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Appunti di Analisi Matematica 2, A.A 2015 - 2016 1 giugno 2016 1 Elementi di topologia di R n e C n Definizione 1. Un gruppo è una coppia (G , *) ove con G si indica un insieme non vuoto e con * : G × G G (g 1 ,g 2 ) 7g 1 * g 2 un’operazione binaria che soddisfi le seguenti proprietà: 1. Associatività: g 1 ,g 2 ,g 3 G vale che (g 1 * g 2 ) * g 3 = g 1 * (g 2 * g 3 ); 2. Esistenza dell’elemento neutro: e G |∀g G vale che g * e = e * g = g; 3. Esistenza dell’inverso bilatero: g G g -1 G : g * g -1 = g -1 * g = e. Definizione 2. Se g 1 ,g 2 G vale che g 1 * g 2 = g 2 * g 1 , la coppia (G , *) è un gruppo abeliano o commutativo. Esempi di gruppi abeliani e non possono essere: (R n , +), (Z, +), (Q, +); • L’insieme delle traslazioni è un gruppo abeliano; • L’insieme delle rotazioni di centro fisso è un gruppo abeliano; (B ii (X), ) è un gruppo non abeliano (aka l’insieme delle funzioni biiettive definite su X a valori in X); • L’insieme delle rototraslazioni è un gruppo non abeliano. Una semplice dimostrazio- ne/spiegazione può essere ottenuta grazie al teorema di isomorfismo: essendo le trasforma- zioni delle applicazioni lineari da R n in R n , ad ognuna di esse è associata in modo univoco una matrice M n (f ) M n (R). Poiché il prodotto fra matrici non è commutativo, così non è commutativa la composizione di rotazioni e traslazioni. Definizione 3. Si definisce prodotto scalare nello spazio vettoriale R n una forma bilineare simmetrica definita positiva h,i : R n × R n R (v, w) 7→hv, wi che soddisfi le seguenti proprietà: 1. Positività: v R n hv, vi≥ 0 ∧hv, vi =0 ⇐⇒ v = 0; 2. Linearità rispetto al primo (e al secondo, qui non riportata) termine: v 1 , v 2 , w R n hv 1 + v 2 , wi = hv 1 , wi + hv 2 , wi; 3. Simmetria: v, w R n hv, wi = hw, vi. 1

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Appunti di Analisi Matematica 2, A.A 2015 - 2016

1 giugno 2016

1 Elementi di topologia di Rn e Cn

Definizione 1. Un gruppo è una coppia (G , ∗) ove con G si indica un insieme non vuoto e con

∗ : G × G → G

(g1, g2) 7→ g1 ∗ g2

un’operazione binaria che soddisfi le seguenti proprietà:

1. Associatività: ∀g1, g2, g3 ∈ G vale che (g1 ∗ g2) ∗ g3 = g1 ∗ (g2 ∗ g3);

2. Esistenza dell’elemento neutro: ∃e ∈ G | ∀g ∈ G vale che g ∗ e = e ∗ g = g;

3. Esistenza dell’inverso bilatero: ∀g ∈ G ∃g−1 ∈ G : g ∗ g−1 = g−1 ∗ g = e.

Definizione 2. Se ∀g1, g2 ∈ G vale che g1 ∗ g2 = g2 ∗ g1, la coppia (G , ∗) è un gruppo abelianoo commutativo.

Esempi di gruppi abeliani e non possono essere:

• (Rn,+), (Z,+), (Q,+);

• L’insieme delle traslazioni è un gruppo abeliano;

• L’insieme delle rotazioni di centro fisso è un gruppo abeliano;

• (Bii(X), ) è un gruppo non abeliano (aka l’insieme delle funzioni biiettive definite su Xa valori in X);

• L’insieme delle rototraslazioni è un gruppo non abeliano. Una semplice dimostrazio-ne/spiegazione può essere ottenuta grazie al teorema di isomorfismo: essendo le trasforma-zioni delle applicazioni lineari da Rn in Rn, ad ognuna di esse è associata in modo univocouna matrice Mn(f) ∈Mn(R). Poiché il prodotto fra matrici non è commutativo, così nonè commutativa la composizione di rotazioni e traslazioni.

Definizione 3. Si definisce prodotto scalare nello spazio vettoriale Rn una forma bilinearesimmetrica definita positiva

〈,〉 : Rn × Rn → R(v,w) 7→ 〈v,w〉

che soddisfi le seguenti proprietà:

1. Positività: ∀v ∈ Rn 〈v,v〉 ≥ 0 ∧ 〈v,v〉 = 0 ⇐⇒ v = 0;

2. Linearità rispetto al primo (e al secondo, qui non riportata) termine: ∀v1,v2,w ∈ Rn 〈v1 + v2,w〉 =〈v1,w〉+ 〈v2,w〉;

3. Simmetria: ∀v,w ∈ Rn 〈v,w〉 = 〈w,v〉.

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Definizione 4. Sia Cn uno spazio vettoriale. Una forma sesquilineare sul campo C è una mappa

φ : Cn × Cn → C(v,w) 7→ φ(v,w)

che soddisfi le seguenti proprietà:

1. ∀v1,v2,w1,w2 ∈ Cn φ(v1+v2,w1+w2) = φ(v1,w1)+φ(v1,w2)+φ(v2,w1)+φ(v2,w2);

2. ∀v,w ∈ Cn ∧ ∀λ ∈ C φ(λv,w) = λφ(v,w);

3. ∀v,w ∈ Cn ∧ ∀λ ∈ C φ(v, λw) = λφ(v,w).

Se la forma sesquilineare è simmetrica, cioè se ∀v,w ∈ Cn φ(v,w) = φ(w,v), viene chiamataforma hermitiana.

Il prodotto scalare standard su Rn, data la base canonica C := e1, . . . , en, è così definito:

〈x,y〉 :=

n∑i=1

xiyi

ove con xi, yi si intendono le componenti rispettivamente dei vettori x,y rispetto all’iesimo vet-tore della base ortonormale C . La forma hermitiana standard su Cn, data una base ortonormaleC := e1, . . . , en, è invece:

φ(x,y) =

n∑i=1

xiyi

La definizione di un prodotto scalare su Rn permette anche di definire la norma euclidea/standard.

Definizione 5. Sia x ∈ Rn un vettore dello spazio vettoriale Rn, spazio in cui abbiamo definitoun prodotto scalare 〈v,w〉 . Si definisce norma euclidea del vettore x

‖x‖ :=√〈x,x〉 =

√√√√ n∑i=1

x2i

Valgono le seguenti proprietà:

1. ∀x ∈ Rn ‖x‖ ≥ 0 ∧ ‖x‖ = 0 ⇐⇒ x = 0;

2. ∀x ∈ Rn ∧ ∀λ ∈ R ‖λx‖ = |λ| ‖x‖;

3. ∀x,y ∈ Rn ‖x + y‖ ≤ ‖x‖+ ‖y‖;

4. ∀x,y ∈ Rn∣∣‖x‖ − ‖y‖∣∣ ≤ ‖x− y‖.

Teorema 1 (Di Cauchy-Schwarz). ∀x,y ∈ Rn∣∣〈x,y〉∣∣ ≤ ‖x‖‖y‖

Dimostrazione. Siano x,y ∈ Rn due vettori non nulli. Prendiamo λ ∈ R. Abbiamo che

‖x + λy‖2 = 〈x + λy,x + λy〉 = 〈x,x〉+ λ 〈y,x〉+ λ 〈x,y〉+ λ2 〈y,y〉

= ‖x‖2 + 2λ 〈x,y〉+ λ2‖y‖2

Scegliendo opportunamente λ (in questo caso ponendolo uguale a − 〈x,y〉‖y‖2 ) si ottiene

‖x + λy‖2 = ‖x‖2 − 2〈x,y〉2

‖y‖2+〈x,y〉2

‖y‖2= ‖x‖2 − 〈x,y〉

2

‖y‖2

Ricordando che ‖x + λy‖2 ≥ 0, abbiamo che

‖x‖2 − 〈x,y〉2

‖y‖2≥ 0; ‖x‖2 ≥ 〈x,y〉

2

‖y‖2; ‖x‖2‖y‖2 ≥ 〈x,y〉2

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Elevando ambo i membri alla 0.5 otteniamo, con i dovuti accorgimenti

‖x‖‖y‖ ≥∣∣〈x,y〉∣∣

L’asserto è dimostrato.

Definizione 6. Una distanza o metrica su Rn è una funzione

d : Rn × Rn → R(x,y) 7→ d(x,y)

definita, data una norma, nel modo seguente

d(x,y) := ‖x− y‖

che verifica le seguenti proprietà:

1. ∀x,y ∈ Rn d(x,y) ≥ 0 ∧ d(x,y) = 0 ⇐⇒ x = y;

2. ∀x,x ∈ Rn d(x,y) = d(y,x);

3. Disuguaglianza triangolare: ∀x,y, z ∈ Rn d(x,y) ≤ d(x, z) + d(z,y).

La coppia (Rn, d) viene chiamata spazio metrico. In particolare, in Rn, data una base C , lametrica è così definita:

d(x,y) =

√√√√ n∑i=1

|xi − yi|2

Definizione 7. Sia Rn uno spazio metrico, e sia x0 ∈ Rn. Si dice intorno sferico di centro x0

e raggio ρ > 0 l’insieme dei punti di Rn che hanno distanza da x0 minore di ρ

B(x0, ρ) := x ∈ Rn : d(x0,x) < ρ

In generale, un intorno di x0 ∈ Rn è un sottoinsieme di U(x0) ⊂ Rn tale che

x0 ∈ U(x0) ∧ U(x0) ⊇ B(x0, ρ) per un certo ρ > 0

Abbiamo così definito una base B1 della topologia (detta standard) indotta dalla metrica eu-clidea su Rn. È importante notare che variando la definizione di distanza (ad esempio, definendola p-distanza dp : Rn×Rn → R, che manda la coppia (x,y) in dp(x,y) := p

√∑ni=1|xi − yi|

p, op-pure l’∞-distanza, che manda la coppia (x,y) in d∞ := max1≤i≤n|x1 − yi|) cambia la topologiaindotta su Rn. Esempi di intorni sferici nei casi consueti R,R2 e R3 sono:

• In R, il segmento (i.e. estremi esclusi) di centro x0 e semilunghezza ρ;

• In R2, il cerchio di centro x0 e raggio ρ esclusa la circonferenza di centro x0 e raggio ρ;

• In R3, la sfera di centro x0 e raggio ρ, esclusa la superficie sferica di centro x0 e raggio ρ.

Si può anche dare una definizione assiomatica di intorno, in particolare nel modo seguente:

1. Ogni punto x ∈ Rn ha un intorno U(x) e x ∈ U(x);

2. U1(x) ∩ U2(x) contiene un intorno di x;

3. Se y ∈ B(x), allora ∃U(y) ⊂ U(x);

4. Dati x,y ∈ Rn : x 6= y, allora esistono U(x) e U(y) tali che U(x) ∩ U(y) è nota (i.e. èl’insieme vuoto ∅)(proprietà di separazione di Hausdorff ).

1Sia T una topologia su un insieme X. Una collezione B ⊂ T viene chiamata base di T se ogni aperto A ∈ Tpuò essere scritto come l’unione di elementi di B.

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Definizione 8. Un punto x ∈ Rn si dirà interno ad E ⊆ Rn se ∃ρ > 0 : B(x, ρ) ⊆ E. Si diràaltresì esterno ad E se è interno al suo complemento Ec := Rn \ E

Definizione 9. Dato un insieme E ⊆ Rn, si dice che x ∈ Rn è un punto di frontiera di E se

∀ρ > 0 B(x, ρ) ∩ E 6= ∅ ∧B(x, ρ) ∩ Ec 6= ∅

cioè ogni intorno di x interseca sia E, sia il suo complemento Ec.

Si suole indicare con E l’insieme dei punti interni di E e con ∂E = ∂Ec l’insieme dei punti difrontiera di E. Esempi di punti interni ed esterni in questo caso sono:

• Dato un sottoinsieme E ⊂ R : E = (a, b), tutti i punti di E sono punti interni: E = E e∂E = a, b;

• Dato un sottoinsieme E ⊂ R : E = [a, b], E = (a, b) e ∂E = a, b;

• Dato un sottoinsieme E ⊂ R : E = [a,+∞), E = (a,+∞) e ∂E = a;

• Sia Q ⊂ R; ogni intorno U(x) di un qualsiasi x ∈ R contiene sia razionali, sia irrazionali.Quindi Q = ∅ e ∂Q = R;

• Sia dato un intorno sferico B(x, ρ) di centro x e raggio ρ; B = B(x, ρ) e ∂B = y ∈ Rn :d(x,y) = ρ;

• Sia data una retta E = (x, y) ∈ R2 : y = αx; E = ∅ e ∂E = E.

Definizione 10. Un punto x ∈ Rn si dirà punto di accumulazione per l’insieme E ⊆ Rn se ogniintorno U(x) di x contiene almeno un punto di E \ x. Se un punto x ∈ E non è un punto diaccumulazione per E, viene detto punto isolato.

Ogni punto interno di E è un punto di accumulazione, mentre i punti di frontiera possonoessere sia punti di accumulazione, sia punti isolati (è questo il caso del punto c dell’insiemeE := x ∈ Rn : d(x,x0) ≤ ρ ∪ c). L’insieme dei punti di accumulazione di E viene dettoderivato di E e viene indicato con E′. Se E′ = E, di dice che E è perfetto.Se E′ = ∅, l’insieme E è detto discreto. N.B. Se un insieme è discreto, tutti i punti appartenentiall’insieme sono punti isolati, ma l’implicazione inversa non vale. Esempio: consideriamo lasuccessione Snn∈N = x ∈ R : x = 1

n , n ∈ N ⊂ (0, 1]; in questo caso, ogni punto dellasuccessione è un punto isolato, ma E′ 6= ∅, in quanto 0 è un punto di accumulazione! Un altroesempio peculiare e pregnante è costituito da N ⊂ R∗, ove con R∗ si intende l’insieme dei realiesteso, ovvero R∪−∞,+∞. In questo caso infatti +∞ costituisce un punto di accumulazioneper N!

Teorema 2. Sia E ⊆ Rn un insieme, e sia x un suo punto di accumulazione. Ogni intornoU(x) contiene infiniti punti di E.

Dimostrazione. Supponiamo per assurdo che esista un intorno U(x) che contenga un numerofinto n di punti di E, che indichiamo con x1,x2, . . . ,xn. Consideriamo l’intorno sferico B(x, ρ)di centro x e raggio ρ definito nel modo seguente:

ρ = min1≤i≤n

d(x,xi)

Questo intorno sferico non contiene punti di E, a parte x. Di conseguenza, considerando l’intornoU(x) conincidente con il suddetto intorno sferico, abbiamo trovato un intorno di x che noncontiene punti di E. Ma questo è un assurdo, in quanto x è un punto di accumulazione per E.L’assero è quindi dimostrato.

Definizione 11. Un insieme E ⊆ Rn viene detto aperto se ogni punto x ∈ E è un punto internoad E (E = E). E è altresì chiuso se Ec è aperto.

N.B. Questa è una definizione basata sulla topologia indotta dalla metrica standard!

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Teorema 3. E ⊆ Rn è aperto ⇐⇒ Ec = Rn \ E è chiuso.

Sarebbe opportuno indicare subito una convenzione: ∅ è per convenzione aperto; ciò implicache Rn è chiuso. L’esperienza (e una dimostrazione a detta di Romeo difficile) ci dice che Rn èaperto, e quindi ∅ è anche chiuso.Esempi pregnanti:

• L’intervallo E ⊂ R : E = (a, b) è aperto, mentre R \ E = (−∞, a] ∪ [b,+∞) è chiuso;

• Q non è né aperto, né chiuso: infatti, anche R \ Q non è né aperto, né chiuso (cfr.§Definizione 9, esempi);

• Sia data una retta E = (x, y) ∈ R2 : y = αx; in questo caso, i semipiani individuati dallaretta sono aperti, e di conseguenza E è chiuso.

Teorema 4. 1. Sia F una famiglia2 di aperti di Rn. Allora⋃i Fi è un aperto di Rn.

2. Sia F una famiglia finita di aperti di Rn. Allora⋂i Fi è un aperto di Rn.

3. Sia F una famiglia di chiusi di Rn. Allora⋂i Fi è un chiuso di Rn.

4. Sia F una famiglia finita di chiusi di Rn. Allora⋃i Fi è un chiuso di Rn.

Teorema 5. Sia E ⊆ Rn. Le seguenti affermazioni sono equivalenti:

1. E è chiuso:

2. ∂E ⊆ E;

3. E′ = E.

Definizione 12. Sia E ⊆ Rn. Chiamo chiusura di E l’insieme E := E ∪ ∂E.

L’insieme è chiuso ⇐⇒ coincide con la sua chiusura.

Definizione 13. Sia A ⊆ E. A è denso in E se A = E.

Ad esempio, Q è denso in R.

Definizione 14. Sia E ⊆ Rn. E si dice limitato se esiste un intorno sferico B(x, ρ) di centro xe raggio ρ tale che E ⊆ B(x, ρ)

La definizione da un’altra prospettiva: sia D := d(x,y) : x,y ∈ E ⊆ R. Se E è limitato,∃M ∈ R : M ≥ d ∀d ∈ D. Per il teorema di completezza dei reali, D ammette un estremosuperiore. Definiamo supD diametro di E.

Teorema 6 (di Bolzano-Weierstrass). Un sottoinsieme E ⊆ Rn limitato ed infinito (i.e. #E ≥ℵ0) ammette almeno un punto di accumulazione.

Dimostrazione. Per pigrizia (“è una virtù”) e semplicità, supponiamo di essere in R2. Conside-riamo il rettangolo T0 := [p0, q0] × [r0, s0] che contiene E (che esiste in quanto E è limitato).Consideriamo ora i 4 rettangoli ottenuti tracciando gli assi dei segmenti (gli intervalli [p0, q0] e[r0, s0]). In almeno uno di questi sottoinsiemi, poiché per ipotesi E è infinito, si troveranno infi-niti elementi; indichiamo il suddetto sottoinsieme con T1 := [p1, q1]× [r1, s1], ove con p1, q1, r1, s1

indichiamo, a seconda della scelta, uno dei punti inziali p0, q0 e il punto medio p0+q02 per il primo

intervallo, e r0, s0 e r0+s02 per il secondo. Consideriamo le due, delle quattro che ne risultano (il

procedimento è analogo per l’altro intervallo), successioni

Pnn∈N = p0, p1, . . . , pn, . . . Qnn∈N = q0, q1, . . . , qn, . . . 2Siano A e Ω due insiemi, e si supponga che ad ogni elemento α ∈ A sia associato un sottoinsieme Eα di Ω.

L’insieme i cui elementi sono gli insiemi Eα viene detto famiglia di insiemi. Più formalmente, una famiglia è unatripletta (A,Ω, i) costituita da due insiemi A,Ω e da una mappa i : A→ Ω.

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Esse sono entrambe monotone, in particolare la prima crescente e la seconda decrescente (nonnecessariamente strettamente), per costruzione. Si ha quindi che

p0 ≤ p1 ≤ . . . q0 ≥ q1 ≥ . . .

Siano dati h, k ∈ N; ∀n ≥ h ∧ n ≥ k vale che ph ≤ pn ≤ qn ≤ qk. Abbiamo così dimostratoche la successione Pnn∈N ammette un maggiorante; di conseguenza, essendo la successionePnn∈N ⊆ R, per l’assioma di Dedekind (cfr. assioma di continuità o assioma di completezza)essa ammette un estremo superiore supPnn∈N. Sappiamo quindi che supPnn∈N ≤ qk ∀k ∈ N;l’insieme Qnn∈N ammette quindi un estremo inferiore infQnn∈N. Si ha così che

supPnn∈N ≤ infQnn∈N

Dato che avevamo precedentemente identificato il comportamento delle successioni come rispetti-vamente crescente e decrescente, possiamo dedurre che limn→∞ Pn = supPnn∈N e limn→∞Qn =infQnn∈N. Possiamo altresì osservare che

∀n ∈ N qn − pn ≥ infQnn∈N − supPnn∈N ≥ 0

Poiché per come abbiamo costruito le successioni qn − pn = q−p2n , abbiamo che

q − p2n

≥ infQnn∈N − supPnn∈N ≥ 0

Per n → ∞ la quantità a sinistra della catena di disuguaglianze tende a 0, e quindi si ha cheinfQnn∈N = supPnn∈N. Indichiamo questo valore con x1, mentre quello ottenuto ripetendoil procedimento per l’altro intervallo verrà denominato x2. Sia x ∈ R2 : x = (x1, x2): possiamoosservare che x =

⋂∞n=0 Tn (in un certo senso può essere considerato un intorno degenere;

osservazione per quanto viene detto dopo). Consideriamo l’intorno sferico B(x, ρ) di centro xe di raggio ρ. Per l’osservazione precedente, posso trovare n(ρ) tale che Tn(ρ) ⊆ B(x, ρ). Inparticolare, n deve essere tale da garantire che la massima possibile distanza all’interno di Tn(maggiorata dalla diagonale del quadrato avente come lato il maggiore fra q−p

2n e s−r2n )√

2 q−p2n < ρ.Risolvendo si ottiene che n ≥ [log2 (

√2 q−pρ )] + 1. Poiché per costruzione i Tn contengono infiniti

punti di E, l’asserto è dimostrato.

Definizione 15. Sia E ⊆ Rn. Sia F una famiglia di aperti di Rn tale che⋃i Fi ⊇ E. Diremo

allora che F è un ricoprimento di E.

Definizione 16. Un sottoricoprimento di X è una famiglia G ⊆ F che ricopre X.

Definizione 17. Uno spazio topologico X si definisce compatto se da ogni suo ricoprimento Fè possibile estrarre un sottoricoprimento finito G tale che

⋃ni=1 Gi ⊃ X.

È assai utile studiare gli spazi compatti perché sono molto simili a degli spazi finiti; infatti, ilfatto che siano contenuti in ricoprimenti finiti consente sempre di “approssimare” l’intero spaziocon un numero finito di punti, permettendo l’estensione agli spazi compatti di molti risultatidimostrabili negli insiemi finiti.

Teorema 7 (di Heine-Borel). Sia E ⊆ Rn. Allora E è compatto ⇐⇒ E è chiuso e limitato.Questa è definita la caratterizzazione dei compatti in Rn.

Dimostrazione. Per pigrizia e semplicità poniamoci in R2. La generalizzazione a n qualsiasi nonrichiede altro se non iterazioni del procedimento.

1. Dimostriamo la condizione necessaria.

• Verifichiamo prima l’implicazione della limitatezza. Considero gli intorni sfericiB(0, n)di centro 0 e di raggio n ∈ N. Si ha che

⋃n∈NB(0, n) = R2: quindi la famiglia

B := B1, . . . , Bn, . . . è un ricoprimento di R2. Poiché E ⊆ R2, B ricopre E. Ma Eper ipotesi è compatto, indi per cui da B posso estrarre un sottoricoprimento finito

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di aperti E che ricopre E. In altre parole, considero il sottoinsieme k1, . . . , kN ⊂ Ntale che

⋃Ni=1 Eki ⊇ E. Posso spingermi oltre: poiché k1, . . . , kN è un sottoinsieme

finito di N, posso facilmente individuarne il massimo k := maxk1, . . . , kN. Vale cheB(0, k) ⊇

⋃Ni=1 Eki ⊇ E. Di conseguenza, E è contenuto in un intorno sferico B(0, k)

di centro 0 e raggio k, ed è quindi limitato (cfr. Definizione 14).

• Verifichiamo ora l’implicazione della chiusura. Dimostro che il complementare in Rndi E Ec è aperto, ovvero che ∀x ∈ Ec ∃B(x, ρ) : B(x, ρ) ⊆ Ec. Fissiamo x. Perogni y ∈ E definisco δ(y) := ‖x−y‖

2 . Considero l’intorno sferico B(y, δ(y)) al variaredi y in E. Ottengo una famiglia B di aperti che ricopre E. Poiché E è compat-to, da B posso estrarre un sottoricoprimento finito di E: esistono y1, . . . ,yN ∈ E :⋃Ni=1B(yi, δ(yi)) ⊇ E. Considero il minimo delle distanze δ := minδ(y1), . . . , δ(yN).

A δ corrisponde, in quanto funzione degli yi, un certo y. Considero ora l’intersezio-ne B(x, δ) ∩ B(y, δ) che è uguale all’insieme vuoto, in quanto sono entrambi intornisferici di raggio delta, che ho definito come la semilunghezza del segmento [x,y]. Ciòvale anche per qualsiasi yi, i = 1, . . . , N . Quindi B(x, δ) ∩

⋃Ni=1B(yi, δ(yi)) = ∅. Ma

allora B(x, δ) ⊂ Ec. Poiché vale per un qualsiasi x ∈ E, Ec è aperto, e quindi E èchiuso.

2. Devo ora dimostrare la condizione sufficiente; per farlo, passo attravero la dimostrazioneche un qualsiasi rettangolo T := [a, b]× [c, d] è un compatto e che ogni sottoinsieme chiusodi un compatto è un compatto.

• Supponiamo che da un ricoprimento F del rettangolo T non sia possibile estrarreun sottoricoprimento finito di T0. Procediamo in un modo analogo a quello che siutilizza nella dimostrazione del teorema di Bolzano-Weierstrass (cfr. Teorema 6):dati mj :=

bj−aj2 e nj :=

dj−cj2 , si considerino i segmenti [aj ,mj ], [mj , bj ], [cj , nj ] e

[nj , dj ], che individuano 4 rettangoli di cui almeno uno (sia esso Tj) non può esserericoperto da una sottofamiglia finita di F (per l’ipotesi iniziale, ndr). Si ripeta ilprocedimento per Tj . Si ottiene una successione Tn := T0 ⊃ T1 ⊃ · · · ⊃ Tn ⊃ . . . di sottoinsiemi di T0 non ricopribili da una famiglia finita di aperti la cui intersezione èil punto x = (x1, x2) =

⋂n∈N Tn. Poiché x ∈ T0, posso trovare un aperto U ∈ F tale

che x ∈ U . Poiché U è aperto, posso scegliere un certo ρ > 0 tale che B(x, ρ) ⊂ U .A questo punto, posso trovare dei rettangoli Tn contenuti in questo intorno: ∃n(ρ) :Tn ⊂ B(x, ρ) ∀n ≥ n. Si ha così che Tn ⊂ U , e quindi esiste una sottofamiglia finitadi aperti che ricopre Tn. Abbiamo un assurdo, e di conseguenza il rettangolo T0 ècompatto.

• Siano E ⊂ F un chiuso e F un compatto. Per definizione di compattezza, esiste unafamiglia finita di aperti F := F1, . . . ,Fn che ricopre F . Considero ora un genericoricoprimento E di E e il complementare del suddetto insieme Ec := Rn \E. Vale che⋃i Ei ∪Ec ⊃ F (il ricoprimento di E contiene E, mentre il complementare di E con-

tiene tutti gli elementi appartenenti a F \E). Ho quindi individuato un’altra famigliadi aperti (il ricoprimento è una famiglia di aperti e Ec è aperto perché E è chiuso peripotesi) che ricopre F . Ma quindi, poiché F è compatto, da quest’ultima famiglia èpossibile estrarre un sottoricoprimento finito di F . Poiché la cardinalità della famigliadipende (quasi) esclusivamente da E , ciò implica che esiste un sottoricoprimento finitoE ′ ⊂ E di E, e quindi E è compatto (ricordiamo che E è un ricoprimento generico diE!).

Per tornare all’enunciato iniziale, essendo E limitato è inscrivibile, dati un certo ρ > 0 e unx ∈ E, in un intorno sferico B(x, ρ), e di conseguenza in un rettangolo T (ρ) sufficientementegrande (che è un compatto). Essendo E poi chiuso, ed essendo contenuto in un compatto,è a sua volta un compatto, e l’asserto è dimostrato.

Esempi di insiemi compatti sono quindi:

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• Ogni intervallo chiuso [a, b] ⊂ R;

• Ogni chiusura di un intorno sferico B(x0, ρ) di centro x0 e raggio ρ (un intorno sfericoinvece non è un compatto! ∂B 6⊂ B).

Definizione 18. Siano E1, E2 ⊆ Rn. Si dice che E1 e E2 sono separati se valgono contempora-neamente le seguenti proprietà:

1. E1 ∩ E2 = ∅

2. E2 ∩ E1 = ∅

Definizione 19. Sia E ⊆ Rn. Diremo che uno spazio topologico X è sconnesso se esistono dueinsiemi A,B aperti, non vuoti e disgiunti tali che X = A ∪B. Altrimenti si dice connesso.

Definizione 20. Uno spazio topologico X si dice connesso per archi se ∀(x, y) ∈ X esiste unafunzione continua α : [0, 1]→ X tale che α(0) = x ∧ α(1) = y

Definizione 21. Sia E ⊆ Rn. E è detto dominio se è non vuoto, aperto, connesso.

2 Funzioni da Rn a elementi in Rm

Definizione 22. Dato un insieme X ⊆ Rn, una funzione scalare è una funzione f : X → R.Sono particolarmente interessanti perché, oltre a rappresentare i campi scalari, godono di moltedelle proprietà delle funzioni g : R→ R, in quanto f(X) ⊆ R.

Esempi di funzioni scalari possono essere:

• la norma euclidea ‖ ‖ : Rn → R;

• la funzione di proiezione πk : Rn → R che associa ad ogni vettore x la sua k-esimacomponente xk;

• fissato x0 ∈ Rn, il prodotto scalare standard 〈,〉 può essere visto come una funzione scalare,così come la distanza d;

• la funzione gaussiana f : Rn → R che associa ad ogni elemento x ∈ Rn l’elemento f(x) :=

e−‖x‖2

.

Definizione 23. SianoX ⊆ Rn, f una funzione f : X → R e x0 ∈ Rn un punto di accumulazioneper X. Consideriamo l ∈ R∗(R). Diremo che f(x)→ l per x→ x0 o

limx→x0

f(x) = l

se ∀V (l) ∃U(x0) : f(x) ∈ V (l) \ l ∀x ∈ (U(x0) \ x0) ∩X.

Da questa definizione è possibile risalire a quella classica, se si considerano x0 ∈ X ′ ∧ l ∈ R:

∀B(l, ε) ∃B(x0, ρ(ε)) : dR(f(x), l) < ε ∀x ∈ X : dRn(x,x0) < ρ(ε)

È di vitale importanza notare però che l’esistenza del limite per Rn con n ≥ 2 è molto differenteda quella di n = 1: infatti il limite esiste se e solo se esistono (e coincidono) i limiti in qualsiasidirezione; di conseguenza, questa direzione viene generalmente utilizzata per dimostrare la non-esistenza del limite. Ad esempio, si consideri la funzione

f : R2 \ 0 → R

(x1, x2) 7→ f(x1, x2) :=x1

‖x‖

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−1−0.500.51−1 0 1

−1

0

1

−1−0.500.51

−1

0

1

−1

0

1

In questo caso:

• per i punti del tipo (0, x2), x2 ∈ R, f(x) = 0;

• per i punti del tipo (x1, 0), x1 ∈ R, f(x) = ±1.

Come si può facilmente intuire, determinare l’esistenza o meno del limite in questo modo nonè un processo immediato; richiederebbe infatti un numero di iterazioni infinito. Esiste tuttaviaun trucco (per R2) utile per semplificare il tutto, e consiste nell’utilizzare le coordinate polarix1 = ρ cos(θ), x2 = ρ cos(θ), θ ∈ [0, 2π]. In questo caso infatti, nel limx→0 f(x) la distanzad(x,0)→ 0 e, poiché la distanza altri non è se non ρ, si ha che

limx→0

f(x) = limρ→0

f(ρ, θ)

In particolare, se dimostro che il limρ→0 può essere fatto uniformemente (i.e. indipendentemente)rispetto a θ, il limite esiste.

∀ε > 0 ∃δ(ε) > 0 : f(ρ, θ)− l < ε ∀ρ ∈ (0, δ(ε))

Definizione 24. Consideriamo una funzione f : X ⊆ R2 → R, e sia x0 = (0, 0) (per pi-grizia e semplicità) un punto di accumulazione per X. Se esiste una funzione g : U(0) → R :∣∣f(ρ, θ)− l

∣∣ < g(ρ) ∀ρ ∈ U(0)∧ limρ→0 g(ρ) = 0, allora limρ→0 f(ρ, θ) = lim(x,y)→(0,0) f(x, y) = l.

A titolo di esempio, si consideri la funzione f : R2 → R che manda l’elemento x = (x, y)

nell’elemento f(x) = x3

x2+y2 . Si consideri innanzitutto la restrizione della funzione al dominioX := (x, y) ∈ R2 : y = mx, in modo da capire quale possa essere il limite nel caso esista:

lim(x,y)→(0,0)

x3

x2 + y2= limx→0

x3

x2 + (mx)2= limx→0

x3

x2(1 +m2)= limx→0

x

1 +m2= 0

Ricorrendo ora alle coordinate polari, si ha che∣∣f(x, y)∣∣ =∣∣∣f(ρ, θ)

∣∣∣ =

∣∣∣∣∣ ρ3 cos3(θ)

ρ2(cos2(θ) + sin2(θ))

∣∣∣∣∣ =∣∣∣ρ cos3(θ)

∣∣∣ ≤|ρ|Abbiamo quindi trovato una funzione g(ρ) che tende a 0 per ρ che tende a 0. Il limρ→0 f(ρ, θ)converge uniformemente rispetto a θ, e quindi

lim(x,y)→(0,0)

f(x, y) = limρ→0

f(ρ, θ) = 0

Definizione 25. Una funzione f : X ⊆ Rn → Rm che manda, date una base C = e1, . . . , emdi Rm, l’elemento x ∈ X nell’elemento f(x) = y = (y1, y2, . . . , ym) = (f1(x), . . . , fm(x)) puòessere vista come una m-upla di funzioni scalari f1, . . . , fm : X → R.

Data la definizione di numero complesso come coppia (a, b) di numeri reali, è possibile creareuna corrispondenza naturale tra f : C → C e f : R2 → R2, tendendo a mente che le operazionisono sempre definite su C. Ad esempio, si consideri

f(z) = z2 = (x+ iy)2 = (x2 − y2 + 2ixy)

f(x, y) = (x, y)(x, y) = (u(x, y), v(x, y)) = (x2 − y2, 2xy)

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Definizione 26. Siano f : X ⊆ Rn → Rm, x0 ∈ Rn un punto di accumulazione per X e l ∈ Rm.Diremo che f(x)→ l per x→ x0 o

limx→x0

f(x) = l

se ∀V (l) ⊆ Rn ∃U(x0) ⊆ Rn : f(x) ∈ V (l)∀x ∈ (U(x0) \ x0) ∩X

Teorema 8. Siano f : X ⊆ Rn → Rm, x0 ∈ Rn un punto di accumulazione per X e l ∈ Rm.Data una base C = e1, . . . , em di Rm si ha che

limx→x0

f(x) = l ⇐⇒ limx→x0

fi(x) = li ∀i

Teorema 9. Sia f : X ⊆ Rn → R e sia x0 ∈ X. Vale che

limx→x0

f(x) = l ⇐⇒ limx→x0

f |A(x) = l ∀A ⊆ X ∧ x0 ∈ A′

Questo teorema viene generalmente utilizzato in una ben precisa castistica:

1. Per trovare un candidato limite in modo più semplice restringendo ad un dominio comodo,per poi andare a controllare se il numero trovato sia effettivamente il limite attraverso ladefinizione;

2. Per verificare la non-esistenza di un limite, trovando, restringendo a due domini differenti,due limiti diversi.

Definizione 27. Una successione in Rn è un’applicazione x : N→ Rn, dove per convenzione sidenota x(n) con xn e si utilizza xnn∈N per indicare l’immagine dell’applicazione stessa.

Definizione 28. Sia xnn∈N una successione di punti di Rn. Diremo che xnn∈N converge alpunto x0 ∈ Rn e scriveremo limn→∞ xn = x0 se

∀ε > 0 ∃n∗(ε) ∈ N : d(xn,x0) < ε ∀n > n∗

Teorema 10. La successione xnn∈N converge ⇐⇒ la successione di ogni singola componentexinn∈N converge alla corrispondente componente xi0.

Dimostrazione. Supponiamo che la successione xnn∈N converga a x0 (vedasi la definizione diconvergenza). Siccome si ha che, dato v ∈ Rn, |vi| ≤ ‖v‖ ≤

√nmax1≤i≤n|vi|, possiamo scrivere

che ∣∣∣xin − xi0∣∣∣ ≤ ‖xn − x0‖ ≤ ε ∀ε ∧ ∀i

Abbiamo quindi dimostrato la prima implicazione.Si supponga ora che la successione di ogni singola componente xinn∈N converga alla corrispon-dente componente x0

i. Poiché in questo caso le successioni sono funzioni xi : N → R, si ha che∀ε > 0 ∃n(ε) ∈ N :

∣∣xin − xi0∣∣ < ε ∀n > n. Si prenda ora h = max1≤i≤n∣∣xin − xi0∣∣. Si ha che∣∣∣xin − xi0∣∣∣ ≤ ‖xn − x0‖ ≤

√nh <

√nε ∀ε ∧ ∀i

Poiché si ha che ‖xn−x0‖ <√nε, la successione xnn∈N converge, e l’asserto è dimostrato.

Teorema 11. Ogni successione a valori in Rn convergente è limitata, ove con limitata si intendedire che ∀k ∈ N ‖xk‖ < ρ per un certo ρ > 0.

Dimostrazione. Sia data la successione convergente a x0 ∈ Rn xnn∈N. Per il teorema pre-cedente, si ha che la successione di ogni singola componente xinn∈N converge alla rispettivacomponente xi0. Queste sono successioni xi : N → R, e in questo caso, poiché sono convergenti,sono successioni di Cauchy. Vale che una successione di Cauchy è limitata:

∀ε > 0 ∃n(ε) ∈ N : d(xin, xi0) < ε ⇐⇒ xi0 − ε < xin < xi0 + ε ∀n > n

Considero ora m := maxn≤n d(xin, xi0), e definisco ri := max

(∣∣xi0∣∣+ ε,m). So quindi che

∣∣xin∣∣ <ri ∀n. Posso quindi dire che ‖xn‖2 <

∑ni=1(ri)2; definisco di conseguenza ρ :=

√∑ni=1(ri)2.

L’asserto è dimostrato.

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Teorema 12. Sia E ⊆ Rn, e sia y ∈ E′ un punto di accumulazione per E. Esiste unasuccessione xnn∈N ⊆ E che converge a y.

Dimostrazione. Sia dato un certo ρ1 > 0. Poiché x0 è un punto di accumulazione per E, perdefinizione ogni intorno sferico B(x0, ρ) di centro x0 e raggio ρ contiene un punto x ∈ E \ x0.Indico con x1 suddetto punto, e definisco ρ2 := d(x,x0). Iterando il processo sopra riportato nvolte, si otterrà una successione xnn∈N di punti di E il cui limn→∞ xn è x0.

Teorema 13. Da una successione limitata posso estrarre una sottosuccessione convergente.

Teorema 14. Siano E ⊆ Rn e y ∈ Rn. Allora y ∈ E ⇐⇒ esiste una successione xnn∈N ⊂ Etale che limn→∞ xn = y.

Dimostrazione. 1. Iniziamo con il dimostrare la condizione necessaria. Possono presentarsidue casi:

• y ∈ E (se E coincide con la chiusura), ed in questo caso la soluzione è triviale: prendola successione xnn∈N tale che xn = y ∀n ∈ N;

• y ∈ E′, e in questo caso per il teorema 12 esiste la suddetta successione.

2. Sia xnn∈N una successione di punti di E tale che xn → y per n → ∞. Supponiamoche y ∈ Ec, ove Ec indica il complementare in Rn della chiusura di E. Tale insieme èaperto: esiste quindi per definzione un intorno sferico U(y, ρ) ⊂ Ec. Ma allora non esisteuna successione di punti di E convergente a y, in quanto questi definitivamente (i.e. dopoun certo n(ρ)) dovrebbero appartenere a B(y, ρ) e quindi a Ec ⊂ Ec. Siamo giunti ad unassurdo, e l’asserto è dimostrato.

Teorema 15. Sia E ⊆ Rn. E è chiuso in Rn ⇐⇒ ogni successione convergente xnn∈N ⊂ Eha come punto limite un elemento di E.

Dimostrazione. 1. Se E è chiuso E ≡ E, e quindi per il teorema 14 posso creare unasuccessione convergente per ogni punto x ∈ E;

2. Prendiamo y ∈ E′. Allora esiste una successione xnn∈N ⊂ E tale che limn→∞ xn = y.Ma per ipotesi il punto limite di xnn∈N appartiene ad E: quindi ∀y ∈ E′ y ∈ E. Diconseguenza E ≡ E.

Definizione 29. Sia K ⊆ Rn. Diremo che K è compatto per successioni o sequenzialmente com-patto se da ogni successione xnn∈N ⊆ K è possibile estrarre una sottosuccessione convergentead un elemento di K.

Teorema 16. Sia K ⊆ Rn. K è compatto ⇐⇒ K è sequenzialmente compatto.

Dimostrazione. 1. Si supponga che K sia compatto (il che vuol dire, per il Teorema diHeine-Borel, che K è chiuso e limitato), e si consideri una successione xnn∈N (che èlimitata in quanto K è limitato). Se l’insieme costituito dai punti della successione è fi-nito, consideriamo la successione (i.e. la sottosuccessione pnn∈N ⊂ xnn∈N) tale chep1 = · · · = pn = · · · = p. Se l’insieme è invece infinito, per il Teorema di Bolzano-Weierstrass ammette almeno un punto di accumulazione y0. Esiste allora una successio-ne di elementi di pnn∈N che converge a y0. Ho quindi trovato una sottosuccessione dixnn∈N convergente ad un elemento diK. Poiché la successione xnn∈N è una successionegenerica, K è sequenzialmente compatto.

2. Si supponga che K sia sequenzialmente compatto. Sia y ∈ K; per il teorema 14, esiste unasuccessione xnn∈N ⊂ K tale che limn→∞ xn = y. Poiché K è sequenzialmente compat-to, da xnn∈N posso estrarre una sottosuccessione xii∈N tale che limi→∞ xi = y0, cony0 ∈ K. Essendo xii∈N una sottosuccessione di una successione convergente, y0 = y.Per l’arbitrarietà di y, K è chiuso. Supponiamo ora che K sia illimitato (superiormente

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o inferiormente, la scelta è irrilevante). Sia xnn∈N la successione costruita nel modoseguente: xn := maxxn−1, n. Da questa successione non posso estrarre una sottosucces-sione convergente; si ha quindi un assurdo, e di conseguenza K è limitato. Per il Teoremadi Heine-Borel, K è compatto.

Definizione 30. Sia data una successione xnn∈N ⊂ Rn. Diremo che xnn∈N è una succes-sione di Cauchy se ∀ε > 0 ∃n(ε) : d(xn, xm) < ε ∀n,m > n.

3 ContinuitàDefinizione 31. Siano X ⊆ Rn e f : X → Rm. Se un punto x0 ∈ X è isolato diremo che fè continua in x0. Altrimenti, sia x0 ∈ (X ∩X ′). Diremo che f è continua in x0 se valgono leseguenti condizioni equialenti:

1. ∀U(f(x0)) ⊆ Rm ∃U(x0) ⊆ Rn tale che ∀x ∈ U(x0) f(x) ∈ U(f(x0));

2. ∀ε > 0 ∃δ(ε) > 0 tale che ∀x : d(x,x0) < δ d(f(x), f(x0)) < ε;

3. limx→x0 f(x) = f(x0);

4. ∀xnn∈N ⊂ X che converge a x0, il limx→x0 f(x) = f(x0).

Si consideri ad esempio, fissata una base C di Rn, la funzione di proiezione πk : Rn → R.Proviamo a dimostrare che il limx→x0 πk(x) = x0k . Usando la definizione, ∀ε > 0 ∃δ(ε) :‖x − x0‖ < δ =⇒

∣∣xk − x0k

∣∣ < ε. Ricordando che vale che |xi| ≤ ‖x‖ ≤√nmaxi=1,...,n|xi|,

vale che∣∣xk − x0k

∣∣ ≤ ‖x−x0‖ < δ. Prendendo δ = ε la condizione di continuità è verificata (perogni x ∈ Rn).Siano f, g due funzioni continue in X ⊆ Rn. Vale che:

• (f + g)(x) = f(x) + g(x) è continua;

• (λf)(x) = λf(x) è continua;

• (fg)(x) = f(x)g(x) è continua;

• fg (x) = f(x)

g(x) è continua.

N.B. Le ultime due affermazioni valgono per g : X → R!

• Siano f : X → Rn e g : Y → Rn due funzioni continue nei rispettivi domini e tali chef(X) ⊆ Y . Vale che (g f)(x) = g(f(x)) è una funzione continua.

In virtù di quanto scritto precedentemente, risulta chiaro che i polinomi p(x) ∈ k[x] sianofunzioni continue in Rn. Si consideri infatti un generico polinomio p(x) = p(x1, . . . , xn): essoaltro non è se non una combinazione lineare di funzioni di proiezione, e di conseguenza è unafunzione continua. Da questa osservazione risulta altresì che le funzioni razionali R(x) = p(x)

q(x)

sono funzioni continue (nel loro naturale dominio di definizione si intende).

Teorema 17 (caratterizzazione della continuità in termini di topologia indotta). Siano X ⊆ Rne f : X → Rm. f è continua in X ⇐⇒ ∀A ⊆ Rm aperto della topologia (standard) di Rmf−1(A) è un aperto di X.

Dimostrazione. 1. Siano f una funzione continua in X e A ⊆ Rm un insieme aperto dellatopologia standard di Rm. Supponiamo che A ⊆ f(X): sia dato un punto f(x0) ∈ A : x0 ∈f−1(A). Poiché A è aperto, ∃B(f(x0), ρ) ⊆ A. Per la continuità di f , ∃B(x0, ρ) : ∀x ∈B(x0, ρ) ∩ Xf(x) ∈ B(f(x0), ρ). In particolare esiste quindi un intorno, nella topologiaindotta su X, interamente contenuto in f−1(A); dato che questa proprietà vale per ognix0 ∈ f−1(A), f−1(A) è aperto.

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2. Fissiamo un punto x0 ∈ X. Consideriamo la sua immagine f(x0) ed un suo intornoA(f(x0), ρ). Per ipotesi, f−1(A) è un aperto, e x0 ∈ f−1(A). Poiché vale quanto appenadetto, ∃B(x0, ρ) ⊆ X. Abbiamo di conseguenza verificato la definizione di continuità.

Teorema 18. Sia K ⊆ Rn un compatto, e sia f : K → Rn una funzione continua in K. Si hache f(K) è un compatto in Rm.

Dimostrazione. Dimostriamo che f(K) è compatto per successioni. Sia ynn∈N una succes-sione qualsiasi ad elementi in f(K). Esiste una successione xnn∈N : yn = f(xn). PoichéK è compatto (per successioni), da ogni successione ad elementi in K posso estrarre una sot-tosuccessione xii∈N che converga ad un elemento di K. Consideriamo ora l’immagine del-la sopraccitata successione f(xii∈N) ⊆ ynn∈N. Per definizione di continuità, sappiamo chelimi→∞ xi = x0 =⇒ limi→∞ yi = f(x0). Abbiamo quindi trovato una sottosuccessioneconvergente di una generica successione ynn∈N ⊂ Rm, e di conseguenza f(K) è compatto.

Teorema 19 (di Weierestrass). Sia K ⊂ Rn un compatto in Rn, e sia f : K → Rm una funzionecontinua. f ammette almeno un minimo e almeno un massimo.

Dimostrazione. Per il Teorema 18, si ha che f(K) è un compatto; di conseguenza, per il Teoremadi Heine-Borel, f(K) è chiuso e limitato. Essendo limitato, esso ammette inf f(K) e sup f(K),ed essendo chiuso si ha che inf f(K) = min f(K) e sup f(K) = max f(K).

Teorema 20. Sia K ⊆ Rn un insieme compatto, e sia f : K → Rm una funzione continua ediniettiva (quindi, abusando un po’ di linguaggio, invertibile. Cfr. Appunti di Serapioni). Si hache f−1 : f(K)→ K è una funzione continua.

Dimostrazione. Utilizziamo la definizione alternativa di continuità e di chiusura. Una f : X → Yè continua se, dato un insieme A ⊂ X e un punto x ∈ X di aderenza per A, f(x) è un punto diaderenza per f(A). Un insieme X si dice chiuso se coincide con l’insieme dei punti di aderenzadi X. Sappiamo che K è compatto, e quindi per il Teorema di Heine-Borel è chiuso e limitato;sappiamo inoltre che la funzione f è continua, e quindi f(K) è un compatto (i.e. chiuso elimitato). Inoltre, poiché è iniettiva ∀y ∈ f(K) #f−1(y) = 1. Supponiamo ora che la funzionef−1 : f(K) ⊆ Rm → K non sia continua: esiste un punto y ∈ Rm di aderenza per f(K) che nonè di aderenza per K. Poiché f(K) è chiuso, y ∈ f(K), e di conseguenza f−1(y) ∈ K. Ma poichéK è chiuso, ogni punto di K è un punto di aderenza di K. Di conseguenza f−1(y) è un puntodi aderenza per K: abbiamo un assurdo.

Definizione 32. Siano X ⊆ Rn e f : X → Rm. f è detta uniformemente continua se ∀ε >0 ∃δ(ε) > 0 : ∀(x,y) : d(x,y) < δ d(f(x), f(y)) < ε.

La continuità uniforme è una condizione più forte della continuità (è meno forte della condi-zione di Lipschitz3): essa infatti descrive una proprietà globale della funzione (indipendentementedai punti), e l’essere uniformemente continua implica l’essere continua.

Teorema 21 (Heine-Cantor). Sia X ⊆ Rn un compatto e sia f : X → Rm una funzione continuain X. Allora f è uniformemente continua.

Teorema 22. Sia X ⊆ Rn un insieme connesso e sia f : X → Rn una funzione continua. f(X)è connesso.

3Una funzione f : X ⊆ Rn → Rm è una funzione lipschitziana se esiste una costante K tale ched(f(x1), f(x2)) ≤ Kd(x1,x2).

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4 Derivabilità e differenzialibità di funzioni scalariVogliamo cercare di estendere il concetto di derivata al caso di funzioni a più variabili. Comincia-mo analizzando il comportamento delle funzioni scalari f : X ⊆ Rn → R con un vincolo rispettoal dominio di definizione di f : assumiamo infatti che X sia un aperto nella topologia standarddi Rn, questo per evitare problemi dovuti ai punti di frontiera, in cui è necessario scegliere inmodo oculato quali valori trascurare per evitare di uscire dal naturale dominio di definizionedella funzione presa in esame.

Definizione 33. Sia f : X ⊆ Rn → R una funzione scalare definita su un insieme X aperto.Fissiamo un punto x ∈ X e un versore v ∈ Rn (i.e. ‖v‖ = 1). Consideriamo l’insieme dei puntix + tv ∈ X, t ∈ R (t è quindi vincolato!). Definisco la derivata direzionale nella direzione di vdi f calcolata nel punto x, se esiste finito, il

limt→0

f(x + tv)− f(x)

t

che viene indicato con Dvf(x).

Avendo noi fissato precedentemente sia x, sia v, la derivata direzionale Dvf(x) altro non è senon una funzione di t: posso quindi indicare con φ(t) = f(x+tv), e riscrivere il limite precedentecome

limt→0

φ(t)− φ(0)

t

riducendo un problema pluridimensionale ad un problema unidimensionale, essendo φ una fun-zione φ : R→ R. A titolo di esempio, si consideri la funzione

f : Rn → R

x 7→ ‖x‖2 = 〈x,x〉 =

n∑i=1

x2i

Consideriamo un generico punto x ∈ Rn ed un generico versore v ∈ Rn. Vale che φ(t) =f(x + tv) = 〈x + tv,x + tv〉 = 〈x,x〉+ 2t 〈x,v〉+ t2 〈v,v〉. Si ha quindi che

limt→0

φ(t)− φ(0)

t= limt→0

〈x,x〉+ 2t 〈x,v〉+ t2 〈v,v〉 − 〈x,x〉t

=

limt→0

(2 〈x,v〉+ t 〈v,v〉) = 2 〈x,v〉 = 2

n∑i=1

xivi

Abbiamo quindi trovato un’espressione della derivata direzionale valida ∀x∧∀v ∈ Rn. È un casofortuito: in genere infatti non si è così fortunati. Si consideri per istanza

f(x, y) :=

x2

x2+y2 per (x, y) 6= (0, 0)

0 per (x, y) = (0, 0)

prendendo x = (0, 0) e come versori direzionali i versori e1, e2 ∈ Rn della base canonica. Inquesto caso si ha che

De1f(x) = limt→0

f(x + te1)− f(x)

t= limt→0

f(t, 0)

t= limt→0

1

t

t2

t2= limt→0

1

t= ±∞

e quindi non esiste la derivata direzionale De1f(x), mentre vale che

De2f(x) = limt→0

f(x + te2)− f(x)

t= limt→0

f(0, t)

t= limt→0

1

t

0

t2= 0

e di conseguenza esiste De2f(x) = 0.

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Definizione 34. Sia f : X ⊆ Rn → R una funzione scalare definita su un aperto X, e siaC := e1, . . . , en la base canonica di Rn. Chiamiamo derivata parziale rispetto alla coordinataj-esima e la indichiamo con

∂f

∂xj(x) ≡ ∂jf(x) = lim

t→0

f(x + tej)− f(x)

t

la derivata direzionale nella direzione di ej calcolata nel punto x.

Sviluppando il rapporto incrementale precedente, si nota che

∂f

∂xj(x) = lim

t→0

f(x + tej)− f(x)

t= limt→0

f(xi, . . . , xj + t, . . . .xn)− f(x)

t

altro non è se non la derivata di f rispetto alla variabile xj , mentre le altre vengono lette comecostanti. Si consideri infatti la funzione f(x, y, z) = x2

√y2 + z2. Calcolando le derivate parziali

rispetto alle tre coordinate (tenendo a mente che l’origine è un punto patologico) si ottiene che∂f∂x = 2x

√y2 + z2

∂f∂y = 2yx2

2√y2+z2

= yx2√y2+z2

∂f∂z = 2zx2

2√y2+z2

= zx2√y2+z2

Definizione 35. Sia f : X ⊆ Rn → R una funzione scalare definita su un aperto X e siaC := e1, . . . , en la base canonica di Rn. Se esistono tutte le derivate parziali ∂f

∂xicalcolate in

x ∈ X, è possibile definire un vettore che viene chiamato gradiente di f calcolato nel punto x:

∇f(x) =

n∑i=1

∂f

∂xi(x)ei =

(∂f

∂x1(x), . . . ,

∂f

∂xn(x)

)La direzione del gradiente ∇f(x) indica la retta lungo la quale si ha il massimo valore diincremento della f in un intorno del punto x

Quanto si è precedentemente discusso non generalizza tuttavia il concetto di derivata già vistonelle funzioni f : X ⊆ R → R, per via dell’assenza dell’implicazione della continuità da partedell’esistenza delle derivate parziali/direzionali, come si può osservare dal seguente esempio. Siconsideri la funzione

f(x, y) :=

xe

xy per y 6= 0

0 per y = 0

Siano dati un generico versore v ∈ R2 e x = (0, 0), il primo dei quali espresso attraverso lecoordinate polari come (cos θ, sin θ), con θ ∈ [0, 2π). Si ha che

Dvf(x) = limt→0

f(x + tv)− f(x)

t= limt→0

t cos θecot θ

t= cos θecot θ

La derivata direzionale esiste quindi ∀θ 6= 0, π. Analizzaimo i casi potenzialmente patologici:

θ = 0 =⇒ v = (1, 0) limt→0

f(t, 0)− f(0, 0)

t= limt→0

0

t= 0

θ = π =⇒ v = (−1, 0) limt→0

f(−t, 0)− f(0, 0)

t= limt→0

0

t= 0

La derivata direzionale esiste quindi in ogni direzione; la funzione tuttavia non è continua. Siconsideri infatti la restrizione della funzione al dominio A := (x, y) ∈ R2 : y = x3, e si calcoliil

lim(x,y)→(0,0)

f(x, y) = limx→0

xexx3 = lim

x→0xe

1x2 = ±∞

La funzione non è quindi continua in (0, 0). Qual’è il motivo di questa apparente incongruenza?Non c’è trucco, non c’è inganno come direbbe qualcuno: questa discrepanza è dovuta al fatto cheper funzioni f : R→ R vengono a coincidere due concetti: quelli di derivabilità e differenziabilità.

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Definizione 36. Sia f : X ⊆ Rn → R una funzione definita su un aperto X. f si dicedifferenziabile in un punto x ∈ X se esiste un’applicazione lineare4 L : Rn → R tale che

f(x + h)− f(x) = L(h) + o(h)

per h→ 0.

Ricordando che esiste una corrispondenza biunivoca tra applicazioni lineari e matrici, l’ap-plicazione lineare in questione è descritta da una matrice A ∈ M1,n(R) (i.e. un vettore riga),e, poiché l’applicazione altro non è se non Ax, il prodotto tra matrici può essere descritto dalprodotto scalare 〈a,x〉.

Definizione 37. Sia f : X ⊆ Rn → R una funzione definita su un aperto X. f si dicedifferenziabile in un punto x se esiste un vettore a ∈ Rn tale che

f(x + h)− f(x) = 〈a,h〉+ o(‖h‖)

per ogni h ∈ Rn : x + h ∈ X.(?)

Teorema 23. Sia f : X ⊆ Rn → R una funzione definita su un aperto X e differenziabile in unpunto x ∈ X. Allora

1. f è continua in x;

2. f è derivabile in x lungo qualsiasi direzione, ed in particolare esistono le derivate parzialicalcolate in x.

Vale inoltre che a = ∇f(x) e che Dvf(x) = 〈∇f(x),v〉.

Dimostrazione. 1. Sappiamo che f(x + h)− f(x) = 〈a,h〉+ o(‖h‖) per h → 0. Vale quindiche limh→0 f(x + h)− f(x) = 0, e l’asserto è dimostrato.

2. Sia data la base canonica C di Rn, e si consideri h = tej. Per t→ 0 vale che

f(x + tej)− f(x) = 〈a, tej〉+ o(‖tej‖)f(x + tej)− f(x) = ajt+ o(|t|)f(x + tej)− f(x)

t= aj +

o(|t|)t

limt→0

f(x + tej)− f(x)

t= aj

aj altro non è quindi se non ∂jf(x). Abbiamo quindi dimostrato la seconda implicazione,nonché il fatto che a = ∇f(x).

Consideriamo la funzione di proiezione πk : Rn → R, e calcoliamo dπk(x)(h) := 〈∇f(x),h〉 =

〈(0, . . . , ∂πj∂xj(x) = 1, . . . , 0),h〉 = hj , che talvolta viene indicato come dxj . Questa notazione

viene talvolta utilizzata per scrivere

df(x) =

n∑j=1

∂f

∂xj(x)dxj

In virtù del teorema precedente vale inoltre cheDvf(x) = 〈∇f(x),v〉 è scrivibile come ‖∇f(x)‖‖v‖ cos θ,ove con θ si indica l’angolo compreso tra il vettore gradiente e il versore v. Vale quindi cheDvf(x) = ‖∇f(x)‖ cos θ. È quindi facilmente intuibile come la direzione e il modulo del vettoregradiente rappresentino rispettivamente la direzione di massima variazione della funzione (i.e.

4Il differenziale può essere visto come una funzione che manda da uno spazio vettoriale ad uno spazio difunzioni (in questo caso di applicazioni lineari) dfx : X → L(Rn,R) x 7→ 〈∇f(x),h〉 ∀h ∈ Rn che rispetti laregola di Leibniz (cfr. Appunti di Serapioni).

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la direzione in cui la derivata direzionale è massima) e il modulo della suddetta derivata: perθ = 0 si ha infatti che Dvf(x) = ‖∇f(x)‖.Può risultare interessante individuare un’analogia fra il differenziale di una funzione f : (a, b) ⊂R→ R e il differenziale di una funzione scalare f : X ⊆ Rn → R. A questo scopo, si considerinouna fuzione differenziabile f e un punto x ∈ X. Posto h = x − x (con x un generico punto diX) si ha che f(x + h)− f(x) = f(x)− f(x) = 〈∇f(x),x− x〉+ o(‖x− x‖). Il risultato finale èquindi, a meno di un termine trascurabile (“bruscolini”), un iperpiano tangente al grafico dellafunzione nel punto x

f(x) = f(x) + 〈∇f(x),x− x〉in cui 〈∇f(x),x− x〉 rappresenta un piano di Rn passante per l’origine, che viene traslato diun fattore f(x). Sviluppando il prodotto scalare (ponendoci in R2 e considerando il puntox = (x0, y0) a titolo di esempio) si ottiene

f(x) = f(x) + 〈∇f(x),x− x〉 = f(x0, y0) +∂f

∂x(x)(x− x0) +

∂f

∂y(x)(y − y0)

− ∂f

∂x(x)(x− x0)− ∂f

∂y(x)(y − y0) + f(x, y)− f(x0, y0) = 0

ove n =(− ∂f

∂x (x),−∂f∂y (x), 1)rappresenta il vettore normale al piano tangente alla curva in x

(cfr. Appunti di Fontanari).

Teorema 24 (del Differenziale Totale). Sia f : X ⊆ Rn → R una funzione scalare definita suun aperto X e sia x ∈ X. Se le derivate parziali ∂f

∂xiesistono tutte in un intorno U(x) e se sono

continue in x allora f è differenziabile in x.

Dimostrazione. Poniamoci, come sempre, nel caso n = 2 (la pigrizia regna sovrana in questocorso). Siano x = (x1, x2) e h = (h1, h2). Vale che f(x + h) − f(x) = f(x1 + h1, x2 + h2) −f(x1, x2) = f(x1 + h1, x2 + h2) − f(x1 + h1, x2) + f(x1 + h1, x2) − f(x1, x2). Consideriamo iprimi due termini a destra dell’ultimo simbolo di uguaglianza; poiché f ammette per ipotesi lederivate parziali, è possibile applicare il teorema di Lagrange (o Teorema del Valor Medio):

f(x1 + h1, x2 + h2)− f(x1 + h1, x2) =∂f

∂x2(x1 + h1, x2 + θh2)h2 con θ ∈ (0, 1)

Sappiamo però che la derivata parziale è continua in x: vale quindi che

∂f

∂x2(x1 + h1, x2 + θh2) =

∂f

∂x2(x1, x2) + ε(h1, h2) per (h1, h2)→ (0, 0)

con ε(h1, h2) → 0 per (h1, h2) → 0 (poiché nell’espressione originale della derivata parzialeavevamo entrambe le componenti di h entrano entrambe nel calcolo dell’errore). Inoltre, semprein virtù dell’esistenza delle derivate parziali5, si ha

f(x1 + h1, x2)− f(x1, x2) =∂f

∂x2(x1, x2)h1 + h1η(h1)

con η(h1)→ 0 per (h1, h2)→ 0 (qui invece l’unica componente di h da prendere in considerazioneè h1). Combinando le due osservazioni, si ha, per (h1, h2)→ (0, 0) che

f(x + h)− f(x) =∂f

∂x2(x1, x2)h2 +

∂f

∂x2(x1, x2)h1 + h1η(h1) + h2ε(h1, h2) =

〈∇f(x),h〉+ h1η(h1) + h2ε(h1, h2)

Affinché f sia differenziabile in x è necessario che h1η(h1) +h2ε(h1, h2) sia un o(‖h‖). Andiamoquindi a verificare questa condizione:∣∣∣∣∣h1η(h1) + h2ε(h1, h2)√

h21 + h2

2

∣∣∣∣∣ ≤∣∣∣∣∣ h1η(h1)√

h21 + h2

2

∣∣∣∣∣+

∣∣∣∣∣h2ε(h1, h2)√h2

1 + h22

∣∣∣∣∣ ≤ |h1|∣∣η(h1)

∣∣√h2

1 + h22

+|h2|∣∣ε(h1, h2)

∣∣√h2

1 + h22

5Questo è un passaggio al limite mascherato: togliendo il limite, è necessario aggiungere un errore η(h1) perfar sì che l’uguaglianza sia verificata.

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In virtù dell’ormai nota disuguaglianza |vi| ≤ ‖v‖ si ha che6

|h1|∣∣η(h1)

∣∣√h2

1 + h22

+|h2|∣∣ε(h1, h2)

∣∣√h2

1 + h22

≤∣∣η(h1)

∣∣+∣∣ε(h1, h2)

∣∣ove i maggioranti per costruzione tendono a 0 al tendere di (h1, h2)→ (0, 0). È quindi un o(‖h‖)e l’asserto è dimostrato.

Definizione 38. Siano f : X ⊆ Rn → R una funzione definita su un aperto X e x ∈ X;supponiamo inoltre che Dv(x) esista e sia definita in un intorno U(x). Consideriamo il vettorew ∈ Rn e il punto y ∈ (U(x) \ x). Possiamo definire la derivata direzionale lungo w calcolatain y e la indicheremo Dw(Dvf(x))(y) (oppure ∂2f

∂xj∂xi= ∂

∂xj

(∂f∂xi

(x))(y), qualora le direzioni

siano lungo i vettori della base canonica ej e ei). Essa è pari a

limt→0

Dvf(y + tw)−Dvf(y)

t=

limt→0

f(y + tw + tv)− f(y + tw)− f(y + tv) + f(y)

t2

Tale derivata è anche detta derivata mista.

Consideriamo la funzione f : Rn \ 0 → R che manda l’elemento x in f(x) = 1‖x‖ . Calcolia-

mone le derivate parziali lungo le direzioni ej e ek:

∂f

∂xj=

∂xj

(1√

x21 + · · ·+ x2

n

)= −1

2

2xj

‖x‖3= − xj

‖x‖3

∂2f

∂xk∂xj=

∂xk(−xj(x2

1 + · · ·+ x2n)−

32 ) = − δkj

‖x‖3− 3xjxk

‖x‖5

Si potrebbe quindi pensare che le derivate miste siano invarianti rispetto all’ordine in cui vengonoeffettuate; tuttavia non è così. Si consideri la funzione f : R2 → R così definita:

f(x, y) :=

xy x

2−y2

x2+y2 per (x, y) 6= (0, 0)

0 per(x, y) = (0, 0)

Calcoliamo ora, attraverso il limite del rapporto incrementale, la derivata direzionale lungo i dueversori della base canonica in (x, 0) e (0, y):

limt→0

f(t, y)

t= limt→0

yt2 − y2

t2 + y2= −y

limt→0

f(x, t)

t= limt→0

xx2 − t2

x2 + t2= x

Come si può facilmente intuire, derivando ancora si otterranno due risultati diversi.

Teorema 25 (della derivazione a catena). Sia f : X ⊆ Rn → R una funzione definita su unaperto X differenziabile in x0 ∈ X. Sia gi : [a, b]→ R, con i = 1, . . . , n, una funzione derivabilein t0 ∈ [a, b] tale che g = (g1, . . . , gn), g[a, b] ⊆ A e g(t0) = x0. La funzione F := f g èderivabile in t0 e vale che

F ′(t0) = 〈∇f(g(t0)), g′(t0)〉

Dimostrazione. Sia h : X → R la funzione così definita:

h(y) =

f(y)−f(x0)−〈∇f(x0),y−x0〉

‖y−x0‖ y 6= x0

0 y = x0

6Si è qui maggiorato |h1|√h2

1+h22

=|h1|‖h‖ con 1.

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Poiché h è una combinazione di funzioni differenziabili (e di conseguenza continue), è continuain X. Consideriamo h g: essendo una composizione di funzioni continue in x0, è continua inx0. Considero la quantità

limτ→0

h(g(t0 + τ))‖g(t0 + τ)− g(t0)‖

τ=

limτ→0

f(g(t0 + τ))− f(g(t0))− 〈∇f(g(t0)), g(t0 + τ)− g(t0)〉τ

=

limτ→0

(F (t0 + τ)− F (t0)

τ− 〈∇f(g(t0)), g(t0 + τ)− g(t0)〉

τ

)= 0

Ricordando le proprietà del prodotto scalare, si ha che

F ′(t0) = limτ→0

〈∇f(g(t0)), g(t0 + τ)− g(t0)〉τ

=

limτ→0〈∇f(g(t0)),

g(t0 + τ)− g(t0)

τ〉 = 〈∇f(g(t0)), g′(t0)〉

Teorema 26 (di Schwarz). Sia f : X ⊆ Rn → R. Se ∂2f∂xj∂xi

(x) e ∂2f∂xi∂xj

(x) esistono in unintorno U(x) e se f ∈ C 2(x), allora sono simmetriche.

Dimostrazione. Consideriamo ∆ := f(x + tek + tej) − f(x + tek) − f(x + tej) + f(x), cont sufficientemente piccolo affinché ∆ sia definita in un intorno di x. Definiamo la funzioneg(τ) := f(x + tek + τej) − f(x + τej), con τ ∈ [0, t]. ∆ può quindi essere riscritto comeg(t)−g(0). Consideriamo le funzioni ψx0+tek

(τ) = x0 + tek +τej e ψx0(τ) = x0 +τej, derivabiliin quanto funzioni polinomiali: risulta quindi che

g(τ) = (f ψx0+tej)(τ)− (f ψx0)(τ)

Possiamo quindi applicare il Teorema della Derivazione a Catena:

dg

dτ= 〈∇f(x0 + tek + τej), ej〉 − 〈∇f(x0 + τej), ej〉 =(

∂f

∂xj(x + tek + τej)−

∂f

∂xj(x + τej)

)Inoltre, la continuità delle derivate ci garantisce che anche g sia continua (ci garantiscono ladifferenziabilità in un intorno U(x) e quindi la continuità della funzione in quell’intorno). Èquindi possibile applicare il Teorema di Lagrange:

∆ = g(t)− g(0) =

(∂f

∂xj(x + tek + θtej)−

∂f

∂xj(x + θtej)

)t con θ ∈ (0, 1)

Definiamo ora φ(τ) := ∂f∂xj

(x+τek+θτej), con τ ∈ [0, t]. Si ha che ∆ = (φ(t)−φ(0))t. Anche qui,dopo aver verificato l’applicabilità del Teorema della Derivazione a Catena, è possibile applicareil Teorema di Lagrange (per delucidazioni vedi sopra):

∆ = (φ(t)− φ(0))t =

(∂f

∂xk∂xj(x + θτek + ητej)

)t2 con η ∈ (0, 1)

Passando al limite7 accorpando i coefficienti dei versori, si ha

limt→0

t2= limt→0

∂f

∂xk∂xj(x + θek + ηej) =

∂f

∂xk∂xj(x)

Noto che avrei potuto eseguire il processo in modo analogo invertendo la scelta dei versori presiin considerazioni nelle funzioni ausiliare: avrei avuto dei coefficienti θ e η diversi, mantenendoperò analogo il risultato finale. L’asserto è dimostrato.

7È qui che entra la continuità delle derivate seconde: non fossero continue in x, il limite non convergerebbe a∂2f

∂xk∂xj(x).

19

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Teorema 27 (di Taylor). Sia f : X ⊆ Rn → R, ove con X si indica un insieme aperto econvesso di Rn, e siano x0,x ∈ X. Vale che

1. Se f ∈ C 2(X) allora

f(x) = f(x0) + 〈∇f(x),x− x0〉+1

2

n∑i=1

n∑j=1

∂2f

∂xi∂xj(ξ)(xi − x0i)(xj − x0j )

2. Se f ∈ C 3(X) allora

f(x) =f(x) + 〈∇f(x),x− x0〉+1

2

n∑i=1

n∑j=1

∂2f

∂xi∂xj(x)(xi − x0i)(xj − x0j )+

1

6

n∑i=1

n∑j=1

n∑k=1

∂3f

∂xi∂xj∂xk(ξ)(xi − x0i)(xj − x0j )(xk − x0k)

In particolare, gli ultimi termini sono rispettivamente un R(x, h) = o(‖x‖) e R2(x, h) = o(‖x‖2),e corrispondono al Resto secondo Lagrange (con ξ appartenente al segmento congiungente x0 ex).

Dimostrazione. Sia φ : [0, 1]→ R una funzione definita come φ(t) = (f ψ)(t)− (f ψ)(0), conψx0 = x0 + th.

φ′(t) = 〈∇f(ψx0(t)), ψ′x0(t)〉 = 〈∇f(x0 + th),h〉 =

n∑i=1

∂f

∂xi(x0 + th)hi

φ′′(t) =

n∑i,j=1

∂2f

∂xj∂xi(x0 + th)hihj

Applicando quindi il Teorema di Taylor per funzioni definite in R a valori in R (calcolando ilpolinomio di Taylor T2φ(0)), si ottiene che

φ(t) = φ(0) + 〈∇f(x0),h〉 t+1

2

n∑i,j=1

∂2f

∂xj∂xi(x0 + h)hihjt

2

Calcolando il sopraccitato sviluppo in t = 1 si ottiene l’asserto:

φ(1) = f(x0 + h)− f(x0) = 〈∇f(x0),h〉+1

2

n∑i,j=1

∂2f

∂xj∂xi(x0 + h)hihj

L’asserto è dimostrato.

Definizione 39. Sia f : X ⊆ Rn → R una funzione definita su un aperto X in cui è anchedifferenziabile e sia x ∈ X. Diremo che f è differenziabile due volte in x se l’applicazione df èdifferenziabile in x, ottenendo l’applicazione lineare

d2f : X → L(Rn,Rn) definita come d2f(x) =

n∑i,j=1

∂xixjf(x)hihj

Tale applicazione viene detta differenziale secondo di f in x.

La matrice che rappresenta d2f(x) è la matrice quadrata∂x1x1

f(x) ∂x1x2f(x) . . . ∂x1xnf(x)

∂x2x1f(x) ∂x2x2

f(x) . . . ∂x2xnf(x)...

......

...∂xnx1

f(x) ∂xnx2f(x) . . . ∂xnxnf(x)

che viene detta matrice Hessiana di f in x, indicata con Hf (x).

20

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Teorema 28. Se f è differenziabile due volte in x vale che ∂xixjf(x) = ∂xjxif(x).

Dimostrazione. Procediamo come nella dimostrazione del Teorema di Schwarz: sia ∆ := f(x +tej + tek)− f(x + tek)− f(x + tej) + f(x), e a questo ∆, una volta definita la funzione g(τ) :=f(x + tej + τek)− f(x + τek) (ottenendo così che ∆ = g(t)− g(0)), applichiamo il Teorema diLagrange:

∆ =dg

dτt =

(∂f

∂k(x + tej + θtek)− ∂f

∂k(x + θtek)

)t

A questo punto, non possiamo nuovamente applicare il Teorema di Lagrange in quanto ∂f∂k è

differenziabile solamente nel punto x, e non è detto che lo sia in qualche suo intorno. Si puòtuttavia utilizzare la definizione della differenziabilità in x

∂f

∂k(x + tej + θtek) =

∂f

∂k(x) + 〈∇∂f

∂k(x), (tej + θtek)〉+ η(x, t) =

∂f

∂k(x) +

∂2f

∂j∂k(x)t+

∂2f

∂k2(x)θt+ η(x, t)

∂f

∂k(x + θtek) =

∂f

∂k(x) + 〈∇∂f

∂k(x), θtek〉+ η(x, t) =

∂f

∂k(x) +

∂2f

∂k2(x)θt+ η(x, t)

Si ottiene quindi che∆

t2=

∂2f

∂j∂k(x) +

η(x, t)

t+η(x, t)

t

Per t→ 0 si ha che ∆t2 = ∂2f

∂j∂k (x) e, poiché la definizione iniziale della g(τ) è simmetrica rispettoalle due direzioni, si ottiene che

∂2f

∂j∂k(x) =

∂2f

∂k∂j(x)

5 OttimizzazioneDefinizione 40. Sia f : X ⊆ Rn → R e sia x0 ∈ X. Diremo che x0 è un punto di massimo(minimo) locale di f se esiste un intorno B(x0, ρ) tale che ∀x0 ∈ B(x0, ρ) ∩X si ha che f(x) ≤f(x0) (f(x) ≥ f(x0)). Se quanto detto vale ∀x ∈ X, x0 viene detto di massimo (minimo)globale.

Se, per ogni x 6= x0 la disuguaglianza vale in senso stretto, diremo che x0 è un punto dimassimo (minimo) locale forte. Se X è un insieme aperto (X = X), gli estremi di f vengonodetti liberi.

Teorema 29. Sia x0 un punto estremante di f . Se esiste un versore v ∈ Rn e Dvf(x0) esiste,allora Dvf(x0) = 0.

Dimostrazione. Supponiamo che x0 sia un punto di massimo locale debole: ∀x ∈ B(x0, ρ) ∩X f(x) ≤ f(x0). Consideriamo la derivata direzionale lungo v, in particolare per (x + tv) ∈B(x0, ρ) (t ∈ [−ρ, ρ]):

limt→0

f(x0 + tv)− f(x0)

t

Consideriamo t ∈ (−ρ, 0): in questo caso

limt→0

f(x0 + tv)− f(x0)

t≥ 0

21

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in quanto f(x0 + tv) ≤ f(x0) per ipotesi e t < 0. Prendendo invece t ∈ (0, ρ) vale che

limt→0

f(x0 + tv)− f(x0)

t≤ 0

Poiché il limite esiste per ipotesti, l’unico possibile output del rapporto incrementale è 0.L’asserto è dimostrato.

Teorema 30 (di Fermat). Se f è differenziabile in x0, punto estremante locale, allora tuttele derivate direzionali sono nulle, ovvero ∇f(x0) = 0. I punti in cui il gradiente si annullavengono detti punti critici o stazionari.

Non è tuttavia detto che i punti critici siano di minimo o di massimo. Si consideri infatti lafunzione f(x, y) = y2 − 3x2y + 2x4. Troviamo un punto il cui il gradiente si annulla:

∂xf = −6xy + 8x3 = 0

∂yf = 2y − 3x2 = 0

(0, 0) è quindi un punto critico. Tuttavia, non è né un punto di massimo, né un punto di mini-mo. Una verifica diretta può essere fatta studiando il segno della funzione. Si consideri la stessafunzione, questa volta espressa come f(x, y) = (y − x2)(y − 2x2). La regione compresa tra ledue parabole in (0, 0) non ammette minimo, bensì un massimo (in ogni intorno di x0 la funzionecambia segno). In virtù di questa doppia natura, il punto (0, 0) viene detto punto di sella.

−2−1012

−20

2

0

50

−2−1012

−2

0

2

0

50

Un modo per determinare la natura di un punto critico x0 è quello di utilizzare la forumla diTaylor per analizzare il segno di f(x0 + h)− f(x0):

f(x0 + h)− f(x0) = 〈∇f(x0),h〉+1

2〈Hf (x0)h,h〉

La determinazione del segno di f(x0+h)−f(x0) conduce quindi all’analisi della forma quadratica〈Hf (x0)h,h〉.

Definizione 41. Sia data una forma bilinare b : V × V → R. Si definisce forma8 quadraticaassociata a b l’applicazione q : V → R che associa ad ogni elemento v ∈ V l’elemento q(v) =b(v,v). In particolare, la forma quadratica q associata a b soddisfa le seguenti condizioni:

• q(kv) = k2q(v);

• 2b(v,w) = q(v + w)− q(v)− q(w).

Se è data una base C = e1, . . . , en di V e se A ∈ Mn(R) è la matrice che rappresenta laforma bilineare simmetrica b si ha9, per ogni v ∈ V

q(v) = vtAv =

n∑i,j=1

Aijvivj

8Il termine forma fa riferimento ad un polinomio omogeno a più variabili. Le figate che si imparano in giro!9v va qui inteso come vettore colonna; vt è invece il vettore riga.

22

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Teorema 31 (di Sylvester). Sia V uno spazio vettoriale reale, con dim(V ) = n ≥ 1, e siab : V × V → R una forma bilineare simmetrica. Esistono un numero intero non negativo p ≤ r,ove r è il rango di b, dipendente solo da b e una base E = v1, . . . ,vn di V tali che rispetto adE la forma b abbia la seguent matriceDp 0 0

0 −Dr−p 00 0 0

Equivalentemente, ogni matrice simmetrica è congruene ad una matrice diagonale di questaforma.La coppia (p, r-p) viene detta segnatura di b e q.

Definizione 42. Una forma quadratica q sullo spazio vettoriale V si dice:

1. definita positiva se q(v) > 0 per ogni v 6= 0;

2. definita negativa se q(v) < 0 per ogni v 6= 0;

3. semidefinita positiva se q(v) ≥ 0 per ogni v;

4. semidefinita negativa se q(v) ≤ 0 per ogni v.

Teorema 32 (Primo Teorema di Debreu). La matrice simmetrica A ∈Mn(R) è:

1. definita positiva se e solo se tutti i suoi autovalori sono strettamente positivi;

2. definita negativa se e solo se tutti i suoi autovalori sono strettamente negativi;

3. semidefinita positiva se e solo se tutti i suoi autovalori sono positivi e ne esiste almenouno uguale a 0;

4. semidefinita negativa se e solo se tutti i suoi autovalori sono negativi e ne esiste almenouno uguale a 0.

Teorema 33 (Secondo Teorema di Debreu). La matrice simmetrica A ∈Mn(R) è:

1. definita positiva se e solo se tutti i minori principali di Nord-Ovest sono strettamentemaggiori di 0;

2. definita negativa se e solo se tutti i suoi minori principali di Nord-Ovest di orinde k hannosegno (−1)k;

3. semidefinita positiva se e solo se tutti i minori principali sono maggiori o uguali 0;

4. semidefinita negativa se e solo se tutti i suoi minori principali di ordine k hanno segno(−1)k o 0.

Teorema 34. Sia f ∈ C 2(X) e sia x0 ∈ X un punto critico per f . Se Hf (x0) è definitapositiva, allora x0 è un punto di minimo locale forte; se Hf (x0) è definita negativa, allora x0 èun punto di massimo locale forte; se Hf (x0) è indefinita, x0 è un punto di sella.

6 Derivabilità e differenzialibità di funzioni a valori vettoriDefinizione 43. Una funzione A : X → Y (definita su un R-spazio vettoriale a valori in unR-spazio vettoriale) è un’applicazione lineare se A(λ1xi +λ2x2) = λ1A(x1)+λ2A(x2) ∀x1,x2 ∈X ∧ ∀λ1, λ2 ∈ R.

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Si osservi che, data una base C := v1, . . . ,vn di X, la linearità di un’applicazione linearecosì come le sue caratteristiche sono defenite in modo totale dall’azione della stessa sulla baseC : si ha infatti che

A(x) = A

( n∑i=1

xivi

)=

n∑i=1

xiA(vi)

Chiameremo lo spazio vettoriale delle trasformazioni lineari da X a Y L(X,Y ). È facilmente ve-rificabile che sia uno spazio vettoriale (“È elementare, se proprio Le risulta difficile mi scriva unamail”). All’interno di questo spazio, è possibile individuare un sottospazio vettoriale, chiamatoEnd(X), che consiste nello spazio delle funzioni lineari da X a valori in X. All’interno di End(X)è possibile inoltre individuare un altro sottospazio vettoriale, quello degli endomorfismi biiettivi,indicato con Aut(X). Gli automorfismi di X formano un gruppo, detto gruppo di automorfismi,rispetto alla composizione. È facile verificarlo:

• Siano A,B ∈ Aut(X). La definizione della composizione in L(X,X) induce la proprietàdell’associatività su X;

• SiaA ∈ Aut(X); esiste la funzione idX : X → X tale che (idXA)(x) = (Aidx)(x) = A(x);

• Poiché Aut(X) è il gruppo degli endomorfismi biiettivi, ammettono l’inversa: ∃A−1 ∈Aut(X) tale che (A−1 A)(x) = (A A−1)(x) = x.

Siano dimX = n e C := e1, . . . , en una base di X, dimY = m e C ′ := e1′, . . . , em′ unabase di Y . Ogni A ∈ L(X,Y ) individua un insieme di numeri tali che

A(ej) =

m∑i=1

aijei′

Per un vettore x generico, risulta, in virtù della linearità di A

A(x) = A

( n∑i=1

xiei

)=

n∑i=1

xiA(ei) =

n∑i=1

m∑j=1

xiaijej′

Risulta conveniente visualizzare questi elementi come matrice AC ′,C ∈Mm,n(R):a11 . . . a1j . . . a1n

a21 . . . a2j . . . a2n

......

......

...am1 . . . amj . . . amn

La funzione A può quindi essere indicata come l’applicazione lineare che manda l’elemento x ∈ Xnell’elemento Ax ∈ Y . Ciò risulta evidente se si sviluppa il prodotto riga per colonna fra A e x.Risulta quindi evidente come ci sia una corrispondenza biunivoca fra applicazioni lineari L(X,Y )e matriciMm,n(R): in particolare, questa corrispondenza è un isomorfismo10. È inoltre possibileindividuare un altro isomorfismo fra Mm,n(R) e Rm×n: C : A 7→ (At1, . . . , A

tj , . . . , A

jn), ove con

Atj viene indicato il trasposto del j-esimo vettore colonna. Avendo individuato questa relazione,è possibile definire in modo naturale (?) la norma di una mappa lineare.

Definizione 44. Sia A ∈ L(Rn,Rm) un’applicazione lineare, e sia AC ′,C ∈Mm,n(R) la matricead essa associata nelle basi C di X e C ′ di Y . Definiamo norma di A (e la indichiamo con‖A‖Eucl) la norma in Rm×n del vettore ottenuto trasponendo i vettori colonna della matrice A

‖A‖Eucl =

√√√√ n∑j=1

‖Atj‖2

=

√√√√ n∑j=1

m∑i=1

a2ij

10Un isomorfismo è un morfismo (i.e. . . . ) biiettivo. Come dice il buon tutor, preserva la struttura degli spazi.

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Definizione 45. Sia A ∈ L(X,Y ) un’applicazione lineare. Definiamo operatore aggiunto di Al’applicazione At tale che 〈Ax,y〉 = 〈x, Aty〉 ∀x ∈ Rn ∧ ∀y ∈ Rm.

Si considerino x = ej e y = ei′, con ej ∈ C e ei′ ∈ C ′, nella definizione precedente. Si ha che

〈Aej, ei〉 = 〈m∑k=1

akjek′, ei′〉 =

n∑k=1

akj 〈ek′, ei′〉 = akjδki = aij

〈ej, Atei′〉 = 〈ej,n∑k=1

atkiek〉 =

m∑k=1

atki 〈ej, ek〉 = atkiδkj = atjk

Risulta quindi evidente come la matrice associata all’operatore aggiunto di A altro non sia senon la trasposta At della matrice associata ad A.

Teorema 35. ∀A ∈ L(Rn,Rm) ∧ ∀h ∈ Rn vale che ‖Ah‖Rm ≤ ‖A‖Eucl‖h‖Rn .

Dimostrazione. Consideriamo ‖Ah‖2:

‖Ah‖2 =

n∑i=1

m∑j=1

a

Teorema 36. L’insieme Aut(Rn) è un aperto di End(Rn). Equivalentemente, GLn(R) è unaperto di Mn(R).

Dimostrazione. Sappiamo che A ∈ GLn(R) ⇐⇒ detA 6= 0. Consideriamo la funzionedet : Rn2 → R: è una funzione continua. Consideriamo l’insieme (0,+∞) ⊂ R, e in partico-lare consideriamo la sua controimmagine det−1(0,+∞), che coincide con GLn(R). Poiché det èuna funzione continua e (0,+∞) è un aperto in (R, τε), GLn(R) è un aperto.

Definizione 46. Sia A ∈ End(Rn). A è un operatore autoaggiunto se 〈Ax,y〉 = 〈x, Ay〉∀x,y ∈ Rn. Per quanto detto precedentemente in merito agli operatori aggiunti, risulta evi-dente che A = At.Per converso, un operatore si dice anti-autoaggiunto se la matrice ad esso associato è antisim-metrica.

Denotiamo con End+(Rn) l’insieme degli operatori autoaggiunti su Rn, e con End−(Rn)l’insieme degli operatori anti-autoaggiunti su Rn.

Teorema 37. End(Rn) = End+(Rn)⊕ End−(Rn).

Dimostrazione. Sia A ∈ End(Rn) un generico endomorfismo di Rn; scriviamola come 12 (A +

At)+ 12 (A−At). Vogliamo ora provare che 1

2 (A+At) ∈ End+(Rn) e che 12 (A+At) ∈ End−(Rn).

Supponiamo che

Definizione 47. Sia f : X ⊆ Rn → Rm, e sia xn ∈ X. Diremo che f è differenziabile in xn

quando esiste un’applicazione df : X → L(Rn,Rm) tale che

limh→0

‖f(x0 + h)− f(x0)− df(x0)h‖‖h‖

= 0

ove con df(x0) si indica un’applicazione lineare df(x0) : Rn → Rm.La relazione può essere riscritta nella forma

f(x0 + h)− f(x0) = df(x0)h + εx0(h)

ove con εx0(h) si indica una quantità tale che limh→0εx0 (h)

h = 0.

Si considerino i seguenti esempi:

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1. Sia A ∈ L(Rn,Rm). Applicando la definizione, si ottiene che dA(x) = A, ovvero ildifferenziale di X è identicamente A per ogni x ∈ Rn.

2. Sia idRn ∈ End(Rn). Poiché gli endomorfismi di Rn sono applicazioni lineari da Rn a valoriin Rn, possiamo applicare il risultato precedente: si ha quindi che didRn = idRn .

3. Si consideri 〈,〉 : Rn × Rn → R. Si ha che

〈x1 + h1,x2 + h2〉 − 〈x1,x2〉 = 〈x1,h2〉+ 〈x1,h1〉+ 〈h1,h2〉

I primi due termini altro non sono se non l’applicazione lineare dp(x1,x2) valutata in(h1,h2). Vogliamo invece dimostrare che la quantità 〈h1,h2〉 è un o(‖(h1,h2)‖) perh→ 0. Consideriamo la quantità∣∣〈h1,h2〉

∣∣‖(h1,h2)‖

≤ ‖h1‖‖h2‖‖h2‖

≤ ‖h1‖

ove si è utilizzata la Disuguaglianza di Cauchy-Schwarz e si è operata la seguente maggio-razione

‖(h1,h2)‖ ≥ ‖h2‖La quantità tende a 0 per h1→ 0, e quindi è tutto a posto.

Definizione 48. Sia A ⊆ Rn un aperto di Rn, sia x0 ∈ A e sia f : A → Rm una funzionedifferenziabile in x0 tale che df(x0) ∈ Aut(Rn). Diremo che x0 è uno zero isolato per la funzionef − f(x0) se esiste un intorno U(x0) tale che ∀x ∈ U(x0) f(x) = f(x0) =⇒ x = x0.

Dimostriamo ora l’unicità dello zero isolato. Poiché df(x0) ∈ Aut(Rn), sappiamo che esistedf(x0)−1, e che suddetta funzione è continua (in quanto lineare). Per questi motivi sappiamoche

limh→0

‖df(x0)−1(εx0(h))‖‖h‖

= ‖df(x0)−1

(limh→0

εx0(h)

‖h‖

)‖ = ‖df(x0)−1(0)‖ = 0

Possiamo quindi affermare che, dato un δ ∈ R e preso h ∈ Rn tale che 0 < ‖h‖ < δ, si ha

‖df(x0)−1(εx0(h))‖ < ‖h‖

Supponiamo ora che esista un certo x0 + h ∈ U(x0), con ‖h‖ < δ, tale che f(x0 + h) = f(x0).Consideriamo la differenza

f(x0 + h)− f(x0) = df(x0)h + εx0(h) = 0

Teorema 38 (Lemma di Hadamard). Siano A ⊆ Rn un aperto di Rn, x0 ∈ A e f : A → Rm.Le seguenti asserzioni sono equivalenti:

1. f è differenziabile in x0;

2. esiste una mappa a valori operatori lineari φx0: A → L(Rn,Rm) continua in x0 tale che

f(x) = f(x0) + φx0(x0)(x− x0).

In particolare, se una delle due è valida allora φx0(x0) = df(x0).

Dimostrazione. . . . Through the darkness, and into the void

Si consideri una funzione f : A ⊆ Rn → Rm, e siano C1 = e1, . . . , en e C2 = u1, . . . ,u1le basi canoniche rispettivamente di Rn e di Rm. Le componenti di f sono le funzioni scalarifi, . . . , fm definite in modo che

f(x) =

m∑i=1

fi(x)ui

Definizione 49. Siano A ⊆ Rn un aperto di Rn, x0 ∈ A e f : A → Rm. Diremo che f èparzialmente derivabile in x0 nella direzione h ∈ Rn se la funzione g : R → Rm che mandat 7→ f(x0 + th) è differenziabile in t = 0.

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Teorema 39. Siano A ⊆ Rn un aperto di Rn, x0 ∈ A e f : A → Rm. Se f è differenziabile inx0, allora le derivate parziali Djfi(x0) esistono, e, per h =

∑ni=1 hiei si ha che

df(x0)h =

m∑i=1

n∑j=1

∂fi∂xj

(x0)hjui

Dimostrazione. Poiché f è differenziabile in x0, sappiamo che f(x0 + h) − f(x0) = df(x0)h +εx0(h). Data C1 = e1, . . . , en la base canonica di Rn Consideriamo il vettore h = tej: si hache

f(x0 + tej)− f(x0) = df(x0)tej + εx0(tej)

Per la linearità del differenziale è possibile estrarre t e, facendo il passaggio al limite, si ha che

limt→0

f(x0 + tej)− f(x0)

t= df(x0)ej

Poiché la funzione f può essere vista come un vettore le cui componenti sono le funzioni scalarifi, si ha che

limt→0

∑mi=1 fi(x0 + tej)ui −

∑mi=1 fi(x0)ui

t

che diventa, per le proprietà dei limiti

limt→0

m∑i=1

fi(x0 + tej)− fi(x0)

tui = lim

t→0

m∑i=1

∂fi∂xj

(x0)ui = df(x0)ej

Reiterando il procedimento per ogni ej appartenente alla base canonica C si ottiene l’asserto.

Soffermiamoci per qualche istante sulla dimostrazione precedente, ed in particolare conside-riamo il vettore df(x0)ej nell’ottica della formulazione matriciale degli operatori lineari: essoaltro non è se non la j-esima colonna della matrice associata all’operatore lineare df(x0) nellebasi canoniche di Rn e Rm. Si ha quindi che

df(x0) =

D1f1(x0) . . . Dnf1(x0)D1f2(x0) . . . Dnf2(x0)

......

...D1fm(x0) . . . Dnfm(x0)

=

∇f1(x0)∇f2(x0)

...∇fm(x0)

Tale matrice viene chiamata matrice jacobiana.

Teorema 40 (Regola della Derivazione a Catena). Siano A ⊆ Rn un aperto di Rn, B ⊆ Rm unaperto di Rm, x0 ∈ A, f : A→ Rm, f(x0) ∈ B, g : B → Rk, con f e g due funzioni differenziabilirispettivamente in x0 e f(x0). La funzione g f : A → Rk è differenziabile in x0 e si ha ched(g f)(x0) = dg(f(x0))df(x0).

Dimostrazione. Sia y0 = f(x0), e siano definite le seguenti funzioni

u(h) = f(x0 + h)− f(x0)− df(x0)h

v(k) = g(y0 + k)− g(y0)− dg(y0)k

Essendo le funzioni f e g differenziabili rispettivamente in x0 e y0, le funzioni sopra definitealtro non sono se non εx0(h)h e ηy0(k)k. Fissiamo h e definiamo k = f(x0 + h) − f(x0) =df(x0)h + εx0(h)h. Si ha quindi che

g(f(x0 + h))− g(f(x0)) = dg(f(x0))df(x0)h + dg(f(x0))εx0(h)h + ηy0(k)k

Dobbiamo ora dimostrare che la quantità dg(f(x0))εx0(h)h + ηy0(k)k è un o(‖h‖). Operandodelle maggiorazioni si riesce ad ottenere che

‖k‖ = ‖df(x0)h + εx0(h)h‖ ≤ ‖df(x0) + εx0(h)‖‖h‖

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Sostituendo nella precedente e facendo degli abili passaggi algebrici (tra cui il passaggio al limite)si ottiene che

lim‖h‖→0

g(f(x0 + h))− g(f(x0))− dg(f(x0))df(x0)h

‖h‖≤ lim‖h‖→0

dg(f(x0))εx0(h) + ηy0(k)‖df(x0) + εx0(h)‖

Poiché sia εx0(h), sia ηy0(k) tendono a 0 per ‖h‖ → 0, l’asserto è dimostrato.

Da notare che la relazione di cui sopra può essere espressa attraverso le matrici di Jacobiassociate alle applicazioni lineari sopra indicate: Jgf (x0) = Jg(f(x0))Jf (x0), ove fra le duematrici si è applicato il prodotto matriciale.

Definizione 50. Siano A,B ⊆ Rn due aperti di Rn, sia f : A → B una funzione biiettivae differenziabile in A e sia f−1 : B → A una funzione differenziabile in B11. Allora f è undiffeomorfismo.

Una proprietà interessante dei diffeomorfismi che si può facilmente ricavare è la seguente. Siconsideri d(f f−1)(x) = d(idRn)(x) = idRn . Applicando la Regola della Derivazione a Catena siottiene che df−1(f(x))df(x) = idRn : quindi non solo f , ma anche df è invertibile! That’s somecool shit, ain’t it?Vogliamo ora verificare la veridicità del Teorema del Valor Medio (o Teorema di Lagrange) perfunzioni a valori vettori. Si consideri ad esempio la funzione

f : [0, 2π]→ R2

t 7→ (cos(t), sin(t))

E si consideri l’intervallo [0, 2π]. Vogliamo trovare un valore f ′(θ) tale che f(2π)−f(0) = f ′(θ)2π.Ci si può facilmente accorgere che non esiste un unico valore che mi permetta di avere f ′(θ) = 0.Dobbiamo quindi trovare un’altra generalizzazione.

Definizione 51. Siano A ⊆ Rn un aperto di Rn, f : A → Rm una funzione differenziabile.Supponiamo che df : A → L(Rn,Rm) sia limitato: esiste un M > 0 tale che ‖df(x)h‖ ≤ M‖h‖per ogni x ∈ Rn e per ogni h ∈ Rn. Allora vale che

‖f(x + h)− f(x)‖ ≤M‖h‖

La funzione f viene detta lipschitziana, con costante di Lipschitz M .

Teorema 41. Sia f : Rn → Rm una funzione di classe C 1(Rn) e sia K ⊂ Rn un compatto inRn. Allora f |K è lipschitziana.

7 Spazi di funzioniDefinizione 52. Sia dato un insiemeX. Chiameremo distanza suX una funzione d : X×X → Rche soddisfa tre condizioni:

1. d(x, y) ≥ 0 ∀x, y ∈ X ∧ d(x, y) = 0 ⇐⇒ x = y;

2. d(x, y) = d(y, x);

3. d(x, y) ≤ d(x, z) + d(z, y).

Chiameremo la coppia (X, d) spazio metrico.

Consideriamo i seguenti esempi di distanza:11È interessante notare che A e B sono necessariamente sottoinsiemi di insiemi aventi la medesima dimensione,

in quanto la funzione f è un omeomorfismo.

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• Dato un generico insieme X,la distanza discreta

d(x, y) :=

0 x = y

1 x 6= y

Da notare come questa metrica induca una topologia particolare su X (che Ulde, Davideed io abbiamo denominato τduv, anche se è nota come topologia discreta), in cui la basedella topologia B è costituita dai singoletti x, x ∈ X. e in cui gli aperti sono

⋃ixi.

Questa è l’unica topologia che ci è venuta in mente in cui la distanza discreta rispetta larichiesta di continuità della distanza: nella topologia euclidea τε la suddetta distanza nonè infatti continua.

• Dato lo spazio delle funzioni continue C 0(I) su un intervallo I = [a, b], definiamo l’infinito-distanza

d∞(f, g) = maxx∈I

∣∣f(x)− g(x)∣∣

È possibile generalizzare questa definizione a C k(I), ponendo l’infinito-distanza

d∞(f, g) = maxx∈I

∣∣f(x)− g(x)∣∣+ · · ·+ max

x∈I

∣∣∣f (k)(x)− g(k)(x)∣∣∣

• Sia R(I) lo spazio delle funzioni Riemann-integrabili su I. Definiamo

d(f, g) =

∫ b

a

∣∣f(x)− g(x)∣∣ dx

Dato uno spazio metrico (X, d), per mezzo della distanza d possiamo anche indurre una topologiasu X definendo gli intorni sferici (cfr. Definizione 7).

Definizione 53. Sia dato uno spazio metrico (X, d), Una successione xnn∈N di elementi di Xè convergente in x ∈ X se è verificata una delle condizioni equivalenti:

1. Sia dato un intorno U(x); xnn∈N è definitivamente in U(x);

2. ∀ε > 0 ∃n = n(ε) ∈ N : d(xn, x) < ε ∀n > n;

3. limn→∞ xn = x.

Definizione 54. Sia data una successione xnn∈N ⊂ X. Tale successione si dirà fondamentaleo di Cauchy se ∀ε > 0 ∃n = n(ε) ∈ N : d(xm, xn) < ε ∀n,m > n.

Se ogni successione fondamentale converge in (X, d), allora il suddetto spazio metrico vienedetto completo.

Definizione 55. Sia I ⊆ R e siano fn : I → R. Consideriamo la successione di funzioni fnn∈N.Diremo che fn converge puntualmente in I a f : I → R se la successione di numeri realifn(x)n∈N converge per ogni x ∈ I: ∀ε > 0∧∀t ∈ I ∃n = n(ε, t) ∈ N :

∣∣fn(t)− f(t)∣∣ < ε ∀n > n

Consideriamo la successioni di funzioni xnn∈N, con xn : [0, 1]→ R. La funzione limite dellasuccessione è la funzione

f(x) =

0 x < 1

1 x = 1

che non è continua in tutto il suo dominio di definizione. Vogliamo allora trovare una nozionedi convergenza per le successioni di funzioni più forte, e possiamo farlo utilizzando la definizionedi infinito-distanza.

Definizione 56. Sia I ⊆ R e siano fn : I → R. Consideriamo la successione di funzionifnn∈N. Diremo che fn converge uniformemente in I a f : I → R se ∀ε > 0 ∃n = n(ε) ∈ N :∣∣fn(x)− f(x)

∣∣ < ε ∀n > n ∧ ∀x ∈ I.

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In questo caso la funzione di prima non converge uniformemente in I: infatti maxx∈I∣∣fn(x)− f(x)

∣∣ =1 ∀n ∈ N. Se invece considerassimo la medesima funzione definita sull’insieme [0, b], b < 1 siavrebbe che maxx∈I

∣∣fn(x)− f(x)∣∣ = |bn| → 0 per n→∞.

Teorema 42. Una successione di funzioni fnn∈N definite su I converge uniformemente in Ise e solo se fnn∈N è una successione fondamentale.

Teorema 43. Sia fnn∈N una successione di funzioni limitate che converge uniformente af : I → R. Allora f è limitata.

Dimostrazione. Poiché la successione fnn∈N converge, è una successione di Cauchy: esisteallora un naturale n tale per cui

∣∣fn(x)− fm(x)∣∣ < 1 ∀n,m > n.

Teorema 44. Siano lnn∈N ⊂ R, fn : I ⊆ R→ R, n ∈ N e t0 ∈ I. Si supponga che

1. fnn∈N converga uniformemente in I alla funzione f ;

2. limt→t0 fn(t) = ln

Ne consegue che esistono, finiti, i limiti limt→t0 f(t) e limn→∞ ln, e vale che limn→∞ limt→t0 fn(t) =limt→t0 limn→∞ fn(t).

Dimostrazione. Sia dato un certo ε > 0. Poiché fn converge uniformemente in I, esiste unn(ε) ∈ N tale che ∀n,m > n∧∀x ∈ I vale che

∣∣fn(x)− fm(x)∣∣ < ε. Passando al limite per t→ t0,

si ha che |ln − lm| < ε ∀n,m > n. Abbiamo quindi dimostrato che ln è una successione di Cau-chy, e quindi converge in R a l. Si consideri ora

∣∣f(t)− l∣∣ =∣∣f(t)− fn(t) + fn(t)− ln + ln − l

∣∣ ≤∣∣f(t)− fn(t)∣∣+∣∣fn(t)− ln

∣∣+|ln − l|. Sia dato un certo n tale che∣∣f(t)− fn(t)

∣∣ ≤ ε3 ,∣∣fn(t)− ln

∣∣ ≤ε3 e |ln − l| ≤ ε

3 per ogni n > n. Accorpando le varie disuguaglianze, si ottiene che∣∣f(t)− l

∣∣ ≤ε ∀n > n. Abbiamo quindi l’asserto.

Teorema 45. Se fn è una successione di funzioni fn : I → R continue in I che convergeuniformemente a f , allora f è continua.

Teorema 46. Sia fnn∈N una successione di funzioni tale che fn ∈ R([a, b]) e che fn → funiformemente in [a, b]. Allora f ∈ R([a, b]) e vale che

limn→∞

∫ b

a

fn dx =

∫ b

a

limn→∞

fn dx =

∫ b

a

f dx

Dimostrazione. Definiamo εn = sup[a,b]

∣∣fn(t)− f(t)∣∣; vale che

fn(t)− εn ≤ f(t) ≤ fn(t) + εn ∀t ∈ [a, b]

Integriamo i membri della disuguaglianza precedente: otteniamo che∫ b

a

fn(t)− εn dt ≤∫ b

a

f(t) dt ≤∫ b

a

f(t) dt ≤∫ b

a

fn(t) + εn dt

Con degli abili passaggi algebrici ci riduciamo alla forma

0 ≤∫ b

a

f(t) dt−∫ b

a

f(t) dt ≤ 2εn(b− a)

Poiché fn converge uniformemente a f , limn→∞ εn = 0 per la definizione di εn e di convergenzauniforme. Vale quindi che

0 ≤∫ b

a

f(t) dt−∫ b

a

f(t) dt ≤ 0

I due integrali coincidono, e per la definizione di integrale secondo Riemann f ∈ R([a, b]). L’altraparte dell’asserto deriva in modo naturale dai passaggi utilizzati per la dimostrazione.

30

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Si consideri ora la relazione che intercorre tra convergenza uniforme e differenziabilità. Adesempio, si prenda in considerazione la successione di funzioni fnn∈N, con

fn(t) =sin(nt)

n

La successione converge uniformemente alla funzione costante f(t) = 0, in quanto∣∣sin(nt)

∣∣ ≤ 1

(e conseguentemente d∞(fn, f) = supt∈[a,b]

∣∣fn(t)∣∣ =

∣∣ 1n

∣∣ → 0 per n → ∞). Consideriamoora la successione delle derivate prime f ′n(t) = cos(nt), verificando in particolare che valgalimn→∞

ddtfn

?= d

dt limn→∞ fn. Date queste ipotesi e questa funzione la condizione non vale:infatti cos(nt) non tende uniformemente a 0 (che è d

dt limn→∞ fn), come si può ben notareconsiderando la successione f ′n(0) che è la successione costituita da 1.

Teorema 47. Sia fn una successione di funzioni fn : [a, b] → R tale che fn(x0) convergain [a, b] per un qualche x0 ∈ [a, b] e tale che f ′n converga uniformente in [a, b]. Allora fnconverge uniformemente in [a, b] alla funzione limite f : [a, b]→ R e vale che

limn→∞

f ′n(x) =d

dtlimn→∞

f(x) = f ′(x)

Dimostrazione. Sia dato ε > 0. Per la convergenza uniforme di f ′n e per la convergenzapuntuale di fn esiste un n tale che per ogni n,m > n vale che∣∣fn(x0)− fm(x0)

∣∣ < ε

2∣∣f ′n(t)− f ′m(t)∣∣ < ε

2(b− a)∀t ∈ [a, b]

Consideriamo ora il termine∣∣fn(t)− fn(x)− fm(t) + fm(x)

∣∣: applichiamo il Teorema del ValorMedio ai termini nel valore assoluto, ottenendo che∣∣fn(t)− fn(x)− fm(t) + fm(x)

∣∣ =∣∣f ′n(ξ)− f ′m(ξ)

∣∣|t− x| ≤ ε

2

|t− x|(b− a)

≤ ε

2

Tale disuguaglianza è valida per ogni t e per ogni x in [a, b] se n,m > n, e quindi vale inparticolare per x0. Consideriamo ora

∣∣fn(t)− fm(t)∣∣: vale che∣∣fn(t)− fm(t)

∣∣ =∣∣fn(t)− fn(x0)− fm(t) + fm(x0) + fn(x0)− fm(x0)

∣∣ ≤∣∣fn(t)− fn(x0)− fm(t) + fm(x0)∣∣+∣∣fn(x0)− fm(x0)

∣∣ < ε

per quanto detto antecedentemente. Poiché quest’ultima disuguaglianza vale, dato un certoε > 0, per ogni n,m > n e per ogni t ∈ [a, b], la successione fn converge uniformemente af : [a, b]→ R in [a, b]. Definiamo ora le funzione ausiliarie

φn(t) =fn(t)− fn(x)

t− xφ(t) =

f(t)− f(x)

t− x∀t 6= x

notando che limt→x φn(t) = f ′n(x). Riprendendo la disuguaglianza precedente con la nuovafunzione, abbiamo che ∣∣φn(t)− φm(t)

∣∣ ≤ ε

2(b− a)

per ogni n,m > n e per ogni t ∈ [a, b]; di conseguenza, la successione φn è uniformementeconvergente in [a, b] e, per la convergenza uniforme di fn vale che

limn→∞

φn(t) = φ(t)

Possiamo quindi applicare il Teorema dello Scambio dei Limiti, ottenendo che

limt→x

limn→∞

φn(t) = f ′(x) = limn→∞

limt→x

φn(t) = limn→∞

f ′n(x)

E otteniamo così l’asserto.

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Teorema 48. La coppia (C k([a, b]), d∞,k) è uno spazio metrico completo.

Teorema 49. La coppia (R([a, b]), d2), con d2 :=√∫ b

a(f(x)− g(x))2 dx la distanza integrale

di ordine 2, non è uno spazio metrico completo; può essere completato dallo spazio L2([a, b]).

Siano (X, dx) e (Y, dy) due spazi metrici generici, e consideriamo funzioni f : X → Y chemandano elementi dello spazio metrico X nello spazio metrico Y . Funzioni di questo tipopossono essere:

• L’integrazione secondo Riemann, che manda un elemento f ∈ R([a, b]) nell’elemento∫ baf(x) dx ∈ R, e che oltretutto è una funzione lineare;

• La derivazione, che manda un elemento f ∈ C 1([a, b]) nell’elemento Df ∈ C 0([a, b]).

Vogliamo ora generalizzare alcuni concetti delle funzioni tra spazi vettoriali alle funzioni traspazi metrici.

Definizione 57. Sia f : X → Y . Diremo che f è limitata se f(X) è limitata in (Y, τdy ), ovecon τdy si indica la topologia indotta su Y dalla metrica dy, ovvero esiste un intorno sfericoBy(y, ρ) : By(y, ρ) ⊇ f(x).

Definizione 58. Sia f : X → Y . f è detta continua se per ogni xnn∈N ⊂ X convergente ax0 ∈ X si ha che limn→∞ f(xn) = f(limn→∞ xn) = f(x0).

Definizione 59. Siano (X, dx) e (Y, dy) due spazi metrici, e sia f una funzione tra i due spazimetrici. Diremo che f è lipschitziana se esiste M ∈ R tale che ∀x1, x2 ∈ X vale che

dy(f(x1), f(x2)) ≤Mdx(x1, x2)

Se M < 1 e f : X → X diremo che f è una contrazione di X in X.

Teorema 50 (di Banach-Caccioppoli). Sia (X, dx) uno spazio metrico completo (cfr. Defini-zione 55), e sia f : X → X una contrazione di costante ρ. Allora f ammette un unico puntofisso12 x ∈ X. Inoltre, da ogni x0 ∈ X fissato la successione delle iterate xn+1 = f(xn) convergeal punto fisso x.

Dimostrazione. Verifichiamo l’unicità del punto fisso. Supponiamo che esistano due punti fissiper f x1, x2, per cui per definizione vale che f(x1) = x1 e f(x2) = x2. Sappiamo che la funzionef è una contrazione: quindi

dx(f(x1), f(x2)) = dx(x1, x2) ≤ ρdx(x1, x2) < dx(x1, x2)

Ma la condizione è verificata solo per dx(x1, x2) = 0, e quindi per x1 = x2. Verifichiamo ora chequesto punto fisso esista. Sia x0 ∈ X un generico punto di X. Definiamo la successione xn inmodo che xn+1 = f(xn). Poiché f è una contrazione, vale che

dx(xn+1, xn) = dx(f(xn), f(xn−1)) ≤ ρdx(xn, xn−1) = · · · ≤ ρndx(x1, x0)

Supponiamo ora di avere un certo n > m. Vale che

dx(xn, xm) ≤ dx(xn, xn−1) + dx(xn−1, xm) ≤ · · · ≤n−1∑i=m

dx(xi+1, xi)

n−1∑i=m

dx(xi+1, xi) ≤n−1∑i=m

ρidx(x1, x0) = dx(x1, x0)

n−1∑i=m

ρi

La serie∑n−1i=m ρ

i è una serie geometrica di ragione ρ, ed è uguale a ρm

1−ρ . Ritornando all’asserto,si ha che

dx(xn, xm) ≤ ρm

1− ρdx(x1, x0)

12

32

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Dato un ε > 0, è sempre possibile trovare un n tale che ρn

1−ρdx(x1, x0) < ε. Di conseguenza xnè una successione di Cauchy. Poiché (X, dx) è completo xn converge, e quindi limn→∞ xn = x.Poiché f è una contrazione, f è continua (in realtà uniformemente continua), e quindi si ha che

f(x) = limn→∞

f(xn) = limn→∞

xn+1 = x

L’asserto è quindi dimostrato.

Definizione 60. Sia data una serie di funzioni∑∞n=0 fn(x), con fn : I ⊆ R → R. Diremo

che la serie converge puntualmente (uniformemente) in I se la successione delle somme parzialiSN (x), con SN (x) =

∑Nn=0 fn(x), converge puntualmente (uniformemente).

Si consideri a titolo di esempio la serie

∞∑n=0

xn SN =

∞∑n=0

xn =1− xN+1

1− x

che converge puntualmente per x ∈ (−1, 1) alla funzione S(x) = 11−x . Tuttavia la convergenza

non è uniforme, in quanto la successione delle ridotte non converge uniformemente a S. Infatti,essendo gli elementi SN polinomi per ogniN ∈ N, sono limitati sull’intervallo di convergenza dellaserie. Se la successione convergesse uniformemente, la funzione limite S sarebbe limitata, cosanon vera. All’interno dell’intervallo di convergenza è tuttavia possibile trovare un intervallo in cuila successione delle somme parziali converge uniformemente alla funzione limite. Si consideri ungenerico b ∈ [0, 1[, e si analizzi il comportamento della successione in I = [−b, b]. Considerandol’infinito-distanza, si ha

supx∈I

∣∣SN (x)− S(x)∣∣ = sup

x∈I

∣∣∣∣∣−xN+1

1− x

∣∣∣∣∣Definizione 61 (Criterio di Cauchy). Sia

∑∞n=0 fn(x) una serie di funzioni fn : I ⊆ R → R.

La serie converge puntualmente in I se e solo se ∀ε > 0 ∧ ∀x ∈ I ∃n(ε, x) : ∀p > n ∧ q >0∣∣Sp+q − Sp∣∣ < ε.

Teorema 51 (Criterio di Weierstrass). Sia fn una successione di funzioni fn : I ⊆ R → R.Diremo che la serie

∑∞n=0 converge uniformemente in I se esistono dei cn ∈ R+ tali per cui∣∣fn(x)

∣∣ ≤ cn ∀x ∈ I e∑∞n=0 cn è convergente.

Dimostrazione. Poiché la serie∑∞n=0 converge, la successione delle somme parziali CN è una

successione fondamentale: ∀ε > 0 ∃n : ∀p > n ∧ q > 0∣∣Cp+q − Cp∣∣ < ε. Espandendo il termine

all’interno del valore assoluto si ottiene che∣∣Cp+q − Cp∣∣ =∣∣cp+q + · · ·+ cp+1

∣∣ < ε

Sappiamo che cn >∣∣fn(x)

∣∣ ∀x ∈ I: abbiamo quindi∣∣fp+q(x) + · · ·+ fp+1(x)∣∣ ≤ ∣∣fp+q∣∣+ . . . fp+1 ≤ cp+q + · · ·+ cp+1 < ε

Per il criterio di Cauchy la serie di funzioni converge.

Definizione 62. Si X un generico insieme. Chiameremo norma una funzione ‖.‖ : X → R cherispetti i seguenti assiomi:

1. ‖x‖ ≥ 0 ∀x ∈ X ∧ ‖x‖ = 0 ⇐⇒ x = 0;

2. ‖λx‖ = |λ| ‖x‖ ∀x ∈ X ∧ ∀λ ∈ C;

3. ‖x+ y‖ ≤ ‖x‖+ ‖y‖ ∀x, y ∈ X.

Una coppia (X, ‖.‖) viene detta spazio di Banach.

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Ad esempio, sia C ([a, b]) lo spazio delle funzioni continue su [a, b]. Ad ogni f ∈ C ([a, b])associamo la norma uniforme (o norma di Chebyshev) ‖f‖∞ = supx∈[a,b]

∣∣f(x)∣∣. Poiché f è

continua in un intervallo chiuso e limitato, ‖f‖∞ <∞. Inoltre, ‖f‖∞ = 0 solamente se f(x) = 0per ogni x ∈ [a, b]. Se consideriamo la funzione h = f + g, con f, g ∈ C ([a, b]), si ha che∣∣h(x)

∣∣ ≤ ∣∣f(x)∣∣+∣∣g(x)

∣∣ per ogni x ∈ [a, b]. Di conseguenza ‖f + g‖∞ ≤ ‖f‖∞ + ‖g‖∞. Abbiamoquindi dimostrato che la norma uniforme è effettivamente una norma. Ogni spazio di Banach èuno spazio metrico, in quanto la norma permette di definire una distanza. Ritornando al casoprecedente, la norma uniforme induce un particolare tipo di distanza, la distanza di Chebyshev(cfr. ).

Sia (X, ‖.‖) un generico spazio di Banach. Ci chiediamo, data una successione xn ⊂ X, ilsignificato della convergenza della serie

∑∞n=0 xn. La risposta si trova nel Criterio di Cauchy:

∀ε > 0 ∃n(ε) : ∀p > n ∧ q > 0 ‖xp+q − xp‖ < ε.

Teorema 52 (Della Convergenza Totale). Sia xn ⊂ X una successione in un generico spaziodi Banach. Se la successione SN delle ridotte delle norme (SN =

∑Nn=0‖xn‖) degli elemen-

ti della successione è convergente, allora la serie∑∞n=0 xn converge e vale che ‖

∑∞n=0 xn‖ ≤∑∞

n=0‖xn‖.

Se la serie∑∞n=0 fn(t) converge uniformemente, allora limt→t0

∑∞n=0 fn(t) =

∑∞n=0 limt→t0 fn(t).

Teorema 53. Siano fn : I ⊆ R → R delle funzioni limitate appartenenti a R(I). Se la serie∑∞n=0 fn(x) converge uniformemente in I, la funzione f(x) =

∑∞n=0 fn(x) è limitata e appartiene

a R(I), e vale che ∫ b

a

∞∑n=0

fn(t) dt =

∞∑n=0

∫ b

a

fn(t) dt

Ad esempio, si consideri la funzione u(t) = t3

et−1 . Definiamo

ε =

∫ ∞0

t3

et − 1dt =

∫ ∞0

t3e−t

1− e−tdt

Possiamo porret3

1− e−t= t3

∞∑n=0

e−nt

poiché 11−e−t è la somma della serie sopra riportata. Consideriamo ora la serie

∑∞n=0 t

3e−nt; inparticolare verifichiamo che converga uniformemente. Osserviamo infatti che∣∣fn(x)

∣∣ =∣∣∣t3e−nt∣∣∣ ≤ max

x∈[0,+∞)t3e−nt

Derivando t3e−nt si trova che il massimo di fn(x) è in t = 3n ; si ottiene quindi che

∣∣fn(x)∣∣ ≤ 27

n3 e−3.

La serie∑∞n=1

27n3 e−3 converge, e di conseguenza la serie delle fn(x) converge uniformemente per

il Criterio di Weierstrass. Sostituendo, si ha che

ε =

∫ ∞0

∞∑n=0

t3e−(n+1)t dtU=

∞∑n=0

∫ ∞0

t3e−(n+1)t dt =

∞∑n=0

limω→∞

∫ ω

0

t3e−(n+1)t =

∞∑n=0

limω→∞

−6

(n+ 1)4e−(n+1)t

∣∣∣∣ω0

=

∞∑n=0

6

(n+ 1)4=π4

15

Definizione 63. Sia data una successione cnn∈N ⊂ C; la serie∑∞n=0 cnz

n viene detta seriedi potenze, e i numeri cn vengono detti coefficienti della serie.

In generale, la serie potrebbe convergere o divergere a seconda della scelta di z. In particolare,ad ogni serie di potenze è associato un cerchio, detto cerchio di convergenza, tale per cui la serieconverge se z è all’interno del cerchio (per generalizzare si suole considerare il piano un cerchiodi raggio infinito).

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Teorema 54. Sia∑∞n cnz

n una serie di potenze; definiamo

α := limn→∞

sup n√|cn| = lim

n→∞sup

∣∣∣∣cn+1

cn

∣∣∣∣ ρ :=1

α

La serie di potenze converge se |z| < ρ, e diverge se |z| > ρ.

Teorema 55. Sia data una serie di potenze∑∞n=0 cnx

n. Se la serie converge per un certo x0,allora converge per ogni x tale che |x| < |x0|.

Dimostrazione. Poiché∑∞n=0 cnx

n0 converge, limn→∞ cnx

n0 = 0: ovvero, i termini della succes-

sione cnxn0 sono definitivamente minori di 1. Consideriamo ora

|cnxn| =

∣∣∣∣∣cnxn0 xnxn0∣∣∣∣∣ = |cnxn0 |

∣∣∣∣∣xnxn0∣∣∣∣∣ ≤∣∣∣∣∣(x

x0

)n∣∣∣∣∣Definizione 64. Si definisce polinomio trigonometrico una somma parziale

f(x) =a0

2+

N∑n=1

(an cos(nx) + bn sin(nx))

con x reale e a1, . . . , aN , b1, . . . , bN complessi.

Studiamo ora alcune caratteristiche delle serie di Fourier e delle loro somme.

• È palese che f(x) sia una funzione periodica, di periodo 2π (è la somma di funzioniperiodiche con periodo 2π

n , con n = 1, . . . , N . Di conseguenza ha periodo 2π).

• Esiste una semplice condizione di convergenza per la serie; infatti, è possibile applicare ilCriterio di Weierstrass:∣∣an cos(nx) + bn sin(nx)

∣∣ ≤ ∣∣an cos(nx)∣∣+∣∣bn sin(nx)

∣∣ ≤|an|+|bn|Poiché la condizione è verificata per ogni n, se le serie

∑∞n=1|an| e

∑∞n=1|bn| convergono

per il criterio del confronto converge anche la serie di Fourier. In particolare, convergetotalmente e quindi uniformemente; di conseguenza, essendo le fn delle funzioni continueanche la somma della serie è continua.

• Ammettendo che la serie di Fourier presa in esame sia una serie uniformemente convergente,si ha che f ∈ C (R) ⊂ R(R). Moltiplichiamo ambo i membri della serie per cos(mx)

f(x) cos(mx) =a0

2cos(mx) +

∞∑n=1

(an cos(nx) cos(mx) + bn sin(nx) cos(mx))

e integriamo nell’intervallo [−π, π]∫ π

−πf(x) cos(mx) dx =∫ π

−π

a0

2cos(mx) dx+

∫ π

−π

∞∑n=1

(an cos(nx) cos(mx) + bn sin(nx) cos(mx)) dx

Per l’uniforme convergenza della serie di Fourier otteniamo∫ π

−πf(x) cos(mx) dx =

∫ π

−π

a0

2cos(mx) dx+

∞∑n=1

(∫ π

−πan cos(nx) cos(mx) dx+

∫ π

−πbn sin(nx) cos(mx) dx

)

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Consideriamo gli integrali contenuti nell’indice di sommatoria; si ha13 che∫ π

−πan cos(nx) cos(mx) dx = πδnm∫ π

−πan sin(nx) cos(mx) dx = 0

Consideriamo il caso m = 0; in questo caso si ha∫ π

−πf(x) dx =

∫ π

−π

a0

2dx = a0π

Per m 6= 0 invece

am =1

π

∫ π

−πf(x) cos(mx) dx

Moltiplicando ambo i membri per sin(mx) si ottiene invece che

bm =1

π

∫ π

−πf(x) sin(mx) dx

an e bn vengono detti coefficienti di Fourier di f .

• Si noti che la restrizione al caso in cui il periodo τ è 2π non è limitativa: infatti, si consideriuna serie di Fourier definita nel modo seguente

a0

2+

N∑n=1

(an cos

(2πn

τy

)+ bn sin

(2πn

τy

))In questo caso la somma della serie g(y) (se quest’ultima è convergente) risulta essere unafunzione di periodo τ , con τ generico. Si può facilmente osservare come da questo caso ci sipossa ricondurre al caso sopra riportato operando un cambio di variabile, ed in particolareponendo

x =2π

τy f(x) = f

(2π

τy

)= g(y)

Se, data una certa funzione f , siamo in grado di calcolare i coefficienti di Fourier an e bn, allorasiamo in grado di scrivere la serie di Fourier ad essa associata, e scriveremo

f(x) ∼ a0

2+

N∑n=1

(an cos

(2πn

τx

)+ bn sin

(2πn

τx

))Tuttavia, il poter calcolare i coefficienti non implica nulla sulla convergenza della serie e sul fattoche la somma sia la funzione f . A titolo di esempio, si consideri la funzione x := x − [x],ovvero la mantissa di x. È una funzione periodica di periodo 1. Possiamo pertanto calcolarne icoefficienti di Fourier:

a0 = 2

∫ 1

0

x dx = 1

an = 2

∫ 1

0

x cos(2πnx) dx =1

∫ 1

0

sin(2πnx) dx =1

2n2π2(cos(2πnx)|01) = 0

bn = 2

∫ 1

0

x sin(2πnx) dx =−1

(1−

∫ 1

0

cos(2πnx) dx

)=−1

Di conseguenza x ∼ 12 +

∑∞n=1

−1nπ sin(2πnx). Si può facilmente notare che la funzione f non

è la somma della serie: infatti per x = 0 la serie di Fourier vale 0.5, mentre 0 = 0.13Si sono utilizzate le formule di Werner: sinα cosβ = 1

2(sin(α+ β) + sin(α− β)), cosα cosβ = 1

2(cos(α+ β) +

cos(α− β)) e sinα cosβ = 12

(cos(α− β)− cos(α+ β)).

36

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Consideriamo ora il prolungamento periodico (diciamolo f) della restrizione all’intervallo [−π, π]della funzione g : R→ R che manda x in x2. Poiché la funzione considerata è una funzione pari,l’unico contributo nella serie di Fourier associata alla funzione deriverà dal coseno. Pertanto

a0 =1

π

∫ π

−πx2 dx =

1

π

2π3

3=

2π2

3

an =1

π

∫ π

−πx2 cos(nx) dx =

−2

πn

(∫ π

−πx sin(nx) dx

)=

2

πn2

(x cos(nx)|π−π −

∫ π

−πcos(nx) dx

)=

2

πn22π(−1)n =

4

n2(−1)n

Si ha quindi che f(x) ∼ π2

3 + 4∑∞n=1

(−1)n

n2 cos(nx). In questo caso vale l’uguaglianza: infatti laserie è uniformemente convergente. La serie

∑∞n=1|an| è infatti convergente, e di conseguenza la

serie di Fourier è totalmente convergente.

Definizione 65. Sia φn una successione di funzioni (a valori reali o complessi) su [a, b] taliche ∫ b

a

φn(x)φm(x) dx = 0 (n 6= m)

∫ b

a

∣∣φn(x)∣∣2 dx = 1 ∀n

Diremo che φn è un sistema ortonormale di funzioni su [a, b].

Si considerino ad esempio

φ0(x) =1√2π

φ2m(x) =cos(mx)√

πφ2m−1(x) =

sin(mx)√π

m = 1, . . . , n

Queste funzioni costituiscono un sistema ortonormale di funzioni. Dato un sistema ortonormaledi funzioni su [a, b], i coefficienti di Fourier ottenuti nel modo sopra indicato vengono detti icoefficienti di Fourier di f relativamente a φn. Consideriamo ora delle funzioni 2π-periodicheintegrabili secondo Riemann e le serie di Fourier ad esse associate. Vale il seguente Teorema.

Teorema 56. Sia φn un sistema ortonormale di funzioni su R, sia f una funzione, sia SN ilpolinomio trigonometrico di grado N che corrisponde alla somma parziale della serie di Fourierassociata a f e sia σN un generico polinomio trigonometrico di grado N . Valgono le seguentiaffermazioni:

1. Al variare di σN tra tutti i polinomi trigonometrici di grado N , in corrispondenza di SNl’approssimazione in media quadratica di f è la migliore (i.e. lo scarto quadratico medio èminimo) ∫ π

−π

∣∣f(x)− SN (x)∣∣2 dx ≤

∫ π

−π

∣∣f(x)− σN (x)∣∣2 dx

2. ∫ π

−π

∣∣f(x)− SN (x)∣∣2 dx =

∫ π

−π

∣∣f(x)∣∣2 dx− π

(a0

2+

N∑n=1

(a2n + b2n)

)3. ∫ π

−π

∣∣f(x)∣∣2 dx ≥ π

(a0

2+

∞∑n=1

(a2n + b2n)

)

Dimostrazione. Consideriamo∫ π−π

∣∣f(x)− σN (x)∣∣2 dx. Vale che∫ π

−π

∣∣f(x)− σN (x)∣∣2 dx = 〈f − σN , f − σN 〉 = 〈f, f〉 − 2 〈f, σN 〉+ 〈σN , σn〉∫ π

−π

∣∣f(x)∣∣2 dx− 2

∫ π

−πf(x)

N∑n=1

γnφn(x) dx+

∫ π

−π

N∑n=1

γnφn(x)

N∑k=1

γkφk(x) dx

37

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Inoltre, per le Definizioni precedenti si ha che∫ π

−πf(x)

N∑n=1

γnφn(x) dx =

N∑n=1

γn

∫ π

−πf(x)φn(x) dx =

N∑n=1

cnγn

∫ π

−π

N∑n=1

γnφn(x)

N∑k=1

γkφk(x) dx =

N∑n=1

N∑k=1

γnγk

∫ π

−πφn(x)φk(x) dx =

N∑n=1

N∑k=1

γnγkδnk =

N∑n=1

γ2n

Sostituendo, si ha che

0 ≤∫ π

−π

∣∣f(x)− σN (x)∣∣2 dx =

∫ π

−π

∣∣f(x)∣∣2 dx− 2

N∑n=1

cnγn +

N∑n=1

γ2n

Il termine a destra può essere riscritto nel modo seguente

0 ≤∫ π

−π

∣∣f(x)− σN (x)∣∣2 dx =

∫ π

−π

∣∣f(x)∣∣2 dx−

N∑n=1

c2n +

N∑n=1

|γn − cn|2

Il valore minimo lo si raggiunge per γn = cn, e abbiamo così il primo asserto. Magheggiando unpò si ottiene, per γn = cn, che ∫ π

−π

∣∣f(x)∣∣2 dx ≥

N∑n=1

c2n

Abbiamo quindi anche il secondo asserto. Per il limN→∞ abbiamo anche il terzo asserto (dettoDisuguaglianza di Bessel).

Vogliamo ora occuparci della convergenza della serie di Fourier associata ad f ad f .

Teorema 57 (Lemma di Riemann-Lebesgue). Sia f : [a, b]→ R una funzione Riemann-integrabile.Vale che

limα→∞

∫ b

a

f(t) cos(αt) dt = limα→∞

∫ b

a

f(t) sin(αt) dt = 0

Definizione 66. Diremo che f : [a, b]→ R è continua a tratti se è continua in [a, b] a meno di unnumero finito di punti in cui esistono (finiti) i limiti destro e sinistro (diciamoli f(x+) e f(x−)).Se, data una funzione f : R→ R, è verificata la condizione precedente per ogni intervallo finito,allora f è continua a tratti.

Indicheremo con Pτ l’insieme delle funzioni definite su R a valori reali τ -periodiche e continuea tratti.

Definizione 67 (Criterio di Dirichlet). Data una funzione f : [a, b]→ R, diremo che f soddisfala condizione di Dirichlet in x0 ∈ (a, b) se è valida una delle seguenti condizioni:

1. f è derivabile in x0;

2. f è continua in x0 ed esistono finiti f(x0+) e f(x0−);

3. f presenta una discontinuità di salto in x0 ed esistono (finiti)

f ′∗(x0+) = limx→x+

0

f(x)− f(x+)

x− x0f ′∗(x0−) = lim

x→x−0

f(x)− f(x−)

x− x0

Alla luce di questo Teorema possiamo riprendere il caso della funzione mantissa x: infatti,computando f(0+) e f(0−) si ottiene che s(0) = f(0+)+f(0−)

2 = 0+12 , compatibilmente a quanto

si osserva nella serie di Fourier associata s(0) = 12 +

∑∞n=1

−1nπ sin(n0) = 1

2 .

38

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Teorema 58 (di Dirichlet). Sia f ∈ P2π. Supponiamo che l’intervallo di periodicità [−π, π]possa essere suddiviso in un numero finito di sottointervalli in cui f è monotona. Allora la seriedi Fourier associata ad f converge a s(x) = f(x+)+f(x−)

2 .

Questo Teorema assume particolare rilevanza nel caso di funzioni che presentano punti dinon derivabilità particolari, come f(x) =

√|x|.

Teorema 59 (Formula di Dirichlet). Definiamo il Nucleo di Dirichlet: ∀n ∈ N vale che

1

2+ cos(x) + cos(2x) + · · ·+ cos(nx) =

sin

((n+ 1

2

)x

)2 sin

(x2

) = Dn(x)

Sia f : R→ R. Se SN (x) è la somma parziale della serie di Fourier associata a f , allora

SN (x) =1

π

∫ π

−πf(x+ t)DN (t) dt =

1

π

∫ π

−πf(x+ t)

sin

((n+ 1

2

)t

)2 sin

(t2

) dt

Dimostrazione. • Dimostriamo che vale l’uguaglianza per il Nucleo di Dirichlet. Procediamoper induzione su n. La condizione è banalmente verificata per n = 0; supponiamola veraper n− 1 e verifichiamo che sia verificata per n.

1

2+ cos(x) + cos(2x) + · · ·+ cos((n− 1)x) + cos(nx) =

sin

(n− 1

2

)x

2 sin

(x2

) + cos(nx)

sin

(n− 1

2

)x

2 sin

(x2

) + cos(nx) =

sin

(n− 1

2

)x+ cos(nx)2 sin

(x2

)2 sin

(x2

)Applicando le forumle di Werner si ottiene che

sin

(n− 1

2

)x+ cos(nx)2 sin

(x

2

)= sin

(n− 1

2

)x+ sin

(n+

1

2

)x+ sin

(n− 1

2

)x

• Consideriamo ora il polinomio trigonometrico di grado N ottenuto dalla serie di Fourierassociata a f

SN (x) =a0

2+

N∑n=1

(an cos(nx) + bn sin(nx)

)Sostituendo i valori effettivi per i coefficienti della serie, si ha che

1

∫ π

−πf(t) dt+

1

π

N∑n=1

(∫ π

−πf(t) cos(nt) dt cos(nx) +

∫ π

−πf(t) sin(nt) dt sin(nx)

)=

1

π

∫ π

−πf(t)

[1

2+

N∑n=1

(cos(nt) cos(nx) + sin(nt) sin(nx)

)]dt =

1

π

∫ π

−πf(t)

[1

2+

N∑n=1

cos(n(t− x))

]dt =

1

π

∫ π

−πf(t)DN (t− x) dt =

1

π

∫ π

−πf(s− t)DN (s) ds

L’asserto è quindi dimostrato.

39

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Teorema 60 (Criterio per la convergenza puntuale). Sia data una funzione f ∈P2π. La seriedi Fourier associata a f converge in ogni punti x ∈ R in cui è verificata la condizione di Dirichlete vale che

s(x) =a0

2+

∞∑n=1

(an cos(nx) + bn sin(nx)

)=f(x+) + f(x−)

2

Dimostrazione. Consideriamo il Nucleo di Dirichlet: si ha che∫ π

0

1

2+

N∑n=1

cos(nx) dx =

∫ π

0

DN (x) dx =π

2=

∫ 0

−πDN (x) dx

in quanto l’integrale da 0 a π di cos(nx) è sempre nullo. Consideriamo ora SN (x)− f(x+)+f(x−)2 :

abbiamo che

SN (x)− 1

π

∫ π

0

f(x+)DN (t) dt− 1

π

∫ 0

−πf(x−)DN (t) dt = 0

1

π

∫ π

−πf(x+ t)DN (t) dt− 1

π

∫ π

0

f(x+)DN (t) dt− 1

π

∫ 0

−πf(x−)DN (t) dt = 0

1

π

∫ π

0

f(x+ t)− f(x+)DN (t) dt+1

π

∫ 0

−πf(x+ t)− f(x−)DN (t) dt = 0

Definiamo ora la funzione ausiliaria

F (t) =

f(x+t)−f(x−)

2 sin(t2

) −π ≤ t < 0

0 t = 0f(x+t)−f(x+)

2 sin(t2

) 0 < t ≤ π

Questa funzione è una funzione continua in R \ 0; verifichiamo cosa accade in 0.

limt→0+

F (t) =f(x+ t)− f(x+)

2 sin(t2

) ∼=f(x+ t)− f(x+)

t= f ′∗(x+)

limt→0−

F (t) =f(x+ t)− f(x−)

2 sin(t2

) ∼=f(x+ t)− f(x−)

t= f ′∗(x−)

Sebbene la funzione non sia continua in 0, i limiti destro e sinistro esistono e sono finiti: è validala condizione di Dirichlet e la funzione F è integrabile secondo Riemann. Consideriamo ora∫ π

−πF (t) sin

((N +

1

2

)t

)dt =∫ π

−πF (t) sin(Nt) cos

(t

2) dt+

∫ π

−πF (t) cos(Nt) sin

(t

2) dt

Per il Lemma di Riemann-Lebesgue tendono entrambi a 0 per N →∞. Si ha quindi che

limN→∞

SN (x)− 1

2(f(x+) + f(x−)) = 0

e abbiamo l’asserto.

Teorema 61 (Criterio per la convergenza uniforme). Sia f : R → R, f ∈ P2π una funzionecontinua con derivata continua a tratti. La serie di Fourier associata a f converge uniformementein R.

40

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Dimostrazione. Per il Criterio di Weierstrass, affinché la serie di Fourier associata ad una datafunzione converga uniformemente è sufficiente che le serie

∑∞n |an| e

∑∞n |bn| convergano. Per

ipotesi sappiamo che f ′ è continua a tratti; f ′ è quindi integrabile seconodo Riemann in R.Inoltre, f ′ ∈P2π: pertanto possiamo calcolare la serie di Fourier ad essa associata. I coefficientirisultano essere

a′n =1

π

∫ π

−πf ′(x) cos(nx) dx =

1

π

[f(x) cos(nx)|π−π + n

∫ π

−πf(x) sin(nx) dx

]=

1

πnbn

b′n =1

π

∫ π

−πf ′(x) sin(nx) dx =

1

π

[f(x) sin(nx)|π−π − n

∫ π

−πf(x) cos(nx) dx

]=−1

πnan

Sfruttiamo ora la disuguaglianza di Bessel∫ π

−π

∣∣f ′(x)∣∣2 dx ≥ a2

0

2+

∞∑n=1

(a′2n + b′2n ) =a2

0

2+

∞∑n=1

(n2a2n + n2b2n)

Poiché f ′ ∈ R(R), l’integrale a sinistra del segno di disuguaglianza esiste finito; pertanto leserie

∑∞n n2|an|2 e

∑∞n n2|bn|2 convergono. Consideriamo ora la disuguaglianza 2ab ≤ a2 + b2,

ponendo a = n|an| e b = 1n : otteniamo che

|an| = n|an|1

n≤ (n2|an|2 +

1

n2)

Consideriamo le serie associate ai termini che entrano nella disuguaglianza: si ha che∞∑n=1

|an| ≤∞∑n=1

(n2|an|2 +

1

n2

)=

∞∑n=1

n2|an|2 +

∞∑n=1

1

n2

Entrambe le serie a destra del segno di disuguaglianza sono convergenti; pertanto anche la serie∑∞n |an| è convergente. Un ragionamento analogo può essere fatto considerando la serie

∑∞n |bn|:

pertanto per il Criterio di Weierstrass la serie di Fourier associata a f converge uniformementea f .

8 Equazioni differenzialiSia la coppia (End(Rn), ‖.‖Eucl) uno spazio di Banach, e sia A ∈ End(Rn) un’applicazionelineare. Come possiamo dare significato all’espressione eA? Consideriamo innanzitutto, date dueapplicazioni lineari A e B, (AB)2

ij =(∑n

k=1 aikbkj)2. Possiamo esprimere il termine a destra del

segno di uguaglianza come 〈Ai,Bj〉2, ove Ai = ai1, . . . , ain e Bi = b1j , . . . , bnj. Possiamoora applicare la disuguaglianza di Cauchy-Schwarz: otteniamo così che 〈Ai,Bj〉2 ≤ ‖Ai‖2‖Bj‖2.Consideriamo ora la ‖AB‖2Eucl =

∑ni,j=1(AB)2

ij ≤∑ni,j‖Ai‖2‖Bj‖2. Sviluppando la somma

del termine a destra del segno di disuguaglianza si ottiene che ‖AB‖2Eucl ≤ ‖A‖2Eucl‖B‖

2Eucl.

Generalizzando il risultato, si può affermare che ‖Ak‖Eucl ≤ ‖A‖kEucl. Sia ora ‖A‖Eucl un certo

numero appartenente a R. Possiamo utilizzare lo sviluppo di Mc Laurin dell’esponenziale perscrivere e‖A‖ =

∑∞k=0

‖A‖kk! , ove la serie è una serie di Cauchy. Definiamo allora la funzione

esponenziale di una matrice quadrata (che chiameremo esponenziale di matrice) come

eA :=

∞∑k=0

Ak

k!

Poiché ‖A‖k maggiora la ‖Ak‖, per il teorema del confronto la serie sopra indicata convergesempre (e quindi la matrice esponenziale è sempre ben definita). In particolare, il risultato èuna matrice eA ∈Mn(R).Si consideri a titolo di esempio la matrice A =

(0 −αα 0

): si ha che

A0 = In A1 = A A2 =(−α2 0

0 −α2

)A3 =

(0 α3

−α3 0

)41

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Sommando i vari termini si ottiene che

eA =

(1− α2

2 + . . . −α+ α3

6 + . . .

α− α3

6 . . . 1− α2

2 + . . .

)=

(cos(α) − sin(α)sin(α) cos(α)

)Sia γ : R → End(Rn) una funzione differenziabile tale che t 7→ γ(t) = etA, con A ∈ End(Rn).Consideriamo dγ(t)h = γ′(t)h. Com’è definito? La funzione γ definita precedentemente puòessere vista come una serie di potenze γ(t) =

∑∞k=0 ckt

k; di conseguenza, γ′(t) =∑∞k=1 kckt

k−1.In questo caso si ha che

α = limk→∞

sup‖A‖k+1

(k + 1)!

k!

‖A‖k= limk→∞

‖A‖k + 1

= 0 ρ =∞

γ(t) =

∞∑k=0

Ak

k!tk γ′(t) =

∞∑k=1

Ak

(k − 1)!tk−1 = A

∞∑j=0

Aj

j!tj = AetA

Consideriamo ora l’uguaglianzaγ′(t) = Aγ(t)

Questa è un’equazione differenziale ordinaria scritta in forma, la cui soluzione è una funzioneγ : R→ End(Rn) a valori in endomorfismi. Possiamo inoltre costruire un cosiddetto problema diCauchy, imponendo una condizione iniziale γ(0). Sappiamo già che una soluzione dell’equazionedifferenziale è γ(t) = etA. Ma è l’unica soluzione? Consideriamo la funzione γ : R → End(Rn),e supponiamo che sia un’altra soluzione dell’equazione differenziale sopra riportata.

Definizione 68. Un’equazione differenziale ordinaria di ordine n (ordine di derivazione dellafunzione incognita, ndr) è un’equazione del tipo

F (t, y(t), y′(t), . . . , y(n)(t)) = 0

ove F è una funzione F : U ⊆ Rn+2 → R. Un’equazione differenziale si dice espressa in formanormale quando è nella forma

y(n)(t) = f(t, y(t), y′(t), . . . , y(n−1)(t))

• Se la funzione F non dipende da t, l’equazione differenziale si dice autonoma;

• Se F è un polinomio di primo grado in y, y′, . . . , y(n) l’equazione differenziale viene dettalineare

αny(n)(t) + · · ·+ α1y

′(t) + α0y(t) = b(t)

Se b(t) = 0, l’equazione differenziale si dice omogenea.

Definizione 69. Si dice soluzione (o integrale) di y(n)(t) = f(t, y(t), y′(t), . . . , y(n−1)(t)) unafunzione φ ∈ C (I ⊆ R) tale che (t, φ(t), φ′(t), . . . , φ(n−1)(t)) ∈ D (ove con D si indica il dominiodi f) e che φ(n)(t) = f(t, φ(t), φ′(t), . . . , φ(n−1)(t)) per ogni t ∈ I.

È d’uopo notare che si richiede che la funzione sia C n solamente in un certo intervallo I, e chel’uguaglianza valga in quell’intervallo: quindi la proprietà di essere soluzione di un’equazionedifferenziale è una proprietà locale.

Definizione 70. Chiameremo sistema di equazioni differenziali in forma normale del primoordine un sistema

y1 = f1(t, y1, . . . , yn)...yn = fn(t, y1, . . . , yn)

ove le funzioni fi : D → R accoppiano le equazioni all’interno del sistema.

42

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È possibile riformulare il sistema sopra riportato nel modo seguente. Si considerino la funzioney : R → Rn tale che y(t) = (y1(t), . . . , yn(t)) e la funzione F : R → Rn tale che F(t,y(t)) =(f1(t), . . . , fn(t)). Possiamo riscrivere il sistema precedente nella forma

y(t) = F(t,y(t))

I sistemi di equazioni differenziali del primo ordine rivestono particolare importanza perché, dataun’equazione differenziale di ordine qualsiasi, è possibile ricondursi ad un sistema di equazionidifferenziali del primo ordine operando le seguenti sostituizioni

y = y1

y′ = y2

...y(n−1) = yn

y1 = y2

y2 = y3

...yn = f(t, y1, . . . , yn)

Definizione 71. Chiameremo problema di Cauchy il sistema

y(n)(t) = f(t, y(t), y′(t), . . . , y(n−1))

y(τ) = ε0

y′(τ) = ε1...y(n−1)(τ) = εn−1

ove y(n)(t) = f(t, y(t), y′(t), . . . , y(n−1)) rappresenta l’equazione differenziale di ordine n in for-ma normale, e le restanti equazioni del sistema costituiscono n − 1 condizioni iniziali del tipoy(i)(τ) = εi, i = 0, 1, . . . , n− 1, ove τ indica l’istante iniziale. Risolvere un problema di Cauchysignifica trovare una soluzione φ(t) dell’equazione differenziale definita in U(τ) per cui valgano lecondizioni iniziali. Ciò consente di estrapolare, nella classe di infinite funzioni che costituisconouna soluzione dell’equazione differenziale, una soluzione particolare.

Teorema 62. Sia data un’equazione differenziale ordinaria del primo ordine in forma normaley(t) = P (t)y +Q(t), con P,Q ∈ C 0(I). La soluzione generale (una funzione parametrica che alvariare del parametro spazia tutta la classe di funzioni soluzione dell’equazione) dell’equazionedifferenziale è una funzione y : I → R tale che

y(t) = e∫P (t) dt

(c+

∫Q(t)e−

∫P (t) dt dt

)Dimostrazione. Si consideri

d

dt

(e−

∫P (t) dty(t)

)= −P (t)y(t)e−

∫P (t) dt + y(t)e−

∫P (t) dt = e−

∫P (t) dt

[y(t)− P (t)y(t)

]Come si può notare dall’equazione differenziale, y(t) = P (t)y(t) +Q(t). Si ha quindi che

d

dt

(e−

∫P (t) dty(t)

)= Q(t)e−

∫P (t) dt

Integrando ambo i membri e moltiplicando per e∫P (t) dt si ha l’asserto.

Si consideri, a titolo d’esempio, il seguente problema di Cauchy.y = y

t + 3t3

y(−1) = 2

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Scegliamo di prendere come dominio di y(t) l’intervallo (−∞, 0) (contente l’istante iniziale),intervallo in cui y(t) è continua. Applicando la formula precedentemente ottenuta considerandoP (t) = 1

t e Q(t) = 3t3, si ha

y(t) = e∫

1t dt

(c+

∫3t3e−

∫1t dt dt

)= t

(c+

∫3t2 dt) = t4 + ct

Sostituendo le condizioni iniziali si ha che c = 1.

Teorema 63. Sia data un’equazione differenziale ordinaria del primo ordine esatta14 y(t) =

−P (t,y)Q(t,y) , con P,Q ∈ C 0(A ⊆ R2) e Q 6= 0 in A. Esiste una funzione F = F (t, y) : U(τ, ε) → R

tale che DtF = P , DyF = Q e DtQ = DyP data da

F (t, y) =

∫ t

τ

P (s, y) ds+

∫ y

ε

Q(τ, s) ds

In particolare, la soluzione dell’equazione differenziale esatta sopra riportata è data in formaimplicita da F (t, y) = c, c ∈ R.

Dimostrazione. Dimostriamo l’implicazione diretta: se una funzione φ(t) è soluzione dell’equa-zione differenziale esatta, allora è definita implicitamente da F (t, y) = c. Consideriamo

d

dtF (t, y(t)) =

d

dtF (t, φ(t)) =

∂tF (t, φ(t))+

∂yF (t, φ(t))

d

dtφ(t) = P (t, φ(t))+Q(t, φ(t))φ(t) = 0

Abbiamo quindi la prima implicazione. È ora necessario dimostrare l’implicazione inversa. Siadato un punto (t0, y0) ∈ A tale che F (t0, y0) = c. Per il Teorema della Funzione Implicita di Dinil’equazione F (t, y) = c definisce una funzione φ(t) tale che φ(t0) = y0 e φ(t) = −DtF

DyF. Abbiamo

quindi l’asserto.

Si consideri il seguente problema di Cauchyy = − t+y

t−3y

y(0) = 1

In questo caso consideriamo P (t, y) = t+y e Q(t, y) = t−3y. Quest’ultima funzione è diversa da0 per t < 3y∧ t > 3y. Poiché il punto (0, 1) appartiene al secondo intervallo, quello sarà l’inizialemacrointervallo di definizione della funzione. La soluzione è una funzione y : U(0, 1)→ R che informa implicita è data da

F (t, y) =

∫ t

0

s+ y ds−∫ y

1

3s ds =t2

2+ ty − 3

2y2 +

3

2

Consideriamo ora F (t, y) = 0 = t2 + 2ty − 3y2 + 3.

Teorema 64. Sia data un’equazione differenziale ordinaria del primo ordine a variabili separabiliy(t) = f(t)g(y), con f ∈ C 0(I ⊆ R), g ∈ C 0(J ⊆ R). Poniamo P (t, y) = f(t) e Q(t, y) = − 1

g(y) ;la risoluzione è così analoga al caso precedente

F (t, y) =

∫f(t) dt−

∫1

g(y)dy = c

Si consideri ad esempio l’equazione differenziale y′ = 2t√

1− y(t)2. Utilizzando la formulaprecedente, si ottiene che

F (t, y) =

∫2t dt−

∫1√

1.y(t)2dy = t2 − arcsin(y) = c

Si ha quindi che y(t) = sin(t2 + c).14dF è un differenziale esatto: dF = ∂F

∂tdt+ ∂F

∂ydy.

44

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Teorema 65. Sia data un’equazione di Bernoulli y = P (t)y + Q(t)yα, con α 6= 0, 1 e P,Q ∈C 0(I). Una soluzione banale di questa equazione differenziale è la funzione y(t) = 0. Per l’altra,si proceda nel modo seguente

y−αy = P (t)y1−α +Q(t)

Definiamo una funzione ausiliaria z(t) := y1−α, per cui vale che z′ = (1− α)yαy′. Sostituendosi ha

z′ = (1− α)P (t)z + (1− α)Q(t)

Ci siamo quindi ricondotti ad un’ODE lineare del primo ordine. Si ottiene così la soluzione z(t);vale infine che y(t) = z(t)

11−α .

Si consideri a titolo di esempio il problema di Cauchyy = −ty + t3y2

y(1) = 1

In questo caso si ponga z(t) = y−1; si ha che z′ = tz− t3 e che z(1) = 1. Risolviamo l’equazionedifferenziale ordinaria lineare del primo ordine

z(t) = e∫t dt

(c−

∫t3e−

∫t dt dt

)= e

t2

2

(c+ (t2 + 2)e−

t2

2

)= ce

t2

2 + t2 + 2

Sostituendo le condizioni iniziali, si ha che c = − 2√e, e che y(t) = 1

t2+2−2 exp( t2

2 −12 ).

Teorema 66. Sia data un’equazione differenziale omogenea y′ = f(yt ), con f ∈ C 0(I). Possiamoprocedere come prima per sostituzione, ponendo z(t) = y

t e quindi y′ = z′(t)t+z(t). Sostituendo,si ha che

z′ =z − f(z)

t

In questo caso possiamo ricondurci ad un’equazione differenziale ordinaria esatta, ponendo P (t, z) =f(z)− z e Q(t, z) = t.

Si consideri l’equazione differenziale y′ = t3+y3

ty2 = ( ty )2 + yt . Sostituendo, si ottiene z′ =

z−2−z+zt = 1

tz2 . Possiamo quindi risolverla considerandola un’equazione differenziabile a variabiliseparabili ∫

z2 dz =

∫1

tdt+ c

Otteniamo così che z(t) = 3√

3 log(t) + c, e di conseguenza y(t) = t 3√

3 log(t) + c.

Teorema 67. Sia data un’equazione di Clairault y = ty′ + φ(y′), con φ ∈ C (I ⊆ R). Poniamop(t) = y′: otteniamo così che

y = tp+ φ(p)

Derivando otteniamo chey′ = p = p+ tp′ + φ′(p)p′

Si ha quindi che p′(t+φ′(p)) = 0. Si può quindi procedere in due direzioni diverse. Abbiamo chep′ = 0; di conseguenza p(t) = c, e quindi y(t) = ct + φ(c), equazione che rappresenta un fasciodi rette. Tale fascio è detto integrale generale. Abbiamo poi una soluzione particolare, dovuta alsecondo termine. Abbiamo infatti t = −φ′(p), e sostituendo si ha che y = φ(p)− tφ′(p).

Si consideri l’equazione differenziale y = ty′ + (y′)2. In questo caso l’integrale generale èy = ct+ c2, mentre la soluzione particolare è data, in forma parametrica, da

t = −2p

y = −2p2 + p2 = −p2

La suddetta equazione parametrica altro non è se non una parabola la cui equazione è y(t) = − t2

4 .Dopo aver analizzato il “bestiario” delle equazioni differenziali, è necessario verificare l’esistenzae l’unicità della soluzione. Si considerino ad esempio i seguenti casi.

45

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• Sia data un’equazione differenziale y = f(t), con f che presenta una discontinuità di saltonell’istante iniziale τ . Nessun intorno di τ ammette una primitiva.

• Si consideri il seguente esempio (Peano). Sia dato il seguente problema di Cauchyy = 3√t

y(0) = 0

La funzione f è una funzione C 0(R). Tuttavia, non esiste un’unica soluzione. Infatti

φ1(t) = 0

φ2(t) =

(

23 t

)1.5

t > 0

0 t ≤ 0

In questo caso infatti f ′(t) = 1

3 3√y2; la derivata non è limitata.

Definizione 72. Sia F : A ⊂ R × Rn → Rn. Diremo che F è lipschitziana in A rispetto a y euniformemente in t se esiste l ∈ R per la quale vale

‖F(t,y)− F(t, z)‖ ≤ l‖y − z‖

per ogni y, z ∈ Rn (l è indipendente da t). Diremo altresì che F è localmente lipschitzianain A rispetto a y e uniformemente in t se ∀(t, y) ∈ A esiste un intorno U(t, y) per cui vale ladefinizione precedente. Logicamente, essendo F = (f1, . . . , fn), ciascuna proprietà vale per ognifunzione fj .

È bene notare che una funzione localmente lipschitziana non è sempre continua: si consideri adesempio la funzione

f(t, y) = a(t)b(y)

con a(t) una funzione localmente limitata ma non continua e b(y) una funzione lipschitziana.Per costruzione, ∀(t0, y0) ∃M0(t0) : a(t) < M ∀t ∈ U(t0). Consideriamo ora∣∣f(t, y′)− f(t, y)

∣∣ =∣∣a(t)(b(y′)− b(y))

∣∣ =∣∣a(t)

∣∣∣∣b(y′)− b(y)∣∣

Poiché per quanto detto antecedentemente, ∀(t0, y0) ∃ U(t0) :∣∣a(t)

∣∣∣∣b(y′)− b(y)∣∣ ≤M0

∣∣b(y′)− b(y)∣∣.

Inoltre, poiché b è lipschitziana, vale che M0

∣∣b(y′)− b(y)∣∣ ≤ M0L

∣∣y′ − y∣∣. Vale quindi che∀(t0, y0) ∃ U(t0, y0) :

∣∣f(t, y′)− f(t, y)∣∣ ≤ M0L

∣∣y′ − y∣∣. f è quindi localmente lipschitziana, manon continua.

Teorema 68 (Condizione sufficiente per la lipschitzianità locale). Se F e ∂ifj sono continue inA allora F è localmente lipschitziana in A rispetto a y uniformemente in t.

Consideriamo ad esempio la funzione

f(t, y) =|y|α

1 + t2α > 0

La funzione è palesemente continua (è composizione di funzioni continue). Le derivate parzialisono ∂tf = −2t|y|α

(1+t2)2 e ∂yf = α|y|(α−1)

1+t2 . Se α ∈ (0, 1) f non è lipschitziana in R2. Se α = 1

entrambe le derivate sono continue e quindi f è lipschitiziana in R2. Infatti∣∣f(t, y)− f(t, z)∣∣ =

1

1 + t2∣∣|y| −|z|∣∣ ≤ 1

1 + t2|y − z| ≤|y − z|

Consideriamo ora il caso α > 1. Si ha

∣∣f(t, y)− f(t, z)∣∣ =

1

1 + t2∣∣|y|α −|z|α∣∣ ≤ ∣∣|y|α −|z|α∣∣ =

∣∣∣∣∣α∫ |y||z|

tα−1 dt

∣∣∣∣∣ ≤∣∣∣∣∣α∫ |y||z|

∣∣∣tα−1∣∣∣ dt∣∣∣∣∣

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Poiché∣∣tα−1

∣∣ è una funzione continua, è limitata in qualsiasi compatto. Per Weierstrass ammettequindi un massimo globale. Si ha quindi∣∣f(t, y)− f(t, z)

∣∣ ≤ maxK

(xα−1)∣∣|y| −|z|∣∣ ≤ L|y − z|

Si ha quindi che f è localmente lipschitziana in R2 per α > 1.

Teorema 69 (Esistenza e unicità in piccolo di una soluzione). Sia F : A ⊆ R × Rn → Rn unafunzione tale che F ∈ C 0(A) (la soluzione è quindi una funzione di classe C 1(Iδ)) e tale che Fsia localmente lipschitziana in A. Allora per ogni punto (τ, ξ) ∈ A esiste un intorno chiuso Iδ tiτ nel quale esiste una soluzione al problema di Cauchy

y = F(t,y)

y(τ) = ξ

Tale soluzione è unica.

Dimostrazione. La dimostrazione si svolge in tre passaggi fondamentali:

1. Trasformiamo il problema di Cauchy in un’equazione integrale.

Teorema 70. Siano valide le condizioni del Teorema di esistenza e unicità. Se φ ∈ C 1(Iδ)è soluzione del problema di Cauchy, allora soddisfa l’equazione integrale di Volterra

y(t) = ξ +

∫ t

τ

F(s,y(s)) ds

Dimostrazione. Sia φ : R → Rn una soluzione del problema di Cauchy. Vale che φ′(t) =F(s, φ(s)). Consideriamo ora l’equazione di Volterra15. Si ha che

φ(t) = ξ +

∫ t

τ

F(s, φ(s)) ds = ξ +

∫ t

τ

φ′(s) ds = ξ + φ(t)− φ(τ) = φ(t)

Teorema 71. Sia f : [a, b]→ Rn, f ∈ C 0([a, b]). Vale la disuguaglianza

‖∫ b

a

f(t) dt‖ ≤

∣∣∣∣∣∫ b

a

‖f(t)‖ dt

∣∣∣∣∣Dimostrazione. Poniamo v :=

∫ baf(t) dt. Consideriamo ora

‖v‖2 =∣∣〈v,v〉∣∣ =

∣∣∣∣∣〈v,∫ b

a

f(t) dt〉

∣∣∣∣∣ =

∣∣∣∣∣∣n∑i=1

vi

∫ b

a

fi(t) dt

∣∣∣∣∣∣ =

∣∣∣∣∣∣∫ b

a

n∑i=1

vifi(t) dt

∣∣∣∣∣∣ =

∣∣∣∣∣∫ b

a

〈v, f(t)〉 dt

∣∣∣∣∣ ≤∣∣∣∣∣∫ b

a

‖v‖‖f(t)‖

∣∣∣∣∣ = ‖v‖

∣∣∣∣∣∫ b

a

‖f‖(t) dt

∣∣∣∣∣Poiché per v = 0 l’asserto è banalmente verificato, possiamo porci nel caso v 6= 0.Dividendo ambo i membri per ‖v‖ e risostituendo v abbiamo l’asserto.

Consideriamo ora la funzione f [] : D → C che, data una funzione y(t) ∈ D, la manda inf [y](t) = ξ +

∫ tτF(s,y(s)) ds. La funzione f [y] manterrà certe proprietà della funzione y;

per esempio, se y ∈ C 0(Iδ,Rn), anche f [y] sarà continua.

15Data una funzione vettoriale f : R → Rn tale che f = (fi, . . . , fn), vale che∫ ba f(t) dt =(∫ b

a f1(t) dt, . . . ,∫ ba fn(t) dt

)

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2. Si interpreta la soluzione dell’equazione integrale come un problema di punto fisso.Data la funzione f [], vogliamo trovarne un insieme di definizione D tale per cui f [] è unendomorfismo. Suddetto insieme non può essere C 0(Iδ,Rn) perché, avendo le funzioniy grafico in A, non è detto che la funzione trasformata abbia grafico in A. Pertanto,consideriamo il cilindro16 (un insieme chiuso e limitato e quindi, per il Teorema di Heine-Borel, un compatto in Rn+1)

Γ ⊂ A ⊆ Rn+1 Γ = Ia ×B(ξ, b) Ia = [τ − a, τ + a]

e consideriamo il sottoinsieme metrico Yδ := φ ∈ C 0(Iδ,Rn) : ‖φ(t) − ξ‖ ≤ b ∀t ∈ Iδ.Poiché la norma è una funzione continua, la controimmagine di un insieme chiuso è unchiuso: di conseguenza, essendo 0 ≤ ‖φ(t)− ξ‖ ≤ b un chiuso, l’insieme Yδ è un chiuso inC 0(Iδ,Rn). Vale il seguente Teorema.

Teorema 72. Sia (X, d) uno spazio metrico completo. Sia Y ⊆ X; vale che (Y, d|y) è unospazio metrico completo se e solo se Y è chiuso.

Si ha quindi che la coppia (Yδ, d∞) è uno spazio metrico completo. Consideriamo ora lafunzione f []; vale che è un endomorfismo. Per verificarlo, controlliamo, data φ ∈ Yδ, che‖f [φ](t)− ξ‖ ≤ b.

‖f [φ](t)− ξ‖ = ‖∫ t

τ

F(s, φ(s)) ds‖ ≤

∣∣∣∣∣∫ t

τ

‖F(s, φ(s))‖ ds

∣∣∣∣∣Poiché F(s, φ(s)) è una funzione continua, per il Teorema di Weierstrass ammette massimoassoluto nel compatto Γ. Si ha quindi che∣∣∣∣∣

∫ t

τ

‖F(s, φ(s))‖ ds

∣∣∣∣∣ ≤∣∣∣∣∣∫ t

τ

max(t,y)∈Γ

‖F(s, φ(s))‖ ds

∣∣∣∣∣ = M |t− τ |

Affinché f [] sia un endomorfismo, deve valere che M |t− τ | ≤ b; poiché t ∈ [τ − δ, τ + δ],vale che δ ≤ b

M . Abbiamo così ottenuto una prima stima di δ. Vogliamo ora verificare chef [] sia una contrazione, ovvero che d∞(f [φ](t), f [ψ](t)) ≤ d∞(φ, ψ). Andando a sostituirel’espressione per il termine a destra, si ha

supt∈Iδ‖f [φ](t)− f [ψ](t)‖ C 0

= maxt∈Iδ‖f [φ](t)− f [ψ](t)‖ = max

t∈Iδ‖∫ t

τ

F(s, φ(s))− F(s, ψ(s)) ds‖ ≤

maxt∈Iδ

∣∣∣∣∣∫ t

τ

‖F(s, φ(s))− F(s, ψ(s))‖ ds

∣∣∣∣∣Poiché F è localmente lipschitziana in A, vale che ‖F(s, φ(s))−F(s, ψ(s))‖ ≤ L‖φ(s)−ψ(s)‖per ogni (s,v) ∈ Γ. Si ha quindi che

maxt∈Iδ

∣∣∣∣∣∫ t

τ

‖F(s, φ(s))− F(s, ψ(s))‖ ds

∣∣∣∣∣ ≤ maxt∈Iδ

∣∣∣∣∣∫ t

τ

L‖φ(s)− ψ(s)‖ ds

∣∣∣∣∣ ≤∣∣∣∣∣∫ t

τ

Ld∞(φ(s), ψ(s)) ds

∣∣∣∣∣ = L|t− τ | d∞(φ(s), ψ(s))

Affinché f [] sia una contrazione, deve valere che Lδ < 1; quindi δ < 1L . Ponendo δ =

min a, bM , 1L abbiamo quindi che f [] è una contrazione da uno spazio metrico completo a

valori in uno spazio metrico completo.16Viene sovente detto cilindro di sicurezza, ad indicare il suo ruolo fondamentale nell’evitare che la funzione

diverga o simili (?).

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3. È quindi possibile applicare il Teorema di Banach-Caccioppoli; f [] ha quindi un solo puntofisso. Vale quindi che esiste un’unica funzione φ tale per cui

φ(t) = f [φ](t) = ξ +

∫ t

τ

F(s, φ(s)) ds

Per il Teorema precedente, tale funzione è soluzione del Problema di Cauchy.

È d’uopo notare che il Teorema 70 fornisce delle condizioni sufficienti; è infatti possibiletrovare un’equazione differenziale y = F(t,y) che, pur non soddisfando le condizioni del Teorema,ammette soluzioni. Si consideri, ad esempio, l’equazione differenziale

y = f(y) f(y) =

y log|y| , y 6= 0

0, y = 0

La funzione è C 0(R); essa non è tuttavia localmente lipschitziana, in quanto la derivata non èlimitata in un intorno di 0. Si possono tuttavia trovare delle soluzioni: quelle immediate sonole funzioni costanti φ(t) = 0 e φ(t) = ±1. Queste rette individuano delle porzioni di spazio inR2 in cui sono confinate le altre soluzioni, che non posso intersecare le rette sopra riportate perl’unicità della soluzione in R \ 0. Risolvendo l’equazione differenziale, si ottiene che

y = ±e±et+c

In particolare, per y ∈ (−∞,−1) y = −eet+c , per y ∈ (−1, 0) y = −e−et+c , per y ∈ (0, 1) y =

e−et+c

e per y ∈ (1,∞) y = eet+c

.Consideriamo il problema di Cauchy

y = F(t,y)

y(τ) = ξ

La sua soluzione è una funzione definita in Iδ = [τ − δ, τ + δ], con δ = mina, bM , a grafico inΓ. Consideriamo ora τ1 = τ + δ, y(τ1) = ξ1 e il problema di Cauchy

y = F(t,y)

y(τ1) = ξ1

Possiamo trovare una soluzione φ1 definita in un intorno Iδ1 = [τ1 − δ1, τ1 + δ1], con δ1 =mina1,

b1M . Poiché δ1 è positivo per costruzione, Iδ ∩ Iδ1 6= ∅; di conseguenza nell’intersezione

φ e φ1 coincidono per l’unicità della soluzione. A questo punto reitero il procedimento, ponendoτ2 = τ+δ+δ1 e y(τ2) = ξ2 etc. Questa procedura iterativa identifica un metodo per estendere lesoluzioni locale di un Problema di Cauchy tramite un prolungamento della funzione, detto pro-lungamento massimale. Non è tuttavia sempre possibile applicare questa procedura; si consideriinfatti il problema di Cauchy

y = y2

y(0) = 1

la cui soluzione è y(t) = 11−t . L’intervallo massimale (ovvero il massimo intervallo in cui

l’equazione differenziale presenta una soluzione, non più prolungabile) è (−∞, 1).

Teorema 73 (Cauchy globale). Sia S = (τ1, τ2) × Rn e sia F : S → Rn. Se per F valgono lecondizioni per l’esistenza della soluzione del problema di Cauchy in piccolo e se esistono k1 ≥ 0,k2 ≥ 0 tali che ‖F(τ,y)‖ ≤ k1 + k2‖y‖ ∀(t,y) ∈ S allora per ogni (τ, ξ) ∈ S esiste una funzioneφ(t) soluzione del problema di Cauchy in [τ1, τ2].

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Dimostrazione. Data la coppia (τ, ξ) di condizioni iniziali costruiamo il cilindro Γ := (t,y) ∈R × Rn : ‖y − ξ‖ ≤ b ∧|t− τ | ≤ a scegliendo a in modo che Γ ⊂ S. Consideriamo la coppia(t,y) ∈ Γ: deve valere che ‖y − ξ‖ ≤ b. Vale quindi che ‖y‖ ≤ ‖ξ‖ + b. Consideriamo ora laseconda condizione. Per ogni coppia (τ, ξ) ∈ Γ vale che

‖F(τ,y)‖ ≤ k1 + k2‖y‖ ≤ k1 + k2‖ξ‖+ k2b

Per la continuità di f e la compattezza di Γ possiamo scrivere

maxΓ‖F(t,y)‖b

≤ k1 + k2‖ξ‖b

+ k2

Ponendo b = k1 + k2‖ξ‖ otteniamo che bM ≥

11+k2

, e quindi δ := mina, bM ≥ maxa, 11+k2.

Focalizzaimoci su questo ultimo termine: abbiamo ottenuto un δ0 che non dipende più dallecondizioni iniziali (τ, ξ). Posso quindi, con la procedura iterativa sopra presentata, trovare unafunzione soluzione dell’equazione procedendo per δ0 fino a coprire tutto l’intervallo [τ1, τ2].

Sebbene la condizione di sottolinearità (o coercività) possa sembrare limitativa, in realtà leseguenti condizioni sufficienti per la sottolinearità dimostrano il contrario:

1. F è limitata in S.

2. F(t,0) è limitata e F è lipschitziana in S rispetto a y e uniformemente in t. Cosideriamoinfatti

‖F(t,y)− F(t, z)‖ ≤ L‖y − z‖

Ponendo z = 0, otteniamo che

‖F(t,y)‖ − ‖F(t,0)‖ ≤ ‖F(t,y)− F(t,0)‖ ≤ L‖y‖

Vale quindi che‖F(t,y)‖ ≤ ‖F(t,0)‖+ L‖y‖

Ponendo ‖F(t,0)‖ = k1 e L = k2 otteniamo la condizione di sottolinearità.

3. F(t,0) è limitata, ∂ifj sono continue e limitate in I. In questo modo, sfruttando il Teoremadel valor medio, è possibile procedere in modo analogo a quanto detto sopra.

Consideriamo a titolo di esempio il sistema differenziale lineare del primo ordine non autonomonon omogeneo

y1 = a11y1 + · · ·+ a1nyn + b1(t)...yn = an1y1 + · · ·+ annyn + bn(t)

con aji(t), bj(t) ∈ C 0([τ1, τ2]); esso può essere riscritto, ponendo y = (y1, . . . , yn)t, b = (b1(t), . . . , bn(t))t

e A =

(a11 ... a1n

.... . .

an1 ... ann

), nella forma matriciale

y = Ay + b = F(t,y)

Consideriamo ∂fj∂yi

= aji(t); essendo per ipotesi una funzione continua, F ∈ C 1([τ1, τ2]). Inoltre,poiché le funzioni aji(t) sono continute in [τ1, τ2] è possibile definire Lji := maxt∈[τ1,τ2]

∣∣aji(t)∣∣ eL0 := maxj,i=1,...,n

∣∣Lji∣∣. Vale quindi che ‖∂fj∂yi(t,y)‖ ≤ L0 ∀(t,y) ∈ S. Abbiamo quindi verificato

la sottolinearità di F in [τ1, τ2]; è quindi possibile applicare il Teorema precedente, che ci assicural’esistenza di una soluzione del sistema lineare di equazioni differenziali sopra riportato.Esaminiamo ora le condizioni per cui si può prolungare la soluzione di un Problema di Cauchysino alla frontiera del dominio di definizione di F.

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Teorema 74. Sia F : A ⊆ Rn+1 → Rn; supponiamo soddisfatte le condizioni del Teorema diesistenza e unicità in piccolo della soluzione del Problema di Cauchy

y = F(t,y)

y(τ) = ξ

Sia A0 ⊆ A un compatto tale che (τ, ξ) ∈ A0 e Jl = (Tmin, Tmax) l’intervallo massimale diesistenza della soluzione φ. Allora il grafico di φ esce definitivamente da A0.

Dimostrazione. PoichéA è un aperto di Rn+1 eA0 ⊂ A è un compatto, ∀(t,y) ∈ A0 d((t,y), ∂A) >0. In particolare, definiamo d = inf(t,y)∈A0

d((t, y), ∂A). Definiamo l’insieme K := (t,y) ∈ A :

d((t,y), A0) ≤ d2, generalmente detto collarino di raggio d

2 . Poiché la distanza è una funzionecontinua e l’immagine di K è un insieme chiuso e limitato in R, K è un compatto. Vale cheA0 ⊆ K ⊆ A. Poniamo ora a2 + b2 ≤ d2

4 , in modo che Γ := (t,y) ∈ A : |t− τ | ≤ a ∧ ‖y − ξ‖ ≤b ⊂ K per ogni (τ, ξ) ∈ A0. Vogliamo ora determinare l’intervallo in cui esiste... Ricordando ladefinizione della semilarghezza dell’intervallo, δ = mina, bM , consideriamo la determinazionedi M : vale infatti che M = maxΓ‖F(t,y‖ ≤ maxK‖F(t,y)‖. In particolare, poniamo M ugualeall’ultimo termine. Sulla base delle determinazioni fatte sino ad ora, possiamo dire che δ è in-dipendente dalla scelta di (τ, ξ). Quindi, partendo da un qualsiasi punto (τ, ξ) ∈ A0, siamo ingrado di costruire un intervallo Iδ = [τ − δ, τ + δ] e, estendolo a partire da uno degli estremi, diraggiungere ed uscire da A0 in un numero finito di passi. La traiettoria della soluzione massimaletende quindi al bordo dell’aperto di definizione (l’intervallo Jl).

Definizione 73. Sia data una funzione g : A ⊆ Rn → R tale che g(x1, . . . , xn) = 0. Chiameremof : B ⊆ Rn−1 → R funzione implicita di g una funzione tale che Graf(f) = (x, y) ∈ Rn|y =f(x) sia un sottoinsieme di A e g(x1, x2, . . . , xn−1, f(x)) = 0 ∀x ∈ B.

Teorema 75 (del Dini). Sia g : A ⊆ R2 → R, e supponiamo che

1. ∂yg, g ∈ C 0(A);

2. Nel punto (x0, y0) ∈ A g(x0, y0) = 0 e ∂yg(x0, y0) 6= 0.

Allora esistono un intorno U(x0) e un’unica funzione f : U(x0)→ R continua in U(x0) tale chey0 = f(x0) e g(x, f(x)) = 0 ∀x ∈ U(x0). Se inoltre ∂xg è continua in A (quindi g ∈ C 1(A))allora f ∈ C 1(U(x0)) e vale che

f ′(x) = −∂xg(x, f(x))

∂yg(x, f(x))∀x ∈ U(x0)

Dimostrazione. Supponiamo, senza perdere in generalità, che ∂yg(x0, y0) > 0. Allora per ilteorema della permanenza del segno esiste un rettangolo W = [x0 − a, x0 + a]× [y0 − b, y0 + b]in cui ∂yg è positiva. Fissiamo x0, e definiamo una funzione f : [y0 − b, y0 + b] → R che, datoun elemento y ∈ [y0 − b, y0 + b] lo manda in g(x0, y). Dato che f(x0, y0) = 0 e poiché g èmonotona, vale che g(x0, y0− b) < 0∧g(x0, y0 + b) > 0. Considero ora le mappe x 7→ g(x, y0− b)e x 7→ g(x, y0 + b): sono funzioni continue in A. Per il teorema della permanenza del segno,esiste un δ > 0 tale che per ogni x ∈ [x0− δ, x0 + δ] g(x, y0− b) < 0∧ g(x, y0 + b) > 0. Fissato unx ∈ (x0−δ, x0+δ), consideriamo la mappa che, dato un y ∈ [y0−b, y0+b], manda y in g(x, y). Lafunzione è continua in [y0−b, y0 +b] e sappiamo che g(x, y0−b) < 0∧g(x, y0 +b) > 0. Applicandoil Teorema di Bolzano, sappiamo che esiste un punto y ∈ [y0 − b, y0 + b] tale che g(x, y) = 0.Poiché g è monotona in [y0 − b, y0 + b], tale punto è unico. Abbiamo quindi individuato unarelazione univoca f : [x0− δ, x0 + δ]→ [y0− b, y0 + b] che manda x ∈ [x0− δ, x0 + δ] in f(x) = y.Per dimostrare la continuità di f , consideriamo ora 0 < ε < b e ripetiamo il procedimento soprariportato: troviamo una f∗ e un δε che definisce un intervallo (x0− δε, x0 + δε) ⊆ (x0− δ, x0 + δ).Vale che y0 = f∗(x0), g(x0, f

∗(x0)) = 0 e g(x, f∗(x)) = 0 ∀x ∈ (x0 − δε, x0 + δε), ove f∗(x) ∈(y0 − ε, y0 + ε). Possiamo quindi ritrovare la definizione di continuità:

∣∣f∗(x)− y0

∣∣ ≤ ε ∀x ∈(x0 − δε, x0 + δε).Dimostriamo ora la seconda parte dell’asserto. Poiché g è C 1(A), è anche C 1(W ). Consideriamo

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ora il segmento [(x, y), (x, y)] ⊂ U : esiste un punto (ξ, η) ∈ [(x, y), (x, y)] per cui si ha cheg(x, y) − g(x, y) = 〈∇g(ξ, η), (x− x, y − y)〉. Poiché x, x ∈ U vale che y = f(x) e y = f(x). Siha quindi che

g(x, f(x))−g(x, f(x)) = 〈∇g(ξ, η), (x− x, f(x)− f(x))〉 = ∂xg(ξ, η)(x−x)+∂yg(ξ, η)(f(x)−f(x))

Ricordando che, appartenendo i punti (x, y) e (x, y), essi costituiscono degli zeri di g, si ha che

f(x)− f(x)

x− x= −∂xg(ξ, η)

∂yg(ξ, η)

Passando al limitelimx→x

f(x)− f(x)

x− x= −∂xg(x, f(x))

∂yg(x, f(x))

L’asserto è dimostrato.

Consideriamo ora la funzione g(x, y) = x2−y2−1 = 0. Supponiamo che la funzione implicitasia una funzione f(x): verifichiamo le ipotesi del Teorema del Dini. Vale che ∂yg(x, y) = −2y,che è diversa da 0 per ogni y ∈ R \ 0. In tutti questi punti posso definire la funzione implicitaf(x) : U(x0)→ R x 7→

√x2 − 1 (oppure x 7→ −

√x2 − 1, a seconda del segno di y0). In 0 tuttavia

tale funzione non è definita: tale problema può essere imputato alla non unicità della funzione, inquanto in un qualsiasi intorno dei punti (±1, 0) esistono due possibili funzioni implicite. Qualoravolessimo trovare una funzione f(y) invece il problema si pone in x = 0, in quanto ∂xg(x, y) = 2x.Sull’onda del secondo asserto del Teorema di Dini, possiamo affermare che, se la funzione g èC 2(A), allora f ∈ C 2(U), e vale che (derivando il risultato precedente 〈∇g(x, f(x)), φ′(x)〉 =0 ∀x ∈ U(x0) e applicando il Teorema di Schwarz)

∂2xxg(x, f(x)) + 2∂2

yxg(x, f(x))f ′(x) + ∂2yyg(x, f(x))f ′2(x) + ∂yg(x, f(x))f ′′(x) = 0

f ′′(x) = −∂xxg(x, f(x)) + 2∂yxg(x, f(x))f ′(x) + ∂yyg(x, f(x))f ′2(x)

∂yg(x, f(x))

È quindi possibile utilizzare le informazioni ottenute in questo modo per conoscere la formaapprossimata della funzione f in un intorno del punto (x0) attraverso uno sviluppo di Taylorcentrato in x0; logicamente, qualora la funzione fosse C∞ si avrebbe accesso a tutti i coefficientidella serie e si avrebbe conoscenza completa della funzione.Consideriamo ad esempio la funzione g(x, y) = 2xey+y+1 = 0, e calcoliamo la funzione implicitaf(x) : U(0) → R. Innanzitutto verifichiamo che il Dini sia applicabile. La funzione è C∞(R) inquanto composizione e combinazione lineare di funzioni C∞, e ∂yg(x0, y0) = 2xey + 1 = 1 6= 0.Inoltre g(0,−1) = 0. Applichiamo quindi il Teorema del Dini: abbiamo che

f(x) = −1− 2

ex+

4

e2x2 + o(x2)

Teorema 76 (generalizzazione del Dini). Sia A ⊆ Rn+1 e sia g : A → R. Detto X0 =(x1, . . . , xn), se valgono le ipotesi

1. ∂yg,∈ C 0(A);

2. (X0, y0) ∈ A : g(X0, y0) = 0 ∧ ∂yg(X0, y0) 6= 0

allora esistono un intorno U(X0) ⊆ Rn e un’unica funzione f : U → R tale che f ∈ C 0(U),f(X0) = y0 e g(X, f(X)) = 0 ∀X ∈ U(X0).Se inoltre ∂xig ∈ C 0(A) i = 1, . . . , n allora f ∈ C 1(U) e vale che

∂xif = −∂xig(X, f(X))

∂yg(X, f(X)∀X ∈ U(X0)

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Anche in questo caso è applicabile il risultato precedente; in particolare si ha che

∂2f

∂xk∂xi=− ∂2

xkxig(X, f(X)) + ∂2

yxig(X, f(X))∂xkf(X) + ∂2xky

g(X, f(X))∂xif(X)+

∂2yyg(X, f(X))∂xkf(X)∂xif(X))(∂yg(X, f(X)))−1

Consideriamo a titolo di esempio la funzione g(x, y, z) = z3 − (x + 2y)z − 2 = 0, e calcoliamola funzione f(x, y) in un intorno U(x0, y0) con (x0, y0) = (−1, 0). In questo caso, affinché lacondizione di azzeramento della funzione g sia rispettata, deve valere che z = 1. Verifichiamoora che ∂zg(x0, y0, z0) = 4 6= 0. Poiché g è un polinomio, è una funzione C∞(R); è pertantopossibile applicare il Teorema del Dini. Abbiamo che

f(x, y) = 1 +1

4(x+ 1) +

1

2y +

1

64(x+ 1)2 +

1

16(x+ 1)y +

1

16y2 + o(‖(x, y)‖2)

Enunciamo ora un Teorema che fornisce delle condizioni per cui localmente esiste una funzioneinversa che abbia la stessa regolarità di f .

Definizione 74. Siano A,B ⊆ Rn due aperti e sia f : A→ B. Diremo che f è un diffeomorfismodi classe C k se

1. f è biiettiva tra A e B;

2. f è di classe C k(A);

3. f−1 : B → A è di classe C k(B).

Supponiamo che sia data una funzione f : A → Rn. Diremo che f è un diffeomorfismo locale indi classe C k in x0 ∈ A se

1. esiste un intorno U(x0) tale che f(U) sia aperto in Rn;

2. f |U è biiettiva di classe C k;

3. f−1 : f(U)→ U è di classe C k

Teorema 77 (Dell’inversione locale).

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