Architettinapoletani, numero 14.
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architettinapoletani
Antica ma moderna.Il disegno dellaforma urbana per Napoli dopo l’Unità,1861 › 1961.
rivista dell’ordine degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori di napoli e provincia
dicembre2011
dicembre 2011 14
indexNeapolis
Antica ma moderna Il disegno della forma urbana per Napoli
dopo l’Unità › 1861-1961
Fabio Mangone
Napoli Una città in salita
Gemma Belli
Antologia Le parole degli architetti
a cura di Gemma Belli
Il disegno possibile
Riccardo Florio
Gli architetti di Napoli e Provincia
Documenti per la storia di un Ordine professionale
Fabio Mangone
Appendice
I Consigli dell’Ordinedal 1944
presentazione Presidente Regione Campania
Stefano Caldoro
presentazione Presidente Provincia di Napoli
Luigi Cesaro
presentazione Sindaco di Napoli
Luigi de Magistris
presentazione Consigliere del CNAPPC
Paolo Pisciotta
L’architettura che verrà Presidente Ordine degli Architetti,
P.P.C. di Napoli e Provincia
Gennaro Polichetti
Memorie di futuro Responsabile del Dipartimento Cultura dell’Ordine
degli Architetti, P.P.C. di Napoli e Provincia
Vincenzo Corvino
cinquantatre
tre
sessantasette
cinque
ottanta
sette
otto
ottantuno
novantatre
undici
tredici
quindici
trentasette
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editoreConsiglio dell’Ordine degli Architetti Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori di Napoli e Provincia
Gennaro Polichetti presidente
Ermelinda Di Porzio segretario
Francesco Cesaro tesoriere
Gerardo Maria Cennamo vicepresidente
Vincenzo Corvino consiglieriPio CrispinoMaria D’Elia Riccardo FlorioGiancarlo GrazianiSilvana ManzoVincenzo MeoAntonella PalmieriFulvio RicciSimona ServodidioSalvatore Visone
direttore responsabilePaolo Pisciotta
direttore editorialeVincenzo Corvino
responsabile di redazioneGiancarlo Graziani
comitato di redazioneKatia Giova
numero a cura diFabio Mangone
segreteria organizzativaEster Burani
direzione e redazioneOrdine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggistie Conservatori di Napoli e provinciaPiazzetta Matilde Serao, 7 › 80132 Napolitel. 081.4238259 - 081.4238279fax 081.2512142http://www.na.archiworld.ite-mail: [email protected]
fotoincisione e stampaGrafica Metelliana s.p.a.
graphic design & layoutFrancesco Galiero › ohohdesign.it
Registrazione del Trib. di Napoli n. 5129 del 28/04/2000.Distribuzione gratuita agli architetti iscritti all’albo di Napoli e provincia, ai Consigli degli Ordini Provinciali degli Architetti e degli Ingegneri d’Italia, ai Consigli Nazionali degli Architetti e degli Ingegneri, agli Enti e Amministrazioni interessate.Spedizione in abb. Postale, 45% - art. 2 comma 20/b legge 662/96 - filiale Napoli.Gli articoli pubblicati esprimono solo l’opinione dell’autore e non impegnano il Consiglio dell’Ordine né la redazione della Rivista.
Diffusione: 10.000 copie.Chiuso in tipografia il 20 dicembre 2011.
rivista dell’ordine degli architetti, pianificatori,paesaggisti e conservatori di napoli e provincia
numero 14 - dicembre 2011
architettinapoletani
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presentazioneStefano Caldoro
/ Presidente, Regione Campania
Napoli e il mare.
È a partire da questo rapporto che la Regione Campania si sta impegnando per
ridisegnare lo scenario urbanistico e architettonico della città.
Una intesa naturale che si è sgretolata in parte nel tempo ed ha portato, negli
ultimi 150 anni, alla realizzazione di una sorta di barriera fra la città antica e
la linea di costa. Penso a Barcellona, affine per colori e sentimenti alla nostra
Napoli. E vedo una città che si lascia scivolare verso il mare con La Rambla, la
via Laietana, la Calle de la Marina. Penso a Genova, con il nuovo fronte costiero
ridisegnato da Renzo Piano. Noi vogliamo ripartire dal mare.
Fra i grandi Progetti presentati dalla Giunta Regionale della Campania
nell’ambito nell’ambito del POR Fesr 2007-2013 ve ne sono due che puntano
alla riqualificazione delle aree vicino al mare. Quello del Sistema Integrato
portuale di Napoli e quello della Riqualificazione Urbana dell’Area Portuale di
Napoli est.
Un impegno di risorse ingenti, che vanno oltre i 500 milioni di Euro, con il quale
vogliamo imprimere un cambiamento decisivo rispetto allo scenario attuale.
L’obiettivo è quello di puntare, in modo concreto, allo sviluppo economico,
sociale, urbanistico della città. Non è un caso che uno dei temi del Forum delle
Culture che ospiteremo nel 2013 sia “il mare”, memoria antica e futuro di
Napoli.
L’auspicio è che studi e progetti innovativi stimolino sempre di più una
riorganizzazione dell’asse costiero. Che le celebrazioni dei centocinquantanni
dell’Unità non siano semplicemente un anniversario, ma un punto di partenza
per la riqualificazione dell’intera armatura urbana collegata finalmente al suo
territorio e ai corridoi transeuropei.
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presentazioneLuigi Cesaro
/ Presidente, Provincia di Napoli
L’architettura è una scienza, un’arte, è il racconto del tempo e della memoria.
Ed è molto di più.
È anche lo specchio del tempo che è trascorso e del cambiamento.
Il dibattito sulle trasformazioni della città partenopea è quanto mai attuale.
E lo è ancor di più il tempo con il quale avviene il cambiamento.
Perché a fronte di straordinarie potenzialità e di grandi progetti
urbani il volto di Napoli, poi, negli ultimi anni è mutato di poco.
Se facciamo il confronto tra Napoli e le altre città italiane ed
europee, la differenza è evidente. La metamorfosi napoletana
potremmo dire che non si è ancora espressa appieno.
È necessario tornare a parlare con più determinazione di architettura
e pianificazione urbanistica a Napoli. È necessario che le proposte
dei nostri qualificati progettisti diventino realtà capaci di conciliare
innovazione, modernità e standard di vivibilità. L’Ordine degli
architetti di Napoli e Provincia deve recitare un ruolo di primo
piano nei cambiamenti strutturali che ci attendono.
Un momento importante in questo viaggio necessario ed auspicabile, può
e deve essere dato anche dal prossimo Forum delle Culture, attraverso
progetti ed opere per il recupero del centro storico, finalizzati ad un
riutilizzo anche sociale per le strutture che insistono nel cuore della Città.
Ovunque si costruiscono infrastrutture e le città si evolvono, e
tutti noi dobbiamo scrollarci di dosso quell’inconfessato timore
interventista causato da mille veti incrociati che hanno spesso
bloccato ogni attività sul territorio in questi ultimi venti anni.
Il mio auspicio è che gli architetti napoletani possano continuare a dare ancora
con maggior forza il loro prezioso contributo per la modernizzazione della città.
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presentazioneLuigi de Magistris
/ Sindaco di Napoli
Per gli Architetti i 150 anni dell’Unità della Nazione
rappresentano un evento importante.
La rilevanza storica che tale celebrazione riveste è sentita
sicuramente da tutti gli Italiani, cittadini del più Bel Paese, ma
anche vero riferimento culturale e sociale dell’Europa intera.
Importante il ruolo che l’architettura del post-risorgimento ha assunto
nelle trasformazioni del territorio. I nostri paesaggi, l’architettura
e il disegno urbanistico che gran parte delle città d’Italia hanno
ricevuto da questo passaggio epocale, hanno conferito ad esse
nuove caratterizzazioni urbanistiche integrandone ulteriormente la
ricchezza degli insediamenti umani e anche di quelli rurali.
Fino a quel momento e ancora per solo pochi anni, la nostra Nazione ha
assunto l’aspetto e la ricchezza che oggi la rendono intangibile agli occhi
nostri e di un’umanità intera nient’affatto distratta dalle sue bellezze.
Per superare la crisi l’Italia non ha bisogno di grandi opere, abusivismo
e cemento, ma di valorizzare il proprio patrimonio culturale e i propri
talenti. Il nostro impegno per il buon governo è anche impegno in
difesa del patrimonio storico artistico del Paese e dei suoi valori.
E Napoli ne può sicuramente essere esempio.
Il lavoro di ricerca, di testimonianza storica e culturale rappresenta
un atto concreto di partecipazione degli architetti di oggi al lavoro
e agli sforzi di tante generazioni che li hanno preceduti e alle
grandi ed epocali trasformazioni territoriali di una città comunque
“giovane”, ma il cui futuro è nei suoi tremila anni di storia.
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presentazionePaolo Pisciotta
/ Consigliere del CNAPPC
Quando qualche anno fa iniziavano i preparativi per le
celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, nessuno
poteva immaginare che le stesse potessero coincidere con
una crisi generale del sistema che, partendo dall’economia,
investisse la politica, mettendo in discussione la stessa
architettura istituzionale dello Stato, e per essa, se non la
permanenza, la rivisitazione della mission e del ruolo di
rappresentanza delle stesse categorie professionali.
Che il sistema ordinistico nazionale dovesse ricercare una
nuova forma organizzativa/istituzionale, in relazione alle
dinamiche sociali, economiche e culturali del Paese ed in
sintonia con quando già stava accadendo in Europa, ne
eravamo consapevoli da tempo, tanto che già nel lontano
2006 fu presentata una proposta di legge di iniziativa popolare
in linea con i principi dettati dalle varie Direttive Europee.
Presentare un numero speciale della nostra rivista dedicato ai
150 anni della storia del nostro Paese, è come raccontare un
percorso dove un pezzo di questo è anche la nostra storia.
Una storia dove l’UNITÀ è stata sempre intesa come l’insieme
delle DIVERSITÀ, che hanno costituito la ricchezza democratica
del nostro organismo, in linea con i principi che hanno
caratterizzato la storia del nostro Paese.
Quelle diversità che hanno segnato la crescita culturale e
sociale, educandoci ai valori dell’accoglienza, della tolleranza
e del rispetto. Spesso i simboli rappresentano i valori
dell’identità e dell’appartenenza, lo è il “Tricolore” per gli
italiani, così come lo è stata, seppur con le debite proporzioni,
la nostra rivista “architettinapoletani” in questi dodici anni
di esistenza. Dodici anni della nostra storia, in cui abbiamo
sottolineato il nostro “esserci”; rimarcato la nostra centralità
istituzionale nel dibattito culturale e professionale cittadino;
raccontato, alla gente comune per le strade e le piazze, la
bellissima favola dell’architettura, liberandola dal limitato
confine di valore culturale astratto, per proiettarla nel più
ampio valore di “diritto del cittadino”.
L’abbiamo fatto allo stesso modo e con lo stesso entusiasmo,
con cui il nostro Presidente nazionale, Raffaele Sirica, in
occasione della prima “Festa Nazionale dell’Architettura”, nel
1998, dalla Basilica di Assisi, ebbe a dire che l’architettura
italiana rappresentava una “Cenerentola in cerca del Principe”.
Ricordo l’editoriale del primo numero della rivista, maggio
2000, in cui, con grande orgoglio, anche se accompagnato
da un pizzico di timore, individuavo questa come strumento
“teso a recuperare agli architettinapoletani una propria identità
culturale ed un proprio ruolo sociale, in una dimensione
europea, quella stessa dimensione che vede l’architettura
al centro di tutte le questioni e che assegna ad essa quel
giusto valore aggiunto, capace di creare sviluppo non solo
sociale e culturale,ma anche economico. Per molti un progetto
editoriale ambizioso, per noi solo un importante progetto
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polispolitico in cui,da tempo, abbiamo creduto, per cui ci siamo
battuti e continueremo a batterci.”
In coerenza con tali obiettivi la nostra rivista ha avuto l’onore
di ospitare i principali attori dell’architettura: Richard Meier,
Klaus Kada, Bernardo Secchi, Paolo Leon, Geroge Hergreaves,
Massimiliano Fukxas, Gabriele G. Kiefer, Tilman Latz,Betty
Figueras, per citarne solo alcuni, che, con il loro contributo,
hanno sostenuto e contribuito alla crescita del progetto politico,
comunicando e promuovendo i valori dell’architettura.
È utile sottolineare il pregevole ruolo svolto dalla nostra rivista
nella tessitura delle alleanze politiche e sociali finalizzate alla
costruzione di quell’insieme istituzionale capace di garantire
qualità alle nostre città, attraverso la promozione dei concorsi
di architettura. Il tempo trascorso sembra tanto se rapportato
alle difficoltà di comprensione con cui si sono dovute
confrontare le nostre azioni, le nostre battaglie di civiltà.
Dal mondo delle imprese, il cui obiettivo rimaneva il solo
profitto, non riconoscendo la “qualità” quale generatore di
economia; al mondo politico, distratto dall’applicazione di
formule matematiche delle varie normative per la selezione
dei professionisti, non ritenendo di investire nel valore della
“bellezza” quale bene comune da tutelare e promuovere,
attrattore di flussi turistici internazionali.
Se in questi dodici anni trascorsi non possiamo ritenere vinta
una battaglia, certamente siamo certi di aver offerto un
contributo per un diverso approccio al tema dell’architettura,
proiettando questo al centro del dibattito culturale e sociale
cittadino, favorendo anche la centralità del valore della
“qualità urbana” nelle azioni di trasformazioni urbane, come
bene comune da garantire.
Siamo tutti consapevoli che il ciclo si avvia verso una sua
naturale conclusione, ma allo stesso modo siamo certi di
aver lasciato in eredità un patrimonio da cui partire e su cui
continuare a costruire una speranza.
Non c’è obiettivo se non sostenuto dalla sapiente costruzione
di una scelta condivisa e responsabile, capace di esaltare la
centralità dell’Ordine nel panorama delle alleanze politiche,
sociali ed economiche. Solo il confronto democratico aperto,
nel rispetto delle diversità e differenze, che superi lo sterile
confine delle contrapposizioni, può determinare quelle
condizioni di riconoscimento istituzionale dell’Ordine, di
cui, oggi in particolare, ne sentiamo la necessità. Ringrazio
quanti hanno contribuito, con il loro impegno e sacrificio, al
raggiungimento di tali obiettivi.
Possono cambiare i simboli, le persone, le cose, ma non
certamente i valori per cui uno ha creduto e combattuto, e
il diritto alla “qualità” è uno di quelli per cui vale la pena
continuare ad essere in prima linea per garantire ai nostri
giovani un futuro migliore.
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L’architettura che verràGennaro Polichetti
/ Presidente Ordine degli Architetti, P.P.C. di Napoli e Provincia
Abbiamo pensato che questo fosse il modo migliore per gli
architetti napoletani di celebrare i 150 anni dell’Unità d’Italia.
Ripercorrere questi centocinquanta anni leggendo il cambiamento
del tessuto urbano attraverso le immagini e i progetti, quelli realizzati
e quelli che, invece, sono rimasti nei cassetti, quelli che hanno
cambiato, o che avrebbero potuto cambiare, il volto di Napoli.
Una retrospettiva che può consentirci di analizzare in che modo la
mano dell’architetto ha inciso sulla odierna configurazione della città
ma, al tempo stesso, una occasione per stimolare il confronto su
quelle che possono essere le opportunità del futuro prossimo.
Questo centocinquantesimo anniversario non capita in un anno
particolarmente favorevole per l’Italia e, tantomeno, per gli architetti
italiani laddove, la pressante crisi economica e una diffusa azione di
delegittimazione nei confronti di chi esercita le professioni intellettuali,
riducono sempre più gli spazi per poter evidenziare il proprio lavoro.
Pubblicare un volume che con questo specifico taglio parlasse di Napoli
è, pertanto, un modo per esaltare la centralità dell’essere Architetti e
del fare Architettura nella consapevolezza che le sfide del futuro che ci
attendono non possono prescindere dal nostro patrimonio del passato.
Siamo certi che questa città meravigliosa saprà ritrovare le forze e
l’entusiasmo per essere ancora protagonista nell’Italia unita e ci auguriamo
che possa trasmettere emozioni anche attraverso “l’architettura che verrà”.
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Memorie di futuroVincenzo Corvino
In occasione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, il numero speciale
di Architettinapoletani - Rivista dell’Ordine degli Architetti di Napoli
e Provincia - propone un’approfondita e sistematica riflessione sulla
forma urbis della ex-capitale borbonica attraverso una suggestiva
selezione storica dei più significativi progetti - editi e inediti, realizzati
e non realizzati, pubblicati a stampa o meno - elaborati dalla classe
degli architetti per abbellire, completare, ammodernare Napoli.
In una prospettiva positivistica e liberale, le proposte - piena testimonianza
del livello tecnico raggiunto da una classe professionale e della sua vivacità
culturale - tracciano possibili indirizzi per trasformare la città in una moderna
metropoli, prefigurando nuove ipotesi per il disegno della sua forma urbana.
“Oltrepassando” la dimensione dei soli piani o delle singole architetture,
ma concentrandosi su progetti urbani, riletti e opportunamente “messi a
sistema” in relazione ad alcune questioni nodali nello sviluppo della città
in età post-unitaria, questa rassegna si presenta come una riflessione
complessivamente inedita sul ridisegno della forma urbis per Napoli,
con il suo perdurante ruolo nazionale e internazionale, la sua cultura, la
sua resistenza all’innovazione, e il suo ineffabile paesaggio urbano.
Una sorta di racconto di progetti realistici e visionari al tempo
stesso, una sequenza che vuole stimolare gli architetti a Napoli per
ricominciare a disegnare la tutela del presente e l’idea di futuro.
/ Responsabile del Dipartimento Cultura dell’Ordine degli Architetti, P.P.C. di Napoli e Provincia
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polisUna città contraddittoria
All’indomani dell’Unità, Napoli appare tanto bella quan-
to irrisolta, tanto raffinata quanto incivile, tanto attra-
ente quanto respingente. Irrisolta tanto nella sua variega-
ta composizione sociale, che mette assieme la più colta
intellighenzia e il peggiore analfabetismo, la più raffinata
aristocrazia e la più selvaggia plebe, quanto nella sua forma
urbana, che sembra essersi storicamente formata attraver-
so una serie di azioni eterogenee, attraverso la successione
e la sedimentazione di parti disegnate e di parti accidentali.
Si potevano riconoscere situazioni assai diversificate: settori
della città in cui il disegno urbano esprimeva, come ancora
esprime, un’idea precisa di ordine, come nel sistema dei
decumani o in quello dei quartieri spagnoli, oppure ancora
un’idea di paesaggio, come nei casi più recenti della via
Posillipo, o del corso Maria Teresa divenuto corso Vittorio
Emanuele. Ma anche parti di città modellate causalmen-
te sui fattori orografici, con un impianto stradale forgiato
dal secolare scorrimento dell’acqua, o dalle curve di livel-
lo, come accadeva in molte altre parti di città. E così negli
spazi pubblici, si potevano ritrovare soltanto poche strade
larghe e spaziose, degne del ruolo italiano ed europeo che
competeva a Napoli, pochissimi spazi che invece di slarghi
casuali fossero piazze architettonicamente definite, quali
erano il largo di palazzo/piazza Plebiscito, il Foro Carolino/
piazza Dante o la piazza Mercato. Per tutti, amministratori o
semplici cittadini, e persino per gli stranieri che eleggono la
ex capitale borbonica a proprio luogo di residenza o cittadi-
ni, Napoli appare “interrotta”, una città che non ha bisogno
solo di crescere, ma che ha bisogno di essere in alcune sue
parti ridisegnata, o come si diceva all’epoca bonificata. An-
cora oggi, d’altronde, ci appare incompiuta.
Napoli era stata, con Parigi e con Londra, una delle tre me-
tropoli settecentesche; era cresciuta per parti, quasi sempre
senza che si potesse riconoscere una regia generale o un
Antica ma modernaIl disegno della forma urbana per Napoli dopo l’Unità › 1861-1961
/ Fabio Mangone
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il disegno del fronte-mareErrico Alvino, Ercole Lauria Proposta per la sistemazione della villa comunale e di piazza Vittoria, 1873 / planimetria
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disegno complessivo: ora, nel secondo Ottocento, era rimasta comunque la città
più popolosa d’Italia contando poco meno di mezzo milione di abitanti dei quali
però circa un terzo privi di reddito. Così come il suo sistema economico, anche
la sua struttura urbana appariva per molti aspetti inadeguata alla vita moder-
na. Appariva lacerante il contrasto tra quelle parti celebratissime dagli scrittori
romantici e dagli entusiasti viaggiatori del grand tour – la riviera comunale, la
nuova strada di Posillipo definita dall’architetto prussiano Karl Friedrich Schinkel
la strada più bella del mondo, la collina del Vomero, il largo di Palazzo – e i bui
vicoli del degrado, i fondaci della miseria. La Napoli idilliaca delle gouaches di
inizio Ottocento si doveva confrontare e scontrare con la Napoli realistica delle
foto Alinari e degli scritti di denuncia sociale, lo sguardo romantico con quello
verista.
Un continuo e pressante impegno dei tecnici, e soprattutto degli architetti, si
porrà come fine precipuo quello di riconciliare la conclamata bellezza di Napoli
con le esigenze della vita moderna, di accrescerne il fascino per i turisti e di
migliorarne gli standard per i cittadini. Molto più che in altri contesti italiani, a
Napoli si registra una generosa offerta di progetti non commissionati che hanno
per oggetto i plurimi nodi urbanistici a cui è necessario offrire risposta.
Il contributo degli architetti: il progetto come offerta
A livello nazionale, gli ultimi decenni dell’Ottocento rappresentano un mo-
mento eccezionale di crescita per la classe degli architetti, anche se va det-
to che in questa fase non è del tutto chiara e netta la distinzione tra architetti e
artisti da un lato, e tra architetti e ingegneri dall’altro. Comunque, una nuova con-
sapevolezza del proprio ruolo sociale e della propria dignità professionale risulta-
/ la Napoli idilliaca delle gouaches di inizio Ottocento si doveva confrontare e scontrare con la Napoli realistica delle foto Alinari /
il disegno del fronte-mareLuigi Lops I nuovi rioni Principe di Napoli e Duca di Genova, 1883 planimetria
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no alla base di vari fenomeni che interessano la categoria:
cominciano a delinearsi le prime forme associative che più
tardi confluiranno nella creazione degli ordini professionali,
nascono i primi rituali convegni specialistici dei tecnici, sor-
gono le riviste di settore, e così via. In questa fase Napoli ha
una classe professionale d’eccellenza, formatasi mediante
la graduale evoluzione della moderna scuola di Architet-
tura fondata da Paolo Santacroce nel 1802: si tratta figure
competenti a livello tecnico che nei vari percorsi formativi,
pubblici o privati, universitari e non, comunque traggono
beneficio dal notevole livello cittadino di ricerca nelle ma-
terie scientifiche, ma che al tempo stesso risultano anche
educate al gusto raffinato dell’antico, grazie alla vicinanza
con Pompei che rappresenta una straordinaria palestra per
gli allievi.
Colpisce poi la loro consapevolezza della dimensione socia-
le ed economica dell’architettura e dell’urbanistica, quale
si percepisce dai loro scritti teorici o anche dalle singole
relazioni di progetto. Sono tecnici che hanno la dimensione
precisa dei problemi della città: non per caso si rivolge a un
architetto il Pasquale Villari delle Lettere meridionali (1885)
per comprendere a fondo il problema scottante dei fondaci;
sono altresì professionisti che, aggiornati sulle teorie inglesi
e francesi, tentano di comprendere quali sono i limiti di
fattibilità entro cui, in una visione di libero mercato e non
più nel paternalismo di una monarchia non si sa quanto
illuminata, si può tentare di ridisegnare e ammodernare
la città. D’altronde, architetti napoletani come Errico Alvino
o Antonio Cipolla occupano a livello nazionale nella nuo-
va Italia posizioni culturali, professionali e accademiche di
primissimo piano. Più avanti, nel corso del Novecento, la
fondazione della Scuola superiore, poi facoltà, di Architet-
tura – nel solco della continuità con la scuola accademica
ottocentesca – recherà maggiore robustezza a questa tradi-
zione partenopea.
il disegno del fronte-mareErrico Alvino, Ercole Lauria Proposta per la sistemazione della villa comunale e di piazza Vittoria, 1873 / planimetria
/ Errico Alvino e Lamont Young, legano strettamente il discorso sociale a quello della forma urbis /
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La loro speciale modernità sta nella consapevolezza della
propria forza propositiva: comprendono infatti che il mag-
giore contributo che possono dare non sta tanto nel creare
per questo o quel committente un edificio bello e funziona-
le, quanto invece nell’immaginare come si possa traghet-
tare nel futuro Napoli, nella sua duplice valenza di urbs e
di civitas. I più attenti, come Errico Alvino o Lamont Young,
legano d’altronde strettamente il discorso sociale a quello
della forma urbis; molti altri, comunque, pensano grande,
elaborano idee complessive di sviluppo della città e dei
suoi punti nevralgici, senza intendere la propria professione
come mera prassi meschina.
La perdita del ruolo di capitale comporta innumerevoli svan-
taggi per Napoli, ma come rovescio della medaglia offre ai
tecnici l’opportunità di non avere come interlocutore solo
un sovrano preoccupato prevalentemente delle esigenze di
“abbellimento”, ma un organismo complesso come il Mu-
nicipio che – sebbene non sempre efficientissimo – guarda
alle trasformazioni urbane in una prospettiva più generale,
e gradualmente assume una sempre maggiore consapevo-
lezza dei risvolti sociali delle trasformazioni urbane.
Consci del proprio ruolo, e consapevoli altresì della necessi-
tà e della difficoltà dell’ammodernamento della ex capitale
borbonica, i progettisti napoletani si segnalano particolar-
mente per la generosità con cui offrono spontaneamente
alla città e alle amministrazioni progetti con cui mettono a
fuoco precocemente quelli che sono i nodi urbani, avendo
cura al tempo stesso di diffondere a mezzo della stampa
le proprie idee e, molto spesso, le strategie economiche
e normative, per trasformare in realtà i propri programmi.
Sono centinaia gli opuscoletti, spesso illustrati, che i proget-
tisti stampano a proprie spese per illustrare non soltanto
al Municipio e al governo centrale le proprie proposte di
ridisegno della città, aprendo non di rado delle implicite
il disegno del fronte-mareLuigi Lops I nuovi rioni Principe di Napoli e Duca di Genova, 1883 / veduta
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il disegno del fronte-mareGiulio Dary, J. Laforest La nuova Napoli. Progetto di nuovi rioni fra porto Sannazaro e la spiaggia di Coroglio, 1887 / planimetria
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competizioni e degli ampi dibattiti intorno a temi impor-
tanti, attuali allora come lo sono adesso. Non sempre, anzi
si può dire quasi mai, le amministrazioni hanno i mezzi,
o forse anche soltanto la lungimiranza, per trasformare in
altrettanti cantieri i numerosi sforzi ideativi e progettuali
per migliorare la città: molte idee tuttavia si sedimentano
nell’immaginario collettivo e restano ancora oggi stimoli
importanti. In ogni caso, nel loro insieme questi progetti
dimostrano come non sia stato certo per incapacità dei tec-
nici che Napoli non è riuscita a divenire in senso moderno
una metropoli europea. Basterebbe ricordare alcune propo-
ste che univano alla genialità dell’intuizione architettonica
e urbanistica una dovizia di contenuti tecnici: Napoli avreb-
be potuto avere, con precocità, il primo grande impianto di
metropolitana modellato sull’esempio di Londra se gli enti
pubblici fossero riusciti a dare attuazione alle avveniristiche
proposte di Lamont Young; avrebbe potuto avere ascenso-
ri urbani più complessi di quello celebratissimo di Lisbona,
se la proposta di Adolfo Avena, perfezionata in più riprese,
avesse avuto seguito; avrebbe potuto avere democratici e
salubri squares secondo i dettami dell’urbanistica europea,
se si fossero messe in cantiere le idee di Riegler.
Antica ma moderna
Il punto di vista dal quale i tecnici guardavano alla strut-
tura urbana della città, tra secondo Ottocento e primo
Novecento, non era dissimile da quello della più genera-
le intellighenzia. Tra fine Settecento e inizio Novecento, a
fronte del consolidato entusiasmo per Napoli da parte dei
tanti viaggiatori che la eleggevano a meta prediletta del
grand tour (basti pensare soltanto a Stendhal che la reputa
indiscutibilmente e di gran lunga la città più bella dell’u-
niverso), e che tuttavia ne conoscevano e frequentavano
solo le parti per così dire di rappresentanza, si era andata
consolidando – a partire dal rigoroso razionalismo illumi-
nista – una vera e propria critica a un organismo urbano
cresciuto senza un disegno complessivo. Molto limitato era
innanzitutto il verde urbano: la villa, celebratissima anche
dagli stranieri, era considerata bellissima, ma insufficiente
per una città di questa estensione e così popolosa. Poche
risultavano le strade davvero ampie e regolari, limitate a
fine Settecento alla via Foria, alla via Toledo e alla riviera di
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/ Gli architetti che condividono lo spirito di traghettare nei tempi moderni la città, e di ridisegnarne le parti incongrue interpretano con larghezza di vedute il loro compito /
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Chiaia, alle quali si aggiungevano nel corso dell’Ottocento le nuove strade pano-
ramiche. Cattivi, per non dire pessimi, i collegamenti tra le parti di città: come
notava Milizia tutta la città si doveva “strozzare” in via Chiaia, stretto e tortuoso
collegamento tra i due assi della passeggiata in carrozza tra Toledo e la riviera,
e passaggio imprescindibile dei collegamenti pedonali e su ruote tra est e ovest.
Infine, a fronte di non pochi episodi architettonici davvero importanti, castelli e
regge, sontuosi palazzi aristocratici e magnifiche chiese, si doveva riconosce-
re che erano pochi anzi pochissimi gli spazi urbani progettati come tali: poche
pochissime erano state le piazze dotate di un disegno concluso, che comunque
fungevano da importante modello per le proposte progettuali.
I tecnici mostrano di comprendere bene la contraddizione di una città dotata di
scorci e pezzi di straordinaria bellezza e di sconci inenarrabili, e comunque dotata
di una struttura urbana inadeguata. Era giudizio condiviso tra intellettuali e am-
ministratori che se per un verso andavano salvaguardate l’identità monumentale
della città e il carattere dei suoi luoghi principali e più celebrati, bisognava altresì
il disegno del fronte-mareGiulio Dary, J. Laforest La nuova Napoli. Progetto di nuovi rioni fra porto Sannazaro e la spiaggia di Coroglio, 1887 / veduta
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il disegno del fronte-mareGiulio Dary, J. Laforest
La nuova Napoli. Progetto di nuovi rioni fra porto Sannazaro e la spiaggia di Coroglio, 1887 / veduta
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creare nuove condizioni di vita per i ceti più umili, e più in generale evitare che l’inerzia di una struttura urbana così antica
e così densa potesse bloccare o impedire lo sviluppo economico della città. Anche negli anni delle grandi trasformazioni
del Risanamento, la migliore intellighenzia napoletana, e persino gli intellettuali raccolti attorno alla Napoli Nobilissima e
i cultori delle memorie storiche, i Benedetto Croce, i Bartolomeo Capasso, i Riccardo Carafa, accettavano le trasformazioni
come necessarie pur se con qualche rimpianto per qualche pezzo di colore locale che spariva. Gli architetti che condividono
lo spirito di traghettare nei tempi moderni la città, e di ridisegnarne le parti incongrue interpretano con larghezza di vedute
il loro compito: quasi nessuno pensa che si possa radicalmente ristrutturare l’intero abitato, ma quasi tutti pensano che pur
agendo su singole parti si possa creare una città non solo funzionale ma anche bella.
Il grande concorso per un piano regolatore del 1871 viene accolto dagli architetti con generoso entusiasmo, rispondendo
all’invito del Municipio con una pluralità di proposte assai differenti e articolate, ma tutte abbastanza concordi nel porre
come centrale per lo sviluppo della città il problema della sua forma, della creazione di un’adeguata rete dei collegamenti,
del ri-disegno dei suoi luoghi più emblematici. Molti sogneranno una Napoli finalmente moderna: tuttavia nessuno pensa
mai, né penserà in futuro, di stravolgerne la struttura sul modello della Parigi di Haussmann. Un approccio condiviso si
concentra su alcuni specifici settori cruciali per l’intera città. Alcuni dei temi ricorrenti, dei nodi fondamentali affrontati nei
circa ottant’anni compresi tra l’ingresso a Napoli di Garibaldi e la seconda guerra mondiale, sono in larga parte temi ancora
pienamente attuali e cogenti.
/ Il grande concorso per un piano regolatore del 1871 viene accolto dagli architetti con generoso entusiasmo /
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Il ri-disegno della città storica
Sin dai primi anni dell’Unità è sempre stato chiaro che
alcune parti di città, disordinatamente cresciute, segna-
te da edifici troppo alti rispetto ai vicoli su cui prospetta-
no, inaccessibili, e costituite da fabbricati fatiscenti e ben
lontani dagli standard di civiltà dovessero corrispondere ad
altrettanti settori di bonifica, di ristrutturazione urbana. Con
lo strumento più pertinente e più congeniale al proprio ruo-
lo, quello del progetto, le varie generazioni di architetti che
si succedono offrono il proprio contributo, avendo cura di
disegnare nuovi “pezzi” coerenti con il più generale ambi-
to urbano, studiando anche le condizioni economico-sociali,
ma avendo sempre cura di fornire un disegno urbano raffi-
natamente europeo. Su molti ambiti individuati come sac-
che di degrado si sedimentano numerosi progetti e plurime
ipotesi, prima di giungere alla definitiva trasformazione,
come accade per la bonifica dei rioni bassi e il Rettifilo, per
il rione Santa Brigida-galleria Umberto, per il rione Carità o
per quello San Pasquale, e per altre zone ancora. Ma per
alcuni settori, come i quartieri spagnoli o Montecalvario, un
secolo di progetti fino agli anni ottanta del XX secolo non
sarebbe bastato per procedere a interventi concreti. Non
sono cambiati di molto i problemi, ma è cambiato l’approc-
cio dei “non addetti ai lavori”: con minore sensibilità per
l’inciviltà delle condizioni di vita cui sono costretti gli abi-
tanti di queste parti di città, ignorando il degrado abitativo
e sociale della zona, si finge di conservare senza recuperare,
ma chiudendo un occhio sui continui fenomeni di micro-
abusivismo che ne corrodono mano a mano la sostanza
il disegno del fronte-mareFrancesco De Simone
Piano Regolatore della città di Napoli, 1917 / veduta
il disegno del fronte-mareFrancesco De Simone
Piano Regolatore della città di Napoli, 1917 / planimetria
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il disegno del fronte-mareDante e Eugenio Bucci Progetto relativo alla utilizzazione del Porto militare e del R. Arsenale di Marina di Napoli, con isolamento completo del “Maschio Angioino” e di “Palazzo Reale”, per la creazione di un moderno porto passeggeri e di un grande rione edilizio con la soluzione del problema stradale per congiungere l’oriente con l’occidente della città, 1924 vedute illustrative al progetto di Nicolas De Corsi
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il disegno del fronte-mareCamillo Guerra
Progetto di via Elevata esterna alla Reggia di Napoli, 1933 veduta prospettica dal bivio dei Cavalli di Bronzo
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storica senza fornire però una qualità mo-
derna, e ricacciando nell’eccezionalità delle
catastrofi i continui crolli. Senza bonifiche
ma senza recuperi, senza demolizioni ma
senza restauri, Napoli resta in molti settori
città incompiuta, ideale palestra per proget-
ti congetturali.
Parti di città come “città di fondazione”
Da sempre Napoli è cresciuta attraver-
so fenomeni di tipo diverso: a volte
espandendosi senza soluzione di continuità
per così dire “a macchia d’olio”, a volte in-
globando settori contermini caratterizzati da
una certa autonomia di borghi, altre volte
infine andando oltre il perimetro dell’abitato
consolidato per fondare parti di città dotate
di propria autonomia formale. Così accade
quando i coloni dell’antica Partenope allor-
ché scesero dalla collina di Pizzofalcone per
fondare la Neapolis con i criteri razionali di
un impianto regolare basato sulla gerarchia
tra cardines e decumani. Così quando don
Pedro de Toledo immaginò un nuovo quar-
tiere militare a impianto ortogonale sulle
pendici collinari a monte della strada che
avrebbe preso il suo nome. Così ancora nel
secondo Ottocento, quando le nuove funi-
colari avrebbero permesso di conquistare
definitivamente alla città il Vomero, in più
fasi sarebbe stata disegnata una città auto-
noma, incentrata sulle due piazze, Vanvitelli
con il suo sistema ortogonale e Medaglie
d’Oro con il suo sistema radiale. Il fascismo
avrebbe poi fondato nel centro della città
una cittadella per le funzioni direttive, il ri-
one Carità, la cui funzione sarebbe stata per
certi versi ereditata da un’altra parte auto-
noma e dotata di proprio disegno: il centro
direzionale.
Nell’area flegrea, Lamont Young individuava
Il ridisegno della città storica Francesco De Simone, piano regolatore della città di Napoli, 1917 disegno prospettico di Manfredi Franco
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il disegno del fronte-mareCamillo Guerra
Progetto di via Elevata esterna alla Reggia di Napoli, 1933 veduta prospettica dall’altezza dell’antica “Lanterna del Molo”
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con lungimiranza il luogo ideale, segnato dal paesaggio e
dal mito, ove fondare una Napoli altra, un altrove destinato
a esposizioni, a turismo, ma anche a residenze. La storia
successiva avrebbe confermato questa aspirazione, dappri-
ma con la Mostra d’Oltremare – il primo sforzo collettivo
della neo costituita facoltà di Architettura – e poi con il quar-
tiere di Monteruscello – che testimoniava di un momento
di maturità della Facoltà. Ancora potrebbe diventarlo, se
condotta in tempi ragionevoli, la nuova Bagnoli, su cui poi
si sono appuntati invano gli sforzi di tanti progettisti napo-
letani. Lo potrà essere ancora Napoli Est, altra possibile città
di fondazione. Nell’ambito di una situazione così complessa
e articolata l’idea di fondare una nuova parte governata da
proprie regole di disegno è sembrata, come sembra ancora,
il disegno del fronte-mareCamillo Guerra Progetto per la nuova stazione marittima, 1933 Veduta
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l’unica possibile soluzione.
Il fronte mare
Il ridisegno del litorale e del fronte mare ha rappresen-
tato, e tutt’ora rappresenta, un tema ricorrente e affa-
scinante. Nel secondo Ottocento, nell’epoca dell’incipiente
turismo borghese, dei viaggi “tutto compreso” di Thomas
Cook che scelgono per prima Napoli come meta, il mare
conferma e consolida il suo ruolo di porta della città: porta
di ingresso per i forestieri, porta di uscita per gli emigranti
immortalati da melodie struggenti. Il porto sarà, nell’ambi-
zioso disegno del fascismo, il fulcro di un disegno che vuole
fare del capoluogo campano la “regina di mediterraneo”,
mentre nell’immediato dopoguerra diventerà – in una “Na-
poli americana” – un imprescindibile avamposto del Patto
Atlantico. È guardando dal mare che ancora in età contem-
poranea – come ai tempi della tavola Strozzi – si ha la visio-
ne identitaria più forte di Napoli, dove l’insieme mette in
secondo ordine le questioni architettonicamente non risolte.
Dal punto di vista per così dire della conformazione geo-
grafica, nell’ambito di una città completamente chiusa dalle
colline, la linea di costa in certo modo rappresenta il lato
duttile del profilo urbano, quello che può essere ridisegnato
e modellato, il margine che attende un disegno planime-
trico e volumetrico. Non di rado, nella cultura del secondo
Ottocento, è nello spostare più avanti al linea di costa che
il disegno del fronte-mareCesare Bazzani Progetto per la nuova stazione marittima, 1936 veduta
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si riconosce l’opportunità di ricavare suoli piani, accessibi-
li, salubri e pregiati: ne conseguono tante e tante ipotesi,
alcune di grande fascino come il rione a canali navigabili
pensato da Young, ma ne scaturiscono anche concrete parti
di città che ancora riteniamo pregiate, per quanto discutibili
possano essere state le operazioni di colmata: Santa Lucia,
via Partenope, il borgo Marinari, il viale Elena. Ed è ancora
la litoranea a costituire non solo la passeggiata napoletana
per eccellenza, ma anche l’opportunità di quei collegamenti
rapidi che nel denso abitato non sono possibili. Ed è l’unicità
del profilo costiero a riunificare le due Napoli, quella pre-
giata ad occidente e quella dei “quartieri bassi” a oriente.
Alla litoranea Luigi Cosenza, in un piano che sotto molti
versi attende ancora attuazione, affidava il compito di rap-
presentare il profilo moderno della città. E, suo malgrado,
via Marina, metà diroccata dai bombardamenti e metà se-
gnata dal curtain wall dei grattacieli, sembra essere invece
la testimonianza di come la città sembri spesso incapace
di portare a termine i suoi programmi. Il fronte mare resta
ancora in larga parte da disegnare.
Pittoresco e geometrico
Dal punto di vista della forma urbana, possiamo dire
che nella storia urbanistica ottocentesca post-unitaria
due modelli si sono fronteggiati, talora fondendosi talora
alternandosi. Da una parte il tentativo di opporre alla estre-
ma varietà della conformazione orografica e alla crescita
caotica configuratasi nei secoli un principio geometrico for-
te. Dall’altra, il desiderio di assecondare in chiave pittoresca
la peculiarità degli scorci, la movimentazione orografica, le
vedute panoramiche: d’altronde proprio perché città iconica
del grand tour Napoli ha precocemente sperimentato sin
dall’Ottocento pre-unitario con la via Posillipo, la nuova via
di Capodimonte, con il corso Maria Teresa (poi Vittorio Ema-
nuele) la progettazione consapevole di strade paesistiche
il disegno del fronte-mareLuigi Cosenza
Piano di ricostruzione dei quartieri Porto, Mercato, Pendino, 1946 planimetria
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le cui vedute sono state precocemente vincolate a favore
della collettività.
L’urbanistica napoletana, tanto nei progetti rimasti su carta
degli architetti, quanto nelle ipotesi concretamente realiz-
zate, farà tesoro di entrambi i principi. Per un verso quindi
strade a nastro panoramiche nelle quale si insinuano fram-
menti di verde e scorci panoramici, allorché ci si confronta
con variazioni orografiche consistenti: dal parco Margherita
alla via Tasso, dal progetto rimasto su carta di Chiaja Nova
a quello per il Parco Dini. Altrimenti linee dritte, scacchiere
o impianti radiali: allorché si tratta di immaginare un colle-
gamento tra la stazione ferroviaria e il centro, quasi tutti gli
architetti immaginano percorsi rettilinei, con l’eccezione di
Lamont Young che disegna un pittoresco sistema curvilineo.
Allorché si tratta al Vomero di rendere regolare e connet-
tere un insieme di ville e casali è la forza di un impianto
geometrico riconoscibile a conferire l’identità di quartiere. E,
come ricorderà Carlo Cocchia, allorché al di fuori del tunnel
si tratta di tracciare un nuovo monumentale viale con le
palme – che ha i suoi precedenti solo nella via Foria e nel
viale Elena – si ha cura di inserire un accidente di irregolari-
tà per evitare la banale monotonia: ne consegue una strada
che da sola caratterizza un intero rione.
Forma urbis: progetto interrotto?
Molti problemi della struttura urbana individuati con
lucidità dalla cultura di fine Ottocento restano tali: e
certo i problemi di circolazione e di inadeguatezza di alcuni
settori urbani risultano nel XXI secolo ancora più cogenti
rispetto a quanto non fossero nel XIX secolo. Pasquale Villari
considerava uno sconcio le grotte abitate alle rampe Bran-
caccio, che il piano regolatore del 1958 qualificava come
sozzi “abituri”: sono ancora lì, abitate e semmai messe
nel piano di dismissione degli immobili degli enti pubblici.
Quando alcuni nodi urbanistici hanno trovato soluzione è
stata in maniera assolutamente inadeguata dal punto di
vista della forma urbana. Valga fra tutti un esempio: per
quasi 150 anni si è pensato a un collegamento tra Pizzo-
falcone e Santa Lucia, anche per risolvere il muraglione
irrisolto tra via Santa Lucia e il Chiatamone: tra secondo
Ottocento e primo Novecento, ci sono stati moltissimi pro-
getti e anche un concorso municipale. Gli architetti hanno
immaginato scalee scenografiche, palazzi di cristallo con
ascensori, strade panoramiche a nastro, giardini digradanti,
sistemi di scale con fontane e cascate. Ma alla fine il nostro
tempo, quello contemporaneo, ha saputo partorire solo un
banale ascensore. Il discorso sulla forma urbis non può re-
stare interrotto.
Parti di città come “città di fondazione”Comune di Napoli Relazione della Commissione per lo studio del piano regolatore della Città, 1927 planimetria del rione Fuorigrotta-Bagnoli
il disegno del fronte-mareLuigi Cosenza Piano di ricostruzione dei quartieri Porto, Mercato, Pendino, 1946 prospetto
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Risalire la cittàLamont Young Ferrovia metropolitana e Campi Flegrei, 1883 l’ascensore del Vomero
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polisCon le sue salite, le sue rampe, le sue scalinate, i suoi
ascensori pubblici, le sue funicolari e le sue strade di-
sposte una sull’altra, Napoli è una «città in salita»1. Una
«città verticale»2, in cui il superamento dei dislivelli orogra-
fici si è sempre posto come necessità per relazionare luoghi
urbani più o meno distanti, ma anche come possibilità per
definire strumenti capaci di descrivere e reinterpretare la
forma dell’urbe.
All’indomani dell’Unità il collegamento tra quote urbane
differenti, e soprattutto spazi della città bassa e zone col-
linari, rappresenta anche uno specifico nodo da sciogliere
per garantire il futuro urbanistico dei nuovi quartieri in via
di realizzazione.
Il rione Vomero infatti inizia a sorgere dal 1885 e, nel ten-
tativo di agevolarne l’accessibilità, viene dapprima ridotta
la pendenza di alcune strade della collina di Montecalvario,
poi sistemata via Salvator Rosa, e quindi iniziata la costru-
zione di via Tasso e realizzato lo scalone di Montesanto. La
collina di Posillipo e il suo litorale, ormai sottratti a uno sto-
rico isolamento con il tracciato della nuova strada voluta da
Gioacchino Murat, incarnano l’obiettivo privilegiato dei pro-
getti di imprenditori e professionisti per un’espansione della
città a occidente guidata dall’idea di un’altra Napoli fatta di
ampi viali e passeggiate litoranee, in cui «la dimensione
storica non si materializza nella densità del tessuto urbano
costruito ma resta intangibile nella dimensione letteraria
del mito»3. Fuorigrotta, raggiunta nel 1876 dai nuovi col-
legamenti tramviari a vapore grazie all’apertura della gal-
leria delle Quattro Giornate, comincia a essere identificata
come il luogo, oltre le colline, per sperimentare una nuova
“città di fondazione”, essendo un’area «priva di grandi vin-
coli, relativamente in piano, dove imprimere attraverso un
disegno geometrico elementi ordinatori risulta in qualche
misura non soltanto possibile ma addirittura auspicabile»4.
Il Monte Echia è oggetto di una serie di programmi volti a
mettere in sicurezza il costone tufaceo, a migliorarne l’este-
tica, nonché di proposte tese a potenziare i collegamenti
tra il nuovo quartiere di Santa Lucia e Monte di Dio.
NapoliUna città in salita/ Risalire in una “città verticale”
/ Gemma Belli
Note a pagina 50.
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Risalire la cittàAdolfo Avena Ferrovia del Vomero, 1893 veduta
/ gli ascensori non debbono rincatucciarsi come vermi solitari ma inerpicarsi come serpenti di ferro e vetro /
Note a pagina 50.
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La resistenza che la città oppone all’importazione dei mo-
delli ottocenteschi di trasformazione urbana, basati sul prin-
cipio della continuità stradale, sollecita molteplici ricerche
su sistemi di trasporto alternativi, in un clima generale di
sperimentazioni avanguardistiche che esprimono la fiducia
nella capacità di potere interpretare adeguatamente le esi-
genze di collegamento, anche in un contesto discontinuo
come quello napoletano. Ai tradizionali percorsi gradonati
che segnano in più punti il profilo della città si affiancano
così ipotesi di sistemi che prevedono di scavalcare le colline
grazie ad ardite soluzioni tecniche, sotterranee e aree, con
impianti meccanici che spesso sfruttano per la trazione dei
vagoni o delle cabine meccanismi a fune. Caratteristica di
questi progetti, la cui fortuna è legata all’“invenzione” di
una forma continua per la città, è la chiara opzione verso le
potenzialità estetiche della tecnica moderna di cui la cultu-
ra ottocentesca europea e d’oltreoceano subisce il fascino.
Tra i sistemi meccanici di risalita compaiono gli elevatori.
Questi, prima ancora di essere coinvolti come mezzo di tra-
sporto urbano, avevano trovato la loro ragione d’essere nel
bisogno di rendere accessibili edifici alti e torri. Inventato a
Boston e sperimentato a New York all’Esposizione Univer-
sale del 1853, il primo ascensore è costruito in Europa in
occasione dell’Expo del 1867, dove viene installato all’in-
terno della Galerie des machines. Nel corso del Novecen-
to a Napoli sono frequenti gli ascensori pubblici realizzati
con lo scopo di collegare strade poste a quote differenti: al
ponte di Chiaja, al ponte della Sanità, ben due tra il tunnel
delle Quattro Giornate e Posillipo, tra largo Nunziatella e
la galleria della Vittoria. Tuttavia, celati all’interno di edifici
allineati alle cortine stradali, o addossati a cavalcavia, tali
impianti poco incidono sulla forma urbis, disobbedendo al
noto imperativo di Antonio Sant’Elia di «ascensori [che] non
debbono rincantucciarsi come vermi solitari nei vani delle
scale […] [ma al contrario] debbono inerpicarsi come ser-
penti di ferro e di vetro»5.
Particolarmente interessanti per il ridisegno della forma
urbana sono invece gli ascensori previsti in due progetti
non realizzati. Il primo è quello che Lamont Young ipotiz-
za nel 1836 per congiungere la sua metropolitana urbana
dalla Stazione Centrale ai Campi Flegrei con la linea collina-
re progettata dal Vomero ai villaggi periferici. Previsto per
superare un dislivello di 160 metri, mercé un sistema fun-
zionante con motore a vapore, l’impianto è dotato di due
cabine a due piani (una per i passeggeri di prima e seconda
classe, l’altra per i passeggeri di terza e quarta) che scorro-
no ciascuna in un pozzo a sezione quadrata di 4,50 metri
di lato. Elemento di relazione e connessione trasversale tra
due grandi sistemi di collegamento, l’ascensore rappresenta
un elemento imprescindibile nell’articolato piano di Young.
L’altro progetto è un programma dell’architetto Luigi Rodini7,
volto a realizzare un vasto quartiere residenziale nell’area
di San Martino. Accanto a una nuova strada carrabile pano-
ramica, che dall’ospedale del Sacramento al corso Vittorio
Emanuele guadagna lo sommità della collina, Rodini imma-
gina un ascensore di collegamento tra largo Montecalvario
e San Martino. L’impianto avrebbe dovuto essere realizza-
to scavando una galleria di 370 metri, a partire da largo
Montecalvario sino alla verticale proveniente dall’angolo
sud della Certosa, con una prima fermata in corrispondenza
della chiesa del Santo Sepolcro al corso Vittorio Emanuele.
Sono ipotizzate carrozze speciali in grado di percorrere dap-
prima il tratto orizzontale e poi quello verticale, entrando
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Risalire la città / Il ridisegno della città storicaGiovanni Battista Comencini, Nicola DaspuroChiaja nova, 1917 / veduta prospettica delle rampe lungo la via Curva
nella piattaforma dell’ascensore senza trasbordo dei pas-
seggeri. Prolungando il traforo per ulteriori 1900 metri, il
progettista immagina di poter realizzare anche un secondo
ascensore per il collegamento con largo Antignano e l’area
di San Giacomo dei Capri.
Sia il progetto di Young che quello di Rodini prefigurano,
così, degli impianti di risalita che, seppur celati in tunnel e
cavità, rappresentano elementi imprescindibili per l’attua-
zione e il funzionamento di un più ampio programma di ri-
disegno urbano: rendendo potenzialmente accessibili mol-
teplici punti della città e amplificandone la polarizzazione,
essi propongono un modo del tutto nuovo di interpretarne
la struttura formale.
Una libera e suggestiva mobilità “sospesa”, come quella
vagheggiata nel 1863 da Jules Verne in Parigi nel XIX se-
colo, anima invece il progetto di Adolfo Avena8. Allievo di
Paolo Boubée, Avena osserva ironico che se il destino del
Vomero non deve consistere nell’essere «destinato soltan-
to a ricetto per gl’innamorati disillusi o per le persone in-
chinevoli al suicidio»9, occorre provvedere a comunicazioni
efficaci e moderne. Nel 1885 redige pertanto con Stanislao
Sorrentino il disegno di una funicolare di collegamento tra
via Roma e il corso Vittorio Emanuele10: un imponente via-
dotto metallico, lungo circa 342 metri, corre al di sopra del
livello dei fabbricati grazie a otto piloni – uno in muratura
e gli altri metallici – che formano sette campate di ampiez-
za differente. Gradualmente precisata in una serie di pro-
poste successive11, l’idea originaria è modificata nel 1889
nel progetto per una funicolare tra via Roma e il Vomero12,
con cui Avena prolunga il tragitto iniziale dal corso Vittorio
Emanuele sino al nuovo quartiere collinare. La stazione del
corso viene spostata a Cariati, mentre quella inferiore è tra-
slata all’angolo tra via Roma e via Santa Brigida, dovendo
ormai tenere conto anche della costruzione della Galleria
Note a pagina 50.
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Risalire la cittàCommissione per lo studio del piano regolatore Studio per il Piano regolatore della città, 1926
Disegni di Roberto Pane prospettiva di una gradinata tra piazza dei Martiri e Santa Maria degli Angeli
Risalire la città/Parti di città “come parti di fondazione”Gaetano Landi, Progetto di massima per il taglio della collina di
Posillipo lungo l’asse dell’attuale galleria di Piedigrotta, 1924 prospetto e vista prospettica
Umberto I. L’anno dopo l’ipotesi è ulteriormente definita13.
L’architetto pensa a una torre-ascensore alta 92 metri, ubi-
cata nei pressi della Galleria, da cui origina un viadotto lun-
go 421 metri. E sempre nel 1890 pubblica la sua idea per
una ferrovia aerea elettrica tra la Galleria Umberto I e il
Vomero14. La proposta è formulata in due varianti: la prima
prevede una struttura in due tratti, di cui il primo da Santa
Brigida al corso Vittorio Emanuele, e il secondo da qui a
Castel Sant’Elmo. La seconda variante prefigura alla quota
del corso un tunnel orizzontale diretto verso un pozzo ver-
ticale, da cui parte un ascensore sino al Vomero. Tuttavia
nel momento in cui Avena inizia ad approfondire questa
ultima ipotesi, il Consiglio comunale gli chiede in termini
espliciti il progetto di un’aerovia15. Questa, oltre a mettere
in comunicazione via Roma con il Vomero, punta sull’idea
di un collegamento panoramico, che non sfrutti come altre
proposte coeve le «viscere tormentate [della città], trafo-
rate in ogni senso da tetre, anguste, umide gallerie»16. Per
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Risalire la cittàGiovanni Cimmino, Manfredi Franco, Gennaro Russo, Alfredo Sasso Parco Monte Echia – Piano Regolatore e di risanamento di Santa Lucia a Monte Echia, 1928 veduta prospettica e prospetto (pag. 44)
Avena infatti opere come l’ascensore di Posillipo non offro-
no altro che «emozioni da minatori […] [mentre Napoli è]
città dal panorama che tutti gli stranieri c’invidiano, la città
dal meraviglioso azzurro del cielo»17.
L’idea è particolarmente ardita. Non solo prevede un si-
stema misto con un’unica vettura che percorre un tratto
centrale con il normale sistema di trazione a fune, e in
prossimità delle stazioni funziona come un ascensore. Ma
prefigura anche, oltre al percorso meccanico, una viabili-
tà superiore esclusivamente pedonale, accessibile (proprio
come una strada) a tutti in ogni momento della giornata
grazie ad apposite scale e piattaforme mobili. Avena infatti
dichiara: «ciò che in altre città è scopo, per me è mezzo»18;
l’impianto dunque non è unicamente un mezzo di traspor-
to, ma una via elevata con «un fascino fantastico di opera
grandiosa […] [capace di accoppiare] alla viabilità rapidis-
sima la festa degli occhi e la ginnastica dei polmoni»19 e
di far apprezzare ai turisti tanto le bellezze panoramiche
napoletane, quanto i progressi tecnici conseguiti. È esibi-
zione della tecnica al pari delle ferrovie aeree e dei ponti
metallici americani o nord-europei, alla stessa stregua di
strutture come la Tour Eiffel che, offrendo pregevoli possibi-
lità di fruizione paesaggistica, si trasforma essa stessa in un
oggetto di richiamo turistico20.
Una maniera simile di rapportarsi al paesaggio e descrivere
la forma della città, sia pure con strutture meno ardite, è
evidente in due progetti di funivia proposti per Napoli negli
anni trenta: quello irrealizzato teso connettere via Toledo
con Castel Sant’Elmo21 e quello realizzato di collegamento
tra la collina di Posillipo e la struttura fieristica della Mo-
stra d’Oltremare. Il primo, opera di Pericle Ferretti, Vincen-
zo Gianturco e Camillo Guerra, colloca la stazione inferiore
nell’angiporto della Galleria Umberto I, sulla cima di una
struttura in cemento armato ideata come prolungamento
della facciata stessa dell’edificio. La stazione superiore è in-
vece progettata nello spiazzo occidentale del Castel Sant’El-
mo, da dove un ascensore avrebbe permesso di raggiunge-
re il museo San Martino22.
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La funivia Posillipo-Fuorigrotta, inaugurata nel 1940 su pro-
getto di Giulio De Luca, nasce proprio con il preciso obiettivo
di potenziare l’attrattività turistico-commerciale della Mostra
d’Oltremare aperta al pubblico il 9 maggio di quell’anno. La
stazione inferiore sorge in corrispondenza dell’attuale viale
Kennedy presso l’ingresso al piazzale che conduce all’Arena
Flegrea, mentre quella superiore è posizionata al termine
di via Manzoni, poco distante dal Parco della Rimembranza.
L’impianto è sostenuto da alcuni grossi piloni in cemento
armato, che si impongono come solide presenze nel pa-
esaggio urbano. Le due cabine, capaci di trasportare venti
passeggeri, coprono la distanza fra i due terminali in circa
otto minuti. Giungendo da Posillipo i passeggeri possono
così ammirare dall’alto, come da un aeroplano, non solo
le bellezze del territorio flegreo, ma anche le imponenti
costruzioni del complesso fieristico. Tra i progetti per risa-
lire da una quota all’altra della città, incidono sulla forma
urbana anche le funicolari, che in parte recepiscono le
sollecitazioni progettuali delle tante ipotesi non realizzate.
Un’idea del tutto disattesa di funicolare viene formulata da
Emilio Romano Autuoro nel 188423, con un percorso parte
in galleria, parte all’aperto. Il programma presupponeva la
demolizione degli isolati compresi tra gli attuali vicoli Teatro
Nuovo e Portacarrese a Montecalvario (prospicienti palazzo
Montemiletto), sul cui sedime sarebbe sorto un percorso al-
berato fiancheggiato da marciapiedi che avrebbe raggiunto
il corso Vittorio Emanuele nei pressi del convento di Suor
Orsola, proseguendo poi in tunnel sino al Vomero. Non è la
prima ipotesi per questo sistema di risalita, perché già nel
1875 Ernesto Ferraro e Carlo Cigliano avevano immaginato
una funicolare con un’unica stazione superiore al Vomero,
dalla quale si biforcava un percorso diretto da un lato alla
riviera di Chiaia, e dall’altro a Montesanto. Comprometten-
do l’edificabilità dei suoli attraversati, il progetto viene mo-
dificato dalla Banca Tiberina. E al suo posto sono realizzate
le due funicolari di Chiaja e Montesanto. La prima condotta
a termine è quella di Chiaja: l’impianto, deliberato in segui-
to alla convenzione per la costruzione del 1886, è aperto
al pubblico il 17 ottobre 1889; modificato una prima volta
nel 1899, è rinnovato e poi inaugurato nuovamente il 27
febbraio 190024. Interamente rettilineo, il percorso si svilup-
pa in gran parte in trincea, risultando visibile soprattutto in
corrispondenza dei nodi delle stazioni terminali.
La prima pietra della funicolare di Montesanto è invece po-
sta l’11 maggio 1885 e la struttura è aperta all’esercizio
nel 189125. A differenza della funicolare di Chiaja, quella di
Montesanto, non segue un tracciato rettilineo, ma presenta
una serie di curve e controcurve dettate dalle condizioni
orografiche, oltre che dalla necessità di evitare il muro di
sostegno dell’Ospedale della Trinità. Pure in questo caso le
stazioni rappresentano gli elementi maggiormente emer-
Note a pagina 50.
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Risalire la cittàCamillo Guerra Progetto di piano regolatore Integrale per la Città di Napoli, 1933-39 prospettiva della torre viaria elicoidale
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genti nel contesto, anche se stavolta il percorso è visibile
per un tratto molto più lungo tra Montesanto e il corso Vit-
torio Emanuele, tant’è che all’epoca l’impianto, pur secondo
in ordine cronologico, è giudicato il principale per «splendo-
re di quadro scenografico»26. Nel 1928 viene inaugurata su
progetto di Nicola Daspuro e Giovanni Battista Comencini la
Funicolare Centrale che, partendo da via Roma, raggiunge
il Vomero sottopassando via Conte di Mola e piazza della
Concordia, e ricalcando in sotterranea il tracciato che Avena
aveva sviluppato come percorso aereo nel suo program-
ma. Il primo progetto è del febbraio 1921: esso prevede
l’attraversamento della collina mediante uno scavo di gal-
lerie nel tufo, per superare un dislivello di 170 metri con un
percorso lungo complessivamente 1290 metri. Approvato
nell’agosto del 1921, il disegno viene sviluppato da Comen-
cini affiancato da Guido Milone, mentre gli aspetti tecnici e
finanziari saranno successivamente approfonditi da Daspuro
assieme a Luigi De Conciliis. Approvato nel 1922, il piano si
concretizza nel 1924 con la costituzione della Società Ano-
nima Funicolare Centrale, che ne intraprende i lavori l’anno
successivo. Caratterizzata dalla presenza di alcune curve in
corrispondenza della chiesa della Concordia e di palazzo
Cariati, la linea corre per lo più in trincea, salvo un breve
tratto allo scoperto nella zona del Petraio. La sua costruzio-
ne rappresenta una tappa significativa nel panorama edili-
zio e urbanistico partenopeo per la modalità con cui l’opera
si confronta con il tessuto della città consolidata da un lato,
e con le urbanizzazioni da poco avviate dall’altro; ma an-
che per il modo in cui vengono concepiti i due estremi del
percorso: «luoghi di ricerca di un linguaggio architettoni-
co capace di “attutire” la presenza del nuovo impianto nel
contesto, senza, per questo, trascurarne la riconoscibilità»27.
Nel primo progetto, un porticato dall’andamento lievemen-
te concavo accoglie i rapidi flussi di pedoni, immette nella
stazione, rappresentando al contempo il fondale prospetti-
co del nuovo slargo. Due ordini giganti sovrapposti abbrac-
ciano complessivamente quattro piani, sormontati da due
livelli scanditi da aperture a bifora. Alla morte di Comen-
cini28, i lavori vengono seguiti da Arnaldo Foschini. Le due
nuove facciate sulla piazzetta Duca d’Aosta assumono un
volto maggiormente unitario, anche se rimane labile ogni
relazione con il prospiciente palazzo Berio, ridisegnato a
seguito delle demolizioni. E si evidenzia – come già nel
primitivo progetto – una scissione tra ricerca formale e spe-
rimentazione tecnica, poiché le ardite opere si sviluppano
al di dietro di facciate dal sapore manierista.
Con la convenzione stipulata tra l’Alto Commissariato per
la Città di Napoli e Provincia e la Società Partenopea Edili-
zia Moderna Economica, prende corpo anche l’idea di una
quarta funicolare per collegare il progettato Rione Sanna-
zaro con Mergellina. La linea è inaugurata nel 193129 e il
percorso si presenta composto da due rami rettilinei raccor-
dati da un’ampia curva, e si svolge sia in trincea, che allo
scoperto. Il progetto delle due stazioni terminali – comun-
que modificato soprattutto nella prima fase della conven-
zione – è affidato al palermitano Leonardo Paterna Baldizzi,
mentre gli edifici in corrispondenza delle tre fermate inter-
medie saranno completati solo successivamente. La rifles-
sione sulle potenzialità di queste strutture continua anche
nel decennio successivo. Rispetto ai vecchi percorsi che si
inerpicavano sulle colline talvolta forandole, talaltra scaval-
candole, le funicolari non ne interpretano solo le finalità,
non ne riprendono magari le solo giaciture, ma si rivelano
Note a pagina 50.
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capaci di mostrare e mettere in risalto aspetti della forma
e della struttura della città, spesso poco evidenti, legati alla
particolare qualità del loro rapporto con il paesaggio. Altra
maniera di descrivere e interpretare i luoghi è quella pro-
posta dalle rampe, che continuano a essere immaginate,
nonostante l’indubbio fascino dei percorsi meccanici. Nel
progetto del 1917 di Comecini e Daspuro30, ad esempio, la
strada di collegamento progettata prevede una rappresen-
tativa “via Curva” la quale, tracciata da via Roma (angolo
via Santa Brigida) sino al Rosariello di Palazzo, confluisce in
un rettifilo sotterraneo, che a sua volta sbocca tra la chiesa
di Sant’Orsola e il palazzo Cellammare. Il disegno è comple-
tato da una serie di gradonate laterali di connessione con
via Speranzella e da due leggeri ponti in ferro, che genera-
no un complesso urbano viario articolato ed elegante. Ram-
pe gradonate sono anche disegnate tra piazza dei Martiri
/ Il mito della velocità e del movimento, anima del movimento futurista, è alla base dell’audace proposta formulata nel 1933 da Camillo Guerra /
Parti di città come “città di fondazione”Francesco Laudiero, Giuseppe Vinale, Vincenzo Galdieri Progetto di Bonifica del Rione San Giuseppe-Carità, 1890 planimetria e veduta prospettica verso via Toledo e via Monteoliveto
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e Santa Maria degli Angeli nello studio di piano regolatore
condotto tra il 1925 e il 1926 (e poi pubblicato nel 1927)
dalla commissione presieduta da Gustavo Giovannoni: una
scenografica gradinata verso Monte di Dio, “artisticamente”
progettata per «dare forma d’Arte alle nuove agglomera-
zioni urbane in modo congeniale con l’ambiente antico»31.
E ugualmente spettacolare è la sistemazione ascensionale
verso Monte Echia prefigurata nel piano di Cimmino, Franco,
Russo, Sasso del 192832: un’affascinante e fastosa scalea di
collegamento tra la sommità della collina e lo snodo tra
via Chiatamone e Santa Lucia, il cui andamento curvilineo
sottolinea un’articolata serie di volumi convessi, evocando
le magnifiche scale dell’architettura napoletana del sette-
cento33. Il mito della velocità e del movimento, anima del
movimento futurista, vera e propria sfida per gli autori dei
tanti progetti di sistemi di risalita meccanica, è alla base
dell’audace e avveniristica proposta per collegare la città
storica con il Vomero formulata nel 1933 da Camillo Guerra,
all’interno del più vasto programma per un Piano regolato-
re generale della città: una torre viaria elicoidale collocata
nel cosiddetto vallone dei Cacciottoli. Echi di queste visioni
resteranno impressi, modificati e stravolti, nel ben più tardo
nastro d’asfalto della Tangenziale della città34; infrastruttura
che, puntando sul potenziamento del trasporto su gomma
è realizzata per collegare la zona occidentale con quella
orientale (l’area flegrea e quella vesuviana), ma anche per
connettere con i suoi svincoli collinari (oggi interni al tes-
suto urbano) la città bassa e con quella alta. Tecnicamente
concepita come semplice trait d’union tra due punti, nella
realtà l’opera assume una forte valenza estetica con i suoi
massicci pilastri di cemento armato, i suoi sbalzi, le sue
curve, i suoi intricati tessuti di travi in acciaio.
E sorvolare la città o risalire le sue colline continua a essere
un tema progettuale affascinante anche in tempi recenti.
Lo testimoniano all’inizio degli anni ottanta proposte come
quella di Aldo Capasso, a metà tra provocazione e fanta-
sia, per una funivia urbana che, partendo da Fuorigrotta,
utilizzando anche il percorso della dismessa funivia Posil-
lipo-Fuorigrotta, e toccando i Colli Aminei e Capodimonte,
avrebbe raggiunto piazza Garibaldi35. O ancora il concorso di
idee indetto nel 1997 dall’Amministrazione comunale con
la Società Schindler Italia per la progettazione di un sistema
di risalita della collina di Capodimonte, finalizzato a unire i
due Musei attraverso il quartiere della Sanità. È la ricerca
di un’ascesa articolata che, fondata su sistemi misti, è tesa
a facilitare la «permeabilità, porosità e semplicità d’uso del
sistema»36, perseguendo al contempo una necessaria in-
tegrazione tra il nuovo sistema e il vecchio tessuto urbano
con le sue emergenze.
Una risalita intesa come occasione per riqualificare le rela-
zioni tra la collina e la città, capace anche di proporre tempi
e modalità differenti per il suo attraversamento.
Note a pagina 50.
il ridisegno della città storicaDavide Pacanowski progetto per la ristrutturazione dei quartieri spagnolie nuova piazza dinanzi al Banco di Napoli, 1940planimetria e plastico
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Città geometrica-città pittorescaLamont Young
Bonifica del Basso Napoli in relazione col progetto della Ferrovia Metropolitana, 1884
planimetria e veduta prospettica della via Centrale, piazza Circolare e stazione Duomo
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Note
Napoli, Una città in salita.
1. Si prendono qui in prestito alcune delle parole che Giorgio Caproni ha dedicato alla sua Genova; cfr. G. Caproni, Genova tutta la vita, a cura di G. Devoto e A. Guerrini, Edizioni San Marco dei Giustiniani, Genova 1983.
2. Ivi.
3. F. Mangone, Progetti urbanistici per la Napoli del mito, 1860-1935, in F. Mangone, G. Belli, Posillipo, Fuorigrotta e Bagnoli. Progetti urbanistici per la Napoli del mito, 1860-1935, Grimaldi & C. Editori, Napoli 2011, p. 13.
4. F. Mangone, Oltre le colline: una “città di fon-dazione”, ivi, p. 49.
5. A. Sant’Elia, Messaggio, 1914.
6. L. Young, Ferrovia metropolitana e Campi Flegrei, Tip. A. Trani, Napoli 1883.
7. L. Rodini, Domanda di concessione al munici-pio di Napoli per un progetto del rione S. Martino con ascensore al largo Montecal-vario, Tipografia Economica, Napoli 1892.
8. Cfr. R. Fistola, La città dal filo: il trasporto a fune per la mobilità urbana, in «TeMA», n. 3 settembre 2010, pp. 97-106.
9. A. Avena, Ferrovia del Vomero. Progetto dell’ing. A. Avena, Tip. A. Trani, Napoli 1893.
10. A. Avena, S. Sorrentino, Di una funicolare aerea tra via Roma ed il Corso Vittorio Ema-nuele, Tip. Economica, Napoli 1885.
11. A. Avena, Un funiculaire aérien à Naples, Imprimerie Chaineux, Bruxelles 1886; Id., Funicolare, via Roma-Vomero, Tip. A. Trani Napoli 1889; Id., Rapidissima comunicazione tra la Galleria Umberto I ed il Corso Vittorio Emanuele, Tip. A. Trani Napoli 1889, Id., Di una rapidissima comunicazione tra la Galleria Umberto I ed il Corso Vittorio Emanuele, Tip. A. Trani, Napoli 1890.
12. Id., Funicolare, via Roma-Vomero, cit.
13. Id., Di una rapidissima comunicazione tra la Galleria Umberto I ed il Corso Vittorio Ema-nuele e del completamento dell’angolo Via Roma-Santa Brigida, 1890.
14. Id., Ferrovia elettrica dalla Galleria Umberto I al Vomero, Tip. Trani, Napoli 1890.
15. Il progetto del 1893, premiato con la medaglia d’argento in occasione della Mostra del lavo-ro, ottiene il pieno consenso di Gustave Eiffel che si dispone anche a finanziare l’opera. Per il progetto di aerovia e per l’opera di Avena in generale si veda: A. Gambardella, C. De Falco, Adolfo Avena architetto, Electa Napoli, Napoli 1991.
16. A. Avena, Ferrovia del Vomero, cit.
17. Ibidem.
18. Ibidem.
19. Ibidem.
20. Non sempre i progetti sono accolti con entu-siasmo, venendo generalmente sostenuti da quei tecnici che nella loro realizzazione ve-dono un’ardita sfida della tecnica alla natura. Per cogliere alcuni giudizi formulati all’epoca sui progetti, si veda: G. Pepe, I progetti di ferrovia a trazione funiculare per Napoli, in «Bollettino del Collegio degli ingegneri ed architetti in Napoli», III, ottobre 1885, 19, pp. 147-149. Echi vigorosi di valutazioni negative sono oggi leggibili in R. Varriale, La funicolare aerea a Napoli, in «I frutti di Demetra», n. 5, 2005.
21. R. Amirante, Napoli una città da risalire, in A. Gobbi (a cura di), Risalire la città: Napoli e i suoi Musei dall’Archeologico a Capodimonte, Premio Schindler 1997, Electa, Milano 1998, pp. 26-36.
22. G. Alisio, I collegamenti alternativi: metro-politane, funicolari, ponti aerei, in G. Alisio, E. Corsi, A. De Simone, Napoli: una città che cambia, Guida, Napoli 1992, pp. 35-37.
23. E. R. Autuoro, Progetto di massima per la ferrovia funiculare direttissima via Roma (già Toledo), Corso Vittorio Emanuele, Vomero, Ferdinando Starace, Napoli 1884. Cfr. anche ANIAI, Infrastrutture a Napoli. Progetti dal 1860-1898, ORPI Officina grafica, Napoli 1978.
24. Alla sua realizzazione partecipano l’impresa locale di Gennaro Fermariello, per quel che riguarda le opere civili, e la Società delle Officine Nazionali di Savigliano (SNOS) per ciò che concerne gli impianti tecnologici e le vetture.
25. I lavori, diretti dall’ingegnere Antonio Tallachi-ni, sono condotti dall’impresa Pariboni & Savoia.
26. L’inaugurazione della funicolare di Monte-santo, in «Caporal terribile», 31 maggio 1891, riportato in F. Ogliari, G. Cornolò, Si viaggia… anche all’insù, volume primo (1880-1900), Arcipelago edizioni, Milano 2004.
27. V. Russo, Alle radici di una difficile coesistenza nella città stratificata: elaborazioni e progetti per la Funicolare Centrale e il cinema-teatro Augusteo in Napoli, S. D’Agostino (a cura di), Atti del II convegno di storia dell’ingegneria, Cuzzolin editore, Napoli 2008, pp. 1321-1330, cui si rimanda anche per una bibliografia sull’opera.
28. A una ideazione tutta napoletana, seguirà un’evoluzione segnata dall’influenza stilistica dell’ambiente romano, in quanto la società concessionaria dei lavori, la CERETTI & TAN-FANI, con sede principale a Roma, si servirà inoltre del contributo di tecnici di formazione romana.
29. Come per la funicolare centrale la costruzione dell’impianto è affidata alla Ceretti & Tanfani.
30. G. B. Comencini, N. Daspuro, Chiaja Nova, Melfi & Joele, Napoli 1917.
31. Comune di Napoli, Relazione della Commis-sione per lo studio di un piano regolatore della città, Giannini, Napoli 1927, p. 39.
32. G. Cimmino, M. Franco, G. Russo, A. Sasso, Parco Monte Echia - Piano regolatore e di risanamento di santa Lucia a Monte Echia, Giannini, Napoli 1928.
33. D. Cutolo, Scheda n. 41, in F. Mangone, Chiaja, Monte Echia e Santa Lucia. La Napoli mancata in un secolo di progetti urbanistici, 1860-1958, Grimaldi & C. Editori, Napoli 2009, p. 149.
34. La costruzione è affidata dall’Anas all’Infrasud con una convenzione firmata il 31 gennaio del 1968, in cui è prevista anche la gestione della superstrada da parte della società napoleta-na per trentatre anni.
35. La proposta è stata pubblicata in A. Capasso, A. Niego, E. Vittoria, Lo spazio pedonale e la città, SEN, Napoli 1982.
36. Premio Schindler 1997, bando di concorso, art. 3.
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il ridisegno della città storicaAntonio Francesconi, Luigi Cangiano
La nuova via del Duomo, 1861 veduta da via Foria
G. Riegler, La piazza del Mercatello ed il Museo Nazionale, Stabilimento tipografico del Commend. Gaetano Nobile, Napoli 1866
L. Young, Ferrovia metropolitana e Campi Flegrei, Tipografia Angelo Trani, Napoli 1883
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Municipio di Napoli, Progetto per lo ampliamento della città e risanamento delle zone insalubri. Relazione, R. Stabilimento Tipografico Francesco Giannini & figli, Napoli 1884
M. Serao, Il ventre di Napoli, Treves, Milano 1884
L. Young, Relazione sul progetto di una ferrovia metropolitana: Campi Flegrei e Rione Venezia per la città di Napoli, Tipografia Angelo Trani, Napoli 1884
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A. Avena, Funicolare, via Roma-Vomero, Tip. A. Trani Napoli 1889
A. Avena, Rapidissima comunicazione tra la Galleria Umberto I ed il Corso Vittorio Emanuele, Tip. A. Trani Napoli 1889
A. Avena, Di una rapidissima comunicazione tra la Galleria Umberto I ed il Corso Vittorio Emanuele, Tip. A. Trani, Napoli 1890
A. Avena, Di una rapidissima comunicazione tra la Galleria Umberto I ed il Corso Vittorio Emanuele e del completamento dell’angolo Via Roma-Santa Brigida, 1890
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Bibliografia essenziale (segue a pag. 52)
per gli articoli: Antica ma moderna, Il disegno della forma urbana per Napoli dopo l’Unità › 1861-1961; Napoli, Una città in salita.
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Bibliografia essenziale (segue da pag. 51)
per gli articoli: Antica ma moderna, Il disegno della forma urbana per Napoli dopo l’Unità › 1861-1961; Napoli, Una città in salita.
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Il disegno del fronte mare
«[…] se in Napoli necessitano quartieri speciali pel com-
mercio, sobborghi per le sue industrie nascenti e per of-
frire sane abitazioni alla numerosa classe operaja, neces-
sitano pure quartieri specialmente adatti agli agi delle
sue ricche famiglie e degli stranieri che vengono a sog-
giornarvi ed a spendervi largamente le loro ricchezze […].
Spostare, come se n’ebbe l’idea, per crearvi un nuovo
quartiere la Villa Municipale, questo monumento splen-
dido per natura, che formò delizia di tante generazio-
ni di viaggiatori che la descrissero in tutte le lingue coi
più smaglianti colori, sarebbe opera insensata: fareb-
be perdere alla bella Partenope uno dei punti di vista
più incantevoli che offre attualmente ai viaggiatori pro-
venienti per via di mare: rapirebbe alla celebre Rivie-
ra di Chiaja la sua antica fama, sì giustamente meritata.
Ed infatti, come mai potrà l’uomo creare alcunché di più
bello di questo paradiso lussureggiante, in ogni stagio-
ne, di esotica verdura e di secolari piantagioni; traccia-
to sulla spiaggia della magnifica baja di Mergellina e co-
ronato al disopra dalle colline del Vomero, che si stacca
sì bene sul fondo sempre azzurro del bel cielo di Napoli!
Siccome per aggrandire questo aristocratico quartiere del-
la città, bisogna creare un suolo che or non esiste, così
noi dovremmo per l’appunto pensare allo acquisto d’una
zona di mare fra il Porto Sannazzaro e il Capo di Posillipo».
(G. Dary, J. Laforest, La nuova Napoli. Progetto di nuovi
rioni fra Porto Sannazzaro e la Spiaggia di Coroglio, Stabil.
Tipografico F.ll Ferrante, Napoli 1887, pp. 4-6)
«A sua volta l’ampliamento della magnifica Villa Co-
munale costituirà la più notevole opera del quadrante
sud-ovest, ed esso avrà l’estensione di Ea. 30 circa […].
Non soltanto considerazioni estetiche e panoramiche, alle
quali pur è indispensabile far larga parte nel bonificamen-
to di una città così naturalmente dotata di pittoresche at-
trattive, come la nostra, ci hanno guidati nel progettare
quest’ampliamento, ma anche criteri pratici ed economici.
Avanzando, difatti, gli attuali giardini pubblici (Villa Comu-
nale) verso il mare, mercé un nuovo muro di banchina, in-
stallato col profilo di una nave sopra fondali […], e con la
colmata del largo specchio d’acqua che verrebbe a racchiu-
dersi, colmata da potersi anche eseguire mediante i mate-
riali di rifiuto, prodotto dai tagli, sterri dei nuovi tunnels e
demolizioni per le nuove opere, si presenterebbe al mare
AntologiaLe parole degli architetti
a cura di Gemma Belli
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una costiera convessa anziché concava, come è presente-
mente. E non solo la banchina resisterebbe bene all’urto dei
marosi, impedendo le scomposizioni della via, che adesso
frequentemente si verificano […] [ma] affronterebbe la tra-
versia come le navi, ossia, né di poppa né di prua.
La nuova banchina, poi, spostata molto più esternamente
dell’esistente, formante l’attuale via Caracciolo, offrirebbe
una passeggiata assai più bella, con un orizzonte più aperto
ed un panorama ancor più largo, abbraccianti interamente
le mirabili colline di Posillipo, del Vomero e di Capodimon-
te, sino al Vesuvio, che come un arco luminoso di colori, si
protendono dall’un capo all’altro del nostro magico golfo.
La parte centrale della colmata sarebbe utilizzata mercé
edifici per ritrovi, gallerie, caffè teatri, saloni da concerto e
per forestieri, nonché grandi alberghi e stazioni climatiche
[…] disposti tra amenissimi giardini; mentre altra parte della
Villa ampliata, potrebbe adibirsi a Giardino Zoologico, pres-
so all’Aquarium ecc., rimanendo meglio che raddoppiata la
parte arborata ed a giardini dell’attuale Villa Comunale […].
Né venga ad obiettarsi che la bellezza della Villa Comu-
nale sarebbe sminuita, dalla progettata sistemazione, ché
anzi la sua parte alberata ne risulterebbe grandemen-
te ampliata e la obiezione somiglierebbe troppo a quelle
fatte vari anni or sono al Du Mesnil, che cioè egli profa-
nava con la costruzione di via Caracciolo, la poesia della
spiaggia naturale, e che il tempo provvide a sfatare con
la bella realtà del fatto compiuto. Ora la nostra sistema-
zione accrescerebbe vaghezza a quella amenissima parte
di Napoli, ed arricchendo il panorama di una via larga ol-
tre 50 metri, e con una superficie di circa Ea. 10, quale
risulterebbe la nuova strada litoranea da noi progettata,
il ridisegno della città storicaGiovanni Riegler
La Piazza del Mercatello ed il Museo Nazionale, 1865 veduta prospettica
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contornata di statue ed armonizzata con l’insieme pittore-
sco del luogo, non varrebbe che a rendere la nostra Vil-
la Comunale uno dei più bei giardini pubblici del mondo».
(F. De Simone, Piano regolatore della città di Napoli, 2°
edizione con annesse relazioni delle commissioni inca-
ricate dello studio del Piano Regolatore, Società Editrice
“Dante Alighieri”, Milano-Roma-Napoli 1922, pp. 36-37)
«[…] quello che forse poteva sembrare impossibilità effetti-
va, è invece realtà attuabile. […] il nostro progetto non risol-
ve, soltanto, complessi e non facili problemi cittadini; non
apporta, soltanto dovizia di traffici e ricchezza alla nostra
città, ma rende più viva e fulgida la bellezza del suo pano-
rama, più intimamente carezzevole l’incanto del suo mare.
E il Palazzo Reale, ritornato all’ammirazione del mondo in
tutta la sua mole dalle previste demolizioni che lo isoleran-
no da ogni lato: liberato dalla lunga e deturpante teoria di
fiorite e variopinte tettoie oggi esistenti, s’ergerà più augu-
sto sul nuovo quartiere che in sua vece gli sorgerà ai piedi,
e la sua veduta panoramica sarà resa, non solo più vasta,
ma più bella, più affascinante attraverso terrazze a giardino
dei nuovi fabbricati che gli faranno corona.
E il Maschio Angioino, non più deturpato da obbrobriose ag-
giunzioni, ma riattato, ripristinato nelle sue linee architetto-
niche; superbamente assiso al centro di un’immensa ed al-
berata piazza e quasi signoreggiante nel vago dilagare delle
nuove costruzioni, sarà visibile dai superbi transatlantici e
dalle navi tutte ferme nel porto, in esso entranti o da esso
uscenti, in tutta la sua mole e possanza, dalla base delle sue
controtorri alla cima delle sue torri. E tra lo sfolgorio di luci e
di colori quasi irreale di un paesaggio divino, si imporrà alla
il ridisegno della città storicaGiovanni Riegler
La Piazza del Mercatello ed il Museo Nazionale, 1865 planimetria
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loro ammirazione e sarà, finalmente, ragione di orgoglio e
non più solo di rimpianto pei suoi cittadini e parlerà agli stra-
nieri un linguaggio di forza attuale e non di decadenza, un
linguaggio di vita, viva e possente, e non soltanto vissuta».
(D. e E. Bucci, Progetto relativo alla utilizzazione del Porto
militare e del R. Arsenale di Marina di Napoli, con isola-
mento completo del “Maschio Angioino” e di “Palazzo
Reale”, per la creazione di un moderno porto passeggeri
e di un grande rione edilizio con la soluzione del pro-
blema stradale per congiungere l’oriente con l’occidente
della città, SIEM, Napoli 1924, pp. 18-19).
Risalire la città
«Gli amatori della tenebrosa viabilità s’accontentino pure dei
due trafori di Fuorigrotta, di quelli della Cumana, di quelli del-
le due funicolari del Vomero; vadano a provare emozioni da
minatori in quel pozzo che si chiamerà ascensore di Posillipo;
aspettino l’attuazione della progettata e già concessa rete
metropolitana sotterranea, ma permettano a noi di far tran-
sitare all’aperto, quelli che non avendo gli stessi gusti, sono
costretti, ora, a subire i soli attuali mezzi di comunicazione.
Non si ha in mente di stabilire una concorrenza ai presenti
o futuri modi di locomozione, ma di far accoppiare, per chi
ne avrà vaghezza, alla viabilità rapidissima la festa degli
occhi e la ginnastica dei polmoni. Si vuole non solo met-
tere a profitto la fantastica bellezza di Napoli, col costituire
una passeggiata unica nel mondo pel suo genere e per le
meraviglie che di lassù si godranno; ma anche e anzitutto,
si vuol dotare la città d’un’opera veramente grandiosa, che
farà gustare ed apprezzare allo straniero non soltanto il so-
lito vantato golfo col relativo vulcano, ma i prodotti della
nostra attività, del nostro progresso e della nostra attività,
del nostro progresso della nostra industria.
Quanti artifici si studiano e si mettono in pratica in altre cit-
tà, per covrire con la industre mano dell’uomo, con le me-
raviglie dell’arte e della scienza, le colpe d’una natura ma-
trigna, onde attirare il benefico pellegrinaggio de’ forestieri?
Noi, ricchi, più di cento Cresi, in bellezze naturali, ci siamo,
con manifesta ingratitudine, affannati quasi per celarle a
noi stessi; ci siamo ben provvisti di trafori, per sfuggire for-
se alle carezze del sole; abbiamo creata la stupenda via
dei colli, senza metterla in comunicazione agevole con la
il ridisegno della città storicaNicola Breglia, Giovanni De Novellis
Galleria Principe di Napoli, 1868 prospetti di tre soluzioni per la facciata dell’edificio e lo sbocco di via Bellini
di fronte al Museo
il ridisegno della città storicaAlfredo Cottreau
Progetto per la Galleria Umberto I, 1885 planimetria della galleria
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il ridisegno della città storicaAlfredo Cottreau, Progetto per la Galleria Umberto I, 1885prospettiva esterna della galleria
il ridisegno della città storicaAlfredo Cottreau, Progetto per la Galleria Umberto I, 1885 / interno della galleria
vera città, con la parte produttiva di essa; abbiamo creato
un rione a 200 metri dal livello del mare togliendo dal suo
orizzonte proprio quello che lassù avrebbe dovuto apparte-
nere a tutti. E pensare che a Stoccolma, da più di 5 anni una
birreria posta sul vertice d’una torre metallica di 40 metri,
attira migliaia di persone che di lassù godono lo spetta-
colo di una città sepolta sotto un fitto lenzuolo di neve!
A Londra si è bandito una concorso mondiale pel progetto
d’una torre in ferro, più alta di quella d’Eiffel, con case aeree
di salute, con alberghi, con teatri, con caffè concerti e con
osservatorii, dai quali non si vedrà che nebbia fitta. […] Ciò
che in altre città è scopo, per me è mezzo. All’utile incon-
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testato di avere la stazione pel Vomero, nel centro di via
Roma, e di avere le partenze ogni 10 minuti, si accoppierà il
fascino di una fantastica passeggiata per pedoni, di oltre un
chilometro di lunghezza. Ma il vantaggio principale dell’o-
pera che io, con grande fiducia, affido al giudizio vostro
illuminato, onorevoli consiglieri, è quello di dare al Vomero
una permanente arteria di comunicazione con Napoli […]».
(da A. Avena, Ferrovia del Vomero. Progetto dell’ing. A.
Avena, Tip. A. Trani, Napoli 1893).
Il ridisegno della città antica
«Ho l’onore di presentare il progetto della nuova Via che
non è né, buia, né, tortuosa, e risolve nel tempo stesso il
problema delle comunicazioni e quello non meno impor-
tante del risanamento di tutta la zona […]. La nuova grande
arteria risolverebbe l’eterno problema delle comunicazioni
e dei punti di concestionamento [sic]; dal Museo a Piazza
Plebiscito; assorbendo tutto il traffico proveniente dai co-
muni del nord, dal Vomero e da Capodimonte. Risolverebbe
anche il problema delle comunicazioni con tutta la parte
bassa della Città, a mezzo delle larghe traverse che si apri-
rebbero, a Piazza Dante, a Piazza della Carità a S. Brigida
ed a Via Nardones. […] La nuova luminosa Via panoramica,
sfolgorante di sole, con tutte le caratteristiche moderne di
una grande Metropoli, pulsante di attività, civile, darebbe
aria, luce e vita, alle vie che attraverserebbe, risanando
tutta la zona, con nuove costruzioni igieniche e sontuose,
specialmente nei rioni aristocratici di S. Ferdinando e Chiaia.
La suddetta strada legherebbe logicamente tutti i rio-
ni attraversati da essa. La nuova ampia e bellissima Via
accrescerebbe indubbiamente nuova beltà e gaiezza alla
metropoli dell’Italia meridionale […], imponente e predo-
minante, in tutto il suo magnifico percorso, come la spina
dorsale delle comunicazioni, nella parte elevata di Napoli».
(N. D’Errico, Progetto di una parallela a via Roma, Stabili-
mento tipografico editoriale, Napoli 1936, pp. 5-6)
Parti di città come “città di fondazione”
«Inoltre, v’ha dippiù, questa idea di riunire in felice con-
nubio le bellezze poetiche di Venezia con quelle natura-
li dello incantevole Golfo mi ha sempre sorriso, e mi fa
sperare di aver creato un nuovo tipo di città, nella quale
il ridisegno della città storicaEmmanuele Rocco Progetto per il riordinamento del rione compreso tra le Strade Toledo – S. Brigida – Municipio e S. Carlo, 1885 planimetria del primo e del secondo progetto
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polistutti dovessero aspirare avervi dimora, e che per naturale
conseguenza i suoli edificatori fossero richiesti al punto da
far concorrenza con quelli più ricercati negli altri siti del-
la città. […] Ma se in questo secolo di verismo, le ragioni
ispiratrici dei miei progetti fossero reputate poco poetiche
e poco pratiche, io ho argomenti validissimi per convince-
re questi seguaci del razionalismo, demolitori efferati del
bello artistico, che i miei piani si fondano sopra idee eco-
nomiche le quali resistono ai più fieri attacchi della critica.
[…] E già con la mente io vedo i nuovi edifici, con grandi
cortili interni costruiti, in modo che l’acqua del mare pos-
sa occupare una parte dell’area, disposta preventivamente
a vasca, contornata da strada o da porticato. Veggo l’ac-
qua lambire le maestose scale e permettere l’accesso alle
case in battelli, le cui poppe sfioreranno il marmo degli
scalini; veggo le vasche ridotte facilmente a conserve di
il ridisegno della città storicaEmmanuele Rocco Galleria Umberto I, 1886 planimetria dettagliata delle nuove costruzioni
il ridisegno della città storicaEmmanuele Rocco Variante al progetto della Galleria Umberto I, 1886 dettaglio planimetrico dell’esedra con variante nell’attacco alla chiesa di San Ferdinando
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pesci, che le nobili dame educheranno come tutti gli ani-
mali domestici; veggo queste case irradiate dal sole, riflet-
tere nell’acqua il verde degli attigui giardini e le dolci tinte
de prospetti; veggo i canali ripieni di barche, gondole o
scappavie, mosse da rematori dilettanti e guidate da gentil
giovinette, mentre le lance a vapore, colme di passeggieri,
attraversano i principali canali per recarsi ai Campi Flegrei».
(L. Young, Relazione sul progetto di una ferrovia metro-
politana Campi Flegrei e Rione Venezia per la città di Na-
poli, Napoli 1888, pp. 24, 27)
Città geometrica - città pittoresca
«[…] nei requisiti di una strada non è detto, che per essere
bella e grandiosa debba necessariamente andare in linea
retta. Si può benissimo, a prescindere da questa qualità, ri-
unire in una strada tali caratteri di disposizione e tali acces-
sori di abbellimento, da fare un’opera grandiosa, anche se
il suo andamento non fosse in rettifilo. V’hanno strade, che
percorrendole vi si riconoscono quei pregi, che a giudicarne
dal disegno, sembra dovessero appunto difettarvi; v’hanno
curve stradali, che saltano all’occhio di chi le vede disegnata
in pianta, nel mentre in pratica sfuggono alla osservazione
di quelli stessi che le percorrono. Una strada poi che vada
in rettifilo per circa due chilometri, non presenta ai suoi lati
che una fuga lunghissima di case ed il passante non può su
nessuna di esse fissare il suo occhio, a meno che non faccia
un continuo girare e rigirare del capo; nel mentre delle lar-
ghe e ben sviluppate curve presentano naturalmente allo
sguardo dell’osservatore, come in un diorama, la varietà dei
il ridisegno della città storicaGiovanni Castelli
Via in rettifilo tra San Ferdinando e Santa Caterina a Chiaia, 1888 veduta prospettica del nuovo quadrivio di Santa Caterina a Chiaia
/ farebbe perdere alla bella Partenope uno dei punti di vista più incantevoli che offre attualmente ai viaggiatori provenienti per via di mare /
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successivi prospetti e l’insieme dei singoli fabbricati.
Riconosciuta da tutti la necessità di una grande arteria,
che mettesse in pronta e diretta comunicazione il centro
di Napoli con la stazione ferroviaria e nello stesso tempo
rendesse accessibili quei quartieri, ora segregati e viven-
ti di una vita a parte […] [essa non deve] fissarsi a priori,
né seguire una preconcetta direzione, suggerita sempli-
cemente da idee di simmetria o di regolarità architetto-
nica; essa deve all’opposto sorgere, anzi essere imposta,
dagli urgenti bisogni locali, in modo da distruggere que-
gli inconvenienti, che reclamano un immediato rimedio.
Ora la recente epidemia pur troppo ha impresso nei bassi
quartieri di Napoli le orme del suo passaggio e noi, nel fissare
il cammino che il piccone demolitore dovrà percorrere nella
sua opera, apportatrice di salute a quelle afflitte contrade,
abbiamo preferito seguire quella linea che l’Angelo della
morte ci ha tracciato nella sua opera distruggitrice. È perciò,
che la grande arteria, da noi progettata, non segue un rettifilo,
ma ripiegando in giù con larga curva, taglia proprio attraver-
so la zona più fitta di case e più agglomerata di gente […]».
(Lamont Young, Bonifica del Basso Napoli in relazione col
progetto della Ferrovia metropolitana, Tip. Angeolo Trani,
Napoli 1884, pp. 53-54).
il ridisegno della città storicaFilippo e Filomeno Botta Progetto per la costruzione del nuovo Palazzo di Giustizia in Napoli, 1890 ca. pianta generale e prospetto sul largo della Carità
Parti di città come “città di fondazione”Lamont Young Rione Venezia e Campi Flegrei, 1888 planimetria dei due quartieri e vedute prospettiche del Canale Grande e della grande rotonda antistante il Canale Traforo
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il ridisegno della città storicaNicola D’Errico Progetto di una parallela a via Roma, 1936 veduta a volo d’uccello
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il ridisegno della città storicaCorrado Capocci Progetto di una nuova via tra l’occidente di Napoli e la piazza S. Ferdinando, 1905 veduta prospettica e planimetria
/ Riconosciuta da tutti la necessità di una grande arteria, che mettesse in pronta e diretta comunicazione il centro di Napoli con la stazione ferroviaria /
Franco Manfredi Urbanesimo razionale, 1930 veduta della prima versione progettuale
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Franco Manfredi Urbanesimo razionale, 1930 veduta prospettica dell’ultima versione progettuale
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Parti di città come “città di fondazione”Piero Paolo Quaglia, Vincenzo Benvenuti
Progetto di bonifica del Largo Carità e del Rione Montecalvario, 1888
pianta dei piani per abitazione e prospettiva
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Il rapporto tra la città costruita e la città assente, quella
dei miti consumati nelle sue viscere e nelle sue acque,
ma anche della città possibile, quella città che non è sta-
ta o non è potuta essere, all’interno di un arco temporale
decisivo per i destini futuri di Napoli quale è il periodo che
va dalla fine del Settecento alla prima metà del Novecento,
si pone quale momento pregnante alfine di ricostituire il
fondamentale equilibrio tra la vicenda storica, la tradizione
culturale e la condizione fattuale.
Nonostante gli interventi per la realizzazione della Villa Re-
ale e la pubblicazione nel 1789 del “Saggio sull’abbellimen-
to di cui è capace la città di Napoli” da parte di Vincenzo
Ruffo, nel quale si indica una serie sistematica di interventi
volti a migliorare in una visione unitaria il tessuto della città,
si può dire che il Settecento non abbia prodotto grandi tra-
sformazioni. Bisogna, infatti, attendere il secolo successivo
per poter assistere ad operazioni di radicale ristrutturazione
non solo urbanistica, ma anche politica ed amministrativa.
In particolare dopo il 1860, anno dell’Unità d’Italia, si ini-
ziano a definire le linee programmatiche di intervento sulla
città e viene ufficialmente enunciata l’esigenza dello svi-
luppo ad oriente dei quartieri operai e della zona portua-
le ed industriale e delle localizzazioni ad occidente degli
insediamenti residenziali lungo il litorale di Chiaia. Questi
intenti vengono riaffermati anche dal decreto di Garibaldi
del settembre del 1860 che introdusse il principio nuovo
ed essenziale della facoltà di esproprio per pubblica utilità,
principio che avrebbe generato il criterio della “concessione”
da parte del Comune o di altro Ente pubblico a favore di
imprese private.
Tale situazione determina, da un lato, la ricerca di aree edi-
ficabili o trasformabili o addirittura occupabili, come il caso
delle colmate a mare, e dall’altro il proliferare di numerosi
Il disegno possibile
/ Riccardo Floriodisegni / Riccardo Florio, Alma Esposito
continua a pagina 70.
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Lamont Young Bonifica del basso Napoli in relazione con il progetto della ferrovia metropolitana, 1884
Federico Schiavoni Pianta della Città di Napoli, 1863-1880stralcio planimetrico
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Situazione attuale base aerofotogrammetrica STR, levata 1975, aggiornamento 1998
Ideogramma di confronto
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progetti e proposte per la città. La maggior parte di questi
progetti risulteranno confinati nella dimensione dell’utopia
in una fase temporale che, votata allo sperimentalismo,
non mancherà di stimolare le trasformazioni successive, so-
prattutto per la quantità delle proposte che talvolta si fanno
minuziose, attente e straordinariamente innovative, ma che
non riescono a vincere le diffidenze della opinione pubblica,
le lungaggini burocratiche e la miopia delle amministrazio-
ni, rimanendo quasi sempre sulla carta.
Francesco De Simone Piano Regolatore della città di Napoli, 1917
Federico Schiavoni Pianta della Città di Napoli, 1863-1880stralcio planimetrico
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Sono tuttavia, e senza eccezioni, da considerarsi parte in-
tegrante della vicenda urbanistica di Napoli sia per la loro
carica anticipatrice sia per la convergenza di idee sul desti-
no della città, e tali da assumersi come parametri rispetto
ai quali, ancora oggi, vanno riferiti e riconsiderati i principi
ispiratori per una rilettura critica delle sua parabola storica
e per la promozione di una azione di rigenerazione urbana
votata alla qualità ed alla sostenibilità.
Situazione attuale base aerofotogrammetrica STR, levata 1975, aggiornamento 1998
Ideogramma di confronto
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Giovanni Battista Comencini, Nicola Daspuro Chiaja nova, 1917
Federico Schiavoni Pianta della Città di Napoli, 1863-1880stralcio planimetrico
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Situazione attuale base aerofotogrammetrica STR, levata 1975, aggiornamento 1998
Ideogramma di confronto
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Giovanni Riegler La Piazza del Mercatello ed il Museo Nazionale, 1865
Federico Schiavoni Pianta della Città di Napoli, 1863-1880stralcio planimetrico
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Situazione attuale base aerofotogrammetrica STR, levata 1975, aggiornamento 1998
Ideogramma di confronto
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Nicola D’Errico Progetto di una parallela a via Roma, 1936
Rilievo aerofotogrammetrico STR › Metodo Nistri, volo 1959, ricognizione 1960stralcio planimetrico
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Situazione attuale base aerofotogrammetrica STR, levata 1975, aggiornamento 1998
Ideogramma di confronto
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Luigi Cosenza Piano di ricostruzione dei quartieri Porto, Mercato, Pendino, 1946
Rilievo aerofotogrammetrico STR Metodo Nistri, volo 1959, ricognizione 1960stralcio planimetrico
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Situazione attuale base aerofotogrammetrica STR, levata 1975, aggiornamento 1998
Ideogramma di confronto
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Il moderno Ordine degli architetti raccoglie, in maniera
tanto diretta quanto indiretta, tradizioni secolari che han-
no a che fare con questa antica professione. Infatti, si può
dire che già le corporazioni medievali avessero tra i propri
obiettivi quello di garantire la continuità dei saperi, difen-
dere le prerogative della categoria e fornire mutuo soccorso
ai tecnici.
In senso stretto però, la costituzione dell’Ordine degli ar-
chitetti consegue a un lungo dibattito soprattutto ottocen-
tesco e novecentesco, incentrato su alcuni temi specifici, e
su alcune esigenze differenti: per un verso sull’opportunità
di garantire alla società il necessario retroterra culturale a
quanti si avventurassero alla professione, mediante ade-
guati criteri di verifica; dall’altro sulla necessità di tutelare
i professionisti in alcuni diritti fondamentali, in una fase di
rapida crescita e trasformazione. Il processo, naturalmente,
riguarda in termini differenti tutta l’Europa e anche l’Italia
post-unitaria, ma val la pena di segnalare alcune peculiarità
della situazione napoletana.
Nell’ambito degli stati pre-unitari, il Regno delle Due Sici-
lie era stato relativamente precoce nella costituzione di un
albo degli architetti, che peraltro venne messo a stampa
in una rara edizione del 1842, limitato ai professionisti che
esercitavano il ruolo di consulenti o periti nelle controversie
giudiziarie. Con l’Unità si faticò parecchio prima di distingue-
re gli architetti dagli ingegneri, a causa dell’estensione della
legge Casati all’intero territorio nazionale. A lungo, mentre
i diplomi delle tradizionali scuole di Architettura nelle Ac-
cademie non avevano riconoscimento legale, la laurea pro-
fessionalizzante in Architettura veniva rilasciata dalle stesse
scuole Politecniche che concedevano quella appunto in In-
gegneria. Il compito di difendere il ruolo professionale e con
esso la cultura del progetto di qualità fu affidato soprattutto
a libere associazioni. Particolarmente attiva nel prefigurare
competenze che saranno proprie degli Ordini fu quella degli
Ingegneri e degli Architetti, che pose importanti questioni
attraverso i suoi prestigiosi convegni, tra cui quello tenuto
a Napoli nel 1879.
Fu dalle battaglie di una libera associazione, degli Architetti
accademici, presieduta da Raimondo D’Aronco che fu anche
docente della scuola napoletana di architettura, che nac-
quero a valle della prima guerra mondiale le nuove Scuole
superiori, poi Facoltà, di architettura. I relativi laureati, in-
sieme agli architetti che svolgevano da oltre dieci anni at-
tività, vennero riconosciuti dalla legge 1395 del 24 giugno
1923 sulla Tutela del titolo e dell’esercizio della professione
degli ingegneri e degli architetti. Nascono così gli Albi a
cui possono iscriversi, dopo esame di abilitazione, anche i
professionisti che hanno esercitato “lodevolmente” attività
documentata ultradecennale. L’obbligatorietà dell’iscrizione
all’Albo sarà sancita solo in seguito con la legge 897 del
1938. Nel 1926 si era intanto costituito il Sindacato degli
architetti, che presto verrà - come tutti i sindacati - fascistiz-
zato, e chiamato ad assumere le competenze dell’Ordine.
Solo nel 1944 il decreto legge n. 382, con cui vengono rego-
lamentati e ricostituiti gli Ordini e i Collegi professionali, sta-
bilirà nuove norme circa i Consigli degli Ordini e dei Collegi.
Il 1944 è, anche, l’anno di istituzione dell’Ordine degli Ar-
chitetti della Campania. È datata 27 marzo, infatti, la let-
tera inviata al Governo Militare Alleato, in cui viene fatta
richiesta di riconoscimento dell’Albo per la tutela morale,
professionale e giuridica della categoria degli architetti. Il
primo Consiglio, eletto proprio in quell’anno, si insedia nella
storica sede dell’Ordine, in via Medina, teatro del lavoro
quotidiano ininterrottamente fino al 2003, anno del trasfe-
rimento in piazzetta Matilde Serao.
Gli architetti di Napoli e ProvinciaDocumenti per la storia di un Ordine professionale
/ Fabio Mangone
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Appendice
Albo degli architetti presso le Gran Corti Civili de’ Reali dominii al di qua del Faro autorizzati ad essere adoperati nelle perizie giudiziali per nomine ottenute a tutto l’anno 1842, Napoli 1842A Napoli, molto prima che in altri contesti, viene creato un albo degli architetti autorizzati ad esercitare presso le Corti Civili. Il primo albo a stampa è del 1842: nella sola città si contano 268 architetti.
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Lettera del Presidente del Senato del Regno Tommaso Tittoni al Presidente dell’Associazione Nazionale Allievi ArchitettiRaimondo D’Aronco, 27 marzo 1923
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1944Presidente Roberto Pane
Segretario Filippo Mollica
Consiglieri Vincenzo Gentile
Wladimiro Nespoli
Mario Russo
Giovanni Sepe
1945-1947
Presidente Roberto Pane
Segretario Vincenzo Cocozza
Consiglieri Renato Cozzi
Vincenzo Gentile
Alberto Sanarica
Cesare Ziino
1947-1949
Presidente Roberto Pane
Segretario Daniele Ruggiero
Tesoriere Vincenzo Cocozza
Consiglieri Renato Avolio De Martino
Ugo Cacciapuoti
Michele Cretella
Antonio Monizzi
1949-1951Presidente Ferdinando Chiaromonte
Segretario Ugo Cacciapuoti
Tesoriere Arrigo Marsiglia
Consiglieri Renato Avolio De Martino
Marcello Canino
Michele Cretella
Roberto Pane
1951-1953Presidente Roberto Pane
Segretario Elio Lo Cicero
Tesoriere Arrigo Marsiglia
Consiglieri Marcello Canino
Ferdinando Chiaromonte
Giuseppe Cotugno
Vincenzo Gentile
1953-1955Presidente Ferdinando Chiaromonte
Segretario Gustavo De Belvis
Tesoriere Elio Lo Cicero
Consiglieri Renato Chiurazzi
Vincenzo Gentile
Carlo Migliardi
Giovanni Sepe
1956-1958Presidente Ferdinando Chiaromonte
Segretario Arrigo Marsiglia
Tesoriere Elio Lo Cicero
Consiglieri Michele Capobianco
Renato Chiurazzi
Elio Lo Cicero
Massimiliano Nunziata
1960-1962Presidente Ferdinando Chiaromonte
Segretario Alfredo Sbriziolo
Tesoriere Marcello Sfogli
Consiglieri Michele Capobianco
Ezio De Felice
Elio Lo Cicero
Arrigo Marsiglia
1962-1964Presidente Arrigo Marsiglia
Segretario Renato Cozzi
Tesoriere Elio Micillo
Consiglieri Raffaele Aletta
Elio Lo Cicero
Arturo Rigillo
Giuseppe Rubino
1964-1965Presidente Arrigo Marsiglia
Segretario Renato Cozzi
Tesoriere Arturo Rigillo
Consiglieri Vincenzo Ceraldi
Elio Lo Cicero
Massimo Rosi
Giuseppe Rubino
i Consigli dell’Ordinedal 1944
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1966-1968Presidente Arrigo Marsiglia
Segretario Renato Cozzi
Tesoriere Arturo Rigillo
Consiglieri Michele Cennamo
Vincenzo Ceraldi
Massimo Pica Ciamarra
Massimo Rosi
Giuseppe Rubino
Franco Sbandi
1966-1968Presidente Arrigo Marsiglia
Segretario Renato Cozzi
Tesoriere Arturo Rigillo
Consiglieri Michele Cennamo
Vincenzo Ceraldi
Massimo Pica Ciamarra
Massimo Rosi
Giuseppe Rubino
Franco Sbandi
1968-1970Presidente Stefano Paciello
Segretario Alfonso Gambardella
Tesoriere Michele Cennamo
Consiglieri Antonio Capobianco
Giovanni Cerami
Gerardo Mazziotti
Massimo Pica Ciamarra
Franco Sbandi
Marcello Sfogli
1970-1972Presidente Stefano Paciello
Segretario Alfonso Gambardella
Tesoriere Michele Cennamo
Consiglieri Antonio Capobianco
Giovanni Cerami
Giuseppe Esposito
Gerardo Mazziotti
Massimo Pica Ciamarra
Nicola Vizzino
1972-1974Presidente Eirene Sbriziolo
Segretario Nicola Vizzino
Tesoriere Claudio Scepi
Consiglieri Vincenzo Borrelli
Michele Cennamo
Mario Coletta
Alfonso Gambardella
Massimo Pica Ciamarra
Franco Zoleo
1974-1976Presidente Alfonso Gambardella
Segretario Michele Cennamo
Tesoriere Claudio Scepi
Consiglieri Franco Cassese
Giovanni De Lillo
Lucio Morrica
Mario Rispoli
Giuseppe Rubino
Franco Zoleo
1976-1978Presidente Alfonso Gambardella
Segretario Michele Cennamo
Tesoriere Luigi Palomba
Consiglieri Franco Cassese
Giovanni De Lillo
Lucio Morrica
Livio Talamona
Mario Rispoli
Franco Zoleo
1978-1980Presidente Alfonso Gambardella
Segretario Franco Zoleo
Tesoriere Luigi Palomba
Consiglieri Vittorio Berruti
Vincenzo Caruso
Franco Cassese
Vladimiro D’Agostino
Giovanni De Lillo
Raffaela Giannattasio
Franco Lista
Francesco Marino
Lucio Morrica
Vincenzo Perrone
Enrico Petti
Mario Rispoli
1980-1982Presidente Alfonso Gambardella
Segretario Franco Zoleo
Tesoriere Vincenzo Perrone
Consiglieri Vincenzo Caruso
Franco Cassese
Vincenzo Castaldo
Vladimiro D’Agostino
Giovanni De Lillo
Paola Giannetti
Franco Lista
Francesco Marino
Lucio Morrica
Enrico Petti
Antonio Rigillo
Giuseppe Striano
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1982-1984Presidente Antonio Rigillo
Segretario Vincenzo Perrone
Tesoriere Francesco Marino
Consiglieri Francesco Amodio
Franco Cassese
Vincenzo Castaldo
Maurizio Conte
Paola Giannetti
Romano Lanini
Franco Lista
Lucio Morrica
Luciano Palmesano
Enrico Petti
Vincenzo Salzano De Luna
Franco Zoleo
1984-1986Presidente Franco Zoleo
Segretario Vincenzo Perrone
Tesoriere Paola Giannetti
Consiglieri Francesco Amodio
Franco Cassese
Paolo Cortese
Bruno Fiorentino
Franco Lista
Beatrice Melis
Lucio Morrica
Luciano Palmesano
Silvana Pane
Paola Pignalosa
Paolo Pisciotta
Paola Pozzi
1986-1988Presidente Luciano Palmesano
Segretario Vincenzo Perrone
Tesoriere Paola Giannetti
Consiglieri Francesco Bruno
Franco Cassese
Bruno Fiorentino
Giuseppe Gravagnuolo
Mario Iacobelli
Franco Lista
Beatrice Melis
Lucio Morrica
Silvana Pane
Paolo Pisciotta
Paola Pozzi
Franco Zoleo
1988-1990Presidente Vincenzo Perrone
Segretario Luciano Palmesano
Tesoriere Onorato Visone
Consiglieri Gaetano Borrelli Rojo
Francesco Cassano
Carlo Coppola
Stefano De Pertis
Paola Giannetti
Mario Iacobelli
Beatrice Melis
Nicola Mezzasalma
Paolo Pisciotta
Carlo Pizzonia
Raffaele Sirica
1990-1992Presidente Gaetano Borrelli Rojo
Vice Pres. Raffaele Sirica
Segretario Paolo Pisciotta
Tesoriere Onorato Visone
Consiglieri Marisa Emilia Bonelli
Carlo Coppola
Paola Giannetti
Benedetto Gravagnuolo
Beatrice Melis
Nicola Mezzasalma
Nicola Pagliara
Luciano Palmesano
Vincenzo Perrone
Carlo Pizzonia
Gennaro Polichetti
1992-1994Presidente Onorato Visone
Vice Pres. Franco Cassese
Vice Pres. Raffaele Sirica
Segretario Luciano Palmesano
Tesoriere Beatrice Melis
Consiglieri Marisa Emilia Bonelli
Carlo Coppola
Pio Crispino
Loredana Dell’Isola
Benedetto Gravagnuolo
Bruno Montefusco
Vincenzo Perrone
Paolo Pisciotta
Gennaro Polichetti
1992-1994Presidente Raffaele Sirica
Vice Pres. Francesco Cassano
Vice Pres. Franco Cassese
Segretario Paolo Pisciotta
Tesoriere Beatrice Melis
Consiglieri Francesco Bocchino
Gaetano Borrelli Rojo
Michele Cennamo
Carlo Coppola
Pio Crispino
F. Mangoni di Santo Stefano
Benedetto Gravagnuolo
Bruno Montefusco
Vincenzo Perrone
Paolo Pisciotta
Gennaro Polichetti
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1995-1997Presidente Raffaele Sirica
Vice Pres. Francesco Cassano
Vice Pres. Franco Cassese
Segretario Paolo Pisciotta
Tesoriere Beatrice Melis
Consiglieri Francesco Bocchino
Gaetano Borrelli Rojo
Michele Cennamo
Carlo Coppola
Pio Crispino
F. Mangoni di Santo Stefano
Luciano Palmesano
Vincenzo Perrone
Onorato Visone
Franco Zoleo
1997-1999Presidente Paolo Pisciotta
Vice Pres. Francesco Bocchino
Vice Pres. Beatrice Melis
Segretario Francesco Cassano
Tesoriere Fulvio Ricci
Consiglieri Michele Cennamo
Vincenzo Corvino
Pio Crispino
Pasquale De Masi
Ermelinda Di Porzio
F. Mangoni di Santo Stefano
Antonella Palmieri
Gennaro Polichetti
Onorato Visone
1999-2001Presidente Paolo Pisciotta
Vice Pres. Francesco Bocchino
Vice Pres. Beatrice Melis
Segretario Gennaro Polichetti
Tesoriere Pasquale De Masi
Consiglieri Francesco Cassano
Michele Cennamo
Vincenzo Corvino
Pio Crispino
Ermelinda Di Porzio
F. Mangoni di Santo Stefano
Antonella Palmieri
Fulvio Ricci
Onorato Visone
Antonio Zehender
2001-2005Presidente Paolo Pisciotta
Vice Pres. Ermelinda Di Porzio
Vice Pres. Antonella Palmieri
Segretario Gennaro Polichetti
Tesoriere Gerardo Cennamo
Consiglieri Francesco Bocchino
(dimesso nel 2001)
Francesco Cassano
Vincenzo Corvino
Pio Crispino
Giancarlo Graziani
Beatrice Melis
Gennaro Napolitano
Fulvio Ricci
Onorato Visone
Antonio Zehender
2005-2009Presidente Paolo Pisciotta
(Eletto al CNA luglio 2009)
Pres. Onorario Onorato Visone
Segretario Gennaro Polichetti
(Presidente da luglio 2009)
Tesoriere Gerardo Cennamo
Vice Pres. Vincenzo Corvino
Vice Pres. Pio Crispino
Vice Pres. Giancarlo Graziani
Vice Pres. Beatrice Melis
Vice Pres. Luca Modestino
(eletto nella sez. B dell’Albo)
Vice Pres. Gennaro Napolitano
Vice Pres. Antonio Zehender
Consiglieri Francesco Cassano
Ermelinda Di Porzio
(segretario da luglio 2001)
Antonella Palmieri
Vincenzo Perrone
(subentrato ad Onorato Visone)
Fulvio Ricci
Onorato Visone
(deceduto nell’agosto 2006)
2009-2011Presidente Gennaro Polichetti
Vice Pres. Gerardo Cennamo
Vice Pres. Pio Crispino
Segretario Ermelinda Di Porzio
Tesoriere Gennaro Napolitano
(deceduto nel febbraio 2011)
Consiglieri Francesco Cesaro
(Tesoriere dal febbraio 2011)
Vincenzo Corvino
Maria D’Elia
Riccardo Florio
(subentrato a Gennaro Napolitano)
Giancarlo Graziani
Silvana Manzo
Vincenzo Meo
Antonella Palmieri
Fulvio Ricci
Simona Servodidio
(eletta nella sez. B dell’Albo)
Salvatore Visone
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