Archivio Dina Vallino...

8
Archivio Dina Vallino Pubblicazioni Postfazione a E. Gaburri e L. Ambrosiano Ululare con i lupi: Conformismo e rêverie Dina Vallino ––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– Per citare questo scritto: VALLINO D., Postfazione a Eugenio Gaburri e Laura Ambrosiano, Ululare con i lupi: Conformismo e rêverie, 149-155. Torino: Bollati Boringhieri 2003. h"p://associazionedinavallino.it/wp-content/uploads/2017/06/post-lupi.pdf ––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– Archivio | Associazione Scien,fico Culturale Dina Vallino [email protected] Via Antonio Kramer, 18 | 20129, Milano (MI) | Italia Tel. +39 02.76003736 | C.F. 97736670155 [email protected] | www.associazionedinavallino.it

Transcript of Archivio Dina Vallino...

Archivio Dina Vallino Pubblicazioni

Postfazione a E. Gaburri e L. Ambrosiano Ululare con i lupi: Conformismo e rêverieDina Vallino

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––

Per citare questo scritto:

VALLINO D., Postfazione a Eugenio Gaburri e Laura Ambrosiano, Ululare con i lupi: Conformismo e rêverie, 149-155. Torino: Bollati Boringhieri 2003.

h"p://associazionedinavallino.it/wp-content/uploads/2017/06/post-lupi.pdf

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––

Archivio|AssociazioneScien,[email protected]

ViaAntonioKramer,18|20129,Milano(MI)|ItaliaTel.+3902.76003736|C.F.97736670155

[email protected]|www.associazionedinavallino.it

PostfazioneDina Vallino

Ululare con i lupi: conformismo e rèverie è il titolo suggestivo che due psico analisti hanno dato a una composita esposizione teorico-clinica delle loro idee sulla persona, la mente e il gruppo. Ululare con i lupi è metafora, mutuata da una frase di Freud, della paura che l’individuo ha del gruppo, cosicché impara presto ad adeguarsi a esso per restare tranquillo. E questa un’opera di psico analisi che, pur essendo fortemente innovativa, trattiene un legame «affet tuoso» con il pensiero di Freud, di cui sono approfonditi e rivisitati soprat tutto i concetti che si rifanno alle opere socialistiche, posti nei lavori in cui egli si occupa dei gruppi tribali (1912-13), del lutto (i9i5d), delle masse (1921), della civiltà (1929), lavori ripresi poi da Bion a proposito del gruppo e del con flitto tra socialismo e narcisismo. La menzione delle due autorevoli fonti, Freud e Bion, lascia intendere quanto l’ispirazione di questo libro sia trasgres siva rispetto a un tradizionale «freudismo», che i nostri autori potrebbero con siderare come una delle posizioni conformistiche che dannano lo sviluppo delle idee e dell’individuo. Sì, il conformismo è l’oggetto sotterraneo e perva- sivo che Ambrosiano e Gaburri individuano come il rischio più pericoloso della mentalità del nostro tempo: da qualsiasi punto di vista ideologico lo si voglia considerare. Aree di conformismo fanno parte integrante dell’oscilla zione perpetua e assai sgradevole tra l’essere dipendente dal gruppo e la solitu dine essenziale dell’identità individuale. Tale concetto è rivisitato in molti modi dai due autori: nel gruppo, nell’istituzione psicoanalitica, nel mondo cul turale e sociale, nella stanza d’analisi. Questo però non è_un libro ideologico: non ci si può riconoscere in esso né se si ragiona «da destra» né se si ragiona «da sinistra», poiché in ogni gruppo di sinistra e di destra è riconoscibile un sentimento di appartenenza, che può degradare in conformismo per un pro cesso ineluttabile di «identificazione a massa 0 socialismo conformistico». Ed è questo ventaglio di possibilità dei pensieri che rende vigorosa e nuovissima que st’opera di psicoanalisi.

150 Dina Vallino

Numerosi autori italiani (Neri, Di Chiara, Correale, Conforto, Boccanegra ecc.) si sono interrogati sulla mentalità di gruppo e suH’influenza del gruppo sull’individuo: in effetti questo è un discorso centrale e specifico della psico analisi italiana, e Ambrosiano e Gaburri rafforzano il principio che le vicende mentali dello sviluppo individuale sono connesse strettamente alla dialettica tra individuo e gruppo.

Il concetto di «connessione» è molto importante: Ambrosiano e Gaburri vi si riferiscono con diverse implicazioni di significato, volendo sottolineare l’embricazione costante, nello sviluppo mentale, tra il singolo (per dirla con Kierkegaard) e la massa (per dirla con Freud e Le Bon). Da tempo gli psico analisti lavoravano a cercare di rendere in chiave teorica quello che la clinica fa risaltare: che mai si presenta, in stanza d’analisi, una psicologia unipersonale, pena il fallimento totale della relazione psicoanalitica. Il concetto di connes sione consente di mettere in campo fenomeni di tipo diverso, e quindi di esten dere la valenza della psicoanalisi all’esperienza culturale e sociale.

I titoli dei capitoli ci mettono in contatto da subito con la complessità del testo: mi sono limitata a riprendere alcuni concetti chiave dai miei appunti di lettura: «individuazione», «crescita mentale del bambino, del paziente, del l’analista», rendendomi conto solo successivamente che si fondevano in un discorso unitario, prima ancora che li avessi intenzionalmente organizzati.

Di questi concetti ho trovato risvolti innovativi in Ululare con i lupi, poiché gli autori ipotizzano che la spinta alla crescita mentale debba stagliarsi dallo sfondo identificatorio che sommerge il soggetto prima che la sua spinta all’individuazione sia riconoscibile come tale. «Nella storia dell’individuo il gruppo familiare, inteso come famiglia estesa e come gruppo di appartenenza, permea la sua mente con una mentalità a lui preesistente (...) La mentalità è quella funzione, perlopiù inconsapevole, non pensata, che orienta i membri nel modo di trattare le differenze, le aspettative, i bisogni, le paure ecc.» «La dialettica conflittuale tra la tensione ad appartenere (al gruppo) e quella a di ventare solo sé stessi permea il contatto con l’Altro e con il gruppo.» «La mente si sviluppa grazie alla dialettica conflittuale, che con Bion abbiamo indi cato come conflitto tra narcisismo e socialismo.»

Desidero spendere qualche parola sul rinnovamento della concezione dello sviluppo dell’individuo che Ambrosiano e Gaburri presentano: il loro modello di pensiero sottolinea che è molto importante il soggetto non debba mante nersi attaccato alle proprie identificazioni per crescere. La crescita non può

'eludere il transito attraverso il conflitto che promuove lo sviluppo; il conflitto è alternativo all’identificazione introiettiva e a tutti i parametri dell’identifica zione che permutano semplicemente dall’altro ogni progresso. Puntualizzare - come i nostri fanno - che il singolo rinuncia al proprio modo di essere per sonale e si lascia suggestionare dai genitori «per amor loro», per far piacere a loro, è la cifra della spinta socialistica - dell’identificazione - che secondo me

Postfazione 151

avvolge di un’aura di devozione e di compiacenza ciò che è più tremendo per il bambino: la negazione della sua stessa esistenza e l’irrilevanza del suo pre sentarsi così come è. Un bambino adattato a questa tendenza di dover amare il parere dei genitori, prima che i genitori amino il suo vertice «debolissimo» di percezioni e di emozioni, sviluppa la più perfetta ipocrisia, oppurel’atta eco. al senso comune, attacco disconfermante le sue percezioni di realtà esterna e interna. Ambrosiano e Gaburri descrivono la vita mentale degli ex bambini che furono i loro pazienti: Sergio, Lucia, Patrizia, Matilda, Anna. Di fatto la dimensione socialistica impregna l’individuo con nuclei talmente scissi e con traddittori di identificazione, che il versante della persona totale risulta compo sito, un puzzle bizzarro, come Anna che su un versante è disattenta e ribelle alla madre e su un altro è impegnata a rimuginare tecniche per proteggersi dal contatto pericoloso con il mondo. Anna bambina, allevata in un’istituzione materna dominata da ferree e imprevedibili leggi, resta orfana di un’attenzio ne che si curi delle sue esigenze.

Ambrosiano e Gaburri sottolineano come sia il ruolo del padre, il ruolo del terzo (cui la psicoanalisi con la teoria edipica fa riferimento), a proteggere il bambino e a promuovere in lui quei movimenti di allontanamento che gli per mettono di non cedere alla seduzione ipnotica delle paure del gruppo. In que sto senso la funzione edipica della mente è una funzione circolante all’interno della coppia e della famiglia estesa come promessa all’emancipazione del bam bino (e non competenza esclusiva del padre). Quindi, fondamentale per cia scuno èiLhj.sogno del gruppo, essendo la mentalità di gruppo una «Himèn* sione di appartenenza» molto importante per il bambino, dato che è il gruppo- famiglia il primo a riconoscere i suoi segnali come valide espressione del Sé emergente.

Tuttavia ogni bambino deve poter sperimentare il conflitto narcisismo- socialismo, quando «le aspettative invasive degli adulti sono socialistiche, per meate di conformismo rispetto a una mentalità di gruppo che essi stessi non hanno elaborato». Perciò in ogni storia individuale si osserva un’oscillazione permanente nella crescita, tra l’essere dipendenti dal gruppo e soli nella pro pria soggettività intenzionale e inconscia. Per i nostri autori è necessario anche al bambino, come al poeta, poter tollerare il proprio odio e la propria aggres sività verso l’oggetto e il desiderio di allontanarlo da sé. Disgraziatamente i bambini riescono con difficoltà a permutare il loro dolore in una «dialettica disidentificazione-introiezione» a sostegno di un autentico bisogno di indivi duazione. Più facilmente essi vengono «affetti» da un’«identificazione con l’aggressore» che in modo pulsante e intermittente offre all’oggetto una dimora nell’Io, e quindi permette, in ragione dell’intermittenza identifìcato- ria, di allontanarlo da sé. In che modo può manifestarsi la competenza del bam bino a ricercare una propria specificità personale?

152 Dina Vallino

Il soggetto, da bambino (e anche da adulto), sempre necessita di un gruppo che lo riconosca esistente nella sua individualità specifica, ma può avvertire, come risposta al presentarsi nella sua diversità, una sordità perentoria da parte dei caregivers, sordità fatta di intolleranza, rigidità, ansia e panico. Nel bam bino si presenta allora paura del gruppo e delle sue richieste di sottomissione percepite come non trattabili. Ciò prelude a un isolamento narcisistico della specificità personale: il Sé viene isolato e ibernato dalla paura, come nei casi di Matilda e di Lucia: «Il ritiro narcisistico esprime ima visione non consensuale della realtà, un isolarsi dal senso comune: può essere una funzione non pen sata, di contenimento delle spinte verso il socialismo, rudimentale attrezzo per non cedere alla seduzione del gruppo fagocitante.»

Il «rudimentale attrezzo narcisistico infantile», ma anche adulto, per sot trarsi all’essere fagocitato dal gruppo, è ciò cui gli autori dedicano un interes sante monitoraggio, non dando per scontato che esso sia segno di una patolo gia, ma piuttosto di una competenza innata dell’individuo a difendersi dalle spinte a essere assorbito dal gruppo. In tutti i pazienti presentati si riconosce quest’area di isolamento, infertile chiusura, ibernazione, in cui il Sé con le sue spinte a emanciparsi è come posto in «animazione sospesa», in attesa di un ambiente calorico nuovo che gli permetta lo sviluppo. Tale ambiente potrà risultare essere la mente dell’analista capace di «ospitare» come ospite deside rato il paziente, che all’inizio potrebbe presentarsi all’analista anche come per sona ostile, impotente, adirata o aggressiva.

Vorrei aggiungere in proposito un sogno personale. Dopo avere studiato con molto impegno il libro degli amici Gaburri, la notte sogno che sono su un autobus circondata da un gruppo di quattro o cinque uomini che, come fanno i borseggiatori in questa circostanza (accadutami realmente anni fa, senza suc cesso), si accalcavano intorno a me premendomi contro fino a riuscire a svuo tarmi completamente la borsetta. Nel sogno strillavo aiuto, e sempre nel sogno, dopo essermi ritrovata con la borsa vuota, pensavo che avrei dovuto chiamare il numero verde per fare la denuncia delle tessere bancomat che mi erano state sottratte. Poi però mi rendevo conto che la maggior parte del denaro e degli assegni erano stati messi in una tasca chiusa aWintemo della borsa, la stanza interna chiusa dove i Gaburri ripongono la parte vitale che colloquierà poi con l’analista, e che lì i borseggiatori non avevano potuto metter mano. Al risve glio penso con turbamento se mai avessi sognato anch’io il gruppo interno che mi borseggiava dei miei averi e che periodicamente mi faceva sentire in dub bio sulle mie capacità di sussistenza autonoma. L’altra possibilità interpreta tiva del sogno era che invece la coppia narcisismo-socialismo su cui mi ero così a lungo fermata a meditare costituisse per me una griglia troppo rigida per contenere tutti quegli aspetti della vita emotiva: tenerezza, colpa, sofferenza, vulnerabilità, che sempre avevo posto alle basi della mia riflessione di psico analista. Per me le risorse deH’individuo nella «stanza interna chiusa» sono

Postfazione 153

anche quelle condizioni di semi-allucinosi con cui i bambini giocano e fiabano, come scrive Antonino Ferro, o quelle condizioni che preludono alla rèverie ma ancora rèverie non sono, e che ho denominato Luogo Immaginario. Luogo in cui è possibile immettere le risorse individuali nascoste, dietro una parete, attraversata la quale al bambino è permesso immergersi in un mondo di fiaba dove si alternano tutte le possibilità, anche irreali, che le spinte del conformi smo del gruppo non gli permettono.

Mentre leggevo l’impegnativo slancio trasformativo delle proposte conte nute in questo libro, riguardo a un ventaglio di novità sul piano teorico e clini co, mi domandavo continuamente: bene, e l’analista al lavoro come se la cava?

Il libro è finalizzato nel suo insieme a dare un quadro articolato su due cen tri: a) l’analista e il paziente; b) l’analista e il suo gruppo.

L'analista e il paziente L’analista si muove in una costante triangolazione: con sé stesso e le sue emozioni, con le sue teorie di riferimento e con il pa ziente. All’interno di questa triangolazione l’analista ricerca continuamente la mappa del suo percorso e trova piste inedite per procedere nell’autoanalisi. Infatti la difficoltà del lavoro psicoanalitico e della ri-progettazione a due del processo di crescita implica anche per l’analista «continue retromarce con l’effetto tela di Penelope»: tutto da rifare! Sono i momenti che riguardano le «impasse» delle analisi, le reazioni catastrofiche dei pazienti, la sensazione di nessun cambiamento, la ripetizione continua delle medesime difficoltà a co stringere l’analista a interrogare sé stesso.

Claudio Neri nella sua Presentazione rileva opportunamente il valore dato nel libro all’emergere di emozioni e sentimenti non addomesticati: essi pos sono essere intercettati dall’analista attraverso la personificazione, che è una pri mitiva funzione simbolizzante. Tramite la personificazione, il paziente quasi «mette fuori di sé» oggetti, fantasie e sentimenti, raccolti nella personifica zione che unifica «gli elementi emotivi caotici e non ancora elaborati in forma di pensiero che circolano nel campo». Vediamo dunque che l’analista è aiuta to nel suo lavoro proprio dal paziente, dalle sue narrazioni, dai suoi «giochi» mentali. D’altra parte l’analista, per aiutare il paziente, deve riaprire l’elabora zione della sua autobiografia professionale, è chiamato continuamente a riesa minare a che punto si trova nella sua crescita mentale e nel suo cambiamento rispetto al passato. Questa parte del lavoro è impossibile senza la collabora zione con il gruppo di appartenenza.

L’osso duro della questione sembra essere: chi deve aprire la strada? chi deve cominciare a cambiare? Se l’analista accetta di allargare l’attenzione alla varie gata complessità degli eventi della sua vita professionale, egli stesso si eman cipa dalla mentalità gruppale, dalle zone cieche acriticamente incamerate.

Gli analisti spesso si mostrano disposti ad ascoltare solo quello che è previ sto nella mentalità di gruppo, solo i segnali ritenuti tali dal gruppo. Perciò le paure e il senso di sgomento del paziente vengono riconosciuti soltanto se

154 Dina Vallino

sono inclusi nel repertorio dei modelli di pensiero consolidati. Ad esempio, i modelli teorici del mondo interno o delle parti infantili del paziente hanno portato gli psicoanalisti, proprio nel loro lavoro clinico, a un ad de sac, poiché non tenevano conto del versante concreto, storico e culturale delle narrazioni dei pazienti, non essendo questo spazio concreto un loro spazio di osserva zione né di intervento. In questo caso gli analisti tendevano a omologare le narrazioni in stanza d’analisi a uno scenario di proiezioni dell’analizzando, non impegnandosi a riconoscerne la specificità. Invece si tratta per l’analista di cogliere, nella sintomatologia dei pazienti, «implicazioni di senso» fortemente comunicative della situazione reale del paziente, e la necessità di una continua revisione dei propri assunti teorici e diagnostici. Sbagliato è costruire tipolo gie dei disturbi mentali ad hoc spiegando che i borderline, gli schizoidi, i perver si, sono fatti così e così e perciò generano tali e tali difficoltà. Questo saturare precocemente l’emergere del sintomo del paziente, che spesso è comunica zione di una sua asfittica individuazione, porta l’analista solo a eludere il lavoro su sé stesso e a colludere con l’«omissione di soccorso» al paziente che chiede va di progettarsi in termini di individuazione, come Ferenczi ha ben mostrato.

In questo senso l’analista riafferma, all’interno della stanza d’analisi, la pre gnanza della «realtà esterna», in quanto il paziente ha un bisogno fondamenta le di «emancipazione dalla condizione mentale-massa», e per realizzare questo bisogno deve poter conoscere la sua storia e ripensarla in termini mentali nuovi.

L’accettazione della «storia» del paziente e del contesto allargato delle sue vicende traumatiche ha impegnato gli psicoanalisti a uscire dalla collusione con modelli teorici prevalentemente collegati al mondo interno del paziente e alle dinamiche transferali. Fa parte di un «rinnovamento» teorico l’attenzione psicoanalitica centrata sulle vicende di abusi e crudeltà che i pazienti narra vano, e anche sulle esperienze estreme e tragiche dell’universo sociale come quelle proveniente dall’Olocausto o dagli eventi di guerra della ex Iugoslavia.

Questo significa soprattutto che l’analista non può inchinarsi dal suo «tre spolo-poltrona» per occhieggiare dall’alto le vicende del paziente, ma deve per primo mettersi in discussione, ricorrere alla propria autoanalisi-rèverie che gli permetta di ripensare alle proprie spinte socialistiche e conformistiche, a volte insite in concetti assunti pigramente. Elaborare il proprio ideale dell’Io è imprescindibile per l’analista, per mantenere aperta l’attenzione verso gli aspetti salienti delle sue vicende professionali, i legami di appartenenza e le identificazioni che lo condizionano e che spesso hanno costituito il punto di partenza delle sue vicende professionali. Mentre la mentalità socialistica teme l’associazione libera e privilegia concatenazioni causali e spiegazioni lineari, vie strette e predefinite, l’attenzione liberamente fluttuante e l’associazione libera propongono «una navigazione senza cartine topografiche» e chiamano in essere l’assunzione del rischio e della responsabilità nei confronti della pre carietà delle costruzioni interpretative dell’analista. L’attenzione fluttuante e il

Postfazione 155

pensiero associativo allargano l’osservazione del campo gruppale condiviso, lasciano emergere elementi imprevedibili e inattesi, che possono animare il campo psicoanalitico di qualche fiducia nella pensabilità, nella tolleranza della paura e nella fiducia di affrontare il lutto, incluso quello relativo ai limiti della co noscenza.

L'analista e il suo gruppo Proprio per il suo lavoro in isolamento, ogni ana lista ha un bisogno molto forte del gruppo con cui condividere la tensione conoscitiva e terapeutica della psicoanalisi. E per lo stesso motivo l’analista deve continuamente «riaprire le ostilità con le sue proprie idee», cosa davvero non molto facile. In questo senso la riapertura della propria autobiografia profes sionale è realmente una riapertura attuale, dell’oggi, che non riguarda solo la vita passata dell’analista, ma il suo rapporto con la gruppalità dell’istituzione, la «nuova famiglia» che può sostenerlo e aiutarlo, oppure può ricondurlo a una posizione conformistica.

Tuttavia di questo legame con il gruppo, sottolineano gli autori, tradizio nalmente si parla poco. Perché si parla poco dell’istituzione psicoanalitica? E come ne parlano i nostri autori? Perché gli ideali dell’istituzione sono forgiati all’ombra del gruppo, e in assenza di un’elaborazione dell’ombra del gruppo si producono le idealizzazioni? L’idealizzazione - scrivono Gaburri e Ambro siano - ha l’effetto di abolire la percezione di parti scisse del Sé e dare all’ana lista la percezione di una confortante protezione del suo difficile lavoro. Eppure lo psicoanalista potrà eludere il suo rapporto con il gruppo e scindere le sue vicende emotive dalla sua partecipazione societaria, ritenendole non pertinenti al lavoro clinico; ma questa elusione potrà limitare la rèverie del l’analista proprio nelle sue possibilità cliniche, immettendolo in una posizione settaria, di cui proprio il suo lavoro con i pazienti verrebbe a patire. L’analista deve poter osservare l’istituzione, e non solo fruirne come di un contenitore di angosce disgreganti di caducità.

Osservare l’istituzione psicoanalitica permette all’analista di cogliere i ver santi socialistici della sua appartenenza e delle sue scelte teoriche.

L’analista deve potersi accorgere del tranquillo conformismo che lo porta a eludere le paure del gruppo e a rifarsi a uno di questi modelli che utilizza come abiti «preconfezionati» per il paziente, anche quando sono abiti non «a mi sura» del paziente, e che il paziente - quindi - non può indossare.