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ANTOLOGIA DELLA SOCIOLOGIA DELLA RELIGIONE ANDREA COMMISSO BARILLARO §§§ Antologia della sociologia delle religioni. Soomario: § 1. Introduzione alle origini della sociologia delle religioni.- § 2. E. B. Tylor. - § 3. W. Robertson Smith. - § 4. A. Comte. - § 5. Durkheim. - § 6. Lévy-Bruhl. - § 7. Arthur Maurice Hocart. - § 8. Malinowski. - § 9. Edward E. Prichard. - § 10 Carl Marx. - § 11 Feuerbach. - § 12. Engels. - § 13. Weber e Troeltsch. - § 14. Parsons. - § 15. R. N. Bellah. - § 16. Niklas Luhmann. - § 17 Peter Berger. - § 18. Luckmann. - § 19. Bryan Wilson. - § 20. Daniel Bell. - § 21. Richard Fenn. - § 22. Roland Robertson. - § 23. Michel Foucault. - § 24. Antonio Gramsci. - § 25. Louis Althusser. - § 26. Alberto Melucci. - § 27. André Gorz. - § 28. Jurgen Habermas. - § 29. Max Horkheimer. - § 30. Claus Offe. - § 31 Alain Toureaine. 1. Il contesto in cui si ebbe a sviluppare l’evoluzionismo economico nel secolo XIX era quello di un grande fermento commerciale, culturale e sociale dell’intera Europa, trainata dall’Inghilterra vittoriana; un periodo di eccezionale incremento di produttività industriale e di grandi imprese coloniali, quindi di sviluppo dei mercati internazionali 1 . Ne scaturì in conseguenza un’immagine ove l’Inghilterra, perno dell’economia mondiale, era riuscita ad ottenere, attraverso un progressivo sviluppo, l’apogeo della civiltà della cosiddetta società civile. Si pensi, ad esempio, che la filosofia di Herbert Spencer fu, per molti studiosi del tempo, il punto di riferimento in quanto egli arrivava a paragonare la società a quella evoluzione biologica che si è 1 L’esperto di Tecnica degli Scambi ed Economia Internazionale ben sa cosa intendo quando parlo di sviluppo in Europa dell’economia e del commercio, mi riferisco –in vero- ad un alto grado di interdipendenza economica di beni e servizi fra Paesi diversi. Esso raggiunse il suo massimo storico nel secondo dopoguerra del secolo XX, ma fu proprio in epoca vittoriana ad aversi il suo primo e decisivo impulso.

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ANTOLOGIA DELLA SOCIOLOGIA DELLA RELIGIONE

ANDREA COMMISSO BARILLARO

§§§

Antologia della sociologia delle religioni. Soomario: § 1. Introduzione alle origini della sociologia delle religioni.- § 2. E. B. Tylor. - § 3. W. Robertson Smith. - § 4. A. Comte. - § 5. Durkheim. - § 6. Lévy-Bruhl. - § 7. Arthur Maurice Hocart. - § 8. Malinowski. - § 9. Edward E. Prichard. - § 10 Carl Marx. - § 11 Feuerbach. - § 12. Engels. - § 13. Weber e Troeltsch. - § 14. Parsons. - § 15. R. N. Bellah. - § 16. Niklas Luhmann. - § 17 Peter Berger. - § 18. Luckmann. - § 19. Bryan Wilson. - § 20. Daniel Bell. - § 21. Richard Fenn. - § 22. Roland Robertson. - § 23. Michel Foucault. - § 24. Antonio Gramsci. - § 25. Louis Althusser. - § 26. Alberto Melucci. - § 27. André Gorz. - § 28. Jurgen Habermas. - § 29. Max Horkheimer. - § 30. Claus Offe. - § 31 Alain Toureaine. 1. Il contesto in cui si ebbe a sviluppare l’evoluzionismo economico nel secolo XIX era quello di un grande fermento commerciale, culturale e sociale dell’intera Europa, trainata dall’Inghilterra vittoriana; un periodo di eccezionale incremento di produttività industriale e di grandi imprese coloniali, quindi di sviluppo dei mercati internazionali1. Ne scaturì in conseguenza un’immagine ove l’Inghilterra, perno dell’economia mondiale, era riuscita ad ottenere, attraverso un progressivo sviluppo, l’apogeo della civiltà della cosiddetta società civile. Si pensi, ad esempio, che la filosofia di Herbert Spencer fu, per molti studiosi del tempo, il punto di riferimento in quanto egli arrivava a paragonare la società a quella evoluzione biologica che si è

1 L’esperto di Tecnica degli Scambi ed Economia Internazionale ben sa cosa intendo

quando parlo di sviluppo in Europa dell’economia e del commercio, mi riferisco –in

vero- ad un alto grado di interdipendenza economica di beni e servizi fra Paesi diversi.

Esso raggiunse il suo massimo storico nel secondo dopoguerra del secolo XX, ma fu

proprio in epoca vittoriana ad aversi il suo primo e decisivo impulso.

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avuta passando da organismo, quale la monade (organismo semplice), attraverso un processo di specializzazione e di sviluppo delle varie componenti, ad un organismo complesso articolato e bene organizzato. Così il sociale, da uno stato semplice, si è sviluppato sino ad arrivare ad un ultimo e più alto stadio di sviluppo del vivente, cioè il super-organico. In breve: la società è comparata ad una sorta di organismo vivente e quindi, come tale, non è altro che il risultato di un processo di carattere evolutivo. Le società appaiono in una condizione di lotta continua tra di esse per la supremazia dell’una sull’altra; ne consegue la sopravvivenza della società più adatta, ottenuta attraverso quel tipo di selezione darwiniana, la più forte, cioè, la più evoluta, a scapito delle altre. Teorie, queste, che tendevano ad avallare, a legittimare soprattutto, il dominio della potenza inglese e a dare una giustificazione scientifica al colonialismo. L’effetto ideologico della trasposizione filosofia di Spencer consisteva nel considerare la società inglese come la più evoluta –essendo la più forte- e, pertanto, in grado di pensare alla sua condizione di dominatrice dell’economia mondiale (a guisa di una risultante naturale di una legge universale). Oltre a riferirsi all’evoluzione spenceriana, gli studiosi si rifacevano anche a quella di Darwin e cercavano di dare una spiegazione naturale, in termini di sopravvivenza del più idoneo, agli squilibri sociali. Da qui i concetti di selezione naturale del più adatto. La concezione fondamentale degli antropologi evoluzionisti è la seguente: le leggi che governano l’incremento della produzione materiale ed intellettuale della società presente devono essere le stesse di quelle che, dapprima lentamente, poi sempre più rapidamente, avevano determinato lo sviluppo della società passata e –in breve- il passaggio da uno stadio culturale inferiore ad uno stadio superiore. 2. Nell’ambito di questo filone di pensiero l’esponente maggiore degli antropologi evoluzionisti fu senza dubbio E. B. Tylor, il quale asseriva che la storia fondamentale del genere umano poteva essere rappresentata da una linea ascendente che, da forme di

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organizzazione sociale più semplice, conduceva a forme di vita associata sempre più complesse. Egli dedicò ampi studi all’aspetto intellettuale della cultura cosiddetta primitiva, quella che a livello antropologico prese il nome di animismo. Tylor, con tale termine, intendeva la credenza nelle anime e negli esseri spirituali, ritenendo peraltro che il tendere verso un pensiero sempre più razionale fosse l’inevitabile risultato di una lenta e continua maturazione intellettuale del genere umano. Con l’accumularsi della conoscenza, quindi, con l’emergere del pensiero razionale, queste credenze andavano man mano ritirandosi fino ad interessare soltanto il cristiano civilizzato. Da qui l’emergenza del pensiero razionale andava di pari passo con il progressivo restringimento della gamma dei fenomeni, mentre l’animismo finiva per ritrovare e ritornare ad essere esclusivamente la credenza dell’anima da parte dell’uomo. Egli espose ampiamente queste teorie nel suo libro Primitive culture del 1871. 3. Altro importante antropologo del’evoluzionismo vittoriano, il quale si soffermò sull’efficacia sociale della religione, fu W. Robertson Smith, professore di ebraico e poi di arabo all’università di Aberdeen e di Cambridge, uno dei padri fondatori dell’antropologia medio-orientalista. Egli mirò ad elaborare, sulla base dei materiali inerenti l’aria semitica, una teoria globale dei rapporti tra società e religione. In Lectures on the Religion of Semites (Lezioni sulla religione dei Semiti, 1889), raccolse una serie di studi dedicati ai rapporti tra società e religione, tra antichi ebrei e arabi pre-islamici. Egli partì da premesse diametralmente opposte rispetto a quelle di Tylor e di parecchi altri evoluzionisti suoi contemporanei. Mentre questi ultimi individuavano nella fase aurorale della religione un’attitudine riflessiva dell’individuo, (si ricordi a tal proposito la teoria tyloriana dell’animismo), lo Smith preferì concentrare la sua attenzione sulla dimensione sociale e collettiva, ed in particolare sull’attività rituale. Alla teoria della religione primitiva, fondata sullo sforzo di comprensione della realtà operata dall’intelletto umano, egli contrapponeva l’idea secondo la quale il dato primario di ogni

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esperienza religiosa è rappresentato dai riti e dalle credenze collettive, ad essi relativi, che i membri di una determinata società trovano “già pronti” sin dalla nascita. Laddove Tylor parte dalla religiosità del singolo, Smith crede in una religiosità che accomuna tutta la collettività. L’aspetto pubblico e collettivo del fenomeno religioso, che in Smith è anteposto a quello riflessivo e individuale, si rileva in quei riti che coinvolgono l’intera comunità. Egli sottolinea l’esistenza di una religione a tinte fortemente comunitarie. Smith evidenzia la sostanziale interrelazione tra religiosità e ritualità, da una parte, e identità politica e sociale, dall’altra. L’altro elemento che egli individua nella religione è la coesione che il coinvolgimento in tali riti porta al corpo sociale e ciò perché gli individui partecipando a tali riti vedono rafforzare in loro il senso di appartenenza a tale comunità. 4. Se prendiamo in considerazione l’etnologia classica francese, ciò che la caratterizza in modo peculiare è innanzi tutto la convinzione di potere sviluppare una scienza delle società cosiddette primitive, cioè l’esistenza di una scienza etnologica, in secondo luogo la possibilità di riscontrare in tali società i fenomeni sociali nella loro forma più semplice. Padre fondatore di tale corrente fu A. Comte, il quale, in conseguenza delle problematiche storico sociali successive alle vicende della Comune di Parigi, prese in considerazione un progetto di ingegneria sociale, cioè di gestione della società capitalistico-industriale francese “sulla base di criteri di natura tecnico-scientifica”. “Al centro dello schema interpretativo comtiano – scrive Ferrarotti - si trovano l’idea di scienza, come principio sociale, e la nozione di razionalità, come modo di pianificare scientificamente il processo sociale nell’interesse della collettività e aldilà dei capricci individuali e degli interessi settoriali”2.

2 F. Ferrarotti, La Socilogia alla riscoperta della qualità, Laterza, Bari - Roma, 1989, p. 50.

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La sua tendenza protesa all’indagine degli elementi e dei fenomeni razionali -a nostro avviso- lo conduce a semplificazioni indebite e a valutazioni erronee. E’ il caso della “legge dei tre stadi”. Egli teorizzò lo sviluppo complessivo della società attraverso il passaggio di tre stadi successivi: una prima fase, quella teologica, in cui la società è fortemente permeata da credenze irrazionali; una seconda, quella metafisica, ed infine quello positivo, in cui ogni elemento teologico metafisico ed irrazionale viene eliminato. Ma se così fosse, dice Durkheim, come si spiega allora che tale società presentava molte forze irrazionali che affioravano e venivano palesate dalle tensioni sociali e politiche e dalle lotte interne religiose? E come può, ci si chiede, malgrado tali elementi, una società mantenere una stabilità e perdurare nel tempo? 5. Durkheim individua nella coscienza collettiva, da egli definita “l’insieme delle credenze e dei sentimenti comuni alla media dei membri di una stessa società”3, l’elemento che permette tale stabilità e durata nel tempo; Comte, invece, individua tale elemento nelle credenze comuni, le quali però, essendo relegate a elementi ascientifici, sono destinate a scomparire nello stadio positivo. Per Durkheim, a seconda delle società, si svilupperà un diverso tipo di solidarietà <<che si instaura tra i membri di ciascuna di esse. In tal modo, dove la vita sociale occupa ogni spazio della vita del singolo eliminandone le scelte ed i sentimenti, la coscienza collettiva riflette l’esistenza di una solidarietà di tipo meccanico che lega tra di loro i singoli individui. Forte sarà in questo caso la riprovazione sociale per ogni atto che trasgredisca le norme sociali di comportamento, mentre in una società che si presenta come un sistema di funzioni differenziate e specifiche, unite da rapporti determinati, questo tipo di coesione sociale è la “solidarietà organica”. La solidarietà non deriva in questo caso dalla semplice accettazione di un insieme di credenze e di sentimenti comuni ma dall’interdipendenza funzionale nella divisione del lavoro>>

4. Durkheim, posta tale dicotomia nei confronti del modello di solidarietà, tende a sottolineare che non esistono

3 U. Fabietti, Antropologia - un percorso, Zanichelli, Bologna, 1979, p. 63. 4 A. Giddens, Capitalismo e teoria sociale, Il Saggiatore, Milano, 1975, pp. 138-139.

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società ascrivibili tout court all’uno o all’altro tipo, ma esse si dispongono lungo una linea continua che conduce dall’uno all’altro estremo, attraverso un passaggio dal semplice al complesso. Ne Les formes élémentaires de la vie religeuse tale concetto viene evidenziato ed elaborato per la formazione di una teoria generale della religione e della società: egli sottolinea che le religioni possono essere semplici o più o meno complesse ma saranno uguali per quanto concerne l’adempimento delle loro funzioni. “Alla base di tutti i sistemi di fede e di tutti i culti deve esserci necessariamente un certo numero di rappresentazioni fondamentali e di atteggiamenti rituali che rivestono ovunque lo stesso significato oggettivo e adempiono ovunque le stesse funzioni “5. Per Durkheim, sia in un sistema totemico australiano sia in un sistema che rappresenti una “religione positiva”, la religione, e tutto ciò che la rappresenta, trascende l’individuo ed esprime la forza stessa con cui la società si impone agli individui: <<Sia che si veneri oggetti totemici o raffigurazioni più complesse come quelli del mana (Melanesia, wakan (Sioux), orenda (Irochesi), manitu (Algonkini) ecc., è la raffigurazione di essi più che essi stessi che viene idolatrata. Questo dimostra che il totem è soprattutto un simbolo (...) una manifestazione materiale di qualcosa d’altro>>6. Attraverso il rito quindi ciò che si venera non è di fatto l’oggetto di culto, ma la società stessa, è l’elogio ed il tripudio di una distinta comunità. La società non esercita sul singolo individuo solo un dominio di tipo coercitivo ma si impone attraverso un rispetto morale che consiste nel rispetto che gli individui hanno di essa. “Durkheim non è affatto un liquidatore dell’esperienza religiosa con i suoi riti e i suoi culti, i suoi simboli e i suoi miti. Egli difende, anzi, la continuità funzionale del fenomeno religioso che subisce metamorfosi storiche ma certo non si annulla né si esaurisce nelle dimensioni cognitive del fenomeno scientifico”7. La concezione di base di Durkheim è che la religione, il sacro, simboleggiano la società e, nel momento in cui si adora qualcosa o si

5U. Fabietti, ibidem, p. 73. 6 A. Giddens, Capitalismo... cit., p. 189; il quale cita Durkheim. 7 F. Ferrarotti, Manuale della sociologia, Laterza, Bari, 1989, pp. 155-156.

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esplica un rito, si rafforzano i legami sociali e si esalta e venera il simbolo della società stessa. Per Durkeim la società idolatra se stessa; la religione non fa altro che simboleggiare la società come il luogo ove si esplica ogni vita sociale mentre la moralità incanala l’agire sociale in una serie di norme consuetudinarie, prevenendo così una condizione di anomia nella vita quotidiana. Egli era anche convinto che le istituzioni religiose avessero perso gradualmente il loro potere, a cominciare dall’era preistorica, e che, con l’avvento della società industrializzata, questo declino abbia avuto un' accelerazione. Ma ciò non sta a significare che le funzioni espletate dalla religione abbiano avuto anch’esse un declino. Egli riteneva che con l’accrescersi dei tassi di densità morale, mobilità geografica e differenziazione sociale, il singolo individuo avrebbe rappresentato sempre meno il simbolo della matrice fondamentale della società. Precedentemente i vari simboli religiosi non avevano fatto altro che esaltare la collettività, la tribù, il clan, la chiesa, la famiglia. Ecco che l’integrazione e la solidarietà sociale sarebbero venute ad essere concettualizzate come l’unione fra individui sempre più autonomi, ma sempre più indipendenti. Quindi si aveva che da una parte si presentava una maggiore individualizzazione, cioè l’individuo tendeva a divenire più autonomo, ma contemporaneamente era presente una maggiore dipendenza del soggetto dalla società. Secondo Durkheim il problema, per la religione, diviene quello di non riuscire a cambiare il proprio simbolismo di pari passo con nuove condizioni sociali e nuove necessità dei singoli individui, continuando quindi ad esprimere le stesse forme di rituale e codici morali, procrastinando l’esaltazione di rappresentazioni collettive, ormai antiquate, cui si aggiunge il problema delle istituzioni religiose, le quali avrebbero messo in pericolo la capacità di organizzare la vita sociale, apportando gravi conseguenze alla comunità. In conseguenza riteneva opportuno che l’apparato religioso abbandonasse queste rappresentazioni collettive e si formulassero nuovi simboli di solidarietà sociale, basati su concetti che erano

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presenti in ogni singolo individuo. Tutto ciò affinché le istituzioni religiose andassero di pari passo con le rapide trasformazioni sociali. 6. L’idea di fondo per Lévy-Bruhl circa il “sociale come entità provvista di una logica di funzionamento autonomo e indipendente dalla comprensione che gli individui possono avere di essa”8 costituisce lo sfondo del suo discorso sulle rappresentazioni collettive caratteristiche della mentalità primitiva. L’oggetto centrale della sua ricerca saranno i sistemi primitivi di pensiero. Ne Les fonctions mentales dans le sociétés inférieures (Le funzioni mentali nelle società inferiori, 1910) egli elabora una teoria nella quale asserisce che le rappresentazioni collettive sono comuni ad un certo gruppo sociale e vengono trasmesse di generazione in generazione. Esse sono sovradeterminate, cioè preesistono all’individuo e quindi si impongono ai singoli attraverso la pratica sociale; di conseguenza, costituiscono un modello sociale ed un preciso atteggiamento mentale. “L’universo simbolico del primitivo è, per Levy-Bruhl, omogeneo all’universo sociale in cui egli si muove. ... Il gruppo sociale primitivo vive così un’esperienza mistica che si realizza nelle pratiche del culto e nell’esecuzione del rito. In questo contesto l’individuo non ha la possibilità di sviluppare un giudizio proprio indipendente da quello che gli viene imposto dalla sua società attraverso la rappresentazione collettiva di tipo mistico”9. 7. Nell’ambito dell’antropologia post-vittoriana si colloca Arthur Maurice Hocart. Egli cerca di studiare fondamentalmente la genesi delle forme culturali. Rifacendosi, in un certo qual senso, all’evoluzionismo, egli ritiene che le forme culturali siano delle istituzioni attraverso le quali gli uomini hanno la possibilità di organizzare la vita della società. E’ sua opinione che le forme della cultura assolvano a specifiche funzioni e che abbiano la caratteristica di evolversi secondo i contesti culturali in cui emigrano.

8 U. Fabietti, cit., p. 66.

9 Ibidem.

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Rifacendosi quindi ad un certo diffusionismo, egli asseriva che tratti simili, che venivano ad essere rilevati in contesti dei quali fossero accertati i contatti, potevano avere la stessa origine e che quindi, attraverso il metodo della filosofia comparata, si aveva l’opportunità di risalire all’origine comune di tali istituzioni. Questi argomenti si possono riscontrare in tutta l'opera di Hocart, ma è in King and Councillors (Re e Consiglieri), il cui sottotitolo è An Essay in the Comparative Anatomy of Human Society (Un Saggio di Anatomia Comparata della Società Umana), che tali argomenti risultano ampiamente esposti. In esso vengono sviluppate quelle che egli asserisce siano le origini rituali del potere, cioè quella che egli considera una spiegazione delle origini del potere governativo, cercando di esprimere anche quale sia la natura intrinseca del potere. Egli parte dalla considerazione che presso ogni Popolo, anche senza governo, esistono le funzioni di governo; eppure tale apparato istituzionale esiste ed è pronto ad essere utilizzato qualora se ne presenti la necessità. Tale opportunità è presente nel rituale ed è antecedente ad ogni forma organizzativa di governo. Quest’ultima, quindi, trae origine direttamente dal rituale in quanto, affinché esso venga eseguito, necessita inevitabilmente di una organizzazione onde ciascuno svolga le proprie funzioni precipue. Il rito può essere –quindi- considerato come il primo atto associativo. Laddove la funzione principale della comunità non è più quella d'ordinare la natura simbolicamente, ecco che, coloro i quali espletavano determinati ruoli nell’ambito dell’organizzazione rituale, esercitano posizioni differenti per far fronte alla diversa funzione. 8. Colui che di fatto diede inizio ed impulso all’Antropologia moderna è Malinowski. Egli, proprio nel momento di maggior crisi ed incertezza teorica dell’antropologia vittoriana, apre una nuova fase dell’antropologia, nel 1922, con la pubblicazione di Argonauti del Pacifico Occidentale. Secondo la sua teoria, quella che prima era un'organizzazione, fondata sulla parità dei partecipanti, è sostituita da un’altra, basata sul rapporto gerarchico sia individuale che di gruppo. Colui che prima, nel rito, era

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la figura primaria, ora diviene leader (the king) ed attorno a lui si riuniscono i leaders subalterni, i quali collaborano con lui per legiferare e organizzare la società. Potremmo dire che si viene a formare un gruppo dominante (da qui le teorie hocartiane sulla nascita della regalità e delle caste indiane), mentre il rito rimane in vita, sia perché risulta monopolizzato in alcune sue parti da tale gruppo allo scopo di mantenere simbolicamente e praticamente il potere, con in più il consenso dei sudditi che venerano il sovrano. In A Scientific Theory of Culture (Una teoria scientifica della cultura, del 1944), i due saggi più importanti ivi contenuti sono Una teoria scientifica della cultura e la Teoria funzionale. In essi si osserva che Malinowski cercò di dare un'immagine sia del metodo sia dell’oggetto dell’antropologia di tipo scientifico (e razionale), e delle procedure di indagine, che egli aveva adottato nello studio delle popolazioni delle isole Trobriand. L’idea di base era che le pratiche sociali primitive consentivano una integrazione dell’intera società e, quindi, il mantenimento dell’equilibrio e del funzionamento di essa. Egli riteneva che la cultura espletasse in ogni modo una funzione, e che in pratica ogni elemento culturale non fosse altro che una risposta, da parte dell’uomo, alla vitale esigenza d'adattarsi all’ambiente circostante. L’analisi della cultura s'esprime allora nella ricerca e formulazione dei bisogni fondamentali (basic needs) causa della formazione e dello sviluppo di risposte culturali. C’è anche da considerare che per Malinowski l’analisi funzionale della cultura “mira alla spiegazione di fatti antropologici a tutti i livelli di sviluppo per mezzo della loro funzione, attraverso il ruolo che essi esplicano entro il sistema integrale di cultura ribadisce perciò il principio che in qualsiasi tipo di civiltà ogni costume, oggetto materiale, idea o credenza adempie a certe funzioni vitali, a certi compiti da realizzare, esplica un ruolo indispensabile all’interno di una totalità operante”10.

10 Statera, in La conoscenza socilogica, cita B. Malinowski, Antropologica, Enciclopedia

Britannica, suppl., I vol., Londra, 1936, pp. 132-133.

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A queste premesse si deve far risalire anche la teoria di Malinowski relativa alla natura della magia. In Magic, Science and Religion (Magia, scienza e religione) Malinowski specifica che la magia non è anteriore alla scienza ma come egli stesso dice “è un possesso primordiale che afferma il potere autonomo dell’uomo di creare dei fini determinati”11. Quindi potremmo dire con Malinowski che “la magia consta di pratiche rituali che tendono a sopperire sempre e ovunque all’incapacità dell’uomo a controllare gli elementi della propria esperienza operativa”12. 9. Nell’ambito di quella continuità e declino della struttura britannica si inquadra l’antropologo Edward E. Prichard. Il primo libro ed anche colui che ha determinato il maggior dibattito nell’ambito dell’antropologia fu: Witchcraft, Otaclesan Magic among the Azande (Stregoneria, oracoli e magia tra gli Azande). Nell’ambito della antropologia, egli “aveva condotto una ricerca sul campo tra una popolazione stanziata in un territorio compreso tra il Sudan e lo Zaire.” Aveva studiato quale fosse la sua concezione della stregoneria e della magia. Come egli stesso asserisce: “fra gli Azande qualsiasi disgrazia può essere attribuita, come infatti avviene generalmente, alla magia che essi considerano una condizione organica interna anche se la sua azione può sembrare di tipo psichico... colui che le disgrazie subisce consulta gli oracoli oppure gli indovini. ... Gli Azande posseggono tutto un vasto campo di tecniche e di conoscenze magiche ... cui largamente si ricorre per proteggere persone ed attività dalla stregoneria. In tale modo stregoneria, oracoli e magia costituiscono un complesso sistema di credenze e di riti che acquistano un senso soltanto se visti come parti interdipendenti di un unico complesso. Questo sistema ha una struttura logica; una volta stabiliti alcuni postulati risultano valide le conclusioni e le illazioni basate su di essi. La stregoneria provoca la morte. Perciò la morte costituisce prova di stregoneria e gli oracoli confermano che fu proprio la stregoneria a provocarla. La magia serve a vendicare la morte”13. Il problema fondamentale è quello di capire come una popolazione, che è solita comportarsi razionalmente nei vari momenti della vita,

11 U. Fabietti, ibidem, p. 106. 12 Ibidem, p. 106. 13 U. Fabietti, Storia dell’Antropologia, Zanichelli, Milano, 1990.

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possa fondare dei ragionamento su premesse logiche palesemente errate. Per comprendere il problema, Evans-Pritchard suggerisce che bisogna entrare nella logica pratica degli Azante. Egli dice che il problema non va posto sulla razionalità o meno che sussiste nell’ambito della comunità primitiva, ma solo in coerenza interna con il sistema di credenze. Il Pritchard prende in considerazione le credenze come un qualcosa di correntemente strutturale al proprio interno e non in relazione con tutti gli altri aspetti della vita sociale. 10. Per parlare di quel filone dell’antropologia che ha per padre Carl Marx siamo costretti a tornare indietro nell’800. Marx fu fortemente influenzato dalle teorie di Hegel. Il fatto che egli appartenesse al Doktor-Club dell’Università di Berlino fu uno degli elementi che portò Marx ad aderire alla filosofia hegeliana. Ciò perché, in questo circolo, Marx entrò in contatto con un gruppo di giovani seguaci di Hegel, il cui personaggio di spicco era Otto Bauer, gruppo; che fu definito “Giovani Hegeliani”. Egli fu molto influenzato anche dalla filosofia di Feuerbach tant’è che libri quali i manoscritti economici-filosofici del 1844 risentono fortemente della teoria di Feuerbach. Nell’Essenza del Cristianesimo ed in altre opere successive Feuerbach cerca di capovolgere le premesse idealistiche del sistema hegeliano affermando che il punto di partenza dello studio dell’umanità deve essere l’uomo reale, il quale vive nel mondo reale e materiale. 11. Mentre Hegel vede il reale come un'emanazione del divino, Feuerbach sostiene che il divino è solo il prodotto illusorio del reale. L’essere, l’esistenza, precedono il pensiero nel senso che gli uomini non compiono riflessioni sul mondo prima d'agire in esso. Sostiene Feuerbach: “Il pensiero deriva dall’essere e non viceversa”14. Hegel concepiva lo sviluppo dell’umanità come risultato dell’alienazione di Dio da se stesso. “Nella concezione filosofica di Feuerbach, Dio esiste solo nella misura in cui l’uomo è diviso, alienato da se stesso. Dio è, infatti, un

14 Ibidem, p. 34.

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essere immaginario nel quale l’uomo ha proiettato le sue facoltà più elevate, e, pertanto, viene considerato perfetto e onnipotente, mentre l’uomo stesso appare di fronte a lui come creatura limitata e imperfetta”15. A parere di Feuerbach, la filosofia ha il compito d'aiutare l’uomo a ritrovare il suo io alienato, attraverso una radicale critica, capovolgendo –quindi- quello che era il punto di vista hegeliano e affermando, di conseguenza, la supremazia del mondo materiale. La religione quindi sarà sostituita dall’umanismo, e l’amore che prima era rivolto a Dio sarà indirizzato esclusivamente verso l’uomo, portando gli stessi esseri umani ad un nuovo vincolo di solidarietà. “Laddove la vecchia filosofia affermava: ciò che non è pensato non ha esistenza, la nuova filosofia afferma invece: ciò che non può essere amato non ha esistenza”16. Marx, così come i giovani hegeliani, riteneva che uno dei problemi strutturali dell’attuale forma di Stato riguardasse la “coscienza”; in pratica egli riteneva che nella prassi rivoluzionaria rientrasse anche una riforma della coscienza così come fu imposta da Feuerbach. Prima di lasciare la Germania per andare in Francia, nel settembre del 1843, egli scrisse a Ruge esprimendo la convinzione che “tutti i dogmi sia religiosi sia politici dovevano essere rimessi in discussione”17. Egli scriveva a Ruge: “La nostra parola d’ordine deve perciò essere: riforma della coscienza, non mediante dogma, ma mediante analisi della coscienza mistica che non ha una chiara visione di sé né in religione né in politica.. Sarà allora evidente che il mondo ha per molto tempo sognato qualcosa di cui basta che esso diventi consapevole perché si realizzi ... perché i suoi peccati le siano perdonati l’umanità deve solo confessarli per quello che essi sono”18. Secondo Marx ed Hegel l’uomo era portato a rifugiarsi in un qualcosa che era aldilà delle prove e delle confutazioni, cioè in un qualcosa di sovrannaturale, turbato ed impaurito dai terrificanti fenomeni naturali, oppure dal caotico vivere sociale e dalle preoccupazioni di 15

Ibidem, pp. 34-35. 16 Ibidem, p. 35. 17 A. Giddens, cit., p. 30. 18 Ibidem, p. 30.

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tutti i giorni. Marx infatti ritiene che “la religione è l’opera di una umanità sofferente ed oppressa, costretta a cercare consolazione nell’universo immaginario della fede.” e Marx prosegue: “La soppressione della religione in quanto felicità illusoria del popolo è il presupposto della sua vera felicità. La necessità di rinunciare alle illusioni sulla propria condizione, è la necessità di rinunciare a una condizione che ha bisogno di illusioni. La critica della religione è quindi, in germe, la critica della valle di lacrime di cui la religione è l’aureola”19. Bisogna sottolineare ciò che dice il Giddens e cioè che l’affermazione di Marx per quanto concerne la abolizione delle religioni, dello stato, dell’alienazione e del capitalismo devono essere prese in considerazione basandosi sul verbo aufheben (abolire, conservare, superare); cioè questo verbo presenta una triplice connotazione e, quindi, l’abolizione della religione, per Marx, implica non la sua eliminazione pura e semplice, ma il superamento dialettico. La concezione del materialismo storico di Marx pone la religione in una condizione tale che non possa essere scissa dal resto del mondo, non possa presentare una condizione di dominio indipendente oppure una sua sfera trascendentale; viene negata la possibilità di una separazione analitica della religione dal mondo; viceversa “si insiste di continuo sulla possibilità di stabilire rapporti comuni diretti e non distorti tra gli esseri umani che si potrebbero simboleggiare in una autentica spiritualità e sulla realtà delle oppressive strutture sociali i cui concetti e sentimenti religiosi non rappresentano altro se non un vago riflesso e una maschera ingannatrice”20. 12. Secondo Engels: “forse solo durante la preistoria la religiosità era un fatto naturale”21. Ma successivamente, col presentarsi di culture sempre più raffinate, la religione diviene qualcosa di superfluo, oppure l’espressione di particolari forme di alienazione che sono presenti proprio nelle società capitalistiche, stratificate in classi. Engels asserisce che la

19 Ibidem, p. 30. 20 Ibidem, p. 36. 21 Ibidem, p. 38.

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religione fa parte dell’ideologia e come tale <<è stata spesso impiegata per la difesa e la promozione degli interessi materiali predominant>>22. Quindi per Marx ed Engels la funzione fondamentale della religione è la sua capacità di proteggere le persone dalla dura realtà e dalle paure che in vari modi si prospettano all’uomo e, contemporaneamente, essa favorisce la distribuzione del potere all’interno della società, oltretutto facendo apparire tale distribuzione come naturale e necessaria. Essa è stata utilizzata come strumento per esaltare l'ideologia dei gruppi dominanti, nonchè l’ordinamento sociale dominante, in forma simbolica. “All’opposto di Durkeim, - ma questa controversia è solo teorica, poiché non ha luogo nella realtà - Weber sostiene, con il resto della scuola tedesca di sociologia, Simmel in testa, che il sociale riposa su interazioni provviste di senso dagli agenti stessi”23. 13. La concezione di base che accomuna Weber a Troeltsch, per quanto concerne il rapporto tra religione e società, è che innanzitutto tale rapporto è contingente e variabile; di conseguenza non ha alcun senso parlare di religione in generale, ma il rapporto, che essa ha con la società, va esaminato solo strettamente nell’ambito storico e socioculturale specifico. “Troeltsch costruisce, sulla base dell’apporto Weberiano, una tipologia rotante sulla tensione che esiste nella religione di chiesa rispetto al mondo. L’idealtipo di chiesa esprime, come è noto, il compromesso, l’adattamento dei credenti rispetto al mondo; l’idealtipo di setta rappresenta, invece, il rifiuto e l’atteggiamento di antagonismo dei credenti di fronte all’ordine costituito”24. Questi presupposti stanno alla base degli studi compiuti da Weber sulla capacità delle diverse religioni di razionalizzazione di processi e strutture sociali e della cultura.

22 Ibidem, p. 38. 23 La critica sociologica, 107-108, Autunno-Inverno 1993-1994, tip. Don Bosco, Roma,

marzo 1994, p. 4. 24 A. Nesti, Le fontane e il borgo, editrice Ianua, Roma 1982, p. 12.

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Weber “assegna al calvinismo la capacità di aprire la strada all’etica dell’accumulazione. Il realizzarsi storico del capitalismo è anche l’affermarsi della razionalità strumentale, impersonale, che assorbe i suoi presupposti extraeconomici”25. Egli cerca di dimostrare che la facoltà di razionalità strumentale, presente nelle diverse grandi culture religiose del mondo, confrontate con quella del protestantesimo è stata di volta in volta influenzata in modi diversi secondo le condizione storico-sociali che erano ivi presenti. Egli ritiene che la chiave di volta della razionalizzazione del mondo industriale moderno verranno ad essere particolari aspetti del protestantesimo, cui si connettono i risvolti culturali che si presenteranno in Europa nel dopo-Riforma. Nell’indagare la genesi del razionalismo occidentale e, nel suo ambito, di quello moderno, Weber fa riferimento alla fede religiosa, da sempre connessa ad una condotta di vita, ad un’etica del dovere. La religiosità protestante, col concetto di predestinazione alla grazia, apre la via all’ascesi intra-mondana, che ha come scopo la fine del godimento istintuale della vita, considerato peccato, e, come mezzo, l’ordine”26. Weber, facendo un'analisi delle sette religiose e del tipo di chiesa, sottolineò come le comunità religiose, che potessero essere assimilate alla setta, si basasse su atteggiamenti che sostenevano l’esclusività sociale, la purezza dottrinale ed una rigorosa coerenza etica; viceversa il tipo di chiesa propugnava la globalità sociale, la libertà dottrinale ed un certo grado di relativismo etico. Questa era la caratteristica basilare, secondo Weber, che aveva determinato il successo di tante sette, in Occidente, e quindi suggeriva che, affinché quel tipo di chiesa potesse mantenere la sua collocazione all’interno della società occidentale, avrebbe dovuto adattarsi alle nuove condizioni della società stessa. Cioè “sacerdoti e religiosi sono soggetti ad un’etica più severa, ed il carisma, legato alla nuova carica, li dissuade da un coinvolgimento dal campo politico ed economico. Ne consegue che il tipo di chiesa riesce a raggiungere un notevole livello di stabilità, continuità ed autorevolezza, ma a patto di una

25 Ibidem, p. 118. 26 La critica sociologica, ibidem p. 40.

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propria forma e razionalità che aspira ad esercitare un controllo legittimo ed esclusivo sulle questioni religiose”27. D’altro canto, per Weber, in contrapposizione a Durkheim, il quale inquadrava questa problematica ponendo come conditio sine qua non la solidarietà interindividuale, “il problema fondamentale riguarda il processo della razionalizzazione della vita sociale e le sue conseguenze sui comportamenti individuali e sulla legittimazione, in senso sostanziale, delle istituzioni”28. In The structure of Social Action del 1937 Talcott Parsons sottolineò come gli elementi formativi, cioè i valori, le credenze e le norme fossero la causa prima e la fonte del controllo sociale. In The Social System del 1951 ed in Toward General Theory of Action del 1951 egli evidenziò l’importanza di una teoria volontaristica dell’azione sociale; teoria che tendeva ad esaltare: “a) le credenze cognitive e valutative degli attori, b) il contributo funzionale delle azioni sociali, normativamente organizzate all’ordinamento sistematico della società e, c) all’importanza dei valori e delle credenze in quanto fonti di cambiamento sociale adattativo”29. 14. Per Parsons la religione ha importanza di gran lunga maggiore in rapporto a quella che aveva tra i primitivi e i behavioristi. La religione, con Parsons, veniva ad occupare un posto cruciale nei suoi sempre più complessi modelli dell'azione sociale e dei sistemi sociali. Il suo orientamento teorico può essere descritto come ”funzionalismo normativo”. Ciò rileva la concezione di base di Parsons e in pratica che, in ogni sistema d'azione, sono le norme e i valori che governano e sottostanno ad ogni scelta strategica. Sono infatti gli orientamenti di valore a determinare la stabilità dei comportamenti istituzionalizzati. Parsons condivide un atteggiamento di Durkheim per quanto concerne la forte relazione che vi è tra la religione e la moralità. Egli sottolinea che: “l’ordine soprannaturale quindi dà significato conoscitivo ai sentimenti e alle norme di valutazione morale di un

27 J. Beckford, Religione e Società industriale avanzata, Borla, Roma, 1991, p. 49. 28 F. Ferrarotti, Ibidem, p. 151. 29 J. Beckford, ibidem, p. 73.

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sistema di azione, non nel senso che sia i sentimenti che le credenze cognitive hanno una priorità causale, bensì nel senso che tendono ad integrarsi tra loro, e che questa integrazione ha un importante rapporto con la stabilizzazione del sistema”30. Ma, egli aggiunge che in nessun sistema di valori possono essere evitati conflitti e frustrazioni; che, tutto al più, in ogni sistema sociale vi è sempre una serie complicata e molteplice di meccanismi che mitigano la durezza di queste frustrazioni. La religione, da una parte razionalizza i sistemi di valori istituzionalizzati, mitigando i divari esistenti tra le aspettative e la realtà che si è percepita, e, inoltre, crea i vari livelli fra il sistema di valori e la religione, espletando una funzione dominante. Dà continuità e forza ai modelli di valori e con esse un senso all’esistenza dell’uomo. Escludendo che questa venisse ad essere una forma di secolarizzazione della religione, nel senso di un'eliminazione della religione organizzata dalla scena sociale, “nonostante il weberiano <disincantato>, le istituzioni religiose, tramite i loro valori e le loro istituzioni, continuano a svolgere uno specifico ruolo di legittimazione sociale. Anche senza far proprie le tesi di Parsons sulla natura della democrazia americana e il suo positivo rapporto con la secolarizzazione, il cristianesimo e il giudaismo plasmano <the American Way of Life> 31. Parsons sosteneva che i rapporti con la società erano venuti ad avere un nuovo tipo d'istituzionalizzazione tale da far sì che la religione venisse ad avere una nuova collocazione nell’ambito della scena sociale. Solo una parte, e relativamente piccola, riguardavano la religione in modo esclusivo. Egli nutrì un grande interesse per lo studio del carattere della società industriale moderna, in particolare modo degli Stati Uniti, e per il ruolo che la religione svolge nell’orientamento generale di questa società. Molti dei suoi allievi sono stati indotti a studiare fenomeni religiosi muovendo dall’ottica del funzionalismo normativo. Ne consegue che,

30 T. Parsons, Il sistema sociale, Milano:Comunità, 1965, p. 369. 31 A. Nesti, ibidem, p. 14.

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negli anni ‘50 e ‘60, negli Stati Uniti, la sociologia delle religioni fu vista come un aspetto della socializzazione e del rapporto tra religione e modernizzazione. In pratica fornì le basi per l’abolizione di nuove teorie sociologiche sul posto occupato dalle religioni all’interno dei moderni sistemi sociali. Dedusse che la condizione indispensabile per giungere alla industrializzazione fosse, non tanto la ricerca e l’istruzione, che comunque erano considerate importanti, quanto gli impegni di valori e, in particolare modo, una forte spinta al successo. Pertanto, era sua convinzione che un sistema di valori può essere la chiave di volta per la determinazione di un processo di sviluppo economico capace di portare a compimento l’industrializzazione. Viceversa considerava che il maggior ostacolo all’industrializzazione fosse la riluttanza a modificare le norme e i valori essenziali di una società. A suo giudizio la cultura giudaico-cristiana (ed in particolar modo il protestantesimo) favoriva notevolmente lo sviluppo industriale mentre viceversa le culture delle religioni asiatiche spesso erano del tutto negative per tale sviluppo. Tra i suoi seguaci Thomas O’Dea avallò la sua teoria circa la forte interrelazione tra religione e società, ma volle sottolineare che, in conseguenza di ciò, poteva verificarsi la possibilità che il corpo religioso divenisse troppo omnipervasivo. Egli voleva quindi tenere presente che la stabilità della società, come sistema regolato da norme e valori, poteva essere raggiunta attraverso l’equilibrio tra le forze della religione pura e gli interessi esclusivamente terreni. 15. Un’influenza ancora maggiore Parsons la esercitò nei confronti di R. N. Bellah. Una delle analisi di maggior interesse che Bellah elaborò fu quella di ritenere che i sistemi di valori, che sono fondamentalmente costituiti da simboli religiosi, evolvano quasi esclusivamente per mezzo di una logica e di un processo di sviluppo interno, e, facendo un'analisi sull'ideologia antimoderna che era presente nel periodo Tokugawa, in Giappone non esisteva alcuna tendenza di base rivolta alla modernizzazione, e ciò in quanto le caratteristiche della sua cultura

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religiosa mancavano delle basi necessarie per la messa in atto dell’inizio di un processo di industrializzazione. Viceversa egli sostenne che la riforma protestante dette impulso ad intensificare l’affermazione più radicale dei valori religiosi determinando così una maggiore spinta alla trasformazione sociale, in quanto, tali valori, venivano istituzionalizzati, assimilandoli nella struttura della società. Tutto ciò può essere visto come causa che determina l’automodificazione di una società a carattere democratico. “L’esperienza religiosa va letta in base al ventaglio più ampio possibile. <<La verità più profonda che io abbia scoperto - rileva con molta opportunità R. Bellah - è che se si accettano le perdite, se smettiamo di aggrapparci a ciò che è irrimediabilmente perduto, allora il nulla che è rimasto non è sterile, ma enormemente fertile. Tutto ciò che si è perso, rifluisce nell’oscurità e la propria relazione ad esso è nuova: libera e priva di legami>>32. 16. Mentre Parsons riteneva che la società fosse fondamentalmente dominata da elementi di tipo normativo e conoscitivo, Niklas Luhmann basava la sua teoria sulla trasformazione del fondamento dell’ordinamento sociale, andando quindi oltre quella che era l’ipotesi di funzionalismo normativo sostenuto da Parsons. Luhmann scorge, alla base della società moderna, una differenziazione dei suoi sistemi -e sub-sistemi- funzionali. Da ciò ne deriva che “la società non può essere considerata da un unico predominante punto di vista. La sua dinamica, piuttosto, appare evidente per il fatto che i sistemi funzionali relativi alla politica, all’economia, alla scienza, al diritto, all’istituzione, alla religione, alla famiglia, ecc. sono divenuti relativamente autonomi e ora si forniscono reciprocamente l’un l’altro gli ambienti”33. Secondo Luhmann nelle società pre-moderne il fondamentale e principale tipo di differenziazione che veniva a presentarsi era costituto dalla classificazione gerarchica. Viceversa la società moderna si differenzia, innanzitutto, sulla base della specializzazione funzionale

32 Ibidem, p. 38. Cfr. R. Bellah, Aldilà delle fedi, tr. it. Brescia, 1975. 33 J. Beckford, ibidem, p. 95, cfr. Luhman, 1982, p. XII.

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e viene a mancare pertanto di quel principio unificatore che è la gerarchia. “Da Parsons, ed in generale dal funzionalismo, Luhmann ha ereditato l’esigenza di studiare la società come un sistema integrato”34. Ecco quindi che per Luhmann, in una società differenziata, ogni attività, integrata in questo sistema, trova la sua legittimazione solo perché essa è resa possibile dall’apporto di un’altra attività dello stesso sistema. Ciò sta a significare che una società che presenta tante caratteristiche di differenziazione funzionali non ha la possibilità di aver alcun simbolo di unità o di identità suo proprio. Tale differenziazione, che viene a sussistere tra i diversi sistemi d’azione, fa sì che non possa uno solo di essi rappresentare l’intero ordinamento sociale. Cosicché, in quest’ambito, la religione non ha suscitato lo stesso tipo di processo di specializzazione, di soggettivazione e internalizzazione. La tesi fondamentale di Luhmann è <<che quando il principio della differenziazione era segmentale la religione agiva a livello sociale, sacralizzando ogni cosa. La si praticava pertanto attraverso rituali, culti e, infine, miti. Col tempo, tuttavia, e soprattutto quando il principio di differenziazione si trasformò in stratificazione (o in integrazione sulla base della posizione gerarchica), nella pratica religiosa si privilegiò l’osservanza di verità intellettualizzate (dogmi) e dei loro vincoli sociali. Ma quando nell’era moderna il principio della differenziazione si trasformò in specializzazione funzionale la pratica della religione slittò nuovamente nel senso di una scelta personale di credenze ed atti di devozione sempre più numerosi e complessi>>

35. E ciò in quanto, in quest’ultima fase, diviene possibile concepire la contingenza del mondo come qualcosa che possa essere ricondotta ad una trasformazione intenzionale. Si viene a verificare, ad instaurare, il disordine sociale laddove si ha l’incapacità del sistema dogmatico di reagire alle trasformazioni generazionali.

34 Enciclopedia Garzanti, Garzanti ed., 1981, p. 664. 35 J. Beckford, ibidem, p. 94.

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17. Peter Berger ha studiato e scritto molto sulle religioni, ma ciò che in particolare ha destato il suo interesse è stato il paradosso per cui nella società occidentale la razionalità ha origine religiosa ma è andata a detrimento di quelle comunità che hanno da sempre alimentato idee e sentimenti religiosi. Egli afferma che per le sette cristiane moderne ciò che evidenzia maggiormente questa tendenza alla razionalità è il pluralismo, cioè le organizzazioni religiose non hanno più il monopolio, così come avevano solitamente avuto, sulla concezione del mondo, e sono venute sempre più ad affievolirsi quelle certezze concernenti l’auto-identità, la virtù morale e la verità religiosa. “Fenomeni susseguenti ai nuovi processi sociali, sarebbero la progressiva decadenza del senso etico e religioso, il prevalere di uno spirito laico e materialistico, il progressivo distacco delle masse lavoratrici dalle chiese, il determinarsi di una reale <apostasia> delle masse lavoratrici”36. Inoltre, per accrescere la loro fetta di mercato, viene a crearsi una gara, per accaparrarsi una maggiore credibilità, tra i diversi gruppi religiosi pluralistici, e fra i gruppi religiosi e non religiosi, dando luogo perciò ad un’ulteriore razionalizzazione dei metodi utilizzati per tale scopo. Il tutto è legato a strategie razionali che tendono ad accrescere la differenziazione marginale dei prodotti religiosi anche se, comunque, il mercato tende ad una standardizzazione delle preferenze del consumatore. “Il lavoratore, cui viene negata la possibilità di realizzarsi tramite il proprio lavoro, è sollecitato ad <evadere dalla sua condizione di produttore sociale> e viene stimolato <a ricostruire una falsa coscienza con un microcosmo privato di cui godere e su cui regnare in qualità di sovrano solitario”37. Tutto ciò è interrelato direttamente con la descrizione che Berger dà della secolarizzazione come di quel “processo attraverso il quale viene ad espletarsi la liberazione del mondo e delle sue istituzioni dall’influenza della chiesa”38.

36 A. Nesti, cit., p. 63. 37 Ibidem, p. 409. 38 Enciclopedia Garzanti, ibidem, p. 1040.

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Per quanto concerne il processo di razionalizzazione, Berger non definisce che tale processo è storicamente inevitabile o meccanico, ma ritiene che “una volta scoperto che l’idea di coerenza, nel cercare un rapporto valido tra mezzi e fini, procurava dei vantaggi: le forze materiali ed intellettuali sono state mobilitate al fine di perseguire tale obiettivo”39. Il concetto di razionalità, che già ebbe sviluppo nell’antico Giudaismo, fu esaltato dalla Riforma Protestante e dal Rinascimento e, all’inizio di quello che può essere definito il mondo moderno, acquisì autonomia propria. Berger vede questo processo di razionalizzazione aperto e variabile per quanto concerne la velocità di sviluppo e la intensità di impatto sui diversi settori della società e della cultura. Egli ritiene che una delle caratteristiche peculiari del mondo moderno stia nel fatto che l’avvento della razionalità tecnologica abbia provocato una crescita economica e, quindi, una modifica delle istituzioni sociali. In modo particolare, egli ritiene che la burocrazia sia una delle istituzioni più significative della modernità. Secondo Berger la crescita della burocrazia, di pari passo con quella della democrazia, ha “creato un abisso sempre più profondo tra la sfera pubblica (con lo Stato, la comunità e il lavoro) e la sfera privata (con la famiglia, la comunità e il sé)”40. Le grandi istituzioni del settore pubblico hanno invaso il terreno del privato, destituendo le sue istituzioni di ogni significato. La religione, che finora aveva sovrastato sia il settore pubblico che quello privato, non riusciva più a contrastare questa de-istituzionalizzazione della vita quotidiana, poiché aveva oramai subito un processo di segmentazione e di pluralizzazione. “In seguito a ciò Berger finì col temere che la coscienza moderna sarebbe stata sempre più dominata dalle logiche razionali della politica, degli affari e dell’occupazione. Ma nella sua interpretazione, questi fattori non sono adeguati per fornire agli individui delle identità

39 J. Beckford, ibidem, p. 108. 40 Ibidem, p. 109.

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solide e delle idee convincenti sul senso della vita e sulla spiegazione della sofferenza e della morte”41. Le istituzioni più potenti del mondo moderno hanno perso la propria legittimità etica e religiosa. E’ venuta meno la giusta articolazione tra pubblico e privato. Berger sostiene che il capitalismo è legittimato solo sulle basi della sue conquiste materiali e non su basi ideologiche. Secondo Berger, la sfera del privato è solo un residuo dell’esperienza e delle relazioni sociali non dominate dalla razionalità della gestione formale o della produzione economica. Questa separazione, tra il pubblico e il privato, ha fatto sì che le tendenze personali, per quanto concerne lo stile di vita, abbiano proliferato tanto che le convinzioni e le consuetudini, sino ad allora obbligatorie, sono divenute puramente facoltative. Il dover compiere delle scelte, per Berger, può essere considerato, dal singolo individuo, come una libertà, offrendogli –quindi- un vero senso di liberazione, ma può viceversa disorientare e dare adito a sentimenti di alienazione. Berger ritiene che questa discrasia, questo gap, che si è venuto a creare, tra pubblico e privato, può essere colmato creando speciali strutture che affidino ai privati cittadini il compito di controllare le istituzioni pubbliche. Tale struttura intermedia verrebbe a porsi come collagene tra i livelli degli individui e della società, permettendo di portare avanti determinate credenze, e avallando gli schemi presentati da Tocqueville e da Durkheim. Egli, insomma, individua una democrazia fatta di associazioni volontarie, gruppi religiosi, comunità e famiglie. 18. La caratteristica saliente dell’opera di Luckmann è il tentativo di accostarsi alla religione attraverso la sociologia della conoscenza. Egli intendeva andare oltre la storia degli dèi per cercare di analizzare come gli esseri umani si collocano all’interno del rispettivo ordine sociale. Egli condivide con Berger che “il compito più importante è quello di analizzare l’apparato conoscitivo e normativo, mediante il

41 Ibidem, p. 109.

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quale si legittima l’assetto sociale di un universo, ... cioè la conoscenza di esso”42. Egli aderisce così alla tesi di Durkheim secondo la quale il rapporto tra individuo e società è fondamentalmente di natura religiosa, rivendicando al contempo il ruolo centrale che la religione riveste all’interno del processo sociale. “Luckmann argomentava che la religione è un aspetto tanto strutturale quanto culturale di tutta la società”43. Egli, attraverso la sua analisi, arriva a negare che la decadenza delle istituzioni religiose equivalga ad un inevitabile declino. Egli asserisce che, probabilmente, le grandi istituzioni religiose, in Occidente, sono divenute marginali rispetto ai centri importanti di potere e di influenza. Esse si sono, internamente, secolarizzate, allineando i loro valori e le loro credenze alle norme delle istituzioni dell’economia e della politica. “Luckmann, sulla base di lavori come The religious factor di G. Lenski, Garden City, 1961, dedicato alla religione negli Stati Uniti, ritiene che la secolarizzazione in Europa si sia andata manifestando come prevalente diminuzione di partecipazione alle forme religiose istituzionalizzate (di qui l’espressione secolarizzazione <dall’esterno>); negli Usa la partecipazione avrebbe resistito, per motivi estranei al tema della <salvezza> religiosa (di qui, ancora, l’espressione secolarizzazione <dall’esterno>). Ciò indica solo che “Il processo di differenziazione istituzionale ha eliminato la possibilità che norme religiose tradizionali possano tuttavia legittimare ed integrare l’ordine sociale delle società industriali. I simboli di valori un tempo predominanti ora sono essi stessi relegati in una situazione a se stante. Ciò non significa comunque che la diffusa funzione svolta dalla religione sia in declino”. Il compito della religione, da un punto di vista sociologico, continua ad essere, per la moderna società, tanto rilevante quanto lo è stato nei periodi antecedenti. Egli è fiducioso che un tipo di religione, non ancora istituzionalizzato, si stia affermando in conseguenza della

42 Ibidem, p. 120. 43 J. Beckford , ibidem, p. 121.

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diminuzione di considerazione che la religione di chiesa sta avendo nelle società moderne. Il che non sta a significare che la nuova religione, a carattere personale, verrà a sostituire quella di chiesa. Egli ritiene che, invece, quest’ultima continuerà ad esistere. Ad essa si affiancherà un tipo di religione completamente nuova. Religione nuova nel senso che in essa non sarà più presente quella coesione o struttura sovrastante. Essa presenterà, invece, un assortimento di temi sacri scelti dall’uomo e “inoltre tali scelte esprimeranno adattamenti elastici e variabili di priorità personali” quasi per nulla appoggiate dalle istituzioni pubbliche. Tali temi non saranno mediati da alcuna istituzione particolare, né direttamente correlati ad istituzioni sociali. “Rappresentano le preferenze dell’utente e corrispondono quindi alla condizione di sovranità dell’uomo e alla sua collocazione nella società moderna”44. <<Questi temi hanno origine nella sfera privata e sono radicati principalmente nei sentimenti personali>>45. 19. Bryan Wilson ha sottolineato la forte connessione che vi è tra la differenziazione della società industriale e quella della religione. Egli esprime tale concetto attraverso una tesi sulla secolarizzazione, ritenendo innanzitutto che essa si esplichi : “a) come disgregazione istituzionale delle chiese; b) come contrazione delle istituzioni religiose, rispetto al controllo sociale; c) come declino, a livello ideologico, della capacità a porsi come canale espressivo delle componenti emotive del comportamento. Inoltre, si manifesta come razionalizzazione pragmatica che sottrae i credenti alle tecniche di controllo onnicomprensive della religione, in seguito alla rete di rapporti sociali che si vengono a determinare con la società industriale”46. Wilson afferma che la secolarizzazione è direttamente consequenziale al declino della comunità, in quanto essa determina, per definizione, il declino della religione. Infatti, asserisce: <<si può dire che la religione tragga propria origine e ricavi la sua forza dalla comunità, dal

44 A. Nesti, ibidem, p. 78, nota 43. 45 J. Beckford , ibidem, p. 121(43). 46 Ibidem, p. 122.

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rapporto costante e concentrato in un dato luogo del gruppo che gode di una relativa stabilità... Mentre un tempo la religione penetrava nel tessuto stesso della vita comunitaria, nella società moderna essa opera negli spazi interstiziali del sistema... Si potrebbero, allora, giustapporre i due fenomeni: la comunità religiosa e la società secolare>>

47. Egli raggiunge da ciò la considerazione che in una società sempre più razionalizzata, dove la logica della razionalità e dell’utilità pervade ogni campo, non si sente più la necessità di una ideologia religiosa. Infatti, a suo avviso: “la società industriale non ha bisogno di divinità locali né di santi locali, non di panacee locali o di punti di riferimento...”48. Tali concetti della secolarizzazione non stanno a significare per Wilson che la religione sia destinata a finire. “Gli stessi teorici della più rigida logica secolarizzante riconoscono che la religione non viene eliminata, essa sarebbe sottoposta ad una crescente secolarizzazione”49. Per egli l’attività religiosa permane in certi piccoli gruppi, venendo quindi a perdere il peso sociale: non fornisce più i valori fondamentali alla società, le restrizioni morali e la legittimazione. 20. Daniel Bell afferma che quanto caratterizza la religione sia innanzitutto un insieme di risposte coerenti ai quesiti esistenziali più profondi, che ogni gruppo si trova a dover affrontare, finanche l’idea che la religione rappresenti una “modalità di risposta da parte di individui sensibili a problemi più profondi che tutti i raggruppamenti umani si trovano davanti quando acquistano coscienza della propria esistenza”50. Egli prende in considerazione la religione più come una ricerca di unità culturale che come un fatto di rapporti sociali. Rifiuta sia la teoria che la religione, sia il riflesso del sistema sociale, sia la teoria secondo cui la religione funge da regolatore funzionale integrativo per

47 Ibidem, p. 122. 48 Ibidem, p. 123. 49 A. Nesti, ibidem, p. 9. 50 J. Beckford, p. 129, cit. B. Wilson, 1982, pp. 154-155.

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la socialità post-industriale. Sostiene inoltre che, pur diminuendo il potere e l’autorità esercitati dalle istituzioni religiose, i problemi esistenziali, che assillano i singoli individui, rimangono. Da ciò si deduce che, pur rimanendo ciò lo stimolo all’atto religioso, inevitabilmente, la religione non può scomparire, tutt’al più si affermeranno nuove forme di religione. Secondo Bell il processo di trasformazione delle forme religiose segue la circonferenza di una ruota e quindi il suo futuro sviluppo sarà un ritorno al passato, al recupero della tradizione, a quelle radici con cui si cercava di dare un senso logico alla vita e alla morte. Bell asserisce che “l’orientamento verso la conoscenza teorica, l’efficienza e la razionalità che riscontriamo nella struttura tipicamente burocratica nel campo tecno-economico, finisce col predominare sempre di più sull’orientamento verso il principio di eguaglianza in politica e quello di razionalizzazione di sé nella cultura, anche se le due tendenze sono incompatibili tra loro”51. “Non è più solo la situazione di lavoro la fonte dei conflitti sociali centrali. I conflitti sono sempre più determinati dalla natura del dominio esercitato da nuove forme di potere connesse, ad esempio, col trattamento dell’informazione”52. Egli prevede che tre settori principali si distaccheranno ulteriormente l’uno dall’altro, ma, contemporaneamente, i principi del campo tecno-economico verranno sempre più a prevalere gli uni sugli altri, e che le nuove forme di religione avranno la funzione di contrastare la pretesa autonomia di norme e valori puramente utilitaristici. 21. Richard Fenn avalla l’ipotesi di Luckmann, Wilson e Bell, secondo cui il processo di differenziazione istituzionale è stato basilare per la società industriale avanzata. Viceversa egli si oppone alla concezione di Parsons in base alla quale la struttura sociale, la cultura e la personalità sono guidati da valori comuni. Fenn si spinge fino ad affermare che la differenza fra gli individui, il processo di differenziazione, insomma, sia arrivato ad un punto che

51 Ibidem, p. 129, cit. B. Wilson, 1982, p. 159. 52 A. Nesti, ibidem,, cfr. B. Wilson, The secularisation Process, cit.

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ha eliminato, definitivamente, la possibilità che l’ordine sociale possa essere basato su impegni normativi comuni. Egli ritiene che in società integrate, ma non coese, “l’ordine sociale è –piuttosto- un prodotto del sovrapporsi di vincoli tra soggetti che hanno ruoli e personalità tra loro diverse”53. Essendosi ormai determinata una discrasia, un gap tra i settori pubblici e il privato della vita sociale, ecco che forme introverse di religiosità personale sono adatte ad un tipo di società dove predomini la razionalità strumentale nel mondo del lavoro e della politica. Ma, queste nuove forme di religione non potranno mai svolgere quel ruolo fondamentale che precedentemente la religione svolgeva nell’intera società. A suo avviso la secolarizzazione non tende ad allontanare la religione dalla società bensì a relegare ad essa una funzione che non sia più così omnipervasiva ed importante per l’intera società. L’A. ritiene che in tale società non vi sia più spazio per le asserzioni autorevoli. Rimane solo la possibilità di effettuare asserzioni di opinioni personali. Egli, in contrapposizione ai più che hanno ipotizzato i processi di secolarizzazione, abbraccia l’idea che la religione continuerà ad esistere nella società secolare e asserisce, inoltre, che la secolarizzazione fa sì che si venga a fornire un tipo di religione particolare che rispecchia lo spirito dei tempi, in opposizione ad altre tesi che asserivano la religione essere in contrapposizione con quello spirito. Anzi, egli ritiene persino che sia la natura stessa della società secolare a determinare quello che egli definisce “la rinascita paradossale della religione.” Ciò viene a determinarsi in quanto le regole che governano la maggioranza dei contesti laici “impongono severe limitazioni ad atti del linguaggio che esprimono ordini e affermazioni, riservando i suddetti atti del linguaggio a chi è, a rigor di termini, autorizzato e preparato a pronunciare, giudicare, valutare, ordinare, indirizzare, implorare, chiedere o anche a dare convincenti suggerimenti. Alcuni gruppi religiosi ... prosperano proprio perchè offrono a chi non è autorizzato e preparato, ai laici, delle opportunità di dichiarare, pronunciare o indirizzare ... I gruppi religiosi,

53 J Beckford, ibidem, p. 131, cfr. Bell, 1980, p. 333, cit.

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manifestando nei loro atti di linguaggio un fervore ed uno zelo pentecostali, prosperano forse proprio a causa del successo riscosso nelle società moderne dalla secolarizzazione delle istituzioni concernenti l’istituzione, l’economia, o la politica ... Così la secolarizzazione crea una richiesta del tipo di atti di linguaggio riservati unicamente all’élite delle società moderne”54. 22. Un aspetto del tutto nuovo per quanto concerne il ruolo della religione nell’ambito della società industriale è posto da Roland Robertson. Egli sostiene che il capitalismo ha portato alla globalizzazione del sistema politico ed economico. Da un punto di vista politico ed economico il mondo, secondo tale teoria, sta diventando un tutt’uno, venendosi a determinare un sistema economico transnazionale, sino ad aversi una integrazione politico-economica nel sistema mondiale. Ciò ha portato alla nascita di nuove tematiche religiose. Questo nuovo sistema mondiale, anziché eliminare la religione, l’ha esaltata, creando dei movimenti religiosi transnazionali, grazie appunto all’integrazione globale. Negli ultimi anni si è avuto sempre più interesse su scala mondiale per la giustizia sociale, l’uguaglianza e l’integrità morale. Ne è venuta una nuova linfa vitale per svariate religioni universali. “Il filo comune che unisce tali argomenti è <l’umanità>, cioè un interesse per il significato finale dell’esistenza dell’uomo che trascende il coinvolgimento di particolari ambienti sociali. E’ un concetto che emerge dal discorso sull’io: non sopravvive, comunque, in un isolamento imperioso, ma in relazione con l’umanità intera”55. 23. Michel Foucault era convinto che “la storia non è il progressivo rischiarimento della ragione; lo sviluppo delle scienze non coincide con la crescita dell’emancipazione umana, ma comporta piuttosto nuove forme di assoggettamento”56.

54 Ibidem, p. 132. 55 A. Nesti, p. 113. 56 J. Beckford, ibidem, pp. 134-135.

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La sua teoria vuole che si abbia una crescita di potere da parte di particolari organismi, quali la classe dei professionisti, la polizia, il clero e le organizzazioni demandate alla cura del benessere sociale. La suesposta concezione porta alla determinazione di una conoscenza, sempre più specializzata, la cui funzione principale è quella di controllare vaste aree della vita privata. Tale contorno si determina, attraverso classificazioni e suddivisioni in categorie che portano a delle distinzioni sempre più sottili sull’idea di ciò che rappresenta un normale essere umano. A Foucault la religione interessava, innanzitutto, per le tecniche che essa in vario modo forniva all’economia dei rapporti di potere, sia per il dominio sia per la lotta e la resistenza contro il dominio. Egli ritiene che la Riforma abbia rappresentato “una profonda crisi dell’esperienza occidentale della soggettività e una ribellione a quel tipo di potere morale e religioso che nel corso del Medioevo diede corpo a tale soggettività. L’esigenza di ricoprire un ruolo diretto nella vita spirituale, nell’opera di salvazione, nelle verità contenute nella Bibbia -tutto questo rappresentava una lotta per una nuova soggettività-”57. Per Foucault l’ironia sta nel fatto che tale lotta, espletata dalla Riforma, non ha fatto altro che produrre la nascita dello Stato-nazione il quale presenta un nuovo complesso di rapporti di potere. In questo nuova fase si ha che il potere pastorale, che fino ad allora era in mano alla Chiesa cristiana, apparentemente, passa in mano agli Stati del dopo-Riforma ma, in realtà, le nuove tecniche religiose che portarono ad una industrializzazione si combinarono con la tecnica politica della totalizzazione. E tutto ciò egli lo spiega bene nei seguenti termini: “il potere di tipo pastorale, che per secoli -per più di un millennio - era rimasto legato ad una determinata istituzione religiosa, d’un tratto si diffuse all’intero organismo sociale, trovando sostegno in una moltitudine di istituzioni. E, al posto del potere pastorale e di un potere politico, più o meno legati tra di essi, si affermò una <strategia> individualizzante che caratterizzava una serie di poteri: quelli della famiglia, della medicina, della psichiatria, dell’istruzione e dei padroni ... dobbiamo immaginare e sviluppare ciò

57 J. Beckford, ibidem, p. 144, cfr. Foucacault, 1978, p. 213, cit.

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che potremmo essere per sbarazzarci di questo tipo di <duplice legame> politico che costituisce al tempo stesso l’individualizzazione e la totalizzazione delle moderne strutture di potere ... Dobbiamo incoraggiare nuove forme di soggettività attraverso il rifiuto di questa forma di individualità che ci è stata imposta per parecchi secoli”. E’ pur vero che i concetti di individualità che vengono assimilati dai più siano plasmati in modo tale da essere adeguati a quelli che sono gli interessi del potere dominante. A differenza di molti altri autori, Foucault ritiene che il problema fondamentale non sia nella differenza sociale, oppure nella separazione che sussiste fra pubblico e privato; anzi, è proprio il potere disumanizzante delle diverse istituzioni che determina negli individui la sensazione di essere soggiogati e di essere, quindi, raggirati per poi conformarsi agli interessi predominanti. Foucault ritiene che il problema è quindi di una integrazione o di un controllo eccessivo. Nell’ambito dei sociologi di lingua inglese, per quanto concerne la sociologia delle religioni, studi che portano avanti modelli e teorie di tipo marxista sono praticamente del tutto inesistenti. Ciò, sia perché spesso le ricerche vengono effettuate laddove vi è probabilità di finanziamenti e, visto che il marxismo, in molti ambienti, dal punto di vista politico, non incontra simpatie, è difficile ottenerne ma, soprattutto, poiché nel modello marxista della società capitalistica la religione viene relegata ad un epifenomeno. Tuttavia, negli ultimi decenni, la possibilità che una buona analisi marxista delle religioni venga espletata è divenuta di gran lunga maggiore. Si è avuto, inoltre, la crescita di nuove teorie basate sempre più sul modello marxista della società tardo-capitalistica ove i problemi religiosi non vengono più considerati marginali ed epifenomenici. 24. Antonio Gramsci ha avuto la capacità di fornire un approccio diverso al materialismo storico per quanto concerne la sociologia della religione e altri aspetti ideologici. Gramsci rifiuta gli estremismi positivistici della sociologia scientifica e di un certo marxismo volgare. La sua idea consisteva nel fatto che la condizione di subordine, alla quale il proletariato era assoggettato dal capitalismo,

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ben presto sarebbe stata chiara nelle menti della stragrande maggioranza della massa operaia. Era convinto che la sempre migliore coscienza di classe del proletariato, attraverso l’organizzazione politica, avrebbe potuto portare ad una era socialista. Questa sua teoria andava di pari passo con la convinzione che la cosiddetta filosofia scientifica doveva essere messa da parte per avallare invece l’ipotesi che ogni verità deve essere presa in considerazione entro l’ambito storico e culturale ivi presente. Secondo Gramsci ogni idea può essere considerata veritiera se rapportata alle particolari circostanze storico-sociali. Egli intendeva eliminare “la distinzione meccanicistica fra base materiale e sovrastruttura culturale. Le idee erano giudicate non meno reali dei rapporti sociali e della forza economica. Egli quindi definiva il comportamento una propensione storicamente condizionata ad agire alla luce delle idee correnti ed entro il contesto di circostanze materiali intese anch’esse nel modo corrente”58. Egli vedeva che le generalizzazioni più astratte erano troppo aleatorie e la verità era situata nelle pieghe della vita pratica del particolare momento e contesto storico-culturale. Non portò quindi avanti la classica teoria marxista che concerne il predominio della base materiale su ogni elemento culturale della sovrastruttura. Egli, insomma, si rifiutò di portare avanti la concezione del determinismo storico. Egli voleva che gli intellettuali sviluppassero ed elaborassero una teoria che fosse in assonanza con le condizioni sociali e materiali predominanti, ponendo sempre dinanzi a sè l’interrelazione fra teoria e pratica, cosicché solo così poteva essere creato il futuro: attraverso la prassi e dando priorità all’azione. Ora, la coscienza di classe che veniva a svilupparsi nella massa operaia equivaleva ad una coscienza di prassi. Quindi, egli voleva che si creasse un lavoro intellettuale, che si svolgesse in parallelo con tale prassi, per ottenere la trasformazione dell’attuale ordinamento sociale. Egli prese in seria considerazione la creazione e diffusione delle idee religiose. Riteneva che lo sviluppo storico della Chiesa Cattolica Romana avallasse la sua tesi del rapporto tra teoria e prassi. Gramsci analizzò che per secoli la Chiesa

58 Ibidem, p. 136, cfr. Fenn, 1981, p. 119.

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cattolica aveva saputo plasmare le menti dei fedeli, facendo sì che non si creassero delle divergenze o spaccature fra la religione formale ed intellettuale e quella delle masse popolari incolte, e aveva contribuito, a tale fine, anche l’utilizzo del linguaggio proprio della cultura popolare, per esprimere il contenuto dottrinale. “Ne consegue che le contraddizioni e gli stessi antagonismi che si manifestano nei momenti-vertice della lotta di classe, elaborano il loro messaggio attraverso una rottura del linguaggio dominante che può essere più o meno ampia, ma non è mai totale (altrimenti mancherebbe quel minimo referenziale, necessario per uno scambio di informazioni). Ma, è l’uso di classe il fattore che diventa determinante per comprendere la nuova funzione che può assumere una proposizione ideologica di eventuale, o più probabile, iniziale elaborazione elitaria. Questo uso di classe può, al limite, sovvertirne totalmente forma, funzioni, significati, dando respiro a quel momento dinamico, creativo, “che contribuisce a dare impulso al divenire storico”. Da tale esperienza, quindi, Gramsci trae che anche la classe operaia doveva avere i propri intellettuali, i quali portassero avanti le idee e le esperienze delle masse, con un linguaggio popolare. Il teorema aveva in seno anche il fine di creare un nuovo potenziale religioso capace di formare una storica alleanza tra contadini, operai e sacerdoti. “Per quanto concerne più in particolare la religione delle classi subalterne, questa non può essere analizzata sulla base di criteri propri ad una cultura razionale e sistematica com’è il caso della cultura borghese. Bisogna tener conto dei codici propri alle classi subalterne; codici che sono in accordo con il processo di emancipazione in queste classi rispetto alla coercizione esercitata su di esse dall’ordine sociale dominante. L’analisi deve tener conto delle aspirazioni libertarie ed ugualitarie che sono presenti come virtualità in seno alle suddette classi e che emergono ogni qual volta le lotte sociali lo permettono”. Gramsci era nauseato da “quello che giudicava il compromesso ideologico della Chiesa cattolica con lo Stato e i gruppi di potere della società civile. Criticava, inoltre, l’uso della Chiesa, all’apparenza spietato, del proprio potere organizzativo per schiacciare resistenze e autorità non autorizzate”.

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Riteneva che vi fosse la possibilità di contrastare l’egemonia della chiesa cattolica attraverso la formazione di una religione non ecclesiastica “che fosse esente dalla contaminazione ideologica degli interessi della classe dominante”. 25. Louis Althusser cercò di sviluppare un tipo di marxismo ridotto e scientifico. Egli riteneva che, per una ideologia marxista della religione, i fenomeni religiosi, al pari dell’ideologia, dovessero essere considerati tali da poter diventare una delle condizioni per l’ordine e il cambiamento sociale. Riteneva anche opportuno che la religione svolgesse la funzione essenziale di dare immagine mitica -di ordine sociale unitario-, mascherando le sottostanti contraddizioni e che essa avesse l’opportunità di contribuire in modo abbastanza autonomo all’accumularsi di contraddizioni che avrebbero accelerato il processo di rivoluzione sociale. Althussur, così come altri facenti parte del marxismo strutturale, cercava di aprire una breccia nel pensiero marxista, rifiutando quella teoria che voleva la religione essere un puro riflesso epifenomenico di forze sociali o la finzione di una coscienza distorta. Egli volle tener presente che la religione, così come l’ideologia, gode di una vita propria ed è reale tanto quanto le forze materiali. Egli prende in considerazione un tipo di struttura sociale più libera di quella espletata dai modelli di società marxista più tradizionale, ma non rifugge l’ipotesi che la totalità ha la capacità e la necessità di premere affinché i propri interressi vengano ad essere parte importante di quegli elementi che compongono il sistema. Non mancò di sostenere che “una <mano invisibile> continua a far muovere il sistema in una determinata direzione, perché si ritiene che l’ideologia religiosa dia, al senso di identità e di soggettività prevalenti, una forma che si armonizzi con gli interessi della classe sociale che si suppone dominino della totalità”. 26. Vi sono studiosi marxisti o para-marxisti che, pur non potendo essere considerati direttamente dei sociologi della religione, hanno effettuato diversi studi in tale settore. Ciò che li accomuna è la convinzione che, nelle società capitalistiche e tardo-capitalistiche, i

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cosiddetti nuovi movimenti sociali (NSMS) hanno acquistato una enorme importanza. Fra essi Alberto Melucci, il quale sostiene che “l’azione collettiva si sta spostando sempre più dalla forma <politica>, un tempo comune ai tradizionali movimenti di opposizione nelle società occidentali, al terreno culturale”. Egli vuole sottolineare che, mentre finora i conflitti principali, nelle società industriali erano conseguenza delle rilevanti contraddizioni tra capitale e lavoro, oggi, in seguito alle forti trasformazioni che il capitalismo ha subito, i conflitti sociali si sono spostati sul terreno delle lotte concernenti la qualità della vita e il perseguimento di una società del futuro. Tale spostamento verso conflitti culturali è dovuto fondamentalmente innanzitutto al fatto che le società post-industriali o tardo-capitalistiche non si muovono più sul terreno dell’economia ma vengono ad avere un grande ruolo nei sistemi informativi che diventano conditio sine qua non per la produzione e la divisione di beni e lo sfruttamento di mercati e risorse. “Melucci individua due condizioni centrali perché una condotta collettiva possa definirsi come movimento sociale. La prima è che esprima un conflitto, e che perciò non si configuri, funzionalmente, come risposta adattiva o reattiva a una crisi. Il conflitto nasce come opposizione per il controllo e la destinazione di risorse e prefigura domande collettive che investono la legittimità del sistema dominante. Di qui la seconda condizione: che l’azione collettiva conflittuale implichi una tensione antagonistica sui limiti di compatibilità del sistema stesso”. 27. André Gorz sostiene: “il lavoro legato alla gestione e alla riproduzione dei rapporti sociali si è sviluppato con una rapidità superiore a quella del lavoro direttamente legato alla produzione materiale ed è divenuto una precondizione della sua accresciuta efficacia”. Inoltre, mentre sinora le lotte di classe e i conflitti erano per un miglioramento della condizioni materiali e politiche, ora i contrasti nascono in quanto si vuole un cambiamento della ricerca di una

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nuova azione sociale per l’intera società. Esse quindi esprimono un linguaggio profetico e così facendo si accostano al discorso religioso in quanto come dice Richard Fenn “il linguaggio religioso <profetico> è decisivo, cioè determina, ricrea ed esprime la realtà cui si riferisce”. 28. Jurgen Habermas ritiene riduttiva la teoria marxista del valore secondo la quale vi è una interdipendenza fra la forma merce e il rapporto capitale/lavoro. Egli ritiene che è venuta sviluppandosi una nuova forma di capitalismo dopo la seconda guerra mondiale. Essa si basa sul predominio della differenziazione funzionale e della razionalità nei sistemi sociali e soprattutto nei principali mezzi di scambio cioè il denaro e il potere. “Rifacendosi a quella separazione tra le diverse sfere della razionalità che era già stata diagnosticata sia da Kant sia da Weber, egli cerca di pensare i processi della modernizzazione occidentale come uno sganciamento settoriale della razionalità sistemica (denaro e potere) dall’orizzonte tradizionale della ragione comunicativa (le strutture pre-riflessive del mondo della vita). Mentre il sistema è guidato da una logica funzionale (automatica e de-linguistificata) di auto-stabilizzazione nei confronti dell’ambiente esterno, le strutture del mondo della vita appaiono guidate da una logica linguistico-comunicativa orientata all’intesa reciproca”. Egli sostiene inoltre che i due livelli devono essere considerati come due forze esterne e distinte, ma il problema fondamentale è che la logica per lo sviluppo che governa il sistema sociale del tardo capitalismo si stia imponendo, sempre più, in campi che appartengono al mondo della vita. La conclusione alla quale Habermas giunge è che la cultura del denaro e del potere sta mettendo a repentaglio il buonsenso e la ragione. Ritiene inoltre che sia possibile preservare i benefici che derivano dalla modernità e dalla razionalità, ma solo se essi vengono sottoposti ad un attento esame critico continuo. In opposizione alla maggior parte degli studiosi della scuola di Francoforte egli ritiene che lo sviluppo della religione abbia preceduto la razionalizzazione dei

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moderni sistemi sociali e che quindi attraverso la razionalità degli attori si possa opporre una rilevante fonte culturale a tali sistemi razionalistici. Habermas stima che la crescente autonomia del mercato capitalistico e dello stato burocratico sia avallata dalla sussistenza di determinate norme e valori presenti nella sfera privata e che sia interesse del potere del denaro che vengano a sussistere determinati valori e norme. Questo fa parte di quel processo che viene definito come “la colonizzazione del mondo vitale” cioè “vengono imposti sul mondo vitale i principi nei quali si integra il sistema sociale. Di conseguenza i settori dell’esistenza, che in precedenza erano stati retti da norme e valori generati dall’interazione e dalla comunicazione sociale quotidiana, vengono progressivamente sottoposti a principi e criteri che trovano le proprie origini nel sistema sociale razionalizzato”. Il timore di Habermas è che la burocratizzazione del mondo vitale possa portare alla sua disintegrazione, facendo sì che esso non possa realizzare più il compito della riproduzione culturale e sociale. Ecco quindi che Habermas ritiene della massima importanza prendere in considerazione i movimenti culturali di protesta e di ribellione nei confronti delle varie forme di razionalità e dei partiti politici che nella società industriale si basavano sull’appartenenza ad una certa classe. Insomma la contraddizione capitale-lavoro è stata rimpiazzata dalla contraddizione che vi è tra l’efficienza e la produttività, che, sempre più, lo stato e le altre grandi organizzazioni prendono alla base della loro organizzazione; ed in seno a questi si rileva la necessità di perseguire valori più sostanziali che considerino la difesa dell’integrità e dell’armonia della società. Per Habermas, nella società tardo-capitalistica, tali movimenti sono di importanza fondamentale ed hanno una capacità e l’interesse di riscrivere la “grammatica delle forme di vita”, cioè l’enorme valore di tipo consensuale. Egli dà ad esse tale importanza in quanto la società industriale, che ha riscosso tanti successi, ha fatto sorgere una serie di problemi ai quali non ha saputo dare risposta, né offrire alcuna soluzione. Bisogna riconoscere che nel momento in cui tali movimenti vengono a riscrivere “la grammatica delle forme di vita”

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esplicano una funzione che di solito hanno cercato di realizzare organizzazioni e movimenti religiosi. Essi cercano di realizzare ciò non attraverso una rivelazione, ma attraverso un ragionamento critico, che si muove all’interno di uno schema dialettico. I problemi, nel tardo-capitalismo, si sono spostati nel campo della socializzazione, dell’istruzione e dell’etica; ecco perché si ritiene che sia molto importante prendere in considerazione quei movimenti sociali che riguardano l’ambiente fisico, il potere nucleare, le relazioni fra i sessi, i rapporti etnici, la pace e i diritti umani. Altri studioso della scuola di Francoforte che l’avevano preceduto, quali Theodor Adorno e Herbert Marcuse, credevano che la religione si fosse calata totalmente nell’ideologia della società moderna e che fosse uno degli elementi basilari della logica dell’oppressione e dello sfruttamento sul quale si fonda il capitalismo. 29. Viceversa un’altro predecessore di Habermas cioè Max Horkheimer riteneva che questi aspetti umanistici della religione rimanessero essenziali per la realizzazione di una società giusta. Egli non pensava ci fosse spazio, nel tardo-capitalismo, per una religione di tipo dogmatico di chiesa, ma pensava fosse indispensabile quel tipo di reciprocità e solidarietà che una religione poteva dettare. E’ proprio su questa linea che si muove la Teoria Critica di Habermas, appoggiando un tipo di religione umanistica che avrebbe potuto avere positivi effetti sul futuro dell’intera società. Egli sostiene che “la religione costituirebbe un elemento di emancipazione se fungesse da veicolo di auto-riflessione critica e se, a seguito del processo di secolarizzazione, finisse con l’essere separata dagli interessi dominanti”. Per Habermas i temi religiosi verranno ad essere sempre più essenziali per lo sviluppo della società emergente e sopratutto in rapporto ad un nuovo tipo di etica universalistica. Habermas, pur avallando la teoria di Weber per quanto concerne l’analisi di burocratizzazione e formazione per lo stato, critica l’ipotesi di Weber secondo cui il processo di razionalizzazione avrebbe compreso tanto il sistema sociale quanto il mondo civile.

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Egli invece tendeva a sottolineare come il mondo vitale fosse attraversato da un filo di ragione diverso da quello strettamente strumentale, cioè di quello che Weber definì un ragionamento razionale rispetto ad uno scopo. Nella cultura moderna la razionalità comunicativa va distinta dalla razionalità funzionalistica che viene a sussistere nel sistema sociale. Ciò lascia aperta la porta alla speranza che non sia stata annullata nell’uomo la capacità di ragionare in maniera autocritica. Per lo stesso motivo, Habermas respinge l’idea di Parsons secondo la quale l’intero sistema sociale moderno viene regolato da un unico insieme di valori. Egli non è d’accordo neanche con le teorie che guardano alla società tardo-capitalistica come al luogo dove è sita la ragione umana auto-riflessa e un tipo di religione privatizzata. Ritiene invece che la soluzione si ottenga mediante un’azione collettiva e che l’azione principale per lo sviluppo di tali problematiche verrà svolta dai nuovi movimenti sociali. 30. Un altro tentativo del superamento delle teorie marxiste della società industriale, per poter meglio analizzare i nuovi problemi che riguardano il tardo-capitalismo, è quello compiuto da Claus Offe. E’ sua opinione che le società tardo-capitalistiche siano diventate così complesse, instabili e segmentate che le istituzioni di base, quali la famiglia, gli organismi religiosi e la scuola, siano divenuti inidonei a dare spiegazioni e sostegno. Sostiene inoltre che sia lo stato a fornire le spiegazioni dei problemi ed a indicare le azioni da seguire; che sia sempre lo stato a permettere le azioni attraverso l’istruzione e gli enti assistenziali. Lo stato va sempre più sostituendosi al ruolo espletato dalle tradizionali norme culturali nell’impartire i dettami del corretto comportamento per quanto concerne l’alimentazione, la sessualità, la salute ecc. I classici schemi educativi sono sempre più sostituiti da campagne effettuate attraverso i vari mezzi di comunicazione di massa. Il problema viene ad essere ancora più grave laddove, a causa delle complessità vigenti in tale società, le leggi invadono il mondo vitale della gente. Argomenti quali il divorzio, la custodia dei figli, persino la

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decisione di vivere o morire ecc. vengono regolati dalla legge. Ciò si verifica perché crescendo la complessità della società essa diventa anche più vulnerabile e quindi necessita di maggiori controlli legali. In contrapposizione a ciò vi è anche un aumento dell’opposizione a tali controlli e questo genera un circolo vizioso giacché, in tutta risposta, necessiteranno ancora maggiori norme per non arrivare ad una condizione di illegalità generalizzata. “Un presente che allo studioso tedesco appare segnato da un fenomeno epocale, la crisi dello Stato di diritto liberale che evolve nella crisi dello Stato sociale/assistenziale, e dal brulicare di fermenti antagonistici che - a dispetto di molte letture banalmente <anticonformistiche> - evidenzierebbero tanto il persistente carattere capitalistico dello Stato (cosa diversa dall’identificazione dello Stato come agente del capitalismo, lo Stato borghese classico oggetto dell’anatema e della profezia del marxismo classico), quanto l’impossibilità del superamento della forma statuale connessa al Welfare”. Ecco quindi che la contrapposizione che verrà opposta allo stato sarà maggiore ma essa non si basa più su fattori economici bensì viene ad avere radici culturali e trova la sua espressione in nuovi movimenti sociali, i quali sono fortemente non-economici, nel senso che mirano poco alla ricerca dei profitti e della ricchezza materiale, vanno a considerare la qualità delle condizioni naturali e sociali dell’esistenza. “Le issues privilegiate, cioè i problemi cruciali affrontati dai nuovi movimenti sono sostanzialmente ricondotti a quello che - sulle orme del pensiero fenomenologico tedesco - viene chiamato “mondo della vita”, o Lebenswelt, dove però l’enfasi è posta sui bisogni del corpo, della salute, dell’identità sessuale, della tutela dell’ambiente naturale e del riuso di quello urbano-metropolitano, della difesa etnica e linguistica della sopravvivenza della specie”. Questo concetto ci riporta ad Habermas ma, a differenza di quello, Offe ritiene che le sette religiose non facciano parte della categoria degli NSMs in quanto esse “non intendono ottenere il riconoscimento dei loro valori e interessi specifici come elementi vincolanti per una comunità più ampia”.

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Egli ritiene che i valori degli NSMs siano: “autonomia e identità ... e opposizione alla manipolazione, al controllo, alla dipendenza, alla burocratizzazione, alla regolamentazione” (76). Questi sono argomenti che hanno una valenza religiosa nel momento in cui hanno a che fare con valori che sono importanti per l’esistenza dell’uomo e vanno aldilà di interessi particolaristici e di specifici accordi sociali. Quindi Offe, anche se non ne ha l’intenzione offre buoni motivi per prendere in considerazione la valenza religiosa che sussiste nei NSMS. 31. Anche Alain Toureaine fa parte di quell’area marxista che esclude i movimenti religiosi dalla categoria degli NSMS, ma la pura analisi di trasformazione sociale prende in considerazione argomenti che in modi, sia pure indiretti, sono interrelati con argomenti religiosi. Egli effettua studi empirici su argomenti sociali moderni: dall’autonomia regionale a Solidarnosc, al movimento del Maggio ‘68 degli studenti e degli operai ecc. ecc. Il suo interesse sembra essere quello di “aprire gli occhi di coloro che fanno parte del movimento sociale alla più ampia rilevanza teorica della loro attività pratica, catalizzando quindi il potenziale di tali movimenti verso la creazione di un nuovo tipo di società”59. E’ convinzione di Touraine che la società si auto-produce anche se in qualche modo è condizionata dalle circostanze. Egli ritiene che il processo sociale si sviluppi attraverso lotte e conflitti, e il movimento sociale è concepito come qualcosa di basilare e centrale per la struttura della società post-industriale. “Seguendo un’impostazione definita sociologizzazionista Touraine sostiene che la società è definita dalla sua storicità e dalla sua capacità di prodursi da se stessa, attraverso l’azione dei gruppi sociali, le lotte, le pressioni e i negoziati”60. Da tutti i conflitti, che si esplicano per raggiungere obbiettivi quale la riduzione delle imposte, la pena capitale, la vivisezione ecc., egli ha estrapolato una categoria dalle tendenze più essenziali: il movimento sociale.

59

J.Beckford, ibidem, p. 179; nonché, cfr. Offe, 1985, p. 827-829. 60 Ibidem, p. 180.

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“Bisogna chiamare movimenti sociali i comportamenti collettivi che si pongono all’interno di un insieme di orientamenti culturali, ma che contestano il modello di controllo e di utilizzazione sociale di questi valori. E’ questa doppia caratteristica, di accettazione di un gioco culturale comune agli avversari e di affermazione di un conflitto diretto e centrale tra questi, a definire le azioni collettive a cui vogliamo riservare il nome di movimenti sociali”61. La problematica fondamentale sta nel fatto che il fulcro del conflitto non viene più ad essere l’organizzazione del lavoro, bensì le motivazioni, i fini e il significato del produrre in una società dove sono emersi nuovi bisogni e nuovi interessi specifici concernenti il corpo, la salute, il tempo libero, il futuro e l’idea di sviluppo. Non essendo più il fulcro della conflittualità la problematica del lavoro a livello industriale si ha come conseguenza che si producono molteplici altri campi conflittuali o potenzialmente tali, e, nello stesso tempo, viene a mancare ogni principio di unificazione dello scontro.

61 F. Ferrarotti, cit, p. 181.