Antropologia del mangiare e del bere di Alessandra Guigoni

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    PREFAZIONE AL VOLUME

    Per una cultura critica dellenogastronomia: lItalia, conoscenzacomune, ha un patrimonio enogastronomico unico al mondo, le-gato a tradizioni secolari, a un ambiente e a una geografia parti-colari, che ancora pu contare su saperi e tecniche tramandate digenerazione in generazione. Basta avere la pazienza di scoprire que-sti giacimenti e, se necessario, difenderli contro londa lungadella globalizzazione e dellindustrializzazione indiscriminata, cosche possano essere uno strumento di sviluppo delle aree rurali epossano restare a disposizione di tutti coloro che siano abbastanzaavveduti e informati per goderne, sia in loco che a casa loro.

    O almeno, questo il discorso alla base di decisioni ambientali,politiche, sociali ed economiche che stanno influenzando non soloil moderno mercato agro-alimentare in Italia, ma anche le scelte ela sensibilit dei consumatori, se non altro di quelli che per capi-

    tale culturale e disponibilit finanziaria possono permettersi certiprodotti. La difesa delle tradizioni e delle realt locali sintrecciacon questioni di enorme impatto, come la sicurezza alimentare(ricordate la mucca pazza?), la presenza di organismi genetica-mente modificati o ormoni nel cibo, il cambiamento nelle strut-ture produttive e distributive nel settore eno-gastronomico,levoluzione delle abitudini dacquisto degli italiani e, argomentonon da poco, la legislazione internazionale sugli scambi e sulla pro-

    priet intellettuale (eh s, tali sono considerate Dop e Doc) svi-luppata nel quadro dellOrganizzazione Mondiale del Commercio.

    In questo contesto, complesso e dibattuto, questo lavoro diAlessandra Guigoni vuole dare un apporto particolare, offrendoriflessioni che cercano di andare al di l della retorica, dei discorsicomuni, delle ideologie nostalgiche e delle questioni economicheper capire come la dimensione alimentare in realt giochi un ruoloimportante nella nostra percezione di noi stessi, di chi siamo e didove andiamo. Si tratta di un obiettivo importante, in una realtsociale e culturale in continua e rapida evoluzione che spesso ci

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    lascia nellincertezza e che ci spinge a cercare appigli e reti di sicu-rezza in identit a volte immaginate e costruite. Il ritorno alla pastae fagioli della nonna un atto non solo legato alle necessit bio-

    logiche o allesperienza del palato e del piacere, ma anche unaf-fermazione di unidentit specifica dai connotati che fannoriferimento a storie, proiezioni sul passato e sul futuro, giudizi divalore e scelte concrete. Proprio per questo, Alessandra Guigoni af-fronta la sua ricerca e la sua analisi con una metodologia antro-pologica, al fine di capire meglio certi aspetti della cultura italianacontemporanea nel suo riflettersi in un contesto particolare ma

    molto rilevante, quello del cibo e della tavola.Scorrendo gli argomenti affrontati nel libro, facile accorgersicome il suo obiettivo sia quello di smontare discorsi acquisiti e ap-parentemente inattaccabili, accettati e riprodotti nellambito po-litico, nei media, dei dibattiti economici e sociali. Il titolodellultimo capitolo,La patrimonializzazione dellimmaginario: sa-

    peri e sapori culinari nelle retoriche e nelle politiche contemporanee,riassume un po tutto il percorso del libro, che tocca temi molti

    vari, dal ruolo dei media nella definizione della cultura eno-ga-stronomica contemporanea, alla costruzione culturale e discorsivadel mondo dellenologia; dallo sviluppo delle personalit indivi-duale nel processo di svezzamento allevoluzione della personalitcollettiva italiana dal punto di vista storico e sociale, ben lungi daqualsiasi velleit essenzialista o jungiana.

    La questione del rapporto fra locale e globale, anchessa trat-tata nel libro, forse una delle pi importanti nel dibattito con-

    temporaneo, anche a di l del fatto alimentare e gastronomico. Ilricorso a definizioni amministrative (ma di grande rilevanza so-ciale e culturale) quali indicazione geografica o denominazionedi origine controllata fanno riferimento a un concetto di territo-rio che viene elaborato e utilizzato come arma di difesa di risorseambientali, sociali ed economiche delle realt locali. Il valore eco-nomico di queste definizioni, comprese quelle non definite da im-pianto legislativo come i presidi di Slow Food, evidente: nonsolo a livello di reddito per le comunit locali, ma anche di po-tenzialit turistica e culturale. Il dibattito si sviluppa spesso su con-

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    trapposizioni nette fra locale e globale, omogeneit e diversit(compresa la biodiversit), universale verso particolare. La realt probabilmente molto pi complessa. Un piatto o un ingrediente,

    per essere percepito come locale, deve diventare parte di reti discambio che permettono di entrare in confronto con laltro, il di-verso, acquisendo cos una propria identit costruita nel confronto.Non solo: il concetto diterroir, progenitore dellitaliano territo-rio, si svilupp in Francia nella seconda met dell800, proprioquando lurbanizzazione stava divenendo un fenomeno di fonda-mentale importanza in molti paesi europei. Sin dallinizio, il ter-

    ritorio si defin dunque come spazio diverso nei confronti dellacitt, e come riserva di prodotti diversi da quelli offerti dallindu-stria alimentare che proprio allora stava applicando tutta una seriedi innovazioni scientifiche soddisfare le necessit dapprovvigio-namento delle citt in crescita. interessante come il concetto diterritorio abbia acquisito rilevanza in Italia dagli anni 60, come di-mostra lavvio della legislazione sulle DOC, in un momento incui la migrazione interna e lo sviluppo di grandi centri urbani ta-

    gliavano (e in parte cercavano di dimenticare) le radici rurali e dipovert di gran parte della popolazione. E che il prodotto di ter-ritorio sia percepito come di migliore qualit anche in parte lareazione a merci di cui, nel mercato cittadino, si ha timore di nonconoscere leffettiva provenienza.

    Non si tratta di negare leffettiva qualit del prodotto alimentareitaliano, o di disconoscere le nostre ricchezze enogastronomiche,che costituiscono un patrimonio culturale ed economico straor-

    dinario. Quello di Alessandra Guigoni piuttosto un richiamo al-lonest intellettuale, allanalisi della realt al di l degli ovviinteressi economici, e, perch no, al coraggio di far notare che, avolte, il re effettivamente nudo.

    Fabio Parasecoli

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    IL CIBO: MEDIUM DI COMUNICAZIONE SOCIO-CULTURALE

    PREMESSA

    Raccolta, conservazione, coltivazione, preparazione e consumodel cibo costituiscono attivit indispensabili in tutte le societumane. Latto di nutrirsi essenziale per la nostra permanenzain vita, e pi in generale per la sopravvivenza di tutti gli esseriviventi sulla Terra.

    Questatto, in apparenza meramente fisiologico e materiale, anche carico di significati culturali, sociali e simbolici.Lalimentazione difatti unfatto culturale e sociale; ogni cultura

    regola lalimentazione dettando una serie di norme pi o menoesplicite e rigide che fissano cibi commestibili e cibi consideratiripugnanti o vietati, ma anche i modi di preparazione, tempi eluoghi, contesti e persone con cui il cibo pu o deve esser con-sumato. Il consumo del cibo, in una parola, un procedimentoper costruire, comunicare (ed eventualmente trasgredire) regolesociali, gerarchie, legami.

    Ogni sistema dalimentazione prevede al suo interno una precisa

    articolazione e disposizione degli alimenti, delle tecniche di pre-parazione e di cottura, di presentazione a tavola, secondo normecondivise dal gruppo sociale di riferimento.

    Gli alimenti sono raggruppati a seconda delle propriet estrin-seche o intrinseche loro riconosciute, e secondo gerarchie di pre-ferenza e di desiderabilit ben precise, nelle quali concorronoanche colore, gusto (acido, amaro, dolce, salato), peso, stato (li-quido o solido), propriet nutritive loro riconosciute (che possonocoincidere o meno con propriet medicamentose attribuite), chetuttavia variano da civilt a civilt, e di epoca in epoca.

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    Esistono numerositopoietnografici noti: il latte di vacca rite-nuto ripugnante dai Lele dello Zaire, il formaggio era fino a pocotempo fa scarsamente apprezzato in Estremo oriente, un italiano

    raramente mangerebbe carne di cane, gli statunitensi generalmenteaborrono la carne di cavallo e cos via.

    Allo stesso modo alcuni cibi assurgono a ruolo distatus symbol,come le spezie nel Medioevo, o lo zucchero e la cioccolata nel corsodellEt moderna, divenuti popolari nel corso del XIX e XX secolo.

    O ancora status symbol alimentari sono lo champagne e il ca-viale, stereotipo dellabella vita, del lusso, oggetto di desiderio della

    borghesia, di spreco, ostentazione insieme alla selvaggina, ai tartufie ad altre sostanze alimentari rare e costose. importante sottolineare che i gusti e i disgusti sono cultural-

    mente, socialmente e storicamente determinati e cambiano colpassare del tempo: la salsa di pesce garum era una squisitezzadepoca romana, oggi il suo semplice odore, di pesce marinato efrollato, probabilmente ci disgusterebbe.

    Tra le logiche maggiormente cogenti che guidano le scelte ali-

    mentari, vi sono interdizioni e norme di tipo religioso (si veda la proi-bizione della carne di maiale per ebrei e musulmani), anche sesullinterpretazione del significato profondo di tali proibizione cul-turalisti/simbolisti e materialisti/utilitaristi hanno dato interpreta-zioni antitetiche, rappresentate da Mary Douglas e da Marvin Harris.

    La prima interpretazione fa appello al significato simbolico ditali interdizioni, connesse alla visione del mondo di tali civilt, laseconda mette in luce le caratteristiche ecologiche delle regioni in

    cui tali civilt si sono sviluppate nel corso dei secoli e sostiene chealla base vi una scelta razionale in termini di costi/benefici(Douglas 1985; Harris 1990).

    Spesso alimenti dotati di buone propriet nutritive sonotabuizzatipresso molte culture: il latte materno per gli adulti, adesempio, o il sangue umano, che teoricamente potrebbero essereoggetto di raccolta e di vendita come alimenti. Il caso del latte ma-terno molto interessante perch esso cambia di segno (positivoo negativo) secondo chi lo beve: dalla parte dellosservatoreesterno, puro e nutriente se visto ingerire da un lattante, poco ap-

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    propriato o addirittura disgustoso se visto ingerire da un adulto(si veda Lupton 1999).

    Del resto sullopportunit, in et adulta, del consumo di latte (di

    vacca, capra ecc.) vi un dibattito tra nutrizionisti, ed esistono di-verse associazioni per labolizione del consumo del latte.1 Il latte una delle abitudini alimentari delluomo pi fortemente con-notata in senso culturale rappresentando lesito di un lungo edifficile adattamento (Muzzarelli-Tarozzi 2003: 50).

    Genericamente possiamo affermare che la coprofagia, la geofa-gia e il cannibalismo sono comportamenti alimentari oggi consi-

    derati aberranti in tutte le culture; tuttavia se esaminassimo questesostanze da un punto di vista nutrizionale avremmo qualche sor-presa. Ad esempio gli escrementi sono nutrienti perch conten-gono sali minerali e vitamine, e sono comunemente ingeriti damolti mammiferi, come cani e maiali.2

    Il cane ed il porco pi che onnivori sono scatovori e scatofili.Quindi si sono auto-addomesticati, attratti dagli escrementiumani, almeno cos sembrerebbe... introdotti nella societ come

    spazzini, e animali di cui luomo si nutre, vivono ai margini conun basso statuto sociale (Fiorani 1993: 41).Per quel che riguarda la geofagia, ossia lingestione di piccole

    quantit di terra, sappiamo che diverse qualit dargilla conten-gono calcio e altri minerali utili per lorganismo. In passato, anchenella civilt occidentale, alcuni minerali avevano un posto di ri-guardo nella cura delle malattie.

    Eppure la geofagia spesso stata etichettata come primitiva,

    costituendo, per i parametri alimentari occidentali, spesso inav-vertitamente evoluzionistici, una sorta di fossile alimentare, anchese al giorno doggi nelle erboristerie si vendono terre mineraliadatte ad essere ingerite in dosi omeopatiche.

    E ancora: nutrirsi di liquidi umani (latte, sangue) o solidi con-siderato disgustoso, mentre il consumo di sangue animale riser-vato a momenti fortemente ritualizzati e inerenti alla sfera religiosa.

    Ottavio Cavalcanti suggerisce limportante associazione tra vinoe sangue, presente nellimmaginario collettivo sin nella Grecia ar-caica e nel mondo romano; anche nella Bibbia si fa esplicito di-

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    vieto di consumare sangue animale ben 17 volte, anche se poi visono delle smagliature in tale divieto. Nel rito cristiano il panesi fa corpo e il vino si fa sangue di Cristo; la morte di Cristo, unico

    e completo sacrificio, un rito sacrificale definitivo, ossia che nonrichiede altre vittime; il suo sangue dunque ha un valore propi-ziatorio, mistico, misterico e conviviale (Cavalcanti 1995: 29).

    Infine il cannibalismo: secondo alcuni paletnologi era gi prati-cato nel paleolitico superiore in diverse aree del mondo; le traccesono controverse e ambigue; che fosse praticato per scopo ritualerimane solo unipotesi.

    In epoca storica, in Mesoamerica Maya e Aztechi praticavano ilcannibalismo; secondo alcuni scienziati sociali, come M. Harner,soprattutto per integrare la loro dieta, modesta di proteine dori-gine animale; per altri specialisti lo scopo di tali pratiche invece eraeminentemente religioso e cultuale.

    Altre culture hanno praticato il cannibalismo rituale sino atempi recenti in diverse parti del globo. Nel 1939 Ewald Volhardregistr oltre un migliaio di gruppi etnici presso i quali avveniva

    il consumo di carne umana, la maggior parte dei quali era situatain Africa e Oceania (cfr. Fabietti-Remotti 1997: 140).In somma ci sembra di poter affermare ancora una volta che a

    guidare le scelte alimentari , nella stragrande maggioranza deicasi, la cultura (affermazione con cui intendiamo delimitare i con-dizionamenti biologici, che sembrano piuttosto deboli); altrimenticome spiegare lavversione umana verso la coprofagia, la geofagiae il cannibalismo?

    Perci avere a disposizione un certo alimento non determi-nante nelle scelte alimentari di un certo gruppo sociale, ma lescelte sono socialmente e culturalmente costruite, e seguono logi-che diverse da quelle meramente utilitaristiche.

    Paul Rozin ha provato ad elencare i fattori genetici nelluomoriguardanti il cibo, che sono, a suo dire, sorprendentementepochi e riguardano la predisposizione verso cibi dolci, piuttostoche verso cibi amari; linteresse verso nuovi cibi (neofilia) e altempo stesso la cautela nel provarli (neofobia) (forze che a no-stro parere si annullano a vicenda); infine alcune speciali abi-

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    lit che permettono di imparare la relazione tra cibi ingeriti econseguenze dellingestione (Rozin 1999: 11).

    Il cibo dunque appartiene soprattutto al dominio della cultura,

    e della socialit: Il cibo in ogni luogo e in ogni epoca un atto so-ciale (Barthes 1988: 281).

    Rozin conosce bene il ruolo sociale del cibo giacch centro del-linterazione a tavola, portatore di messaggi di benvenuto nei rap-porti di ospitalit, portatore di distinzione sociale e didentit etnica.Condividere il cibo , universalmente, uno dei modi fondamentaliin cui si pu mostrare, stabilire, mantenere rapporti interpersonali.

    Il terminecompagno

    , riscontrabile in diverse lingue (ad esempionellinglesecompany) deriva dal latinocum-panis, che significa inorigine dividere il pane con, considerato un atto pratico e sim-bolico che veicola amicizia, confidenza, intimit.

    Al contrario la mancanza di condivisione del cibo veicola sensodi distacco sociale, di distanza, di esclusione; un modo per sot-tolineare e mantenere gerarchie, riscontrabile in moltissime cultureattuali estoriche.

    IL GUSTO CAMBIA

    Nellanalisi della formazione di gusti e disgusti si assegna il primatoalla cultura, una cultura naturalmente che muta nel tempo. Colore,

    consistenza, sapore, odore, sono componenti importanti ma non de-cisive, per creare gusti e disgusti, preferenze e idiosincrasie alimentari.

    Anzi, sapori e odori oggi considerati poco gustosi (il pungente, iltendente al rancido) sono stati largamente apprezzati nellet anticae medievale, ad esempio nella salsagarum e nel condimento agresto.

    Piuttosto ci sembra che sia la desiderabilit di un cibo, costruitasocialmente e culturalmente, a renderlo appetibile. Il desiderio ,per il semiologo Roland Barthes, nella sua rilettura di Brillat-Savarin,3 il motore del piacere della tavola, che si distingue dal bi-sogno, o appetito naturale:

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    In effetti tutto qui: la specie ha bisogno della procreazione per so-

    pravvivere, lindividuo ha bisogno del mangiare per sostentarsi; e tut-

    tavia la soddisfazione di questi due bisogni non sufficiente per

    luomo: egli deve mettere in scena, per cos dire, il lusso del deside-rio, amoroso o gastronomico: supplemento enigmatico, inutile, il cibo

    desiderato [] una perdita incondizionata, una sorta di cerimonia

    primitiva con cui luomo celebra il proprio potere, la propria libert

    di bruciare la sua energia per nulla (Barthes 1988: 266).

    Ci che viene rimosso, in questo circolo virtuoso di desiderio-pia-cere-cibo, il cibo popolare, che nasce dal bisogno:

    Da che cosa costituito essenzialmente questo cibo? Da pane e, in

    campagna, da una sorta di polenta che la cuoca preparava con un

    grano che pestava lei stessa nel mortaio niente zucchero, bens

    miele. Il cibo essenziale del povero erano le patate; si vendevano,bol-

    lite, per la strada (come accade oggi in Marocco) insieme alle casta-

    gne; snobbata per molto tempo dalle persone di un certo ceto, che

    ne lasciavano il consumo agli animali e ai poveri la patata non devecerto la sua ascesa sociale a Parmentier, il quale voleva soprattutto che

    la sua fecola sostituisse la farina per il pane [] (Barthes 1988: 282).

    Il desiderio acceso dal ruolo occupato da un certo alimentonella gerarchia culinaria di una certa civilt, dal suo grado didesiderabilit sociale e culturale, dal posto che occupa nelle tas-sonomie etniche di una data cultura. Sidney W. Mintz ha de-

    dotto a tale proposito che la maggioranza delle societ agricolepreindustriali si basino su di un sistema agro-alimentare fon-dato su di un cereale (o tubero) principale, che il cuore (core)dellalimentazione, dato da carboidrati, uno o pi legumi comealimento secondario, e infine un terzo elemento (fringe) datoda un alimento che serve a insaporire questocore(pasta o pane,o polenta o cassava o patate o riso ecc.) e i legumi daccompa-gnamento, e che pu essere costituito da una salsa, o un vege-tale o qualcosaltro (aglio, pomodori, sale, pepe, peperoncino,olive, funghi, verdure in foglia ecc.). Conseguentemente miti e

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    riti alimentari sono concentrati prevalentemente sullalimentoprincipale della cultura di riferimento.

    Mintz ha anche notato che la combinazione carboidrati + le-

    gumi nutrizionalmente molto appropriata, assai pi delle dietebasate esclusivamente su prodotti della caccia o dellallevamento.Di solito le societ pastorali cercano di procurarsi tramite baratto(o coltivando esse stesse) vegetali (cereali, tuberi, legumi ecc.) concui integrare la propria dieta. Sidney Mintz sostiene che tali co-stantinella dieta delle culture agrarie di tutto il mondo sono il ri-sultato dellevoluzione delle societ agrarie stesse che, in mancanza

    di tale complesso, sarebbero state svantaggiate (Mintz 2001).Come gusti e disgusti sono plasmati culturalmente e storicamenteindividuati, cos sono le buone maniere a tavola, lordine elaspetto delle vivande.

    I Romani iniziavano un pasto con fichi secchi, miele, formaggio.Mammelle di scrofa, carne di gru o di pavone costituivano unaleccornia. Nelle famiglie altolocate si mangiava sdraiati, con le

    mani, e gli avanzi finivano allegramente per terra.Nel Medioevo le buone maniere a tavola, lordine delle vi-vande, e le vivande stesse erano assai diverse. Molto difficil-mente saremmo a nostro agio ad un banchetto medievale,sottoposti come siamo stati, nel corso dellEt moderna, ad unlungo processo di civilizzazione che ci ha progressivamentereso raffinati (si veda Elias 1998).

    Anche la storia cibo: senza lazione selettrice degli antichi agri-

    coltori non esisterebbero le piante coltivate dalluomo, cos comegran parte degli animali domestici. Gli uomini modificano la se-lezione naturale da migliaia danni, addomesticando piante ed ani-mali: Neppure le civilt superiori degli uomini sarebbero sorte, senon si fosse riusciti a coltivare cereali e verdure e ad addomesticaregli animali (Wulf 2002).

    Questa trasformazione, avvenuta alla fine del Paleolitico, com-porta un radicale mutamento dellorizzonte tecnico ed economico;laddomesticamento di animali e di piante avviene agli inizi inmodo per noi impercettibile: gli uomini da cacciatori e raccogli-

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    tori si fanno allevatori, spesso di quelle stesse bestie che prima cac-ciavano da millenni, come pecore e capre, e agricoltori di quellestesse piante che prima raccoglievano, con falcetti di pietra, gi da

    secoli (cfr. Leroi-Gourhan 1977: 187).I primi orti e frutteti erano probabilmente luoghi allo stato di

    natura, recintati dalluomo per poter raccogliere i frutti cos pro-tetti: A questa origine rimandano le radici indogermaniche deltedesco garten(giardino), gher(racchiudere) e le parole grechechortos(recinto) echeir(mano) (Wulf 2002: 47).

    LIDENTIT A TAVOLA

    Sappiamo bene che il cibo nelle societ tradizionali al centrodi cure, preoccupazioni ed ansie che coinvolgono lintera co-munit; per questo motivo il cibo si carica di valori etico-so-

    ciali, religiosi, simbolici, esistenziali che vanno oltre la sferaeconomicistica, e che impegna lintero sistema etico-religioso(cfr. Lanternari 1983: 65-66).

    Eleonora Fiorani, tra gli altri, afferma che il cibo in tutte le so-ciet carico di valori simbolico-sacrali, in quanto il cibo espe-rienza del mondo; la persona stessa si costruisce mangiando(Fiorani 1993: 17).

    Tramite latto di mangiare ed assorbire il cibo, noi diventiamo

    ci che mangiamo; assumendo il cibo assimiliamo il mondo e diconseguenza latto di mangiare sia banale, sia carico di conse-guenze potenzialmente irreversibili (Fischler 1992: 279). Fischlerindividua in ci il paradosso dellonnivoro: luomo preso tra duefuochi: da un lato il bisogno di variare, diversificare ed innovare ladieta, dallaltro limperativo dessere cauti perch ogni cibo scono-sciuto un pericolo potenziale. Non solo, e non tanto, per pauradi un avvelenamento fisiologico, quanto per questioni ontologi-che legate alla soggettivit. Incorporare gli alimenti significa farli di-ventare parte della nostra sostanza intima; perci lalimentazione

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    il campo del desiderio, dellappetito, del piacere, ma anche delladiffidenza, dellincertezza, e dellansiet (cfr. Fischler 1992).

    dello stesso parere Deborah Lupton: Se uno non sa cosa sta

    mangiando, anche la sua soggettivit messa in dubbio. Incorporareil cibo non costituisce una sfida solo per la salute, ma lo anche peril posto dellindividuo nella cultura (Lupton 1999: 33).

    La costruzione della persona avviene inevitabilmente attraversoil cibo. Senza nutrimento il corpo deperisce e muore.Questosservazione, lineluttabilit del doversi nutrire per soprav-vivere, dovrebbe portare a pensare allalimentazione come ad unat-

    tivit basata su regole semplici, banali, improntate al pragmatismoe allutilitarismo.Invece, come sappiamo, gli esseri umani non mangiano tutti le

    stesse cose, n mangiano allo stesso modo, ma operando sceltebene precise su ci che commestibile e ci che non lo , su comepreparare un alimento, utilizzarlo, servirlo a tavola:

    Nel linguaggio della scienza gli uomini si definiscono onnivori

    possiamo mangiare e digerire di tutto, dalle secrezioni irranciditedelle ghiandole mammarie ai miceti alle rocce; ossia formaggio, fun-

    ghi e sale, se preferite gli eufemismi. Al pari degli altri onnivori, per,

    non mangiamo precisamente di tutto, e, in pratica, in rapporto alla

    totalit delle sostanze potenzialmente commestibili presenti sulla

    faccia della terra, la dieta della maggior parte dei gruppi umani ap-

    pare piuttosto ristretta (Harris 1990: 3).

    Harris sostiene, capovolgendo laffermazione di Lvi-Strauss che cisono cibi buoni da pensare e cattivi da pensare, che in realt questodipende dal fatto che siano buoni o cattivi da mangiare, dato che ilcibo deve nutrire lo stomaco collettivo prima di poter alimentare lamentalit collettiva. Alla base perci delle scelte nutritive stareb-bero scelte di tipo ecologico-economico, quantificabili in terminidi guadagno/perdita nel compiere o non compiere una certa scelta.

    Preferenze ed avversioni (gusti e disgusti, se vogliamo) in ma-teria di cibo, deriverebbero allora da un bilancio attivo nel cal-colo dei concreti costi e benefici; in questo calcolo risulta

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    essenziale ilmilieu, lambiente naturale. Secondo Harris le dif-ferenze sostanziali tra le cucine del mondo si potrebbero far ri-salire ai condizionamenti ambientali, e alle diverse possibilit

    offerte dalle varie zone. Harris individua nel caso dellIndia adesempio, come causa reale deltaburiguardo alla carne dei bovini,il fatto che in termini ambientali (habitat e tecnologia) lalleva-mento di animali da carne scarsamente praticabile, perci lacarne dei bovini divenuta, col tempo, cattiva da mangiare, epertanto anche da pensare. Dietro la causa apparente del divietoreligioso, in questo caso, starebbero concrete ragioni pratiche

    (cfr. Harris 1990: 6-7).Ad ogni modo a meno di non essere costretti dalla fame, i popolimanifestano numerosi rifiuti e preferenze molto caratterizzati daquella che Andr Leroi-Gourhan chiama personalit etnica. Lecucine regionali tracciano i contorni delle suddivisioni della di-stesa umana, non in funzione della ripartizione degli animali odelle piante commestibili ma in funzione di preferenze gastrono-

    miche che utilizzano risorse alimentari locali o importate (cfr.Leroi-Gourhan 1977: 339). evidente che lalimentazione non mira soltanto alla soddisfa-

    zione di un bisogno primario, il nutrimento, ma anche un co-dice di comunicazione, attraverso cui un gruppo mette in rilievola propria identit etnica, sociale, culturale.

    Riteniamo di sicuro interesse la posizione dellantropologo JackGoody, che propone il superamento della dicotomia tra approc-

    cio materialista e approccio simbolista cui abbiamo accennato, innome di un approccio pragmatico, basato sui risultati:

    This radical dichotomy between materialist and cultural approa-

    ches Is as outdated as the mind-body one In any case I do not

    believe that in the end either utilitarians/materialists or cultu-

    rists/symbolists can exclude factors that are exogenous to their ini-

    tial precept, rather, they differ in adopting different strategies of

    approach, the appropriateness of which can be judged only by their

    contribution to explanations4 (Goody 1998: 149).

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    Gli studi di Goody hanno rappresentato il superamento dellap-proccio eccessivamente conservatorista di certe analisi strutturali-ste in virt invece di un approccio dinamico che metta in evidenza

    il carattere storico delle pratiche dietetiche e delle concezioni sim-boliche ad esse connesse, senza per questo occultare il profondo eduraturo rapporto tra alimentazione e distinzione sociale ed etnica.

    Le preferenze alimentari sono strettamente connesse con mec-canismi di autoidentificazione sociale; in tale senso ogni nuovoalimento va incorporato nel sistema alimentare vigente, va fattoproprio, attraverso un processo di autenticazione che lo renda au-

    toctono, locale, genuino, cos come avviene quando un neolo-gismo o un vocabolo straniero viene accolto in una lingua, cosicome la presentazione alla comunit di un nuovo nato. Il termine

    genuinoinfatti deriva dallatto formale con cui il padre, nelle co-munit indoeuropee, prendeva sulle ginocchia il proprio figlio, ac-cettandone la paternit, e introducendolo nella societ.

    Solo attraverso il riconoscimento dellorigine in seno a quella co-munit il nuovo nato acquistava un ruolo e uno status nel gruppo

    sociale, unidentit accettata in quanto negoziata e condivisa; lostesso accade per un tratto culturale, un alimento, una pianta.

    LA LINGUA:PARLARE E MANGIARE IN FONDO SONO ATTI SIMILI PERCHAVVENGONO NELLO STESSO LUOGO

    Cadmo, che introdusse la scrittura in Grecia, era stato cuoco delre Sidone Mangiare, parlare, cantare sono operazioni natenello stesso luogo del corpo (Teti, 1999:76).

    Mary Douglas ha sottolineato lanalogia tra cibo e codice co-municativo; come un codice, il cibo veicola informazioni attinentia ruolo, status, et, genere, ordine nella gerarchia sociale:

    Un codice offre una serie generale di possibilit per mandare mes-

    saggi particolari: se il cibo trattato come un codice, il messaggio

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    che esso mette in codice si trover nello schema di rapporti sociali

    che vengono espressi. Il messaggio riguarda i diversi gradi di gerar-

    chia, inclusione ed esclusione, confini e transazioni attraverso i con-

    fini. Come il sesso, lassunzione del cibo ha una componente socialeoltre a una componente biologica (Douglas 1985: 165).

    Crediamo anche che sia pertinente il parallelo fra cucina e lin-guaggio adottato da diversi studiosi, tra cui il semiologo RolandBarthes (1997), laddove parla di alimento come segno, unit fun-zionale di una struttura di comunicazione, dove lalimento rias-sume e trasmette una situazione, costituisce una situazione.

    Come la lingua, la cucina possiede dei vocaboli (prodotti, ingre-dienti) che sono organizzati secondo regole di grammatica, come lericette, e di sintassi (date dallordine delle vivande, nei menu), e in-fine di retorica, rappresentata dai comportamenti conviviali.

    Lanalogia regge bene anche per i valori simbolici di cui entrambii sistemi sono portatori: come il linguaggio, la cucina contiene edesprime la cultura di chi la pratica, depositaria delle tradizioni e

    dellidentit di gruppo; costituisce pertanto uno strumento privi-legiato dautorappresentazione e di comunicazione interculturale(cfr. Montanari 1992: 124 e segg.).

    Nei processi riguardanti lintroduzione di nuovi alimenti occorretenere ben presente anche la lingua culinaria della civilt nellaquale un alimento introdotto. Quanto pi questalimento estraneo al linguaggio culinario corrente, tanto pi ne resa diffi-cile lassimilazione.

    Riportiamo due esempi emblematici: il peperoncino, nelle tas-sonomie del gusto europee, venne rapidamente incasellato nellacategoria condimenti speziati pungenti perci fu assorbito fa-cilmente nelle cucine locali piccanti, specie popolari, per le qualiil pepe, non potendo essere coltivato in loco, era sempre statoraro e costoso.

    La patata, al contrario, era un tubero di cui esistevano esiguiesempi nei saperi naturalistici e culinari europei: fino a quel mo-mento si conoscevano la pastinaca, la carota, la rapa, e poche altreradici, di scarso valore nutritivo.

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    La patata pertanto fu un alimento intraducibile, almeno perdue secoli, nel linguaggio culinario europeo. Ne rimase ai con-fini, finch le spinte demografiche, le carestie, la finalmente rico-

    nosciuta resa produttiva e calorica non la sdoganarono, aSettecento inoltrato.

    Secondo Mary Douglas il sistema culinario inglese caratteriz-zato da un profondo conservatorismo, nonostante gli enormi cam-biamenti avvenuti nella societ, e le grandi innovazioni tecniche.Mentre, continua la Douglas, ci si aspetterebbe che di conseguenzasiano cambiate anche le abitudini alimentari nella stessa propor-

    zione, invece i risultati delle ricerche suggeriscono esattamentelopposto. La stessa cosa, aggiunge la Douglas, si pu affermareparlando di qualsiasi sistema dietetico a cui capita di pensare: Siricava limpressione che, quando tutto il resto cambia, i sistemialimentari sono stabili. Non importa lapertura mentale che unapopolazione pu aver dimostrato, dopo levento, con la sua pron-tezza nelladottare nuove acconciature, vestiti, mezzi di trasporto:in fatto di cibo si dice che probabilmente ha rivelato un conser-

    vatorismo duro a morire (Douglas 1985: 201).Se questo vero, prosegue la Douglas, allora il cibo una partedella cultura che scelta a ragione per lo studio dei fattori stabi-lizzanti. In realt in ogni sistema alimentare si verificano, neltempo, innovazioni e cambiamenti anche notevoli che, come ve-dremo, vengono per assorbiti dal sistema, con lentezza pi omeno spiccata, incorporati nel sistema stesso attraverso aggiusta-menti, sincretismi, ibridazioni.

    I mutamenti talvolta modificano un sistema alimentare in modonotevole, anche se di solito prevale il conservatorismo alimentare, che stato studiato e palesato in diversi contesti e culture: iplatos totemossia piatti totem (Calvo 1992) delle culture alimentari dei migrantihanno un ruolo simbolico che li rende chiavi di identit, segnalatoridi peculiarit e diversit, il cui consumo attiva la cosiddetta memoriaculturale e la conseguente trasmissione alla generazione successiva.

    Pochi ricercatori, prosegue la Douglas, hanno studiato i sistemialimentari alla ricerca di elementi di cambiamento; infatti, le ricer-che sono influenzate dallocchio dellinvestigatore, che si sofferma su

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    ogni continuit che gli permetta di percepire uno schema costantenel flusso del materiale che sta studiando. Questesigenza, che pro-pria del ricercatore, spesso porta a sottovalutare gli elementi di rot-

    tura, le novit, i varchi nella rete, le smagliature della cornice.Daltro canto la casalinga inglese per usare la metafora con-

    creta della Douglas, e la sua famiglia:

    Sono consapevoli della necessit di modelli del passato che li guidino,

    su quello che devono servire o ricevere [] In effetti,alcune parti del

    pasto possono riflettere nuove economie o audaci esperimenti da parte

    della massaia,ma di solito un pasto deve essere riconosciuto come un

    pasto di un certo tipo ben noto. Le variazioni avvengono allinterno

    di una matrice ben conosciuta: entro quella cornice ci possono essere

    dei piccoli cambiamenti, ma tutto cospira per sottintendere che al-

    meno la cornice stabile (Douglas 1985: 201).

    Del resto il cibo tra le sue valenze culturali e sociali ha anche la fun-zione di ordinare il trascorrere della dimensione temporale, confer-

    mando nel contempo la continuit, e con essa lidentit culturale edetnica; violare le regole di un sistema alimentare significa generaredisordine sociale, che legato allordine e al disordine cosmologico,spaziale e temporale insieme; significa creare potenzialmente unosquilibrio che pu mettere il pericolo lesistenza stessa della comunit.

    Lantropologo Claude Lvi-Strauss ha affermato che la cucinapu essere considerata una cartina di tornasole per la comprensionedelle culture, poich essa ne traduce inconsciamente la struttura: Si

    pu cos sperare di scoprire, per ogni caso particolare, come la cu-cina di una societ costituisca un linguaggio nel quale questa societtraduca inconsciamente la propria struttura, o addirittura rivela,sempre senza saperlo, le proprie contraddizioni (Lvi-Strauss1999: 445). Nel breve trattato di etnologia culinaria inoltre, Lvi-Strauss fornisce lo schema del triangolo culinario: i cibi si presen-tano infatti in tre condizioni fondamentali, crudi, cotti o putridi.Rispetto alla cucina lo stato crudo rappresenta il polo non mar-cato, mentre gli altri due sono fortemente connotati, ma in dire-zione opposta: il cotto una trasformazione culturale del crudo, il

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    putrido la sua trasformazione naturale. Per ogni cucina non vi nulla che sia semplicemente cotto, occorre sempre specificare ilmodo di cottura. In buona sostanza vi unopposizione tra arrosto

    e bollito, il primo dalla parte della natura, il secondo dalla partedella cultura. Non esiste neppure il crudo allo stato puro, i cibivanno comunque lavati, tagliati, e talvolta conditi. Anche le cucineche ammettono il putrido lo fanno a patto di certi procedimenti,spontanei o artificiali. Il bollito appartiene a quella che potremmochiamare endo-cucina, fatta per uso domestico e destinata ad unpiccolo gruppo chiuso, viceversa larrosto fa parte delleso-cucina,

    che viene offerta agli estranei (Lvi-Strauss 1999: 453). Queste edaltre osservazioni dellantropologo francese hanno costituito i primimattoni del corpus dellantropologia dellalimentazione

    Il ricercatore, non riconoscendo i cambiamenti, le innovazioni,le trasformazioni di un dato sistema alimentare di una certa ci-vilt, finisce col sovrapporre quello che un bisogno, unaspira-zione, uno scopo (di continuit, di coerenza, di stabilit, dordine)con ci che in realt succede nel regime alimentare di un dato

    gruppo sociale, o di una nazione, nellarco del tempo.La memoria sociale e culturale di tali novit, innovazioni e cam-biamenti sovente va perduta, anche se le innovazioni sono recenti;le tracce spesso si riducono ad un lessema (come nel terminefico-dindia, unica spia del suo esotismo); se si ricercatori fortunati sene trova traccia nel ricordo individuale di qualche testimone, piche nel collettivo, dove sono frequenti le espressioni questo lomangiamo da sempre o questo piatto antico o ancora questa

    pietanza si fa dalla notte dei tempi.Un esempio lampante di ci che sto dicendo rappresentato

    dallintroduzione di alcune piante alimentari di origine americananel sistema agroalimentare europeo, di cui parleremo pi specifi-catamente nel terzo capitolo.

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