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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 1 PONTIFICIA FACOLTÀ TEOLOGICA DELL‟ITALIA MERIDIONALE SEZ. SAN TOMMASO D‟AQUINO Q 233 Esegesi del NT/3: Opera Giovannea e Lettere cattoliche. Prof. Gaetano Castello Anno Acc. 2009-2010 I Semestre: Mercoledì e Giovedì ore 11,05-12,45 Programma: Il corso ha lo scopo di introdurre lo studente alla conoscenza delle principali questioni storico letterarie per una lettura criticamente fondata dell’opera giovannea e delle lettere cattoliche. Alle introduzioni letteraria e teologica al IV Vangelo e alle lettere di Giovanni seguir{ perciò l’esegesi di passi scelti che saranno affrontati a partire dal testo greco. Lo studio esegetico si avvarrà principalmente del metodo storico-critico e dell’analisi narrativa segnalando altri approcci praticati attual mente dagli studiosi; si intende così offrire un quadro dei principali approcci metodologici al testo neotestamentario. Lo studente verrà inoltre avviato alla consultazione delle principali opere esegetiche della tradizione cristiana antica e recente fornendo la strumentazione di base per lo studio della teologia. Argomenti Il Corpus Johanneum e le altre lettere “cattoliche” Introduzione generale al IV Vangelo Introduzione storica al IV Vangelo: l’ipotesi di R.E.Brown e ipotesi attuali Formazione e struttura del IV Vangelo Gv 1,1-18 Il Prologo struttura esegesesi e teologia La sezione Gv 2-4 Da Cana a Cana Gv 2,1-11 Cana di Galilea esegesesi e teologia Gv 4: La Samaritana esegesesi e teologia Introduzione ai cpp. 5-12: la tensione con “i giudei”. Antigiudaismo giovanneo? Gv 6: il grande discorso a Cafarnao sul pane di vita Introduzione a Gv 13-17 Gv 10,1-21: esercitazione in aula per l’analisi esegetica del brano del Buon Pastore Gv 13 lettura esegetico-teologica Gv 14 lettura esegetico-teologica Gv 15-16 lettura esegetico-teologica Gv 18-20 Passione morte e risurrezione secondo Giovanni Gv 18, 33-37 Davanti a Pilato; Introd. ai racconti di risurrezione Intoduzione all’Apocalisse di Giovanni Approfondimenti Legge/Torah nel IV Vangelo “dialogo nel IV Vangelo” linguaggio della salvezza nel IV Vangelo “Vita” nel IV Vangelo Bibliografia essenziale: CASALEGNO A., “Perché contemplino la mia gloria” (Gv 17,24). Introduzione alla teologia del Vangelo di Giovanni, ed. San Paolo, Alba (Cuneo) 2006; GHIBERTI G. e coll., Opera Giovannea, ElleDiCi, Leumann (To) 2003; TUÑÌ J.O. ALEGRE X., Scritti giovannei e lettere cattoliche, Paideia, Brescia1997; SANT’AGOSTINO, Commento al Vangelo e alla prima epistola di San Giovanni, traduzione e note di Gandolfo E. (Nuova Biblioteca Agostiniana), Città Nuova, Roma 1968; MANNUCCI V., Giovanni il Vangelo narrante. Introduzione all’arte narrativa del quarto vangelo, Dehoniane, Bologna 1993, ristampa 1997; SCHNACKENBURG R., Il Vangelo di Giovanni, 4 voli., Paideia, Brescia 1973-1987; G. BIGUZZI, Apocalisse, Nuova versione introduzione e commento, Paoline, Milano 2005. N.B. Per l’esame, oltre alle lezioni svolte in aula e ai relativi approfondimenti personali (con indicazioni bibliografiche), sarà richiesto lo studio di una introduzione generale all’opera giovannea e alle lettere cattoliche (dalla Bibliografia generale)

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PONTIFICIA FACOLTÀ TEOLOGICA DELL‟ITALIA MERIDIONALE SEZ. SAN TOMMASO D‟AQUINO

Q 233 Esegesi del NT/3: Opera Giovannea e Lettere cattoliche.

Prof. Gaetano Castello Anno Acc. 2009-2010 I Semestre: Mercoledì e Giovedì ore 11,05-12,45

Programma: Il corso ha lo scopo di introdurre lo studente alla conoscenza delle principali questioni storico letterarie per una lettura criticamente fondata dell’opera giovannea e delle lettere cattoliche. Alle introduzioni letteraria e teologica al IV Vangelo e alle lettere di Giovanni seguir{ perciò l’esegesi di passi scelti che saranno affrontati a partire dal testo greco. Lo studio esegetico si avvarrà principalmente del metodo storico-critico e dell’analisi narrativa segnalando altri approcci praticati attualmente dagli studiosi; si intende così offrire un quadro dei principali approcci metodologici al testo neotestamentario. Lo studente verrà inoltre avviato alla consultazione delle principali opere esegetiche della tradizione cristiana antica e recente fornendo la strumentazione di base per lo studio della teologia. Argomenti Il Corpus Johanneum e le altre lettere “cattoliche” Introduzione generale al IV Vangelo Introduzione storica al IV Vangelo: l’ipotesi di R.E.Brown e ipotesi attuali Formazione e struttura del IV Vangelo Gv 1,1-18 Il Prologo struttura esegesesi e teologia La sezione Gv 2-4 Da Cana a Cana Gv 2,1-11 Cana di Galilea esegesesi e teologia Gv 4: La Samaritana esegesesi e teologia Introduzione ai cpp. 5-12: la tensione con “i giudei”. Antigiudaismo giovanneo? Gv 6: il grande discorso a Cafarnao sul pane di vita Introduzione a Gv 13-17 Gv 10,1-21: esercitazione in aula per l’analisi esegetica del brano del Buon Pastore Gv 13 lettura esegetico-teologica Gv 14 lettura esegetico-teologica Gv 15-16 lettura esegetico-teologica Gv 18-20 Passione morte e risurrezione secondo Giovanni Gv 18, 33-37 Davanti a Pilato; Introd. ai racconti di risurrezione Intoduzione all’Apocalisse di Giovanni

Approfondimenti Legge/Torah nel IV Vangelo “dialogo nel IV Vangelo” linguaggio della salvezza nel IV Vangelo “Vita” nel IV Vangelo

Bibliografia essenziale: CASALEGNO A., “Perché contemplino la mia gloria” (Gv 17,24). Introduzione alla teologia del Vangelo di Giovanni, ed. San Paolo, Alba (Cuneo) 2006; GHIBERTI G. e coll., Opera Giovannea, ElleDiCi, Leumann (To) 2003; TUÑÌ J.O. –ALEGRE X., Scritti giovannei e lettere cattoliche, Paideia, Brescia1997; SANT’AGOSTINO, Commento al Vangelo e alla prima epistola di San Giovanni, traduzione e note di Gandolfo E. (Nuova Biblioteca Agostiniana), Città Nuova, Roma 1968; MANNUCCI V., Giovanni il Vangelo narrante. Introduzione all’arte narrativa del quarto vangelo, Dehoniane, Bologna 1993, ristampa 1997; SCHNACKENBURG R., Il Vangelo di Giovanni, 4 voli., Paideia, Brescia 1973-1987; G. BIGUZZI, Apocalisse, Nuova versione introduzione e commento, Paoline, Milano 2005.

N.B. Per l’esame, oltre alle lezioni svolte in aula e ai relativi approfondimenti personali (con indicazioni bibliografiche), sarà richiesto lo studio di una introduzione generale all’opera giovannea e alle lettere cattoliche (dalla Bibliografia generale)

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Bibliografia più citata durante le lezioni

indicazioni bibliografiche essenziali di preferenza in traduzione italiana 1. INTRODUZIONI GENERALI (oltre a quelle incluse nei commentari) COTHENET E., «Il quarto Vangelo», in A. GEORGE - P. GRELOT, Introduzione al nuovo Testamento V: La tradizione

Giovannea, Borla, Roma 1978, 85-272 e 276-301 (Bibliografia). COTHENET E., «Il Vangelo secondo San Giovanni», in Gli scritti di San Giovanni e la Lettera agli Ebrei, (Piccola

enciclopedia biblica 10), Borla, Roma 1985, 11-162. MAZZEO M., Vangelo e lettere di Giovanni. Introduzione, esegesi e teologia, Paoline, Milano 2007. PANIMOLLE 5., L 'evangelista Giovanni. Pensiero e opera letteraria del quarto Vangelo, Borla, Roma 1985. SEGALLA G., «Giovanni (Vangelo di)», in Nuovo dizionario di teologia Biblica, Paoline, Milano 1988, 666-673. 2. COMMENTARI ANTICHI CIRILLO DI ALESSANDRIA, Commento al Vangelo di Giovanni, trad., intr. E note a cura di Luigi Leone, 3 voll., (collana

di Testi patristici diretta da Antonio Quacquarelli) città nuova editrice, Roma 1994 (coll. Capodimonte A.24.111/112/113).

ORIGENE, Commento al Vangelo di Giovanni, UTET, Torino 1968. SAN BONAVENTURA, Commento al vangelo di San Giovanni, (collana Opere di San Bonaventura), 2 voll.,Città Nuova,

Roma 1990. 1991; ( coll. Capodimonte A.20.3. 7/1-2). TEODORO DI MOPSUESTIA, Commentario al Vangelo di Giovanni, Borla, Roma 1991. S. TOMMASO D’AQUINO, Commento al Vangelo di San Giovanni, I-IV, Città Nuova, Roma 1990. 3. COMMENTARI MODERNI BARRET C.K., The Gospel according to St. John, SPCK, London 1985 (I ed. 1955). BEASLEY-MURRAY G.R., John, (Word biblical commentary 36), Word, Dallas 1987. BLANCK J., Das Evangelium nach Johannes, 4 voli. Patmos, Dùsseldorf 1977-1981; versione inglese, The Gospel

according to John, 3 voli., Crossroad, New York 1981; versione spagnola, EI Evangelio segun San Juan, 4 voli., Herder, Barcelona 1979-1984.

BOISMARD M.E. - LAMOUILLE A., L Èvangile de Jean. Commentaire: Synopse des quatres évangiles en franais III, Du Cerf, Paris 1977.

BROWN R.E., Giovanni. Commento al Vangelo spirituale, Cittadella, Assisi 1979. BULTMANN R., Das Evangelium des Johannes, Göttingen, 1941; + supplemento del 1966: The Gospel of John,

Oxford 1971. FABRIS R., Giovanni (traduzione e commento), Borla, Roma 1992. GNILKA J., Johannesevangelium, (Neue Echter Bible), Echter, Wùrzburg 1983. HÄNCHEN E., Das Johannesevangelium. Ein Kommentar, Mohr, Tübingen 1980; versione inglese, A Commentary of

the Gospel of John, 2 voli., Fortress, Philadelphia 1984. LACONI M., Il racconto di Giovanni, Cittadella, Assisi 1989. LÉON-DUFOUR X., Lecture de lÈvangile selon Jean I: Chapitres 1-411: Chapitres 5-12, Du Seuil, Paris 1988-1990; tr.

it. Lettura del Vangelo secondo Giovanni, I, (cc. 1-4); Il (cc. 5-12), Paoline, Roma 1990-1992. MAGGIONI B., «Il Vangelo di Giovanni», in I Vangeli, a cura di G. BARBAGLIO - li. FABRI5 - M. MAGGIONI,

Cittadella, Assisi 1975. MATEOS J. - BARRETO J., Il Vangelo di Giovanni. Analisi linguistica e commento esegetico, Cittadella, Assisi 1982. PANIMOLLE S., Lettura pastorale del Vangelo di Giovanni, 3 voli., Dehoniane, Bologna 1978-1984. STRATHMANN H., Il Vangelo secondo Giovanni, Paideia, Brescia 1973. VAN DEN BUSSCHE H., Giovanni. Commento al Vangelo spirituale, Cittadella, Assisi 1970. ZEVINI G., Vangelo secondo Giovanni, 2 voli., Città Nuova, Roma 1984-1987. 4. ALTRE OPERE BARRET C.K., Il Vangelo di Giovanni fra simbolismo e storia, Claudiana, Torino 1983. BONNARD P., “Contemplation johannique et mystique hellénistique”, in La notion biblique de Dieu. Le Dieu de la

Bible et le Dieu des Philosophes, a cura di J. Coppens, (Bibliotheca Ephem. Theol. Lov. 41), Peeters, Leuven 1976, 351-360.

BRAUN F.M., Jean le théologien III/1: Le mystère de Jesus Christ, Gabalda, Paris 1966; III/2: Le Christ, notre Seigneur hier, aujourd'hui, toujours, Gabalda, Paris 1972.

BROWN R.E., La comunità del discepolo prediletto, Cittadella, Assisi 1982. BULTMANN R., Teologia del Nuovo testamento, Queriniana, Brescia 1985.

CULPEPPER R.A., Anatomy of the Fourth Gospel. A Study in Literary Design, Foortress, Philadelphia (1981) 31989.

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 3

DE LA POTTERIE I., “Cristologia di Pneumatologia in San Giovanni”, in Bibbia e Cristologia a cura della PONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA, Paoline, Milano 1987, 275-291.

DE LA POTTERIE I., La verité dans Saint Jean I-Il, (Analecta Biblica 73-74), PIB, Roma 1977

DE LA POTTERIE I., Studi di cristologia giovannea, Marietti, Genova 21986. DODD C.H., L'interpretazione del quarto Vangelo, Paideia, Brescia 1974. FABRIS R., «Messaggio teologico e spirituale del quarto Vangelo», in Giovanni, Borla, Roma 1992, 87-105. GHIBERTI G., Spirito e vita cristiana in Giovanni, (Studi Biblici 84), Paidela, Brescia 1989. GHIBERTI G., Vecchio e nuovo in Giovanni, per una rilettura di Giovanni (Vangelo e Lettere), Riv.Bibl. XLIII(1995)

225-251. GRECH P., La comunità giovanea nei cc. 7 e 8 del Vangelo di Giovanni, in Ricerche Storico Bibliche 2(1991) 59-68. KÄSEMANN E., L'enigma del quarto Vangelo (Giovanni: una comunità in conflitto con il cattolicesimo nascente?),

Claudiana, Torino 1977 (orig. Tùbingen 1971). LEVIEILS X., Juifs et Grecs dans la communauté johannique, Biblica 82 (1, 2001) 51-78. LOADER W., The Christology of the Fourth Gospel: Structure and Issues, Lang, Frankfurt am Main 1989. MARTYN J.L., History and Theology in the Fourth Gospel (revised and enlarged edition), Abingdon, Nashville

21979. MOLLAT D., Giovanni maestro spirituale, Borla, Roma 1980. MONDATI F., “Struttura letteraria di Gv 1,1-2,12”, Riv.Bibl. XLIX(2001) 43-81. MOODY SMITH D., Johannine Christianity, Clark, Edinburgh 1987. MOODY SMITH D., La teologia del Vangelo di Giovanni, Paideia, Brescia 1998. MUSSNER F., Il Vangelo di Giovanni e il problema del Gesù storico, Morcelliana, Brescia 1968. PANIMOLLE S., L 'evangelista Giovanni (Pensiero e opera letteraria del quarto Vangelo), Borla, Roma 1985. PANIMOLLE S.,Gesù di Nazaret nell'ultimo evangelo e nei primi scritti dei Padri, Paoline, Roma 1990. Parole. De l'Ancien au Nouveau Testament, (Hommage a P. Grelot), Desclée, Paris 1987, 367-380. PASQUETTO V., Da Gesù al Padre. Introduzione alla lettura esegetico-spirituale del vangelo di Giovanni,

Teresianum, Roma 1983. PASQUETTO V., Da Gesù al Padre. Introduzione alla lettura esegetico-spirituale di Giovanni, Teresianum, Roma

1983, Parte prima (“Caratteristiche d'insieme del Vangelo di Giovanni”), 19-109. POPPI A., «Vangelo secondo Giovanni», in Sinossi dei quattro Vangeli Il: Commento, Messaggero, Padova 1987,

364-503. RIGATO M.L., «L’apostolo ed evangelista Giovanni», «sacerdote» levitico in Riv.Bibl. XXXVIII(1990) 207-215. RIGATO M.L., Giovanni: l’enigma, il Presbitero, il culto, il tempio, la cristologia, Dehoniane, Bologna 2007. SCHNACKENBURG R., Il messaggio morale del Nuovo Testamento, II: I primi predicatori cristiani, Paideia, Brescia

1990. SEGALLA G., «Il discepolo che Gesù amava» e la tradizione giovannea, in Ricerche Storico Bibliche 2(1991)11-36. SPEIR A. VON, San Giovanni. Esposizione contemplativa del suo Vangelo, 2 voli., Jaca Book, Milano 1985-1989. TALBERT C.H., Reading John. A Literary and Theological Commentary of the Fourth Gospel and the Johannine Epistles, Cross-Road, New York 1992.

Gli appunti che seguono sono destinati al solo uso interno. Si tratta degli appunti a partire dai

quali il docente ha sviluppato le lezioni in aula, non riportano perciò l‟intero contenuto di quanto

proposto.

Il titolo e il contenuto del corso NT/3

Prima di entrare nell‟argomento del singolo scritto per passare poi all‟esegesi di testi scelti,

offriamo un panorama generale dei testi del Nuovo Testamento a cui fa riferimento il titolo del

nostro corso. Si tenga conto che molto è stato già detto sia nel corso di introduzione generale alla

Sacra Scrittura (si pensi alle questioni di critica testuale, canone ecc.), sia nel corso sui sinottici e

sulle lettere paoline.

Secondo quanto previsto dal titolo, il nostro corso si occuperà di introdurre ben nove scritti del NT:

il Vangelo di Giovanni, le tre lettere che portano lo stesso nome e l‟Apocalisse, opere note nel loro

insieme come corpus johanneum, e le altre lettere cattoliche cioè le due lettere di Pietro, la lettera di

Giacomo e quella di Giuda, che insieme alle tre lettere di Giovanni formano il gruppo delle

cosiddette “lettere cattoliche”.

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 4

La stessa lunghezza degli scritti è molto diversa, come risulta da un confronto dei caratteri greci che

compongono ciascuno scritto (considerati in maniera approssimativa).

Vangelo di Giovanni 76288

Apocalisse 48118

1Giovanni 10000

2Giovanni 1190

3Giovanni 1173

1Pietro 9550

2Pietro 6356

Giacomo 9335

Giuda 2710

0 10000 20000 30000 40000 50000 60000 70000 80000 90000

Gv

Ap

1Gv

2Gv

3Gv

1Pt

2Pt

Gc

Giuda

numero caratteri

Serie1

Ci occuperemo dunque innanzitutto del Vangelo di Giovanni, il IV Vangelo, per il posto che

occupa tradizionalmente nella lista dei Vangeli canonici. Il Vangelo che manifesta subito la sua

peculiarità nell‟insieme degli scritti neotestamentari e in particolare in relazione ai sinottici. Qui

Gesù è presentato come il logos, la Parola incarnata ed eterna, senza origine perché è sin dal

principio. La figura di Gesù è presentata innanzitutto in stretta relazione con il Padre di cui Egli è il

Rivelatore, l‟Inviato al mondo. Si presenta con l‟espressione IO SONO che richiama il nome divino

del Sinai. I segni che Egli compie sono non dynameis, rivelatori della potenza divina, ma piuttosto

segni rivelativi della rivelazione tra Gesù e il mondo che carattterizzano l‟intera prima parte del IV

Vangelo con la scansione dei 7 segni, spesso accompagnati da “discorsi” che riprendono il

significato profondo dei segni e lo esplicitano al di là degli equivoci dell‟interpretazione. La

rivelazione di Gesù Cristo, in segni e parole, non rimane però qualcosa che riguarda solo l‟intelletto,

chiede la decisione da parte degli uomini, l‟adesione a Gesù Cristo. È proprio la relazione con Gesù

che determina già ora il giudizio spostato nel presente e non relativo alla fine dei tempi.

L‟escatologia per Giovanni è relativa già al tempo presente per compiersi completamente nel futuro.

La prima lettera di Giovanni può essere letta, come ci insegna l‟antica tradizione, in continuità

con il IV Vangelo, con la sua presentazione di Dio come luce (1,5) e come amore (4,16).

L‟appartenneza a Dio, che è luce, chiede di abbandonare la via delle tenbre. L‟attenzione della

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 5

lettera, come poi anche delle successive, sposta gradualmente l‟attenzione al percorso dei discepoli

impegnati a vivere dell‟amore per il prossimo, momento preciso di verifica rispetto all‟amore di Dio

e per Dio. La prima lettera riprende e prolunga anche la riflessione sullo Spirito Santo, dono che

Gesù ha fatto ai suoi dalla croce (Gv 19,30): il sangue e l‟acqua effusi sulla croce sono la

testimonianza più vera della morte di Cristo in croce contro ogni pericolo di spiritualizzazione che

dimentichi o ponga tra parentesi l‟umanità di Gesù.

Il tema della divisione all‟interno delle comunità, già visto nelle lettere paoline, è presente nella

seconda lettera di Giovanni in cui si insiste sulla necessità della testimonianza dell‟amore

vicendevole. Qui la comunità è chiamata “Signora”, invitata a vivere il comandamento dell‟amore

vicendevole insegnato fin dal principio da intendere non sololo come fatto temporale, ma

soprattutto qualificativo.

1 Io, il presbitero, alla Signora eletta e ai suoi figli che amo nella verità, e non io soltanto, ma tutti

quelli che hanno conosciuto la verità, 2 a causa della verità che dimora in noi e dimorerà con noi

in eterno: 3 grazia, misericordia e pace siano con noi da parte di Dio Padre e da parte di Gesù

Cristo, Figlio del Padre, nella verità e nell'amore.

L‟ultima, la terza lettera di Giovanni è indirizzata a Gaio, un testimone della verità che lo rende

noto nella comunità di Giovanni e di cui viene lodata la condotta.

Anche l’Apocalisse, l‟ultimo scritto del corpo giovanneo, viene tradizionalmente attribuito a

Giovanni, non senza problemi da parte della critica non solo moderna. Un testo di notevole

successo in diverse epoche della storia, come vedremo, per il suo linguaggio “apocalittico” appunto,

che si presta di per se a diverse interpretazioni. La più comune, almeno nel linguaggio abituale, è

quella che meno rende giustizia a questo testo, volendo individuare in esso soprattutto profezie che

si realizzano misteriosamente nella storia. Si tratta invece di un annuncio profondamente

cristologico ed ecclesiologico che presenta il conflitto degli ultimi tempi in atto tra i cristiani e la

forza del male che con i suoi rigurgiti sembra minacciare irrimediabilmente la vita cristiana nel

mondo. Non sono le previsioni nefaste delle manifestazioni demoniache al centro del nostro testo

ma il mistero pasquale del Cristo morto e risorto, il “Vivente” (Ap 1,17-18). È Gesù Cristo Risorto

che continua a interpellare le chiese (attraverso le sette lettere) incoraggiandole a vivere in pienezza

la testimonianza senza nascondere i tradimenti e le infedeltà che vengono compiute. Egli è

l‟Agnello ritto in mezzo al trono e immolato che continua ad offrire la sua vita agli uomini

dimostrandosi il solo degno di “prendere il libro e aprirne i sigilli. È il Cristo Risorto che incoraggia

i suoi, coloro che portano i segni della passione e lo seguono ovunque fino alle nozze nelle quali

l‟Agnello sarà definitivamente unito alla sua sposa, la chiesa, lavata da ogni colpa e pronta per il

suo sposo (Ap 19,7-8). L‟intero libro dell‟Apocalisse si presenta come descrizione di una grande

liturgia celeste scandita da Inni in cui la comunità manifesta la sua fede e canta la signoria

dell‟Agnello che si estende non solo sul gruppo dei cristiani ma ha invece una portata cosmica

diffondendosi sul mondo intero (universalismo). Come nel Vangelo, e ancora più decisamente, il

giudizio è presentato come già in atto contro il mondo e la bestia che lo rappresenta. La Chiesa

dovrà continuare ad annunciare il Cristo morto e Risorto attendendolo come sposo e invocandone il

ritorno “maranatha” vieni Signore Gesù.

Le altre quattro lettere (1-2 Pt; Gc; Giuda) insieme alle tre giovannee sono note come le sette

lettere cattoliche indirizzate cioè all‟intero mondo cristiano. Sono accomunate dalla

preoccupazione della testimonianza cristiana di fronte al mondo e alle difficoltà che esso

rappresenta per il discepolo di Gesù. L‟attenzione è rivolta così, come si può immaginare anche per

gli inevitabili problemi e nuovi interrogativi che nascono dalla vita cristiana, all‟etica ma intesa

come quotidiana, coerente incarnazione del Vangelo.

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Alla prima lettera di Pietro è stata dedicata ultimamente molta attenzioni (molte pubblicazioni in

italiano) in occasione del Convegno nazionale sulla Testimonianza. La logica che deve guidare la

vita cristiana deriva direttamente dall‟offerta che Cristo ha fatto della sua vita chiamando le chiese

alla testimonianza del Vangelo nella perseveranza e nella vigilanza. In 1Pt troviamo l‟immagine

della Chiesa come edificio, i cristiani come pietre vive impiegati per la costruzione dell‟edificio

spirtuale (1 Pt 2,4-10), secondo il modello anticotestamentario del “popolo eletto'', per cui tutta la

comunità svolge un servizio sacerdotale di perfetta comunione con Dio (1 Pt 2,9). Nella stessa

sofferenza per le persecuzioni la comunità è invitata a consolidarsi attraverso l'esempio che riceve

dalle altre comunità sparse nel mondo (1 Pt 5,9). L'attesa del Signore diventa annuncio di sicura

speranza per quanti continuano a soffrire, seguendo il modello di Cristo, per il vangelo.

La 2 Pietro, in continuità con la prima lettera, prosegue nelle esortazioni morali, quali incarnazione

del vangelo. Tuttavia, in questa lettera si scorgono due preoccupazioni ecclesiali che stanno

particolarmente a cuore al suo autore: l'autorevolezza del vangelo, presentato come “parola

profetica”, e il calare della tensione escatologica che serpeggia nella comunità. É lo Spirito che ha

ispirato la parola e la comunità invitata a farsi interprete garante della stessa parola (cfr. 2 Pt 1,16-

21) uno dei due riferimenti neotestamentari espliciti alla ispirazione della Sacra Scrittura. La radice

pneumatica del vangelo, presente nella 2Pietro, verrà ripresa soprattutto dalla costituzione

conciliare Dei Verbum (DV 3,12). L'esperienza quotidiana delle persecuzioni per il vangelo

inducono diversi credenti a dubitare della venuta del Signore: a questo decadimento escatologico è

strettamente relazionata la diminuzione nella perseveranza della testimonianza per il vangelo.

L'autore della 2 Pt, riprendendo il codice proprio dell'apocalittica giudaico-cristiana, esorta a una

vigilanza operosa.

Giacomo. In questa tensione tra vangelo e morale si spiega anche la lettera di Giacomo, spesso

considerata, erroneamente, come secondaria rispetto al messaggio teologico del Nuovo Testamento,

soprattutto quando viene presentata in antitesi con il “vangelo paolino”. È entrata tardi nel Canone

del NT, è perciò tra le lettere Deuterocanoniche; utilizzata da Origene (+254) accolta però in

Palestina solo all‟inizio del IV secolo (Eusebio la colloca tra gli “antilegomena”). Ai dubbi antichi

ha fatto riscontro l‟atteggiamento della Riforma: Lutero la escluse dal Canone, reintrodotta dalle

Chiese riformate nel corso del XVII secolo. Giacomo si pone in una prospettiva diversa da quella di

Paolo: non si preoccupa più di stabilire le condizioni per entrare e rimanere nell'alleanza realizzata

in Cristo, che per Paolo erano rappresentate dalla fede in Cristo, ma delle modalità con cui la stessa

fede deve tradursi e prodursi nella vita cristiana.

Codice ermeneutico che pervade questa lettera è quello “sapienziale” (cf. Sl 1): chi sono il saggio e

lo stolto? Quali sono i criteri che li caratterizzano? Tali questioni, che si trovano alla base della

lettera, vengono risolte richiamando, in primo luogo, l'origine divina della sapienza: viene

“dall'alto'' (Gc 3,17), in quanto causata dalla parola di verità (Gc 1,18).

Tuttavia non può esservi sapienza che non scelga di prodursi nell'operosità dell'amore: è

significativo che la sapienza elogiata da Giacomo segua il canovaccio paolino della carità, delineato

in 1 Cor 13,1-13 (cfr. Gc 3,13-18). Per questo la stessa fede se non si traduce in opere di amore

vicendevole è destinata a restare vuota, anzi “morta”. La prospettiva escatologica, non rigettata da

Giacomo, viene riletta in prospettiva storica contro ogni forma di attesa inoperosa di chi non

produce frutti nella propria vita cristiana (Gc 5,7-11).

Giuda. Il messaggio apocalittico del Nuovo Testamento giunge al suo stadio conclusivo con la

lettera di Giuda: ricalcando il filone apocalittico della condanna per coloro che si oppongono al

disegno divino, propria della tradizioni “Enochica” (cfr. Gd 14-15), l'autore invita la comunità a non

porsi in loro ascolto, dietro la loro sequela. Al contrario, mediante il codice dell'amore vicendevole,

che si verifica soprattutto nell'aiuto per i deboli e per i vacillanti (cfr. Gd 20-23), la comunità viene

consolidata nella sua unità e nell'attesa del Signore che viene.

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 7

Introduzione al IV Vangelo (e corpo giovanneo)

«Un metodo complessivo, perfetto, soddisfacente sotto ogni punto

di vista, per dominare i problemi complessi dell‟interpretazione del

testo, della storia letteraria della sua formazione, delle questioni

storiche implicite e della comprensione odierna, non è ancora stato

trovato e resta anzi un obiettivo irraggiungibile dell‟esegesi

neotestamentaria» (SCHNACKENBURG R., Il Vangelo di Giovanni,

IV, Paideia, Brescia 1987, 11)

Il titolo del corso ed il suo programma, prevede lo studio della cosiddetta “opera giovannea”

comprendente sia il IV evangelo, che le tre lettere di Giovanni che l‟Apocalisse di Giovanni. Testi

accomunati, nella tradizione, dallo stesso “autore”, Giovanni appunto, cosa tuttavia messa in dubbio

sin dai tempi antichi, almeno per quanto riguarda l‟Apocalisse, dubbio esteso poi alle tre lettere

giovannee.

Il rapporto IV Vangelo (e lettere) – Apocalisse:

affinità osservata dalla tradizione

genere letterario molto diverso; anche nelle espressioni e nelle immagini in comune…

stile diverso: Vang. e lettere greco semplice ma corretto… Apocalisse: errori?

differenze nell‟uso dell‟AT

diverso rilievo della “storia”

Rapporto IV Vangelo lettere molto diverso da quello con l‟Apocalisse

anche qui differenze di genere letterario

lessico, stile teologia mostrano affinità

ordine cronologico nello sviluppo delle situazioni contestuali

senza il Vangelo le lettere sarebbero di difficile comprensione

Un posto a parte occupa la secolare questione dell‟autore del IV Vangelo con riferimento

particolare alle sue diverse identificazioni. Oltre a ciò che si può leggere in tutte le introduzioni

al IV Vangelo, in un recente studio Maria Luisa Rigato prima di esporre le sue posizioni,

tratteggia brevemente la storia della questione. Per l‟autrice, Giovanni è “laltro discepolo”, il

“discepolo che Gesù amava”, non è da identificare con il figlio di Zebedeo, non è dunque uno

dei dodici; autore testimone oculare narrante del IV Vangelo, incluso il cap. 21, levita di stirpe

sacerdotale (come dimostra dall‟interesse del suo vangelo per la situazione e le istituzioni di

Gerusalemme…1. Una tesi originale che mostra tuttavia, anche sulla base di osservazioni

critiche spesso condivisibili, che la discussione rimane aperta.

È evidente che per un corso che non voglia essere solo di generica introduzione ma che si presenta

come corso esegetico, bisognerà operare delle scelte relativamente al materiale da trattare, troppo

per le ore a disposizione. Per il senso del corso nel quadro di questi nostri studi teologici, sarà dato

particolare risalto e proporzionato numero di ore al vangelo di Giovanni.

1 Cf. RIGATO M.L., «L’apostolo ed evangelista Giovanni», «sacerdote» levitico in Riv.Bibl. XXXVIII(1990) 207-

215. RIGATO M.L., Giovanni: l’enigma, il Presbitero, il culto, il tempio, la cristologia, Dehoniane, Bologna 2007.

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 8

La prima domanda è relativa al “come”: come affronteremo lo studio del Vangelo? Una domanda

tutt‟altro che secondaria.

Due sono le possibilità che fondamentalmente intravedo, tralasciando altre possibilità che esulano

però dal nostro tipo di corso (per esempio letture patristiche, ermeneutica medievale, storia delle

conseguenze, dell‟uso nella teologia….) e saranno invece oggetto di altri corsi specifici.

- Prima prospettiva: Il Vangelo di Giovanni come opera essenzialmente letteraria. Modello di

studio a specchio (cf. Murray Krieger: il significato del testo è tutto da questa parte, tra specchio e

osservatore, testo e lettore. Il testo, con i suoi richiami, il progressivo coinvolgimento del lettore…

il suo mondo narrativo, rivela qualcosa di più profondo al lettore circa il mondo reale in cui egli

stesso, il lettore, vive).

Beneficio di questa lettura è l‟immediato incontro con il testo, l‟acquisizione di familiarità con esso,

a cominciare dalla questione sul suo significato di insieme nel quale collocare le singole parti…

Domande guida sarebbero in tal caso: qual è la trama del testo? Qual è lo sviluppo della narrazione,

i suoi personaggi principali, la loro relazione reciproca (oggetto di analisi narratologica) la sua

struttura retorica… In questo senso saremmo più vicini alla maniera patristica di leggere il testo e

confrontarsi con esso. Sparisce qui ogni altra preoccupazione di tipo stratigrafico, storico

ambientale, di storia della formazione… di contesto socio religioso… tutti contesti e relative

questioni poste invece dai sostenitori dello studio storico-critico con tutte le sue varianti…

- Seconda prospettiva: modello di studio a finestra (cf. Murray Krieger: Approccio al testo come

a una “finestra” attraverso cui poter osservare la comunità primitiva in cui fu composto, spingendo

lo sguardo fino a Gesù).

Beneficio di questo secondo tipo di lettura è soprattutto la verifica della relazione del testo con gli

avvenimenti che riguardarono effettivamente Gesù e la sua storia, da una parte, e Giovanni e la sua

comunità dall‟altra… Qui il testo è effettivamente considerato come un tell e lo studioso come un

archeologo: si cerca di stabilire gli strati redazionali, quelli tradizionali, il loro ambiente di

formazione, gli influssi dei problemi e dei linguaggi contemporanei all‟autore e la loro traccia nel

testo… sussidi verranno allora dalla geografia, dalla storia del mondo giudaico di fine I sec.d.C.,

dalla sociologia… ecc. ecc.

Mi pare un peccato dover scegliere se seguire solo l‟una o l‟altra di queste vie che presentano in

verità aspetti interessanti e non eludibili.

Per esempio nello studio dei classici commentari di tipo storico-critico (Schnackenburg, Gnilka…)

pur potendo ottenere continue informazioni e suggestive “ipotesi” sull‟ambiente di composizione, la

storia della formazione del vangelo, il suo riferimento alle condizioni storiche della vita di Gesù…

si sente immediatamente la mancanza di un riferimento ordinato e significativo al Vangelo in

quanto tale. Ma lo stesso si può dire circa l‟insoddisfazione conclusiva a cui si giunge con l‟altro

tipo di approccio, quello a specchio: insomma alla fine quelle cose dette, raccontate dal narratore al

lettore e che producono effetti così intensi da cambiare la vita, sono radicati storicamente nella

vicenda di Gesù? Quanto di tali elementi derivano dall‟apporto della comunità cristiana, quanto

dalla tradizione “autentica” su ciò che Gesù ha fatto e ha detto?…

Intanto… osservazioni generali:

Greco semplice (Koinè popolare, parlata, più che letteraria cfr. Luca). Linguaggio semplice

e sostanzialmente corretto, povero sul piano letterario (circa 1000 parole diverse)

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 9

Stile diretto e sintassi elementare. Presente storico, uso frequente del Kai. Eppure lo stile è

intenso, meditativo.

Universo concettuale e linguistico uniforme (non vi sono differenze sostanziali tra il modo

di parlare del narratore e quello di Gesù…)

Già una statistica del vocabolario teologico più frequente mostra la distanza tra Gv e i

sinottici.

Osservando con attenzione la struttura del Vangelo di Giovanni, attraverso fattori di tipo

geografico e cronologico, si coglie la sua originalità rispetto ai sinottici, anche se per molti aspetti si

avvicina ad essi (l‟attività galilaica, il viaggio/viaggi a Gerusalemme, l‟ultima cena, la passione

morte, la risurrezione). È tuttavia evidente che tali indicazioni, ancorché diversamente raggruppate

e interpretate dagli studiosi, hanno un ruolo funzionale alla cristologia dell‟evangelista, o se si vuole

dal punto di vista narrativo, alla presentazione del personaggio principale della narrazione.

In Giovanni i miracoli diventano “segni”, con la funzione di indicare simbolicamente

qualcosa della persona di Gesù e della Vita che è venuta a portare «Molti altri segni fece Gesù in

presenza dei suoi discepoli, ma non sono stati scritti in questo libro. Questi sono stati scritti, perché

crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome»

(20,30-31).

Qui, a differenza dei sinottici è decisiva non solo la fiducia nell‟azione salvifica di Dio

attraverso Gesù, ma la fede in Gesù, via al Padre.

Bisogna naturalmente partire dalla contestualizzazione: chi è Giovanni? per chi scrive? in

quali condizioni? Domande che nel tempo non hanno ottenuto risposte univoche, anche se un certo

accordo tra gli studiosi è possibile riscontrarlo, almeno su questioni ampie:

- Possiamo innanzitutto raccogliere l‟indicazione pressoché unanime tra gli studiosi, che il IV

Vangelo si è costituito, così come oggi si presenta a noi, solo alla fine del I secolo.

- Molto più frastagliata è la gamma di posizioni circa il processo di formazione più o meno

lungo. Ma anche a tale proposito, domina comunque l‟idea di una formazione avvenuta in diverse

fasi.

- Anche rispetto alla cristologia, evidentemente, le fasi di formazione hanno determinato un

accrescimento che solo gradualmente ha raggiunto la forma finale che a noi si presenta nell‟opera

così come la possediamo.

- Pure discusso è il luogo di origine del IV Vangelo2, di cui si dirà qualcosa più avanti, che

varia nelle opinioni degli studiosi tra la Siria (Antiochia), l‟Asia Minore (Efeso), l‟Egitto

(Alessandria), o il territorio del re Agrippa II (vedi sotto).

- Altra idea alquanto diffusa, ferme restando notevoli differenze, è il collegamento ai fatti

della vita di Gesù attraverso un testimone oculare, da molti identificato con il “discepolo che Gesù

amava”, il garante che avrebbe scritto il vangelo e conservato il ricordo delle vicende di Gesù: “Si

diffuse perciò tra i fratelli la voce che quel discepolo non sarebbe morto. Gesù però non gli aveva

detto che non sarebbe morto, ma: «Se voglio che rimanga finché io venga, che importa a

te?».Questo è il discepolo che rende testimonianza su questi fatti e li ha scritti; e noi sappiamo che

la sua testimonianza è vera” (21,23-24).

- Il linguaggio usato da Giovanni, proprio la sua approfondita riflessione su Gesù, fa pensare

che il IV Vangelo sia destinato a cristiani che, non è difficile desumerlo dal vangelo stesso, sono sia

giudei che gentili: si pensi a 4,42, l‟importante episodio dell‟incontro di Gesù con la Samaritana,

che si conclude con la confessione di fede dei samaritani: «Non è più per la tua parola che noi

crediamo; ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del

2 Sulle diverse ipotesi circa il luogo di composizione cf. M. RODRIGUES-RUIZ, El lugar de composiciòn del cuarto

evangelio. Exposiciòn y valoraciòn de las diversas opiniones, in EstB 57(1999)613-641.

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 10

mondo». Qui è utilizzato un “titolo” cristologico, che oltrepassa la religiosità e l‟espressione

giudaica dell‟attesa messianica. Ma non mancano altre testimonianze, come l‟accenno alla fortunata

evangelizzazione del mondo greco in 12,20 ss.: «Tra quelli che erano saliti per il culto durante la

festa, c‟erano anche alcuni Greci....».

- Benché ampiamente ridimensionata, non va dimenticata la tesi resa famosa da Bultmann

circa l‟influenza fondamentale che il mito gnostico del redentore avrebbe esercitato nel pensiero

giovanneo e nella composizione del Vangelo. Una questione certamente ridimensionata, almeno per

l‟importanza riconosciutale dai suoi sostenitori, ma che non può essere del tutto dimenticata.

Qual‟è l‟immagine di Cristo che viene fuori dalla lettura del suo Vangelo?

Innanzitutto è il Rivelatore del Padre (già Bultmann). E su questo non c‟è dubbio. La sua

missione è permetterci di conoscere il Padre. Contemporaneamente, altro messaggio fondamentale,

di sperimentare-avere la vita aderendo a Gesù Cristo (credendo non solo a lui, ma in lui...).

Qui emerge una prima linea di approfondimento in una lettura attenta del Vangelo: la

relazione tra Gesù e il Padre. Di che tipo è, come la presenta Gesù stesso?

Ma sorgono subito altre questioni che chiamano nuovamente in causa il contesto storico e gli

influssi letterari (o anche tradizionali) che Giovanni ha ricevuto: perché inizia con l‟idea di Logos,

da dove viene tale concetto?

Alla fine Gesù è soprattutto un personaggio “alto”, presentato teologicamente, presupposto

del docetismo? Che già dall‟inizio Giovanni parli del Cristo risorto, ripensato e descritto alla luce

della risurrezione non è una novità, del resto anche per i sinottici si può dire la stessa cosa. Ma certo

in Giovanni appare immediatamente e totalmente vero a partire dai primi versetti, dalla concezione

dell‟incarnazione del Verbo eterno del Padre...

Le stesse parole che Gesù pronuncia, secondo Giovanni, appaiono le parole di colui che è non

solo disceso dal cielo, ma che già vi è nuovamente asceso... E tutta la sua opera terrena si presenta

come manifestazione del suo “essere presso Dio”, della sua scandalosa pretesa di un rapporto unico,

appunto da Unigenito del Padre... Ci spingiamo fino alla divinità di Gesù.

Eppure il IV Vangelo conserva la sua dimensione scandalosamente storica... (Cfr. tra gli altri

Dodd, La tradizione storica del IV Vangelo) è un Vangelo, storia di Gesù Cristo... è difficile, certo,

risalire al singolo episodio nella sua dimensione storica, stando a quanto ha descritto la critica

storica degli ultimi decenni, tuttavia lo sfondo storico può essere colto dietro alle descrizioni

giovannee della vita di Gesù e in certi particolari (si pensi al processo) sembra effettivamente di

poterlo cogliere con chiarezza.

Che tali questioni non siano peregrine lo si può desumere anche da quella che definiamo la storia

degli effetti della cristologia Giovannea (Wirkungsgeschichte)3.

L’orizzonte storico

Un presupposto importante per comprendere l‟opera giovannea, è l’orizzonte storico in cui

collocarla. Evidentemente per il nostro scopo diventa necessario, almeno come ipotesi per poi

operare con lo studio più approfondito del Vangelo, una verifica (per quanto limitata) del

presupposto.

Questo punto è di estrema importanza dal punto di vista ermeneutico. La domanda iniziale:

perché la cristologia giovannea nel suo insieme è così particolare, perché presenta un‟immagine di

3 Cfr SCHNACKENBURG R., Das Johannesevangelium I, Freiburg-Basel-Wien 31972, 171-196: «Il Vangelo di Giovanni

nella storia», in Il Vangelo di Giovanni, vol I, Paideia, Brescia 1973, 239-272. BRAUN F.M., Jean le Théologien et son

évangile dans l‟église ancienne, Paris 1959; WILES M.-F., The Spiritual Gospel: The Interpretation of the Fourth

Gospel in the Early Church, Cambridge 1960; POLLARD T.E., Johannine Christology and the Early Church (MSSNTS

13), Cambridge 1970; Per singoli autori cristiani antichi e interpreti recenti cfr. l‟elenco in BELLE G. VAN, Johannine

Bibliography 1966-1985, Louvain 1988, 413-430.

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 11

Gesù Cristo così vicina eppure tanto differente dai sinottici... non può trovare realisticamente

risposta, se non a partire dallo studio del contesto storico nel quale il Vangelo nacque, anzi la stessa

riflessione intorno a Gesù che poi entrerà a far parte del Vangelo... e, non meno importante, il

contesto al quale esso era indirizzato nella mente del suo autore/autori. Quello che spesso

attribuiamo genericamente ad uno stile particolare, la maniera particolare di Giovanni di presentare

Gesù, in realtà deriva dalla formazione dell‟autore, dalla sua cultura, dal contesto storico, filosofico,

culturale in cui l‟autore si è formato, in cui scrive, e dal contesto al quale lo scritto è destinato. Tutto

ciò non esclude il genio creativo dell‟autore, anzi è solo grazie ad esso che alcuni autori hanno

potuto parlare della sua opera come della “tunica senza cuciture”, opera unitaria.

È necessario, inoltre, postulare sin dall‟inizio che Giovanni scrivesse per essere compreso da

qualcuno... una affermazione così ovvia in realtà lo è meno di quanto si immagini. Se infatti

decidiamo di partire dal contesto storico al quale il Vangelo è destinato, stiamo operando una scelta

importante per la stessa comprensione dello sviluppo dell‟opera giovannea: è il contesto di vita che

ha stimolato un certo modo di descrivere Gesù, la sua opera, la sua novità. Quello scritto, poi, è

diventato esso stesso stimolo per i cristiani a cui giunse (e poi per tutti i cristiani fino a noi oggi).

Se insomma è vero che la domanda ermeneutica nel nostro presente ci spinge dalla vita al

testo e da questo alla vita, dobbiamo pensare che tale dinamica fu già all‟origine, determinante per

lo sviluppo della stessa cristologia successiva, se non si parte dall‟idea di un autore ispirato fuori dal

tempo, dalla storia, o da un assorto teologo, genio creativo, che costituisce in se stesso un mondo a

parte... Lo studio dei vangeli, fedelmente agli insegnamenti magisteriali, ci ha invece abituati a

pensare gli scritti in un contesto preciso da conoscere al meglio per poterne comprendere il senso

(cfr Dei Verbum.... Documento della Pontificia Commissione Biblica, L‟interpretazione della

Bibbia nella Chiesa, 1993).

È proprio nel lavoro dei primi testimoni e degli evangelisti che comincia l‟inculturazione della

Buona Novella, nel processo che determina il ripensamento della vicenda di Gesù nella mente e nel

cuore dell‟autore del IV Vangelo. Giovanni non stava pensando, molto probabilmente, a scrivere in

astratto un‟opera teologica valida per tutti i tempi e per tutti i luoghi. Egli stava ripensando la

vicenda di Cristo e della fede in lui, a partire dalle categorie del suo tempo, dalle immagini, dai

titoli, dai predicati, che di più avrebbero reso il senso di quell‟esperienza unica della fede agli occhi

( o meglio alle orecchie), di coloro che avrebbero udito il “suo” Vangelo.

J.L.Martyn4 parte dal cap. 9 di Giovanni:

tau/ta ei=pan oi gonei/j auvtou/ o[ti evfobou/nto tou.j VIoudai,ouj\ h;dh ga.r sunete,qeinto oi VIoudai/oi i[na eva,n tij auvto.n o`mologh,sh| Cristo,n( avposuna,gwgoj ge,nhtaiÅ Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che se uno avesse

riconosciuto Gesù come il Cristo, sarebbe stato espulso dalla sinagoga.

Lo studioso sostiene che si tratta di un evento reale ma della vita della comunità o chiesa giovannea,

tale che può essere raccontato come la ricostruzione di un episodio accaduto nel ministero di Gesù.

Il IV Vangelo non è un opuscolo missionario inviato a giudei o gentili, né un‟opera teologica intesa

come “patrimonio per sempre”; venne invece scritto per l‟incoraggiamento di un gruppo di cristiani

“giudei” che avevano bisogno di affermare la loro identità contro la sinagoga del luogo, che fu

l‟ambito da cui il gruppo cristiano aveva preso le sue origini. Così il Martyn ha mostrato come il

quarto evangelo non solo riporti gli eventi relativi alla vita di Gesù, ma descriva in realtà le

situazioni della chiesa al tempo dell‟evangelista: la storia della comunità giovannea verrebbe in tal

modo proiettata all‟indietro nella vita stessa di Gesù. Il quarto Vangelo chiede dunque di essere

letto e interpretato ad un duplice livello, quello del Cristo storico e quello della chiesa giovannea in

cui il Vangelo stesso si è formato5.

4 MARTYN J.L.,The Gospel of John in Christian History, New York 1979

5 Cfr. MARTYN J.L., History and Theology in the Fourth Gospel, New York 1968, 3ss.

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 12

Prosper Grech, proprio riconoscendo la centralità dei capitoli 7 e 8 di Giovanni per l‟alta

cristologia che essi presentano, prolunga il metodo di Martyn (che si era occupato in particolare dei

capitoli 3 e 9) applicandolo a tali capitoli seguendo lo stesso metodo dello studioso americano,

distinguendo tuttavia tra il livello del Gesù storico e quello del Cristo Risorto, prima ancora del

terzo livello, quello della chiesa giovannea. Sostiene, in particolare, che è difficile distinguere nella

polemica giovannea tra le posizioni e le perplessità o il rifiuto de “i giudei” o dei “giudeo-cristiani:

la linea di demarcazione non è sempre chiara.6

Alle intuizioni di Martyn (e altri), si riferisce anche J. Ashton

Nel suo lavoro Comprendere il Quarto Vangelo, John Ashton affronta tale questione (come

del resto tutti coloro che si occupano della questione giovannea cfr. Hengel). Riferendosi allo

stimato lavoro di Bultmann, Ashton si chiede se noi cerchiamo di individuare le fonti, le influenze o

semplicemente l‟ambiente del Vangelo di Giovanni. Sulle FONTI, a cui tanto si è dedicato

Bultmann, al di là del prologo e dei racconti della passione (possiamo includere forse la cosiddetta

fonte dei segni), le conclusioni di Bultmann non hanno trovato un consenso largo. Ma cosa dire dei

discorsi di rivelazione? Nessuna risposta convincente sulle eventuali “fonti”.

Per quanto riguarda le “influenze” dobbiamo includere naturalmente la predicazione,

l‟ambiente di Gesù, la sua opera, la sua sorte... le stesse influenze che modellarono i sinottici in

maniera così diversa dal IV Vangelo. Si può spingere lo sguardo a periodi più ampi della storia

israelitica (sia civile che religiosa...) includendo il periodo del II tempio, trovando le tracce di

pensieri che hanno influito sui pensatori cristiani del I secolo. L‟influenza più ovvia a tale proposito

è quella della Bibbia Ebraica (LXX). Se bastassero fonti e influenze penseremmo, sbagliando, che il

compito per spiegare la genesi del IV Vangelo sia quello di spiegare l‟assemblaggio delle fonti e

delle influenze... (il contesto religioso e culturaale di cui abbiamo in parte già parlato).

Bisogna aggiungere, sostiene Ashton, un terzo elemento, meno universalmente riconosciuto

che consiste precisamente nell‟ambiente di formazione del Vangelo di Gv che egli indica

nell‟ambiente delle sette giudaiche, in quell‟ambiente giudaico, cioè, così estremamente variegato

che non può essere affatto ricondotto al giudaismo successivo, il cosiddetto giudaismo rabbinico, il

quale ha fornito il modello per parlare di un “giudaismo normale” rispetto al quale considerare tutti

gli altri tipi di giudaismo. Si pensi che nella discussione attuale (cfr. Boccaccini), si evita persino di

parlare di “giudaismo”, alcuni preferiscono parlare di “giudaismi” al plurale. In questo caso la

formazione dell‟evangelo di Giovanni sarebbe da vedere esattamente come formazione di uno dei

rivoli giudaici, eterodossi... Non è una tesi condivisa da tutti. Anzi, in generale si tiene presente un

altro punto di osservazione che è quello di fine di I secolo, quando ormai la separazione chiesa-

sinagoga poteva consentire di parlare di un cristianesimo e di un giudaismo, in conflitto ormai tra

loro...

Assumiamo dunque un punto di partenza che poi potrà essere esso stesso sottoposto a verifica

critica nel corso dello studio.

Bisogna essere chiari in tale proposito.

Innanzitutto il Vangelo di Giovanni, opera che giunge alla sua fase conclusiva passando

attraverso più mani, nasce in un contesto di polemica con i giudei. Se i sinottici rappresentano molto

meglio la situazione storica creata dalla nuova realtà del gideo-cristianesimo (da una parte nel

rapporto con gli altri giudei, dall‟altra con l‟apertura ai gentili), e se i conflitti possono essere con

relativa semplicità ricondotti a tale contesto, l‟impostazione di Giovanni appare già alquanto

differente: si distingue qui nettamente tra i cristiani (giudeo-cristiani ed etnico-cristiani) e “i

giudei”.

Un problema storico si presenta allorché si tenta un approfondimento del peso della presenza

dei giudeo-cristiani e della problematica del loro rapporto con gli etnico-cristiani, il grande

6 GRECH P., La comunità giovanea nei cc. 7 e 8 del Vangelo di Giovanni, in Ricerche Storico Bibliche 2(1991) 59-68.

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 13

problema della chiesa delle origini, come testimoniato dal libro degli Atti e come è peraltro facile

immaginare (anche dalle lettere paoline, come dalla lettera di Giacomo ecc.).

Partiamo dal dato piuttosto comune secondo cui il Vangelo di Giovanni, nella sua forma

attuale si è formato intorno alla fine del I secolo7. Questo, peraltro, non esclude che siano esistiti

stadi precedenti e fonti di data anteriore8. In accordo con Schnackenburg diciamo pure chiaramente

che la cristologia principale e dominante del Vangelo è da considerarsi come forma finale di una

riflessione che è ormai storicamente lontana dai fatti storici della vita-morte(-risurrezione) di Gesù.

Le origini del Vangelo di Gv vanno ricercate nell’ambito del cosiddetto giudaismo

eterodosso. In questo contesto (peraltro problematico per la definizione di ortodosso-eterosso),

l’espressione giovannea oi „Ioudaioi è il nome dato al potente partito che trasse vantaggio dal

disordine successivo alla caduta di Gerusalemme nel 70 d.C. e che gradualmente assunse il potere

sulla popolazione ebraica. Questo partito, che non può essere assolutamente identificato con i

farisei, pose le fondamenta di ciò che noi conosciamo come giudaismo. Se i Farisei ebbero un ruolo

in ciò, come sicuramente accadde, saranno stati preoccupati di liberarsi dalle posizioni isolazioniste

e certamente settarie del loro nome: quale migliore opportunità avrebbero mai avuto per avanzare la

loro pretesa di essere i veri discendenti di Abramo? Si sarebbe verificata, dopo la distruzione del

tempio del 70, un’alleanza tra farisei e sommi sacerdoti per stabilire la loro autorità sul popolo e

trarre il maggior vantaggio possibile dalla frammentazione della popolazione che deve aver seguito

il trionfo romano. Nel tentativo di reprimere opinioni che ritenevano sovversive sarebbero entrati in

conflitto con il gruppo giovanneo: insomma, né tutti né alcuni dei molti dissidenti giudei, ma coloro

che ancora una volta, dopo il 70 riunivano le fila del potere nelle loro mani. Bornhauser li descrisse

nel 1929, come “i fanatici della Torah”. L’unico chiaro sinonimo di oi „Ioudaioi nel IV Vangelo è “i

sommi sacerdoti e i farisei”, non solamente “i farisei”. Le loro tradizioni, nel tardo I sec. d.C.

saranno alla base di un nuovo giudaismo.

Alle stesse ragioni conflittuali, si riferisce Smith Dwight Moody9, (debitore anch’egli di

Bultmann, Martyn, R.Brown, ...): nel vangelo di Gv assistiamo ad una fase critica nei rapporti tra

giudaismo e cristianesimo. Effettivamente possiamo individuare qui un punto in cui quelle che ora

consideriamo come due religioni distinte cominciarono a costituirsi, proprio a proposito del

problema del ruolo assegnato o negato a Gesù e delle conseguenze implicate da diverse

dichiarazioni di fedeltà a Gesù per la vecchia comunità e per quella nuova che proprio ora si va

formando (p. 25)... Questa scissione che si trova alla radice del cristianesimo per sé, o molto vicino

ad essa, ha avuto importanti conseguenze per la teologia cristiana, rappresentata dal IV Vangelo in

modo più chiaro di qualsiasi altro scritto neotestamentario.

Uno degli studiosi che hanno contribuito significativamente agli studi giovannei negli ultimi

anni è Martin Hengel. Si ricorderà il suo studio su “Figlio di Dio” che ha contestato in maniera

chiara ed efficace la derivazione del titolo da un contesto ellenistico, all’interno di quelle concezioni

sincretistiche del cristianesimo delle origini, riconducendo invece il titolo al contesto giudaico.

Un’altra fondamentale opera di quest’autore, oggi disponibile anche in italiano, è “Giudaismo ed

ellenismo”.

Lo sfondo del quarto vangelo è molto più variegato di quanto si pensasse. In generale gli

studiosi concordano nel vedere la comunità giovannea impegnata in un’aspra controversia con “i

giudei”, i veri nemici della comunità (Thyen; Martyn; Von Walde; Triling; Ashton). Per questo

motivo Klaus Wengst poneva la comunità giovannea e il quarto vangelo, nella comunità della

Traconitide e della Batanea, territorio governato dal re Agrippa II qualche anno prima del 90,

7 Cfr. HENGEL, La questione giovannea.......

8 Cfr. SCHANCKENBURG, La persona di Gesù Cristo... p.316.

9 MOODY SMITH D., La teologia del Vangelo di Giovanni, Paideia, Brescia 1998.

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 14

poiché in quella regione, negli anni dopo il 70, il giudaismo, ripresosi e rafforzatosi sotto la spinta

dei farisei, avrebbe avuto la possibilità di giustiziare dei cristiani (si basa su Gv 16, 2:

aposynagogos, + 9,22 +12,41, e in connessione con la maledizione degli “eretici” nella preghiera

delle “diciotto benedizioni” Shemoneh Esreh)10

Ma l’espulsione iniziò già prima di Paolo, con il martirio di S.Stefano (At 6-8), come un

lungo processo; gli ellenisti di At 6-8 sono stati espulsi da Gerusalemme (aposynagogoi) dai

membri delle sinagoghe locali di lingua greca

At 8,[1]Saulo era fra coloro che approvarono la sua uccisione. In quel giorno scoppiò una violenta

persecuzione contro la Chiesa di Gerusalemme e tutti, ad eccezione degli apostoli, furono dispersi

nelle regioni della Giudea e della Samarìa. [2]Persone pie seppellirono Stefano e fecero un grande

lutto per lui. [3]Saulo intanto infuriava contro la Chiesa ed entrando nelle case prendeva uomini e

donne e li faceva mettere in prigione. [4]Quelli però che erano stati dispersi andavano per il paese

e diffondevano la parola di Dio.

Cfr. la fondazione delle comunità missionarie di Paolo; la flagellazione inferta a Pietro 5

volte; le violente controversie 2Cor 11,24; inoltre già Erode aveva provocato lesioni fisiche a molti

cristiani intorno al 43 d.C. At 12,1. E 1Tess 2,14 parla di persecuzioni ricorrenti.

Forse la situazione migliorò tra il 43 e il 48 quando la leadership fu assunta da Giacomo,

fratello del Signore. Tuttavia egli stesso fu lapidato nel 62 d.C. insieme ad altri capi giudei con

l’accusa di avere infranto la legge...cfr Gv 16,2. Il fatto fu poi seguito dalla fuga della comunità a

Pella.

La Birkat hamminim, di cui non conosciamo la data esatta, è stato dunque solo l’ultimo atto di

questo lungo processo. Si rivolgeva non solo contro i giudeo-cristiani, ma contro tutte le eresie

giudaiche. Secondo il testo ritrovato nella geniza del Cairo, la dodicesima preghiera direbbe: «... e i

nazareni (= i cristiani) e gli eretici (minim) periscano in un attimo e siano cancellati dal libro della

vita, e non siano iscritti con i giusti...»11

.

L’aggiunta dei nosrim tuttavia sembra essere tardiva. Per i Cristiani provenienti dal

paganesimo, naturalmente la maledizione non aveva alcun significato.

Conclude dunque M.Hengel (p.279):

«Che il Quarto Vangelo abbia avuto origine nell’ambito territoriale di Agrippa II e che la

scuola giovannea abbia svolto lì la sua attività è del tutto improbabile. Non vi è traccia di tale

contesto nel IV Vangelo. Invece i giudei dell’Asia minore rimasero relativamente immuni dalle

conseguenze negative della guerra giudaica ed esercitarono una grande influenza in particolari

città. Si tratta di una Diaspora risalente al periodo persiano, che conservò particolari privilegi

concessi dai romani. Per esempio Sardi: una grande sinagoga al centro della città e i suoi membri

partecipavano al consiglio cittadino... In questo contesto si capisce molto bene come ci fossero

lamentele da parte giudaica contro i cristiani che dovevano costituire un gruppo missionario molto

attivo; i giudei dovettero vedere nel loro spirito missionario entusiastico e nella loro dottrina

escatologica, un pericoloso concorrente che avrebbe potuto, tra l’altro, screditarli agli occhi degli

organi statali».

Cfr. Il Martirio di Policarpo: persecuzione contro i Cristiani in Asia minore alla quale

parteciparono, secondo un comportamento abituale, anche i giudei: essi sono i più attivi nell’aizzare

la popolazione di Smirne contro i cristiani; Tertulliano definisce le sinagoghe come “fonti di

persecuzione” (Scorp. 10,10); il Martirio di Pionio testimonia un grande odio, insulti e attacchi;

tra la fine del I e l’inizio del II secolo i giudei appaiono in condizioni più favorevoli rispetto ai

cristiani, fino al IV secolo.

10

WENGST K., Bedrängte Gemeinde und verherrlichter Christus. Der historiche Ort des Johannesevangeliums als

Schlüssel zu seiner Interpretation, Neukirchen 1981, nuova edizione 1990. 11

Cfr SCHAGE, GLNT XIII, 141 s.

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 15

JOSSA12

sostiene che «È difficile tuttavia valutare il peso che hanno avuto i giudei nelle

persecuzioni contro i cristiani». Jossa parla piuttosto, senza arrivare alle posizioni più radicali di

Harnak, di un odio teologico che alimenta, più della realtà storica, le contrapposizioni e le

persecuzioni di cui ci danno testimonianza Giustino, Melitone e altri scrittori cristiani antichi...).

Questi giudei dell’Asia minore, secondo Hengel, a differenza di quelli di Siria, Palestina,

Egitto, non avevano subìto limitazioni dalla catastrofe della prima guerra giudaica del 66-70. Così

Gv 16,2 «Vi scacceranno dalle sinagoghe; anzi, verrà l’ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di

rendere culto a Dio» non necessariamente si riferisce a una violenta e sanguinaria persecuzione da

parte dell’autorità giudaica dell’epoca dell’evangelista, ma intende descrivere la situazione della

comunità post-pasquale in generale: nell’ottica dell’evangelista le persecuzioni da parte dei giudei

furono “fin dall’inizio” in Giudea e nella provincia dell’Asia.

Al tempo stesso, tuttavia, non è da dimenticare che l’aspra controversia fra Gesù e i Giudei

nel IV Vangelo non può essere ridotta ad un semplice riflesso degli attacchi degli oppositori giudei

del tempo ai cristiani delle comunità giovannee.

La comunità giovannea e lo sviluppo del IV Vangelo (e dell’opera giovannea)

Un pioniere nel lavoro di descrizione della comunità giovannea e delle sue diverse fasi di

sviluppo, è lo studioso americano J.Louis Martyn, già citato. Accennando sinteticamente alla sua

ricostruzione, si può distinguere:

primo periodo, prima del fatidico anno 70, in cui i cristiani della comunità giovannea sono

in effetti giudeocristiani, giudei che hanno accolto Gesù come l‟atteso Messia (1,35-49; 2,11; 4,53);

secondo periodo: anni 80-90 caratterizzato dall‟allontanamento dalle sinagoghe e dalle

persecuzioni proprio da parte dei giudei (9; 5,18; 10,28s.; 15,18);

terzo periodo: dopo il 90, in seguito al Sinodo di Jamnia, in cui la comunità giovannea

assume la sua peculiare identità non solo nei confronti del giudaismo farisaico, ma anche nei

confronti degli altri gruppi cristiani e nei confronti della loro cristologia più bassa.

A questo punto sembra opportuno dedicare la giusta attenzione alla ricostruzione della

comunità giovannea fatta dal noto esegeta cattolico R.E.BROWN13

, autore, tra l‟altro, di un notevole

commentario al IV Vangelo. Non tutto ciò che dice è da condividere, ma certo fornisce un quadro

interessante, diciamo pure un‟ipotesi affascinante su come si sia sviluppato il Vangelo di Giovanni

e le lettere, in connessione con le fasi storiche della comunità giovannea dalle sue origini alle sue

divisioni fino alla sua “normalizzazione”.

Egli divide il tempo di formazione degli scritti giovannei in quattro fasi. Qui ci limiteremo a

parlare un po‟ più diffusamente della prima fase, che l‟autore definisce “delle origini”, affidando la

parte restante alla Tavola descrittiva che Brown stesso fornisce a p. 196s. del testo citato.

Per la prima fase si distingue in un primo e secondo periodo. La comunità giovannea nasce

come comunità di giudei la cui fede comporta una cristologia relativamente bassa. Per cristologia

relativamente bassa si intende qui la cristologia che nasce dall‟applicazione a Gesù dei titoli derivati

dall‟AT o da quelli che derivano dalle attese intertestamentarie14

, titoli che non implicano di per sé

la nozione cristiana di figliolanza divina (= divinità di Gesù). Così quando troveremo alcune

espressioni che si riferiscono a una cristologia “alta”, della preesistenza, della divinità ecc. potremo

presumere che essi fanno già parte di una riflessione più avanzata in cui Gv interpreta alcune

espressioni precedenti in un senso più alto. Così accade per la testimonianza del Battista:

[1.15] Giovanni gli rende testimonianza

e grida: «Ecco l‟uomo di cui io dissi:

12

JOSSA G., Il cristianesimo Antico. Dalle origini al Concilio di Nicea, Carocci, Roma 21998, 143.

13 BROWN R.E., La comunità del discepolo prediletto, Cittadella, Assisi 1982 (orig. New York 1979).

14 Cfr. BROWN, La comunità... p. 24.

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 16

Colui che viene dopo di me

mi è passato avanti,

perché era prima di me».

[1.30] Ecco colui del quale io dissi: Dopo di me viene un uomo che mi è passato avanti, perché era

prima di me.

testimonianza non “inventata” da Gv, ma riportata già con l‟ interpretazione giovannea di

quanto Giovanni Bt aveva detto di Gesù, alla luce di una più alta cristologia (II fase).

Nella prima parte del Vangelo, i miracoli non sono così diversi dalle descrizioni sinottiche di

miracoli. È chiaro che già nei racconti apostolici all‟indomani della risurrezione, dunque già nei

vangeli sinottici, le testimonianze e i ricordi sulle azioni e le parole di Gesù vengono riletti alla luce

dell‟evento della risurrezione e della fede dei testimoni. Tale interpretazione continua nella vita

cristiana e Giovanni ne testimonia lo sviluppo originale già a partire da quella che Brown chiama la

prima fase. Ciò che veramente rende diversi gli stessi racconti di miracolo, in Giovanni, sono le

interpretazioni, le parti teologico - interpretative che conferiscono al vangelo quella sua peculiare

cristologia alta. Insomma per l‟evangelista, la cristologia più alta che si è sviluppata in seno alla

sua comunità è nient‟altro che l‟interpretazione corretta di quanto già dicevano le originarie

confessioni su Gesù come Messia... «L‟autore della prima lettera sottolineerà che quello che egli sta

proclamando al tempo suo è ciò che era “fin dal principio” (1Gv 1, 1-2)»15

.

Tra l‟altro proprio a Giovanni Battista e ai suoi discepoli, che risulta frequentassero la zona

dove sorgeva la comunità di Qumran, Brown attribuisce l‟introduzione di idee tipiche della

comunità essena che si trovano anche in Giovanni (il dualismo luce/tenebra, verità/falsità; ...), e non

invece a un contatto diretto tra l‟evangelista e Qumran.

La figura del Discepolo prediletto, certamente idealizzata, ma non inventata, è quella che

servirà da autenticazione alle idee giovannee (in particolare cristologia ed ecclesiologia) di fronte

alle altre comunità cristiane (per questo si sottolinea che il Discepolo prediletto arrivò per primo

alla tomba vuota). Il Discepolo prediletto, che fonda autoritativamente la testimonianza del IV

Vangelo come testimonianza di tipo apostolico, è l‟innominato discepolo di 1,35-40: «[35] Il giorno

dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli ...[40] Uno dei due che avevano udito le

parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro» il secondo, sarebbe

appunto il discepolo prediletto, con Gesù fin dal principio, ma non ancora definito come “il

discepolo che Gesù amava” (13,23-27; 19,25-27; 20,2-10; 21,1-14.20-24) poiché non è ancora

giunto a comprendere pienamente Gesù (13,1). Concordano, grosso modo, Culpepper16

e

Schnackenburg17

. Sulla domanda se sia storicamente plausibile che il discepolo che Gesù amava sia

il “garante” della tradizione giovannea,18

mi limito ad osservare, sinteticamente, che la risposta

dell‟autore è positiva. Dunque un discepolo di Gesù sin dal principio, benché non appartenesse al

gruppo dei dodici. La tradizione cristiana successiva tende a identificarlo con Giovanni figlio di

Zebedeo, proprio per assegnare al discepolo prediletto il ruolo di testimone e semplificare la

concezione delle origini riportandolo nel numero dei dodici. Per Brown, diversamente da Cullmann,

non si identifica, tuttavia, con l‟evangelista (cfr. p. 36, nota 49).19

Il secondo periodo della comunità giovannea è caratterizzato, dal punto di vista storico,

dall‟ingresso di un gruppo di samaritani che determina l‟acutizzarsi delle difficoltà con “i giudei”,

15

Cfr. BROWN, La comunità... p. 29 nota 38. 16

CULPEPPER , Johannine School, 265, nota 9 17

SCHNACKENBURG R., Il Vangelo di Giovanni, III, 449ss. 18

Cfr. SEGALLA G., «Il discepolo che Gesù amava» e la tradizione giovannea, in Ricerche Storico Bibliche 2(1991)11-

36. 19

È diffusa oggi l‟opinione che l‟identificazione dell‟autore del IV Vangelo con Giovanni figlio di Zebedeo, derivi

dallo scambio di persone con il “presbitero Giovanni” di cui parla Papia (Eusebio, Hist. eccl. 3,39,3 s. ovvero si tratti di

un offuscamento della tradizione che rimandava al presbitero Giovanni. Sulla questione cfr. SCHNACKENBURG, Il

Vangelo di Giovanni, I, 72-92.

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 17

fino alla vera e propria rottura. È in questa fase che le affermazioni cristologiche vanno decisamente

oltre quanto si poteva attendere un giudeo che giungesse a riconoscere Gesù come il messia atteso.

È pure a questa fase che dobbiamo attribuire l‟accentuazione della distanza di Gesù dalle istituzioni

giudaiche, fino a giungere a una vera e propria “sostituzione” del nuovo rispetto a ciò che viene ora

giudicato come “vecchio”.

Tutto ciò tocca diverse prospettive, non ultima quella della cosiddetta teologia della

sostituzione che si svilupperà poi nella teologia cristiana rispetto alla sua origine ebraica. In

Giovanni la prospettiva più antica, vicina a quella sinottica, di un compimento delle attese in Gesù

in linea con una fondamentale continuità tra giudaismo e cristianesimo, coesiste talvolta con la

prospettiva nuova, frutto dei cambiamenti originati dalla condizione storica della comunità.

Provando ad andare con ordine, e rinviando al volume di Brown più volte citato, bisogna

considerare innanzitutto il fatto storico, contestuale, che fu all‟origine di uno sviluppo originale

della cristologia “alta” del IV Vangelo. Dall‟ipotesi storica si potrà passare, come verifica, alle

questioni rappresentate dai testi giovannei.

Il Brown osserva che i capitoli 2-3, benché portatori già della “reinterpretazione” giovannea

dei fatti (basti pensare, tra l‟altro, al fatto che l‟episodio della purificazione del tempio viene

anticipato da Gv nel capitolo 2 rispetto alla più verosimile collocazione sinottica) benché già

manifestino una interpretazione a partire dalla cristologia giovannea “alta”, non si discostano

tuttavia da un tipo di narrazione sinottica. Brown riconduce, in particolare, gli episodi narrati da

Giovanni a “paralleli” sinottici, benché non corrispondenti nel dettaglio. Ma ciò che veramente

interessa e pone una quantità di questioni è il capitolo IV, l‟incontro con la donna samaritana e la

conversione di samaritani. E l‟osservazione che subito dopo questo capitolo IV ci si trovi davanti

all‟esplosione della più alta cristologia giovannea in aperto e pieno conflitto con “i giudei” che gli

rivolgono l‟accusa di farsi uguale a Dio (5,16-18). Il Brown vede qui il chiaro riflesso dell‟ingresso,

in seno alla comunità giovannea, di un secondo gruppo di cristiani. Il primo, il nucleo più antico dei

discepoli di Gesù è rimasto, fino al cap. IV, quello di cui si parla in 1,35-51, i discepoli di Giovanni

Battista: [1.35] Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli [1.36] e, fissando

lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l‟agnello di Dio!». [1.37] E i due discepoli,

sentendolo parlare così, seguirono Gesù.....

Il secondo gruppo, invece, è composto giudei con una posizione particolare contro il tempio i

quali, «dopo aver convertito dei samaritani, fecero propri alcuni elementi del pensiero samaritano,

compresa una cristologia che non era imperniata sul Messia davidico» 20

. È questo secondo gruppo

che farà da catalizzatore nello sviluppo della teologia ed in particolare della cristologia giovannea.

Non entra in conflitto con il primo gruppo ma si aggiunge ad esso e genera l‟ostilità accesa dei capi

della Sinagoga. Il riflesso della situazione che riguarda la comunità giovannea, si ha nella

narrazione dell‟incontro con la Samaritana. In particolare Brown osserva che

- dopo tale narrazione il Vangelo concentra la sua attenzione sul rifiuto di Gesù da parte dei

“Giudei”;

- Gesù afferma sì la sua identità giudaica (4,42), ma predice che Dio sarà adorato né sul

Garizim né sul Sion (4,21) contrariamente a quanto ci dicono gli Atti 2,46 e 3,1;

- prova ne è che Atti 8,1 parla dell‟ostilità contro gli “ellenisti” mentre si è ancora tolleranti

verso gli apostoli;

- Il Messia a cui si riferisce la donna samaritana sarebbe da identificare con il Taheb

dell‟attesa samaritana (un Messia - profeta, in quanto i samaritani sono esattamente contro l‟attesa

di un Messia davidico secondo l‟attesa giudaica)

- i samaritani dichiareranno alla fine che [4.42] .... «Non è più per la tua parola che noi

crediamo; ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del

mondo».

20

cf. BROWN, La comunità... p. 40.

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 18

- il titolo “salvatore del mondo” rimane un riflesso di questa fede non più espressa con le

categorie giudaiche.

I cristiani della comunità giovannea, espulsi dalle loro sinagoghe, non vollero più considerarsi

“giudei”; è per questo che se ne parla spesso nel IV Vangelo, già sulla bocca di Gesù, come di

avversari, come di un‟altra religione, anticipando ciò che in realtà accadrà più tardi. Un segnale

importante di questa separazione che lascia una forte impronta nel IV Vangelo, mi pare sia l‟uso di

“legge” nelle dispute giovannee tra Gesù e i giudei. Nelle parole di Gesù troviamo l‟espressione “la

vostra Legge”, un fatto che segnala, senza dubbio, visto che si è ampiamento riconosciuta l‟origine

giudaica di Gesù, una contrapposizione che vede ormai nei “giudei” gli altri, e nella Legge mosaica

“la loro o vostra Legge”.

Ancora alla fase pre-evangelica, prima fase, secondo la ricostruzione proposta da R.E.Brown,

viene ricondotto l‟ingresso di Gentili nella comunità. Ciò si evince dal fatto che Giovanni si

soffermi a spiegare termini come “Messia” e “Rabbi”, che non avrebbe dovuto certamente spiegare

ad ascoltatori ebrei. L‟apertura ai gentili va ricondotta al tempo in cui i cristiani giovannei, di

provenienza giudaica, furono estromessi dalle sinagoghe, non furono ritenuti né si ritennero più

giudei. Avendo già compiuto un passo decisivo fuori dal giudaismo, con l‟accoglienza dei

samaritani, l‟entrata di Gentili non comportò il “conflitto” che alcuni ipotizzano nell‟eventualità che

tale ingresso si fosse realmente verificato. Brown sostiene, dunque, che durante tutta la storia

preevangelica, si sono combinate diverse “anime”, quella giudaica, quella samaritana e quella

pagana, senza suscitare realmente conflitti all‟interno della comunità giovannea, cosa che invece si

verificherà dopo, come registrano le lettere. Il “Noi” del IV Vangelo, rappresenta invece l‟unità che

caratterizzò la comunità giovannea della prima fase.

Per completezza riporto lo schema complessivo sulla storia della comunità giovannea secondo

Brown (in realtà ci interessano particolarmente le prime due fasi):

Prima Fase: le origini (dalla metà degli anni 50 agli anni 80 avanzati)

Gruppo d‟origine: In Palestina o vicino alla Palestina, ebrei dalle attese relativamente diffuse,

comprendenti seguaci di GBat., accettarono senza difficoltà Gesù come il Messia davidico, il

realizzatore delle profezie, colui che i miracoli confermavano. In seno a questo gruppo c‟era un

uomo che aveva conosciuto Gesù durante il ministero e che sarebbe divenuto il Disceplolo

prediletto.

Secondo Gruppo: Ebrei con tendenze contrarie al Tempio che credevano in Gesù e fecero

proseliti in Samaria. Essi interpretarono Gesù più su uno sfondo culturale mosaico che davidico.

Egli era stato con Dio, Lo aveva visto, e aveva recato sulla terra se Sue parole al popolo.

L‟accettazione del secondo Gruppo fece da catalizzatore allo sviluppo di una cristologia alta,

della preesistenza, la quale portò a dei dibattiti con gli ebrei che pensavano che la comunità

giovannea stesse abbandonando il monoteismo giudaico facendo di Gesù un secondo Dio. alla fine i

capi di questi ebrei fecero espellere i cristiani giovannei dalle sinagoghe. Questi ultimi, separati dai

loro, videro «i giudei» come i figli del demonio. Essi accentuarono la realizzazione in Gesù delle

promesse escatologiche per controbilanciare quello che avevano perduto nel giudaismo. Il

Discepolo operò questa transizione e aiutò gli altri a compierla, divenendo così il Discepolo

prediletto.

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 19

Seconda fase: il vangelo (90 circa)

Convertiti Gentili: Siccome «i giudei» furono resi ciechi, la venuta dei greci costituiva il

piano di realizzazione di Dio. Può darsi che la comunità dalla Palestina sia passata nella diaspora a

insegnare ai greci. Questo contatto sprigionò le possibilità universalistiche insite nel pensiero

giovanneo. Però, il rifiuto di altri e la persecuzione da parte de «i giudei» persuasero i cristiani

giovannei che il mondo era contrario a Gesù, e che essi non dovevano appartenere a questo mondo

che era sotto il potere di satana. Il rifiuto della cristologia alta giovannea da parte dei giudeocristiani

fu visto come una mancanza di fede e portò alla rottura della comunione (Koinonia). Le relazioni

rimasero aperte con i cristiani apostolici con speranze di unità, malgrado le differenze di cristologia

e di struttura ecclesiale.

Il fatto di concentrare tutta l‟attenzione sulla difesa della cristologia di fronte a «i giudei» e ai

giudeocristiani condusse a una divisione in seno alla comunità giovannea.

Terza fase: le lettere (100 circa)

I seguaci dell‟autore delle lettere: per

essere figlio di Dio bisognava confessare

Gesù venuto nella carne e osservare i suoi

comandamenti. I secessionisti sono i figli

del diavolo e gli anticristi. L‟unzione con lo

Spirito rimedia alla necessità dei maestri

umani; esaminare chiunque affermi di avere

lo Spirito.

I secessionisti: Colui che è disceso

dall‟alto è così divino da non essere

pienamente umano; egli non appartiene al

mondo. Né la sua vita sulla terra né quella

del credente hanno un‟importanza salvifica.

Quello che solo importa è conoscere che il

Figlio di Dio è venuto nel mondo, e coloro

che credono in ciò sono già salvi.

Quarta fase: dopo le lettere (2° secolo)

Unione con la grande chiesa: incapaci

di combattere i secessionisti appellandosi

semplicemente alla tradizione, e perdendo

terreno di fronte ai propri avversari, alcuni

tra i seguaci dell‟autore riconobbero la

necessità di maestri ufficialmi rivestiti di

autorità (presbiteri-vescovi). Allo stesso

tempo «la chiesa cattolica» si dimostrò

aperta alla cristologia alta giovannea. Ci fu

un graduale amalgama con la grande chiesa

che, però, andò piano ad accettare il quarto

Vangelo dal momento che gli gnostici

facevano di esso un cattivo uso.

Verso lo gnosticismo: la maggior parte della

comunità giovannea sembra che accettasse

la teologia secessionista la quale, separata a

causa dello scisma dal pensiero moderato,

avanzerà verso un vero e proprio docetismo

(da un Gesù pienamente umano a una pura

apparenza di umanità), verso lo gnosticismo

(da un preesistente Gesù a dei preesistenti

credenti i quali discendono anch‟essi dalle

regioni celesti), e verso il montanismo (dal

possedere il Paraclito all‟incarnare il

Paraclito). Essi portarono con sé il quarto

Vangelo che fu presto accettato dagli

gnostici che lo commentarono.

Non si nasconde che il quadro complessivo che emerge dalla ricostruzione di Brown è

affascinante, convincente, eppure dà molto il senso di una situazione da manuale: nel primo tempo

si crea comunione tra gruppi estremamente eterogenei, nel secondo la frattura, le lettere (terzo

periodo) rispondono ai problemi...

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 20

Aggiungiamo che anche per il noto esegeta tedesco Oscar Cullmann il gruppo giovanneo si

sarebbe ampliato “in seguito all‟ammissione di samaritani convertiti”.21

Sulla questione dei “giudei” nel IV Vangelo e della separazione della comunità cristiana

giovannea dalla sinagoga si è espresso indirettamente G.JOSSA, Giudei o cristiani?, Paideia Brescia

2004. Lo storico del cristianesimo antico, docente presso l‟università federiciana di Napoli, sostiene

non senza qualche punta polemica contro gli esegeti neotestamentari che darebbero troppa

importanza alla birkat ha-minim e al sinodo di Jamnia, che una coscienza della separazione del

cristianesimo del giudaismo, la nascita del cristianesimo come nuova identità religiosa non deve

essere spinta troppo in avanti, e polemizza proprio con posizioni come quella di Martyn e di Brown.

Le sue considerazioni su Giovanni seguono le precisazioni su Paolo e sulla situazione della

Grecia e dell‟Asia minore dove già dagli anni 50 le comunità cristiane dovevano apparire come

distinte dalle comunità giudaiche e il cristianesimo non si presentava più come una setta interna al

giudaismo. A Davies, che si schiera a favore di una tardiva coscienza identitaria cristiana a partire

da Mt, corrisponde Martyn per il vangelo di Gv: Gv 9,22 con la decisione di cacciare i cristiani

dalle sinagoghe testimonia un accordo formale o una decisione raggiunta da un gruppo giudaico

autoritativo in un momento precedente la redazione giovannea e intesa alla separazione. Nei giudei

di 9,22 sono ravvisabili i saggi di Jamnia che avrebbero deciso di espellere i giudeocristiani dalla

sinagoga (verso l‟85) mentre la redazione finale di Gv è della fine del I sec. e presenta una

contrapposizione ormai netta tra giudei e cristiani. Nella presentazione dei tre periodi di Martyn il

cristianesimo si presenta a lungo come “giudeocristianesimo” se non addirittura come giudaismo

cristiano. A tale proposito Jossa precisa l‟uso linguistico per evitare confusioni: i cristiani che

provengono dal giudaismo rappresentano il cristianesimo giudaico, come quelli che provengono dal

paganesimo sono il cristianesimo gentile (è bene per tali gruppi non utilizzare le espressioni

equivoche di giudeocristiani e paganocristiani) cf. p. 153.

Giudeocristiani sono invece coloro che hanno riconosciuto in Gesù il Signore e Messia ma

vogliono conservare la propria identità giudaica e continuano in particolare ad osservare la legge

(Paolo perciò era un giudeo cristiano ma non un giudeocristiano).

Dagli anni 40 è giudeocristiano il gruppo di Giacomo (non necessariamente tutta la chiesa di

Gerusalemme) e a partire dal 50 la parte più significativa della chiesa di Gerusalemme. Dopo il 70 è

giudeocristiano anche il gruppo dei nazorei. I Vangeli di Mt e di Gv testimoniano una rottura con il

giudeocristianesimo avvenuta da poco, cosa che dimostrerebbe che fino alla redazione dei due

Vangeli le loro comunità non sarebbero state altro se non gruppi all‟interno del giudaismo. Per

Jossa è difficile accogliere questa posizione: «… checché ne pensi Martyn la minaccia di esclusione

dalla sinagoga della comunità di Gv, motivata com‟è con il riconoscimento di Gesù di Nazareth

come Messia, risale più probabilmente ad un momento precedente la guerra del 70, quando il

problema era ceramente acuto, che non all‟introduzione della birkat ha-minim verso l‟85, quando i

problemi principali erano problemi di disciplina» p. 163.

Qui Jossa condivide Senberger: certo Jamnia c‟entra, ma non è il problema principale né si

può ricondurre alla birkat ha-minim il momento della rottura fra giudei e cristiani. Gli eventi

importanti a cui Jossa riconduce l‟attenzione sono la condanna del fratello di Gesù, Giacomo, nel 62

e lo scoppio della guerra giudaica nel 66. Al primo episodio è Giuseppe Flavio ad attribuirvi molta

importanza ed è comprensibile: i giudeocristiani osservano la legge, sono per l‟elezione di Israele,

non possono fare a meno della propria identità giudaica. La condanna di Giacomo rappresenta

perciò un fatto di grande rilievo: in un mondo minacciato da una guerra contro i romani per

l‟esistenza di fermenti di tipo messianico si cerca di eliminare qualunque fermento dalla nazione,

perciò sin da ora, e non con il 135, la comunità cristiana verrà isolata. Naturalmente si ipotizza

l‟origine palestinese di Mt e Gv. È probabile che entrambe le comunità, dopo aver costituito per un

certo tempo un orientamento nuovo all‟interno del giudaismo palestinese, dopo la condanna di

21

CULLMANN O., Origine e ambiente dell‟evangelo secondo Giovanni, Marietti, Torino 1976, 77.

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 21

Giacomo e lo scoppio della rivolta si siano staccate dalla comunità palestinese e abbandonato la

terra di Israele. Quindi la coscienza di formare un gruppo distinto, anzi una entità religiosa a se

stante rispetto al giudaismo è più antica di quanto facciano pensare le scansioni di Martyn, Brown e,

soprattutto, Pesce.

Formazione e struttura del IV Vangelo

Le introduzioni ambientali sulla storia, la geografia, condizionamenti culturali dell‟ambiente

giovanneo, insieme alle ipotesi sul tipo di comunità che sottostà al IV Vangelo, servono ovviamente

come ipotesi di lavoro. Una visione di insieme, sistematica e completa sarebbe possibile solo

assumendo una di quelle ipotesi precedentemente illustrate come vera. Nel nostro corso le

consideriamo, appunto, ipotesi di lavoro che dovranno essere verificate nel corso dello studio

esegetico del Vangelo. Si crea una sorta di circolo poiché se è vero che sull‟ipotesi di un

determinato sfondo storico e comunitario le pericopi giovannee vengono interpretate in un certo

modo, è anche vero che per una loro comprensione iniziale bisogna partire da un quadro di

riferimento…

Prima però di passare allo studio della singola pericope bisogna dare uno sguardo di insieme al

Vangelo in quanto opera che si presenta a noi, al di là della sua origine, come opera completa che

come tale chiede di essere letta e interpretata.

Proprio in relazione al Vangelo di Giovanni è noto come da parte di tanti studiosi, fino ai nostri

giorni, siano state proposte diverse ipotesi di composizione attraverso diverse fasi, per dar ragione

dell‟attuale opera che, evidentemente, appare non geneticamente unitaria, ma frutto di un lavoro di

successivi inserimenti e ritocchi. È possibile allora parlare di una struttura dell‟opera così come

oggi ci perviene? Per molti il problema non si pone poiché è a partire dalla sua redazione finale che

inizia il nostro compito, quello cioè di comprenderla nel suo insieme.

Vengono così avanzate diverse proposte di strutturazione del Vangelo nella sua sistemazione finale,

a seconda che si assuma un criterio (per esempio spazio-temporale) piuttosto che un altro (per

esempio tematico).

A queste proposte se ne affianca recentemente un‟altra che esamina il Vangelo come narrazione e la

analizza con il sistema proprio dell‟analisi narrativa, rispondendo alle domande di quale sia il filo

narrativo, l‟intreccio, lo sviluppo del dramma, attraverso quali parametri stilistici… quali siano i

“personaggi” e la loro funzione nell‟insieme narrativo… insomma né più né meno che quanto si fa

per un romanzo o per un film analizzato con la stessa metodologia narrativa.

Sia l‟osservazione della struttura letteraria del Vangelo, che l‟analisi narrativa, si propongono

comunque come strumenti per una visione d‟insieme del vangelo che aiuti a dare senso alle sue

diverse parti considerate non come giustapposte l‟una all‟altra ma, come sono, parti di un insieme

che si presenta oggi a noi (ma già da diversi secoli!) come un unico racconto.

LA FORMAZIONE LETTERARIA DEL IV VANGELO

Un Vangelo composito

L‟osservazione comune del IV Vangelo porta a pensare ad una composizione complessa:

20,30-31 epilogo del capitolo 20° originariamente conclusivo; il cap. 21, in cui la prima

persona plurale (comunità?) si alterna alla prima singolare (redattore?) presenta un nuovo

epilogo (21,24-25)

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 22

14,30-31 sembra la conclusione del discorso di Gesù in occasione dell‟ultima cena ma il

discorso si prolunga per altri tre capitoli; solo in 18,1 si da seguito all‟espressione di Gesù

“andiamo via di qui”… Inoltre in 16,5 Gesù fa notare che non gli hanno chiesto dove sta per

andare, mentre in 13,36 glielo aveva già chiesto Pietro! Nei capitoli 15 e 16 vengono ripresi

alcuni brani sulla diaconia dello Spirito Santo di cui si era già parlato in 14. Qualcuno ha

ipotizzato che i capitoli 15 e 16 (ma anche il 17) siano stati aggiunti in un secondo momento

dal redattore (forse lo stesso del cap. 21)

nella successione dei capitoli 4-7 vi è qualche incongruenza: 6,1 suppone Gesù in Galilea

mentre in 5 era a Gerusalemme. Allo stesso modo incongruente sembra il riferimento di 7,1

di Gesù che se ne andava per la Galilea, dove in realtà già si trovava secondo il cap. 6. Così

alcuni propongono lo spostamento dei capitoli nella successione 4-6-5-7-8 (cfr.

Wickenhauser, Shnackemburg…..). Scambio di fogli? Inserimento del cap. 6 da parte del

redattore del cap. 21?

Il problema del prologo: alcuni termini (lògos, chàris, pleroma) compaiono solo qui; appare

già composito al suo stesso interno (Gv Battista vv. 6-8 e 15, anch‟esso inserito dal redattore

finale?

12, 44-50 un “sommario” redazionale sull‟insegnamento di Gesù? Anche 3,31-36 sembra

essere una raccolta di detti inseriti da un redattore.

L‟episodio della donna adultera 7,53-8,11: assente nei manoscritti più antichi! In alcuni

manoscritti si trova in Luca…

Parentesi che appaiono come aggiunte: per eseòpio 4,2 in riferimento a 3,22

Alcune disarmonie teologiche: l‟escatologia presente di Giovanni convive con brani di

natura escatologica 5,28-29; 6,39-40.54… i “segni” da una parte sottolineati (2,11; 20,30-

31) dall‟altra relativizzati (2,23; 4,48)

Per questo motivo di solito gli studiosi che seguono la metodologia storico-critica parlano di più

fonti e diverse fasi redazionali (cfr. Brown, Schnackenburg…)

Fonti

Bultmann parla di di tre fonti

1. Fonte dei segni o miracoli, parallela alla tradizione sinottica (dalle nozze di Cana

all‟epilogo di 20,30s.); greco semplice e molti semitismi

2. Racconto della passione: analogo ma non identico con quello sinottico, con aggiunte

proprie di Giovanni

3. Fonte dei discorsi: di stampo gnostico precristiano, proveniente dalla Siria, riletta e

adattata da Giovanni

Il redattore, secondo Bultmann avrebbe armonizzato e intrecciato le tre fonti assumendo la fonte dei

segni come intelaiatura del Vangelo. Un redattore ecclesiastico avrebbe invece aggiunto il cap. 21, i

racconti escatologici (5,24-25; 6,39-40) e i sacramenti ( 3,5; 6,51c-58) per assimilare il IV vangelo

alla fede ecclesiastica comune.

Molte critiche a Bultmann; in particolare C.H. DODD (La tradizione storica del IV Vangelo):

nonostante le differenze di superficie bisogna osservare la forte unità letteraria e tematica; il IV

Vangelo come testimone di un‟antica tradizione presinottica di origine palestinese. Gv non è

semplicemente il grande teologo ma testimone storico.

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 23

Molti studiosi più recenti riprendono parete delle osservazioni degli studiosi precedenti con alcune

risistemazioni personali. Interessanti LINDARS secondo il quale Gv avrebbe lavorato su omelie

fatte da Gv stesso alla sua comunità in diverse situazioni (litugiche, catechetiche)…

Fasi redazionali

Sempre per spiegare l‟aspetto composito del IV Vangelo alcuni studiosi si sono impegnati nel

descriverne le fasi redazionali:

R. Schnackenburg: tre stadi

4. «tradizione giovannea» risalente allo stesso apostolo Giovanni, autonoma e indipendente

dalla tradizione sinottica (ha sostenuto successivamente la paternità non di Giovanni figlio

di Zebedeo ma del “discepolo prediletto”, di Gerusalemme, non facente parte della cerchia

dei dodici

5. Vangelo scritto opera di un discepolo appartenente alla comunità giovannea che dà alla

tradizione precedente la forma di unità letteraria

6. Redazione finale: inserimento di altro materiale giovanneo (cap. 21; 3,13-21; 3,31-36;

capitoli 15-17 e altre aggiunte minori)

R.E.Brown: cinque stadi

7. tradizione orale di ambiente palestinese prima del 70 d.C., simile alla sinottica ma

indipendente.

8. sviluppo della tradizione in senso giovanneo, sotto la direzione dell‟apostolo Giovanni e

altri discepoli (come Schnackenburg ritratterà questa identificazione). Nascono le strutture

drammatiche dei racconti e alcuni discorsi

9. Primo Vangelo scritto: per un pubblico di lingua greca, con conclusione al cap. 20; autore ne

fu Giovanni stesso o un suo discepolo.

10. Seconda edizione greca del Vangelo: inserimento di aggiunte e ritocchi come risposte a

sette battiste e giudeo cristiane

11. Edizione definitiva da parte di un autore forse discepolo del primo. Aggiunta del cap. 21;

dei capp. 15-17 e di 3,31-36; 6,51-58; 12,44-50

M.E. Boismard: quattro stadi; ricostruzione letteraria insieme alla ricostruzione del contesto

storico della comunità giovannea

12. Giovanni I (Documento C): prima redazione completa del vangelo dal Battista alla

Risurrezione. Conteneva 5 “segni”. Scritto in Aramaico palestinese (anni ‟50) dal “discepolo

prediletto” (Giovanni di Zebedeo o Lazzaro). Cristologia bassa (Gesù “profeta”, o come

Mosè o, ancora, come il “Figlio dell‟uomo” danielico)

13. Giovanni II/A: Giovanni il Presbitero (probabilmente) cura una edizione nel 60-65 in

Palestina aggiungendo nuovo materiale e parlando del “mondo” in maniera negativa. Al

cambiamento di condizione nella comunità giovannea corrisponde una certa opposizione nei

confronti de “i giudei”.

14. Giovanni II/B: lo stesso editore di IIA si trasferisce ad Efeso e cura una nuova edizione, in

greco, intorno agli anni 90. Si acuisce l‟ostilità giudaica sottolineata nel vangelo attraverso

la posizione avversa de “i giudei”. Gesù è presentato come figura preesistente, superiore a

Mosè (cristologia alta). In risalto i sacramenti.

15. Giovanni III: riedizione a cura di un giudeocristiano sconosciuto della scuola giovannea di

Efeso; inizio del II secolo d.C.

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 24

G. Segalla: tre stadi di sviluppo conseguenti alla migrazione della comunità giovannea da un

ambiente giudeo-cristiano (Palestina prima del 66) ad un ambiente ellenistico (Antiochia e poi

Efeso)

16. tradizione orale di tipo sinottico, messa per iscritto come promemoria; all‟origine di essa è

Giovanni figlio di Zebedeo, il discepolo prediletto.

17. Probabilmente lo stesso apostolo rivede la tradizione e l‟approfondisce in senso cristologico

e soteriologico (cristologia alta): prima edizione del Vangelo.

18. Un discepolo del “prediletto” stende una seconda edizione fino a 20,31.

Molte altre proposte sono state formulate (cfr. bibliografia), tuttavia si rilevano alcuni elementi

comuni di non secondaria importanza:

- non si segue una teoria delle fonti di tipo sinottico

- viene sempre identificata una personalità particolare (Giovanni figlio di Zebedeo o altri…)

alla base della tradizione giovannea

- vengono sempre descritte diverse fasi di redazione che spiegano le fratture interne

- si afferma nel contempo la sostanziale unità del IV Vangelo

- connessione stretta con la comunità giovannea e con gli sviluppi della sua storia

Le questioni di tipo storico si moltiplicano nella misura in cui si osserva con maggiore attenzione il

testo (dall‟autore, al significato del “noi”, alla predicazione in Samaria…); potranno essere

affrontate ricorrendo ai commentari citati; in parte saranno discusse durante lo studio esegetico.

STRUTTURA LETTERARIA e NARRATIVA

Dall‟excursus precedente risultano interessanti ipotesi circa le fasi redazionali dell‟opera, che a

parere di tutti ha subito una elaborazione più o meno lunga e più o meno complessa. Tuttavia il IV

Vangelo nella sua redazione canonica, così come in realtà lo possediamo, chiede di essere letto

come opera unitaria e, si è già detto, i motivi per parlare di opera unitaria non mancano secondo il

parere di quegli stessi autori che propongono la distinzione in fasi di composizioni.

Qual è il suo messaggio? Come possiamo accostarlo in quanto opera letteraria? Qual è il rapporto

tra le parti? C‟è un disegno unitario?…

Come per la formazione, così per la struttura sono molte e diversificate le proposte.

Ne propongo una recente che, tuttavia, con qualche variazione, è possibile riscontrare in diversi altri

autori moderni e contemporanei: R. FABRIS, Giovanni, Borla 1992.

L‟autore passa in rassegna diversi punti di vista precedenti:

- Wellhausen (1908): un caos senza forme. È possibile tuttavia riconoscere il Grundschrift

(scritto base)

- Bauer (1912) condivide lo scetticismo sull‟unità letteraria del Vangelo di Giovanni

- Bernard (1928) allo stesso modo ipotizza lo spostamento casuale di capitoli e sezioni

- Bultmann (1941), Schulz (1974), Becker (1979), Haenchen (1980) ricorrono alla teoria delle

diverse fonti di origine…

- Loisy (1903), Lagrange (1925), Hoskyns (1940)… si limitano a suddividere il testo in

sezioni semplicemente accostate le une alle altre

Le diverse strutturazioni proposte dagli autori contemporanei possono essere raggruppate a

seconda del modello che guida le osservazioni:

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 25

1. Narrativo-cherigmatico; sviluppo drammatico (Sanders; Kemper) o stilizzazione

kerygmatica (Strathmann) o catechistica che corrisponde alla forma letteraria del vangelo

predicato (Lindars)

2. Simbolico-tipologico: si fa leva sull‟interpretazione simbolica del tempo: giorni e settimane

(Boismard); istituzioni e feste (Mollat); oppure alle prefigurazioni veterotestamentarie di

creazione, esodo (Girard M., Mateos – Barreto); o ai segni in rapporto alla sapienza (Clark).

Alcune osservazioni comuni ai diversi studiosi anche di diversa tendenza:

Distinzione tra libro dei segni e libro dell’ora o della gloria (a sua volta suddiviso in discorsi,

passione, risurrezione)

L‟osservazione sulla numerazione dei segni: il settenario poi diversamente commentato (per

esempio la risurrezione è l‟ottavo e più grande dei segni per introdurre il giorno della nuova

creazione…; oppure l‟ottavo è la nuova creazione…

Fabris si chiede se esista un criterio unico e decisivo per la strutturazione o se, almeno, è possibile

riscontrare qualche indicazione esplicita da parte dell‟autore.

La più importante è in 20,30-31, insieme a quella posta a conclusione del libro dei segni en 12,37.

Insomma il ruolo dei segni in rapporto alla fede; il tema ricorre anche in 2,11 (Cana) e ripreso in

2,23.

Tra le altre osservazioni, Fabris aggiunge l‟unità tra la narrazione dei discorsi e quella della

risurrezione di Gesù, in cui domina il tema del compimento telèin e teleiousthai dell‟ora; nella

seconda parte del Vamgelo, insieme all‟insistenza sul tema della gloria, presente tuttavia anche

nella prima, si rileva il vocabolario dell‟amore: agape e agapan. L‟ultimo capitolo riprende, come

conclusione, ambedue le parti: Gesù compie un segno, la pesca miracolosa e trasmette l‟icarico

pastorale a Pietro dopo averlo ristabilito nell‟amore.

Così Fabris propone la seguente struttura:

Introduzione

- poetica generale (1,1-18)

- testimonianza di Gv Battista e presentazione dei discepoli (1,19-51)

I Libro dei segni di Gesù, il Cristo e Figlio di Dio (Gv 2,1-12,36)

Prima unità:

Da Cana a Cana: inclusione 2,11//4,54. Le tre regioni della Palestina (Galilea, Giudea e Samaria);

incontro con figure rappresentative dell‟ambiente etnico e socioculturale…

3. Le nozze di Cana 2,1-11.12

4. Gesù a Gerusalemme 2,13-25

5. Incontro e dialogo con Nicodemo 3,1-21

6. Gesù e Giovanni: confronto e ultima testimonianza 3,22-36

7. Incontro con la Samaritana 4,1-42

8. Guarigione della figlia di un funzionario regale 4,43-54

Seconda unità:

sei sezioni caratterizzate dalla combinazione tra momento narrativo e momento discorsivo. La

rivelazione di Gesù e importanza dell‟IO SONO

9. Guarigione dell‟infermo a Gerusalemme e dibattito sulle opere e la test. di Gesù 5,1-47

10. Segno del pane e dibattito con la folla, i giudei, i discepoli 6,1-71

11. Dibattito sull‟identità di Gesù nella festa delle capanne 7,1-8,59

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 26

12. Guarigione del cieco nato e dibattito sull‟identità di Gesù 9,1-41; 10,1-42

13. Risurrezione di Lazzaro e condanna a morte di Gesù 11,11-54

14. Gesù a Gerusalemme per l‟ultima Pasqua 11,55-12,50

- attese e minacce a Gerusalemme 11,55-57

- unzione di Gesù a Betania 12,1-11

- accoglienza di Gesù a Gerusalemme 12,12-19

- ricerca dei greci e “l‟ora” di Gesù 12,20-36

- bilancio teologico e appello finale 12,37-43.44-50

II Il «compimento» e l’ora della glorificazione di Gesù, il Cristo e Figlio di Dio (13,1-20,29)

1. Cena e lavanda dei piedi 13,1-20.21-30

2. Discorso di addio 13,31-17,26

- Partenza di Gesù e promessa del Consolatore 13,31-14,31

- Partenza di Gesù e comunità dei discepoli nel mondo 15,1-16,33

- Preghiera finale di Gesù 17,1-26

3. Passione, morte e risurrezione 18,1- 21,25

- Arresto e condanna di Gesù 18,1-19,16a

- Morte e sepoltura 19,16b-42

- Risurrezione 20,1-29.30-31

- Manifestazione di Gesù risorto, incarico a Pietro e discepolo testimone 21,1-23.24-25

*****

Per quanto riguarda l‟indirizzo sincronico, alcuni studiosi privilegiano la dimensione narratologica.

Panimolle S., nel suo Commento pastorale in tre volumi offre una struttura che è utile anche per un

approccio narrativo. Un commento sincronico – narrativo è quello di C.H. TALBERT, Reading John.

A Literary and Theological Commentary of the Fourth Gospel and the Johannine Epistels, Cross-

Road, New York 1992. Ma per l‟impostazione generale è utile il testo di Culpepper citato in

bibliografia di cui riportiamo la proposta di lettura unitaria di Giovanni:

R.ALAN CULPEPPER, Cfr. Sopra, Schede bibliografiche

Ogni episodio ripresenta il messaggio dell’insieme. Il Prologo conferisce a ciascuno di questi

episodi uno sfondo ironico in quanto il lettore è già stato ammesso alla confidenza del narratore e sa

chi è Gesù. Perciò il lettore ha una conoscenza superiore al singolo personaggio dei racconti che si

confrontano con Gesù perché in contrasto con loro riconosciamo che Gesù è il logos incarnato,

rivelatore del Padre. Questa dinamica letteraria spinge il lettore ad abbracciare il punto di vista

ideologico dell‟autore, cioè la confessione di fede di Gesù come il Cristo, il Figlio di Dio (20,30).

L‟ignoranza del cieco, dei giudei… dà alla storia una forza drammatica continua, così come l‟uso

delle metafore innalza la lettura tenendo sempre sveglio l‟interesse del lettore.

LO SVILUPPO DEL PLOT IN GV

Il prologo introduce Gesù come il logos attivo già alla creazione.

La sua missione è rivelare il Padre

La prima sez. del Vangelo in 2,22 introduce drammaticamente Gesù e il suo lavoro

Acclamato da Gv Battista e da alcuni suoi discepoli, rivela la sua gloria a Cana.

Il primo capitolo è ottimistico… molti lo riconoscono

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 27

Con il secondo la narrazione si complica. L‟opposizione di Gesù all‟abuso nel tempio. 2,22

«Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e

credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù» è la prima indicazione per il lettore non

iniziato del destino di morte e risurrezione di Gesù. Ma si pone anche un‟altra grossa questione: la

differenza tra coloro che credono e i discepoli: 2,11: «Così Gesù diede inizio ai suoi miracoli in

Cana di Galilea, manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui»… il capitolo 2 si

conclude dunque meno ottimisticamente del primo: il destino di sofferenza… e alcuni che pur

credendo nel suo nome non avranno parte con lui.

Cap. 3: non c‟è ancora vera opposizione con Gesù; ma vengono chiariti alcuni aspetti

dell‟opposizione: non tra Gesù e Giudei ma tra Gesù e quelli che rifiutano di accogliere la sua

rivelazione. Il non credere è la reale opposizione L‟influsso di Gesù cresce come pure il suo seguito.

Gv 4 ancora piccola opposizione a Gesù: allusione ai farisei ( 4,1.3) Riferimento prolettico al rifiuto

4,44: « Ma Gesù stesso aveva dichiarato che un profeta non riceve onore nella sua patria.» ma il

resto del capitolo è positivo… Dunque c‟è poca opposizione in Gv 1-4… hanno l‟effetto di dare al

lettore una prima impressione dell‟identità e della missione di Gesù.

Gv 5 prende un nuovo sviluppo. Si intensifica il conflitto sull‟identità di Gesù. I “Giudei” diventano

per la prima volta importanti e viene spiegata la base del conflitto. Il problema è il locus della

rivelazione: la Legge o Gesù? Gesù ha violato il sabato commettendo blasfemia e l‟evangelista lo

sottolinea in 5,18: « Per questo i Giudei cominciarono a perseguitare Gesù, perché faceva tali cose

di sabato…. [18]Proprio per questo i Giudei cercavano ancor più di ucciderlo: perché non soltanto

violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio». Gesù stesso parlerà di se

come del Figlio dell‟uomo (5,25-47).

Il potere drammatico del vangelo si costruisce intorno a questo conflitto!

Il conflitto con l‟incredulità cresce nel capitolo 6: notare che non ci sono altri conflitti significativi:

né con la natura né con i demoni, né con se stesso… lo stesso camminare sulle acque ha a che fare

piuttosto con la simbologia dell‟esodo e ha il carattere di una epifania. Anche il conflitto con i

discepoli dipende piuttosto dal fatto che la loro conoscenza resterà incompleta fino all‟ora della

morte-risurrezione. Il rifiuto dei giudei di credere in Gesù dipende dalla non comprensione della

Torah, di Mosè e dell‟esodo.22

In Gv 7 l‟opposizione a Gesù si mobilita: decidono di ucciderlo, e tentano di arrestarlo. Gesù

dichiara che andrà da colui che lo ha mandato: elemento di “dramma” per chi non conosce la

soluzione, o di ironia per il lettore informato.

Gv 8 il conflitto con i Giudei diventa più stridente. Punto centrale è la paternità che acuisce il

conflitto. Gesù è più vecchio dello stesso Abramo. Gesù viene definito spregiativamente come

Samaritano e demoniaco…

Il capitolo 9 e parte del 10 costituiscono un “interludio”. La guarigione del cieco è occasione per

sottolineare l‟ostilità dei giudei e la loro cecità. Il capitolo 10 rappresenta le posizioni popolo

“giudei” Gesù nelle parole sul buon pastore… La crescente opposizione degli ultimi cinque capitoli

si conclude con le parole di Gesù sulla sua capacità di lasciare la vita e riprenderla di nuovo, cosa

che accresce l‟intrigo. Il rapporto vita-morte viene focalizzato particolarmente nel capitolo 11.

Il capitolo 12 è di transizione in diversi sensi. Crea un legame tra 11 e 13. Già si prefigura lo

scenario della morte (l‟unzione). Si manifesta il senso della sua morte. Si interpreta anche il motivo

dell‟incredulità.

Con il cap. 13 si sottolinea che Gesù conosce l‟ora della sua morte. Il suo valore purificatore viene

indicato con la lavanda dei piedi. Il traditore è inviato alle tenebre e alla loro forza che,

paradossalmente, porteranno alla sua glorificazione. I discepoli, che non saranno in grado di

seguirlo, sono invitati ad amarsi reciprocamente. Si delinea il destino dei discepoli… per i quali

Gesù prega… capitoli 16-17.

22

CASTELLO G., La Legge nel IV Vangelo, in G.CASTELLO (a cura di), Le Sacre Scritture di Israele per ebrei, cristiani e

musulmani, ECS, Napoli 2008, 141-167;

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 28

Con il capitolo 18 inizia la sequenza rapida degli ultimi eventi. La posizione di Pilato tra Gesù e i

suoi accusatori è drammatizzata poiché questi restano fuori. In realtà il giudicato, una volta che

Pilato esce fuori, è proprio lui, più che Gesù. Nel dialogo Gesù-Pilato viene chiarita la natura

dell‟autorità di Gesù e la sua regalità. Pilato lo dichiara tre volte innocente, e con la scritta sulla

croce ne riconosce, in realtà, la vera identità. Mentre i giudei dichiarano la loro bestemmia “non

abbiamo altro re se non Cesare” Pilato si decide a consegnarlo a loro. Gesù viene ucciso alla vigilia

di Pasqua, quando si immolava l‟agnello nel tempio. Gesù è sepolto in una sepoltura regale.

Nel primo giorno della settimana Maria Maddalena scopre la tomba vuota… Tommaso, con la sua

esigenza di constatare fisicamente la risurrezione, fa la confessione di fede più alta e completa verso

Gesù. Al termine del capitolo 20 l‟intera narrazione viene conclusa con la motivazione della

scrittura evangelica: per condurre i lettori, o ascoltatori, a credere.

Il cap. 21 è un epilogo apparentemente aggiunto al vangelo una volta che esso era già concluso.

Risolve alcuni dei conflitti minori (Il discepolo prediletto e Pietro; Pietro e Gesù). Il vangelo di Gv

si conclude senza riferimento all‟ascensione, compresa nella “esaltazione” di Gesù. Alla fine Gesù è

con i discepoli; il Paraclito rimarrà con essi. Alludendo al futuro dei discepoli e alla scrittura del

vangelo, si crea un gancio tra la storia ed il lettore. La storia può dipingere il passato ideale ma il

presente è in relazione al passato in maniera tale che la storia diventa determinante per il lettore

presente.

L‟intreccio, il PLOT, è alimentato dal conflitto tra credere e non credere come risposta a Gesù. Ciò

è confermato dal fatto che circa metà delle ricorrenze di “credere” nel NT si trovano in Gv (98 su

239). Il suo intreccio è episodico e perciò difettivo. Ma l‟autore usa i vari episodi per arricchire la

tessitura del tutto. L‟integrazione tematica pervasiva tra i diversi episodi, fa si che il lettore possa

scorgere la sua fine e i suoi significati, in ciascuno degli episodi familiari.

Il vangelo è la testimonianza di uno che parla per tutti quelli che riconoscono la Parola in Gesù. Il

“Noi” può perciò essere compreso come atto ad includere tutti i caratteri nel vangelo che alla fine

hanno creduto e sono diventati testimoni: Gv Batt., i discepoli, la Samaritana, il cieco… gli altri.

Gli effetti di questa struttura narrativa con il suo prologo seguito dall‟episodica ripetizione del

conflitto tra fede e non-fede, serve ad includere il lettore nella compagnia della fede. L‟intreccio

evangelico è controllato da uno sviluppo tematico e una strategia che tende al corteggiamento del

lettore perché accetti la sua interpretazione di Gesù.

Un breve presentazione dell‟intreccio (the plot) narrativo nel Vangelo di Giovanni la troviamo

anche nel volumetto di V.Mannucci, Giovanni. Il Vangelo per ogni uomo, LoB 2.4, Queriniana,

Brescia 1995, 29-39. Tra le tante possibilità, Mannucci, a partire dal saggio di Segovia, predilige la

scelta del “viaggio della Parola” come motivo conduttore dell‟intera narrazione giovannea.

Propone perciò il seguente schema:

1. PRIMA PARTE: 1,1-18

Il viaggio cosmico mitico della Parola nel mondo degli uomini

2. SECONDA PARTE: 1,19-17,26

Il ministero di Gesù e i suoi viaggi ministeriali

3. TERZA PARTE: 18,1-21,25

La morte in croce, Risurrezione e significato permanente della sua missione

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 29

Bibliografia più citata durante le lezioni

indicazioni bibliografiche essenziali di preferenza in traduzione italiana

1. INTRODUZIONI GENERALI (oltre a quelle incluse nei commentari) COTHENET E., «Il quarto Vangelo», in A. GEORGE - P. GRELOT, Introduzione al nuovo Testamento V: La tradizione

Giovannea, Borla, Roma 1978, 85-272 e 276-301 (Bibliografia). COTHENET E., «Il Vangelo secondo San Giovanni», in Gli scritti di San Giovanni e la Lettera agli Ebrei, (Piccola

enciclopedia biblica 10), Borla, Roma 1985, 11-162. G. GHIBERTI e coll., Opera Giovannea (Logos 7), ElleDiCi, Leumann (To) 2003. MAZZEO M., Vangelo e lettere di Giovanni. Introduzione, esegesi e teologia, Paoline, Milano 2007. PANIMOLLE 5., L 'evangelista Giovanni. Pensiero e opera letteraria del quarto Vangelo, Borla, Roma 1985. SEGALLA G., «Giovanni (Vangelo di)», in Nuovo dizionario di teologia Biblica, Paoline, Milano 1988, 666-673. TUÑÌ J.O. – ALEGRE X., Scritti giovannei e lettere cattoliche, (Introduzione allo studio della Bibbia 8), Paideia,

Brescia1997 (orig. Spagnolo Verbo Divino, Estella 1995). 2. COMMENTARI ANTICHI CIRILLO DI ALESSANDRIA, Commento al Vangelo di Giovanni, trad., intr. E note a cura di Luigi Leone, 3 voll., (collana di

Testi patristici diretta da Antonio Quacquarelli) città nuova editrice, Roma 1994 (coll. Capodimonte A.24.111/112/113).

ORIGENE, Commento al Vangelo di Giovanni, UTET, Torino 1968. SAN BONAVENTURA, Commento al vangelo di San Giovanni, (collana Opere di San Bonaventura), 2 voll.,Città Nuova,

Roma 1990. 1991; ( coll. Capodimonte A.20.3. 7/1-2). S. AGOSTINO, Commento al Vangelo e alla prima epistola di San Giovanni, traduzione e note di Emilio Gandolfo (collana

Nuova Biblioteca Agostiniana) Città Nuova Editrice, Roma 1968. TEODORO DI MOPSUESTIA, Commentario al Vangelo di Giovanni, Borla, Roma 1991. S. TOMMASO D’AQUINO, Commento al Vangelo di San Giovanni, I-IV, Città Nuova, Roma 1990. 3. COMMENTARI MODERNI BARRET C.K., The Gospel according to St. John, SPCK, London 1985 (I ed. 1955). BEASLEY-MURRAY G.R., John, (Word biblical commentary 36), Word, Dallas 1987. BLANCK J., Das Evangelium nach Johannes, 4 voli. Patmos, Dùsseldorf 1977-1981; versione inglese, The Gospel

according to John, 3 voli., Crossroad, New York 1981; versione spagnola, EI Evangelio segun San Juan, 4 voli., Herder, Barcelona 1979-1984.

BOISMARD M.E. - LAMOUILLE A., L Èvangile de Jean. Commentaire: Synopse des quatres évangiles en franais III, Du Cerf, Paris 1977.

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Page 31: Appunti.pdf Opera Giovannea Lettere Cattoliche

Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 31

«Videte ergo, fratres, ne forte de ipsis montibus est

Iohannes, de quibus paulo ante cantavimus: Levavi

oculos meos in montes, unde venit auxilim mihi (Ps

120,1). Ergo, fratres mei, si vultis intellegere, levate

oculos vestros in montem istum; id est, erigite vos ad

evangelistam, erigite vos ad eius sensum»

S.Agostino, In Iohannis Evangelium Tractatus 1,6

Il PROLOGO Gv. 1,1-18 1 VEn avrch/| h=n o` lo,goj(

kai. o` lo,goj h=n pro.j to.n qeo,n( kai. qeo.j h=n o` lo,gojÅ

2 ou-toj h=n evn avrch/| pro.j to.n qeo,nÅ 3 pa,nta diV auvtou/ evge,neto( kai. cwri.j auvtou/ evge,neto ouvde. e[nÅ o] ge,gonen 4 evn auvtw/| zwh. h=n( kai. h` zwh. h=n to. fw/j tw/n avnqrw,pwn\ 5 kai. to. fw/j evn th/| skoti,a| fai,nei( kai. h` skoti,a auvto. ouv kate,labenÅ 6 VEge,neto a;nqrwpoj( avpestalme,noj para. qeou/( o;noma auvtw/| VIwa,nnhj\ 7 ou-toj h=lqen eivj marturi,an i[na marturh,sh| peri. tou/ fwto,j( i[na pa,ntej pisteu,swsin diV auvtou/Å 8 ouvk h=n evkei/noj to. fw/j( avllV i[na marturh,sh| peri. tou/ fwto,jÅ 9 +Hn to. fw/j to. avlhqino,n( o] fwti,zei pa,nta a;nqrwpon( evrco,menon eivj to.n ko,smonÅ 10 evn tw/| ko,smw| h=n( kai. o` ko,smoj diV auvtou/ evge,neto( kai. o` ko,smoj auvto.n ouvk e;gnwÅ 11 eivj ta. i;dia h=lqen( kai. oi` i;dioi auvto.n ouv pare,labonÅ 12 o[soi de. e;labon auvto,n( e;dwken auvtoi/j evxousi,an te,kna qeou/ gene,sqai( toi/j pisteu,ousin eivj to. o;noma auvtou/( 13 oi] ouvk evx ai`ma,twn ouvde. evk qelh,matoj sarko.j ouvde. evk qelh,matoj avndro.j avllV evk qeou/ evgennh,qhsanÅ 14 Kai. o` lo,goj sa.rx evge,neto kai. evskh,nwsen evn h`mi/n( kai. evqeasa,meqa th.n do,xan auvtou/(

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 32

do,xan w`j monogenou/j para. patro,j( plh,rhj ca,ritoj kai. avlhqei,ajÅ 15 VIwa,nnhj marturei/ peri. auvtou/ kai. ke,kragen le,gwn( Ou-toj h=n o]n ei=pon( ~O ovpi,sw mou evrco,menoj e;mprosqe,n mou ge,gonen( o[ti prw/to,j mou h=nÅ 16 o[ti evk tou/ plhrw,matoj auvtou/ h`mei/j pa,ntej evla,bomen kai. ca,rin avnti. ca,ritoj\ 17 o[ti o no,moj dia. Mwu?se,wj evdo,qh( h` ca,rij kai. h` avlh,qeia dia. VIhsou/ Cristou/ evge,netoÅ 18 qeo.n ouvdei.j e`w,raken pw,pote\ monogenh.j qeo.j o` w'n eivj to.n ko,lpon tou/ patro.j evkei/noj evxhgh,satoÅ

OSSERVAZIONI

Problemi :

Come va interpretato il pros del v. 1? Stato in luogo o moto a luogo?

Come leggere il theos a conclusione del v. 1? Dio oppure “un Dio” o “divino”?

Ho gegonen va a fine del v. 3 oppure a inizio del v. 4 come indicano anche molti padri?

Tre possibili divisioni del testo 1,3-4 nella tradizione antica (nei papiri e nei codici non vi

sono segni di interpunzione):

A.

Versioni e antichi scrittori

Scrittori ortodossi ed eretici

prima del concilio di Nicea

(325)

B.

Presente in versioni e scrittori

latini

C.

Forma rara.

(3) pa,nta diV auvtou/ evge,neto( kai. cwri.j auvtou/ evge,neto ouvde. e[n (4) o] ge,gonen evn auvtw/| zwh. h=n( kai. h` zwh. h=n to. fw/j tw/n avnqrw,pwn\

(3) pa,nta diV auvtou/ evge,neto( kai. cwri.j auvtou/ evge,neto ouvde. e[n o] ge,gonen

(4) evn auvtw/| zwh. h=n( kai. h` zwh. h=n to. fw/j tw/n avnqrw,pwn\

(3) pa,nta diV auvtou/ evge,neto( kai. cwri.j auvtou/ evge,neto ouvde. e[n o] ge,gonen evn auvtw/| (4) zwh. h=n( kai. h` zwh. h=n to. fw/j tw/n avnqrw,pwn\

3….e senza di lui non avvenne

nulla

4. Ciò che avvenne in lui, era

vita

oppure

Ciò che avvenne, in lui era vita

3….e senza di lui non avvenne

nulla di ciò che avvenne

4. In lui, era vita…

3….e senza di lui non avvenne

nulla di ciò che avvenne in lui.

4 Era vita

A favore:

struttura, parallelismo antitetico

nel v. 3:

«tutto per mezzo di lui…

nulla senza di lui».

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 33

Al v. 5 si passa dal passato al presente: si tratta di una digressione dell‟evangelista (che si

vede anche nella preferenza di Gv per skotia anzicchè skotos)

Katalambanein: discusso fin dall‟antichità: Padri+ alcuni esegeti moderni= sopraffare; per

Schnackemburg è da cogliere analogamente a paralambanein: accogliere qualcosa che arriva;

perciò = afferrare qualcosa che è presente.

Erchomenon al v. 9 va riferito al en iniziale in funzione perifrastica oppure all‟anthropon che

precede (Vg)? Una terza posizione è quella di considerare l‟intera ultima proposizione, da

erchomenon in avanti come un‟aggiunta a to phos nel senso di di una relativa abbreviata ma ci si

attenderebbe un articolo davanti a erchomenon.

Schnackemburg sembra condividere l‟idea secondo cui l‟inno originario fino al v. 14, usando

il passato en, si riferisce al mondo della creazione e prima della venuta di Cristo. L‟idea che fa

parlare Giustino del Logos spermatikos. Solo con il 14 si inizia a parlarne a partire

dall‟incarnazione. Ma, osserva l‟autore, l‟evangelelista sembra insinuare già alla fine del 9

l‟esperienza storica del Verbo.

v.11: eis ta idia: nella sua patria? Tra i suoi? Nella sua proprietà? Meglio “sua proprietà”. Sua

patria infatti sarebbe il mondo intero. Idioi tuttavia non va inteso come gli israeliti, ma potrebbe

intendere in generale gli uomini che si opposero e continuano ad opporsi all‟accoglienza del Logos.

v.13 La grande maggioranza dei manoscritti, versioni e scrittori, a partire dal IV secolo riporta

il testo nella forma plurale «i quali furono generati». Ireneo e Tertulliano in testi antignostici riporta

il singolare conformemente ad altri scrittori più antichi. Si tratta di un appoggio alla concezione

verginale?

v.18 Alcuni manoscritti riportano non l‟Unigenito Figlio di Dio ma l‟Unigenito Dio (papiri

Bodamer IIIsec. Cod. Sinaitico, Vaticano, versioni e scrittori antichi.

INTRODUZIONE

1. Guardando complessivamente i 4 evangeli nella loro forma attuale, si percepisce il

crescente interesse, nel cristianesimo primitivo, per l‟origine di Gesù. Non tanto dal

punto di vista storico bensì come risposta a questioni di tipo cristologico che a mano a

mano dovettero emergere in relazione alla determinazione stessa della natura

messianica e soprattutto in relazione alla figliolanza divina di Gesù.

- Marco, il più antico dei Vangeli, inizia fa iniziare il suo racconto con la figura

di Giovanni il Battista e con il racconto fondamentale del battesimo di Gesù. È

tuttavia interessante notare già la preoccupazione di presentare Gesù come il

Figlio di Dio (l‟evangelista o la tradizione immediatamente successiva?) 1:1 VArch. tou/ euvaggeli,ou VIhsou/ Cristou/ Îuiou/ qeou/ÐÅ

- Matteo e Luca iniziano invece con un inquadramento certamente più ampio

riscontrabile in particolare nelle genealogie (Mt a partire da Abramo, Luca a

partire da Adamo) con uno sguardo retrospettivo che si concretizza nei racconti

dell‟infanzia e con le descrizioni altamente teologizzate degli eventi della

nascita, come compimento delle attese e soprattutto con la manifestazione della

natura di Gesù Cristo già al momento della nascita.

- Giovanni spinge questa riflessione ancora più ardita, giungendo sino al

“principio” collegandosi in tal modo con lo stesso progetto creativo e parlando

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 34

esplicitamente non tanto del Gesù Messia ma del Logos che dall‟inizio era già

presso il Padre….

(per la descrizione grafica della situazione cfr. pagina finale).

Giovanni dunque ha voluto premettere al suo Vangelo una introduzione in forma poetica in cui

presentare già la sua sintesi teologica su Gesù? E come: attingendo dalla tradizione precedente ed

utilizzando già un inno preesistente, o componendolo del tutto di sua mano? Come si spiegherebbe

in questa ipotesi il fatto che esista tra il prologo e il resto del vangelo un legame “tenue” per

linguaggio e stile? Sembrerebbe trattarsi di qualcosa di più di una semplice sintesi poetica composta

dall‟autore e premessa alla sua opera.

Probabilmente utilizzò in parte un inno preesistente e lo agganciò al vangelo con alcuni incisi.

L‟attenzione va, naturalmente ai due passi che trattano di Giovanni il Battista (6-8 e 15) e che

vengono ripresi a partire dal v. 19. Sono state compiute analisi ritmiche, stilistiche ed anche

esegetiche al fine di determinare quale dovesse essere l‟inno originario e quale l‟elaborazione

dell‟evangelista.

Tra le varie e diverse interpretazioni, rifiutando il criterio di riunire le varie conclusioni in un

risultato frutto di molteplici approcci, Schnackenburg propone il seguente testo:

1.

(1) VEn avrch/| h=n o` lo,goj( kai. o` lo,goj h=n pro.j to.n qeo,n( kai. qeo.j h=n o` lo,gojÅ (3) pa,nta diV auvtou/ evge,neto( kai. cwri.j auvtou/ evge,neto ouvde. e[n o] ge,gonen 2.

(4) evn auvtw/| zwh. h=n( kai. h` zwh. h=n to. fw/j tw/n avnqrw,pwn\ (9) +Hn to. fw/j to. avlhqino,n( o] fwti,zei pa,nta a;nqrwpon( 3.

(10) evn tw/| ko,smw| h=n( kai. o` ko,smoj auvto.n ouvk e;gnwÅ (11) eivj ta. i;dia h=lqen( kai. oi` i;dioi auvto.n ouv pare,labonÅ 4.

(14) Kai. o` lo,goj sa.rx evge,neto kai. evskh,nwsen evn h`mi/n( plh,rhj ca,ritoj kai. avlhqei,ajÅ (16) o[ti evk tou/ plhrw,matoj auvtou/ h`mei/j pa,ntej evla,bomen kai. ca,rin avnti. ca,ritoj\

Si ipotizza dunque la successione di quattro strofe : 1. primordiale e divino essere del Logos e la

sua funzione nella creazione; 2. importanza per il mondo degli uomini (vita e luce); 3. rifiuto

della sua opera da parte dell‟umanità prima dell‟incarnazione; 4. l‟evento dell‟incarnazione fonte

di letizia e apportatore di salvezza.

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 35

Un inno tradizionale dunque, in cui si accentuava il periodo precedente all‟incarnazione;

qualche minima traccia del genere c‟è solo in 1Cor 10,4. Diverso dunque dagli altri inni tramandati

(1Tim 3,16; Fil 2,6-11; Col 1,15-20; Eb 1,2s.) anche perché nell‟inno giovanneo non si fa

riferimento all‟esaltazione di Cristo. In nessun altro inno si fa riferimento al rifiuto del Redentore.

Concepito in relazione alla speculazione sapienziale?

Quanto alla provenienza?

1923 Bultmann: inno gnostico sorto nell‟ambiente del Battista;

Schaeder: inno gnostico su modello aramaico costituito da un inno a Enosh (il Dio uomo);

posizione elaborata sulla base della retroversione dell‟inno in aramaico dove il v.6° suona: «Enosh

fu mandato da Dio…» e diventa chiave di comprensione. Con Bultmann e accogliendo

l‟identificazione gnostica dell‟ambiente di origine si sono schierati diversi studiosi.

Ma, osserva Schnackenburg: come spiegare l‟idea dell‟incarnazione in 1,14, autentica professione

di fede cristiana?

Dunque proviene da circoli cristiani, certamente ellenistici (per l‟uso di Logos)… giudeo

ellenisti convertiti (presenza di riminiscenze dell‟AT soprattutto sapienza e torah).

Struttura Letteraria del Prologo nella sua forma attuale

1. tre parti corrispondenti alla storia della salvezza:

1-5 creazione

6-13 storia universale e Israele

14-18 incarnazione e comunità cristiana

2. Schema tematico chiasmatico o parabolico (un po’ rigido)

A. 1-2 A1. 18

B. 3 B1. 17

C. 4-5 C1. 16

D. 6-8 D1. 15

E. 9 E1. 14

F. 10-11 F1. 12-13

OSSERVAZIONI ESEGETICHE

VEn avrch/| nel IV vangelo solo qui. Ap‟arches 8 volte in 1Gv ma con il valore di inizio storico…

Richiama Gn 1,1 e Pr 8,23 in un contesto creazionale, specficata in Pr: prima di fare il la terra

Riferimento al ruolo della Sapienza, figura personalizzata e attiva accanto al creatore cfr. Sir 24,9.

In Gv risalta l‟espressione assoluta, l‟indicazione di una relazione permanente e dinamica del logos

con Dio: era… pros “con” o piuttosto “rivolta verso”? Cfr. De La Potterie.

Le prime frasi si concentrano sul Logos che a pieno titolo è nell‟ambito di Dio.

Con l‟egeneto del v.3 si passa a considerare il rapporto con il creato (cfr. Gn 1,3 con il verbo

ebraico hayàh a cui corrisponde nei LXX egèneto.

Al panta iniziale corrisponde l‟ oudè hen secondo lo stile biblico e giudaico.

Si riprende l‟idea giudaica della creazione attraverso la Parola (cfr. Sl 33; Sir 43,26)

Ho gegonen, ciò che avvenne, sembra andare meglio all‟inizio del v. 4: ciò che avvenne in lui era la

vita… anche se crea qualche difficoltà interpretativa: ciò che era in lui era “vita”

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 36

v.4 “Vita” ben 36 volte nel vangelo (su 133 nel NT) è associato a luce termine che definisce il

rapporto di Cristo con gli uomini: Io sono la luce del mondo (8,12) si veda il Sl 36,10: Dio come

sorgente perenne di vita piena e sicura. Del resto il motivo della vita, che ha la priorità su quello

della luce ricorre alla fine stesso del Vangelo come motivazione dell‟annuncio della buona notizia:

31 Questi sono stati scritti affinché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e, credendo,

abbiate la vita nel suo nome. È da notare che la tradizione sapienziale prima, e il giudaismo successivamente, porrà in risalto la

corrispondenza Legge-Vita; Legge-Luce cfr. Baruch 4,1.

La riflessione sapienziale opera già l‟unione profonda tra ciò che la luce ha significato nel mondo

cosmico a ciò che essa significa nel mondo antropologico.

Le tenebre, skotia non vanno semplicemente identificate con il mondo umano. Il prologo è

attraversato comunque da un senso positivo nel confronto, in cui le tenebre non riescono a

sopraffare la luce. Qui viene in mente il dualismo di Qumran che tuttavia è ben più radicale e separa

nettamente le due realtà…

Ma a quale contrapposizione specifica si riferisce Giovanni: l‟ambito della creazione? Quello del

popolo di Dio? Al contrasto di Gesù Cristo con il mondo del peccato? In realtà il testo non lo indica,

resta da determinare… Il tema della luce continua nei versetti seguenti in cui si introduce la figura

di Giovanni Battista che non era la luce.

L‟introduzione “Vi fu un uomo inviato da Dio” riecheggia il linguaggio biblico cfr. 1Sam 1,1

LXX… ma anche, nei libri profetici “giunse la parola di Dio a… (nome del profeta)”. Giovanni

viene introdotto con il suo ruolo funzionale di “Inviato” rispetto alla Parola – Vita – Luce di cui si

sta parlando. Si accentua il ruolo testimoniale che continuerà a caratterizzare in Gv la figura del

Battista. Procedendo col v. 7 si insiste in positivo e in negativo sulla differenza tra il suo ruolo e

quello del Verbo-Luce. (cfr. 1,20-31; 3,28.30). Mi pare difficile pensare, come Fabris, che non vi

sia dietro alla ripetuta puntualizzazione, il problema storico del discepolato di Giovanni che

interpreta il proprio maestro come la Luce e come il Cristo…

In questo senso di puntualizzazione mi pare vada intesa anche la specificazione seguente “veniva

nel mondo la luce, quella vera…”. Va segnalata l‟originale tesi che vuole riferire il primo inciso del

prologo, solitamente inteso come primo riferimento ala missione del Battista, come un riferimento

all‟evangelista Giovanni: l‟unica dichiarazione esplicita del Vangelo circa la missione

dell‟evangelista come testimone della luce perché tutti credessero per mezzo di lui.23

Dal termine del v.9 e nel v.10 si ripete quattro volte il vocabolo kosmos. Lo scenario resta ampio,

cosmico e antropologico.

v. 11 “I suoi” non va interpretato in senso restrittivo (i giudei), piuttosto “i suoi” sembra riprendere

quanto si diceva del mondo che fu fatto per mezzo di lui.

v.12 “Quelli che lo accolsero” verranno specificati alla fine del 12 e nel 13: i credenti nel suo nome,

i quali…. Credere nel suo nome appare 2 volte in Gv su 96 ricorrenze del verbo credere.

Exousia “diritto-potere” ma anche “dare la facoltà… rendere capaci” dice il compito che il Figlio ha

avuto dal Padre che gli ha dato potere su ogni uomo (5,27; 17,3).

v.13 L‟accento cade sull‟ultima dichiarazione che esplicita quanto affermato nel 12: la capacità di

diventare figli di Dio. Essa rimane dono di Dio da accogliere nella fede. Alla generazione dalla

carne si oppone la generazione dallo Spirito (cfr Gv 3,3-8 Nicodemo).

Ireneo e Tertulliano pongono il pronome al singolare: il quale è stato generato…è nell‟ambito,

probabilmente, della controversia antignostica… La scelta del singolare accentua la concentrazione

cristologica e lega strettamente il v.13 al 14a in cui “E il verbo divenne carne” metterebbe l‟accento

non tanto sulla modalità quanto piuttosto sull‟origine divina. Possibilità da considerare con

attenzione non facendosi semplicemente distrarre dalla prospettiva della concezione verginale che

associerebbe questo testo a quelli di Lc e Mt.

23

RIGATO M.L., Giovanni: l’enigma, il Presbitero, il culto, il tempio, la cristologia, Dehoniane, Bologna 2007, 23s.

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 37

14. versetto centrale. Riappare il LOGOS che ora è soggetto del verbo divenire, associato alla sarx.

Polemica antidocetista? Reminiscenza di una formula tradizionale di fede? L‟affermazione “e abitò

fra noi” dà al versetto un‟ambientazione biblica. Il verbo utilizzato richiama al simbolo della tenda

skene, dimora di Dio prolungata nel tempio (Es 40,34-35; 2Sm 7,6; 1Re 8,10-11) Qui prende

dimora la Sapienza per ordine di Dio (Sir 24,8-12) così come i profeti promettono che Dio dimorerà

in mezzo al suo popolo (Ez 43,7; Gl 4,17.21; Zc 2,14; 8,3).

E abbiamo contemplato (il verbo si ritrova in 1Gv1,1) alla prima plurale. Gruppo di cui

l‟evangelista si fa portavoce.

Elemento chiave della contemplazione è la doxa, associata nella Bibbia alla presenza di Dio in

mezzo al popolo e al contesto dell‟alleanza. Per “vedere la gloria” cfr. Es 33,18; Is 6,3.5.

L‟esperienza di Isaia è attualizzata da Gv a proposito dell‟incapacità dei Giudei a credere in Gesù

nonostante i segni (Gv 12,37-41).

È quella “gloria” che i discepoli credenti sono chiamati a “vedere” per dono di Dio (17,24). Nella

parola divenuta carne, nei segni e nella morte di Gesù si rende presente l‟azione benefica e salvifica

di Dio attesa per il tempo finale.

v. 14… plh,rhj ca,ritoj kai. avlhqei,ajÅ

cfr. Es 34.6: ḥ esed we‟emet, nei LXX polyèleos kai alethinos (cfr. Es 33,18-23)

Per Fabris Giovanni rinvia alla nota coppia di termini Ḥesed we‟emet dell‟AT. Mi pare che proprio

accettando questa indicazione esegetica, la traduzione che renderebbe maggiormente la sottostante

espressione semitica sia “grazia (amore) fedele”: ciò che il Verbo comunica è quell‟amore

misericordioso di Dio che è “vero” (radice ‟mn), cioè stabile per sempre. Si tratta dunque della

presenza salvifica del Logos diventato carne. I temi della rivelazione biblica vengono riletti e

rimeditati da Giovanni in prospettiva cristologica.

v.16 dalla sua pienezza evk tou/ plhrw,matoj auvtou/ si riprende l‟espressione pleres di 1,14 apax

legomenon nel IV evangelo mentre è presente 12 volte nei LXX e 17 volte nel NT. Indica la totalità

e l‟ampiezza dell‟azione divina (cfr. Sl 24,1 e 1Cor 10,26… Ef 1,10,23; 3,19…)

Nel logos incarnato si incontrano, o è possibile incontrare i beni salvifici, la loro “pienezza”.

kai. ca,rin avnti. ca,ritoj si indica l‟ininterrotto flusso di grazia. Come va tradotta la preposizione?

Grazia “su” grazia?

v. 17: Mosè e Gesù Cristo. Si osservi la struttura simmetrica della frase:

Dio – per mezzo di Mosè – ha donato la Legge

Dio – per mezzo di Gesù Cristo rende presente il suo amore fedele.

Vanno lette in un crescendo positivo o come opposizione …. Invece…. ?

Ambedue le letture sembrano consentite dal testo, anche guardando agli usi antecedenti dei termini.

La Legge è rivelazione storica di Dio e rende testimonianza a Gesù (Gv 1,45; 5,39; 10,34; 15,25)

Ma è vero anche che “i giudei” si appellano alla Legge contro Gesù (Gv 18,31; 19,7);

analogamente per Mosè: cfr 1,45;7,39; 7,45.47 e, per contro, 9,28s.

La lettura dunque può essere fatta in progressione, non come semplice parallelismo né come

opposizione di negativo a positivo, bensì come sviluppo.

v. 18 riprende e conclude quanto già affermato: il versetto si ricongiunge al v.1, osservazione

particolarmente importante per chi rappresenta la struttura del prologo come parabola che discende

dal v.1 (Verbo presso Dio) al 14 (diventa carne) per riapparire presso il Padre come unigenito

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 38

(v.18). Tutto ciò attraverso una indubitabile progressione: adesso infatti si tratta del Logos

incarnato.

Osservare l‟interessante uso del verbo exegeo: evkei/noj evxhgh,satoÅ che troviamo 6 volte in Luca con

il significato di narrare, raccontare; derivante dall‟uso dell‟AT soprattutto nei testi sapienziali: Gb

28,27; Sir 43,31.

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 39

Il libro dei segni: i segni giovanei:

Segno/i nel IV Vangelo

2:11 Tau,thn evpoi,hsen avrch.n tw/n shmei,wn o VIhsou/j evn Kana. th/j Galilai,aj kai. evfane,rwsen th.n do,xan auvtou/( kai. evpi,steusan eivj auvto.n oi maqhtai. auvtou/Å 2:18 avpekri,qhsan ou=n oi VIoudai/oi kai. ei=pan auvtw/|( Ti, shmei/on deiknu,eij h`mi/n o[ti tau/ta poiei/jÈ 2:23 ~Wj de. h=n evn toi/j ~Ierosolu,moij evn tw/| pa,sca evn th/| e`orth/|( polloi. evpi,steusan eivj to. o;noma auvtou/ qewrou/ntej auvtou/ ta. shmei/a a] evpoi,ei\ 3:2 ou-toj h=lqen pro.j auvto.n nukto.j kai. ei=pen auvtw/|( ~Rabbi,( oi;damen o[ti avpo. qeou/ evlh,luqaj dida,skaloj\ ouvdei.j ga.r du,natai tau/ta ta. shmei/a poiei/n a] su. poiei/j( eva.n mh. h=| o` qeo.j metV auvtou/Å 4:48 ei=pen ou=n o VIhsou/j pro.j auvto,n( VEa.n mh. shmei/a kai. te,rata i;dhte( ouv mh. pisteu,shteÅ 4:54 Tou/to Îde.Ð pa,lin deu,teron shmei/on evpoi,hsen o VIhsou/j evlqw.n evk th/j VIoudai,aj eivj th.n Galilai,anÅ 6:2 hvkolou,qei de. auvtw/| o;cloj polu,j( o[ti evqew,roun ta. shmei/a a] evpoi,ei evpi. tw/n avsqenou,ntwnÅ 6:14 Oi ou=n a;nqrwpoi ivdo,ntej o] evpoi,hsen shmei/on e;legon o[ti Ou-to,j evstin avlhqw/j o profh,thj o evrco,menoj eivj to.n ko,smonÅ 6:26 avpekri,qh auvtoi/j o` VIhsou/j kai. ei=pen( VAmh.n avmh.n le,gw umi/n( zhtei/te, me ouvc o[ti ei;dete shmei/a( avllV o[ti evfa,gete evk tw/n a;rtwn kai. evcorta,sqhteÅ 6:30 ei=pon ou=n auvtw/|( Ti, ou=n poiei/j su. shmei/on( i[na i;dwmen kai. pisteu,swme,n soiÈ ti, evrga,zh|È 7:31 VEk tou/ o;clou de. polloi. evpi,steusan eivj auvto.n kai. e;legon( ~O Cristo.j o[tan e;lqh| mh. plei,ona shmei/a poih,sei w-n ou-toj evpoi,hsenÈ 9:16 e;legon ou=n evk tw/n Farisai,wn tine,j( Ouvk e;stin ou-toj para. qeou/ o` a;nqrwpoj( o[ti to. sa,bbaton ouv threi/Å a;lloi Îde.Ð e;legon( Pw/j du,natai a;nqrwpoj a`martwlo.j toiau/ta shmei/a poiei/nÈ kai. sci,sma h=n evn auvtoi/jÅ 10:41 kai. polloi. h=lqon pro.j auvto.n kai. e;legon o[ti VIwa,nnhj me.n shmei/on evpoi,hsen ouvde,n( pa,nta de. o[sa ei=pen VIwa,nnhj peri. tou,tou avlhqh/ h=nÅ 11:47 sunh,gagon ou=n oi avrcierei/j kai. oi` Farisai/oi sune,drion kai. e;legon( Ti, poiou/men o[ti ou-toj o a;nqrwpoj polla. poiei/ shmei/aÈ 12:18 dia. tou/to Îkai.Ð uph,nthsen auvtw/| o o;cloj( o[ti h;kousan tou/to auvto.n pepoihke,nai to. shmei/onÅ 12:37 Tosau/ta de. auvtou/ shmei/a pepoihko,toj e;mprosqen auvtw/n ouvk evpi,steuon eivj auvto,n( 20:30 Polla. me.n ou=n kai. a;lla shmei/a evpoi,hsen o VIhsou/j evnw,pion tw/n maqhtw/n Îauvtou/Ð( a] ouvk e;stin gegramme,na evn tw/| bibli,w| tou,tw|\

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 40

Ai “segni” giovannei Schnackenburg dedica un ampio excursus nel I Volume del suo commentario,

già citato in bibliografia, pp. 476-493; negli appunti che seguono non si segue esclusivamente

Schnackenburg.

La scelta del termine

Naturalmente la prima osservazione va alla preferenza giovannea di “segno” invece che di

“miracolo” dynamis abituale negli altri evangeli. Il vocabolo non è esclusivo di Giovanni (17 volte

nel IV Vangelo), ma l‟uso costante per indicare le opere prodigiose di Gesù fa intendere che

l‟evangelista privilegia non tanto l‟aspetto “prodigioso” di lotta contro potenze caotiche, che si

oppongono a Dio e alla vita (le forze della natura, il caos espresso dal mare in tempesta…) quanto

piuttosto il loro valore di indicatori di un altro significato, più profondo che essi possono svelare a

chi li guarda con la disposizione ad accogliere la rivelazione di cui essi sono portatori. I segni

giovannei restano infatti ambivalenti: loro scopo è condurre alla fede, come viene dichiarato

dall‟evangelista stesso eppure possono anche non ottenere questo effetto, persino da parte di chi ne

è direttamente testimone (12,37).

Distribuzione e numero delle ricorrenze

Osservando poi la distribuzione delle ricorrenze nel testo ci rendiamo subito conto di come esse

interessino la prima parte del Vangelo.

La prima ricorrenza del termine si riferisce al segno di Cana di Galilea, il “primo” o il “principio”

dei segni. Le due ultime ricorrenze sembrano particolarmente significative.

1. In 12,37 vi è come una conclusione sui tanti segni compiuti da Gesù, rispetto ai quali i

giudei comunque non cedettero in lui. Ma il termine lo incontriamo ancora in 20,30 una vera

e propria conclusione all‟intero evangelo che da questa conclusione sembrerebbe essere

esattamente una raccolta dei segni che Gesù fece. Dunque anche la seconda parte del

Vangelo va intesa come segno? In particolare la morte-risurrezione sembra essere il segno

principale dal quale scaturisce il significato più profondo di tutti gli altri segni. Non la pensa

così Schnackenburg che esclude che la citazione di 20,30 si riferisca a precedenti narrazioni

di Gesù risorto, perché queste non sono mai chiamate “segni”.

2. Una seconda questione è relativa al numero dei segni riportati da Giovanni:

1. l‟acqua trasformata in vino a Cana (2,1-12)

2. la guarigione della figlia del funzionario del re (4,46-54)

3. la guarigione del paralitico di Betzatà (5,1-9) indicato come ergon (non semeion)

importante.

4. la moltiplicazione dei pani (6,16-21)

5. la guarigione del cieco nato (9,1-41)

6. la risurrezione di Lazzaro (11,1-45)

7. la pesca miracolosa (21,1-13)

Il numero dei segni giovannei, nel loro totale 7, stupisce rispetto al numero dei miracoli narrati dai

sinottici (29!). Se si guarda alla prima conclusione del Vangelo, il settimo segno è la morte

resurrezione. Se non ci si ferma qui, ma si considera anche il capitolo 21, questo segno rappresenta

l‟ottavo segno, con Gesù già risorto. È un caso questo numero? Sette è il numero della compiutezza

e della perfezione: si tratta dei segni che nel loro insieme (nell‟insieme del racconto evangelico

inteso come la raccolta dei segni di Gesù) sono in grado di comunicare la pienezza di grazia e di

verità portata dal Figlio di Dio.

Le osservazioni appena fatte sulle ricorrenze, il numero ecc. di “segno” in Giovanni ha fatto pensare

a molti esegeti ad una vera e propria “fonte dei segni”. Così, per esempio, Bultmann che attribuisce

a tale fonte (a cui bisognerà poi aggiungere la Offenbarungsreden, la fonte dei discorsi di

rivelazione) non solo i sette miracoli di cui sopra con le due conclusioni, ma anche altri piccoli tratti

dei primi dodici capitoli.

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 41

Ciò che comunque si evince dall‟uso giovanneo dei segni è certamente il loro profondo significato

teologico; i segni giovannei provengono da Gesù e sono profondamente legati alla sua opera di

rivelatore del Padre… possono essere compresi e accolti solo nella fede.

Talvolta Giovanni utilizza anche il termine “opera” accanto a “segno”: non sembra sia necessario

ipotizzare la provenienza da diverse fonti, nemmeno però “varianti” di uno stesso pensiero (non

sono mai l‟uno accanto all‟altro) Dice Schnackenburg: «L‟evangelista deve aver collegato ai

termini “segni” ed “opere” aspetti e contenuti ben determinati…».

Il rimando simbolico

Pur accogliendo l‟invito di molti esegeti alla prudenza nel parlare di simbolismo (vedi per es.

Ashton), mi pare indubbio che la stessa scelta di parlare di segni, piuttosto che di miracoli o altro,

chiami in causa, se ve ne fosse bisogno, un uso simbolico di determinate immagini del racconto

giovanneo

Da Cana a Cana

Prima unità:

Da Cana a Cana: inclusione 2,11//4,54. Le tre regioni della Palestina (Galilea, Giudea e Samaria);

incontro con figure rappresentative dell‟ambiente etnico e socioculturale…

1. Le nozze di Cana 2,1-11.12

2. Gesù a Gerusalemme 2,13-25

3. Incontro e dialogo con Nicodemo 3,1-21

4. Gesù e Giovanni: confronto e ultima testimonianza 3,22-36

5. Incontro con la Samaritana 4,1-42

6. Guarigione della figlia di un funzionario regale 4,43-54

Fabris, insieme ad altri autori24

, identifica in questi tre capitoli una unità osservando l‟inclusione

creata da 2,11 e 4,45. Il capitolo 1 costituisce una introduzione che prepara il campo a quanto verrà

narrato in seguito. È noto come il prologo costituisca un inquadramento complessivo del Vangelo e

della sua presentazione di Gesù, incluso già il rifiuto dai suoi, nel tipico linguaggio giovanneo che

tuttavia nel prologo assume una forma ed un lessico del tutto particolare. Sarà perciò esaminato a

parte. 1,19-34 presenta la testimonianza di Giovanni Battista che riprende e approfondisce quanto

annunciato dal prologo, nelle parti narrative relative esattamente alla testimonianza del Battista su

Gesù. I vv. 35-51 dello stesso capitolo 1 introducono la chiamata dei discepoli per la quale troviamo

l‟interessante notizia (storica) del passaggio da Giovanni Battista a Gesù (si ricordi quanto già detto

nell‟introduzione a proposito dell‟importanza degli elementi battisti nel gruppo di Giovanni!).

Queste due parti, testimonianza di Giovanni il Battista e chiamata dei primi discepoli sembrano

costituire una introduzione all‟intera narrazione che segue. Altri invece li considerano come facenti

parte della prima unità 1,19-4,54.

Schnackenburg raccoglie la sezione 1,19-4,54 sotto il titolo “gli inizi della rivelazione di Gesù” vol

I p. 375 sulla base delle indicazioni cronologiche, osservando che questa prima parte si differenzia

da ciò che segue anche per la mancanza di grandi discorsi di Gesù mantenendo uno stile piuttosto

narrativo e informativo.

La Bibbia di Gerusalemme privilegia la successione dei giorni che scandiscono la “settimana

inaugurale” che culmina nel segno di Cana, la prima settimana dell‟operato di Gesù attraverso la

successione di giorni:

24

Così, tra gli altri, Tillmann, Bultmann, Wikenhauser, Dodd (che fa incominciare da qui il libro dei segni)

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 42

1,29 Il giorno dopo, Giovanni vedendo Gesù venire verso di lui disse: «Ecco l'agnello di Dio, ecco

colui che toglie il peccato del mondo!

1,35 Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli

1,43 Il giorno dopo Gesù aveva stabilito di partire per la Galilea; incontrò Filippo e gli disse:

«Seguimi».

2,1 Tre giorni dopo, ci fu uno sposalizio a Cana di Galilea e c'era la madre di Gesù.

L‟enumerazione dei giorni riprende in 4,43

4,43 Trascorsi due giorni, partì di là per andare in Galilea.

mentre divide poi, sempre seguendo il criterio temporale,2,13 per la prima citazione di una delle tre

feste di Pasqua citate dall‟evangelista.

Vi sono tuttavia altri elementi, oltre la citazione dei due segni a Cana, che depongono a favore di

una presentazione unitaria del materiale raccolto in questa prima unità che si presenta quasi come

un prologo al dramma che si svilupperà successivamente (2-4):

1. un ciclo geografico completo che rappresenta l‟attività di Gesù nelle tre regioni della

Palestina del tempo:

2:1 Tre giorni dopo ci fu una festa di nozze in Cana di Galilea e c' era là la madre di Gesù.

2,11 Questo inizio dei segni fece Gesù in Cana di Galilea e rivelò la sua gloria e i suoi discepoli

credettero in lui.

3:22 In seguito Gesù e i suoi discepoli vennero nel territorio della Giudea e lì si trattenne con loro e

battezzava.

4:3 lasciò la Giudea e ritornò verso la Galilea.

4:4 Egli doveva passare per la Samaria.

4:5 Ora, arriva ad una città della Samaria chiamata Sichar, vicino al podere che Giacobbe aveva

dato al figlio suo Giuseppe.

4:7 Viene una donna della Samaria ad attingere acqua. Le dice Gesù: «Dammi da bere».

4:43 Dopo questi due giorni ripartì di là per la Galilea.

4:45 Ora, quando Gesù arrivò in Galilea, i Galilei lo accolsero bene, avendo visto tutte le cose che

aveva fatto a Gerusalemme durante la festa, poiché anch' essi erano andati alla festa.

4:46 Gesù tornò dunque a Cana di Galilea, dove aveva cambiato l' acqua in vino. C' era un

funzionario regio, il cui figlio era ammalato, a Cafarnao.

4:47 Avendo egli saputo che Gesù era venuto dalla Giudea alla Galilea, si recò da lui e lo pregava

di scendere e guarire il figlio suo, perché stava per morire.

4:54 Gesù compì questo secondo segno ritornando dalla Giudea alla Galilea.

2. Dal punto di vista narrativo si osserva l‟accoglienza positiva, non ostile anche da parte

giudaica, riservata a Gesù e ai segni che compie:

2[11]Così Gesù diede inizio ai suoi miracoli in Cana di Galilea, manifestò la sua gloria e i suoi

discepoli credettero in lui.

2 [22]Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e

credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.

2[23]Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa molti, vedendo i segni che faceva,

credettero nel suo nome.

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 43

3[1]C'era tra i farisei un uomo chiamato Nicodèmo, un capo dei Giudei. [2]Egli andò da Gesù, di

notte, e gli disse: «Rabbì, sappiamo che sei un maestro venuto da Dio; nessuno infatti può fare i

segni che tu fai, se Dio non è con lui».

4[39]Molti Samaritani di quella città credettero in lui per le parole della donna che dichiarava: «Mi

ha detto tutto quello che ho fatto». [40]E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregarono di

fermarsi con loro ed egli vi rimase due giorni. [41]Molti di più credettero per la sua parola [42]e

dicevano alla donna: «Non è più per la tua parola che noi crediamo; ma perché noi stessi abbiamo

udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo».

4[43]Trascorsi due giorni, partì di là per andare in Galilea. [44]Ma Gesù stesso aveva dichiarato che

un profeta non riceve onore nella sua patria. [45]Quando però giunse in Galilea, i Galilei lo

accolsero con gioia, poiché avevano visto tutto quello che aveva fatto a Gerusalemme durante la

festa; anch'essi infatti erano andati alla festa.

4 [53]Il padre [funzionario regio] riconobbe che proprio in quell'ora Gesù gli aveva detto: «Tuo

figlio vive» e credette lui con tutta la sua famiglia.

3. Sempre dal punto di vista narrativo si osserva la presentazione di diversi contesti e

personaggi che rappresentano le differenze della Palestina del suo tempo:

Nozze di Cana (matrimonio giudaico): Sposi galilei, Maria la medre di Gesù, fratelli e

discepoli di Gesù 2,12

Purificazione del tempio: Pasqua dei Giudei; Nicodemo, capo dei giudei;

Battesimo: Giovanni Battista; discepoli del battista

Samaritana: Samaritani;

Galilei: accolgono con piacere Gesù

Funzionario del re: familiari del funzionario regio

4. È in questa prima unità che Gesù vive la sua prima Pasqua a Gerusalemme, con

accoglienza positiva da parte di molti giudei (2,23)

5. È da osservare inoltre, dal punto di vista narrativo, che “i Giudei” saranno presentati

esplicitamente in maniera aggressiva contro Gesù solo a partire dal capitolo 5, dopo la

guarigione dell‟infermo a Betzaetà, quando i Giudei lo accusano di violare il sabato e

soprattutto di farsi uguale a Dio (5,18)

Arricchiamo adesso il quadro della prima unità:

1. Primo segno: Le nozze di Cana 2,1-11.12

2. Gesù a Gerusalemme 2,13-25

3. Incontro e dialogo con Nicodemo 3,1-21

4. Gesù e Giovanni (amico dello sposo): confronto e ultima testimonianza 3,22-36

5. Incontro e dialogo con la Samaritana 4,1-42

6. Secondo segno: Guarigione della figlia di un funzionario regale a Cana 4,43-54

Un primo sommario sguardo allo sviluppo narrativo: da Cana a Cana, in titolo che abbiamo dato

alla sezione, sottolinea la cornice narrativa di questa unità che raccoglie i primi incontri di Gesù tra

due “segni” introducendo così l‟intera prima parte di Giovanni, il cosiddetto libro dei segni.

Sull’Alleanza: A Cana di Galilea tutto si svolge nel contesto matrimoniale, simbolismo

dell‟alleanza (matrimonio, acqua trasformata, vino… stupore e sottolineatura del Maestro di tavola:

il meglio dato alla fine!) Il contesto tradizionale è giudaico e giudaica la risposta all‟attesa

dell‟Alleanza nuova…

Sul Tempio: La prima salita di Gesù a Gerusalemme corrisponde alla cacciata dei venditori dal

tempio… in polemica »profetica) con la situazione attuale in cui il tempio versa… Accenno alla

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 44

risurrezione (che si comprenderà solo dopo Pasqua). Messa in questione del ruolo attuale del

tempio.

Cresce la fama di Gesù per i suoi “segni”

Sulla necessità di rinascere dall’alto nella fede nel Figlio: Chiarimento con Nicodemo, capo dei

Giudei, sulla necessità di rinascere dall‟alto… motivo della missione del Figlio. Necessità della fede

nel Figlio di Dio inviato dal Padre.

Sul rapporto Gesù / Giovanni Battista (amico dello sposo) e ancora sulla provenienza del Figlio

dall‟alto… e sulla necessità della fede in lui

Sul rapporto con i Samaritani e la loro disposizione a credere in Gesù come Taheb e salvatore del

mondo

Sul rapporto con i pagani: il funzionario del re arriva alla fede in Gesù con tutta la sua famiglia

Quindi dal chiarimento di Gesù circa il giudaismo, le sue attese, le sue istituzioni, la necessità di

accogliere Gesù come Figlio inviato del Padre, all‟accoglienza di Gesù, nella fede, da parte dei non-

giudei.

Il segno dell’acqua trasformata in vino: Gv 2:1-12 1 Kai. th/| h`me,ra| th/| tri,th| ga,moj evge,neto evn Kana. th/j Galilai,aj( kai. h=n h` mh,thr tou/ VIhsou/ evkei/\ 2 evklh,qh de. kai. o` VIhsou/j kai. oi` maqhtai. auvtou/ eivj to.n ga,monÅ 3 kai. u`sterh,santoj oi;nou le,gei h` mh,thr tou/ VIhsou/ pro.j auvto,n( Oi=non ouvk e;cousinÅ 4 Îkai.Ð le,gei auvth/| o` VIhsou/j( Ti, evmoi. kai. soi,( gu,naiÈ ou;pw h[kei h` w[ra mouÅ 5 le,gei h mh,thr auvtou/ toi/j diako,noij( {O ti a'n le,gh| u`mi/n poih,sateÅ 6 h=san de. evkei/ li,qinai u`dri,ai e]x kata. to.n kaqarismo.n tw/n VIoudai,wn kei,menai( cwrou/sai avna. metrhta.j du,o h' trei/jÅ 7 le,gei auvtoi/j o VIhsou/j( Gemi,sate ta.j u`dri,aj u[datojÅ kai. evge,misan auvta.j e[wj a;nwÅ 8 kai. le,gei auvtoi/j( VAntlh,sate nu/n kai. fe,rete tw/| avrcitrikli,nw|\ oi de. h;negkanÅ 9 wj de. evgeu,sato o avrcitri,klinoj to. u[dwr oi=non gegenhme,non kai. ouvk h;|dei po,qen evsti,n( oi de. dia,konoi h;|deisan oi` hvntlhko,tej to. u[dwr( fwnei/ to.n numfi,on o` avrcitri,klinoj 10 kai. le,gei auvtw/|( Pa/j a;nqrwpoj prw/ton to.n kalo.n oi=non ti,qhsin kai. o[tan mequsqw/sin to.n evla,ssw\ su. teth,rhkaj to.n kalo.n oi=non e[wj a;rtiÅ 11 Tau,thn evpoi,hsen avrch.n tw/n shmei,wn o VIhsou/j evn Kana. th/j Galilai,aj kai. evfane,rwsen th.n do,xan auvtou/( kai. evpi,steusan eivj auvto.n oi` maqhtai. auvtou/Å Meta. tou/to kate,bh eivj Kafarnaou.m auvto.j kai. h` mh,thr auvtou/ kai. oi` avdelfoi. Îauvtou/Ð kai. oi` maqhtai. auvtou/

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 45

kai. evkei/ e;meinan ouv polla.j h`me,rajÅ 12 Kai. evggu.j h=n to. pa,sca tw/n VIoudai,wn( kai. avne,bh eivj ~Ieroso,luma o VIhsou/j Come sempre è opportuno che si facciano quelle operazioni che potrebbero essere considerate

ovvie: l‟osservazione della pericope per delimitarla, giustificare perché e dove inizia e finisce,

organizzarla in una quadro strutturale più chiaro (distinguendo cornice narrativa, parti descrittive,

parti dialogate…) per avere inizialmente un quadro più chiaro benchè non determinante, tuttavia

utile per l‟interpretazione. A queste osservazioni vanno aggiunte le normali osservazioni di critica

testuale (se sono di una qualche pur minima importanza).

La delimitazione appare nel nostro caso piuttosto chiara: al v. 1 si dice che si celebrarono delle

nozze a Cana di Galilea, al versetto 11 si dice che «così Gesù diede inizio ai suoi segni in Cana di

Galilea». Nel v. 12, inoltre, l‟ambientazione cambia attraverso lo spostamento geografico.

Se si osserva l‟organizzazione della narrazione non è difficle considerare il v. 1 e il v. 12 come

cornice narrativa che inquadra il racconto geograficamente con, alla fine, una sottolineatura

sull‟importanza di quanto è accaduto ad opera di Gesù a Cana.

Dentro alla cornice distinguiamo

Il breve e in parte misterioso colloquio madre-Gesù che parte dall‟intervento di questa, alla

misteriosa risposta di Gesù (negativa?) e alle disposizioni che essa impartisce ai sevi vv 3-5.

Il miracolo della trasformazione dell‟acqua in vino (con descrizione delle giare, ordine di Gesù e

constatazione del cambiamento prodigioso) vv. 6-9.

Lunga (rispetto agli altri interventi) osservazione del Maestro di tavola v.10

Sempre in modo ancora superficiale, si può facilmente osservare come lo spazio dedicato al

racconto del “miracolo” sia molto ridotto (v.9), e soprattutto come non vi siano reazioni immediate

al fatto in sé, cioè al prodigio di una trasformazione del genere: l‟acqua in vino. C‟è invece, come

osservazione su quanto accade quanto dice il maestro di tavola sul tempo in cui di solito si serve il

vino buono rispetto a quello in cui si serve il vino meno buono. È l‟intervento più ampio che venga

riportato….

Già queste piccole e semplici osservazioni di superficie orientano, come si diceva, l‟interpretazione

in quanto è immediatamente percepibile che il senso di questo “segno” non risiede nel prodigio in

sé, quanto piuttosto nel significato che da esso trae il maestro di tavola.

Il fatto inoltre che venga segnalato che si tratta dell‟inizio dei segni, primo di altri segni, connette

direttamente il nostro brano con una successione che si conclude in 12:

[37]Sebbene avesse compiuto tanti segni davanti a loro, non credevano in lui;

[41]Questo disse Isaia quando vide la sua gloria e parlò di lui….

Dal punto di vista della critica testuale possiamo osservare:

v. 2 … kai. oi` maqhtai. auvtou…. E sostituito in una antica tradizione Epistula apostolorum dalla

lectio «e i suoi fratelli» che secondo Boismard potrebbe essere quella originale.

v.3: diverse versioni antiche presentano un testo più lungo con la spiegazione dell‟esaurimento del

vino…

v.12 “vi rimasero” nei codici e papiri più importanti; tuttavia nell‟Alessandrino e in altri cod.

minuscoli si ha il singolare.

Altre osservazioni sono relative alla critica stilistica: il passo molto stringato dà più la sensazione

di un racconto sinottico, che giovanneo; non vi sono passaggi (anche se vi sono parole) che

appartengano allo stile giovanneo… forse un racconto già esistente?

Forse si tratta di tradizioni proprie raccolte a Cana, insieme al segno del figlio del funzionario reale

(c. 4)? Ma l‟accenno all‟ora presenta l‟indubbia impronta giovannea, segno di rielaborazione di una

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 46

eventuale tradizione scritta a lui precedente. Del resto lo “stile” di un racconto che dedica così poco

spazio al miracolo in se stesso e invece dà rilievo alle annotazioni teologiche, indicando la lettura

più profonda del segno, ricorre spesso anche nelle altre narrazioni giovannee.

Osservazioni di dettaglio:

1 Kai. th/| h`me,ra| th/| tri,th| ga,moj evge,neto evn Kana. th/j Galilai,aj( kai. h=n h` mh,thr tou/ VIhsou/ evkei/\ Abbiamo già osservato l‟indicazione temporale th/| h`me,ra| th/| tri,th a partire da 1,19 intercorre

dunque una settimana. Boismard ne parla come della settimana della rigenerazione da contrapporre

a quella della nuova creazione (passione morte risurrezione). Il riferimento al terzo giorno può

riferirsi ai tre giorni della risurrezione (il riferimento alla gloria)? Ciò va nel senso del miracolo di

Cana come anticipazione di quello che avverrà. Per Schnackenburg ed altri esegeti si tratta più

semplicemente dell‟indicazione di un tempo breve.

Cana viene identificata con Kafr Kenna (6 km nord ovest di Nazareth), ma è il trasferimento

tradizionale dell‟originaria località di Khirbet Qana, 13 Km a nord di Nazaret. Comunque vicina a

Nazaret, il che giustifica la conoscenza degli sposi da parte dei familiari di Gesù.

2 evklh,qh de. kai. o` VIhsou/j kai. oi` maqhtai. auvtou/ eivj to.n ga,monÅ

Gesù viene qui associato ai suoi discepoli, piuttosto che alla madre che viene citata nella scena

precedente, nella descrizione delle nozze! (Maria – Israele?). I discepoli erano stati citati poco

prima, coloro che lo avevano seguito e che diventano qui i testimoni privilegiati del segno.

3 kai. u`sterh,santoj oi;nou le,gei h mh,thr tou/ VIhsou/ pro.j auvto,n( Oi=non ouvk e;cousinÅ Il verbo hysteréô, usato qui nel participio aoristo attivo (gen. masch. sing.) indica la mancanza, il

bisogno di… È da ricordare che il matrimonio prevedeva una settimana di festa. Il vino era

fondamentale e la sua mancanza è comprensibile che crei imbarazzo. Molti Padri hanno ritenuto

che Maria volesse chiedere un miracolo a Gesù, ma ciò non risulta chiaramente dal testo.

4 Îkai.Ð le,gei auvth/| o` VIhsou/j( Ti, evmoi. kai. soi,( gu,naiÈ ou;pw h[kei h` w[ra mouÅ

Ecco un versetto dal significato misterioso, o quasi offensivo. Gesù dice alla madre che non deve

intromettersi nella sua missione messianica? E perché l‟uso di una forma che almeno in apparenza è

tanto reattiva: Ti, evmoi. kai. soi,( gu,naiÈ Cosa vuol dire?

Le dice Gesù: «Che vuoi da me, o donna? Non è ancora venuta la mia ora».

Oppure «Che c‟è tra me e te, donna?….»

L‟espressione è documentata sia nel mondo veterotestamentario (mah-li walak, cfr. Gdc 11,12;

2Sam 16,10….) come in quello ellenistico. Si ricordi inoltre l‟uso che se ne fa, per es. in Mc 1,24: tì

hêmin kai soi = che c‟entri con noi… è quanto dice a Gesù l‟uomo posseduto dallo spirito

immondo. La stessa espressione giovannea anche in Mc 5,6, anche qui pronunciata da un

posseduto…

È interessante al proposito leggere diverse posizioni, comprese quelle ereticali ricordate da S.

Tommaso d‟Aquino nel suo commento a Giovanni (cfr. II, 348-353). L‟interpretazione che viene

ripresa allora, come oggi da molti commentatori spirituali, è la funzione “mediatrice” di Maria

nell‟opera del Figlio…

Mateos traduce: che ci importa a me e a te, donna?. Qui l‟interpretazione è simbolica: Maria

=Israele. Le parole di Gesù sono indirizzate a Israele che ha perso fiducia, invitandolo a rompere

con il passato. Gesù rileva che quella realtà è decaduta e non deve essere rivitalizzata; la sua opera

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 47

non poggerà sulle antiche istituzioni ma porterà una novità radicale, rappresentata appunto dalla

sostituzione del vino all‟acqua….

Certo l‟appellativo “donna” non è consueto (lo ritroveremo però nel secondo passo in cuii Gv cita la

madre di Gesù nelle parole di lui 19,26) Proprio la seconda ricorrenza non fa pensare a un

atteggiamento irriguardoso, quanto piuttosto collegato alla seconda parte: “non è ancora giunta la

mia ora”. Molti esegeti, antichi e moderni, propendono per interpretare la prima parte come un

interrogativo retorico: “Che vuoi da me, donna? la mia ora è venuta.” Ma più semplicemente qui

sembra che si voglia indicare non l‟opposizione di Gesù alla richiesta di interessamento della

madre, quanto piuttosto la sottolineatura che esiste una distanza tra la madre stessa e l‟ora di Gesù

che dipende invece dal Padre. Rispetto al volere e al progetto del Padre anche la volontà, la richiesta

della madre è subordinata. Si noti come questa interpretazione sia concorde con l‟insieme

evangelico, per esempio nella risposta di Gesù alla ricerca di lui bambino nel tempio, ricordata dai

sinottici.

Dunque è il Padre che dispone di Gesù e della sua opera, dato che, come dirà più avanti

l‟evangelista, il Padre opera nel Figlio. A questo primo significato si unisce anche il riferimento

all‟ora della glorificazione del Figlio, quella della morte: in questo senso il segno di Cana non può

essere che una parziale, forse simbolica anticipazione (il vino/sangue offerto da Gesù).

Schnackenburg osserva tuttavia che tale interpretazione ridurrebbe la portata dell‟azione di Gesù

nella quale già risplende la doxa, quella che è presente nel Verbo Incarnato (1,14). Il segno non ha

solo il compito di indicare ma anche di manifestare la gloria presente nella persona di Gesù,

dispensatore dei doni escatologici del Padre.

Schnackenburg osserva che comunque si interpreti la risposta di Gesù alla madre, rimane il fatto

che ella concorre alla preparazione del miracolo: 5 le,gei h mh,thr auvtou/ toi/j diako,noij( {O ti a'n le,gh| u`mi/n poih,sateÅ dunque Maria non può aver compreso la risposta di Gesù come un rifiuto totale a darsi da fare. Si

fida del Figlio.

6 h=san de. evkei/ li,qinai u`dri,ai e]x kata. to.n kaqarismo.n tw/n VIoudai,wn kei,menai( cwrou/sai avna. metrhta.j du,o h' trei/jÅ

L‟attenzione si sposta ora alle idrie di pietra, ciascuna delle quali contiene circa 100 litri d‟acqua (2-

3 metrete: 1 metreta = litri 39,39). Recipienti piantati nel suolo, generalmente di argilla, considerati

migliori quelli di pietra perché non soggetti alle impurità di cui parla il Levitico (11,33).

Mateos interpreta simbolicamente il riferimento al numero e al materiale delle idrie. Anzi sottolinea

anche il riferimento alla loro grande capacità di contenuto, indirettamente legato all‟immobilità….

Le idrie presidiano così, come segno dell‟Alleanza Antica, le nozze/Alleanza.

“di pietra” fa riferimento alle tavole della Legge (es 31,18 ecc) Dunque il riferimento è alla Legge

mosaica; al cuore di pietra fa riferimento Ezechiele (36,26) che parla della sostituzione con un cuore

di carne. Il tutto rappresenta la necessità di purificazione derivante dall‟idea di impurità e di

indegnità. L‟uomo di conseguenza è legato a Dio dal timore più che dall‟amore. Il tutto

costituituiva un formidabile strumento di potere nelle mani del sacerdozio di Gerusalemme che

poteva tenere così assoggettati gli israeliti. Si osservi che il testo dice esplicitamente “dei Giudei”, i

dirigenti del regime. Ma non basta. Si dirà di riempire le idrie, segno che esse erano vuote

dell‟acqua che doveva servire per la purificazione, segno di un potere iniquo ed inefficace, vuoro. Il

numero sei, numero dell‟incompleto, si contrappone al sette, quello della completezza. Sei è il

numero delle feste giudaiche che verranno registrate da Gv. L‟attività di Gesù si svolge in sei

giorni: l‟opera creatrice non è ancora conclusa.

Alla legge antica manca il vino dell‟amore. Il primo segno che Gesù realizza, come nuovo sposo,

annuncia il cambio dalla vecchia alla nuova alleanza, offrendo un assaggio del suo vino.

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 48

È una interpretazione simbolica molto interessante che tuttavia forza alcuni elementi…

Nei vv 7 e 8 si susseguono le azioni senza alcuna obiezione da parte di coloro che eseguono le

disposizioni di Gesù. Il riempire le idrie fino all‟orlo rappresenta la grandezza del gesto che Gesù

sta per compiere.

9 wj de. evgeu,sato o avrcitri,klinoj to. u[dwr oi=non gegenhme,non kai. ouvk h;|dei po,qen evsti,n( oi de. dia,konoi h;|deisan oi hvntlhko,tej to. u[dwr( fwnei/ to.n numfi,on o` avrcitri,klinoj

Il miracolo in se stesso non viene descritto, si descrivono invece le conseguenze (come per la

moltiplicazione dei pani).

Si sottolinea il po,qen per il significato particolare che assume nel IV Vangelo.

Per la brevità del racconto del miracolo, stupisce ancor di più l‟ampio intervento dell‟architriclino,

che può essere considerato spiritoso (Schnackenburg). Non sembra riferirsi ad una “norma” quanto

piuttosto ad una considerazione di ordine pratico, forse un po‟ furbesca.

10 kai. le,gei auvtw/|( Pa/j a;nqrwpoj prw/ton to.n kalo.n oi=non ti,qhsin kai. o[tan mequsqw/sin to.n evla,ssw\ su. teth,rhkaj to.n kalo.n oi=non e[wj a;rtiÅ Osservazione spiritosa? (Schnackenburg) Il vino buono è quello offerto da Gesù, evidente

significato simbolico…

11 Tau,thn evpoi,hsen avrch.n tw/n shmei,wn o VIhsou/j evn Kana. th/j Galilai,aj kai. evfane,rwsen th.n do,xan auvtou/( kai. evpi,steusan eivj auvto.n oi` maqhtai. auvtou/Å Meta. tou/to kate,bh eivj Kafarnaou.m auvto.j kai. h` mh,thr auvtou/ kai. oi` avdelfoi. Îauvtou/Ð kai. oi` maqhtai. auvtou/ kai. evkei/ e;meinan ouv polla.j h`me,rajÅ

Segue il commento dell‟evangelista:

innanzitutto con la sottolineatura del “principio dei segni” in Cana di Galilea,

poi con una osservazioni più approfondita: manifestò la sua gloria, coordinata con la conseguenza

della fede dei suoi discepoli (cosa vuol dire, che i discepoli prima non credevano in Gesù?…)

Segue un‟indicazione spazio-temporale nella quale si indica lo spostamento di Gesù a Cafarnao

insieme alla madre, ai fratelli e ai discepoli, dove, si aggiunge, si fermarono molti giorni.

Quello di Cana è dunque il segno della prima “manifestazione” della gloria di Gesù. Contestualizza

precisamente (anche se per noi è inverificabile) l‟accadimento; è importante per il carattere stesso

del vangelo di Gv che radica nella memoria dei fatti e non invece in una “conoscenza” superiore.

Nello stesso tempo viene indicato uno dei caratteri fondamentali del “segno” giovanneo: radica

nella fede quelli che lo seguono… come dire che di per sé non può determinare la fede, solo chi

guarda a Gesù con occhio interessato può percepire il significato profondo dei segni che opera e

giungere ad una fede più matura.

In questo primo segno manca un discorso esplicativo di Gesù, come avverrà invece in seguito, che

sveli il significato profondo del segno stesso. Tuttavia le sottolineature dell‟evangelista nel v.11

dicono in maniera “esemplare” ciò che caratterizza il segno, o i segni, operati da Gesù:

manifestazione della gloria, del Logos che si è fatto carne, che ha come fine la fede di coloro che

attraverso il segno credono in Gesù, Messia e Figlio di Dio (20,31). Si comprende così nel suo

pieno significato l‟esemplarità di questo segno che è “inizio” non solo in senso cronologico ma,

appunto, esemplare.

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 49

Ma cosa vuol dire, esegeticamente l‟espressione kai. evfane,rwsen th.n do,xan auvtou Bisogna ammettere, dalla dinamica stessa della narrazione, che si tratta innanzitutto della potenza

divina; in sé un concetto che ritroviamo nei sinottici e in Paolo mentre non lo si trova esplicitamente

in Gv: lo stesso segno è soprattutto rimando al significato piuttosto che manifestazione di potenza

contro forze ostili…. La connotazione di potenza è del resto presente nel concetto ebraico di Kābôd,

alla base del concetto giovanneo. Non sembra trattarsi, secondo Schnakenburg, del momentaneo

trasparire della gloria celeste, quasi mettendo da parte la sarx, o trasfigurandola. Anzi, è proprio

quella sarx che il Verbo ha assunto che manifesta quella gloria visibile agli occhi della fede. La

visione celeste del suo splendore è riservata al futuro, presso il Padre (17,24). È invece

manifestazione della doxa che aveva presso il Padre prima di venire nel mondo. Gloria luminosa,

dunque, insieme a potere divino, sono ambedue contenuti nel concetto giovanneo di doxa. La

manifestazione (phaneroo), è percepibile solo in una visione spirituale. La fede dei discepoli viene

così accresciuta dal segno di Cana: “essi cedettero in lui” pisteuein eis si incontra 36 volte nel IV

Vangelo.

L‟interpretazione fondamentale della pericope dipende esattamente da queste ultime annotazioni

giovannee, ed è dunque principalmente cristologica: la rivelazione è autorivelazione di Gesù. In tal

senso va interpretata anche la domanda che pone indirettamente l‟evangelista: da dove? Essi non

sapevano da dove venisse quel vino… è una domanda piena di significato nel vangelo giovanneo

perché pur conoscendo la provenienza terrena di Gesù, i suoi contemporanei non sanno, non

arrivano a vedere la sua provenienza celeste. Egli viene dal Padre.

L‟elemento particolare, il vino, non è senza significato: è offerto “all‟ultimo” ed è “abbondante”: è

il dono escatologico del Messia (Am 9,13; Os 2,24; Gl 4,18; Is 29,17; Ger 31,5) e nel tardo

giudaismo.

Si veda in particolare Gn 49,11s.:

`ÎAtWsÐ ¿htoWsÀ ~ybin"[]-~d;b.W Avbul. !yIY:B; sBeKi Antoa] ynIB. hq'reFol;w> ÎAry[iÐ ¿hroy[iÀ !p,G<l; yrIs.ao Egli che lega alla vite il suo asinello e a scelta vite il figlio dell' asina sua; egli che lava nel vino la sua veste e nel sangue dell' uva il suo manto

C‟è un riferimento al vino eucaristico? Un parallelo con Gv 6, il miracolo del pane? Dunque una

spiegazione sacramentale? Non è necessario restringere immediatamente il campo a questo tipo di

messaggio specifico, dice Schnackenburg.

Sia lo Schnackenburg che diversi altri autori fanno riferimento a letture simboliche, circa la

trasformazione dell‟acqua in vino, che, a partire dall‟antichità patristica, hanno spesso assunto la

trasformazione di Cana come segno del superamento del Nuovo con l‟Antico, nel senso appunto di

una trasformazione – sostituzione che influiva e confermava l‟idea della rottura di Gesù con le

istituzioni israelitiche, il suo culto e le sue leggi, in particolare i rituali di abluzione. Cfr. in

proposito anche il commentario moderno di Mateos. Ciò sarebbe peraltro in linea con il racconto

successivo della purificazione del Tempio. Faccio però notare l‟equilibrata spiegazione di San

Tommaso, la terza proposta che elenca il dottore angelico sul motivo per il quale Gesù avrebbe

preferito creare vino dall‟acqua anziché dal nulla: «Cristo non volle produrre il vino dal nulla ma

dall‟acqua, per mostrare che egli non insegnava una dottrina del tutto nuova, condannando l‟antica;

ma voleva perfezionare l‟antica; come si legge in Mt 5,17: “Non sono venuto per abolire la Legge,

ma per portarla a compimento». Cosicché quanto l‟antica Legge prefigurava e prometteva, Cristo lo

rese presente e lo espose con chiarezza. Di qui le parole evangeliche (Lc 24,45): “Allora aprì loro la

mente all‟intelligenza delle Scritture”». Ancor prima, V sec., scrive Eusebio il Gallicano nel

Sermone 5°, De Epiphania (II): «In Galilea, per opera di Cristo, l‟acqua diventa vino; scompare la

Legge, succede la grazia; fugge l‟ombra, subentra la realtà; le cose materiali sono messe a confronto

con quelle spirituali; la vecchia osservanza cede il posto al Nuovo Testamento... Come l‟acqua

contenuta nelle giare non perde nulla di quello che era e comincia ad essere quello che non era, così

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 50

la Legge non è stata sminuita dalla venuta di Cristo, ma avvantaggiata, perché da essa ha ricevuto il

suo completamento... Mancando il vino, viene sostituito un altro vino; il vino dell‟Antico

Testamento è buono; ma quello del Nuovo è migliore» (PLS 3,561s.).

Come si vede qui siamo nella linea non della sostituzione ma della continuità e dell‟adempimento

delle promesse…

Questa linea è preferibile poiché in realtà Gesù non si dimostra ostile ai riti purificatori giudaici di

cui spesso parla senza disprezzo.

Come non si può accettare semplicemente in ambito esegetico l‟allegoresi spinta dei Padri, così

sembra eccessivo ricorrere al motivo della leggenda di Dioniso (scuola della storia delle religioni:

Bousset, Bultmann) in cui si racconta di trasformazioni simili in feste dedicate alla divinità.

Una diversa ipotesi interpretativa mi pare però più convincente:

suscita qualche perplessità la risposta di Gesù ala madre “donna”. Il tono, al di là di quanto si cerca

di insinuare per attenuarne la durezza, sembra proprio voler sottolineare la dura contestazione di

Gesù circa la sua chiamata in causa, nel matrimonio giudaico che si sta celebrando, da parte della

madre che risulta invadente nel senso letterario del termine: che c‟è fra me e te? Del resto non è un

fatto nuovo nei vangeli: anche la ricerca di Gesù nel tempio da parte dei genitori di Gesù presenta

qualcosa di analogo: non sapete che sono venuto per fare la volontà del Padre mio?...

Insomma Gesù precisa anche a Cana che ciò che è venuto a fare riguarda il suo rapporto con

DioPadre e non con la volontà della madre e con la sua preghiera di intervenire. È esattamente il

contrario cioè di quanto si dice nella esegesi piuttosto mariologica del brano.

Di fatto però, per la tradizionale interpretazione dell‟acqua trasformata in vino alla fine,

l‟affermazione di Gesù, soprattutto la sua precisazione “non è ancora giunta la mia ora” sembrano

in contraddizione. Questo sarebbe da spiegare, stando all‟interpretazione tradizionale, proprio per

l‟intervento in qualche modo anticipatore di Maria. In tal senso anche l‟esegesi del termine “donna”

qui impiegato viene attirato in na interpretazione teologica per così dire positiva: donna nel senso

genesiaco, come Eva, anzi, nuova Eva, madre dei credenti. Non che questo non funzioni, in

generale. Ma rimane l‟aspetto piuttosto curioso dell‟affermazione di Gesù circa la sua ora non

ancora venuta. Gesù dunque fa un‟eccezione? Anticipa qualcosa perché spinto dalla madre? Proprio

per evitare la contraddizione è stato proposto da diversi esegeti di intendere in senso interrogativo la

risposta di Gesù: “non è forse giunta la mia ora?” a cui più ragionevolmente seguirebbe l‟azione

della trasformazione dell‟acqua in vino.

Mi pare però che tutto fila meglio, senza sforzi interpretativi particolari, se si intende che il

miracolo compiuto da Gesù non consiste nell‟aver trasformato le sei giare d‟acqua in vino, ma di

aver semplicemente fatto assaggiare all‟architriclinio un vino eccezionalmente buono che provoca

l‟elogio dell‟ignaro maestro di tavola. Infatti ciò che è stato trasformato in vino è l‟acqua “attinta” e

portata al maestro. L‟indicazione del resto viene dal testo stesso: Dopo aver dato l‟ordine di

riempire le giare, ordine eseguito dai servi, Gesù ordina di “attingere” avntlh,sate e portarne al

maestro di tavola. Nella spiegazione che segue, circa il fatto che il maestro non sapeva di dove

venisse quel vino, si aggiunge che lo sapevano i servi che avevano attinto l‟acqua oi` hvntlhko,tej to. u[dwr. Ciò che essi hanno attinto per portare al maestro è acqua, non vino. Alcune varianti testuali

aggiungono a questo punto di nuovo la specificazione “diventata vino, segno di un chiarimento che

il testo sembrava richiedere per far capire che essi attingono non acqua bensì acqua già trasformata

in vino. Ciò permette meglio di comprendere la negazione di Gesù e la sua affermazione sul fatto

che non è venuta la sua ora, non può dare adesso il vino che manca. L‟ora di Gesù, verrà detto in

diversi momenti, verrà più avanti, è quella della passione. L‟assaggio è veramente tale, riguarda

solo l‟acqua che i servi hanno portato all‟architriclino. La lode fatta sul vino servito alla fine allude

così con chiarezza a ciò che Gesù compirà, appunto, alla fine. Dal punto di vista del piano della

narrazione, la parola del maestro di tavola, trattata dagli esegeti con qualche imbarazzo, parlano

infatti di una sorta di norma che tuttavia non è chiaramente parte dell‟uso abituale, non costituisce

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una vera regola di comportamento, in realtà ha il solo scopo di accennare metaforicamente a quanto

si compirà solo alla fine: Gesù offrirà il vino buono, quello dell‟alleanza eterna, quello in cui ci sarà

l‟abbondanza escatologica del cibo e del vino secondo la promessa profetica (cf. sopra). Così pure

l‟accenno al terzo giorno che viene fatto all‟inizio, correttamente compreso di solito come allusione

ai tre giorni della passione, diventa più chiaro ed esplicito: rinvia anch‟esso ad un tempo

allusivamente, e solo allusivamente richiamato dall‟evento che sta per compiersi. A Cana Gesù non

dà da bere il vino buono, egli ne permette l‟assaggio al maestro di tavola e solo a lui, confermando

la sua intenzione a non intervenire per il momento perché non è ancora giunta la sua ora. L‟aspetto

miracoloso non cambia un gran che. Cambiare un bicchiere o sei anfore di acqua in vino è la stessa

cosa, ma cambia il senso: Gesù sta dando un assaggio, l‟assaggio del maestro di tavola conferma da

una parte la risposta negativa altrimenti non chiaramente comprensibile, dall‟altra rinvia a qualcosa

che certamente verrà compiuto e che diventa profezia nelle parole dell‟ignaro Maestro, cioè il fatto

che il vino buono verrà distribuito alla fine.

Gesù, sollecitato dalla madre, risponde che non interverrà, poiché non è giunta la sua ora, non può

dare il vino che è venuto a portare, quello dell‟attesa escatologica. Lo darà a suo tempo. Ne farà

gustare il valore di qualità superiore solo al maestro di tavola che nella lode conferma in realtà che

esso viene conservato per la fine. Inconsapevolmente, come accadrà del resto con Caifa, sta dicendo

qualcosa che si dimostrerà vero con la passione morte risurrezione.

Incontro con la samaritana

4,1-42

N= narratore; G= Gesù; S= Samaritana; D= Discepoli; S= Samaritani

N ~Wj ou=n e;gnw o` VIhsou/j o[ti h;kousan oi` Farisai/oi o[ti VIhsou/j plei,onaj maqhta.j poiei/ kai. bapti,zei h' VIwa,nnhj & kai,toige VIhsou/j auvto.j ouvk evba,ptizen avllV oi maqhtai. auvtou/ & avfh/ken th.n VIoudai,an kai. avph/lqen pa,lin eivj th.n Galilai,anÅ e;dei de. auvto.n die,rcesqai dia. th/j Samarei,ajÅ e;rcetai ou=n eivj po,lin th/j Samarei,aj legome,nhn Suca.r plhsi,on tou/ cwri,ou o] e;dwken VIakw.b Îtw/|Ð VIwsh.f tw/| ui`w/| auvtou/\ h=n de. evkei/ phgh. tou/ VIakw,bÅ o` ou=n VIhsou/j kekopiakw.j evk th/j o`doipori,aj evkaqe,zeto ou[twj evpi. th/| phgh/|\ w[ra h=n wj e[kthÅ :Ercetai gunh. evk th/j Samarei,aj avntlh/sai u[dwrÅ

G le,gei auvth/| o` VIhsou/j( Do,j moi pei/n\

N oi ga.r maqhtai. auvtou/ avpelhlu,qeisan eivj th.n po,lin i[na trofa.j avgora,swsinÅ S le,gei ou=n auvtw/| h` gunh. h` Samari/tij(

Pw/j su. VIoudai/oj w'n parV evmou/ pei/n aivtei/j gunaiko.j Samari,tidoj ou;shjÈ N ouv ga.r sugcrw/ntai VIoudai/oi Samari,taijÅ

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 52

G avpekri,qh VIhsou/j kai. ei=pen auvth/|( Eiv h;|deij th.n dwrea.n tou/ qeou/ kai. ti,j evstin o le,gwn soi( Do,j moi pei/n( su. a'n h;|thsaj auvto.n kai. e;dwken a;n soi u[dwr zw/nÅ

S le,gei auvtw/| Îh` gunh,Ð( Ku,rie( ou;te a;ntlhma e;ceij kai. to. fre,ar evsti.n baqu,\ po,qen ou=n e;ceij to. u[dwr to. zw/né mh. su. mei,zwn ei= tou/ patro.j h`mw/n VIakw,b( o]j e;dwken h`mi/n to. fre,ar kai. auvto.j evx auvtou/ e;pien kai. oi` uioi. auvtou/ kai. ta. qre,mmata auvtou/È

G avpekri,qh VIhsou/j kai. ei=pen auvth/|( Pa/j o` pi,nwn evk tou/ u[datoj tou,tou diyh,sei pa,lin\ o]j dV a'n pi,h| evk tou/ u[datoj ou- evgw. dw,sw auvtw/|( ouv mh. diyh,sei eivj to.n aivw/na( avlla. to. u[dwr o] dw,sw auvtw/| genh,setai evn auvtw/| phgh. u[datoj allome,nou eivj zwh.n aivw,nionÅ

S le,gei pro.j auvto.n h` gunh,( Ku,rie( do,j moi tou/to to. u[dwr( i[na mh. diyw/ mhde. die,rcwmai evnqa,de avntlei/nÅ

G Le,gei auvth/|( {Upage fw,nhson to.n a;ndra sou kai. evlqe. evnqa,deÅ

S avpekri,qh h` gunh. kai. ei=pen auvtw/|( Ouvk e;cw a;ndraÅ

G le,gei auvth/| o` VIhsou/j( Kalw/j ei=paj o[ti :Andra ouvk e;cw\ pe,nte ga.r a;ndraj e;scej kai. nu/n o]n e;ceij ouvk e;stin sou avnh,r\ tou/to avlhqe.j ei;rhkajÅ

S le,gei auvtw/| h` gunh,( Ku,rie( qewrw/ o[ti profh,thj ei= su,Å oi pate,rej hmw/n evn tw/| o;rei tou,tw| proseku,nhsan\ kai. u`mei/j le,gete o[ti evn ~Ierosolu,moij evsti.n o` to,poj o[pou proskunei/n dei/Å

G le,gei auvth/| o` VIhsou/j( Pi,steue, moi( gu,nai( o[ti e;rcetai w[ra o[te ou;te evn tw/| o;rei tou,tw| ou;te evn ~Ierosolu,moij proskunh,sete tw/| patri,Å u`mei/j proskunei/te o] ouvk oi;date\ h`mei/j proskunou/men o] oi;damen( o[ti h` swthri,a evk tw/n VIoudai,wn evsti,nÅ avlla. e;rcetai w[ra kai. nu/n evstin( o[te oi avlhqinoi. proskunhtai. proskunh,sousin tw/| patri. evn pneu,mati kai. avlhqei,a|\ kai. ga.r o` path.r toiou,touj zhtei/ tou.j proskunou/ntaj auvto,nÅ pneu/ma o qeo,j( kai. tou.j proskunou/ntaj auvto.n evn pneu,mati kai. avlhqei,a| dei/ proskunei/nÅ

S le,gei auvtw/| h` gunh,( Oi=da o[ti Messi,aj e;rcetai o lego,menoj Cristo,j\ o[tan e;lqh| evkei/noj( avnaggelei/ h`mi/n a[pantaÅ

G le,gei auvth/| o` VIhsou/j( VEgw, eivmi( o lalw/n soiÅ

N Kai. evpi. tou,tw| h=lqan oi` maqhtai. auvtou/ kai. evqau,mazon o[ti meta. gunaiko.j evla,lei\ ouvdei.j me,ntoi ei=pen( Ti, zhtei/j h; Ti, lalei/j metV auvth/jÈ avfh/ken ou=n th.n udri,an auvth/j h` gunh. kai. avph/lqen eivj th.n po,lin

S kai. le,gei toi/j avnqrw,poij( Deu/te i;dete a;nqrwpon o]j ei=pe,n moi pa,nta o[sa evpoi,hsa( mh,ti ou-to,j evstin o` Cristo,jÈ

N evxh/lqon evk th/j po,lewj kai. h;rconto pro.j auvto,nÅ VEn tw/| metaxu. hvrw,twn auvto.n oi maqhtai. le,gontej(

D ~Rabbi,( fa,geÅ G o` de. ei=pen auvtoi/j(

VEgw. brw/sin e;cw fagei/n h]n umei/j ouvk oi;dateÅ D e;legon ou=n oi` maqhtai. pro.j avllh,louj( Mh, tij h;negken auvtw/| fagei/né

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 53

G le,gei auvtoi/j o` VIhsou/j( VEmo.n brw/ma, evstin i[na poih,sw to. qe,lhma tou/ pe,myanto,j me kai. teleiw,sw auvtou/ to. e;rgonÅ ouvc u`mei/j le,gete o[ti :Eti tetra,mhno,j evstin kai. o` qerismo.j e;rcetaiÈ ivdou. le,gw umi/n( evpa,rate tou.j ovfqalmou.j u`mw/n kai. qea,sasqe ta.j cw,raj o[ti leukai, eivsin pro.j qerismo,nÅ h;dh o` qeri,zwn misqo.n lamba,nei kai. suna,gei karpo.n eivj zwh.n aivw,nion( i[na o` spei,rwn o`mou/ cai,rh| kai. o` qeri,zwnÅ evn ga.r tou,tw| o` lo,goj evsti.n avlhqino.j o[ti :Alloj evsti.n o` spei,rwn kai. a;lloj o qeri,zwnÅ evgw. avpe,steila uma/j qeri,zein o] ouvc u`mei/j kekopia,kate\ a;lloi kekopia,kasin kai. u`mei/j eivj to.n ko,pon auvtw/n eivselhlu,qateÅ

N VEk de. th/j po,lewj evkei,nhj polloi. evpi,steusan eivj auvto.n tw/n Samaritw/n dia. to.n lo,gon th/j gunaiko.j marturou,shj o[ti Ei=pe,n moi pa,nta a] evpoi,hsaÅ w`j ou=n h=lqon pro.j auvto.n oi` Samari/tai( hvrw,twn auvto.n mei/nai parV auvtoi/j\ kai. e;meinen evkei/ du,o h`me,rajÅ kai. pollw/| plei,ouj evpi,steusan dia. to.n lo,gon auvtou/(

S th/| te gunaiki. e;legon o[ti Ouvke,ti dia. th.n sh.n lalia.n pisteu,omen\ auvtoi. ga.r avkhko,amen kai. oi;damen o[ti ou-to,j evstin avlhqw/j o` swth.r tou/ ko,smouÅ

Meta. de. ta.j du,o hme,raj evxh/lqen evkei/qen eivj th.n Galilai,an\ Ancora a proposito della prima sezione del Vangelo di Giovanni, da noi intitolata da Cana a Cana,

si inquadra il racconto dell‟incontro di Gesù con la donna samaritana (4,1-42). L‟evangelista inserisce questo passo in un contesto più vasto cioè quello dei capp. 2-4

1 del “Libro

dei segni”. La sezione si apre con il racconto del primo segno a Cana di Galilea a cui fa seguito quel

particolare “segno” di rivelazione messianica che abbiamo brevemente considerato in elazione alle

narrazioni sinottiche, il “segno” del Tempio a Gerusalemme (2,13-22). Nei dialoghi successivi i tre

personaggi che si intrattengono con Gesù rappresentano tre tipi di accesso alla fede: Nicodemo (3,1-

21); la donna che Gesù incontra al pozzo di Giacobbe (4,1-42); il funzionario regio di Cana di

Galilea (4,43-54). Tutti e tre, si direbbe, hanno valore rappresentativo della fede: sono protagonisti

individuali dell‟incontro con Gesù, ciascuno però collocato in rapporto ai loro tre rispettivi gruppi

di appartenenza.

Infatti Nicodemo, giudeo di Gerusalemme e “maestro di Israele” (3,10) rappresenta il tipo dei

giudei “ortodossi” favorevoli a Gesù, che credono sulla base dei soli segni (2,23-3,2), in alternativa

ai giudei che invece ne contestano l‟autorità mostrata nel segno del tempio (2,13-22); nella persona

della donna di Sicar (4,5), la cui testimonianza dà luogo alla fede dei Samaritani del suo villaggio,

egli vede avvicinarsi, per così dire, a Gesù il giudaismo scismatico; il funzionario di Cana,

probabilmente un pagano, alla cui fede si associa quella di tutta la sua casa (4,43-54) rappresenta

per l‟evangelista il mondo non giudaico.

Queste tre tipologie della fede sono disposte in una sorta di crescendo, che evidenzia sempre

più accentuatamente la fondazione della fede autentica sulla parola di Gesù, e che fa emergere la

dialettica tra il singolo e il gruppo, molto più vivace e rilevante nella pericope sui Samaritani.

L‟incontro di Gesù con la Samaritana e i Samaritani è anch‟esso composto con la massima cura.

Il narratore inquadra il racconto attraverso una introduzione (1-7a) e una conclusione (39-42) che è

bene considerare specificamente.

La maggioranza degli studiosi sostiene che la pericope Gv 4,1-42 è ben strutturata e si rivela di alto

livello letterario25

. Dice R.Fabris: «questa pagina giovannea nella sua forma attuale si presenta

1 Non tutti gli esegeti sono d‟accordo nel considerare 2,1-4,54 come un‟unità letteraria, ci riferiamo a R.E.Brown e agli

studi di I.de LA POTTERIE, Gesù e i Samaritani in Studi di cristologia giovannea, ed. Marietti, Genova 1992, p. 69;

C.H.DODD, op. cit., p. 390; R.VIGNOLO, Personaggi del Quarto Vangelo, ed. Glossa, Milano 1994, pp. 100-101. 25

S.A.PANIMOLLE, Lettura pastorale del Vangelo di Giovanni, v.i, ed.Dehoniane, Bologna 1999, p. 370.

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 54

come un‟unità letteraria, incentrata sull‟incontro-dialogo di Gesù in Samaria con una donna di

quella regione, vicino alla fonte o pozzo di Giacobbe. Infatti il successivo breve dialogo-istruzione

di Gesù con i discepoli prepara il suo incontro-accoglienza di fede da parte dei Samaritani. Quindi

la scena è dominata sempre dalla figura di Gesù attorno alla quale si muovono gli altri personaggi

individuali - la donna Samaritana e collettivi, i discepoli e i Samaritani»26

.

INTRODUZIONE

L‟introduzione si articola in tre parti:

1. vv. 1-4 in cui viene inquadrato l‟attraversamento necessario della Samaria per spostarsi dalla

Giudea verso la Galilea, dopo aver accennato alla notizia circa il battesimo (suo e di

Giovanni). Questa prima parte dell‟introduzione inquadra insomma l‟episodio della

samaritana negli spostamenti di Gesù che dalla Giudea lo riporteranno in Galilea (da Cana a

Cana).

2. Con i vv. 5-6 si specifica che il luogo samaritano in cui Gesù sosterà è la città di Sicar, con il

riferimento ai fatti patriarcali relativi a Giacobbe e Giuseppe e al pozzo di Giacobbe. Viene

altresì puntualizzata l‟ora della sosta di Gesù. Il richiamo alla tradizione patriarcale è un

elemento da non trascurare nella narrazione.

3. con il v.7a è introdotta, infine, l‟interlocutrice di Gesù definita come “una donna di

Samaria” per attingere acqua.

L‟introduzione ha quindi preparato la scena del dialogo. Da questo momento, infatti, ai verbi di

movimento che hanno dominato nell‟introduzione, seguono i varba dicendi che introducono gli

interventi alternati tra Gesù e la donna Samaritana.

PRIMA SCENA

Il dialogo tra Gesù e la donna samaritana (vv. 7b – 26):

È il dialogo più lungo di tutto il vangelo di Giovanni e da sempre ha fatto pensare ad un

particolare interesse dell‟evangelista per la missione in questa regione27

È Gesù che si rivolge alla donna samaritana ed apre il dialogo, come pure è con l‟affermazione

finale di Gesù VEgw, eivmi( o lalw/n soi che termina il dialogo. Unica eccezione sono due

piccoli interventi del narratore: nel v. 8 spiega che i discepoli erano andati a comprare da

mangiare e in 9b spiega il senso dello stupore della samaritana per il fatto che un giudeo rivolga

la parola ad una samaritana.

Gesù si rivela come datore dell‟acqua viva (7-15).

Gesù si rivela come profeta (la figura del marito) (16-19).

Gesù si rivela come Messia (il vero culto a Dio Padre)(20-26).

SECONDA SCENA

Entra di nuovo in campo la voce del narratore che introduce in scena i discepoli di ritorno dalla

città (27) e lo spostamento della donna in città dove entrano in scena gli abitanti di Sicar (28). In

pratica alla coppia Gesù samaritana seguono le due coppie Gesù-discepoli; samaritana-

samaritani.

Con il v. 31, e fino al 38 si riprende il dialogo tra Gesù e i discepoli

- Il cibo di Gesù (31-34);

- la mietitura messianica (35-38), con un lungo intervento di Gesù circa il tempo della mietitura

in cui non si trova esplicito riferimento al precedente dialogo con la samaritana.

CONCLUSIONE

26

R.FABRIS, Giovanni, traduzione e commento, ed. Borla, Roma 1992, p. 286. 27

Cfr.SCHNACKENBURG, op. cit., p. 656.

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 55

Nei vv. 39-42 si registra l‟incontro tra Gesù e i samaritani e la presa di distanza degli abitanti

dalla donna samaritana (42) fino alla confessione di fede dei samaritani in Gesù come “il

salvatore del mondo”

Osservazioni sul testo:

1. inclusioni tematiche

Se tu sapessi...CHI E‟ che ti dice (parla)...! (Gv 4,10)

Noi sappiamo che QUESTI E‟ veramente il Salvatore del mondo (Gv,4,42)

Alla Samaritana incredula Gesù prospetta il mistero meraviglioso della sua persona (v.10) e alla

fine della scena drammatica i Samaritani scoprono la vera identità di Gesù: egli è il Salvatore

dell‟umanità (v. 42).

Questa inclusione indica il tema fondamentale di tutta la narrazione drammatica di Gv 4, 7-42, essa

infatti vuole svelarci il mistero della persona di Gesù, che nella prima sezione ci è presentato come

il rivelatore (vv. 10ss) e nel brano finale appare come il Salvatore del mondo, ossia di tutti gli

uomini e non solo dei Giudei (vv. 39ss).

- Tra i vv. 7 e 15 notiamo un‟altra inclusione, in forma parzialmente chiastica, fra le espressioni:

viene una donna... a d a t t i n g e r e ACQUA (v.7),

dammi QUEST‟ACQUA, affinché non venga qui a d a t t i n g e r e (v.15)

Anche la presente inclusione indica il tema centrale di questa prima sezione del dialogo con la

Samaritana, che tratta precisamente l‟argomento dell‟acqua viva, donata da Gesù, in

contrapposizione all‟acqua del pozzo di Giacobbe.

- Tra il brano iniziale del colloquio con la samaritana (v.10) e la sentenza finale di questa pericope

(v.26).

Le rispose Gesù dicendo: “CHI E‟ che ti dice: Dammi da bere” (v.10)

Le dice Gesù: “IO SONO, colui che ti parlo!” (v.26)

Il mistero della persona di Gesù, che è il dono di Dio per eccellenza, in quanto rivela e comunica la

vita divina (Gv 4,10), è finalmente chiarito in Giovanni 4,26: Gesù è il Messia escatologico, atteso

anche dai samaritani, che rivela tutte le cose.

- Tra i vv. 29 e 42 scorgiamo un‟altra corrispondenza tra l‟intuizione della Samaritana la quale

pensa che Gesù possa essere il Messia e la professione di fede dei concittadini di questa donna i

quali affermano che Gesù è veramente il Salvatore del mondo. Si confrontino infatti le frasi:

SIA EGLI forse il CRISTO? (ou-to,j evstin o` Cristo,jÈ) (v.29),

QUESTI E‟... il SALVATORE (ou-to,j evstin avlhqw/j o` swth.r tou/ ko,smouÅ) (v.42).

Quindi le due ultime sezione di Gv 4,1-42, ossia i vv. 27-42, sono racchiusi da questa inclusione tra

il passo iniziale e l‟ultima frase di questa estesa pericope.

- Nel brano finale di Gv 4,27-42 rileviamo altre due inclusioni tra vv. 27.38 e 39.42. Il brano

formato dai vv.27-38 sembra racchiuso dalle due notizie riguardanti i discepoli: essi giungono da

Gesù, dopo aver fatto gli acquisti in città (v.27) e Gesù parla di essi alla fine del brano, ricordando

loro che sono entrati nel lavoro di altre persone (v.38).

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 56

- Più manifesta è l‟inclusione tematica della pericope finale (Gv 4,39-42), formata dal verbo

“credere”. Essa, infatti, si apre con l‟osservazione che molti Samaritani “credettero” in Gesù (v.39)

e si chiude riportando la professione di fede in Gesù Salvatore del mondo espressa da questi primi

discepoli non Giudei:

«Non crediamo più a motivo della tua parola, noi stessi infatti abbiamo ascoltato e sappiamo che

questi è veramente il Salvatore del mondo» (vv.41s). In realtà il tema trattato in Gv 4, 39-42 è la

fede dei samaritani: la loro fede iniziale fondata sulla parola della loro concittadina è superata e

approfondita, fino all‟adesione esistenziale a Gesù, Salvatore del mondo.

2. PARALLELISMI

Un parallelismo sinonimico tra i vv. 9 e 20ss si trova nella contrapposizione tra i giudei e i

samaritani.

Tra i vv. 22 e 42 si rivela il seguente parallelismo sinonimico, parzialmente antitetico, perché nel

primo passo la salvezza è posta in rapporto con i Giudei e nel secondo Gesù è proclamato Salvatore

di tutta l‟umanità. Si osservino in sinossi le due frasi:

la salvezza è d a i g i u d e i (v.22),

questi è veramente il Salvatore d e l m o n d o (v.42).

Altro parallelismo sinonimico lo rileviamo tra i vv. 25 e 29 ed è formato dalle locuzioni:

So che v i e n e il Messia, chiamato Cristo (v.25).

Che s i a e g l i f o r s e il Cristo ? (v. 29).

3. PAROLE TEMATICHE

- Nella prima parte del dialogo tra Gesù e la Samaritana, il verbo dare ricorre ben sette volte

e in Gv 4 s‟incontra solo nei vv. 5-15.

- A questo termine si aggiunga il sostantivo dono ( ), che nel quarto vangelo ricorre

solo in Gv 4,10.

- In modo analogo il vocabolo bere in Gv 4 si trova solo nei vv.7-16 e per sei volte.

- Parimenti il sostantivo acqua s‟incontra solo nei vv. 7-15 e per ben otto volte.

- Anche il verbo aver sete in Gv 4 ricorre tre volte e solo nei vv. 13-15.

Dunque le parole tematiche di questa sezione sono rappresentate dall‟acqua, il bere, l‟aver

sete, il donare. Questa constatazione indica l‟argomento principale di Gv 4,7-15: è il dono

dell‟acqua, che bisogna bere per dissertarsi.

In Gv 4, 16-19 i termini più frequenti sono:

- il sostantivo marito che in Gv 4 ricorre solo in questo brano per cinque volte, e il verbo avere, che

in Gv 4,1-42 s‟incontra unicamente nei vv. 17-18 per quattro volte e poi solo nel v.11.

La pericope di Gv 4,20-26 ha altre parole tematiche molto caratteristiche ed esclusive di

questo brano. Il verbo adorare nei primi otto capitoli del quarto vangelo s‟incontra solo in Gv 4,20-

24 e per ben nove volte. In modo analogo la tematica del luogo di culto nel quarto vangelo è trattata

solo in questo brano finale del dialogo con la samaritana: questa donna ritiene che sia sul monte

Garizim, i giudei nel tempio di Gerusalemme e Gesù promulga il nuovo luogo del culto

escatologico: lo Spirito e la Verità.

Nel passo iniziale di Gv 4, 27-38 sono esplicitamente nominati per tre volte i discepoli (vv.

27.31.33). Il gruppo di vocaboli mangiare -cibo è uno dei più importanti nei vv. 31-34: il verbo

mangiare ricorre tre volte (vv.31,32.33) e il sostantivo cibo s‟incontra due volte (vv. 32.34).

Nel brano finale di questa pericope (vv.35-38) le parole tematiche sono costituite dai termini

mietitura-mietere, che ricorrono sei volte in questi versetti e poi non s‟incontrano mai più nel quarto

vangelo, dal verbo seminare che si trova due volte in questo brano (vv.36s), e dal gruppo di voci

faticare-fatica, che compare tre volte nel v.38. Si osservi infine che anche i vocaboli fatica e

seminare nel quarto vangelo ricorrono solo in questa pericope della permanenza di Gesù in

Samaria.

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 57

Gv 4,39-42 ha come parola tematica il verbo credere che ricorre tre volte (vv.39.41-42),

mentre nei restanti brani del racconto sul soggiorno di Gesù in terra samaritana s‟incontra solo al

v.21 nell‟espressione «credimi, donna»

E‟ difficile dunque, contestare l‟unità globale di questa pagina evangelica sia sotto il profilo

narrativo drammatico, sia sotto quello tematico. E‟ innegabile la progressiva rivelazione-scoperta

dell‟identità di Gesù. Si passa dal “giudeo” che chiede da bere ad una donna samaritana, Gv 4,9, ma

che con la sua promessa dell‟acqua viva pretende di essere “più grande di Giacobbe”, padre dei

Samaritani, Gv 4,12, al riconoscimento del “profeta”, Gv 4, 19, che forse può essere il “messia-

Cristo”, Gv,4,29, e che alla fine viene proclamato “il Salvatore del mondo”, Gv 4, 4228

.

Tuttavia per avere un‟idea complessiva sul tipo di struttura di tutta la pericope che descrive

il soggiorno di Gesù in Samaria, bisogna riconoscere che l‟evangelista qui compone con grande

varietà, nonostante il carattere unitario di Gv 4,1-4229

.

Principali osservazioni esegetiche

6 h=n de. evkei/ phgh. tou/ VIakw,bÅ o` ou=n VIhsou/j

Il pozzo di Giacobbe è citato come “sorgente” negli scritti rabbinici (non nell‟AT). Metri 2,30 di

diametro, mt 32 di profondità! I recipienti toccano l‟acqua a notevole profondità.

La Samaritana si reca a quell‟ora calda perché riconosciuta come pubblica peccatrice?

9 le,gei ou=n auvtw/| h` gunh. h` Samari/tij( Pw/j su. VIoudai/oj w'n parV evmou/ pei/n aivtei/j gunaiko.j Samari,tidoj ou;shjÈ ouv ga.r sugcrw/ntai VIoudai/oi Samari,taijÅ

La spiegazione di Gv rispecchia la storia delle relazioni tra samaritani e giudei…. Cfr. 2 Re

17,24-41.

L‟annotazione giovannea in alcuni manoscritti è omessa. Glossa?

10 avpekri,qh VIhsou/j kai. ei=pen auvth/|( Eiv h;|deij th.n dwrea.n tou/ qeou/ kai. ti,j evstin o` le,gwn soi( Do,j moi pei/n( su. a'n h;|thsaj auvto.n kai. e;dwken a;n soi u[dwr zw/nÅ

Si innalza il livello del dialogo. Dall‟incontro esteriore all‟incontro interiore (ricordarsi anche dello

sviluppo del tema dell‟umanità di Gesù nelle lettere giuovannee, oltre che nel prologo). Costruzione

chiastica.

dwrea.n ciò che Dio dona per la salvezza dell‟uomo. Per il rabbinismo la torah. Per la com

primitiva lo Spirito Santo. Per Paolo la giustizia di Dio (Rom 5,17) o la salvezza, la grazia.

Importante il simbolismo dell‟acqua (soprattuttto nel contesto del VOA): capacità purificatrice,

dissetante, donatrice di vita, produttrice di frutti, risanatrice… così anche in molti culti in Egitto

e Mesopotamia. Vasto movimento battesimale. Collegamento con il linguaggio figurato

dell‟AT: Dio è fonte di acqua viva (Ger 2,13; 17,13)… dà refrigerio (Sl 36,9)… L‟mmagine

passa poi da Dio alla sapienza (Bar 3,12; Ecclus 15,3; Sap 7,25…) e nel rabbinismo alla Torah,

in Filone al Logos= fonte della sapienza.

28

FABRIS, op. cit., p. 291. 29

PANIMOLLE, op. cit., p. 380.

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 58

Molto vicino a Gv il riferimento all‟acqua donata dall‟Altissimo nel testo dello scritto gnostico

Odi di Salomone 6,11ss…. La gnosi placa ogni sete.

Altre immagini accanto a quella dell‟acqua viva: pane, vite, porta, via…

v.11 Segue il fraintendimento, l‟equivoco della samaritana, come precedentemente abbiamo

visto il fraintendimento di Nicodemo (3,4). Chiama Gesù “Signore” e si chiede “da dove?”

po,qen ou=n e;ceij to. u[dwr to. zw/né come già in 2,9 e in 3,8, cosa che verrà poi spiegata più

avanti (7,27; 8,14…) Da dove viene il Rivelatore e i suoi doni? Bisogna arrivare a riconoscere

l‟origine celeste di Gesù (19,9). Il lettore conosce la provenienza.

13-14 Gesù spiega di che acqua si tratta collegandosi a Is 55,1-3, al linguaggio figurato dei

profeti (anche della letteratura sapienziale). Per gli scritti gnostici, già si è detto delle Odi di

Salomone, la sete è placata dalla conoscenza.

L‟acqua zampillante ricorda quanto Filone dice del Logos, paragonato al fiume del Paradiso, e

quanto dice il Midrash circa la Torah divina.

L‟acqua diventa sorgente stabile e duratura. Rimane, come nei sinottici, un cenno escatologico,

anche se il dono è attuale!

Per molti esegeti antichi e moderni si tratta per Giovanni del dono dello Spirito Santo. Ma

anche la “vita divina”. Le due interpretazioni non si escludono necessariamente.

Di fronte all‟insistenza nel fraintendimento (v.15) Gesù imprime una nuova svolta (16): egli

conosce la situazione della donna; è il sapere profondo del Rivelatore che rivelando Dio

all‟uomo, rivela l‟uomo a se stesso rendendolo capace di accogliere la rivelazione (i Padri

insistono maggiormente sul fatto morale: invito alla conversione).

Vv 17-18: secondo il giudaismo la donna poteva risposarsi due o tre volte… la donna figura

simbolica del popolo samaritano? Infedeltà coniugale=infedeltà religiosa: Schnackenburg la

considera errata.

v.19 innalzamento nell‟uso di titoli: profeta, anche per i sinottici uno dei modi per indicare

Gesù. Notare che per l‟attesa samaritana del Taheb (Messia) ha grande importanza Dt 18,15-18:

un profeta come Mosè…

In 4,20-24 si affronta la questione dell‟adorazione in Spirito e verità. Gli Israeliti, dopo

l‟ingresso nella terra dovevano costruire un tempio sul monte Ebal (Dt 27,4-8) ma per i

Samaritani si tratta del Garizim, nominato nel Pent. Samaritano al posto dell‟Ebal. Giovanni

Ircano fece distruggere il tempio del Garizim nel 128 a.C.

L‟ora in cui i due luoghi di culto perderanno entrambi di importanza è giunta con la persona di

Gesù.

v.27: importante chiarimento da parte di Gesù che illumina grandemente la relazione Gesù-

Giudei per il quarto evangelo.

L‟autentica adorazione è in Spirito e Verità: non si tratta dell‟adorazione interiore (nello spirito

dell‟uomo) ma di realtà divina: Spirito Santo e Verità si identificano con Dio stesso: la realtà

divina portata da Gesù e con la quale i credenti in Gesù sono chiamati a identificarsi. È ciò che

avviene adesso, con Gesù e il dono dello Spirito, secondo Gv… ricevono il potere di diventare

figli di Dio. La vera adorazione nello Spirito è possibile solo nella comunione con Cristo. Lo en

pneumati giovanneo corrisponde allo en Christo paolino. In Gesù la vera adorazione di Dio è

possibile ed è rivolta al Padre.

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 59

24 Dio è spirito bisogna perciò essere elevati ad un tipo nuovo di esistenza per la forza stessa di

Dio (lo Spirito) altrimenti si rimane legati alla carne. L‟uomo deve diventare uomo pneumatico.

25-26 la donna guarda al futuro messianico mentre Gesù gli parla del dono presente: “equivoco

giovanneo”. Gesù indica in se stesso l‟esaudimento della speranza della donna. Il Ta‟eb

samaritano (= colui che ritorna, visto anche come capo politico ma discendente da Levi e non da

Giuda-Davide, a motivo del suo collegamento a Mosè; essendo egli stesso sacerdote doveva, tra

l‟altro, ristabilire il culto) è il profeta della fine che verrà dopo Mosè: il testo di Dt 18,18 è

aggiunto nel Pent. Samaritano al decimo comandamento del decalogo.

Gesù comunica la sua identità messianica con l‟espressione ego-eimi, carica di significato per il

contesto biblico.

vv. 31-38: chiaro scopo missionario. Interesse per la missione dei discepoli e in particolare per la

missione in Samaria.

Osservare il nuovo equivoco che si crea nel v.33 circa il “mangiare”

vv.39-42: la fede dei samaritani

Si riprende il filo del racconto (v.30) e si conclude. Qui Giovanni sviluppa una teologia della

fede: la vera fede si ha solo quando si incontra personalmente Gesù e la sua parola

L‟invcontro con la donna, e l‟annuncio di questa, poteva essere solo lo spunto. Come con Gv Btt,

la donna può essere solo intermediaria.

SI superano le divisioni e le diffidenze (il giudeo Gesù è invitato dai sicariti: la vera fede porta a

superare le divisioni di popoli, razze…

Le parle di Gesù contengono esse stesse una forza divina e rendono partecipi del dono di Dio e

della sua salvezza.

La salvezza di Gesù è portata al mondo intero.

Qui è fede esemplare (testimoniata proprio dai Samaritani!) che non ha bisogno di “segni”.

v. 42 La lalia della donna impallidisce davanti al Logos di Gesù.

Salvatore del mondo: si giunge al massimo degli attributi rivolti a Gesù nel cap. 4.

Anche la speranza dei Samaritani è soddisfatta in maniera inaspettata e più ampia della loro

attesa (il Ta‟eb).

È un titolo non ricorrente nel giudaismo, si trova anche in 1Gv 4,14, con una certa importanza

nell‟ambiente ellenistico, qui però applicato in maniera esclusiva a Gesù. Titolo kerygmatico,

atterstato anche nel culto all‟imperatore: polemica giovannea a partire da quest‟uso

contemporaneo?

Gv 4,1-42 le immagini, i simboli e le interpretazioni: l‟interpretazione sponsale,

l‟interpretazione missionaria, il tema del culto e del discepolato. Ci fermeremo in particolare

sull‟interpretazione sponsale della pericope.

L’interpretazione sponsale30

nasce dall‟osservazione sulle costanti discpntinuità narrative del

racconto Gv 4, 1-42. Si osservano in particolare i passaggi bruschi nella conversazione: dal tema

30

In genere i sostenitori di questa interpretazione sono: MATEOS - BARRETO, op. cit., pp. 200-222; GRELOT, la Donna,

op. cit., p. 16; INFANTE, art. cit., pp. 44-50.58-59; con un po‟ di riserva SCHNACKENBURG, op. cit., pp. 643s.;

SCHNEIDERS, art. cit., pp. 244.246.249; SKA, Jèsus et la Samaritaine, cit., pp. 641-652; Id., Dal nuovo all‟Antico

Testamento, art. cit., pp. 15-19.

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 60

dell‟acqua viva (4,7-15) alla domanda sul marito (4,16), poi al problema sul vero luogo di culto (4,

20); infine, Gesù parla di semine e di messi.

- È l‟AT che detiene la chiave di tale trama, precisamente il costante riferimento alle scene-tipo di

fidanzamento presso il pozzo ed alla vicenda nuziale del profeta Osea (2,4-25) che sicuramente

facevano parte della “memoria collettiva” dei lettori del vangelo giovanneo31

. Il racconto di Gv 4,1-

42 inizia con un viaggio. Gesù passa per la Samaria, un paese straniero… siede presso un pozzo.

Vengono alla memoria alcune scene veterotestamentarie:

1. la missione del servo d‟Abramo incaricato di andare a trovare una sposa per Isacco

(Gen 24);

2. l‟incontro di Giacobbe e di Rachele (Gentile 29,1-14);

3. la fuga di Mosè nel paese di Madian e il suo incontro con le sette figlie di Reuel

vicino a un pozzo (Es 2,15-22).

I tre racconti iniziano tutti descrivendo il viaggio d‟un uomo verso un paese straniero, e la sosta

presso un pozzo… una o più donne vengono al pozzo… conversazione: l‟uomo chiede l‟acqua

oppure dà l‟acqua o abbevera il gregge affidato alla ragazza o alle ragazze5; la donna torna a casa

correndo, racconta che ha incontrato un uomo al pozzo, l‟uomo è invitato dai genitori della ragazza,

che in genere, gli offrono da mangiare; la storia finisce con un matrimonio: Isacco e Rebecca,

Giacobbe e Rachele (e Lea), Mosè e Zippora. In realtà, la donna che viene al pozzo è la futura

sposa. Secondo diversi commentatori lo schema di questa “scena tipica” si trova pure in Gv 4,

almeno sostanzialmente. Nel racconto giovanneo la scena non termina con il matrimonio… a ciò

contribuisce non solo l‟ora particolare dell‟incontro, che indica un problema sottostante, ma anche

l‟esplicitazione di esso quando chiede di andare a chiamare il marito… Nei racconti dell‟AT chi dà

l‟acqua (4,10.14-15) è in effetti il futuro marito (cfr. Gen 29, 10; Es 2,17.19). La stessa idea si

ritrova in Os 2,4-25: al v. 7, il marito indignato cita una delle parole della propria sposa come prova

della sua infedeltà: “Essa ha detto: “Seguirò i miei amanti, che mi danno il mio pane, e la mia

acqua, la mia lana e il mio lino, il mio olio e le mie bevande”. Per il testo di Osea è chiaro che

l‟acqua non viene data dagli amanti, ma da JHWH, il Signore di Israele, e quindi la sposa infedele,

sbaglia nel credere che riceve questi doni dai suoi amanti. Di qui il dialogo passa al problema del

tempio: “Dove si deve adorare?” (4,20). Questa volta è indubbiamente Osea che fornisce al lettore

l‟anello mancante. Anzitutto perché la Samaritana con i mariti numerosi ha qualcosa in comune con

la sposa infedele del secondo capitolo di Osea, poi l‟oracolo di Os 2 mostra bene l‟equivalenza tra

“falsi mariti”, i baal, da una parte, e, dall‟altra, i “falsi dei”. Dunque la Samaritana, che sempre più

rappresenta il suo popolo, la Samaria9, vuole sapere dove può trovare il suo vero Dio, cioè il suo

vero marito. A questo punto si può dire tranquillamente che il tema di questi versetti, il culto “in

spirito e verità” (Gv 23.24), si ricollega facilmente al tema “coniugale” attraverso Os 2.

- Con l‟arrivo dei discepoli (4,27), il colloquio cambia ancora una volta: si parla di cibo (4,31-

34), poi di semine e di messi (4,35-38). Ancora una volta il riferimento semba essere a Os

2., dove il tema del cibo e della fertilità del suolo è onnipresente10

. La conclusione

dell‟oracolo è particolarmente significativa: quando annuncia la futura conversione della

sposa, JHWH descrive il tempo nuovo come una nuova era di prosperità: “ E avverrà in quel

giorno oracolo del Signore io risponderò al cielo ed esso risponderà alla terra; la terra

risponderà con il grano, il vino nuovo e l‟olio...” (Os 2,23-24). Ora nel nostro racconto, i

31

SKA, Jésus et Samaritaine, cit., p. 651. 5 Chiedere l‟acqua significa cercare di conoscere le disposizioni della persona alla quale ci si rivolge. Dare l‟acqua a chi

la domanda significa mostrarsi accogliente. SKA, Jèsus et Samaritaine, cit., p. 644. 9 La Samaritana è uno dei principali personaggi anonimi del vangelo di Giovanni. A livello narrativo, l‟anonimato,

favorisce l‟identificazione del lettore con un dato personaggio, ma consente anche una maggiore rappresentatività e

tipizzazione del personaggio in questione. Cfr. GRELOT, La donna, p. 16, n. 7; SCHNEIDERS, art. cit., p. 246;

VIGNOLO, op. cit., p. 162. 10

Cfr. Os 2,5.7.10.11.14.17.23-24.

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 61

Samaritani scendono dalla città verso il pozzo mentre Gesù conversa con i,discepoli. La

“mietitura” di cui parla Gesù è dunque il popolo samaritano che viene verso di lui per

vederlo e ascoltarlo. Gesù vede la Samaria ritrovare il suo vero marito e la sua fertilità. Il

ritorno al marito vero è simboleggiato dall‟immagine di una terra che porta una messe

abbondante.

- La conclusione del racconto, con la professione di fede dei samaritani: “sappiamo che questi è

veramente il Salvatore del mondo” (4,42) indica la risposta all‟uso del simbolo sponsale e della

incongruenza osservata (mancanza del matrimonio): Giovanni da una parte, riprende la struttura

dell‟incontro al pozzo di futuri sposi, dall‟altra sviluppa il simbolismo sponsale nel senso di Osea 2,

la storia di Israele-sposa infedele. Per la donna di Samaria non si tratta di trovare marito ma di

mettere ordine nella sua vita: ritrovare il suo vero marito, come la Samaria deve trovare o ritrovare

il suo vero Dio. L‟ atto di fede dei samaritani è in tal senso una conclusione logica del racconto. Per

Gesù si è trattato di “parlare al cuore” della sposa infedele per ricondurla al suo unico vero marito

(cfr. Os 2,16). Il matrimonio è già avvenuto molto tempo fa, tra Dio e il suo popolo di Israele-

Samaria. Gesù viene a restaurare quel matrimonio oppure quell‟alleanza spezzata e i Samaritani

sono i primi a rivelare le profondità insospettabili di quella salvezza che si estende d‟ora in poi a

tutto l‟universo (4,42; cfr. 4,21-26). A favore di questa interpretazione sponsale depongono anche le

allusioni sponsali dei capitoli precedenti (1,27.30; 2,1-12; 3,29-30); lo schema delle “scene-tipiche”

presso un pozzo ed il riferimento continuo alla storia di Osea inducono a pensare che la narrazione

di Gv 4,1-12 ha anch‟essa un esito nuziale anche se solo simbolico11

. Proprio lei: l‟adultera,

l‟infedele, la prostituta, l‟idolatra (cfr. Os 1,2; 3,1), ridiventa, per la misericordia di Dio, la sposa

che il Messia, lo sposo preannunciato già presente dal Battista, è venuto a cercare e sposare nella

gioia (Gv 3,29).

Appendice patristica

Come è facile immaginare, vi sono splendide pagine dei padri e della tradizione in generale che

commentano questi brani giovannei in maniera ineguagliabile. Non sempre vengono ripresi nel

nostro studio esegetico, ma è bene che la loro consultazione non venga ritenuta inutile o superata.

Benché siano da rispettare le esigenze che l‟esegesi moderna ha posto in particolare rilievo, tali testi

presentano infatti una ricchezza difficilmente eguagliata nei nostri commentari moderni, intuizioni

di tipo ermeneutica e spirituale che è bene ricordare.

A mo‟ di esempio si consideri per esempio quanto Sant‟Agostino diceva a commento della

nostra pericope, in particolare del v. 6: «… Gesù dunque, stanco del viaggio, sedeva presso il

pozzo. Era verso mezzogiorno». Intuizioni spirituali profonde in cui prevale l‟aspetto cristologico,

insieme a voli interpretativi che non sono accettabili nell‟ambito di una esegesi di tipo storico-

critico… Si veda per esempio come viene spiegato il riferimento di Giovanni alla “stanchezza di

Gesù”:

Iesus fatigatus ex itinere, sedebat super fontem (Jo 4,1-41; Tractatus 15; PL 1511; cfr.

S.Agostino, Commento a S.Giovanni, Città Nuova, p.346):

Iam incipuint mysteria.

Non enim frustra fatigatur Iesus,

non enim frustra fatigatur virtus Dei.

Invenimus fortem Iesum,

et invenimus infirmum Iesum.

Fortitudo Christi te creavit

Infirmitas Christi te recreavit.

Condidit nos fortitudine sua,

11

MATEOS – BARRETO, op. cit., pp. 227-249.234s.; INFANTE , art. cit., p. 58; SCHNACKENBURG, op. cit., pp. 643s.;

SCHNEIDERS, art. cit., p. 224; SKA, Jèsus et Samaritaine, cit., p. 649.

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 62

Quaesivit nos infirmitate sua.

“Cominciano i misteri” ; la stanchezza di Gesù è vista da S: Agostino come preludio alla passione e ci invita ad entrare più profondamente nel

mistero di Cristo.

È con la sua debolezza che egli nutre i deboli, come la gallina nutre i suoi pulcini.

Ma perché nell‟ora sesta? Perché era la sesta età del mondo…

I. Adamo - Noè

II. Noè – Abramo

III. Abramo – Davide

IV. Davide – esilio

V. Esilio – battesimo di Giovanni

VI. Battesimo di Giovanni….

Prosegue S. Agostino: «Perché ti meravigli? Gesù venne in terra e, umiliandosi, giunse fino al

pozzo. Arrivò stanco, perché portava il peso della carne debole. Era l‟ora sesta perché era la sesta

età del mondo. E giunse al pozzo, perché egli è disceso fino al fondo di questa nostra dimora…»

Et venit mulier. Forma Ecclesiae, non iam iustificatae, sed iam iustificandae, nam hoc agit sermo…

E arriva una donna. È figura della Chiesa, non ancora giustificata, ma già in via di essere

giustificata: questo il tema della conversazione…

…Si scires, inquit, donum Dei. Donum Dei est Spiritus Sanctus….

…. Gesù vedendo che la donna non capiva, e volendo che capisse, «chiama – le dice – tuo marito».

Ecco perché tu non capisci ciò che ti dico, perché il tuo intelletto non è presente… chiama tuo

marito, rendi presente il tuo intelletto.

Venne l‟ora, ed è adesso, in cui i genuini adoratori adoreranno il Padre in Spirito e verità. Noialtri

adoriamo ciò che conosciamo… Lo dice riferendosi ai Giudei come popolo; non lo dice riferendosi

a tutti i Giudei, ai Giudei reprobi; lo dice riferendosi al popolo dei giudei di cui facevano parte gli

Apostoli, i Profeti e tutti quei santi che vendettero i loro beni e ne deposero il ricavato ai piedi degli

Apostoli…

Si osservi come lo stesso testo venga letto soprattutto in chiave morale da Giovanni Crisostomo,

Commento al Vangelo di Giovanni, Città Nuova, vol. II: Discorso XXXI:

…stanco del viaggio = Gesù noncurante del proprio sostentamento… Noi invece ce ne

preoccupiamo (del cibo) appena alzati dal letto…

Rimase solo: abituava i discepoli a rifuggire dalla ricerca delle comodità (i discepoli come suoi

servi).

… Il Cristo diceva una cosa ed ella ne immaginava un‟altra, non udendo altro che il suono delle

parole e non essendo ancora in grado di capire il significato sublime….

… chi beve quest‟acqua non avrà sete in eterno… La scrittura chiama la grazia dello Spirito ora

fuoco, ora acqua, mostrando che questi nomi sono adatti ad indicare non la sostanza, ma l‟effetto

dell‟opera.

Perché la salvezza viene dai giudei…Puoi qui constatare come egli predica il Vecchio Testamento e

dichiara che esso è la radice di ogni bene e afferma che lui non è in alcuna cosa contrario alla

Legge, affermando anzi, di derivare dai Giudei l‟origine di ogni bene.

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 63

Breve puntualizzazione sul “dialogo” come strategia narrativa di Giovanni32

In 20,30-31 è l‟autore che dialoga con il lettore chiamandolo ad entrare nel gioco pro o contro

Gesù. La conclusione estende quanto Gv fa già nella sua narrazione descrivendo diversi dialoghi

di Gesù.

Rivelazione come dialogo interpersonale ed amicale di Dio con gli uomini (DV2). Dialogo tra il

Rivelatore Inviato del Padre e tutti gli uomini, di ogni tipo, in vista della salvezza.

Anche nei sinottici troviamo diversi dialoghi ma in Gv sono molto più elaborati e caratterizzano

il IV Vangelo dall‟inizio alla fine.

Caratteristiche del dialogo in Gv:

- frequenti dettagli di tempo e di luogo

- marcata caratterizzazione del personaggio (anche sotto il profilo psicologico)

- forma letteraria (affermazione profetica di Gesù; risposta che rivela incomprensione o

fraintendimento; risposta o rimprovero di Gesù con una spiegazione che corregge il

fraintendimento)

Nel mondo ellenistico esisteva una lunga tradizione sull‟uso del dialogo sia religioso che filosofico

(cfr. Platone; gli ermetici) Dodd dopo aver portato diversi esempi dal corpus hermeticum giunge ad

affermare: «È chiaro quindi che lo stesso principio formativo è operante sia nel quarto evangelo sia

nei dialoghi ermetici, per quanto diverso possa essere il contenuto…L‟evangelista sembra aver

calato il proprio contenuto nelle forme basate sui correnti modelli ellenistici dell‟insegnamento

filosofico e religioso, invece di seguire le forme, di origine giudaica, presenti nei vangeli

sinottici»33

. Osserva giustamente Mannucci che il modo di Gesù nel portare avanti il dialogo è

molto diverso da quello conosciuto nei dialoghi filosofico-religiosi di cui si parla. Si crea, attraverso

i fraintendimenti, una dinamica che tende alla ricerca del chiarimento… vi è spesso il passaggio dal

dialogo al monologi di Gesù in cui l‟interlocutore quasi sparisce (cfr. Nicodemo). Sempre

Mannucci fa riflettere sul dialogo come caratteristica forma della rivelazione divina appoggiandosi

a pensatori ebrei come Buber e Rosenzweig.

Nello stesso filone di riflessione sul dialogo cita GROSJEAN J., «Le style johannique», in Variations

Johanniques, Cerf, Paris 1989, 132-136:

« Guardando più da vicino si constata che, se i sinottici ci riferiscono quello che Gesù ha detto, è in

Giovanni che sentiamo parlare Gesù. È in lui che si scopre la vita del linguaggio di Gesù, questa

limpidezza provocante, questa trasparenza che da le vertigini, questa luminosità che sembra

dissolvere gli oggetti per lasciarci in preda alle persone… Egli mira al centro, polverizza i nostri

postulati: “se non rinasce dall‟alto… Sei tu che dovresti chiedere a me da bere” (Gv 3,5; 4,10). Egli

non retrocede per attenuare lo choc. Ci si stupisce, e lui rincara la dose. Suscita soprassalti, che

mettono in luce i malintesi. Si percepisce che il linguaggio è dialogo, vale a dire né il monologo

cattedratico né il chiacchiericcio democratico. Allora succede che Nicodemo risponde con gravità

(3,4.9), la samaritana con insolenza (4,9.11.15), Filippo con candore (6,7 e 14,8), Marta con

melanconia (11,24), Tommaso con ostinazione (11,16, 14,5; 20,25), la gente di Cafarnao con

malevolenza (6,30.42.52), la gente del tempio con odio esasperato (8,48) ecc. Ma Gesù sa anche

fare, per noi, la parte di colui che “fraintende”: e l‟ufficiale del re se ne accorge (4,46-54) (…).

Giovanni ha saputo trasmetterrci le intonazioni singolari di un Messia che parla a ciascuno

nell‟intimo, senza mai far dimenticare che egli è il Signore. La sua profonda amicizia, che è insieme

discreta e gioiosa, mantiene sempre qualcosa di urtante, come se non volesse lasciare a noi

l‟appannaggio dell‟inettitudine».

32

Cfr. DODD, La tradizione storica del quarto Vangelo, 382-389 e V. MANNUCCI, Giovanni il Vangelo narrante, op.

cit., pp. 45 ss. 33

DODD, La tradizione storica del quarto Vangelo, op. cit., 388

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 64

Introduzione a Gv 5-12

Abbiamo considerato l‟attività e la rivelazione di Gesù nei capitoli 2-4 (da Cana a Cana). Sempre

restando nella prima parte del Vangelo (2-12) consideriamo adesso la seconda parte di essa 5-12,

con i noti problemi rilevai sin dall‟antichità circa la redazione (discontinuità)

La successione dei capitoli è discussa. Nella loro sistemazione finale abbiamo:

cap. 5 l‟introduzione dell‟autorivelazione di Gesù a Gerusalemme, durante la festa

cap. 6 il culmine dell‟attività publica di Gesù a Gerusalemme

cap. 7 autorivelazione a Gerusalemme

cap. 8 lotta contro l‟incredulità

cap. 9 Gesù luce del mondo

cap. 10 vero pastore

cap. 11 la risurresione e la vita

cap. 12 ultima attività pubblica a Gerusalemme. Prospettiva della morte di croce

Proprio da questa presentazione si vede come si sia posto il problema della successione dei capitoli

5 e 6. (cfr. Schnackenburg con tutti i motivi pro e contro. Egli è favorevole allo spostamento dei

capitoli come la maggiior parte dell‟esegesi classica). Il problema, come accennato all‟inizio, è

quale filo si segue per la strutturazione del vangelo. Mannucci, nel suo piccolo commento a Gv,

dopo aver esposto i diversi raggruppamenti di posizioni tra gli studiosi, si chiede (l‟autore affronta

Gv dal punto di vista narrativo!) se si debba riconoscere nel ripetuto riferimento di Gv agli

spostamenti di Gesù un motivo strutturale e dominante dell‟intera composizione, una trama

diacronica e sincronica nello stesso tempo.

Seguendo la categoria del viaggio, Mannucci vede la seguente struttura generale (con Segovia):

1. Origini 1,1-18 Viaggio cosmico mitico della Parola di Dio nel mondo umano

2. Ministero 1,19-17,26 Viaggi spazio temporali della Parola che si accompagnano a successive

rivelazioni di Gesù

3. Ultimo viaggio 18,1 –21,25 passione morte risurrezione ultimo viaggio storico e cosmico della

Parola diventata carne che ritorna al Padre dopo aver portato a termine la sua missione

I dialoghi che hanno contraddistinto i capp. 2-4 rappresentavano la rivelazione ai diversi tipi di

interlocutori… adesso prevarranno i discorsi davanti ai giudei increduli. È più manifestamente

presente l‟opposizione dei giudei nei confronti di Gesù.

In generale i segni (4 o 5 con il cammino sulle acque) vengono accompagnati da discorsi che ne

spiegano il significato più profondo, o da proclamazioni introdotte dall‟ego eimi.

Si intrecciano strettamente interesse cristologico e descrizione della vicenda di Gesù.

Si osserva in particolare:

- l‟ordine seguito nel calendario delle feste: in 5,1 una festa che non ha nome; in 6,4 si

avvicina un festa di pasqua; segue poi la successione: tabernacoli (7,2); consacrazione del

tempio (10,22); pasqua (11,54). Il che ripropone ancora una volta il problema dell‟ordine dei

capitoli 5 e 6.

- Alcuni momenti di fervore popolare intorno a Gesù: dopo la moltiplicazione dei pani

vengono per farlo re; entusiasmo che segue la risurrezione di Lazzaro e la conseguente

sentenza di morte del sinedrio.

- Cresce l‟asprezza della disputa con i Giudei che diventa vera e propria condanna da parte

giudaica a partire dal cap. 7(7,32; 8,59; 9,22; 10,31; 10,39; 11,53; 11,57) e accusa da parte

di Gesù contro i giudei (5,39-47 non credono alla scrittura; 8,42-44 sono figli del diavolo;

operano come mercenari 10,1-10)

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 65

- I veri avversari di Gesù vengono presentati a Gerusalemme (i capi e i farisei…)

- Fede e incredulità davanti alla rivelazione di Gesù… più chiaro ancora se si unisce alla

situazione storica di Gesù, qualla della comunità giovannea, come indicato già

nell‟introduzione generale.

- Nell‟insieme di 5-12 spicca, come centrale, la rivelazione di Gesù come luce del mondo, dal

capitolo 7 al 12.

Gv 6 Gesù pane di vita

1. Il più lungo capitolo del IV Vangelo

2. si osservi il difficile aggancio con quanto precede: Gesù risultava essere a Gerusalemme,

non in Galilea… abbiamo già considerato le diverse spiegazioni redazionali.

3. si presenta come una vera e propria composizione, ben concepita, rappresentando il culmine

dell‟attività pubblica di Gesù in Galilea.

Inanzitutto i “due segni”

1-15 La moltiplicazione dei pani

16-21 Gesù cammina sulle acque

22-24 sezione di passaggio, trasferimento della folla dalla riva orientale del lago di Tiberiade

25-59 discorso sul pane di vita (commento ai segni)

60-66 l‟incredulità di “molti discepoli” che abbandonano Gesù

67-69 opposta alla fede dei dodici di cui si fa portavoce Pietro

70-71 Gesù risponde che anche tra i dodici si nasconde un “diavolo”

Shnackenburg difende, come Mannucci ed altri, l‟unità del capitolo descrivendolo come segue:

«il segno della grande moltiplicazione dei pani al culmine dell‟attività di Gesù in Galilea, sostenuto

dall‟apparizione di Gesù ai discepoli sul lago, è spiegato nel suo significato teologico da un discorso

di rivelazione; ma costringe anche ad una decisione di fede, mette allo scoperto l‟incredulità

giudaica, provoca una crisi nella cerchia dei discepoli e termina con la confessione di fede di Simon

Pietro in nome dei dodici» p. 28 vol. 2.

Il racconto va studiato sinossi alla mano.

v.1 Meta. tau/ta avph/lqen o` VIhsou/j pe,ran th/j qala,sshj th/j Galilai,aj th/j Tiberia,dojÅ i due genitivi presentano qualche problema. Si tratta della riva occidentale, non lontano da

Tiberiade? L‟apparato critico propone alcune indicazioni adottate dai trascrittori… La tradizione

marciana fa riferimento alla riva orientale.

v.2: da dove vengono le folle? Gv non è interessato a motivarlo. Si vede bene che domina il motivo

teologico su quello descrittivo che presenta delle semplificazioni.

v. 3 avnh/lqen de. eivj to. o;roj VIhsou/j kai. evkei/ evka,qhto meta. tw/n maqhtw/n auvtou/ Gesù sale sul monte ma non come il legislatore (Mt 5,1) né come il guaritore (Mt 15,29) bensì come

la guida di Israele, come Mosè nel deserto.

v. 4 la prossimità della Pasqua inquadra il racconto nel contesto liturgico che offre senso teologico a

quanto Gesù sta per fare.

v. 5 l‟evangelista non si preoccupa di motivare la necessità di dare da mangiare a tanta gente, come

invece appare nei sinottici con l‟indicazione del fatto che si è fatto ormai tardi…

v. 6 Le parole di Gesù servono a mettere alla prova Filippo, come in 11,11-15

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 66

v.7 avpekri,qh auvtw/| Îo`Ð Fi,lippoj( Diakosi,wn dhnari,wn a;rtoi ouvk avrkou/sin auvtoi/j i[na e[kastoj bracu, ÎtiÐ la,bh|Å La risposta di Filippo è molto simile a quella di Mc 6,37 con l‟accentuazione, in Gv, della

difficoltà.

8,s. :Estin paida,rion w-de o]j e;cei pe,nte a;rtouj kriqi,nouj kai. du,o ovya,ria\ avlla. tau/ta ti, evstin eivj tosou,toujÈ Il riferimento al pane d‟orzo è un particolare giovanneo interessante. Qui veniamo messi in

relazione con un racconto veterotestamentario molto vicino a quello giovanneo della

moltiplicazione dei pani e, sembrerebbe, richiamato da questo ed altri particolari:

2 Kings 4:42 kai. avnh.r dih/lqen evk Baiqsarisa kai. h;negken pro.j to.n a;nqrwpon tou/ qeou/ prwtogenhma,twn ei;kosi a;rtouj kriqi,nouj kai. pala,qaj kai. ei=pen do,te tw/| law/| kai. evsqie,twsan

~yrIWKBi ~x,l, ~yhil{a/h' vyail. abeY"w: hv'liv' l[;B;mi aB' vyaiw> 2 Re 4:42

`WlkeayOw> ~['l' !Te rm,aYOw: Anl{q.ciB. lm,r>k;w> ~yrI[of. ~x,l,-~yrIf.[,

2 Re 4:42 Giunse poi un uomo da Baal-Shalisha, che portò all' uomo di DIO del pane delle primizie: venti pani d' orzo e alcune spighe di frumento nel loro guscio. Eliseo disse: "Dàllo alla gente perché ne mangi".

Gv 6 v.10 ei=pen o VIhsou/j( Poih,sate tou.j avnqrw,pouj avnapesei/nÅ h=n de. co,rtoj polu.j evn tw/| to,pw|Å avne,pesan ou=n oi` a;ndrej to.n avriqmo.n wj pentakisci,lioiÅ C‟era molta erba… manca l‟annotazione sinottica del raggruppamento della folla in cinquantine…

segno del richiamo all‟organizzazione del popolo nel deserto. Qui sembra dominare la sola

preoccupazione di ambientazione pasquale dell‟evento… Ovvero l‟ambientazione di un banchetto

messianico…

11 e;laben ou=n tou.j a;rtouj o` VIhsou/j kai. euvcaristh,saj die,dwken toi/j avnakeime,noij omoi,wj kai. evk tw/n ovyari,wn o[son h;qelonÅ Con il riferimento all‟azione di grazie sembra essere chiaro un riferimento eucaristico in senso

cristiano, contro la qual cosa vi è chi osserva la mancanza della “frazione” che invece si trova negli

altri racconti. Dello spezzare il pane parlano i testi classici dell‟istituzione !Cor 10,16; Lc 24,25; At

2,42.46; 20, 7.11.

Tuttavia bisogna osservare che già dall‟epoca di S.Giustino l‟eucharistein diventa espressione fissa

per l‟eucaristia; Qui, inoltre, è Gesù stesso che distribuisce e non i discepoli: è Gesù che distribuisce

il dono che viene dal cielo. Vi è una accentuazione cristologica che va più specificamente dei

sinottici verso l‟interpretazione eucaristica.

12 l‟invito a raccogliere i pezzi avanzati è diverso dai sinottici: in Giovanni si offre la motivazione

“perché nulla vada perduto”, per il rispetto verso il pane nel mondo giudaico e mediterraneo? Per il

valore salvifico che ha assunto il pane eucaristico nella visione cristiana? Si osservi che lo stesso

verbo synagogein è utilizzato nella LXX per la raccolta della manna Es 16,16. E che ricorre ancora

per definire il senso della morte di Gesù nel IV Vangelo: kai. ouvc u`pe.r tou/ e;qnouj mo,non avllV i[na kai. ta. te,kna tou/ qeou/ ta. dieskorpisme,na sunaga,gh| eivj e[nÅ per raccogliere cioè in unità i figli di

Dio che erano dispersi.

Nel v. 13 si parla delle dodici ceste anche se finora Gv non ha parlato dei dodici apostoli.

Riferimento alle tribù di Israele o dato stabile nella tradizione ricevuta da Gv a proposito della

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 67

moltiplicazione? Prepara l‟ultimo riferimento del discorso sul pane della vita che è, appunto, ai

Dodidci.

vv. 14 e 15 si intuisce la mano dell‟evangelista:

14 Oi ou=n a;nqrwpoi ivdo,ntej o] evpoi,hsen shmei/on e;legon o[ti Ou-to,j evstin avlhqw/j o` profh,thj o evrco,menoj eivj to.n ko,smonÅ 15 VIhsou/j ou=n gnou.j o[ti me,llousin e;rcesqai kai. a`rpa,zein auvto.n i[na poih,swsin basile,a( avnecw,rhsen pa,lin eivj to. o;roj auvto.j mo,nojÅ cfr. Dt 18,15.18. L‟interpretazione di questi versetti va decisamente nella linea teologica: i segni…

“veramente”… il profeta… Il v. 14 rappresenta probabilmete non la reale reazione della folla ma

quella che si sarebbe verosimimilmente potuta avere, come il 15 rappresenta l‟incomprensione del

gesto di Gesù. In ogni caso i due versetti introducono già la diversa valenza che il gesto della

moltiplicazione può assumere nell‟interpretazione di coloro che hanno assistito al “segno”:

interpretarlo nel suo significato più superficiale o addirittura equivoco o nel suo senso più profondo,

come emergerà nel successivo dialogo.

Tra le altre differenze da notare nel confronto sinottico, è che il Gesù giovanneo non agisce per

“compassione” della folla, come sottolineano i sionottici, né per misericordia messianica del popolo

senza guida (cfr. Mc 6,34). Egli si rivela sotto un aspetto particolare.

Circa il quadro descrittivo pasquale: sinteticamente esso esprime la comprensione del miracolo

della moltiplicazione dei pani come “segno” da parte di Giovanni (a cui corrisponde il discorso di

rivelazione) in relazione all‟eucaristia.

Segue (vv. 16-21) la narrazione del cammino sulle acque:

16 ~Wj de. ovyi,a evge,neto kate,bhsan oi maqhtai. auvtou/ evpi. th.n qa,lassan 17 kai. evmba,ntej eivj ploi/on h;rconto pe,ran th/j qala,sshj eivj Kafarnaou,mÅ kai. skoti,a h;dh evgego,nei kai. ou;pw evlhlu,qei pro.j auvtou.j o` VIhsou/j( 18 h[ te qa,lassa avne,mou mega,lou pne,ontoj diegei,retoÅ 19 evlhlako,tej ou=n wj stadi,ouj ei;kosi pe,nte h' tria,konta qewrou/sin to.n VIhsou/n peripatou/nta evpi. th/j qala,sshj kai. evggu.j tou/ ploi,ou gino,menon( kai. evfobh,qhsanÅ 20 o de. le,gei auvtoi/j( VEgw, eivmi( mh. fobei/sqeÅ 21 h;qelon ou=n labei/n auvto.n eivj to. ploi/on( kai. euvqe,wj evge,neto to. ploi/on evpi. th/j gh/j eivj h]n u`ph/gonÅ

Cosa possiamo dire di questi versetti? Si tratta di una interruzione o cosa?

Maggiore autonomia della moltiplicazione rispetto alla tradizione sinottica (Mc 6,45-52; Mt 14,22-

33). Cade il motivo della tempesta sedata ma si accenna al fatto che i discepoli subito giunsero alla

meta. Per Shnakcenburg per il collegamento con la moltiplicazione dei pani bisogna indagare sulla

tradizione di base e sulla personale elaborazione teologica dell‟evangelista.

Le indicazioni della situazione (16-18) sembrano avere un significato teologico: i discepoli, senza

Gesù, lasciati esposti alle forze avverse. Con la presenza di Gesù si evidenzia il contrasto…

In generale il racconto è meno elaborato che nei sinottici, dove è più evidente il significato cristiano

della presenza protettrice di Gesù nella situazione difficile… In Gv prende il sopravvento la parola

di riconoscimento di Gesù: v. 20 VEgw, eivmi( mh. fobei/sqeÅ È un‟autoqualificazione di Gesù che diventa automanifestazione divina. Infatti è sull‟ ego eimi che

insisterà il discorso sul pane di vita disceso dal cielo (vv. 35.41.48.51).

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 68

Per Schnackenburg l‟evangelista si è servito di un racconto originario più semplice che riportava il

fatto straordinario del cammino sulle acque e del raggiungimento straordinario della meta. Egli

ritiene che facesse parte della cosiddetta fonte dei segni. L‟elaborazione Giovannea della fonta ha

messo in rilievo soprattutto la parola di riconoscimento ego eimi come base per l‟autorivelazione di

Gesù come pane di vita disceso dal cielo; in Gesù è presente il potere di Dio che dissipa le tenebre

che trionfa sul potere della morte (v.19). In Lui Dio si manifesta come soccorritore. Si tratta cioè

dell‟applicazione cristologica dei motivi del racconto originario.

Allusione all‟attraversamento del Mar delle Canne?

Cfr Sl 77,17Ti videro le acque, o Dio, ti videro le acque e tremarono, sussultarono gli abissi;

20 S' aprì nel mare la tua via, i tuoi sentieri nella massa d' acqua; ma rimasero invisibili le tue orme.

Sl 78: 13 Divise il mare e li fece passare, e le acque ristettero come trattenute da un argine.

14 Li guidò con una nube di giorno e tutta la notte con bagliore di fuoco.

15 Percosse rupi nel deserto e diede loro da bere come dal grande abisso.

16 Fece scaturire ruscelli dalla roccia, fece scorrere acqua a torrenti.

17 Eppure quelli peccarono di nuovo contro di lui ribellandosi contro l' Altissimo nel deserto.

18 Tentarono Dio nel loro cuore chiedendo cibo per le loro brame.

19 Mormorarono contro Dio dicendo: «Potrà forse Dio imbandire una mensa nel deserto?».

20 Ecco: percosse una rupe, ne scaturì acqua e strariparono torrenti. «Potrà forse dare anche del pane o procurare carne

per il suo popolo?».

21 Li udì il Signore e ne fu irritato e un fuoco divampò contro Giacobbe e l' ira esplose contro Israele,

22 poiché non ebbero fede in Dio e non ebbero speranza nella sua salvezza.

23 Tuttavia comandò alle nubi dall' alto e aprì le porte del cielo

24 e fece piovere su di loro manna da mangiare, un frumento celeste diede loro.

25 Un pane di forti mangiò ciascuno, una provvigione abbondante inviò per loro.

26 Scatenò dal cielo il vento d' oriente, fece soffiare con veemenza il vento del sud;

27 fece piovere su di essi carne come polvere e come sabbia del mare volatili;

28 li fece cadere in mezzo al loro accampamento, tutt' intorno alle loro tende.

29 Essi ne mangiarono e rimasero ben sazi, furono soddisfatti nel loro desiderio.

Eppure l‟antica esegesi allegorica non ha mai fatto riferimento a questi testi proprio per il

collegamento generico con essi…. Diversi studiosi (per es. Gartner) hanno fatto recentemente

notare come in un antico pezzo dell‟haggada pasquale l‟attraversamento del Mar Rosso e la manna

del deserto venivano collegati. Nella aggadah pasquale si insiste, inoltre, sul fatto che Dio stesso

“Io, il Signore, sono io e nessun altro” (ego eimi) eseguì il giudizio sugli egiziani, non il suo

angelo… insomma il sitz im Leben sarebbe quello della celebrazione cristiana della Pasqua che si

fondava su quella giudaica fondata in senso cristiano; per Guilding fu Gesù stesso, non

l‟evangelista, a ispirarsi alle idee giudaiche sulla pasqua (le letture del secondo ciclo dell‟anno

ponevano insieme attraversamento del mare e dono della manna). Schnackenburg è scettico.

Per lui ciò che è presente all‟evangelista è solo lo sfondo veterotestamentario, non l‟utilizzazione

cristiana dei testi in occasione della Pasqua.

Fabris: «La menzione della festa di pasqua dunque evoca la cornice spirituale in cui si deve

collocare il gesto di Gesù che sfama generosamente la folla accorsa a lui» p. 391.

Dopo la breve sezione di transizione dei vv. 22-24 relativo agli spostamenti della folla in cui

emerge un certo contrasto con il movimento precedente rappresentato dall‟andare incontro di Gesù

ai discepoli, si apre la lunga sezione del discorso sul pane di vita, 22-71. Seguendo Fabris possiamo

raggruppare i tentativi di strutturazione in due gruppi a seconda del modello utilizzato:

Modello tematico teologico: due unità: cristologico sapienziale (26-50) e eucaristico sacramentale

(51-58) Alcuni, poi, articolano ulteriormente la prima unità in due parti 26-34 e 35-51 in modo da

ottenere in tutto tre parti (cfr. Dodd, Barrett ecc.)

Tra gli altri è da notare il modello delle “omelie sinagogali” (Borgen) della diaspora giudaica in cui

si prevede lo sviluppo dell‟omelia in cinque parti intercalando la citazione biblica alla spiegazione.

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 69

Altri scompongono invece il testo nelle sue parti originarie attribuendo le parti al cammino della

stria della tradizione e della redazione. In particolare osservano che il brano eucaristico

sacramentale di 51c-58 sembra dal punto di vista letterario e tematico un corpo estraneo…

MA quali sono gli elementi di unità?

Ripetizioni

4 volte EGO EIMI ( 35.41.48.51)

4 volte IN VERITA IN VERITA VI DICO (26.32.47.53)

4 volte gli interlocutori si rivolgono a Gesù (25.28.30.34)

3 volte reazioni ostili (41.52.60)

Corrispondenze

Cfr. vv. 35↔41-48

Ricorrenze di termini

PANE si trova 21x su 25x dell‟intero evangelo

VITA 11x

MANGIARE (esthiein o phagein) 11x

PADRE 11x

DARE il pane o la vita 9x

Per la sezione 25-59, discorso sul pane di vita, seguiamo la successione:

26-40 dialogo Gesù folla

41-59 confronto Gesù-giudei

1. 26-40 dialogo Gesù folla

24o[te ou=n ei=den o o;cloj o[ti VIhsou/j ouvk e;stin evkei/ ouvde. oi maqhtai. auvtou/( evne,bhsan auvtoi. eivj ta. ploia,ria kai. h=lqon eivj Kafarnaou.m zhtou/ntej to.n VIhsou/nÅ 25kai. eu`ro,ntej auvto.n pe,ran th/j qala,sshj

ei=pon auvtw/|( ~Rabbi,( po,te w-de ge,gonajÈ 26 avpekri,qh auvtoi/j o VIhsou/j kai. ei=pen( VAmh.n avmh.n le,gw umi/n( zhtei/te, me ouvc o[ti ei;dete shmei/a( avllV o[ti evfa,gete evk tw/n a;rtwn kai. evcorta,sqhteÅ 27 evrga,zesqe mh. th.n brw/sin th.n avpollume,nhn avlla. th.n brw/sin th.n me,nousan eivj zwh.n aivw,nion( h]n o` ui`o.j tou/ avnqrw,pou u`mi/n dw,sei\ tou/ton ga.r o` path.r evsfra,gisen o qeo,jÅ

28 ei=pon ou=n pro.j auvto,n( Ti, poiw/men i[na evrgazw,meqa ta. e;rga tou/ qeou/È

29 avpekri,qh Îo`Ð VIhsou/j kai. ei=pen auvtoi/j( Tou/to, evstin to. e;rgon tou/ qeou/( i[na pisteu,hte eivj o]n avpe,steilen evkei/nojÅ

30 ei=pon ou=n auvtw/|( Ti, ou=n poiei/j su. shmei/on( i[na i;dwmen kai. pisteu,swme,n soiÈ ti, evrga,zh|È 31 oi pate,rej hmw/n to. ma,nna e;fagon evn th/| evrh,mw|( kaqw,j evstin gegramme,non( :Arton evk tou/ ouvranou/ e;dwken auvtoi/j fagei/nÅ

32 ei=pen ou=n auvtoi/j o VIhsou/j( VAmh.n avmh.n le,gw umi/n( ouv Mwu?sh/j de,dwken u`mi/n to.n a;rton evk tou/ ouvranou/( avllV o path,r mou di,dwsin u`mi/n to.n a;rton evk tou/ ouvranou/ to.n avlhqino,n\

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 70

33 o ga.r a;rtoj tou/ qeou/ evstin o katabai,nwn evk tou/ ouvranou/ kai. zwh.n didou.j tw/| ko,smw|Å 34 Ei=pon ou=n pro.j auvto,n( Ku,rie( pa,ntote do.j hmi/n to.n a;rton tou/tonÅ

35 ei=pen auvtoi/j o` VIhsou/j( VEgw, eivmi o a;rtoj th/j zwh/j\ o` evrco,menoj pro.j evme. ouv mh. peina,sh|( kai. o` pisteu,wn eivj evme. ouv mh. diyh,sei pw,poteÅ 36 avllV ei=pon umi/n o[ti kai. e`wra,kate, ÎmeÐ kai. ouv pisteu,eteÅ 37 Pa/n o] di,dwsi,n moi o path.r pro.j evme. h[xei( kai. to.n evrco,menon pro.j evme. ouv mh. evkba,lw e;xw( 38 o[ti katabe,bhka avpo. tou/ ouvranou/ ouvc i[na poiw/ to. qe,lhma to. evmo.n avlla. to. qe,lhma tou/ pe,myanto,j meÅ 39 tou/to de, evstin to. qe,lhma tou/ pe,myanto,j me( i[na pa/n o] de,dwke,n moi mh. avpole,sw evx auvtou/( avlla. avnasth,sw auvto. ÎevnÐ th/| evsca,th| h`me,ra|Å 40 tou/to ga,r evstin to. qe,lhma tou/ patro,j mou( i[na pa/j o qewrw/n to.n ui`o.n kai. pisteu,wn eivj auvto.n e;ch| zwh.n aivw,nion( kai. avnasth,sw auvto.n evgw. ÎevnÐ th/| evsca,th| h`me,ra|Å 26-27 Gesù viene interpellato dalla folla come Rabbi: viene riconosciuto dalla folla il ruolo di

maestro autorecvole come in 3,2. Folla disorientata: quando sei venuto qui?

La risposta fi Gesù si presenta come articolata: innanzitutto l‟ambivalenza e l‟equivoco nella

mmotivazione della ricerca di Gesù. La critica di Gesù è relativa all‟atteggiamento generale della

folla dinanzi ai “segni” non cogliendo il significato più profondo, significato messianico e, anzi, piu

che messianico. È una denuncia nota già nell‟AT quella della strumentalizzazione e

incomprenssione (o comprensione superficiale) delle opere di Dio (Sl 78,17.19.23-29).

Il cibo che Gesù propone è quello che rimane th.n brw/sin th.n me,nousan eivj zwh.n aivw,nion( perché

in relazione con la vita eterna. È il cibo che darà per il futuro il Figlio dell‟uomo h]n o` ui`o.j tou/ avnqrw,pou u`mi/n dw,sei che il Padre “ha accreditato” tou/ton ga.r o` path.r evsfra,gisen o` qeo,jÅ Dunque il vero e unico sostentamento per la vita eterna che solo Dio, tramite il suo inviato, può

donare. Il cibo ha una relazione profonda da una parte con Dio che lo dona, dall‟altra con l‟inviato

stesso. Si tratta di una sentenza di apertura che orienta già lo sviluppo successivo del discorso sul

pane di vita. Lo sphragìs è il segno di autenticazione, simbolo che nell‟Apocalisse designerà gli

eletti (Ap 7,3-8). Il Figlio, Gesù, è l‟unico autenticato da Padre nella sua missione di datore dei beni

celesti.

28-29 La folla rilancia con la domanda su cosa fare “per operare le opere di Dio” Ti, poiw/men i[na evrgazw,meqa ta. e;rga tou/ qeou/È Espressione ripresa nella risposta di Gesù Tou/to, evstin to. e;rgon tou/ qeou Si tratta delle opere che Dio compie o che chied di compiere? Nei testi biblici l‟espressione

copre i due significati. Naturalmente nel caso presente si tratta piuttosto delle opere che Dio vuole

che si compiano: … fare la volontà di Dio…come in 9,4: 4 h`ma/j dei/ evrga,zesqai ta. e;rga tou/ pe,myanto,j me e[wj h`me,ra evsti,n\ e;rcetai nu.x o[te ouvdei.j du,natai evrga,zesqaiÅ Fare le opere di Dio dunque, in questo caso significherà compiere la sua volontà credendo in Gesù

come suo inviato.

vv. 30-33: È strana la domanda del segno a questo punto… Ma Gesù stesso ne indica il senso: essi

si sono saziati di pane ma non hanno “visto” il segno. Ma vi sarebbe ancora da valutare la

conclusione a cui pure la folla giunse, e cioè proclamarlo profeta, cosa comunque da non

sottovalutare, così pure il tentativo di farlo re… rappresentavano comunque dei tentativi di

interpretare quel gesto nel suo significato! Ma qui l‟autore non si preoccupa di questo tipo di

coerenza narrativa. Vuole invece sottolineare il contrasto tra la prospettiva di Gesù che denuncia la

radicale incapacità a vedere i segni per approdare alla fede autentica e la prospettiva della folla che

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 71

chiede segni come soluzione al problema… Nonostante le apparenze (profeta… Re…) non ha

portato alla vera comprensione di Gesù, alla fede in lui.

Viene richiamato il segno operato da Mosè nel deserto (veniamo ancora una volta riportati allo

schema dell‟omelia sinagogale che alterna citazioni scritturisctiche con le spiegazioni…) il testo a

cui viene da pensare, tra i tanti dell‟AT che si riferiscono all‟esodo è Sl 78,24, la rimeditazione della

storia di Israele a partire dai Padri. Fabris: «Le risonanze spirituali e le connotazioni simboliche

della manna sono riprese e sviluppate nella tradizione giudaica sulla base dei testi biblici. Essa è

associata al dono della Legge, alla sapienza ed identificata con la rivelazione o parola di Dio»

Interessanti in particolare le riflessioni di Filone a commento di Es 16,4, con l‟identificazione del

dono della manna con il Logos.

La risposta di Gesù è riportata nella struttura del parallelismo antitetico: si oppongono Mosè-Padre

mio; l‟azione diede-dà, e il dono: pane del cielo-pane del cielo vero to.n a;rton evk tou/ ouvranou/ to.n avlhqino,n. A specificare il vero dono del Padre, viene utilizzata l‟espressione o` ga.r a;rtoj tou/ qeou/ evstin o katabai,nwn evk tou/ ouvranou/ kai. zwh.n didou.j tw/| ko,smw|Å dove l‟ambivalenza del soggetto

o` katabai,nwn predispone all‟interpretazione cristologica del “pane”. Nel Targum sia Neofiti che

Onkelos di Es 16,4 si dice «Ecco che io vi farò discendere pane dal cielo (che è stato conservato per

voi fin dalle origini)», segno di una concezione giudaica della manna come realtà preesistente e

presupposto per la concezione giudaica che la manna sarebbe stata oggetto di una nuova donazione

nei tempi finali. Cfr. anche Ap di Baruch 29,8: «in quei giorni la manna, conservata nei suoi

depositi, cadrà di nuovo ed essi ne mangeranno durante quegli anni, perché essi sono arrivati alla

fine dei tempi». Qui il donatore non è più il Mosè dell‟Esodo, il donatore in Gv è identificato con il

dono e la vita eterna che offre è per il mondo intero: tw/| ko,smw

34-35 La richiesta della folla Ku,rie( pa,ntote do.j h`mi/n to.n a;rton tou/tonÅ ricorda l‟analoga

richiesta della donna di Samaria: le,gei pro.j auvto.n h` gunh,( Ku,rie( do,j moi tou/to to. u[dwr( come

pure il testo della preghiera del Padre Nostro di Mt 6,11 e Lc 11,3 3 to.n a;rton hmw/n to.n evpiou,sion di,dou hmi/n to. kaqV h`me,ran\ L‟accento del nostro testo cade sul sempre pa,ntote che

rende ambivalente la richiesta: un dono di qualcosa che dura in eterno non ha bisogno, infatti, di

essere dato sempre! In realtà, come nel caso della Samaritana, l‟equivoco continua. Il

fraintendimento, anche in questo caso, assolve alla funzione di richiamare un ulteriore chiarimento

da parte di Gesù VEgw, eivmi o` a;rtoj th/j zwh/j\ o` evrco,menoj pro.j evme. ouv mh. peina,sh|( kai. o` pisteu,wn eivj evme. ouv mh. diyh,sei pw,poteÅ È il primo caso in cui ricorre la formula di

autopresentazione di Gesù in cui compare l‟ “io sono” seguito da un predicato nominale (cfr.

6,41.48.51; 8,12; 10,7.9.11.14; 11,25; 14,6; 15,1.5).

In questa formula vi è l‟eco delle formule veterotestamentarie di presentazione divina (Es 15,26; Sl

35,3), mentre è originale l‟accostamento a immagini simboliche: pane, luce, porta, pastore, vite). Vi

è anche il richiamo ad alcuni testi sapienziali in cui la sapienza personalizzata presenta il suo ruolo

in rapporto a Dio (Pr 9,5-6). Cfr. in particolare Sir 24,20: «Quanti si nutrono di me avranno ancora

fame e quanti bevono di me avranno ancora sete»

Gesù stesso è qui il pane della vita che soddisfa le esigenze vitali dell‟uomo. L‟immagine biblica

dell‟albero della vita, ampiamente rielaborata fino all‟Apocalisse e in molta parte della tradizione

giudaica è identificato con la Legge o con la Sapienza, che a sua volta viene fatta coincidere con la

Legge. Ma si ricorderano anche il noto testo di Dt (8,3) “non di solo pane vive l‟uomo” e quello di

Am 8,11 che annuncia fame non di pane ma della parola di Dio… insomma una utilizzazione molto

ampia del pane come simbolo che va certamente al di là dello specifico riferimento alla bibbia

rappresentando il pane, come alimento base nel Mediterraneo, un simbolo archetipico. Sullo sfondo

delle citazioni bibliche, tuttavia, le parole di Gesù assumono il significato di compimento.

36-40 Condizione per ricevere questo dono è “credere” e i versetti che concludono il dialogo con la

folla ne chiariscono lo statuto: hanno visto ma non hanno creduto e hanno manifestato, chiedendo

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 72

un segno dal cielo, di non saper vedere in quello che Gesù ha fatto. Il “vedere” autentico è orientato

al “credere” Le frasi che seguono sono concatenate a incastro indicando successivamente:

1. l‟iniziativa del Padre 37 Pa/n o] di,dwsi,n moi o path.r 2. la relazione di fede con Gesù pro.j evme. h[xei 3. la promessa escatologica kai. to.n evrco,menon pro.j evme. ouv mh. evkba,lw e;xw( 4. connessione tra il Padre il Figlio e il credente 38 o[ti katabe,bhka avpo. tou/ ouvranou/ ouvc i[na

poiw/ to. qe,lhma….

L‟iniziativa è quella del Padre che dà al Figlio ogni cosa… compresi quelli che il Figlio dovrà

salvare perché il Padre vuole salvare… (accento sulla globalità, non sulla predestinazione o

selettività divina…)

La mediazione salvifica è unicamente quella del Figlio, colui che è disceso dal cielo.

L‟adesione a Gesù è definitiva, non verrà interrotta neanche dalla morte: la prospettiva escatologica

di questo testo non toglie validità agli effetti già preenti dell‟adesione a Gesù e della condizione

nuova che si viene a instaurare nella vita del credente, ma la dilata fino all‟ultimo giorno…. Fin

dopo la morte.

2. 41-59 confronto Gesù-giudei 41 VEgo,gguzon ou=n oi` VIoudai/oi peri. auvtou/ o[ti ei=pen( VEgw, eivmi o a;rtoj o kataba.j evk tou/ ouvranou/(

42 kai. e;legon( Ouvc ou-to,j evstin VIhsou/j o ui`o.j VIwsh,f( ou- h`mei/j oi;damen to.n pate,ra kai. th.n mhte,raÈ pw/j nu/n le,gei o[ti VEk tou/ ouvranou/ katabe,bhkaÈ

43 avpekri,qh VIhsou/j kai. ei=pen auvtoi/j( Mh. goggu,zete metV avllh,lwnÅ 44 ouvdei.j du,natai evlqei/n pro,j me eva.n mh. o` path.r o` pe,myaj me elku,sh| auvto,n( kavgw. avnasth,sw auvto.n evn th/| evsca,th| h`me,ra|Å 45 e;stin gegramme,non evn toi/j profh,taij( Kai. e;sontai pa,ntej didaktoi. qeou/\ pa/j o` avkou,saj para. tou/ patro.j kai. maqw.n e;rcetai pro.j evme,Å 46 ouvc o[ti to.n pate,ra e`w,rake,n tij eiv mh. o` w'n para. tou/ qeou/( ou-toj ew,raken to.n pate,raÅ 47 avmh.n avmh.n le,gw umi/n( o` pisteu,wn e;cei zwh.n aivw,nionÅ 48 evgw, eivmi o a;rtoj th/j zwh/jÅ 49 oi pate,rej umw/n e;fagon evn th/| evrh,mw| to. ma,nna kai. avpe,qanon\ 50 ou-to,j evstin o a;rtoj o evk tou/ ouvranou/ katabai,nwn( i[na tij evx auvtou/ fa,gh| kai. mh. avpoqa,nh|Å 51 evgw, eivmi o a;rtoj o zw/n o` evk tou/ ouvranou/ kataba,j\ eva,n tij fa,gh| evk tou,tou tou/ a;rtou zh,sei eivj to.n aivw/na( kai. o` a;rtoj de. o]n evgw. dw,sw h` sa,rx mou, evstin u`pe.r th/j tou/ ko,smou zwh/jÅ

52 VEma,conto ou=n pro.j avllh,louj oi VIoudai/oi le,gontej( Pw/j du,natai ou-toj hmi/n dou/nai th.n sa,rka Îauvtou/Ð fagei/nÈ

53 ei=pen ou=n auvtoi/j o VIhsou/j( VAmh.n avmh.n le,gw umi/n( eva.n mh. fa,ghte th.n sa,rka tou/ ui`ou/ tou/ avnqrw,pou kai. pi,hte auvtou/ to. ai-ma( ouvk e;cete zwh.n evn e`autoi/jÅ 54 o trw,gwn mou th.n sa,rka kai. pi,nwn mou to. ai-ma e;cei zwh.n aivw,nion( kavgw. avnasth,sw auvto.n th/| evsca,th| h`me,ra|Å 55 h ga.r sa,rx mou avlhqh,j evstin brw/sij( kai. to. ai-ma, mou avlhqh,j evstin po,sijÅ 56 o trw,gwn mou th.n sa,rka kai. pi,nwn mou to. ai-ma evn evmoi. me,nei kavgw. evn auvtw/|Å 57 kaqw.j avpe,steile,n me o` zw/n path.r kavgw. zw/ dia. to.n pate,ra( kai. o` trw,gwn me kavkei/noj zh,sei diV evme,Å

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 73

58 ou-to,j evstin o a;rtoj o evx ouvranou/ kataba,j( ouv kaqw.j e;fagon oi pate,rej kai. avpe,qanon\ o` trw,gwn tou/ton to.n a;rton zh,sei eivj to.n aivw/naÅ 59 Tau/ta ei=pen evn sunagwgh/| dida,skwn evn Kafarnaou,mÅ

Gli interlocutori diventano a partire dal v. v. 41 “i giudei” che non si rivolgono direttamente a Gesù

ma invece “mormorano” tra loro. Si mette a fuoco la frase centrale del precedente dialogo «Io sono

il pane disceso dal cielo» attraverso una riflessione di ordine pratico-materiale. Circa la sua

appartenenza carnale e alla difficoltà che essa crea rispetto alle dichiarazioni di Gesù ve ne è ricordo

anche nella tradizione sinottica (Mc 6,1-6; Mt 13,53-58; Lc 4,16-24). Gesù non nega la sua origine

umana e prprio qui c‟è il problema. Qui non si attutisce il problema, ma si fa appello alla fede.

Forse anche qui vi è dell‟ironia ? sanno veramente i giudei chi è il Padre di Gesù-figlio-di-

Giuseppe? In realtà i giudei stanno rifacendo l‟errore del deserto a cui richiama il mormorare che

Gesù rimprovera loro: Mh. goggu,zete metV avllh,lwnÅ utilizzando lo stesso verbo della LXX per le

mormorazioni di Israele nel deserto (Es 16,7….)

v. 45 Oppone invece quanto è scritto nei profeti “E saranno istruiti da Dio” Gr 38/31,3 LXX ma

anche Os 2,16; 11,4). Dio stabilisce con la comunità sposa un‟alleanza di pace (Is 54,7.10). La

legge di Dio sarà scritta nei cuori (Gr 31,34) Iniziativa efficace di Dio e prospettiva universalistica

vengono da Gv fuse insieme. Il credente è visto come colui che ha ascoltato il Padre e ha imparato.

Col v. 46 si chiarisce con accento tipicamente giovanneo il fatto che Gesù è l‟unico che ha visto il

Padre (1,18; 5,37; 8,38: 14,9) Gesù si distingue da tutti gli altri mediatori per la sua relazione

fontale con Dio che è per lui il Padre,e di cui egli è l‟Unigenito (1,14)

v.48ss. Gesù si autoproclama nuovamente pane della vita approfondendo il senso di tale

affermazione sulla differenza con il pane del deserto. Ora l‟accento cade sul “mangiare” e sul

“credere” Mangiare come condivisione profonda del destino di Gesù Pane di vita di cui si è

chiamati a nutrirsi.

Con il v.51 si aggiunge pane “vivente” con una qualifica attribuita solitamente a Dio e che dice che

Gesù stesso, nella sua realtà storica è il pane vivo disceso dal cielo avendo dunque l‟autorità di

annunciare che chi mangia di questo pane vivrà in eterno. Siamo al culmine delle affermazioni

cristologiche di Gesù che introducono poi il discorso eucaristico o sacramentale.

Il pane vivo, con cui Gesù identifica se stesso, viene ora identificato più

precisamente con la sua carne. E non a caso ciò scatena nuovamente la mormorazione dei giudei Pw/j du,natai ou-toj hmi/n dou/nai th.n sa,rka Îauvtou/Ð fagei/nÈ SARX è termine che richiama al realismo delle parole di Gesù… autodonazione di se stesso, della

sua sarx, che è contemporaneamente il pane vivo disceso dal cielo per la vita del mondo.

Sono coniugati insieme l‟aspetto dell‟incarnazione storica del Verbo in Gesù e l‟autodonazione

salvifica universale di se stesso come pane di vita… attraverso la morte… qui si va al fondo del

mistero eucaristico nella prospettiva giovannea.

Qui compare improvvisamente anche l‟espressione, non preparata dai dialogi precedenti: “bere il

suo sangue” nella forma di risposta che aggrava la perplessità di chi già si poneva la domanda sul

mangiaare la carne. Mangiare la carne e bere il sangue risultano in ogni caso aberrazioni dal punto

di vista religioso giudaico. Sangue e carne di Gesù sono associati nell‟interpretazione eucaristica,

ma ancor prima nella concezione cristologica di Gv cfr 19,34: Il sangue è lo spirito vitale di cui

l‟uomo non può impossessarsi (Lv 17,11) Ma sangue e carne di Gesù diventano in Gv il dono di

Dio, dono completo per l‟uomo.

Nelle espressioni conclusive si riprendono gli elementi del dialogo. Gesù è il pane di vita in quanto

comunica la vita piena e definitiva a chi lo assimila interiormente nella fede che a sua volta si attua

nel mangiare e bere sacramentale.

Il luogo, la sinogaga è, insieme al tempio, ambito tradizionale dell‟insegnamento di Gesù.

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 74

60-66 Compaiono poi sulla scena i discepoli di Gesù di cui non si era parlato più dopo la traversata

del lago. 60 Polloi. ou=n avkou,santej evk tw/n maqhtw/n auvtou/ ei=pan(

Sklhro,j evstin o lo,goj ou-toj\ ti,j du,natai auvtou/ avkou,einÈ Il discorso o` lo,goj di Gesù è duro Sklhro,j con un interrogativo che è simile a quello dei giudei.

61 eivdw.j de. o` VIhsou/j evn e`autw/| o[ti goggu,zousin peri. tou,tou oi maqhtai. auvtou/ ei=pen auvtoi/j( Tou/to uma/j skandali,zeiÈ 62 eva.n ou=n qewrh/te to.n ui`o.n tou/ avnqrw,pou avnabai,nonta o[pou h=n to. pro,teronÈ

Alla domanda dei discepoli segue la risposta di Gesù sotto forma di domanda che va al centro della

questione di fede in Gesù Cristo come Figlio dell‟Uomo disceso dal cielo. Lo scandalo è connesso

con un punto nevralgico della fede: umanità reale a cui corrisponde la reale appartenenza al mondo

di Dio. Segue la frase sullo spirito e vita che è costruita con un parallelismo concentrico

63 to. pneu/ma, evstin to. zw|opoiou/n( h` sa.rx ouvk wvfelei/ ouvde,n\ ta. r`h,mata a] evgw. lela,lhka u`mi/n pneu/ma, evstin kai. zwh, evstinÅ 64 avllV eivsi.n evx umw/n tinej oi] ouv pisteu,ousinÅ La stessa contrapposizione spirito – carne che si trova nel dialogo con Nicodemo (Gv 3,6.8) Le

parole sono spirito e vita vanno intese nel contesto pasquale esplicitamente evocato in precedenza.

Si pone l‟accento sul ruolo dello Spirito e questo a sua volta è identificato con le parole di Gesù.

Partecipare al dinamismo vitale dello Spirito, delle parole stesse di Gesù.

In contrasto con l‟incredulità di alcuni discepoli, sta la successiva testimonianza dei DODICI h;|dei ga.r evx avrch/j o` VIhsou/j ti,nej eivsi.n oi mh. pisteu,ontej kai. ti,j evstin o` paradw,swn auvto,nÅ 65 kai. e;legen( Dia. tou/to ei;rhka u`mi/n o[ti ouvdei.j du,natai evlqei/n pro,j me eva.n mh. h=| dedome,non auvtw/| evk tou/ patro,jÅ 66 VEk tou,tou polloi. ÎevkÐ tw/n maqhtw/n auvtou/ avph/lqon eivj ta. ovpi,sw kai. ouvke,ti metV auvtou/ periepa,tounÅ 67 ei=pen ou=n o` VIhsou/j toi/j dw,deka( Mh. kai. u`mei/j qe,lete u`pa,geinÈ

68 avpekri,qh auvtw/| Si,mwn Pe,troj( Ku,rie( pro.j ti,na avpeleuso,meqaÈ rh,mata zwh/j aivwni,ou e;ceij( 69 kai. h`mei/j pepisteu,kamen kai. evgnw,kamen o[ti su. ei= o` a[gioj tou/ qeou/Å

70 avpekri,qh auvtoi/j o VIhsou/j( Ouvk evgw. uma/j tou.j dw,deka evxelexa,mhnÈ kai. evx umw/n ei-j dia,bolo,j evstinÅ 71 e;legen de. to.n VIou,dan Si,mwnoj VIskariw,tou\ ou-toj ga.r e;mellen paradido,nai auvto,n( ei-j evk tw/n dw,dekaÅ

Pietro risponde a nome dei Dodici prima con un interrogativo retorico, poi fornendo la motivazione

della sua risposta.

Noi abbiamo creduto e conosciuto: Si mette in rilievo il valore fondante della fede appostolica, il

suo ruolo di testimonianza permanente, ma anche l‟adesione totale dei dodici a Gesù e al suo

discorso sul pane di vita.

Tu sei il Santo di Dio: l‟attributo hagios in Gv è dato una volta a Dio, il Padre, tre volte allo Spirito

Santo. Gesù può essere proclamato il Santo di Dio in quanto Figlio inviato e partecipe della realtà

divina del Padre. Ma anche perché ha parole che sono Spirito e vita, è ricolmo cioè dello Spirito e lo

comunica ai discepoli per permettere loro la piena comunione con il Padre.

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 75

Il testo si chiude con l‟accenno a Giuda che prepara il tradimento; Giuda rappresenta il fronte degli

increduli partecipando al disegno dell‟oppositore, facendo sì che già si profili la conclusione tragica

di Gesù.

NOTE SUL LINGUAGGIO DELLA SALVEZZA NEL IV VANGELO

1. IL VOCABOLARIO DELLA SALVEZZA NEL IV VANGELO

Il vocabolario specifico della “salvezza”, a partire da una ricerca sui termine soteria/soter/sozo

nel IV Vangelo appare, ad una prima esplorazione, relativamente scarso. L‟insieme dei termini

formati con la stessa radice è utilizzato in non molte occasioni, tutte comprese nella prima parte del

Vangelo, il cosiddetto “Libro dei segni”:

3:17 Dio infatti non mandò il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di

lui.

4:22 Voi adorate ciò che non conoscete; noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei.

4:42 Alla donna dicevano: «Non crediamo più per il tuo discorso. Noi stessi infatti abbiamo udito e sappiamo che è

veramente lui il salvatore del mondo».

5:34 Io però non accetto la testimonianza di un uomo, ma dico questo perché voi siate salvati.

10:9 Io sono la porta. Chi entrerà attraverso di me sarà salvo; entrerà ed uscirà e troverà pascolo.

11:12 Gli dissero allora i discepoli: «Signore, se è addormentato, si salverà».

12:27 Ora la mia anima è turbata, e che devo dire?... Padre, sàlvami da quest' ora? Ma proprio per questo sono venuto a

quest' ora.

12:47 Se uno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno. Non sono venuto infatti per condannare il

mondo, ma per salvare il mondo.

Lasciamo il testo di 12,27 in cui la salvezza è in riferimento alla pasione di Gesù e alla liberazione

dall‟ora........... Il primo riferimento è in 3,17

Non per condannare ma per salvare (3,17)

Nel dialogo con Nicodemo (3,1-21), in relazione con l‟annuncio dell‟innalzamento del Figlio

dell‟uomo viene esplicitata da parte di Gesù stesso la finalità dell‟invio del Figlio da parte del

Padre ouv ga.r avpe,steilen o` Qeo.j to.n uio.n eivj to.n ko,smon avllV i[na kri,na to.n ko,smoj avll i[na _ swth o` ko,smoj diV auvtou/.. Qui il verbo sw,|zw è usato nel congiuntivo aoristo passivo (Passivo

divino) e finalizzato al o` ko,smoj nell‟accezione ampia (il mondo intero come destinatario della

salvezza) tanto più significativo per il fatto che interlocutore di Gesù è Nicodemo, un capo dei

Giudei (3,1). La spiegazione sulla finalità salvifica universale dell‟invio del Figlio da parte del

Padre è posta in relazione immediata con la “condanna del mondo” attraverso una costruzione

parallela dei membri: avllV i[na kri,na to.n ko,smoj avll i[na _ swth o` ko,smoj

Ciò chiarisce immediatamente la particolare funzione salvifica del Figlio dell‟uomo, diversa

da quanto risulta dalla letteratura apocalittica coeva (vedi per es. il libro delle parabole di Enoch in

cui il Figlio dell‟uomo è giudice escatologico), funzione rimandata, nei testi neotestamentari, al

ritorno del figlio dell‟uomo nella gloria (Cf. Mc 14,62//Mt 26,64) che riprende la nota immagine di

Daniele 7:13 evqew,roun evn o`ra,mati th/j nukto.j kai. ivdou. evpi. tw/n nefelw/n tou/ ouvranou/ w`j ui`o.j avnqrw,pou h;rceto kai. wj palaio.j h`merw/n parh/n kai. oi` paresthko,tej parh/san auvtw/|

13 Io guardavo nelle visioni notturne: ecco sulle nubi del cielo venire uno simile a un Figlio d'

uomo; arrivò fino all' Antico di giorni e fu fatto avvicinare davanti a lui. 14

A lui fu concesso

potere, forza e dominio e tutti i popoli, le nazioni e le lingue lo servirono. Il suo potere è un potere

eterno che non finirà e il suo dominio è un dominio eterno che non sarà distrutto.

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 76

La stessa chive del chiarimento circa la missione di Gesù - Figlio dell‟uomo, la troviamo in un

punto molto significativo del IV Vangelo, a conclusione del libro dei segni:

12:47 Se uno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno. Non sono venuto infatti

per condannare il mondo, ma per salvare il mondo.

Qui il verbo sw,|zw è usato alla prima persona del congiuntivo aoristo e la costruzione, come

nel caso precedente (3,17) presenta un parallelismo antiteico

12:47 ouv ga.r h=lqon i[na kri,nw to.n ko,smon avll i[na sw,sw to.n ko,smon

Circa questa finalità di salvezza universale abbiamo qualcosa di analogo in Lc 19:10 Infatti il Figlio

dell' uomo è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto». E Mt 18:11 «Infatti, il Figlio dell'

uomo è venuto a trarre in salvo ciò che era perito.

Ma l‟accentuazione del testo giovanneo è in questo senso molto più forte.

È inoltre da notare che la funzione di giudizio, a cui è collegata tradizionalmente la figura del

Figlio dell‟Uomo e che viene rinviata al ritorno del Cristo Risorto nei Vangeli sinottici, viene

richiamata da Giovanni come qualcosa di attualmente presente: il giudizio si ha già qui

nell‟atteggiamento che l‟uomo assume nei confronti del Figlio dell‟uomo

Gv 3:19 19

Ora il giudizio è questo: la luce venne nel mondo, ma gli uomini hanno amato più

le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie.

Gv 12:48 48

Colui che mi rifiuta e non accoglie le mie parole, ha chi lo giudica. La parola

che ho pronunciato, quella lo giudicherà nell' ultimo giorno;

in ambedue i casi, dunque, la specificazione della finalità della venuta del figlio dell‟uomo è

contrapposta alla finalità del giudicare il mondo, quale attività positiva del FdU, ma nello stesso il

giudizio del mondo avviene già nel momento in cui il mondo, l‟uomo, prende posizione in

relazione alla persona dell‟inviato del Padre.

La proposta di salvezza è strettamente legata alla persona dell‟inviato del Padre e diventa

motivo di giudizio (di condanna) nell‟opposizione al Figlio. L‟aspetto soteriologico e quello

cristologico risultano strettamente collegati.

1.2. Connessione di “salvezza con vita/luce”

Vogliamo ancora fare qualche osservazione sui due testi citati: in ambedue i testi il tema della

salvezza proposta dal Padre nella persona del Figlio sono connessi con i termini “vita” e “luce”.

Nel capitolo 3, il v. 17 in cui si cita il verbo salvare, appare come parte della spiegazione che

Gesù dà, in occasione del dialogo con Nicodemo, circa la missione del Figlio. Gesù, come l‟inviato

del Padre disceso dal cielo parla per l‟esperienza di FdU, il solo che è salito al cielo 13

Nessuno è salito al cielo se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell' uomo, che è in

cielo.

Qui la prospettiva è post-pasquale: Giovanni parla a partire dall‟esperienza dell‟innalzamento

del FdU che “attualmente” è nel seno del Padre (1,18). Tale posizione attuale passa attraverso

l‟innalzamento del FdU sulla croce 14

E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così deve essere innalzato il Figlio dell' uomo,

15 affinché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Qui la finalità salvifica universale che

verrà espressa più avanti (v.17) viene espressa in termini di ottenimento della zwh.n aivw,nion concetto ribadito subito dopo con il v. 16

16 Dio infatti ha tanto amato il mondo, che ha dato il Figlio suo Unigenito affinché chiunque

crede in lui non perisca, ma abbia la vita eterna

E ripreso, dopo il v. 17 con l‟altra importante immagine giovannea, quella della luce:

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 77

19

Ora il giudizio è questo: la luce venne nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le

tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. 20

Poiché: chiunque fa il male odia la luce

e non viene alla luce, perché le sue opere non siano smascherate. 21

Colui invece che fa la verità

viene alla luce, perché si riveli che le sue opere sono operate in Dio».

Viene ripreso il tema del prologo e il rifiuto del FdU è espresso nei termini di rifiuto della luce

che è venuta nel mondo.

Il riferimento ai due termini “vita eterna” e “luce” appare anche, in altro ordine nel cap. 12 già

preso in esame a proposito della finalità salvifica dell‟invio del FdU:

Gv 12:44-50 44

Gesù proclamò ad alta voce: «Chi crede in me, non crede in me, ma in Colui

che mi ha mandato, 45

e colui che vede me, vede Colui che mi ha mandato. 46

Io, luce, sono venuto

nel mondo affinché chi crede in me non rimanga nelle tenebre. 47

Se uno ascolta le mie parole e

non le osserva, io non lo condanno. Non sono venuto infatti per condannare il mondo, ma per

salvare il mondo. 48

Colui che mi rifiuta e non accoglie le mie parole, ha chi lo giudica. La parola

che ho pronunciato, quella lo giudicherà nell' ultimo giorno; 49

perché io non ho parlato da me

stesso, ma il Padre stesso che mi ha mandato mi ha comandato ciò che dovevo dire e pronunciare. 50

E so che il suo comandamento è vita eterna. Ciò che dico, lo dico come il Padre me l' ha detto».

Qui Gesù stesso si identifica con “luce” 12:46 evgw. fw/j eivj to.n ko,smon evlh,luqa e ancora una

volta aspetto determinante rimane l‟atteggiamento che si assume davanti a lui e all‟ascolto delle sue

parole (46-48) con l‟inusuale riferimento giovanneo del giudizio all‟ultimo giorno. Ma anche qui è

la parola di Gesù, la sua missione, voluta dal Padre, ciò che dà la vita eterna.

1.3. La salvezza viene dai giudei (4,22)

Seguendo la disposizione dei capitoli del IV Vangelo, la seconda e terza ricorrenza del

vocabolario specifico della salvezza si trova nel cap. 4. I cap. 3 e 4 che stiamo considerando, sono

accomunati dall‟appartenenza alla cosidetta sezione di Cana (da Cana a Cana 2-4) che diversi

studiosi trovano significativa per il fatto che presenta, in una sorta di primo itinerario nella Terra

Santa che va dalla Galilea alla Giudea e poi nuovamente alla Galilea passando (fatto peculiare al

quarto vangelo) per la Samaria. È anche l‟occasione per l‟incontro con diversi “tipi” di personaggi

che riassumono la tipologia del mondo nel quale Gesù si muoveva (dal simbolico contesto nuziale

della Galilea ai giudei che credettero in lui (2,23), al rappresentante del giudaismo Nicodemo,

all‟incontro con la Samaritana e con il funzionario reale.

È un contesto che si presenta come fondamentalmente aperto all‟annuncio di Gesù, anche da

parte dei giudei che vi sono rappresentati, contrariamente a quanto accadrà a partire dal cap. 5.

In questo contesto il passaggio per la Samaria costituisce un‟occasione particolare di annuncio

per Gesù (e per l‟evangelista) spesso affrontato a partire dalla storia della comunità giovannea (che

comprendeva dei samaritani) piuttosto che come registrazione precisa degli avvenimenti accaduti a

Gesù...

È proprio in Samaria che si registra una delle confessioni di fede più alte del IV Vangelo, da

parte degli abitanti di Sicar:

42

Alla donna dicevano: «Non crediamo più per il tuo discorso. Noi stessi infatti abbiamo

udito e sappiamo che è veramente lui il salvatore del mondo o` swth.r tou/ ko,smou ».

Il titolo non è tipicamente giudaico e sembra derivare proprio dalla lievitazione della cristologia

giovannea che si apre a formulazioni cristologiche non più derivabili direttamente dall‟AT (bassa

cristologia). Proprio questo fatto crea ancora più contrasto con la precedente affermazione di Gesù

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 78

4:22 Voi adorate ciò che non conoscete; noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene

dai Giudei. – analizzata con interesse soprattutto in tempi recenti per il significato che assume nella

rilettura dei rapporti della chiesa con Israele. L‟orientamento dei commenti antichi è infatti limitato

a registrare la parola di Gesù h` swthri,a evk tw/n VIoudai,wn evsti,n come semplice constatazione

della provenienza di Gesù dal popolo giudaico; tale lettura verrebbe confermata dall‟espansione del

significato salvifico di Gesù nel v. 42. dove Gesù è presentato come salvatore del mondo, al di là e,

nella migliore delle ipotesi, come sviluppo della funzione salvifica di Israele.

Le letture attuali del testo che sottraggono la vicenda narrata dal tipo di interpretazione allegorico-

morale (la Samaritana come donna da salvare da una condotta di vita sbagliata... i cinque mariti...)

per leggerla invece come allegoria della posizione samaritana rispetto all‟autentica religiiosità,

quella giudaica, e al bisogno della donna-Samaria di una conversione verso l‟unico vero Signore

così come adorato e celebrato nel giudaismo, danno invece maggiore forza all‟affermazione di Gesù

proprio come puntualizzazione che è la fede giudaica che conserva e trasmette la fede autentica e ne

garantisce la portata salvifica.

Qui si apre un capitolo molto interessante per la nostra riflessione circa la relazione teologica tra

chiesa e Israele nel mutato contesto attuale e il significato di una via autentica di salvezza presente

nell‟Alleanza così come vissuta nel giudaismo.... oltre che ad una più ampia considerazione circa il

rapporto della salvezza in Cristo con la proposta di salvezza nelle altre religioni....

1.4. La testimonianza che salva /dà la vita (5,34)

Al capitolo 5, dopo la guarigione dell‟infermo alla piscina di Betzaetà segue un discorso di

Gesù sull‟opera del Figlio, discorso in cui possiamo distinguere due parti (vv. 19-30: il rapporto del

Figlio con il Padre; 31-47: la testimonianza di Gv Batt. e delle Scritture. Il versetto che ci interessa

direttamente è compreso nella seconda parte del discorso laddove il motivo della testimonianza di

Gesù ai giudei è motivato dalla proposta di salvezza. 34

Io però non accetto la testimonianza di un uomo, ma dico questo perché voi siate salvati.

34 evgw. de. ouv para. avnqrw,pou th.n marturi,an lamba,nw avlla. tau/ta le,gw i[na u`mei/j swqh/te

swqh/te è un congiuntivo aoristo passivo (già trovato in precedenza) che si riferisce all‟azione

salvifica di Dio-Padre come si esplicita nel contesto. Il “riceverre la testimonianza da un uomo”

sembra essere contrapposto alla finalità del donare la salvezza come una possibile motivazione

alternativa dell‟azione di Gesù, cosa che egli contesta e che motiva la riflessione successiva, e

l‟accusa del ricercare la gloria gli uni dagli altri (v. 44) rivolta ai giudei presenti.

Si osserva che anche in questo capitolo, ciò che precede e segue l‟affermazione di Gesù al

v.34 viene connesso in positivo al dono della vita. È questa capacità divina che viene condivisa dal

Figlio 21

Come infatti il Padre risuscita i morti e dà la vita, così anche il Figlio dà la vita a coloro che

vuole.

Subito dopo il dono della vita, precedentemente connotato come la capacità del Padre di far

risuscitare I morti, viene specificato come dono attuale, sottratto alla pura prospettiva della vita

come risurrezione dai morti: 24

In verità, in verità vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a Colui che mi ha mandato, ha la

vita eterna e non incorre nel giudizio, ma è passato dalla morte alla vita.

La salvezza come vita è dunque dono del Padre messo a disposizione nella attività del Figlio

che non si attua solo nella prospettiva di una vita dopo la morte come salvezza (Vita

eterna/risurrezione) ma come dono attuale che sottrae al giudizio

Gv 5:24 24 VAmh.n avmh.n le,gw u`mi/n o[ti o to.n lo,gon mou avkou,wn kai. pisteu,wn tw/| pe,myanti, me

e;cei zwh.n aivw,nion kai. eivj kri,sin ouvk e;rcetai avlla. metabe,bhken evk tou/ qana,tou eivj th.n zwh,n

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 79

I verbi sono al presente, tranne metabai,nw che è all‟indicativo perfetto attivo, indicando cioè

una azione compiuta e di cui si vivono le conseguenze attualmente.

In tal senso (della attualità della salvezza/vita) va anche il versetto successivo 25

In verità, in verità vi dico: viene un' ora, ed è adesso, in cui i morti udranno la voce del

Figlio di Dio e coloro che l' avranno ascoltata vivranno. 26

Come infatti il Padre ha la vita in se

stesso, così ha dato anche al Figlio di avere la vita in se stesso; 27

e gli ha dato il potere di fare il

giudizio, perché è Figlio dell' uomo.

Sul concetto di vita si ritorna dopo il v. 34, in relazione alla parte del discorso connessa alla

testimonianza di Giovanni e delle scritture:

. 39

Voi scrutate le Scritture, perché per mezzo di esse pensate di avere la vita eterna: sono

proprio esse che mi rendono testimonianza. 40

Ma voi non volete venire a me per avere la vita.

Qui la possibilità di avere la vita eterna è nuovamente connessa alla persona stessa di Gesù e

alla relazione che si sceglie di vivere con lui. La conclusione amara di Gesù, che dice “questo

perché voi siate salvati”, è che essi non vogliono esserlo 40

Ma voi non volete venire a me per

avere la vita.

1.5. Io sono la porta. Chi entrerà attraverso di me sarà salvo; (10,9)

Un‟altra nota immagine giovannea, introdotta dalla solenne affermazione peculiare al IV

evangelo “IO SONO” evgw, eivmi h qu,ra\ è quella della porta attraverso cui passare per essere salvi

swqh,setai (indicativo futuro passivo). Ashton (184) fa notare che tutti i detti con l‟Io Sono

contengono una promessa di vita (la metafora centrale per il IV Vangelo per indicare i benefici

connessi alla fede). Di conseguenza ognuno di essi rappresenta un vangelo in miniatura (cf. 20,31).

Anche qui il contenuto dell‟essere salvi (essere salvati da Dio – Padre) consiste nel dono della

vita come esplicita Gesù stesso nelle parole che seguono, attraverso l‟immagine di morte collegata

alle intenzioni del mercenario contrapposta all‟intenzione di Gesù:

10

Il ladro non entra che per rubare, sgozzare e distruggere.

Io sono venuto perché abbiano la vita e l' abbiano in sovrabbondanza.

il dono della vita è reso più evidente dall‟avverbio: kai. perisso.n e;cwsin All‟immagine della porta dell‟ovile segue quella più nota del buon pastore

11 “Io sono il buon

pastore. Il buon pastore dà la sua vita per le pecore.” Contrapposta a quella del mercenario. Qui è

interessante osservare che il dono della vita come bene per l‟uomo avviene attraverso la consegna

della vita di Gesù stesso, vita che Egli ha il potere di riprendere: 17

Per questo il Padre mi ama, perché io do la mia vita per riprenderla di nuovo. 18

Nessuno

me la toglie, ma io la do da me stesso. Ho il potere di darla e ho il potere di riprenderla. Questo è il

comando che ho ricevuto dal Padre mio».

1.6. Gli dissero allora i discepoli: «Signore, se è addormentato, si salverà» (11,12)

L‟ultimo riferimento al termine salvezza/salvare, lo abbiamo nel capitolo 11, a proposito della

risurrezione di Lazzaro, laddove l‟equivoco dell‟interpretazione dei discepoli circa la situazione di

Lazzaro li porta a concludere che poiché dorme “si salverà” Gv 11:12 12 ei=pan ou=n oi` maqhtai.

auvtw/| Ku,rie eiv kekoi,mhtai swqh,setai, dove troviamo ancora un indicativo futuro passivo con il

possibile significato riflessivo, che spesso si preferisce tradurre con “guarirà”. La differente

traduzione indica la possibile duplice lettura a partire dal contesto immediato (Se è solo

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addormentato si riprenderà...) o dal significato sotteso ma ben evidenziato dalle precedenti parole di

Gesù circa l‟essere addormentato di Lazzaro da cui verrà risvegliato e quanto poi segue...

È in particolare nel dialogo con Marta, secondo la tecnica giovannea del dialogo che segue il

segno, ma in questo caso rovesciato nell‟ordine, che appare il senso dell‟azione che Gesù sta

compiendo:

11:25 Le disse Gesù: «Io sono la risurrezione e la vita. Chi crede in me, anche se morisse, vivrà;

Qui abbiamo la proclamazione più solenne di Gesù che connette la sua opera salvifica con il

dono della vita al di là della morte, nel suo significato letterale ma anche nel significato sotteso

circa la vita che l‟uomo può ottenere nell‟incontro con Gesù. Il fatto è reso ancora più evidente dalla

contrapposizione operata con il continuo riferimento alla “morte” che appare vittoriosa.

La Risurrezione non occorre cercarela oltre, verso un al di là, essa è già presente “Io sono”. Qui

coincide il senso di “salvezza” come liberazione da morte e attualità della salvezza presente in Gesù

Cristo. E la vita non è il bene dato come oggetto della salvezza, è invece la salvezza stessa come

radicale liberazione dal male in tutte le sue espressioni (la vita in abbondanza).

A Gesù è stata attribuita la potenza del Padre, quella di vivificare (5,21) e di farla intimamante sua

(5,26) una potenza già mostrata mediante gli altri grandi segni compiuti sugli infermi (4,50-53 con

il triplice ze).

La vita fisica, che è tornata in una salma in putrefazione, non è che un pallido riflesso di quella vera

vita che Gesù risveglia nel credente. (cf. Schnackenburg)

A proposito ancora di 11,25 Schnack. dice che l‟associazione di “risurrezione” e “vita” non è un

pleonasmo. Doveva essere nominato prima “risurrezione”, ma “vita”, che alcuni manoscritti

omettono, costituisce l‟aggancio necessario alla affermazione che segue, che è rivolta a tutti i

credenti e schiude loro il significato del grande segno. Per contenuto, la “vita” spiega soltanto ciò

che è detto con “risurrezione”, ne mette in evidenza ciò che questa contiene, come avviene per altre

parole simboliche.

Segue il parallelismo sinonimico chi crede in me, anche se muore vivrà....... l‟enunciato sulla vita è

tutte e due le volte alla fine della frase.

2. VITA COME SALVEZZA NEL IV VANGELO

Da quanto osservato sopra, la restrizione del tema della salvezza al vocabolario specifico

esaminato soteria/soter/sozo appare limitato. Abbiamo osservato come il concetto stesso di salvezza

sia correlato a quello di vita/vita eterna/luce e opposto a quello di morte (giudizio)/tenebra secondo

lo stile proprio di Giovanni. Osserviamo altresì come lo stesso termine vita ricorra in maniera

assolutamente più ampia in Gv rispetto ai sinottici:

Vita nei 4 vangeli Total Number of Verses in Version: 35366 Number of Hits in Version: 93 Number of Verses with Hits in Version: 79 "Book/Chapter", "Hits", "Number of Verses in Book/Chapter" "Joh ", 46, 879 "Luk ", 19, 1151 "Mat ", 18, 1071 "Mar ", 10, 678

2.1. A partire dalla conclusione: kai. i[na pisteu,ontej zwh.n e;chte evn tw/| ovno,mati auvtou/

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In realtà il lettore del IV Vangelo non può fare a meno di osservare come proprio la sintesi

conclusiva offerta da Giovanni in 20,30-31 abbia a che fare con il concetto di vita/salvezza. Al

contrario di Luca, Giovanni offrre a conclusione (la cosiddetta “prima conclusione”) il motivo della

sua testimonianza evangelica

Gv 20 30

Gesù in presenza dei discepoli fece ancora molti altri segni, che non sono scritti in

questo libro. 31

Questi sono stati scritti affinché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e,

credendo, abbiate la vita nel suo nome.

Alla necessità di offrire una memoria ordinata dei fatti, a cui si richiama Luca, Giovanni

esplicita il motivo della sua testimonianza con l‟avere la vita nel suo nome.

Anche Schnackenburg come la maggior parte degli esegeti, ritiene che il “perché crediate” al

di là delle varianti testuali che presentano un aoristo ingressivo al posto del presente, ritiene che i

destinatari sono coloro che già credono a cui il vangelo è indirizzato come memoria autentica e

annuncio della fede. Non si tratterebbe dunque di uno scritto missionario ma di una testimonianza

che intende rafforzare la fede nei seguaci di Gesù. Altri preferiscono mantenere insieme i due

aspetti, quello dell‟approndimento della fede e qeuello missionario (cf. Mannucci).

«L‟aggiunta di questa breve frase prova ancora una volta che per Gv non si dà cristologia

staccata dalla soteriologia. Il IV Vangelo vuole essere soprattutto messaggio di salvezza. Il

Rivelatore incarnato, il Figlio di Dio, è il portatore di vita agli uomini caduti preda della morte, e in

questo senso è il Messia. L‟unica cosa richiesta agli uomini per ottenere questa vita divina, è la

fede, come mette in rilievo il pisteu,ontej posto al centro della frase e indicante il mezzo necessario

per conseguire il fine» (vol. II p. 226s.). L‟orientamento di diversi esegeti è a ricondurre la frase

finale del Vangelo alla frase conclusiva delle fonte dei segni.

La finalità della testimonanza giovannea è dunque la fede dei suoi destinatari e, in ultima

istanza, ottenere la vita nel suo nome. La vita di cui qui si parla, intesa evidentemente come bene

supremo a cui possa aspirare l‟ascoltatore, è colegata strettamente al “nome” di Gesù il Cristo, il

Figlio di Dio. Nel suo nome è espressione nota nel contesto biblico per esprimere la persona che il

nome rappresenta.

La Vita come Luce

L‟interesse alla tematica cresce non solo con l‟osservazione dei tanti passi precedenti in cui in

maniera diversa si fa riferimento allo stesso concetto, ma anche per la corrispondenza di quanto

detto alla fine con l‟inizio del Vangelo a proposito del LOGOS:

1:4 evn auvtw/| zwh. evsti,n kai. h` zwh. h=n( to. fw/j tw/n avnqrw,pwn(

In lui è la vita e la vita era la luce degli uomini.

Si osservi come i due concetti, di vita e luce che al di là dei riferimenti ad ambienti ellenistici

e gnostici hanno il loro forte radicamento nell‟AT ebraico, traducano simbolicamente l‟esigenza

antropologica di vita in due termini fondamentali dell‟esperienza del vivere, della possibilità della

vita. Non a caso la prima opera che Dio compì fu la creazione della luce, esigenza fondamentale del

vivere che a sua volta si trasformerà in simbolo del dono di Dio all‟uomo: la Torah nel pensiero

giudaico, Gesù luce del mondo nel pensiero cristiano.

Le parole di apertura del prologo collegano immediatamente sia per il riferimento alla Davar

di Dio che al tema della creazione, della luce... all‟apertura della Torah con la narrazione

dell‟origine della vita secondo la Bibbia. Un tema che verrà sviluppato in particolare con

l‟immagine dell‟albero della vita disponibile al centro dell‟Eden e reso indisponibile con

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l‟allontanamento da Eden causato dal peccato d‟origine. La tematica, fondamentale nel secondo

racconto di creazione (molto più sviluppata è la riflessione intorno all‟albero della conoscenza del

bene e del male, anche perché mentre questa immagine è esclusiva della Bibbia, quella dell‟albero

della vita è molto più conosciuta già nell‟antichità preisraelitica cf. epopea di Gilgamesh), la

tematica riapparirà a conclusione della Bibbia cristiana, con il libro dell‟Apocalisse dove si ritorna

sulla stessa immagine:

Ap 22: 12

Ecco: vengo presto; con me ho la mercede che darò a ciascuno secondo le sue

opere. 13

Io sono l' Alfa e l' Omega, il Primo e l' Ultimo, il Principio e la Fine. 14

Beati coloro che

lavano le loro vesti, così da poter mangiare dall' albero della vita ed entrare attraverso le porte nella

città.

22:14 maka,rioi oi` plu,nontej ta.j stola.j auvtw/n i[na e;stai h evxousi,a auvtw/n evpi. to. xu,lon th/j zwh/j( kai. toi/j pulw/sin eivse,lqwsin eivj th.n po,lin\

L‟ingresso alla città santa, alla Gerusalemme del cielo, è promesso a coloro che avranno

lavato le proprie vesti ( i martiri) e che saranno ammessi a mangiare dall‟albero della vita.

Non si vuole insistere qui sulla corrispondenza, si direbbe una inclusione tematica tra l‟inizio

e la fine di Giovanni e l‟inizio e la fine della Bibbia sul tema della vita, ma indicare come esso è

collegato nella telogia biblica sia alla protologia che all‟escatologia tanto da esprimere, appunto

nell‟immagine particolare dell‟albero della vita, quella disponibilità di vita totale che è

nell‟aspirazione più profonda dell‟uomo rappresentando nella linea temporale della narrazione

biblica il suo principio e la sua destinazione rispetto alle quali la realtà storica risulta inadeguata. Si

definisce così non tanto il limite iniziale e finale della narrazione biblica quanto piuttosto il contesto

generale di senso nel quale si inseriscono anche le azioni storiche del Dio della salvezza che si

manifesta nella storia di Israele come il liberatore e nella persona di Gesù Cristo come il definitivo

liberatore dai vincoli del male. È questa chiave storica, di storia di salvezza, appunto, che fa

emergere il concetto di salvezza come fondamentale nella teologia giudaica e cristiana: liberazione

dal male nella sua contingenza storica, per l‟aspirazione più profonda che è la liberazione da ogni

male come positivamente viene espresso nell‟esigenza di vita.

Vita eterna

Una problematica connessa direttamente con il testo giovanneo è legata all‟espressione “vita

eterna” e al valore che nella riflessione cristiana è stato dato a questa specificazione della vita in un

senso solitamente percepito nel suo valore temporale e collegato con l‟al di là.

l‟espressione “vita eterna” nel IV Vangelo, si osservi bene, non è presente nella frase

conclusiva del cap. 20.

A favore di questa interpretazione sembra testimoniare il dialogo con Nicodemo 3.15.16

[15]perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna».

[16]Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede

in lui non muoia, ma abbia la vita eterna.

Lo stesso concetto è rafforzato sempre nel cap. 3 nell‟ultima testimonianza di Giovanni

Battista:

[36]Chi crede nel Figlio ha la vita eterna; chi non obbedisce al Figlio non vedrà la vita, ma

l'ira di Dio incombe su di lui».

Qui il contrario del crederte in Gesù è espresso con la disobbedienza: in questo caso rimane su

di lui l‟ira di Dio.

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Diversi altri testi presentano la vita come vita eterna. Ma ve ne sono alcuni che non fanno

pensare al senso unico della vita ultraterrena come 5, [24]In verità, in verità vi dico: chi ascolta la

mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è

passato dalla morte alla vita.

Così pure 6 [47]In verità, in verità vi dico: chi crede ha la vita eterna.

6, [54]Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo

giorno.

10[28]Io do loro la vita eterna e non andranno mai perdute e nessuno le rapirà dalla mia mano.

12[25]Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita

eterna.

Ma soprattutto il testo di 17[3]Questa è la vita eterna: che conoscano te, l'unico vero Dio, e

colui che hai mandato, Gesù Cristo.

L‟esame di Bultmann: confronto con il concetto gnostico di vita/morte: Gv in antitesi con essa.

In Gv 17 volte su 46 si tratta di “vita eterna” aivw,nioj (aggettivo usato in questo modo solo in connessione con

“vita” e “morte”)

Sempre in relazione ai sintottici, è interessante notare che l‟unico parallelo sul tema della salvezza

si può trovare in Gv 12,25 (//Mc 16,25//Mt 8,35// Lc 9,24) e in questo caso il termine salvezza dei

sinottici è sostituito con “vitas eterna”:

16:25 o]j ga.r eva.n qe,lh| th.n yuch.n auvtou/ sw/sai( avpole,sei auvth,n\ o]j dV a'n avpole,sh| th.n yuch.n auvtou/ e[neken evmou/ eu`rh,sei auvth,n

8:35 o]j ga.r eva.n qe,lh| th.n yuch.n auvtou/ sw/sai( avpole,sei auvth,n\ o]j dV a'n avpole,sei th.n e`autou/ yuch.n e[neken evmou/ kai. tou/ euvaggeli,ou( sw,sei auvth,nÅ

9:24 o]j ga.r eva,n qe,lh| th.n yuch.n auvtou/ sw/sai( avpole,sei auvth,n\ o]j dV a'n avpole,sh| th.n yuch.n auvtou/ e[neken evmou/( ou-toj sw,sei auvth,nÅ

12:25 o` filw/n th.n yuch.n auvtou/ avpollu,ei auvth,n\ kai. o` misw/n th.n yuch.n auvtou/ evn tw/| ko,smw| tou,tw| eivj zwh.n aivw,nion fula,xei auvth,nÅ

Zoe aionios dove aion corrisponde alla traduzione greca dell‟ebr. „olam, un periodo senza inizio o

fine visibile. Ma anche senza l‟aggettivo aion, in Gv ZOE non si riferisce alla vita naturale

La peculiarità del concetto di vita rispetto ai sinottici: dal riferimento chiaro al futuro escatologico

(vita eterna) al tempo presente (3,15.16.36 ecc. 5,24). La vita eterna in Mc è il dono escatologico

della salvezza Così in Mt e prevalentemente in Lc anche se questi c‟è qualche riferimento anche alla

vita terrena.

Per Gv il confronto tra vita terrena (che si può perdere) e vita eterna (imperitura) non va inteso in

senso temporale ma in senso qualitativo. “Questo mondo” si contrappone non al “mondo futuro” ma

al mondo “superiore” (8,23) alla sfera divina.

Per dire la vita corporea Gv usa psyche (13,37; 15,13, che nei sinottici indica l‟esistenza vera,

imperitura) mentre per indicare la vita vera, divina, usa Zoe (aionios). Evita, quasi come tutto il NT

l‟uso di Bios.

Eppure è la vita naturale che ha suggerito l‟uso ampliato del termine, come simbolo di un dono

speciale di Dio, coerentemente all‟insegnamento biblico. La vita naturale è il bene più prezioso

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 84

dell‟uomo, simbolo del dono di Dio fuori della portata dell‟uomo. Il più grande atto di amicizia di

Dio nei confronti dell‟uomo è descritto analogicamentenei termini di partecipazione alla vita divina.

Dodd Interpretation 144-150 presenta paralleli veterotestamentari e rabbinici di Gv ma cita anche

testi ermetici e gnostici come esempi del mondo di pensiero filosofico greco in cui Gv ha introdotto

il concetto semitico di vita eterna.

L‟espressione ebraica alla base di ZOE AIONION è HAYYE „OLAM. Il riferimento esplicito si

trova solo in Dn 12,2 dove si dice che i giusti si risveglieranno alla vita eterna (epoca tarda del

pensiero dell‟AT)

Paolo usa ancora spesso zen per la vita terrena, non è ancora così specificamente termine religioso

come in Gv.

---

Buona sintesi sui tratti distintivi del concetto giovanneo di vita in Shnackenburg p. 579 (anche sulla

relazione vita-salvezza) Per l‟autore “anche per la scelta del concetto di “vita” e per la sua

elevazione a espressione principale del conseguimento della salvezza “Gv dipende dall‟ambiente.”

P. 585.

Influenze ellenistiche e gnostiche.

Interessante: “Donde veniamo, dove andiamo e quale sia il significato dell‟umana esistenza sono

interrogativi che venivano spontanei agli uomini di allora, ed erano tante le offerte di vie di

salvezza. ... Anche per il concetto di vita Gv è debitore più di quanto si sia pensato, al mondo

giudaico. Ciò emerge anche dalla concezione antropologica unitaria dove non si contrappone

corpo/anima, una parte più elevata dell‟uomo o a qualcosa che abbia a che fare con l‟immortalità

dell‟anima».

Molto importante sulla ricerca di salvezza da parte dell‟uomo p. 586s., in particolare il fatto che

l‟idea di vita eterna è collegata piuttosto alla salvezza personale. Sembra non avere risvolti di tipo

sociale-comunitario anche se, dice Schn, bisogna comunque pensare che per l‟ottenimento di quella

vita è previsto il vivere rapporti fraterni con gli altri e dunque l‟ottenimento di quella vita/salvezza è

comunque collegato con l‟idea di amore del prossimo... cfr. loc.

Molto chiaro e importante il testo di Bultmann, Teologia del Nuovo Testamento, p. 367s.:

“ La missione del Figlio è l‟atto di amore di Dio” (1Gv 4,9 e Gv 3,16)

Che l‟invio e la missione del Figlio sia l‟apparizione dell‟amore di Dio viene detto non solo

attraverso il contenuto della frase ma anche attraverso la sua formiulazione.....

Si realizza così, per coloro che credono in Gesù come al Figlio inviato di Dio, il senso di questa

missione: essi ricevono l‟amore di Dio (1Gv 4,16; cf. Gv 17,26; 1Gv 2,5; 3,17; 4,7-12) mentre colui

che ama il mondo non viene avvolto dall‟amore di Dio (1Gv 2,15).

Il fatto che l‟amore di Dio è il fondamento della missione del Figlio trova espressione nel modo in

cui si parla del fine di questo suo essere inviato, di questo suo venire. Egli è venuto nel mondo

unicamente per testimoniare la verità (18,37) in qualità di luce perché chi crede in lui non rimanga

nelle tenbre (12,46), perché abbiano la vita e l‟abbiano in abbondanza (10,10; Dio lo ha dato perché

chiunque crede in lui abbia la vita eterna (3,16) o che Dio lo ha inviato nel mondo (1Gv 4,9) oppure

perché avessimo la vita per lui (1Gv 4,10)

In senso più generale Dio lo ha inviato perché il mondo si salvi per mezzo di lui (3,17) Perciò può

essere chiamato il salvatore del mondo (4,42; 1Gv 4,14) Il titolo è la designazione specificamente

ellenistica del salvatore , ma il senso della miossione viene espresso più frequentemente con titoli

provenienti dalla tradizione del giudaismo e del cristianesimo primitivo....

Gesù è il salvatore escatologico, la sua venuta è l‟evento escatologico.

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Gv 13-16 + 17

Il grande discorso di Addio e la Preghiera al Padre

Per questa parte, oltre ai commentari già citati, cfr. U.NERI, L‟addio di Gesù ai discepoli: Il

discorso della grande consolazione (Gv 13-16), Ed. San Lorenzo «Sussidi Biblici» N.75, Reggio

Emilia 2001.

Di tutto il Vangelo di Giovanni, di cui abbiamo finora apprezzato alcune peculiarità rispetto ai

sinottici, questa parte è senza dubbio la più originale. Insieme ai grandi temi cristologici e trinitari,

vi sono questioni importantissime anche per lo sviluppo della teologia e per il conseguente

atteggiamento pastorale nei nostri giorni: il rapporto tra l‟unicità di Gesù Cristo e della sua

rivelazione e il pluralismo religioso; l‟atteggiamento verso il mondo…

Per quanto riguarda la forma letteraria del discorso di Addio, vengono richiamati i diversi

“testamenti” della lettaratura testamentaria ebraica (cf. Moloney. J., Il Vangelo di Giovanni, 329s.)

a partire dal II a.C. (test. 12 Patriarchi) al III d.C. (Test. Salomone) o anche più tardi, come

testimoniano parti del Test. Di Adamo. Charlesworth, Pseudoepigrapha 1,773 ritiene che si possa

ritrovare in essi un formato comune, benchè non del tutto uniforme. Anche nel discorso di Addio di

Gesù troviamo alcuni elementi che possono rientrare in questo tipo di comunanza non rigida.

Il grande discorso di Addio si discosta per molti particolari dai “testamenti” a cui si fa riferimento

ma nondimeno presenta alcune analogie.

- La predizione della morte e l’annuncio della partenza, l‟addio ambientato talvolta in un

pasto comune (T.Neft. 1,2-5; 9,2) L‟accenno alla morte si trova in tutti i testamenti

- Predizione delle persecuzioni dopo la morte del capo (Test. Sim 3,1-2; Test. Gad 4,1-7) si

prevedono talvolta anche defezioni da parte dei discepoli.

- Esortazione a una condotta ideale è una caratteristica comune

- Ingiunzione finale: la raccomandazione ad essere un gruppo unito anche dopo la morte

della guida

- Conferma delle promesse di Dio, in tutti i testamenti, cf in particolare il Test. Di Mosè

- Dossologia conclusiva di solito con la preghiera di lode a Dio

- Tutti i testamenti si riferiscono alle parole di un patriarca in punto di morte richiamando le

storie bibliche e popolari intorno al personaggio in questione, così come Giovanni

richiama la tradizioni relative alla vita e alla morte di Gesù di Nazaret.

Gv 13,1-31

Con il capitolo 13 si apre quel “libro della gloria”, o “dell‟ora” come lo chiamano i diversi

esegeti e che condurrà il lettore fino alla narrazione della passione – morte - risurrezione (18-20)

che pur presentando diversi aspetti originali, riprende la narrazione tipica dei sinottici.

Qui, invece, nel nostro contesto, le cose sono veramente originali:

Siamo davanti alla più lunga unità discorsiva dei Vangeli (prima del famoso discorso della

montagna di Mt 5-7).

Pro. de. th/j eorth/j tou/ pa,sca

eivdw.j o` VIhsou/j o[ti h=lqen auvtou/ h` w[ra i[na metabh/| evk tou/ ko,smou tou,tou pro.j to.n pate,ra

avgaph,saj tou.j ivdi,ouj tou.j evn tw/| ko,smw| eivj te,loj hvga,phsen auvtou,j 2 kai. dei,pnou ginome,nou tou/ diabo,lou h;dh beblhko,toj eivj th.n kardi,an i[na paradoi/ auvto.n VIou,daj Si,mwnoj VIskariw,thj

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 86

3 eivdw.j o[ti pa,nta e;dwken auvtw/| o` path.r eivj ta.j cei/raj kai. o[ti avpo. qeou/ evxh/lqen kai. pro.j to.n qeo.n upa,gei 4 evgei,retai evk tou/ dei,pnou kai. ti,qhsin ta. i`ma,tia kai. labw.n le,ntion die,zwsen eauto,n\ 5 ei=ta ba,llei u[dwr eivj to.n nipth/ra

kai. h;rxato ni,ptein tou.j po,daj tw/n maqhtw/n

kai. evkma,ssein tw/| lenti,w| w-| h=n diezwsme,noj

6 e;rcetai ou=n pro.j Si,mwna Pe,tron\

le,gei auvtw/| Ku,rie su, mou ni,pteij tou.j po,daj 7 avpekri,qh VIhsou/j kai. ei=pen auvtw/|

}O evgw. poiw/ su. ouvk oi=daj a;rti gnw,sh| de. meta. tau/ta 8 le,gei auvtw/| Pe,troj

Ouv mh. ni,yh|j mou tou.j po,daj eivj to.n aivw/na

avpekri,qh VIhsou/j auvtw/|

VEa.n mh. ni,yw se ouvk e;ceij me,roj met evmou/ 9 le,gei auvtw/| Si,mwn Pe,troj

Ku,rie mh. tou.j po,daj mou mo,non avlla. kai. ta.j cei/raj kai. th.n kefalh,n 10 le,gei auvtw/| VIhsou/j

o leloume,noj ouvk e;cei crei,an Îeiv mh. tou.j po,dajÐ ni,yasqai avll e;stin kaqaro.j o[loj\

kai. umei/j kaqaroi, evste avll ouvci. pa,ntej 11 h;|dei ga.r to.n paradido,nta auvto,n\ dia. tou/to ei=pen o[ti Ouvci. pa,ntej kaqaroi, evste

12 {Ote ou=n e;niyen tou.j po,daj auvtw/n

kai. e;laben ta. i`ma,tia auvtou/

kai. avne,pesen pa,lin

ei=pen auvtoi/j Ginw,skete ti, pepoi,hka umi/n 13 umei/j fwnei/te, me ~O dida,skaloj kai. ~O ku,rioj kai. kalw/j le,gete eivmi. ga,r 14 eiv ou=n evgw. e;niya u`mw/n tou.j po,daj

o ku,rioj kai. o dida,skaloj

kai. umei/j ovfei,lete avllh,lwn ni,ptein tou.j po,daj\ 15 upo,deigma ga.r e;dwka umi/n i[na kaqw.j evgw. evpoi,hsa umi/n kai. umei/j poih/te

16 avmh.n avmh.n le,gw u`mi/n

ouvk e;stin dou/loj mei,zwn tou/ kuri,ou auvtou/

ouvde. avpo,stoloj mei,zwn tou/ pe,myantoj auvto,n 17 eiv tau/ta oi;date maka,rioi, evste eva.n poih/te auvta, 18 ouv peri. pa,ntwn umw/n le,gw\ evgw. oi=da ti,naj evxelexa,mhn\ avll i[na h` grafh. plhrwqh/| ~O trw,gwn mou to.n a;rton evph/ren evp evme. th.n pte,rnan auvtou/ 19 avp a;rti le,gw umi/n pro. tou/ gene,sqai i[na pisteu,hte o[tan ge,nhtai o[ti evgw, eivmi

20 avmh.n avmh.n le,gw u`mi/n

o lamba,nwn a;n tina pe,myw evme. lamba,nei o` de. evme. lamba,nwn lamba,nei to.n pe,myanta, me

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 87

21 Tau/ta eivpw.n VIhsou/j evtara,cqh tw/| pneu,mati kai. evmartu,rhsen kai. ei=pen

VAmh.n avmh.n le,gw umi/n o[ti ei-j evx umw/n paradw,sei me 22 e;blepon eivj avllh,louj oi` maqhtai. avporou,menoi peri. ti,noj le,gei 23 h=n avnakei,menoj ei-j evk tw/n maqhtw/n auvtou/ evn tw/| ko,lpw| tou/ VIhsou/ o]n hvga,pa ÎoÐ VIhsou/j\

24 neu,ei ou=n tou,tw| Si,mwn Pe,troj kai, le,gei auvtw/| eivpe, ti,j evsti,n peri. ou- le,geiÅ 25 avnapesw.n evkei/noj ou[twj evpi. to. sth/qoj tou/ VIhsou/ le,gei auvtw/| Ku,rie ti,j evstin 26 avpokri,netai ou=n ÎoÐ VIhsou/j VEkei/no,j evstin w-| evgw. ba,yw to. ywmi,on kai. dw,sw auvtw/| ba,yaj ou=n Îto.Ð ywmi,on lamba,nei kai. di,dwsin VIou,da| Si,mwnoj VIskariw,tou 27 kai. meta. to. ywmi,on to,te eivsh/lqen eivj evkei/non o Satana/j

le,gei ou=n auvtw/| VIhsou/j o poiei/j poi,hson ta,cion 28 tou/to Îde.Ð ouvdei.j e;gnw tw/n avnakeime,nwn pro.j ti, ei=pen auvtw/|\ 29 tine.j ga.r evdo,koun evpei. to. glwsso,komon ei=cen VIou,daj o[ti le,gei auvtw/| VIhsou/j VAgo,rason w-n crei,an e;comen eivj th.n eorth,n h' toi/j ptwcoi/j i[na ti dw/| 30 labw.n ou=n to. ywmi,on evkei/noj evxh/lqen euvqu,j h=n de. nu,x 31 {Ote ou=n evxh/lqen le,gei VIhsou/j

Nu/n evdoxa,sqh o ui`o.j tou/ avnqrw,pou kai. o qeo.j evdoxa,sqh evn auvtw/|\

Il capitolo 13 inizia con l‟accenno alla “Pasqua di Gesù”, diversamente dalla “Pasqua dei

Giudei”, come ci eravamo abituati a sentirla chiamare. 13,1 sembra voler introdurre l‟intera parte

che precede il racconto della passione, accennando all‟ “ora di passare da questo mondo al Padre” e

all‟amore di Gesù per “i suoi” «li amò sino alla fine». L‟ora non era ancora venuta in passaggi

precedenti: 2,4; 7,30; 8,20) mentre viene annunciata al termnine del libro dei segni (11,55-57;

12,20-24. 27-33).

Si osservi l‟uso di kosmos in una delle tre accezioni giovannee (qui quella neutra). eivdw.j o VIhsou/j o[ti h=lqen auvtou/ h` w[ra ... avgaph,saj tou.j ivdi,ouj ... hvga,phsen auvtou,j

una serie di aoristi “gnomici” con valore universale (non collegati ad un tempo specifico).

Il diavolo aveva già messo nel cuore a Giuda: beblhko,toj eivj th.n kardi,an l‟espressione in se

significa “aver messo in testa qualcosa” o anche “aver deciso che”.

Togliere – riprendere le vesti richiama espressioni usate nel cap. 10 a proposito del buon pastore

(togliere-riprendere la vita): 10,17 dia. tou/to, me o path.r avgapa/| o[ti evgw. ti,qhmi th.n yuch,n mou i[na pa,lin la,bw auvth,n ; 10,18 ecc. Vv 6-11 Lavare i piedi ai discepoli fa parte del disegno di Dio (vv. 1-5) e il rifiuto di Pietro si

presenta come ostacolo dovuto all‟incomprensione di ciò che Gesù sta per compiere, segnala una

mancanza di apertura verso il piano divino. Ci sarà tuttavia un momento nel quale la comprensione

avverrà e alla quale Gesù rinvia (o anche l‟evangelista) come in casi precedenti (2,13-22; 12,12-16).

v. 8b. “Essere messo a parte” sembra essere un velato richiamo alla pratica battesimale: il lavaggio

indica la partecipazione all‟autodonazione di Gesù; così l‟essere già purificati indicherebbe

l‟esistenza cristiana già salvata in Cristo.

Al v. 15: u`po,deigma ga.r e;dwka umi/n Hypodeigma, nell‟esempio di Gesù, si cela il tema della morte. Nel NT ricorre solo in questo passo

ma in altri testi dell‟AT fa riferimento alla morte esemplare: cf LXX 2Mac 6,28; 4Mac 17,22-23;

Sir 44,16). Non si tratta solo di un invito che riguarda la condotta morale ma invito ad imitare

l‟autodonazione di Gesù, il Maestro. (Cf Culpepper, hypodeigma p. 144). La partecipazione alla

comunità giovannea include tale prospettiva.

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 88

Della cena, che occupa senza dubbio un posto di grande rilievo nella memoria sinottica e dell‟intero

NT, qui si parla in maniera del tutto differente: non si ricorda infatti l‟istituzione dell‟Eucarestia ma

il segno che Gesù compie in quell‟occasione: la lavanda dei piedi (13,1-11) spiegato poi da Gesù

stesso nei versetti successivi (13,12-20) con il riferimento, parallelamente al racconto sinottico della

cena, al tradimento di Giuda (13,21-30):

È a questo punto, al v. 31 che inizia il discorso di Gesù, proprio a partire dal boccone di pane preso

da Giuda, segno di comunione, segno messianico (cap. 6) che adesso diventa, paradossalmente, il

segno del tradimento.

Il v. 31 inizia con l‟annotazione spazio-temporale “Quand‟egli fu uscito” richiamando il v. 30,

l‟uscita di Giuda (osservare il movimento entrare-uscire, che assume toni particolari nella

narrazione giovannea), “Ed era notte”. In questa prima parte Gesù introduce un tema molto

importante nel IV Vangelo, il tema della “ricerca di Gesù” per la sua prossima “assenza”. Si sta

anticipando quando accadrà con la passione – morte. Gesù non sarà più avvicinabile come uomo. È

un tema che si collega a quello dell‟incarnazione e della visibilità di Dio stesso in Gesù Cristo (cfr.

Prologo). La trattazione dell‟argomento consente a Gesù di introdurre una prima clausola del suo

testamento “amatevi gli uni gli altri”… Entra poi in scena Simon Pietro con la domanda sulla

destinazione di Gesù: Dove vado io per ora tu non puoi seguirmi… È un tema, questo della sequela

che riappare continuamente, ma che in particolare ci rinvia al capitolo 21 dove verrà riformulato in

termini veramente nuovi. La sequela sarà possibile allora nel suo significato più autentico di

consegna alla volontà di Dio, come Gesù per primo farà indicando la strada. Il piccolo dialogo con

Pietro si conclude con la predizione del rinnegamento, quale conferma della radicale incapacità del

discepolo di seguire il Maestro in virtù della propria decisione. Egli, Pietro, sarà condotto dove “tu

non vorrai”… predizione non tanto del martirio di Pietro, quanto piuttosto dell‟autentica consegna

del discepolo che in tanto è tale in quanto avviene in modi e per destini che non si sarebbero mai

scelti…

Un aspetto di rilievo in questa parte, ma anche in altre parti, del discorso, è l‟andata via di Gesù, la

sua separazione, che inaugura un frattempo… Si vede bene come in Gv non vi è solo la prospettiva

del “già” ma anche del “non ancora”… Una escatologia cioè che rimane discorso aperto al futuro. È

qui che si innesta il discorso stesso di Gesù, come insegnamento ecclesiologico oltre che

cristologico.

Ma vi è pure la contraddizione evidente con il messianismo giudaico che ha impedito a molti ebrei

di vedere in Gesù il Messia davidico: nella concezione giudaica, non vi è più nessun frattempo dopo

la venuta del Messia, Egli viene ad inaugurare il tempo nuovo e definitivo. Cosa diversa dalla

visione cristiana ribadita anche qui da Giovanni circa un tempo di attesa, l‟attesa dell‟incontro

definitivo con lo sposo, dell‟abbraccio con lui che avverrà subito dopo la morte, quando verrà a

prenderci, e prima del definitivo generale riconoscimento della sua gloria sul mondo intero (la

risurrezione generale). È il tema sviluppato subito dopo, quello del posto che Gesù va a preparare

(cfr Es 20,23).

Qualche accenno ai cc. 14-17

Circa l‟ordine dei capitoli, in particolare 14-17, e le diverse proposte per eliminare le incongruenze

dell‟attuale disposizione redazionale, cfr. Schnackenburg vol III, p. 147 ss.

Il cap. 14 inizia con il tema del “posto da preparare” che immette direttamente nella prospettiva

della vita futura con Cristo. Anche qui vi è una parola di Gesù connessa alla sua destinazione e alla

via da percorrere per raggiungerla che suscita la domanda di Tommaso (v. 5) (come prima vi era

stata quella di Pietro). La risposta di Gesù è di grande intensità teologica “io sono la via la verità e

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 89

la vita” (v.6). Gesù è l‟unica via per raggiungere il Padre. Questa affermazione, di evidente

importanza cristologica, sembra anche rappresentare una delle maggiori difficoltà per una teologia

del pluralismo religioso in cui da parte cristiana la figura di Gesù, si dice, dovrebbe indietreggiare

rispetto alla figura del Padre che egli, in fin dei conti, è venuto a rivelare. Gesù sembra affermare di

essere non una via, ma l‟unica via per raggiungere il Padre. Gesù aveva anche affermato di essere

l‟unica porta (10,9). “Se non attraverso di me” indica indubbiamente l‟esclusione di altre

possibilità: si tratta del Gesù individuato nella Palestina di 2000 anni fa… Gesù è la via in quanto è

la verità e la vita. In questo senso non si tratta di una affermazione con tre termini paralleli. Verità e

vita sono collocati accanto a via piuttosto per spiegarne il contenuto (cfr. Barret, Mateos).

Il piccolo dialogo che qui si innesca tra Gesù e Filippo sul mostrare il Padre, è di grande significato

per il messaggio complessivo del IV Vangelo (cfr. 1,18: il tema del “vedere” Dio). Gesù è

mediatore della conoscenza del Padre. La conoscenza del Padre è il vertice stesso della vita cristiana

(1,10: …il mondo non lo conobbe).

14,12-20 presenta quanto accadrà al mondo con la risurrezione di Gesù: compiranno opere più

grandi di Gesù… invierà un altro Consolatore… L‟Unigenito è il primogenito… i suoi

parteciperanno della sua gloria. Del resto il Cristo è venuto a rivelare il Padre perché attraverso di

lui si partecipasse della vita del Padre. Vertice dell‟economia salvifica, lo dice Giovanni lungo il

suo Vangelo ma anche già nel Prologo (1,12), non è semplicemente ottenere il perdono dei peccati,

ma essere divinizzati, entrare a far parte della famiglia divina attraverso l‟insostituibile mediazione

di Cristo (3,35ss; 5,24; 6,57) 14,20!. Mandati nel mondo per santificarsi come il Figlio (17,17-19):

offrendo la vita.

«E ne farà di più grandi»? La messianità di Cristo è inaugurata con la sua missione terrena ma si

compie nella sua glorificazione, con la morte – risurrezione. È la sua presenza alla destra del Padre,

nella gloria, a giustificare la sua affermazione: nella pienezza del suo essere accolto alla destra del

Padre egli continua ad operare come Figlio nell‟opera di coloro che aderiscono a lui (cfr. 1Cor

15,25: finchè non abbia posto sotto i suoi piedi tutti i suoi nemici… anche Paolo parla della potenza

che si manifesterà alla risurrezione dai morti, con il Cristo glorificato).

La potenza messianica di Cristo si scatena nel mondo attraverso la preghiera: «qualunque cosa

chiederete nel mio nome io la farò…»: il valore della preghiera è legato imprescindibilmente al suo

nome, alla professione di fede in Cristo Signore. «Io, io stesso, lo farò» perché il Padre e il Figlio

sono una cosa sola. Cristo va via, fa il suo discorso di addio, ma rimane, più di prima attraverso la

forza della preghiera e della fede in lui.

15-17: l‟osservanza dei comandamenti come conseguenza dell‟amore. I “comandamenti” sono di

Cristo perché sono del Padre. Così è di tutto quello che ha detto il Padre.

Io pregherò il Padre ed egli vi manderà un altro Paraclito - a;llon para,klhton -, un altro

consolatore. Un altro, posto in relazione con Cristo, una persona non una vaga consolazione. Ci

darà l‟esperienza della prossimità di Dio. Dà “gioia”, frutto dello Spirito (Rm 14,17; Gal 5,22; 1Ts

1,6).

Questo “altro Consolatore” ci è dato dal Padre. È la seconda persona mandata in missione, ma in

relazione con la prima. È la preghiera del Figlio che attua questo invio. È la forza del Figlio che

ottiene questo invio (pregherò) cfr. v.26.

Insomma per ottenere lo Spirito è essenziale la mediazione del Cristo glorificato. In questo senso è

Gesù Cristo stesso che viene descritto come il datore dello Spirito in 19,30 (emise) e in 20,22 (alitò

su di loro). Così, seguendo questa unità di intenti e di azione, S.Paolo potrà dire “Spirito di Gesù

Cristo” in Fil 1,19 (cfr. Gal 4,6: spirito del Figlio).

Rispetto all‟economia della presenza del Verbo nella carne, quella dello Spirito è definitiva:

«perché rimanga sempre con voi», durerà fino alla fine.

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 90

to. pneu/ma th/j avlhqei,aj Spirito della verità: (cfr. 15,26 e 16,13) cioè il suo compito è

anzitutto manifestarci la verità, Cristo stesso, facendocene conoscere il mistero.

o] o` ko,smoj ouv du,natai labei/n Il “mondo” nella duplice o triplice accezione giovannea… La

connotazione positiva (6,51: il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo cfr. 14,31:

perché il mondo sappia): il mondo è il destinatario della rivelazione divina. Ma qui o` ko,smoj “il

mondo” è il sistema ostile all‟economia salvifica di Dio… con la sua coerenza… la sua “economia”

(cfr. Gv 1,10; 7,7; 12,31 “il principe di questo mondo” Satana; cfr. 1Gv 2,15s… Non amate il

mondo… che pure è stato creato da Dio!). Serve, insomma, chiarezza nell‟individuare la struttura

mondana che si contrappone al progetto divino, senza fughe e chiusure preconcette. È lo Spirito, e

la vita che da esso nasce, donato al discepolo dalla mediazione di Gesù Cristo, che rende capaci di

tale discernimento. Lo ricevono solo coloro che conoscono Cristo nella fede. Se lo si conosce solo

nella carne non basta. Lo Spirito è presente nel Cristo. Lo spirito “dimora” presso i discepoli. È la

nozione di in abitazione dello Spirito, sviluppata soprattutto da S.Paolo (Rm 5,5; 8,9; 1Cor 3,16;

6,19; 2Cor 1,22; Gal 4,6).

v. 18: Ouvk avfh,sw uma/j ovrfanou,j non vi lascerò “orfani” = non vi abbandono.

Nel v.19 compare qull‟ “ancora un poco” che caratterizza il messaggio relativo alla partenza e

al ritorno di Cristo (cfr. 16,16): si tratta del tempo fra la morte e la risurrezione dopo la quale lo

“vedranno” solo coloro che credono in lui. (At 11,41: Gesù apparve non a tutto il popolo ma a

testimoni preordinati da Dio). Allora “Il mondo non mi vedrà più” perché la particolare economia

della presenza del Verbo nella carne, è chiusa. VOI invece mi vedrete! Perché IO VIVO, al

presente. Egli non perde in realtà la vita, ma la conserva. Gesù è il vivente (un titolo che lo associa a

Dio stesso) è il messaggio che ritorna da parte di Giovanni in tutto il suo vangelo: Io sono la

risurrezione e la vita (11,25). La novità è che “anche voi vivrete” perché avrete la vita eterna che

deriva dal conoscere Dio in Gesù Cristo (cfr. 17,3).

v.20 il nuovo rapporto che i discepoli vivranno con Dio mediante Cristo. La conoscenza di cui

qui si parla è l‟esperienza di Dio resa possibile da Gesù Cristo. C‟è in abitazione dello Spirito, si

diceva; l‟inabitazione dello Spirito è in abitazione del Cristo stesso e del Padre: inabitazione

trinitaria. La stessa idea è presente diverse volte in S.Paolo (Gal 4,6; Rom 8,15s.; Ef 3,17)

vv.21-26: ancora una parola di Gesù che viene sollecitata da un suo discepolo (Giuda, non

l‟Iscariota). Quanto promesso ai suoi discepoli viene esteso ai credenti di ogni tempo. Nei vv. 21-24

emerge il tema dei comandamenti e della loro osservanza. Qui si parla di quanto accadrà ai credenti

nel tempo. L‟evento Gesù non è un lampo di cui poi la chiesa conserva il ricordo. È l‟inizio di un

rapporto nuovo che si prolungherà per chiunque accoglierà Gesù Cristo. Il Padre ama colui che ama

Cristo.

E anch‟io lo amerò e mi manifesterò a lui: Cristo si appropria di tutto ciò che è del Padre.

Gesù si rivelerà a coloro che lo amano, con una esperienza che viene poi descritta, nel Vangelo, dai

fatti della risurrezione, dal “vederlo” nel suo manifestarsi a chi lo cerca con fede. Questo accadrà

sempre e a chiunque vivrà nella stessa ricerca. E la “conoscenza” di cui qui si parla, passa attraverso

l‟adeguamento della volontà. Potrò dire “lo conosco” solo quando l‟avrò visto, ne avrò fatto

esperienza diretta. Questa “conoscenza” è già frutto di fede, della fede accogliente di chi riceve la

testimonianza e la accoglie, accogliendo con essa i comandamenti… l‟obbedienza… morire per

amore.

Al v.22 è la domanda di Giuda a sollevare una grossa questione «Signore, che è mai successo

che tu stai per manifestare te stesso a noi e non al mondo?»: Gesù è venuto a sottrarre dal mondo un

gruppo particolare, un piccolo gruppo di eletti? una setta? La risposta di Gesù (23-24) fa

comprendere bene che le cose sono distinte: la proposta della fede riguarda il mondo intero.

L‟esperienza di Dio nella fede, è riservata a coloro che accoglieranno questo dono. Gesù andrà a

morte e risorgerà il terzo giorno esattamente perché “il mondo sappia”. Rifiutando la fede nella

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 91

risurrezione, rifiutando i comandamenti, una parte del mondo si chiude al dono divino. Chi respinge

me, respinge colui che mi ha mandato.

vv. 25-26 L‟essere “presso di voi”, certamente una esperienza unica, irripetibile nella storia, è

tuttavia subordinato, anche se necessaria premessa, all‟essere “in voi”, quando tutto potrà essere

compreso alla luce della Risurrezione e con la forza dello Spirito. Egli insegnerà e ricorderà pa,nta a] ei=pon u`mi/n evgw, quello che io vi ho detto! Le parole del Cristo vengono ricordate, ravvivate…

cfr. per es. 2,22 “dopo i discepoli compresero che parlava del suo corpo”. Egli insegnerà “ogni

(tutte) cosa”, anche le cose non contenute in questo libro (cfr. 21,25). Possiamo capire molto di più

e molto meglio di quello che un qualunque giudeo conterraneo di Gesù avrebbe capito

incontrandolo… È l‟importanza dell‟interpretazione dei fatti e delle parole nella fede che non

sottrae valore alle testimonianze evangeliche ma che anzi ne fa specificamente testimonianze “vere”

di Gesù Cristo, portatrici cioè del senso profondo, per la fede, di quegli eventi e di quelle parole.

vv. 27-28 sotto il termine greco, Eivrh,nh, vi è quello ebraico, shalom con tutta la sua

pregnanza…. (cfr. Sl 72,7). Qui è la “mia” pace. Quella che Egli possiede. La sua beatitudine e

comunione con il Padre. Fonda la nostra comunione con Dio e fra noi. Pace di natura

sovramondana, che il mondo non può dare. “Vado e tornerò a voi” richiama 14,1-3: vado a

prepararvi un posto (uno dei motivi di unità del discorso di questa sezione). Il “venire” di Gesù può

essere inteso come il ritorno dopo la morte, con la Risurrezione, ma anche come l‟ultimo e

definitivo ritorno, o come incontro con colui che passerà da questa vita alla vita definitiva…

Dovrebbero essere contenti i discepoli per la gloria che Cristo riceverà dal Padre con la sua morte in

croce, così come per gli effetti che questo passaggio avrà sui discepoli. La spiritualità del NT è

cristocentrica; il problema vero è rimandato a noi: Se mi amaste...

La conclusione del v. 28 o[ti o` path.r mei,zwn mou, evstin è all‟origine di molte dispute a cominciare

da quella ariana. Ma la sua interpretazione va nel senso dell‟intero discorso e dell‟intero Vangelo:

con l‟incarnazione il Verbo di Dio si è abbassato, si è umiliato fino alla morte. In 17,5 Cristo chiede

la gloria che aveva presso il Padre “prima che il mondo fosse…” La sua risurrezione e ascensione al

cielo dicono la assunzione della stessa vita fisica nel Padre, rendendo possibile all‟umanità di

partecipare della vita divina. È con la risurrezione e l‟ascensione che Gesù Cristo ottiene questa

divinizzazione totale.

vv.29-31 il problema sarà infatti vedere nella croce di Cristo il trono della sua gloria. Gesù sta per

essere consegnato in balìa del Satana principe che non potrà trionfare (cfr. Lc 4,13…22,53). Ma non

ha nessun potere su di me kai. evn evmoi. ouvk e;cei ouvde,n (letteralmente: E in me non ha nulla) = niente

che gli appartenga o che risulti vulnerabile. Nessuna soggezione di Cristo al Satana. Niente a che

fare (ricorda l‟espressione opposta degli indemoniati sinottici che incontrano Gesù) MA bisogna

che il mondo sappia… che egli si sottomette come figlio, fino in fondo, alla volontà del Padre. Si

tratta di uno strumento del disegno salvifico.

Alla fine del capitolo 14 vi è l‟invito che riprende il linguaggio dell‟entrare-uscire: VEgei,resqe a;gwmen evnteu/qen “Alzatevi, andiamo via di qua!” espressione analoga a quella sinottica a cui Gv

sembra riferirsi intenzionalmente (Mc 14,42; Mt 26,46). È lo slancio che rende Gesù padrone del

suo destino, ma che significa anche l‟uscita dal mondo. Anche i discepoli sono chiamati a questa

“uscita”: a partecipare cioè all‟itinerario di glorificazione del Figlio e non ad accogliere,

semplicemente, i fatti della passione con rassegnazione. È il modo spirituale di interpretare l‟invito

“usciamo di qui” cioè dal mondo, che appiana la contraddizione del discorso che continua nel

capitolo 15 come tutti i commentaristi osservano.

Egheiresthe (cfr 18,4) alzatevi, sorgete, Risorgete!

Cap. 15:

15,1-11 Il discorso della vite e dei tralci: invito a rimanere in Cristo vera vite.

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 92

Il discorso è coerente con quanto detto prima: si tratta di quella presenza nuova di Cristo che

non sarà più presso di loro con il suo corpo, ma sarà presente in loro come linfa vitale nello Spirito.

VEgw, eivmi h` a;mpeloj h` avlhqinh, il testo inizia con un'altra dichiarazione che utilizza la

solenne espressione “IO SONO” insieme ad un predicato (6,41; 10,7.11; 11,25; 14,6) .

La vigna è Israele (AT) prediletta da Dio, che Dio stesso ha piantato (Is 5,1; Ger 2,21).

L‟agricoltore è Dio stesso. Qui Gesù è la vera vite, la vigna amata, prediletta dal Padre. È

richiamato qui tutto il tema della predilezione di Israele, la sua elezione. È però, Israele, una vigna

che ha deluso… Collocare il discorso di Gesù nel contesto veterotestamentario attraverso il

simbolismo della vite, vuol dire riallacciare la sua predicazione a quella profetica, cf. Ger 2,21; Os

10,1; al salmo messianico 80, 9ss. Il collegamento permette di non considerare le parole di Gesù

come una sorta di nuova, assoluta iniziativa divina, ma in continuità con tutto quanto ha preceduto

la sua venuta.

Gesù si identifica con la vigna-Israele... è per lui che si ebbe la predilezione, la scelta, la cura,

la costruzione della torre-tempio… (Così come è la pietra scartata dai costruttori…). È la vite

“vera”: la vigna realizzata nella sua pienezza, totalmente realizzata nella verità. Qui trovo qualche

difficoltà con la presentazione dell‟argomento fatta da U.Neri (L‟addio di Gesù ai discepoli: Il

discorso della grande consolazione (Gv 13-16), Ed. San Lorenzo «Sussidi Biblici» N.75, Reggio

Emilia 2001) che parla di Israele come “figura” (cfr. p.115), correndo così il rischio di svuotare la

rivelazione veterotestamentaria del suo concreto significato storico-salvifico; l‟autore corregge

tuttavia il modo di intendere il rapporto AT/Gesù a p. 116.

Dio, il vignaiolo, il Padre di Gesù Cristo, si aspetta che la vigna dia frutti (di giustizia, santità,

obbedienza, fedeltà) cfr. Mt 21,19s. a proposito del fico sterile.

Anche rami di Israele sono stati tagliati. Quelli che portano frutti sono coloro che hanno dato

il frutto atteso, la fede in Gesù Cristo, essi sono potati (in greco kathairei = purificare, termine

importante nell‟AT in riferimento alla grande purificazione del tempo messianico: vi purificherò…

(cfr. Ez 36,25s. 33.). Non è più la purificazione del sacerdozio del tempio con i suoi sacrifici. È la

purificazione definitiva, quella del tempo messianico.

v.3 Voi siete già puri… richiama quanto detto a proposito della lavanda dei piedi (13,10): una

purificazione radicale in virtù della parola annunciata ed accolta.

Vv 4-5 mei,nate evn evmoi, ... Ciò che resta da fare è rimanere in lui = preservare la fedeltà a

Cristo, custodendo la fede, attuandone le esigenze attraverso l‟osservanza dei comandamenti, in

particolare dell‟amore di Dio e del prossimo. Essendo in Cristo si porta allora moltissimo frutto

(Cfr. Rom 8,5-11).

o` me,nwn evn evmoi. kavgw. evn auvtw/| ou-toj fe,rei karpo.n polu,n

o[ti cwri.j evmou/ ouv du,nasqe poiei/n ouvde,n

Si osservi come l‟opposizione è estrema: molto frutto - nulla: non vi sono posizioni

intermedie. Se si rinnega il Signore si resta “fuori”: è quanto viene detto con diverse parole in altri

testi del NT (Gd 4; 2Pt 2,1s.) e soprattutto nella 1Gv (cfr. 1Gv 2,19ss.): il peccato che conduce alla

morte (1Gv 5,16s.). L‟apostasia, il rifiuto di Gesù Cristo è già il giudizio. La fede non è garantita: si

può perdere Cristo, la sua inabitazione e l‟inabitazione dello Spirito non è cosa scontata (cfr. 2Pt

2,3). La sanzione è espressa con i toni conosciuti già nella profezia e poi nell‟apocalittica: bruciare

nel fuoco.

vv. 7s. Il motivo per cui il Padre esaudisce la nostra preghiera è il “frutto di giustizia” che si compie

seguendo i suoi insegnamenti. La glorificazione del Padre avviene quando il creato, le sue opere,

ritornano a lui riconoscendolo come Creatore e offrendosi a lui. Ciò accade diventando discepoli di

Gesù: non gli dà gloria chi non riconosce il suo Figlio, al contrario onora Di chi diventa discepolo

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 93

di Cristo (12,26). Non si tratta semplicemente di “essere” ma di “diventare” discepoli kai. ge,nhsqe evmoi. maqhtai, : è sottolineato cioè l‟aspetto dinamico del diventare discepoli… fino a consegnarsi

completamente nelle mani di Dio, nell‟imitazione di Cristo.

Vv 9-11: Rimanere in Cristo vuol dire rimanere nel suo amore mei,nate evn th/| avga,ph| th/| evmh/|: non nel

nostro amore verso Cristo, ma nel suo verso di noi, nell‟essere amati dal Padre (cfr. Gv 17,23; 1Gv

2,10ss). Al v. 10 risulta chiaro che rimanere nella fede vuol dire rimanere nell‟amore, la carità non è

mai disgiunta dalla fede. I comandamenti di cui si parla sono quelli di Cristo: sottomissione alla

Parola, al Verbo fattosi carne. L‟osservanza da parte del Cristo verso il Padre è consistita

nell‟obbedienza al Padre fino a consegnarsi sulla croce.

Il v.11 sembra concludere questa parte del discorso e lo fa con il riferimento alla gioia:

suprema possibilità di vita per l‟uomo. Gioia come pienezza di vita in Cristo (cf sopra, l‟excursus su

“vita”).

vv. 12-17 al v. 12: au[th evsti.n h` evntolh. h` evmh, i[na avgapa/te avllh,louj kaqw.j hvga,phsa u`ma/j Il

comandamento sommo: l‟amore reciproco. Nuove precisazioni. Superamento totale della

precettistica, come in S.Paolo. L‟ubbidienza del figlio è l‟amore. L‟amore include tutti gli altri

precetti. La fede in Dio non giustifica qualunque comportamento: in virtù della fede il discepolo

vivrà nell‟obbedienza a lui. Fede e amore come vertice della volontà divina. Come lui ci ha amato

= amore superiore spiegato al v. 13: con l‟offerta totale di sé (cfr. 1Gv 3,16). Gli amici sono “gli

amati”. Il tutto è confermato dal v. 14. Restiamo nell‟atto gratuito, assolutamente gratuito

dell‟amore di Cristo, solo amando, soltanto in virtù dell‟obbedienza.

Con il v. 15 si riprende il linguaggio dell‟AT: servi, chiamati al “servizio di Dio” (cf la storia

dell‟esodo con il termine chiave „abodah). Ma qui adesso si usa philos (= amico) distinguendo da

ogni altro termine. Il rapporto è di amicizia. Questo è in fondo l‟annuncio che sin dall‟inizio fa

Giovanni indicandoci in Cristo il rivelatore del Padre, colui che ce ne svela il volto… (1,18). È

inaugurato il tempo di cui parlavano i profeti (Ger 31,34), in cui non ci sarà più bisogno di istruirci

l‟un l‟altro perché la conoscenza di Dio è diretta (Is 11,9). Cristo ci ha fatto conoscere tutto del

Padre. È lo Spirito Santo che ci conduce dentro questa verità (16,13).

v. 16: per la gratuità della “scelta” non c‟è motivo: riprende la logica dell‟alleanza, logica di

amore e gratuità di cui è testimone l‟intera Sacra Scrittura (cfr. Dt 7, 7 Non perché siete più numerosi

di tutti gli altri popoli il Signore si è unito a voi e vi ha scelto; ché anzi voi siete il più piccolo di tutti i popoli. ...

insufficiente tentativo di risposta). È tuttavia una scelta che si apre a un coinvolgimento infinito: “io

vi ho scelto perché andiate”.

Il frutto per la vita eterna non si riferisce a coloro che vengono inviati, ma a coloro che sono

raggiunti dal loro annuncio e dalla loro testimonianza e che attraverso di essa avranno l‟accesso ai

beni eterni, beni duraturi.

15,18-16,4

15:18-19 «Se il mondo vi odia, sappiate che ha odiato me prima di voi. 19

Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che gli appartiene. ... 16:1-2 Questo vi ho detto, perché non rimaniate scandalizzati.

2

Vi cacceranno fuori dalle sinagoghe; viene anzi l'ora in cui chi vi ucciderà penserà di rendere un culto a

Dio.... I versetti in questione sono raccolti insieme perché trattano del rapporto tra i discepoli e il

mondo. È la conseguenza della scelta di alcuni, proprio il motivo che poco prima proponeva, o

riproponeva, la questione del perché… (questi e non altri?). L‟elezione già per Israele e poi per i

discepoli, comporta una missione che consiste nella testimonianza. La testimonianza creerà

naturalmente il confronto con quel “mondo” di cui si è detto, confronto che Gesù per primo è

chiamato a vivere e a pagare di persona. L‟odio del mondo è l‟opposizione del sistema mondano al

progetto di Dio (cfr. prologo). È una prova che costituisce, nel medesimo tempo, una sorta di

verifica: la comunità dei discepoli costituirà, se rimane fedele alla sua natura, un ostacolo alla logica

del mondo e alle sue strutture. Al rovescio si potrebbe pensare che la mancanza di opposizione

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 94

dovrebbe far pensare: è il mondo che non costituisce più problema per il progetto divino, o sono i

discepoli che hanno annacquato la propria appartenenza al Cristo? Sembra essere questo il

problema toccato in 15,19 ma è opportuno richiamare anche 7,7 allorché Gesù rivolto ai giudei

diceva: «Il mondo non può odiare voi, odia invece me, perché io testimonio riguardo ad esso che le

sue opere sono cattive» cfr. anche 1Gv 4,6. Sulla base di queste testimonianze giovannee risulta

chiara l‟idea di un “mondo” che è animato da principi derivanti dalla carne i quali si oppongono

necessariamente ai principi dello Spirito: una concezione che mette in guardia il discepolato di ogni

tempo dall‟insinuarsi di compromessi con il mondo che non per questo va considerato come

qualcosa da cui “fuggire” ma certamente come qualcosa rispetto a cui esercitare una sorta di

vigilanza evangelica. Si pensi a quanto, per esempio, l‟azione pastorale anche a partire da

presupposti di retta coscienza, venga valutata a partire dal gradimento o almeno dalla condivisione

pubblica delle scelte, coerentemente al più generale atteggiamento di considerare buone e giuste le

azioni che trovano pubblici apprezzamenti e riconoscimenti. Qui si gioca anche il problema della

“visibilità” e quindi della ricerca di approvazione nella vita pastorale che è per alcuni quasi una

necessità. Queste raccomandazioni giovannee, senza spostare in un senso settario e fondamentalista,

sembrano costituire un avvertimento, un antidoto particolarmente necessario nell‟epoca del “prete”

menager di successo… Ma ancor di più: tendono a dare valore a quella inevitabile sofferenza che si

prova davanti al rifiuto e alla non comprensione (ferma restando la retta coscienza!), valore che può

e deve sostenere la testimonianza cristiana in momenti difficili e senza il quale si può essere tentati

dall‟idea del fallimento e quindi della rinuncia. Sì, vi è una sofferenza, prodotta dall‟avversione del

“mondo” alla testimonianza cristiana, che assume in se stessa valore di partecipazione al mistero di

Cristo.

Torna il tema della conoscenza di Dio v.21 «… perché non conoscono colui che mi ha

mandato ouvk oi;dasin to.n pe,myanta, meÅ ». È un non conoscere frutto di una scelta, non aver

accettato il Cristo e colui che lo ha inviato, come spiega nei versetti successivi 22-25: si tratta di un

atto voluto e perciò colpevole.

È da osservare che a differenza di Paolo, Giovanni non usa mai il sostantivo gnôsis: una scelta

per l‟equivoco che avrebbe creato in ambienti gnostici? Usa invece il verbo ginôskô insieme al

verbo oida. Sinonimi (come molti commentatori moderni), o portatori di una certa distinzione del

conoscere? Per i Greci il primo, ginôskô indica piuttosto il processo della conoscenza,

l‟acquisizione della conoscenza (cfr. Aristotele Anal. Post. I,9, 76 a) traducibile quindi piuttosto con

espressioni del tipo: percepire, afferrare, riconoscere, comprendere che indichino cioè il

completamento di un processo. Questo è il motivo dell‟impiego maggiore di ginôskô nel

vocabolario filosofico greco. Oida nella sua radice è connesso invece al vedere. Si usa come

perfetto di ginôskô. Conoscenza dunque di ordine piuttosto percettivo, intuitivo.

Secondo De La Potterie le due accezioni sono mantenute in Giovanni: quando usa ginôskô

indica un percorso esperienziale che giunge al suo termine, mentre quando usa oida designa una

conoscenza semplicemente raggiunta, come dato di fatto. La conoscenza di Cristo è indicata in

Giovanni da ambedue i verbi, ma con una netta preferenza per oida (22x) rispetto a ginôskô (12x).

Anche per la conoscenza dei discepoli si usano ambedue i verbi, per cui bisognerebbe tradurre

ginôskô con il significato di “riconoscere”, “comprendere”.

Così, occupandoci particolarmente della nostra sezione 13-15 lo troviamo impiegato in

diverse occasioni (13,7.12.28; 14,9.20; 17,8.25). Il mezzo della conoscenza acquisita dai discepoli è

l‟insegnamento dato da Gesù (cfr. 15,18) a cui si chiede la fede (6,69) come premessa della

conoscenza vera (non come conoscenza in se stessa). La fede iniziale è occasione per trasmettere la

conoscenza della verità (8,32; 15,7.8). Trova qui conferma quanto abbiamo già osservato in

precedenza circa il cammino per diventare veri discepoli di Gesù, un ideale che si realizza

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 95

gradualmente (cfr. 16,13: compito affidato allo Spirito di verità). Sullo sforzo di una conoscenza

come processo in atto e mai completamente acquisito, quello della conoscenza di Dio, si veda 17,3.

vv. 22-25 Gesù ha dichiarato con chiarezza che lui e il Padre sono una cosa sola. Secondo

questa testimonianza evangelica, assunta così come sta, non si può dire che Gesù non si sia mai

detto Figlio di Dio (cfr. 10,33 Non ti lapidiamo perché… ma perché tu che sei uomo, ti fai Dio). La

parola e l‟opera (in particolare i segni) di Gesù sono andati in questo senso. Così come l‟odio del

Cristo rimanda all‟odio del Padre (v.24). Ci sono alcune opere che, ci testimoniano gli evangelisti,

hanno provocato esattamente la perplessità dei presenti perché avevano a che fare con una

attribuzione di divinità (Mt 8,27)

Il riferimento alla Legge nel v. 25 si riferisce al Sl 35,19: «mi hanno odiato senza ragione»: il

rifiuto di Cristo, che si è presentato con Parole e Opere, è considerato infondato.

vv. 26-27

paraklêtos consolatore, ma anche “avvocato” (traslitterato dal greco in ebraico con lo stesso

significato di avvocato, comune nel Mediterraneo). È lo Spirito che agisce in un processo, in un

giudizio. Che viene dal Padre non ha a che fare con la descrizione delle “processioni” in senso

tecnico. È nel quadro del progetto storico-salvifico, è la missione dello Spirito, inviato da Gesù,

proveniente dal Padre che qui si sottolinea. Se il compito del Paraclito era prima quella di consolare,

adesso è quella di difendere, di testimoniare a favore. Lo Spirito testimonia nel grande “processo”

istruito dal mondo contro Gesù Cristo e i suoi discepoli. Lo Spirito assolve a questa funzione

secondo At 4,8; 8,55 ecc.: pone la parola della testimonianza sulla bocca dei discepoli. Il discorso

degli apostoli, dei discepoli di Gesù, testimoniato dal NT, è il discorso che lo Spirito Santo stesso

mette in bocca ai discepoli. Così come i prodigi che essi compiono. «Avrete forza dallo Spirito

Santo» (At 1,8…). Lo Spirito Santo è testimone di Cristo, formalmente mandato per questo: la sua

opera non inaugura una diversa economia (come in alcune eresie, ma fa parte della medesima

economia salvifica. Il testo conclude (v. 27) con la testimonianza che renderanno i discepoli, un

elemento fondamentale: testimoni storici di un evento storico: «perché siete con me dal principio»

(cfr. At 1,22: si deve scegliere il dodicesimo… che fosse testimonio delle cose viste…).

16,1-4: la passione-morte di Gesù, il grande processo a lui intentato dal mondo, possono

essere, come di fatto dovettero essere, morivo di scandalo… il Dio crocifisso! Nel v.2 si parla della

“scomunica” dalla sinagoga, scandalo per ogni vero ebreo. I persecutori sono animati dallo zelo per

Dio, credono di rendergli giustizia. Ritorna al v. 3 il motivo della mancanza di “conoscenza” non

come semplice constatazione oggettiva, si diceva, ma piuttosto come rifiuto. La persecuzione non

deve essere vista, dunque, come un evitabile incidente di percorso. Fa parte della natura stessa della

rivelazione portata da Cristo e in nome di Cristo (cfr. 1Pt 4,12).

16,5-15: il discorso di Addio di Gesù ritorna sulla figura e la funzione dello Spirito la cui

considerazione deve impedire che i suoi si rattristino. Benché la domanda su dove Gesù vada sia

stata posta esplicitamente da Tommaso, Gesù pone l‟accento, adesso, su questa mancanza dei

discepoli di allora e di sempre: il problema è infatti sapere dove Gesù vada; solo questa domanda e

la risposta di Gesù potranno vincere la desolazione che rischia di impossessarsi del discepolo

provato dal confronto con il mondo. Gesù sottolinea la “verità” di quanto dice: la missione dello

Spirito Santo è nuovamente messa in relazione con la missione salvifica del Figlio: Egli (lo Spirito)

non verrà se Gesù non tornerà al Padre. Il compimento è nella Morte - Resurrezione di Gesù; solo

dopo questo fatto fondamentale potranno ricevere lo Spirito Santo (7,39).

16, 8-11 8 E quando egli verrà, confuterà il mondo in fatto di peccato, di giustizia e di giudizio.

9 In

fatto di peccato: perché non credono in me; 10

in fatto di giustizia: perché me ne vado al Padre e voi non mi vedrete più;

11 in fatto di giudizio: perché il principe di questo mondo è già giudicato.

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 96

Lo Spirito Paraclito (avvocato) porterà le prove, dimostrerà inconfutabilmente che il Cristo è

il Signore. Lo dimostrerà accusando il mondo di ciò che gli impedisce di riconoscere la verità. Si

tratta di una causa giudiziaria nei confronti del mondo incredulo.

peri. a`marti,aj L‟accusa di “peccato” è quella rivolta a Gesù, ma il Paraclito convincerà il mondo

che esso consiste esattamente nel non credere in lui peri. a`marti,aj me,n o[ti ouv pisteu,ousin eivj evme,\ Anche se non è detto qui, dopo quanto si diceva prima risulta implicito che questa attività di

“convincimento” del Paraclito sarà portata avanti attraverso l‟opera, la testimonianza dei discepoli.

Schnackenburg, riportando in particolare quanto sostenuto da O. Betz circa la vicinanza della

funzione accusatoria del Paraclito con quanto troviamo nel libro dei Giubilei a proposito di Enoc,

sottolinea che questa tematica è già testimoniata nel giudaismo dell‟epoca di Gesù, anche a

Qumran. Si tratterebbe di immagini che hanno a che fare con il giudizio finale di Dio, mentre per la

comunità giovannea tali immagini sono spostate al presente.

Insomma lo Spirito convincerà che il “peccato” per antonomasia è proprio il non credere in

Gesù. La comunità credente ne è la dimostrazione: essa vive esattamente di quella fede.

kai. peri. dikaiosu,nhj Gesù è giustificato da Dio. peri. dikaiosu,nhj de, o[ti pro.j to.n pate,ra u`pa,gw kai. ouvke,ti qewrei/te, me\ La “giustizia” di cui si parla è il fatto che Egli, il Figlio, crocifisso, è

risorto ed è asceso accanto al Padre: è giustificato davanti ai suoi nemici.

kai. peri. kri,sewj L‟atto di giustizia reso dal Padre a Gesù sposta il mondo nella posizione di

accusato. Contro i nemici di Gesù si presentano gli stessi Mosè (5,54) La Sacra Scrittura intera

(5,39) … il giudizio del mondo verrà messo in crisi, condannato, dal giudizio di Dio peri. de. kri,sewj o[ti o a;rcwn tou/ ko,smou tou,tou ke,kritai. Cristo è stato giustificato nello Spirito. Lo

stesso Spirito, dopo la glorificazione, permetterà di comprendere tutte le cose che per adesso i

discepoli non possono “portare” (cfr. Lc 24,45). Essi non sono stati ancora trasformati dallo Spirito

in esseri spirituali.

16, 13: C‟è un‟unica sorgente di verità, che è Dio stesso, ecco perché lo Spirito non parlerà da

sé. Inoltre lo Spirito parlerà delle cose future, rivelerà i misteri ultimi (cfr. al proposito Ef 1,17). È

in ogni modo il Cristo che continua a parlare attraverso lo Spirito, che consentirà di ascoltarlo

ancora, per sempre.

Il cap. 16 continua con l‟annunzio del ritorno (16-28), la rivelazione di quanto accadrà a

partire dalla Risurrezione di Gesù. Gesù allude alle sue apparizioni di Risorto e del conseguente

capovolgimento di situazione vv. 20-21. Sarà come un sol giorno di gioia, così come viene

rappresentato dai Vangeli il “giorno” della Risurrezione (23b).

Si apre una nuova epoca, con la possibilità nuova, non prevista dallo stesso AT di chiedere nel

nome di Gesù (24). Chiedete e otterrete cfr. Mt 7,7 e Lc 11,9. I discepoli faranno l‟esperienza della

gioia piena, comunione profonda con Dio. (cfr. 1Gv 1,4).

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 97

Il racconto della passione-morte-risurrezione: (18,1- 20,31 + 21,1-25)

Sheda riassuntiva

- vicinanza strutturale ai racconti sinottici, molto più che nel resto del vangelo

- la prima parte del Vangelo che acquistò forma stabile nella tradizione

- proprio per questo risaltano i tratti più caratteristici della teologia giovannea

I fatti giovannei della passione si sviluppano secondo cinque scene fondamentali:

1. Introduzione: 18,1-11 la scena dell‟orto

2. Davanti ad Anna: 18,12-27

3. davanti a Pilato: 18,28-19,16a

4. al Calvario: 19,16b-37

5. epilogo: 19,38-42 la sepoltura nell‟orto

Differenze riscontrabili già dal confronto con i racconti sinottici:

mancano: agonia del Getsemani, bacio di Giuda e fuga dei discepoli, l‟interrogatorio sinedriale,

scene di oltraggi (casa del sommo sacerdote e corte di Erode), scherni dei passanti ai piedi della

croce, il grido di sconforto di Gesù, le tenebre che accompagnarono la sua morte, ladroni, morte di

Giuda.

Sottolinea o aggiunge: maestà su coloro che vengono ad arrestarlo, dialogo con Anna.

Amplifica: l‟interrogatorio di Pilato (18,28-19,16) con scene esclusive: Ecce Homo e Ecce rex

vester senza paralleli.

Differenzia: nella scena del calvario registra la discussione sul cartello da affiggere; interpretazione

della divisione delle vesti (Sl 21), Maria e discepolo prediletto ai piedi della croce; il colpo di lancia

nel costato.

Osservazioni di insieme: Gv elimina aspetti tragici umilianti e dolorosi: già Loisy (Le quatrieme

evangile, Paris 1903, 820) «Nel quarto evangelo la passione viene raccontata nella prospettiva della

gloria di Cristo: è Gesù glorificato nella morte»

Alcuni aspetti particolari del IV evangelo:

1. L’ora di Gesù

Apocalittica giudaica: Daniele (8,17 8:19; 11:35) Quell‟ora indicata da Daniele, è “ora del

compimento”. Il tempo della fine come “ora” finale è del resto presente nell‟apocalisse sinottica Mt

24,36// Mc 13,32 e in 1Gv 2,18. In quest‟utlimo testo l‟ora è già arrivata, vi sono già molti

anticristi. Già nei sinottici, tuttavia, l‟ora finale, pur designando il tempo finale, indica l‟ora della

passione. Così troviamo in Mc 14,35, al Getsemani: Così pure al momento dell‟arresto: 14:41.

Giovanni dunque riprende un tema già noto nella letteratura biblica ma ne approfondisce il senso

teologicamente. Si tratta dell‟ora di Gesù, fin dall‟inizio del Vangelo: 2,4; questo orientamento

verso la “sua” ora è ancora più chiaro in 7,30; 8,20, durante la festa dei tabernacoli:

All‟approssimarsi della passione Gesù proclama solennemente che l‟ora è giunta: 12,23. Come dirà

anche in 13,1 e 17,1. I capp. 12-17 fanno progredire, con il richiamo dell‟ora, la comprensione della

passione di Gesù. È il raggiungimento del vertice dell‟amore (13,1): la prova suprema sarà il dono

della vita, simboleggiato dalla lavanda dei piedi, con il deporre le vesti e il riprenderle (13,4.12).

Secondo 17,1-2 Gesù sarà glorificato per estendere il suo dominio ad ogni carne: si manifesterà

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 98

allora la fecondità del suo sacrificio, resa possibile dall‟entrata nella gloria. È l‟ora indicata dai

profeti, che diventa l‟ora di Gesù, della sua morte-risurrezione.

2. L’esaltazione del Figlio dell’uomo

Nei sinottici 3 predizione della passione (Mt 16,21; 17,22; 20,18). A questi passi in Gv sembrano

corrispondere i tre riferimenti alla propria esaltazione futura:

3,14 E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così deve essere innalzato il Figlio dell' uomo,

8,28 Disse dunque Gesù: «Quando innalzerete il Figlio dell' uomo, allora conoscerete che io sono e

che non faccio nulla da me stesso, ma come mi ha insegnato il Padre, queste cose dico.

12, 32 «E quando io sarò innalzato da terra, attrarrò tutti a me». 33 Questo lo diceva per indicare di

quale morte stava per morire. 34 Gli rispose la gente: «Noi abbiamo sentito dalla legge che il Cristo

rimane per sempre: e come dici tu che il Figlio dell' uomo deve essere innalzato? Chi è questo

Figlio dell' uomo?».

Anche per il tema dell‟esaltazione, lo sfondo va ricercato nella letteratura profetica. In particolare Is

52,13, il quarto canto del servo: “Ecco, il mio servo avrà successo, sarà innalzato, elevato ed

esaltato grandemente”.

La prima applicazione della chiesa primitiva è all‟Ascensione di Gesù: At 2,33; 5,31; Così come in

Paolo: Fil 2,9-10

Giovanni ha indicato che il luogo dell‟esaltazione di Gesù è sulla croce: 12,30-34.

L‟esaltazione, anticipata da Giovanni alla crocifissione, è considerata nella sua prospettiva regale e

soteriologica: dalla croce attira tutti a se esercitando così la sua vera regalità. Tutti coloro che

guarderanno a Cristo in croce, avranno la vita eterna. Il dominio di satana viene rimpiazzato dal

potere regale di Gesù che dalla croce-trono attira tutti a se. Si comprende allora la grande

importanza assegnata al tema della regalità di Cristo nel racconto giovanneo della passione.

Anticipa l‟esercizio della regalità di Cristo rispetto all‟idea dell‟intronizzazione alla destra del padre

dopo la risurrezione, perché considera già la crocifissione a partire dai fruti che produrrà per la

salvezza del mondo.

3. Anticipazione degli eventi escatologici

Sulla croce si realizzano anche eventi di solito connessi alla fine dei tempi:

il giudizio: non più alla fine dei tempi, ma nell‟atteggiamento che gli uomini assumono davanti a

Gesù Cristo. Il giudizio si concentra in particolare nel momento dell‟ora, come del resto Gesù stesso

dice in 16,11. La croce, esaltazione del re-messia, costituisce nel contempo la condanna del mondo

peccatore. Anche il tema del raduno del popolo in unità appartiene alle promesse escatologice

tradizionali

A proposito della restaurazione messianica Gr 31,10: «Ascoltate la parola del Signore, nazioni, e

annunziatelo tra le isole lontane. Dite: Chi ha disperso Israele, lo raduna e lo custodisce, come un

pastore il suo gregge.»

La realizzazione di questa promessa è presentata in maniera diversa nel NT:

Atti: Pentecoste (At 2,5-11); Gv vede radunarsi il popolo attorno a Gesù elevato sulla croce. Tale è

il senso della inconsapevole profezia si Caifa: Gv 11,49-52. Come del resto si ritrova nelle parole di

Gesù: 12, 32 E quando io sarò innalzato da terra, attrarrò tutti a me».

Attorno alla croce si radunerà la nuova comunità messianica

Gesù vive la sua passione con libertà e consapevolezza. Compie l‟opera di salvezza non come

vittima inconsapevole ma come sovrano che conosce il senso degli avvenimenti e li accetta

liberamente.

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 99

Gv 18,33-37

33 Eivsh/lqen ou=n pa,lin eivj to. praitw,rion o` Pila/toj kai. evfw,nhsen to.n VIhsou/n kai. ei=pen auvtw/|( Su. ei= o` basileu.j tw/n VIoudai,wnÈ 34 avpekri,qh VIhsou/j( VApo. seautou/ su. tou/to le,geij h' a;lloi ei=po,n soi peri. evmou/È 35 avpekri,qh o` Pila/toj( Mh,ti evgw. VIoudai/o,j eivmiÈ to. e;qnoj to. so.n kai. oi avrcierei/j pare,dwka,n se evmoi,\ ti, evpoi,hsajÈ 36 avpekri,qh VIhsou/j( ~H basilei,a h` evmh. ouvk e;stin evk tou/ ko,smou tou,tou\ eiv evk tou/ ko,smou tou,tou h=n h` basilei,a h` evmh,( oi u`phre,tai oi evmoi. hvgwni,zonto Îa'nÐ i[na mh. paradoqw/ toi/j VIoudai,oij\ nu/n de. h` basilei,a h` evmh. ouvk e;stin evnteu/qenÅ 37 ei=pen ou=n auvtw/| o` Pila/toj( Ouvkou/n basileu.j ei= su,È avpekri,qh o` VIhsou/j( Su. le,geij o[ti basileu,j eivmiÅ evgw. eivj tou/to gege,nnhmai kai. eivj tou/to evlh,luqa eivj to.n ko,smon( i[na marturh,sw th/| avlhqei,a|\ pa/j o` w'n evk th/j avlhqei,aj avkou,ei mou th/j fwnh/jÅ

L‟evangelista Giovanni diversamente dai racconti sinottici non presenta il resoconto del

processo sinedriale narrando invece di un interrogatorio previo davanti al Anna, influente capo della

famiglia sacerdotale di cui faceva parte lo stesso Caifa. Sviluppa invece in maniera ricca e articolata

l‟interrogatorio che ebbe luogo davanti all‟auotorità romana, Ponzio Pilato, prefetto della Giudea in

quel tempo (18, 28-19,16). Al processo romano fanno riferimento anche i sinottici in maniera

sintetica rispetto a Giovanni facendo comunque riferimento al capo di accusa principale: essersi

fatto re dei giudei. Il quarto evangelista sviluppa l‟interrogatorio di Pilato in una successione di

scene in cui si alternano il confronto diretto tra il prefetto e Gesù, all‟interno del pretorio, e tra il

prefetto e “i Giudei”, cioè coloro che gli avevano consegnato Gesù accusandolo, all‟esterno del

pretorio. Lo spostamento dall‟interno all‟esterno del pretorio e viceversa, conferisce alla narrazione,

nel suo complesso, un movimento quasi da rappresentazione drammatica inducendo a parlare di una

vera e propria successione di scene.

Il versetto che introduce la scena di cui ci occupiamo, inizia proprio con il riferimento al

rientro di Pilato nel pretorio dopo il primo contatto con coloro che glielo avevano condotto nel

quale aveva tentato di rinviare l‟imputato al giudizio giudaico “secondo la vostra legge” (v. 31)

ottenendone un rifiuto motivato dal fatto che secondo la pratica romana attestata anche altrove il

popolo sotto amministrazione romana non poteva emettere ed eseguire condanne a morte «A noi

non è consentito mettere a morte nessuno». Deve dunque aver luogo un processo romano che,

secondo il diritto romano non prevede, come nel caso del processo sinedriale, l‟escussione dei

testimoni, ma l‟interrogatorio diretto dell‟imputato da parte del giudice. Si trattava di un

interrogatorio piuttosto sommario, diverso da quello, più minuzioso richiesto per i cittadini romani.

Dai versetti precedenti non risulta la formulazione precisa dell‟accusa che ora Pilato rivolge,

come domanda, all‟imputato: «Tu sei il re dei Giudei?». Si tratta della traduzione politica della

pretesa messianica, resa necessaria perché l‟autorità romana la prendesse in considerazione come

chiaro caso di ribellione politica. Qui veniva messa in discussione, infatti, l‟autorità stessa di Roma

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 100

che, come dimostrerà il seguito del processo, non poteva restare indifferente di fronte ad una simile

accusa.

Da questo momento le repliche di Gesù si alternano con le domande di Pilato in una crescente

focalizzazione sul tema della pretesa regalità ma soprattutto sul tipo di regalità che Gesù avrebbe

rivendicato. Un‟occasione per chiarire la regalità di Cristo nel suo vero significato. “Re dei Giudei”

appare una formulazione non giudaica: i giudei avrebbero più facilmente parlato di “Re d‟Israele”

(Mc 15,32 // Mt 27,42), come fa anche Giovanni intendendo tale formulazione in senso onorifico (

1,49; 12,13). Gesù non risponde alla domanda ma ne formula un‟altra con la chiara insinuazione di

un‟accusa formulata non direttamente dal suo giudice. Pilato risponde affermativamente alla

domanda di Gesù ma anche prendendo le distanze dal popolo di Gesù: «Sono forse io Giudeo? La

tua gente e i sommi sacerdoti ti hanno consegnato a me…». Il generico riferimento alla gente

(ethnos, popolo) va riferito piuttosto a coloro che glielo avevano condotto, i capi del sinedrio,

probabilmente i sadducei. Dopo 18,3 in Giovanni non sono più nominati i farisei. In queste

annotazioni l‟evangelista Giovanni si avvicina con maggiore verosimiglianza allo svolgimento dei

fatti: furono soprattutto i sommi sacerdoti a volere la morte di Gesù per il mantenimento della

situazione economica, politica e religiosa con la quale essi ormai erano abituati a convivere

traendone i propri benefici. Il coinvolgimento dei farisei, e addirittura della folla, a cui accenna

Matteo, è da intendere come un allargamento teologico nella responsabilità del popolo dell‟alleanza

al rifiuto del Messia.

Nella sua risposta Gesù parla non del suo essere re, ma del suo regno, basileia, precisandone il

contenuto in negativo e in positivo. Egli parla tuttavia non del regno di Dio in quanto tale, ma della

propria basileia, cioè della dignità regale che è diversa da quella del mondo. La basileia di Cristo

non è “del mondo” ma neppure è presentata come qualcosa che appartiene alla sfera celeste, essa ha

a che fare con il mondo, la sfera in cui viene esercitata è, cioè, il mondo per il quale il Cristo è

venuto. Si mostra nel mondo laddove la voce del rivelatore è ascoltata. Sono infatti diverse le

connotazioni della parola “mondo” nel IV Vangelo: se ne sottolinea spesso l‟aspetto negativo, come

nel caso dell‟espressione “principe di questo mondo” (Gv 12,31; 16,11), ma può anche

semplicemente distinguere lo spazio umano dalla sfera celeste (12,25; 13,1). Nella risposta a Pilato

Gesù qualifica il senso della sua regalità contrapponendola alla maniera umana: questa si realizza, e

ne è bene a conoscenza il prefetto romano, con il ricorso agli eserciti e alle armi, non così la regalità

di Cristo. Ai “servi” hypêretai inviati per arrestarlo (18,12) egli non oppone i suoi servi che

avrebbero opposto una resistenza in linea con i metodi dei regni di questo mondo. Nella risposta

Gesù fa riferimento alla sua consegna si “Giudei” più che ai romani. Il termine Giudei nel IV

Vangelo è stato diversamente spiegato, ritenuto spesso, soprattutto nei secoli passati, come

l‟indicazione del popolo giudaico nel suo complesso. Altri hanno voluto spiegarlo in riferimento ai

soli sadducei, il partito realmente interessato a contenere il “fenomeno” Gesù, come ogni altro

fattore di disturbo nella situazione di delicato equilibrio con il dominatore romano. Probabilmente

per spiegarne il senso bisogna far riferimento non tanto al tempo in cui si svolsero i fatti, ma al

periodo in cui il Vangelo venne scritto e completato nella sua forma attuale (fine primo secolo): la

comunità giovannea, anche per il suo approfondimento teologico e cristologico sulla missione del

Verbo, avvertiva e registrava, nel contempo, la distanza che la separava dalle altre forme di

giudaismo; percepiva ormai i giudei come estranei e da essi era allo stesso modo percepita.

L‟acquisita coscienza di estraneità assumeva, naturalmente, anche la forma dell‟ostilità. È questo

contesto, contemporaneo alla redazione dei fatti più che al loro svolgimento, che fa semplificare il

discorso e parlare di “Giudei” nel loro complesso, avversari dei cristiani alla fine del primo secolo,

avversari di Gesù Cristo e veri responsabili della sua passione e morte. Ciò spiega anche la tendenza

comune, in misura diversa ai quattro evangelisti, ad insistere piuttosto sulla loro responsabilità che

sulla responsabilità romana (cfr. 19, 12-16) anche se è chiaro, proprio dal nostro racconto, che la

condanna a morte di Gesù per lesa maestà fu emessa ed eseguita dai romani, su denuncia dei capi

giudei dell‟epoca e non certamente per una ostilità diffusa del popolo giudaico contro Gesù, come

del resto gli stessi quattro vangeli attestano.

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 101

Nonostante la risposta di Gesù avesse il senso di un distanziamento proprio dall‟accusa

rivoltagli, per Pilato costituì, continua Giovanni al v.37, l‟occasione per ricavarne una ammissione:

«Dunque tu sei re?». È proprio dello stile giovanneo portare avanti il discorso di rivelazione anche

attraverso le inconsapevoli affermazioni degli interlocutori di Gesù che creano spesso un equivoco

che però assume il valore di una confessione di fede per il lettore cristiano, insieme ad una certa

ironia. Sì, Gesù è re: «Tu lo dici, sono re». Tuttavia Gesù aggiunge una nuova spiegazione circa la

sua regalità che dilata i confini ristretti della prospettiva di Pilato alla ricerca di un chiaro capo di

imputazione: «Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere

testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce». La diversa regalità che

qualifica Gesù come re, dipende dalla sua stessa origine che, come la sua regalità, non è di questo

mondo. L‟esercizio di tale regalità è il motivo per il quale egli è venuto nel mondo: “Venne nel

mondo… ma i suoi non lo riconobbero” (cfr. Gv 1,9-10). La specificazione di Gesù risulta così

densa di riferimenti alla preesistenza, all‟incarnazione… che la trasformano in un concentrato

kerygmatico chiaro solo per chi ha la possibilità di “vedere” al di là della dimensione terrena.

Davanti al prefetto romano, conscio del suo potere di vita e di morte, è proprio Gesù che esprime in

pieno la regalità, quella deriva da Dio e non dagli uomini, che ha a che fare con la “verità” e non

con l‟esercizio del potere.

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 102

Brevi note introduttive all‟Apocalisse di Giovanni

BIBLIOGRAFIA: BAUCKHAM R., La teologia dell‟Apocalisse, Paideia, Brescia 1994;

BIGUZZI G., L‟Apocalissee i suoi enigmi, Paideia, Brescia, 2004;

BIGUZZI G., Apocalisse, Nuova versione introduzione e commento, Paoline, Milano 2005;

BOSETTI E. – COLACRAI A. (a cura di), Apokalypsis. Percorsi nell‟Apocalisse di Giovanni, Cittadella, Assisi 2005;

COMBLIN J., Le Christ dans l‟Apocalypse, Tournai 1965 ;

CORSINI E., Apocalisse di Gesù Cristo secondo Giovanni, SEI, Torino 2002;

FIORENZA SCHÜSSLER E., The Book of Revelation. Justice and Judgment, Fortress Press, Minneapolis1998;

HOLTZ T., Die Christologie der Apocalypse des Johannes, Berlin 1962;

LUPIERI E., L‟Apocalisse di Giovanni, Mondadori, Milano 1999; IV ed. 2005.

MAZZEO M., La sequela di Cristo nel libro dell‟Apocalisse, Paoline, Milano 1997; Lo Spirito parla alla chiesa, nel

libro dell‟Apocalisse, Paoline, Milano 1999; Il volto trinitario di Dio nel libro dell‟Apocalisse, Paoline, Milano

1999.

PRIGENT P., L‟Apocalisse di Giovanni, Borla, Città di Castello 1985;

VANNI U., L‟Apocalisse: ermeneutica, esegesi, teologia (Supplementi alla Rivista Biblica 17), Ed. Dehoniane, Bologna

1988;

Lo studio di questo complesso scritto, l‟ultimo del NT, comporterebbe un intero corso, per non

parlare poi del peso che esso ha avuto nella storia della cultura cristiana sin dai primi secoli del

cristianesimo: la sua accoglienza e il suo rifiuto, le sue interpretazioni eterodosse, il suo

simbolismo… fino all‟uso del termine stesso “Apocalisse” e dell‟aggettivo “apocalittico” che

vengono continuamente usati per indicare qualcosa di paurosamente distruttivo…

La Bibliografia su questo libro è naturalmente molto ampia ed è facilmente consultabile anche

nelle bibliografie riportate dai volumi citati.

Per una breve storia dell‟interpretazione si può consultare l‟introduzione al volume di Lupieri

che prolunga le sue osservazioni con un paragrafo proprio sull‟Apocalittica giudaica che legittima

un‟interpretazione di tipo allegorico... Lupieri chiarisce che si può oparlare di “apocalittica” in modi

diversi: Come fenomeno letterario di lunghissima durata, anche non giudaico che esiste tuttora nelle

culture religiose scaturite dal tronco giudaico-cristiano-islamico; come genere letterario

accomunando tra loro quei testi che in qualche modo assomigliano all‟Apocalisse (in particolare a

partire dal fatto che si tratta di “rivelzazioni”); come una particolare tradizione giudica che ha

prodotto testi apocalittici e dietro i quali è possibile distingere una linea comune originaria

all‟interno del giudismo. (cf. Lupieri XXXI nota 2)

Sulla letteratura giudaica “apocalittica”

Lo studio ed il dibattito scientifico intorno alla questione dell'"apocalittica", di come si possa

definirla in modo concettualmente chiaro, tale da corrispondere ai contenuti ed alla forma delle

diverse "apocalissi", ha mostrato, al di là delle singole conclusioni, il suo principale punto debole:

l'idea, più o meno esplicita, che l'"apocalittica" dovesse avere necessariamente una unità di pensiero

chiaramente esponibile in forme concettuali. La ricerca di un denominatore comune tra opere la cui

composizione è collocabile in un arco storico di cinque secoli (V-IV a.C.- I d.C.) è senza dubbio

testimonianza della consapevolezza comune che una relazione specifica esiste tra loro, ma non può

essere soddisfatta, per esigenze di chiarezza concettuale, con l'appiattimento delle differenze.

Proprio quelle differenze hanno determinato negli ultimi tempi la proposta di diverse

criteriologie per la definizione cercata, rivelando spesso il carattere tautologico delle affermazioni

allorché, per definire l'apocalittica e determinare le opere che di essa fanno parte, si è operato una

scelta previa di opere da cui ricavare i criteri comuni, scelta che nasceva già da una pre-definizione,

almeno mentale di apocalittica.

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Pur con questi limiti, comuni peraltro ad altri campi della ricerca, l'impresa non é

irragionevole dal momento che, nonostante le differenze, si percepisce che alcune opere del

giudaismo degli ultimi secoli dell'evo pre-cristiano e del primo secolo cristiano sono accomunabili e

non solo limitatamente alla forma letteraria.

E' nell'ambito di questo dibattito che si inserisce il lavoro del prof. Paolo Sacchi, ordinario di

Ebraico e aramaico all'università di Torino. E' una raccolta di 12 articoli composti dall'autore

nell'arco di dieci anni, testimonianza di un lungo impegno di ricerca.

L'introduzione (pp.9-26) colloca opportunamente i diversi articoli nell'ampio dibattito di cui

si offrono le coordinate, segnalando le principali opere che furono alla base dell'approfondimento.

A proposito di tali opere, proprio la prima di quelle citate dal professor Sacchi, D.S.Russel, The

Method and Message of Jewish Apocalyptic, Philadelphia 1964, a cui riconosce un ruolo particolare

nell'ambito degli studi sull'apocalittica, è disponibile oggi anche in italiano: L'apocalittica giudaica

(Biblioteca teologica 23) Paideia, Brescia 1991.

Gli articoli sono raggruppati nelle due parti di cui si compone il volume. La prima, "Alla

ricerca di un'apocalittica storica" (pp. 29-169), è centrata sul problema più interessante ed attuale

relativo alla definizione stessa di "apocalittica", la seconda, "Alcuni temi della corrente apocalittica

sullo sfondo del pensiero giudaico" (pp. 171-318), raccoglie studi specifici su libri e temi

dell'apocalittica.

Molto curata ed utile la bibliografia conclusiva, divisa per argomenti e temi (pp. 321-361).

L'autore si inserisce nel dibattito proponendo, in maniera chiara nell'introduzione e nello

stesso titolo della parte I, un superamento dei termini che ne sono stati punto di partenza: non tanto

la ricerca di una definizione concettualmente precisa e perciò astratta di apocalittica, quanto

l'osservazione storica di un fenomeno storico-letterario che riguarda una corrente del pensiero

giudaico, le cui molteplici testimonianze sono oggi più precisamente collocabili all'interno della

storia giudaica. La prospettiva dello studioso è dunque di tipo storico; su questo piano è possibile

rintracciare le origini dell'apocalittica che nasce come "movimento culturale, sviluppatosi sulle

correnti del pensiero meridionale di Israele, quando queste, in seguito all'esilio babilonese,

restarono isolate in patria" (p.128) diversificandosi teologicamente dagli esiliati, e costituendo, per

la politica successiva al ritorno degli esiliati, quella che oggi definiremmo una "minoranza". E'

dunque nella Teologia del Patto, definizione che l'autore preferisce a quella di Teologia meridionale

"troppo compromessa con una ricostruzione della storia" improbabile (p. 319) che va rintracciata

l'origine storico-teologica dell'apocalittica.

Non a caso, perciò, il primo articolo del volume è dedicato al Libro dei Vigilanti, testo

certamente più antico del 200 a.C., primo tomo del pentateuco enochiano (Enoc 6-36), assunto

dall'autore come punto di partenza cronologico per uno studio dell'apocalittica. Il Libro dei Vigilanti

permette così una verifica critica degli otto temi proposti dal Koch come fondamentali per

l'apocalittica in generale. Così se il tema dell'attesa e la dottrina dei cicli rivelano, nel confronto, il

loro carattere tardivo, è possibile riconoscere in temi come l'origine del male, il mondo di mezzo, la

fine già presente, l'intermediario della salvezza ecc., quei temi di partenza che saranno sviluppati

nel tempo, presentando anche nuovi sviluppi. Anzi, a testimoniare quanto vario e complesso sia il

mondo dell'apocalittica, uno sviluppo può essere colto già all'interno stesso del Libri dei Vigilanti,

attraverso i diversi strati in esso identificabili (Parte I, cap.3, pp.99-130). Si delinea così il carattere

fluido dell' apocalittica e l'autore insiste, giustamente, sul carattere storico, evolutivo di un pensiero

che per esigenze moderne di classificazione, viene spesso rinchiuso in definizioni a-storiche.

Di particolare rilievo il problema del male, della sua origine e della salvezza da esso, uno dei

temi di fondo per la comprensione del pensiero apocalittico (in particolare Parte I, cap. 2, pp. 79-

98), alla radice dell'apocalittica (p.128). Questo tema, insieme a quello della mediazione-mediatore,

e del mondo di mezzo, vengono ripresi e approfonditi particolarmente nella seconda parte del

volume.

E' difficile sintetizzare un'opera come quella di Sacchi, data la sua natura di raccolta. Eppure

in ogni articolo riappare, come ricerca di fondo, l'esigenza di collocare i singoli aspetti del pensiero

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 104

apocalittico, all'interno di un quadro storico-cronologico di sviluppo che dà ragione, più che nei

passati tentativi, della vitalità e della varietà del pensiero apocalittico prossimo all'era cristiana. Va

sottolineata, e l'autore lo fa diverse volte, l'importanza di questi approfondimenti per lo studio

dell'ambiente di formazione del Nuovo Testamento, laddove, però, biblisti e teologi rinuncino a

quell'uso superficiale della letteratura tardo-giudaica e apocalittica in particolare, teso a sostenere e

confermare idee e concezioni teologiche. E ciò non limitatamente al problema generale

dell'apocalittica ma anche in relazione ad aspetti particolari del pensiero apocalittico che gettano

una luce nuova sul mondo del Nuovo Testamento, come sempre più generalmente viene ammesso

(si pensa per es. ad opere come quella di J.H.Charlesworth, Jesus within Judaism, New York 1988).

A tale proposito si vuole sottolineare, in particolare, l'importanza del cap. 7., parte II: "Enoc

Etiopico 91,15 e il problema della mediazione", che offre spunti di forte interesse per gli studiosi di

Nuovo Testamento come indicato dallo stesso Prof. Sacchi a conclusione del capitolo (p. 198).

Altrettanto interessante, per gli stessi motivi, il cap. 8. (parte seconda), "Messianismo e

apocalittica", in cui viene illustrato il particolare rilievo che nell'apocalittica assume la figura di un

mediatore di salvezza. La ripresa del messianismo a partire dal II sec. a.C., e soprattutto il tema del

mediatore di salvezza, risvolto del messianismo (p.216), introduce il lettore ad una riflessione sulla

figura enochiana del "Figlio dell'uomo" che nel Libro delle Parabole presenta, cumulate, le funzioni

di mediatore e di Messia (p.217). A conclusione del capitolo l'autore sottolinea, giustamente,

l'importanza della considerazione di questa figura apocalittica per gli studiosi di Nuovo Testamento:

"...chiave migliore per comprendere il messianismo cristiano" (p. 219). Una suggestione che,

crediamo, può spingere a riflessioni ulteriori, che non fermandosi solo al piano della letteratura e

del pensiero neotestamentario, spingano a riaprire il discorso sulla stessa storia di Gesù e sulle

figure e categorie di cui egli si servì per presentarsi ai contemporanei.

Non manca, tra gli studiosi, chi ha messo in dubbio l‟appartenenza dell‟Apocalisse giovannea al

genere apocalittico strettamente inteso.

L’Apocalisse di Giovanni

Data di composizione

Ireneo di Lione (seconda metà II secolo, riportata da Eusebio di Cesarea nella Hist.): ultimo

anno dell‟imperatore Domiziano, assassinato nel settembre del 96. Il 95 è ritenuto la data verosimile

dalla maggior parte degli studiosi.

Tentativi di anticipazioni: sotto le persecuzioni precedenti: Claudio (41-54), Nerone (54-68),

Traiano (98-117): Giovanni avrebbe scritto per incoraggiare i compagni sotto la persecuzione.

Lupieri data lo scritto tra il 70 e il 100 d.C., cioè dopo la distruzione del tempio di

Gerusalemme ad opera di Tito; al massimo poco prima, 67. Tresmontand, Apocalypse, 269s.,

ritenendo con altri che la grande prostituta sia Gerusalemme, afferma che la sua distruzione venne

annunciata dall‟Apocalisse poco prima che accadesse.

Autore

Ap (cf 1,4.9; 22,8) indica il proprio autore: Giovanni. La tradizione dei primi secoli lo ha

identificato con Giovanni apostolo, autore degli altri scritti del corpus. Eusebio cita diverse

posizioni, già nell‟antichità: quella del presbitero romano Gaio che la attribuisce a Cerinto (inizio

III sec.: rifiutava anche gli altri scritti attribuiti a Giovanni per combattere il montanismo,

movimento a carattere millenaristico nato in Asia Minore) e del vescovo di Alessandria Dionigi

(prima metà III sec.: parla di un altro Giovanni presente ad Efeso).

Incertezze e perplessità anche in Eusebio di Cesarea. Motivi sono certamente il millenarismo;

ma nel caso specifico di Eusebio anche il nuovo corso del cristianesimo nell‟impero romano sotto

Costantino di cui Eusebio era amico e consigliere (l‟Apocalisse descrive invece il rapporto dei

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 105

cristiani con Roma con caratteri conflittuali…). C‟è tuttavia di rilevare che altri autori (per es.

Ireneo e Origene) già precedentemente si orientavano alla collaborazione con Roma, ma non

disdegnando di utilizzare l‟Apocalisse che evidentemente non dovette loro apparire tanto

antiromana (in parte si deve all‟interpretazione di alcune metafore, come la grande prostituta che

anche oggi molti attribuiscono a Roma mentre altri per esempio Corsini, attribuiscono a

Gerusalemme). Le cose cambiarono in seguito alle grandi persecuzioni (III sec.: Settimio Severo,

Decio, Valeriano, Massimino, Diocleziano): l‟impero romano è visto allora come il vero grande

persecutore anticristico (cfr. Ippolito vescovo di Roma martirizzato nel 235) e, in occidente, il

primo commento pervenutoci su Ap: Vittorio di Petovio (martirizzato nel 304).

Con articolate dimostrazioni (anche in contrasto con differenti percorsi che raggiungono la

stessa conclusione) Corsini ritiene che sia ancora possibile ipotizzare l‟apostolicità dello scritto:

proprio a partire dal fatto non secondario della visione teologica dell‟escatologia realizzata che è

caratteristica degli scritti giovannei e dell‟Apocalisse (nell‟interpretazione storicizzata che ne dà

l‟autore per cui le immagini, per esempio della cosiddetta Gerusalemme escatologica si riferiscono

in realtà alla nuova Gerusalemme dei cristiani…).

L‟unità letteraria dell‟opera è stata messa in dubbio, ma la critica recente ricerca piuttosto di

spiegare il testo così come esso si presenta anziché affidarsi a ricostruzioni più o meno credibili.

Struttura. Tra le diverse proposte, alcune delle quali molto articolate, preferiamo la più

semplice che tiene conto dei settenari. L‟uso del sette ricorda senza dubbio il precedente biblico di

Gn 1,1-2,4a ed avrà successo nella divisione religiosa del tempo in sette ere… Inoltre, in tali

tradizioni un ruolo particolarmente importante lo ha il sesto giorno, quello della creazione

dell‟uomo che anche nei settenari dell‟apocalisse risulta essere il momento cruciale dei settenari. La

ripetizione infatti del numero sette e l‟organizzazione in settenari è una delle più frequenti ed ovvie

considerazioni ad una prima lettura del testo. In generale, e non senza variazioni anche significative, si riconoscono nel testo le seguenti parti::

Prologo 1,1-8

Parte I: 1,9-3,22 Messaggi alle sette chiese dell‟Asia

Parte II: 4,1-22,5 4,1-5,14 Preparazione della scena dei sette sigilli

6,1-8,1 sette Sigilli

8,2-6 Preparazione della scena delle sette trombe

8,7-11,19 sette trombe

12,1-15,8 Introduzione alle sette coppe

16,1-21 sette coppe

17,1-22,5 Sviluppo del messaggio del settenario delle

coppe

Epilogo 22,6-21