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Architettura & Contemporaneità RIFLESSIONI DA “L’ARCHITETTO E IL FARAONE” DI A. VISENTINI ARGENTO

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Architettura & ContemporaneitàRIFLESSIONI DA “L’ARCHITETTO E IL FARAONE” DI A. VISENTINI ARGENTO

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Il 68 chiedeva agli architetti di cambiare la società e il mondo.

In assemblea alla facoltà di architettura di Venezia:

“Non pensiamo di fare gli architetti con la spider, per accontentare i ricchi e i la-dri di questa società! Dobbiamo costrui-re le case per gli operai e occuparci solo del sociale. Abbiamo una missione, c’è molto da fare e tanto da demolire!”.

L’architettura In Italia, Luoghi Comuni E Realtà

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CAPITOLO 1

Quando si parla di architettura è sempre la solita storia: si parla per luoghi comuni senza avere la capacità di confrontare il proprio punto di vista con la storia, con il presente, con i fatti... quelli veri.

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Il prof. Carlo Scarpa chiese e ottenne la parola.

Era l’unico professore che poteva permet-tersi di intervenire. La platea si fece silen-ziosa (parlava il genio), impugnando il microfono e sfoggiando l’anello regalato-gli da F.L. Wright si rivolse agli studenti con queste parole:

“La mia più grande aspirazione è pro-gettare una piramide per un faraone!”.

Purtroppo, il sogno di intervenire sul so-ciale e sullo sviluppo di una società più

colta e più consapevole è andato perdu-to. Né il Corviale di Roma né lo Zen di Pa-lermo hanno scritto una grande pagina di architettura.

Solo dove c’è mercato, l’architetto è chia-mato a lavorare.Democristiani e socialisti avevano ingag-giato schiere di professionisti “amici”, poi Tangentopoli aveva promesso un’era di cambiamenti. Invece nulla è cambiato. Lavorano sempre e solo i fedelissimi.

L’educazione universitaria non ha mai abbandonato i temi sociali. La società, in-

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CORVIALE - ROMA

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vece, tende sempre più a soddisfare esi-genze a cui si possa dare un prezzo. L’aria pulita, il rumore accettabile, il ma-re non inquinato non hanno prezzo e quindi non sono vendibili.

L’architettura vive rinchiusa nelle riviste specializzate, dove solo gli addetti ai lavo-ri riescono a capirne le metamorfosi con-tinue e i nuovi linguaggi ermetici.

Non è facile, quasi impossibile, dialogare e convincere, o anche solo influenzare, il giudizio di chi osserva un’opera di archi-tettura moderna.

Un esempio: l’Ara Pacis a Roma.

L’intervento di Meier ha fatto scandalo.Per la prima volta un’architettura con-temporanea nel centro storico di Roma: ecco il motivo dello scandalo.

L’opinione pubblica identifica quest’ope-ra come un capannone. Forse è vero, ma il capannone rappresenta il nostro tem-po. E un edificio industriale può anche essere bello.

Certamente non c’è bellezza nelle orren-de case dei difensori del passato: un’ac-

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MEIER - ARA PACIS - ROMA

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cozzaglia di cianfrusaglie impolverate senza alcun senso, posizionate con un or-dine tale che solo uno psicologo può com-prendere, per poi consigliare al proprieta-rio di andare in terapia.

“...Sì ...la mettiamo qui per bellezza, nel-l’ingressino”.

La gente vuole la casa somigliante a un tempio greco e preferisce lasciarsi culla-re da un rassicurante passato, piuttosto che angosciarsi per un incerto futuro.

Il passato viene amato e al tempo stesso mette soggezione: abbiamo timore che accostando al passato un’opera contem-poranea di oltraggiare la storia.

“Picasso non lo capisco! Non mi piace. Vuole metterlo a confronto con Raffael-lo?”

Non è facile apprezzare il “nuovo” nel lungo percorso dell’arte e della cultura in generale, specie se il viaggio non lo hai fatto. Non si può salire sull’autobus all’ul-tima fermata e pretendere di fare tutta la corsa!

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...SÌ ...LA METTIAMO QUI PER BELLEZZA

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Piace la banalità del quadro figurativo. Non piace l’astratto, perché non è per persone pigre, è spesso straordinaria-mente insolito, imprevedibile, e questo terrorizza tutti quelli che temono i cam-biamenti. La storia insegna, però, che so-no proprio i cambiamenti a rendere con-creto il progresso.

“Hanno rovinato il paesaggio con quelle moderne costruzioni!”

Ecco un altro luogo comune.La parola paesaggio per molti ha ancora un significato estetico di qualità. Ma il paesaggio è tutto: anche una discarica è

paesaggio, brutto ma pur sempre indi-spensabile. La parola moderno, al contra-rio, assume sempre più spesso un signifi-cato corrispondente a sgradevole.

“Hanno modificato il paesaggio con del-le costruzioni contemporanee”

Esprime lo stesso concetto, senza dare per scontato che il paesaggio sia bello so-lo quando è naturale e la modernità sia sempre brutta perché artificiale.La nostra società però preferisce concetti scontati piuttosto che addentrarsi in diffi-cili riflessioni.

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In fondo, tutti ci muoviamo verso un’uni-ca meta: la bellezza. Da chi posiziona il suo soprammobile nell’ingressino al grande architetto chiamato ad allestire un museo.

L’esibizione esagerata di una cosa bella ne sminuisce il valore, portandola a un

passo dalla volgarità. Allo stesso modo è volgare l’esibizione di una parola colta e complessa verso coloro che non la affer-rano con facilità.

La bellezza deve essere scoperta con at-tenzione e intelligenza, deve svelarsi al-l’improvviso a chi la ricerca. La pigrizia

La Bellezza In Architettura

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CAPITOLO 2

La semplicità è bellezza. La bellezza è uno stato mentale che dà attimi di felicità.

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mentale e l’ignoranza non possono fruire della vera bellezza se ce ne impossessia-mo con poca fatica e con poco impegno, la violentiamo.

Questo non significa che il gesto architet-tonico debba essere ipocritamente nasco-sto. La mimesi non è la soluzione: non è un gesto naturale, il gesto progettuale è e sarà sempre una modifica al naturale.

“Gli errori dei medici si nascondono con la terra (seppellendo); gli errori degli avvocati con le parole (arringando); gli errori dei Signori con i soldi (pagando);

gli errori degli architetti con l’edera (na-scondendo)”.

Adolf Loos

“Non costruire in modo pittoresco. La-scia quest’effetto ai muri, ai monti al so-le. L’uomo che si veste in modo pittore-sco non è pittoresco, è un pagliaccio.”

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ARCHITETTURA E MIMETISMOLorem ipsum dolor sit amet, consectetur adipiscing elit. Praesent dictum sapien sed mauris volutpat pellentesque. Sed accumsan volutpat lectus vitae tempor.

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L’architettura è vera quando fa emerge-re le contraddizioni e spoglia di ogni fin-zione l’uomo retorico e sognatore.

Come il grande pittore coi suoi quadri, l’architetto fa emergere la luce da dove riflette, individua le ombre, scopre la ve-ra realtà delle cose.

Il movimento rende più leggibili le opere dell’uomo. I cambi di luce, di prospetti-va, di punti di osservazione, la velocità stessa, completano la visione d’insieme.

Non basta possedere un certo numero di informazioni, un’erudizione da vocabola-rio, se non si ha la capacità di elaborarle

Il Linguaggio In Architettura

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CAPITOLO 3

L’architettura è la ricerca della realtà anche quando è lontana dai nostri sogni

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per costruire un’idea che possa generare altre idee, solo così costruiamo cultura.

Occorrono tre importanti passaggi:

- il sapere, che inizia dalla conoscenza;

- il saper fare, che consiste nelle abilità di una persona;

- il saper essere, che si identifica con la competenza di un individuo.

Una domanda cruciale è se l’architettura è un’arte o una scienza.

La scienza presuppone, proprio per esse-re oggettiva, che nello sviluppo della ri-

cerca e delle soluzioni l’elemento umano non sia presente.

Proprio la presenza costante dell’uomo rende invece la ricerca e lo sviluppo del-l’architettura, un fatto artistico.

L’artista, nel proporre una soluzione a un problema, genera nuovi enigmi, gene-ra dubbi. Quindi è più facile amare le co-se del passato... la soluzione è già pronta è diventata una regola.

Al contrario, con la contemporaneità, la soluzione è un nuovo dubbio.

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PARTENONE - ACROPOLI DI ATENE

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“Davanti a un foglio bianco non so anco-ra come s’inizia a progettare”

Tipica affermazione di un ingegnere.Per l’architetto se esiste un sito, un nord, il sorgere del sole, dei vicini confinanti, l’acqua e la terra, le quote del terreno,

una strada per accedervi, un reperto ar-cheologico o anche un solo albero, il fo-glio non è più bianco, e soprattutto il la-voro è già iniziato: con la rappresentazio-ne della realtà (analisi del tema).

Progettazione

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CAPITOLO 4

Progettando si è convinti che il mondo vada ancora “creato”, ma non è così. Si parte sempre da un passato, da una realtà già disegnata: questo è il vero punto di partenza.

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Il progettista deve essere una persona colta e curiosa in più discipline: per non ridurre la propria visuale.

L’idea del progetto è un pensiero che mette in relazione ciò che si vuol fare con ciò che vi è immediatamente intor-no, con il resto del mondo.

Comprendendo che il progetto muta nel tempo, ci aiuterà ad avere l’approccio cor-retto con il territorio, con la costruzione e la trasformazione del paesaggio.Un’opera deve essere economica, veloce da realizzare, trasformabile e allo stesso tempo bella, funzionale e solida. Introdu-cendo l’elemento temporale, il progetto non sarà più statico, “chiuso”, ma aperto a evolversi secondo nuove esigenze, biso-gni e possibilità.

Il progetto contiene il proprio passato, è sempre in continuo mutamento, non è mai definitivo. Non si presenta come un prodotto finale, concluso ed esaustivo, bensì come un “dispositivo sensibile” at-to a interpretare e a rappresentare la cre-scita e il mutamento, la contingenza e il caso, secondo una strategia globale e fles-sibile.

L’uomo modifica il pianeta assecondan-do i propri bisogni, sia materiali che emo-

zionali. L’aspetto emotivo è indispensabi-le. L’architettura contiene scelte raziona-li e irrazionali (ragione e sentimento).

Il progetto è l’elaborazione di una serie di relazioni, di confronti e di misurazioni nei campi economico, sociale, storico, ambientale...

L’analisi dell’esistente, la verifica dei veri bisogni costituisce l’anima del progetto. Attraverso questa anima è possibile por-re l’attenzione sulla sostanza, a maggior ragione in questa era dominata dall’im-magine.

Vi sono, fortunatamente, proposte di pro-getto che non tendono a soddisfare solo i bisogni, ma si spingono oltre, pretendo-no di modificare i comportamenti dell’uo-mo, anche per questo gli architetti sono spesso antipatici. Anziché soddisfare una richiesta specifica, cercano di modifica-re, con il progetto, la stessa domanda, l’esigenza da soddisfare.

Se l’uomo avesse rincorso il solo soddisfa-cimento dei propri bisogni senza mai cer-care strade nuove, senza mutare nulla, vivrebbe ancora nelle caverne.La tradizione, come passiva copia del pas-sato non porta da nessuna parte.

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La casa tradizionale del geometra è spes-so tecnologicamente perfetta, eppure non tende a costruire “uomini felici”, ma vicini all’esaurimento.

Ripensate a quelle “belle” case borghesi dove ogni orpello e nastrino trasformano

il luogo dell’abitare in un palcoscenico, dove tende, lampadari, tappeti e bombo-niere mascherano il vuoto progettuale non solo della casa, ma della vita di chi ci abita.

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TIPICO EDIFICIO PROGETTATA DA UN GEOMETRA

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Filosofia Wabi-Sabi

“La perfezione porta all’indifferenza, l’imperfezione al-la meditazione.La bellezza è delle cose imperfette, temporanee e in-compiute.La bellezza è delle cose umile e modeste. La bellezza è delle cose insolite”.

Adolf Loos“Verrà il giorno che l’inasprimento della pena per un detenuto consisterà nell’arredargli la cella”.

Gianni Agnelli“Dove le palme si allineano la civiltà finisce!”.

Teoria Gestalt“La totalità è sempre maggiore dei singoli addendi, ov-vero la percezione della totalità è primaria rispetto a quella delle singole parti”.

Carlo Scarpa“La perfezione si nasconde nei dettagli”.

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Nel frontone che guarda ad occidente (simbolicamente il tramonto, la notte) è rappresentato Apollo: l’allusione è all’or-dine e all’armonia quale desiderio e aspettativa dell’uomo.Nel frontone orientale (simbolicamente l’alba, la luce) è rappresentato Dionisio,

dio dell’eccesso, dell’infrazione ad ogni regola.

La bellezza apollinea è ordine e misura che prevalgono sul caos (RAGIONE). Ap-parenti certezze illudono l’uomo, lo di-

Ragione E Sentimento

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CAPITOLO 5

Tempio di Delfi: Apollo o Dionisio

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stolgono dalle tragedie e dal dolore che la vita gli riserva.

La bellezza dionisiaca è passione senza misura, prevale il caos (SENTIMENTO). Una bellezza più vicina alla natura, con le sue illusioni, mutevole nelle sue appa-renze, l’uomo viene ingannato perché spesso la bellezza è illusoria.L’architettura contemporanea deve esse-re in equilibrio tra ragione e sentimento, tra ordine e caos.

Venezia era stata un tempo una città mo-dernissima, che integrava nel suo tessuto

urbano architetture provenienti da mon-di lontani, viveva di forti contrasti.Oggi non si tollera alcun tipo di interven-to, tantomeno se arriva da altri continen-ti. Venezia era la New York di oggi.Oggi la contemporaneità è solo Mestre.

Vittorio Gregotti“La storia si presenta come una presa di coscienza, un territorio che dobbiamo at-traversare per giungere alla struttura delle cose ma che è necessario lasciare al momento di trasformare le cose stes-se”.

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VENEZIA

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Vi racconto una storia:

“Ho fame, decido di fermarmi a mangia-re in una trattoria tipica del paese che sto attraversando.Parcheggio in una piazza costellata di falsi lampioni a gas di nuova costruzio-ne alimentati dall’elettricità, è falsa per-sino la lampadina in vetro dentro la lan-

terna (ormai devono adeguarsi alla leg-ge sulla salvaguardia da inquinamento luminoso). Finti lampioni a gas, con una finta lampada elettrica che illumina-no una finta strada antica.Un vero capolavoro di intelligenza e di onestà culturale.Entro in trattoria apro un cancello in finto ferro battuto. Vedo un nuovo “anti-

Architettura E Mercato

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CAPITOLO 6

Tra i mercati più redditizi la droga, le armi e l’immobiliare.

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co” pavimento in cotto e un impianto elettrico con fili intrecciati a vista, come una volta, ma recenti.Spero che almeno il pane sia fresco, e non cotto nell’ottocento.Entrato sposto una finta sedia antica e osservo un improbabile tavolo cinque-centesco ripetuto per circa venti volte in tutto il locale.Nell’inverosimile sala decorata da imita-zioni di affreschi, vi è incollata un soffit-to di finte travi di legno costituite da sot-tili tavole assemblate. Nel falso ricamo della tovaglia, che sembra antica, è sta-to riportato un inventato stemma nobi-liare.L’unica cosa autentica è la cameriera, che, con il seno appena rifatto coerente-mente con l’arredamento, ostenta una replica di un vestito d’epoca munito di moderne zip.L’appetito mi è passato, vorrei tuffarmi in un McDonald’s, quello sì finalmente autentico, per assaporare uno schifosis-simo panino di carni di mucche pazze”.

Non passerà molto che l’uomo vorrà aria pulita, qualità del cibo, spazi vivibili... de-sideri non imposti che sostituiranno il bi-sogno di cose materiali: auto, barche, ca-se, vestiti.

Forse la fine del consumismo è già inizia-ta e comincia un’era di sostanza prima ancora di apparenza.

Ma i nuovi bisogni non si possono vende-re, l’aria pulita non è commerciabile. Co-me reagirà l’economia. Se salta il criterio economico che tutto ha un prezzo ne ve-dremo delle belle.

Lo sviluppo tecnologico e industriale in-vece di garantire maggior tempo libero a parità di retribuzione, ha portato a una maggiore povertà individuale.

Oggi, 250 persone possiedono il 50% del-le ricchezze planetarie: tra gli antichi Gre-ci, il padrone non poteva guadagnare più di cinque volte del suo dipendente.

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Generalmente sono capannoni che si con-notano con un paesaggio di illusioni otti-che: video, insegne, immagini virtuali.

Il pubblico è coinvolto, vive nel lusso, di-mentica la realtà.

Così distante da un paesaggio “naturale”, così artefatto e così virtuale, da far entra-re nel sogno l’abitante frettoloso che lo attraversa, per poi risvegliarsi all’uscita nella triste realtà.

I Non Luoghi

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CAPITOLO 7

I luoghi espressione della vita contemporanea sono i centri commerciali, gli aeroporti, le stazioni... spazi privi di identità e non direttamente collegati agli uomini che li frequentano.

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La città in generale resta all’esterno di questi “nonluoghi”. Non hanno finestre e non sono mai panoramici: loro stessi so-no il panorama... L’uomo fugge da se stesso e dalla propria esistenza.Con questo deve fare i conti l’architettu-ra: Il tempio della spiritualità si fa tem-pio dell’avere: dal Partenone al Capanno-ne. Il senso di povertà è ormai struttura-le: con il crescere del cosiddetto benesse-re, aumenta la sensazione di essere pove-ri.

Sentirsi a proprio agio in un “nonluogo” - in un spazio non storico, non identita-

rio, né relazionale - è una condizione del-l’uomo della contemporaneità.

All’aeroporto o al centro commerciale non si è nessuno o ci si illude di credere di essere chiunque.Il desiderio degli individui di sentirsi estranei e soli in queste grandi scatole de-nota un forte senso di appartenenza a nuova e diversa umanità.

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CAPANNONE INDUSTRIALE

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Il gatto o il cane segnano il proprio terri-torio, non lo trasformano in organizzazio-ne sociale (antropizzazione).

Esattamente il contrario dell’uomo che lascia sempre una traccia tangibile.

La civiltà, come oggi la intendiamo: com-plessa e strutturata, ha origine in Meso-potamia (Babilonia) e ci sono voluti sette-mila anni perché prendesse coscienza del rischio di impoverimento della Terra: il territorio non è un bene infinito e nep-pure riciclabile.

Architettura E Territorio

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CAPITOLO 8

Nell’infinito gesto di appropriarsi di piccoli e grandi spazi del pianeta, delimitandoli dal resto, sta il concetto di architettura.

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Il paesaggio è stratificazione di fatti storici, culturali, economici. Paesaggio è tutto, non una parte. Anche il paesaggio industriale o quello degradato.Il paesaggio è dinamico (passato, presente e futuro) e non statico, cioè solo da conser-vare.

Possiamo affermare che c’è un’Italia triste dei Capannoni e un’Italia falsa e bugiarda delle belle casette della Toscana, di Cortina, della Costa Smeralda... con la differenza che almeno nel primo caso vi è una indiscutibile attualità, nel secondo caso c’è solo re-torica.La legislazione italiana in materia di paesaggio, rispetto ad altri paesi europei, ha dato più peso al concetto di “conservazione” piuttosto che quello di “valorizzazione”.Valorizzare prevede anche demolire, o comunque una trasformazione dell’esistente.I termini valorizzazione e conservazione, apparentemente contraddittori, devono con-vivere. Invece, non riusciamo a liberarci dal concetto estetico-culturale di conservazio-ne in antitesi al “prendersi cura”, al valorizzare.

Purtroppo il risultato pratico è spesso quell’effetto consolatorio della “siepina” o del “rampicante” per mimetizzare (rinuncia alla contemporaneità) e ottenere il permesso edilizio.Il paesaggio, invece deve esprimere la sintesi visibile del contesto naturale, fisico, stori-co, artistico, economico, sociale e soprattutto culturale.

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Operazione difficile visto il modo in cui si sono concretizzate le aspettative umane: l’esportazione dell’urbano verso il non urbano (città diffusa);

la contrapposizione tra campagne e città (campagna artefatta);

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la campagna o la montagna in città (Central Park);

il centro storico replicato nei centri commerciali (capannoni camuffati).

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Amiamo talmente la natura che tagliamo alberi e foreste per mettercele sotto i pie-di. Amiamo la natura e il paesaggio in maniera tale da pretendere di imposses-sarcene con una nuova casetta a metà col-lina sul mare. Amiamo la natura e il pae-saggio, guardandoli dalle seggiovie in ac-ciaio.

Vuoi la seconda casa, vuoi le vacanze? Non stupirti dei capannoni, dei centri commerciali e delle periferie.

Gli uomini e le società sono sempre stati divisi tra convinti tradizionalisti e dub-biosi contemporanei.

Il conservatore con le sue certezze e il progressista con i suoi rischi, il classici-sta e il moderno, il vecchio e il nuovo.

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In Italia la retorica del linguaggio archi-tettonico impone scelte formali tipo le ca-se di montagna di Cortina, le case della Costa Smeralda... tutte rifatte: sassi, pie-tre, legno, cotto, marmo...

Tutto bello, ma tutto falso.

Bisogna pensare, bisogna diventare con-temporanei.In tutte le epoche vi sono stati edifici che non sono stati moderni, nati vecchi come ad esempio Versailles; altri invece, come la Villa Adriana a Tivoli, sono ancora og-gi moderni.

Contemporaneità

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CAPITOLO 9

La lettura del passato è una lettura informativa e conoscitiva.

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Spesso quando l’architettura e l’arte in genere diventano simbolo (Versailles), finisco-no per perdere proporzioni, misure e dignità, diventano pura messa in scena.

Villa Adriana invece è espressione della conoscenza come dubbio.Vi sono opere che ci hanno preceduto che sono molto più moderne di altre realizzate secoli dopo.

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In architettura trionfa il minimalismo, espressione di modernità, che ha origine negli edifici industriali, e sfocia in tre rami diversi:

-high-tech, lo strutturalismo spettacolare del Centro Pompidou di Piano e Rogers

-il decostruttivismo fluido, senza un centro o un percorso del Guggenheim di Gery

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- l’ascetismo algido dell’Ara Pacis di Richard Meier

Chi vuole disprezzare questi nuovi edifici dice che non sono altro che capannoni. Que-sto non è un difetto. L’Ara Pacis è stata definita un garage? Certo, ma è un bellissimo garage! Meglio di quel catafalco, simile a una gigantesca macchina da scrivere, che è il Monumento al Milite Ignoto.

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Il Capannone è il presente.L’edificio industriale non si è assunto re-sponsabilità futuriste, come le ultime ar-chitetture contemporanee, e non ha fatto proprie le nostalgie del passato. Non bi-sogna stupirsi se oggi chiese, musei e molti altri edifici assomigliano ai Capan-noni.

Il Capannone potrebbe diventare il conte-nitore della stessa città! Un mega involu-cro climatizzato!

C’è chi cerca di dare una spiegazione a queste nuove forme, giustificandole co-

me simboli. È il modo più banale di in-terpretare l’architettura. E questo vale sia per le opere del passato che per quel-le contemporanee.Il simbolo è una spiegazione sempre ri-duttiva che soddisfa il “vuoto” di chi non riesce a cogliere qualcosa che va oltre al-l’esteriorità.

Se la contemporaneità per la nostra socie-tà è scomoda. Perché non ci vestiamo co-me nel medioevo? Perché sulle auto non montiamo ruote di legno? Perché la no-stalgia è solo sulle costruzioni?

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CITTÀ DEL FUTURO SOTTO UNA CUPOLA GEODETICA

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La banalità dei ragionamenti porta a una società sottomessa a pochi. La bellezza da molti condivisa del “carino” è una ba-nalità. Carini sono la casa delle bambole o i nani da giardino.La vera bellezza è meno effimera, più pro-fonda.

L’architettura non può essere per pochi, è sempre per tutti. Quella vera è fatta dai comportamenti di tanti. Non è facile far capire che solo la diversità risalta gli aspetti autentici del vivere.Si può essere superficiali e accontentarsi, oppure andare oltre e scavare, senza la

paura di sporcarsi, di ammalarsi e final-mente sentirsi uno dei tanti.

Due modi di leggere l’architettura:una priva dei comportamenti spontanei dell’uomo che l’hanno generata, da Ver-sailles ai quartieri residenziali esclusivi,l’altra fatta di gesti attenti, colti ma an-che autentici come la Villa Adriana, le cal-li minori di Venezia o le favelas brasilia-ne.

Oggi l’architettura assume un senso solo quando è già stata consumata e non ri-

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FAVELAS BRASILIANA

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sponde più alla funzione originale: i cen-tri storici di Venezia, Firenze, Roma... Come si può amare una cosa nuova? Ca-pire che tutto è stato nuovo e tutto diven-terà vecchio? Saper giudicare il bello e il brutto senza farsi condizionare dalla pati-na degli anni che passano?

L’architettura deve tornare spontanea, l’eccessiva regolamentazione ha portato alla nascita di periferie prive di quei cen-tri storici tanto tutelati da chi le regole ama scriverle. Venezia, con le attuali re-gole (Leggi e norme statali, regionali e co-munali, Commissione edilizia, Commis-sione per l’ornato, Commissione urbani-stica, Commissione tecnica territoriale, Commissione provinciale, Consiglio e Giunta comunale, Comitato regionale, Conferenza dei servizi, Sovrintendenza ai beni ambientali e ai monumenti, Uffi-cio sanitario, Ufficio dei Vigili del fuoco, Genio civile...), non si sarebbe potuta co-struire... però i nuovi centri commerciali sono tutti a norma di legge!

Lasciar fare è forse la regola più bella. Il rischio del bello e del brutto rimane, ma almeno nel secondo caso la responsabili-tà è di uno.

Vi sono interi paesi nel Nord-est, dove non esiste una sola casa progettata da un

architetto, e il risultato si vede. Per molti è un bene.L’edilizia “banale” è silenziosa, sì ma pro-duce un silenzio assordante: rispecchia la mediocrità della nostra contempora-neità.

L’architettura è diventata soprattutto un attenersi alle regole, alle norme, ai rego-lamenti condominiali, ai comitati di quar-tiere, alle prescrizioni delle commissioni edilizie e di quelle urbanistiche, alle pre-scrizioni delle sovrintendenze. Il risulta-to è il paesaggio mostruoso che abbiamo sotto gli occhi, frutto di cieca obbedien-za.

Edilizia e architettura restano due lin-guaggi differenti: il primo è un vuoto con-cettuale che ripropone il già visto, il se-condo è un pensiero che produce un al-tro pensiero. È modernità, è elogio alla differenza.

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“Architetto, mi scusi, ma cosa state fa-cendo voi architetti? Mi sembra che sia-te tutti matti!”

Questa in realtà non è una domanda, è un atteggiamento di fastidio. Appare pa-lese la voglia di esprimere un giudizio certo e assoluto. Proprio nella mancata

curiosità, e quindi nel non porre una do-manda che possa aprire uno scenario nuovo di interesse, sta la precarietà del-l’interlocutore.

La dilagante incapacità di ascoltare, sosti-tuita invece dal parlare, delinea scenari di grande fragilità.

Il Futuro Dell’architettura

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CAPITOLO 10

Fare l’architetto forse resta un’utopia. Un’utopia generata proprio dal gap linguistico tra architetti e gente comune.

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Il “viaggio” assume molta più importan-

za della meta da raggiungere.

Questo vale per la vita come per lo stu-dio. Come Ulisse, si può desiderare Ita-ca, ma ciò che conta è sempre il modo in cui la si raggiunge. Il percorso, il viaggio, le esperienze sono l’essere dell’individuo, mentre la meta raggiunta rappresenta l’avere, con tutti i suoi limiti. Il percorso di un progetto assume quindi un signifi-

cato a volte maggiore della stessa realiz-zazione.

In conclusione io spero che rifacciate i viaggi già fatti per guardare con un altri occhi, più indulgenti o più severi, quanto visto finora.

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I Dieci Comandamenti

1. Il nostra pianeta è fragile. Ogni gesto proget-tuale che fai deve essere rispettoso della terra e della natura. cerca di consumare il meno possibile.

2.Prima viene l’architetto con la sua cultura, i suoi dubbi, le analisi e le verifiche, la fattibili-tà. Lo stile viene sempre ultimo.

3.Costruisciti prima un’anima come anticorpo alla banalità, perché la banalità è un pericolo della vita.

4.Ogni materiale deve essere sincero. Tutto, dal-la struttura portante al rivestimento finale, fino al soprammobile, non dovrà ingannare o raccontare ciò che non è. L’immagine deve es-sere anche sostanza.

5. Ricordati che la società vive se ha un futuro e muore se è solo passato, proprio come gli indi-vidui. Così è per l’architettura.

6.L’onestà intellettuale è la vera estetica, è l’uni-ca via per la bellezza.

7. Il committente deve essere provocato perché rifletta sulla coerenza delle sue scelte e l’archi-tetto deve sempre mettersi in discussione.

8.Le idee (come le cose) sono preziose, quando con poco si fa tanto. Al contrario, quando con tanto si fa poco si ottiene il Kitsch. Il minimali-smo è un punto d’arrivo non di partenza.

9.Oltre il buco del tuo lavandino, sotto, nelle fal-de, nei fiumi e nel mare, ci sei ancora tu che abiti la Terra.

10.Ricordati che “posando” la prima pietra di-venti anche tu un peccatore.

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