spada che il palazzo era in
gran parte progetto di Borromini. Anche gli stili diversi dei due artisti sono visibili nello stesso
palazzo: Borromini ideò una scalinata a spirale ovale con coppie di colonne doriche che porta lo
spettatore a non accorgersi della salita intrapresa tanta è la meraviglia ispirata dalla dolcezza
delle linee; decisamente opposta alla grandiosa scalinata di Bernini, molto più istituzionale e
massiccia. Ma il merito finale andò anche in questo caso a Bernini.
Chiaro è stato l'intento di Gian Lorenzo di tenere a freno il suo rivale legandolo a sé in queste
commissioni, sfruttando le sue capacità ed il suo estro creativo - cosa che aveva già compiuto in
precedenza con lo scultore Giuliano Finelli nel gruppo scultoreo dell'Apollo e Dafne, il quale
abbandonò il suo posto accanto a Bernini per la mancata attribuzione della sua esecuzione
riguardo la gran parte delle metamorfosi in radici e ramoscelli, compresi i fluenti capelli della
ninfa.
Oltre alla mancanza di merito Borromini sperimentò anche la disonestà di Bernini. Dato lo scarso
salario ottenuto dai lavori al baldacchino - Borromini ricevette un decimo rispetto al compenso di
Bernini - Francesco tentò di mettersi in società con Agostino Radi, cognato di Bernini, per fornire
allo stesso Gian Lorenzo il marmo e la pietra necessarie alla basilica vaticana. I vantaggi però
non arrivarono mai, tanto che Borromini, indagando sulle perdite, scoprì un secondo accordo del
quale non era al corrente: Radi concedeva una quota dei profitti a Bernini per mantenere
l'incarico di fornire i marmi all'architetto capo. La rabbia ed il disgusto di Borromini furono tali che
abbandonò per sempre i lavori a Palazzo Barberini e a San Pietro, rompendo definitivamente
ogni rapporto con Bernini. Così iniziò l'acerrima rivalità tra i due geni creatori della Roma
barocca.
L.C.
Pagina 23 Numero 2, Aprile 2015
L’IMBRATTAC-ARTE
Arte e denaro, le verità che spesso non si dicono
È inutile negarlo e continuare a far finta che non sia vero: se oggi ogni tanto l’arte ottiene ancora
i riflettori del palco mediatico, non è certo per il genio di un’artista o di un astro nascente, quanto
per le quotazioni che le sue opere raggiungono.
Tanto è vero che quando c’è un record d’asta, si parla sempre e solo del prezzo, mai dell’opera e
del suo significato, indipendentemente dal fatto che l’autore sia Monet,Picasso, Francis
Bacon o Jeff Koons.
Per capire le cifre astronomiche che girano attorno al mondo dell’arte e che fanno tanto scalpore,
non dobbiamo dimenticare due cose:
1. I bravi artisti si sono sempre fatti pagare e anche tanto
2. Viviamo in un’epoca in cui l’economia ha vinto e si è impossessata di tutto
1. Arte e denaro un connubio vecchio secoli
Arte e denaro hanno sempre camminato fianco a fianco. L’arte dell’epoca moderna si è
sviluppata con più forza in quei paesi in cui non era solo il fermento culturale a essere ricco, ma
anche il denaro vero e proprio girava in abbondanza. Nell’Italia del Rinascimento, nell’Olanda
della seconda metà del 1600, nella Francia della Belle Époque e nell’America del dopoguerra,
agli artisti, oltre a grandi commissioni e riconoscimenti, erano assicurati anche lauti compensi.
Stati ricchi quindi, che diventavano direttamente o indirettamente mecenati e protettori delle arti
tutte. Non poteva essere diversamente d’altronde, dato che il prodotto del fare artistico è un bene
superfluo, non necessario, e solo classi dirigenti di società nelle quali tutti gli altri bisogni erano
per lo più soddisfatti potevano permettersi di sostenere una classe “non produttiva” come quella
degli artisti.
Tanto è vero che l’arte è sempre stata un’attività per ricchi (papi, imperatore, re, aristocratici) che
solo di riflesso si volgeva al resto della popolazione. Anche vederla come forma di
investimento non è cosa nuova se, come citato da Nicola Maggi in un articolo del suo blog, già
nel 1200 il critico Ts’ai Taoscriveva: «L’amore e la gioia per l’arte sono diventati una moda e le
opere d’arte sono ovunque considerate alla stregua di merci e investimenti. Questo il diavolo
della nostra epoca».
Cambiano gli artisti, cambia il pubblico ma…
Nulla è cambiato quindi, oggi come allora il denaro associato al mondo dell’arte è visto come un
male. Gli artisti devono essere poveri e maledetti e lavorare per la gloria che arriverà solo a
morte giunta. Peccato che questo sia vero solo per una percentuale piccolissima di protagonisti
della storia dell’arte. Tiziano era così ricco, famoso e rispettato che addirittura l’imperatore Carlo
V in persona (l’uomo che regnava su un impero in cui non sorgeva mai il sole, per intenderci) si
inchinò per raccogliere un pennello caduto al maestro.
(continua nella pagina seguente)
Arte e denaro
hanno sempre
camminato
fianco a
fianco
Copywriter, blogger e web marketer con una grande passione per l'arte e per il suo mercato.
Quando lavoro scrivo, quando non lavoro scrivo, leggo, viaggio e giro per mostre, musei e fiere
cercando di divertirmi: perché l'arte è una cosa seria, come la vita, per questo va presa con il
sorriso.
www.emettiladaparte.com [email protected]
Andrea Mantegna il giorno in cui morì possedeva case e terreni di
gran valore. Per non parlare di Michelangelo, uno degli artisti più
ricchi del suo tempo, grande nel creare arte quanto nell’accumulare
denari come è stato dimostrato dalla ricerca svolta dallo
studiosoRab Hatfield pubblicata con il titolo “The wealth of
Michelangelo” (un ottimo libro che racchiude tante curiosità sui pittori
italiani del Rinascimento e sul loro rapporto con il denaro).
Per tornare agli artisti, se Caravaggio non ha mai vissuto
un’esistenza agiata è dovuto solo al suo carattere indocile e
aggressivo che lo ha costretto a fuggire in lungo e largo per l’Italia
vivendo come un fuggiasco: i suoi lavori, richiesti da grandi e
influenti personaggi come il Cardinale Barbierini, erano ben
ricompensati.
Avvicinandoci sempre di più ai nostri tempi andiamo incontro a una
delle più grandi e false legende relative alla storia dell’arte, quella
che vuole gli impressionisti poveri, incompresi e morti in miseria: a
parte il fatto che nessuno di loro è mai stato povero per il semplice
fatto che appartenevano tutti, ad eccezione di Renoir, a famiglie
benestanti. Comunque sia tutti gli impressionisti sono diventati ricchi
e famosi grazie alla loro pittura. Molto probabilmente anche Van
Gogh stesso se non fosse morto così giovane avrebbe conosciuto il
successo.
Se poi pensiamo a Picasso o Dalì, possiamo sicuramente affermare
che non morirono certo in disgrazia. Da dove arriva allora questa
credenza comune che vuole l’artista povero e maledetto, dedito solo
a creare i propri lavori per la gloria e non per alcun guadagno?
Il mito romantico dell’artista maledetto
Bastarono pochissimi anni per creare e coltivare un mito che si è poi
talmente radicato da giungere inalterato fino ai giorni nostri: quello
dell’artista povero e maledetto che vive e si nutre esclusivamente di
emozioni e pittura.
Nella prima metà dell’800 nasce la figura del genio incompreso,
rifiutato dalla società e che della società rifiuta regole e valori, che
conduce una vita autodistruttiva e che muore prima che il suo valore
venga riconosciuto. È il Romanticismo, un movimento a mio parere
mediocre il cui lascito più grande alla storia dell’arte è stato appunto
questo stupido e falso retaggio causa delle più grandi
incomprensione di oggi verso l’arte contemporanea.
D’altronde i numeri parlano chiaro: quanti sarebbero questi artisti
maledetti? Così su due piedi mi vengono in mente solo i nomi di Van
Gogh e di Modigliani, due artisti importantissimi ma che fanno
grande presa sul pubblico più per il fascino delle loro vite
“spericolate”, come direbbe il buon vecchio Vasco, che per il
pensiero trasmesso dalle loro opere. Eppure questo è un retaggio
che ha messo radici talmente profonde che a fatica riusciamo ad
accettare che un artista possa guadagnare e diventare ricco
vendendo i propri lavori.
Di arte si vive e con l’arte si mangia
Fare l’artista è un lavoro come un altro, per certi versi forse più
affascinate ma è comunque un lavoro. Gli artisti dedicano energia e
ore della propria giornata per regalare un po’ di bellezza a questo
mondo, perché non dovrebbero essere pagati dato che, come ogni
professionista che si rispetta, versano anche i loro bei tributi allo
stato?
(continua nella pagina seguente)
Avvicinandoci
sempre di più
ai nostri tempi
andiamo
incontro a una
delle più grandi
e false legende
relative alla
storia dell’arte
Nel rinascimento esistevano tabelle di prezzo che
indicavano con certezza quanto sarebbe dovuto
essere ricompensato un lavoro: più figure compari-
vano nel dipinto, più aumentava il prezzo. Gli artisti
non producevano spinti dall’ispirazione: tutte le ope-
re che vediamo appese nei vari musei del mondo
erano lavori innanzitutto commissionati da qualcuno
e che dovevano seguire determinati canoni. Solo in
seguito poteva capitare che il talento di un genio ci
mettesse del proprio e creasse quei capolavori che
ancora oggi possiamo ammirare.
Si lavorava comunque innanzitutto per una retribu-
zione, non per esclusivo piacere personale. Oggi è
uguale. Gli artisti lavorano per esprimere se stessi è
vero, ma hanno bisogno di essere pagati anche
perché altrimenti sarebbero costretti a procurarsi il
sostentamento con altri mezzi e questo toglierebbe
tempo alla loro arte. Che poi alcuni artisti abbiamo
raggiunto quotazioni astronomiche è un altro discor-
so.
2. L’economia si è impossessata dell’arte
Si, l’economia ha vinto su tutto non possiamo far
finta di niente. Mentre nel Medioevo era
la religione ad avere la meglio sulla vita e sull’arte,
nel Rinascimento tutto era fondato sullo studio
dell’Uomo e la parola chiave dell’Illuminismo era
“Ragione”, oggi l’Economia è ciò che guida la nostra
società. E dato che l’arte riflette sempre se non ad-
dirittura anticipa ciò che la società produce, in un
mondo in cui non si fa altro che parlare di spread,
bilanci, indici, ecc., l’economia non poteva non di-
ventare protagonista anche nell’arte.
Questo non vuol dire però che viene meno il valore
degli artisti e della loro opera. Bisogna sempre tene-
re bene in mente che prezzo e valore sono due co-
se diverse che non sempre combaciano. Ci sono
artisti che costano poco e che valgono tanto, come
ci sono artisti che hanno raggiunto quotazioni altissi-
me ma le cui opere non hanno un valore poi così
grande.
Non dobbiamo giudicare grande un’artista solo per il
prezzo che le sue opere raggiungono come non
dobbiamo fare l’errore di classificare alla stregua di
una speculazione finanziaria un’opera che ha un
prezzo esorbitante. Anche là dove i prezzi sono
evidentemente gonfiati dal mercato, non ci si do-
vrebbe far distrarre dall’indignazione ma sforzarsi di
comprendere quello che l’opera vuole trasmettere.
Lasciati da parte i pregiudizi potremmo trovarci di
fronte a piacevoli sorprese sia davanti a un opera
valutata poche migliaia di euro, sia davanti a un’altra
valutata milioni di dollari.
N.S.
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Numero 2, Aprile 2015
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La copertina è un omaggio all’opera di Renè Magritte, Infinita ricognizione