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Antispecismo e liberazione animale a cura di Filippo Trasatti ANIMALISMO 64

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Antispecismoe liberazione

animale a cura di Filippo Trasatti

ANIMALISMO

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Questo dossier tenta di disegnare i contorni della “questioneanimale” in una prospettiva antispecista e liberazionista. Animalismo è infatti un ter-mine ormai troppo generico per esprimere un’attenzione e una sensibilità personaliverso la sofferenza animale che possono esprimersi in vari modi: dalla cura degli ani-mali domestici al conservazionismo naturale della wilderness; atteggiamenti che perònon mettono in discussione né lo status quo di una condizione di sfruttamento ge-neralizzato, sistematico e industrializzato degli animali con cui condividiamo il mon-do né il legame tra sfruttamento animale e sfruttamento dell’uomo sull’uomo.Esiste ormai una cospicua riflessione in ambito filosofico, giuridico ed etologicosul tema del nostro rapporto con gli animali non umani, ma all’interno di tale di-scussione, per fortuna sempre più ampia, ci interessa qui proporre un punto di vi-sta più precisamente antispecista, in quanto tendente a superare la barriera di spe-cie da sempre utilizzata per mantenere gli animali in una condizione di perma-nente sfruttamento e di subordinazione agli interessi umani, e liberazionista, inquanto volto a promuovere azioni che liberino gli animali dalla sofferenza imma-ne a cui la nostra società li sottopone.Gli interventi che seguono differiscono per forma e per contenuto, pur all’inter-no di un comune indirizzo teorico. Si comincia con una riflessione che offre alcu-ne coordinate filosofiche per meglio cogliere il rapporto tra antispecismo e an-tropocentrismo. Si continua con interventi che propongono riflessioni sul movimentoper la liberazione animale, indicando i punti caldi in discussione, dal rapporto tradiritti animali e diritti umani, tra le forme dell’azione liberazionista e il Sistema,ai differenti punti di vista dell’attivismo liberazionista. Si chiude, infine, con un’e-sperienza narrata che mostra la necessità e la bellezza di un rapporto diverso congli individui animali non umani.

■ Filippo Trasatti

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Filippo Trasatti - Comesi diventa vegani, ani-malisti, antispecisti? Tol-stoj nel Primo gradino

racconta che un elemento importanteper il suo radicale mutamento del pun-to di vista sugli animali è stata la lettu-ra del testo di Howard Williams Ethicsof Diet che è un classico del vegetaria-nesimo, un’antologia di testi che spa-ziano dall’antica Grecia fino alla metàdell’Ottocento. Ma poi, subito dopo,parla anche dei macelli, racconta in-contri diretti con la sofferenza animale.È insomma come se volesse dire che dasole le ragioni e i ragionamenti non ba-stano, che ci vuole anche un’esperien-za diretta, una sorta di sintonizzazionedella propria sensibilità che ci avviciniall’animale. Anche a me è capitato co-sì: da una parte il libro di Singer Libe-razione animale ha fornito ragioni ab-bondanti contro lo specismo e lo sfrut-tamento animale, ma dall’altra la con-vivenza con degli animali, un cane (An-gelino) e un coniglio (Pippo), mi ha in-segnato una quantità di altre cose chehanno a che fare con la sensibilità, losguardo e le emozioni degli e verso glialtri animali. Vorrei sapere qual è sta-to il tuo percorso di avvicinamento al-la “questione animale”.

Massimo Filippi - Molto simile al tuo,un misto di considerazioni razionali eaffettive. Credo, infatti, che una parte

importante del mio percorso sia statainfluenzata dal paradigma darwiniano,secondo cui differiamo dagli animali pergrado e non per genere: la differenza trale “nostre” e le “loro” caratteristiche èquantitativa (noi, forse, pensiamo piùdi un ghepardo, ma corriamo meno ve-loci) e non qualitativa. Paradigma darwi-niano arricchito dai dati recenti delleneuroscienze che ogni giorno lo ricon-fermano: gli animali non solo vivono,soffrono, gioiscono e muoiono comenoi, ma usano le medesime struttureneurali per apprendere, insegnare, co-struirsi una cultura e un galateo, perpercepire il mondo, per muoversi in es-so e per modificarlo. Da qui è natal’attenzione e la critica al modo in cuil’uomo si è sempre autorappresentatoin ambito filosofico e antropologico cioècome negazione dell’animale el’insofferenza per tutta una serie di di-sconoscimenti dell’animale che, da Ari-

stotele a Heidegger, hanno costituito losfondo del nostro essere-nel-mondo edelle nostre visioni del mondo – che,come sappiamo, hanno contribuito aportarci dove siamo, cioè sull’orlo diuna catastrofe etica, sociale e ambien-tale. Questo mi ha portato a considerare cheil meccanismo dell’“esclusione gerar-chizzante”, che caratterizza le varie di-cotomie occidentali (uomo vs. donna,uomo civilizzato vs. uomo selvaggio,anima vs. corpo, mente vs. mondo, istin-to vs. ragione, ecc.), trova una sorta dimodello fondante nell’opposizione ori-ginaria (quanto artificiale) tra uomo eanimale, la quale a sua volta non nascenelle stanze dei filosofi, ma come teo-ria “giustificazionista” di una prassi vol-ta al sistematico sfruttamento di chi oc-cupa i gradini più bassi della scala de-gli esseri. Ma, ovviamente, tutto questonon è bastato a modificare il mio co-siddetto stile di vita, di cui è parte inte-grante la scelta non-violenta e vegana.A questo punto, servivano quelle chePascal ha definito le «ragioni del cuore»e queste sono state l’incontro con uncane abbandonato a Ferragosto di mol-ti anni fa (La Bobo, cane femmina conun nome fintamente maschile) e la vi-sione di un servizio RAI sul trasportodi animali al mattatoio. In quel filmato,si vedeva una mucca sollevata con unagru a diversi metri di altezza e poi sca-ricata di colpo sul rimorchio di un ca-

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a cura di Filippo Trasatti

I l lato oscuro del’antropocentrismo

Una chiacchierata con Massimo Filippi che da anni si occupa della “questione animale”

da un punto di vista filosofico e politico.

Bibì, Bibò e Ginetta

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mion: a quella scena io e mia moglie cisiamo guardati negli occhi con lo stes-so pensiero e, senza bisogno di parlar-ci (forse non è il linguaggio a renderciumani), abbiamo smesso da quel gior-no di mangiar carne. Solo dopo, a dif-ferenza di molti altri antispecisti ho let-to Singer, Regan, Sapontzis, Rachels egli altri filosofi, che hanno consolidato,con una messe di considerazioni mora-li e di dati materiali, quella che fino al-lora era stata una congerie di intuizio-ni più o meno nebulose. La somiglian-za tra le nostre due esperienze non ècasuale, ma piuttosto tipica della mag-gior parte delle persone che si defini-scono “animaliste”.

L’industriadei media

Mi sembra, non so cosane pensi tu, che gli ani-mali siano anche troppopresenti nei media e nel-

la cultura di massa, ma in un modo pu-ramente consumistico, usati per ven-dere prodotti oppure buoni sentimentie una finta mitica “natura incontami-nata”, mentre viene del tutto rimossolo sfruttamento istituzionale a cui sonosottoposti. Insomma, da una parte sem-bra che sia aumentata l’attenzione ver-so gli animali (per fare un solo esempioesistono ormai in diverse province as-sessorati ai diritti animali), dall’altra,però, non viene mai messo in questio-ne lo sfruttamento strutturale degli ani-mali e della natura (oltre che degli uo-mini) su cui il nostro sistema si basa.

Qui tocchi una serie di nodi complessie che sarebbe importante discutere indettaglio. Provo allora ad articolare unaserie di suggestioni a partire dalla tuadomanda. Hai perfettamente ragionequando affermi che gli animali sono ubi-quitariamente presenti nelle nostre pro-duzioni culturali, dalla letteratura ai car-toni animati, dall’arte, ai fumetti, dallapubblicità, al linguaggio politico, ecc.Tutto questo non dovrebbe risultarcisorprendente. Il nostro cervello, infat-ti, si è evoluto per diversi milioni di an-ni, dovendo organizzarsi per indivi-duare, ad esempio, possibili predatori.In questo contesto è lecito immaginar-si che gli animali abbiano costituito de-gli “stimoli” più significativi che nonsassi, alberi o montagne. In aggiunta,

gli animali sono gli unici esseri al mon-do in grado di incrociare il nostro sguar-do e di risponderci. In altre parole, ilnostro cervello è animale non solo per-ché da quello degli altri animali si è evo-luto, ma anche perché gli altri animalilo hanno modellato nel corso dell’inte-ra evoluzione. La cosa, ovviamente, nonè sfuggita all’industria dei media che hautilizzato questa nostra predisposizio-ne a “vedere” l’animale per facilitarel’acquisto e il consumo di qualsiasi pro-dotto. Credo, quindi, che questo enne-simo e ulteriore utilizzo dell’animale,abbia contribuito non poco a trasfor-marci tutti in consumatori, come ci in-segna Günther Anders, il quale, tral’altro, individua nel modello del “man-giare” (e per la nostra società “carne”è metonimia per “cibo”), l’archetipo delconsumo odierno, cioè di quel consu-mo che interpone il più breve spaziopossibile tra la produzione e la “rotta-mazione” del prodotto, al fine di soste-nere la catena produttiva e riprodutti-va del sistema capitalistico (il benesse-re è infatti misurato dal PIL e non dal-la felicità o da un armonico “essere-nel-mondo”). Mi trovi perfettamented’accordo anche quando sottolinei laparadossale situazione per cui lo sfrut-tamento istituzionalizzato dall’anima-le viene facilitato nascondendolo die-tro una finta immagine di “natura in-contaminata”: sono miriadi le pubbli-cità che ci mostrano tonni, mucche emaiali che saltano felici, con naturalez-za, nelle scatolette di carne che trovia-mo ai supermercati. Qui vediamo in at-to nella prassi quotidiana quella “esclu-sione gerarchizzante” a cui si accenna-va in precedenza: l’animale ridotto a“mera natura” diventa, da un lato, unoggetto immediatamente disponibileper il nostro uso e, dall’altro, un inno-cuo veicolo per messaggi tranquilliz-zanti, per nascondere la violenza istitu-zionalizzata che ogni giorno lo travolge(ma l’invisibilità, la trasformazione inroutine, è la caratteristica centrale diogni violenza istituzionalizzata che co-mincia, come afferma Adorno, quandopensiamo «è soltanto un animale»). Iltutto assume un aspetto ancor più fo-sco, quando consideriamo che il corpoidealizzato dell’animale diventa il vei-colo per il consumo dei corpi reali didecine di miliardi (ogni anno) di esserisenzienti, direttamente (come cibo, ve-stiti, divertimento, ecc.) o indiretta-mente (come farmaci o come strumen-

ti per testare l’eventuale tossicità perl’uomo di ogni possibile nuovo prodot-to, dall’olio dei freni delle macchine aigiocattoli dei bambini).

Un altro nodo impor-tante è quello del rap-porto tra antispecismoed ecologia. In che mo-

do, secondo te, un approccio antispeci-sta e animalista può cambiare l’attualeapproccio ai problemi ecologici?

Schematizzando molto, si può affermareche “l’ecologia” è stata tradizionalmentedeclinata in due modi fondamentali chepotremmo definire “superficiale” e“profondo”. L’ecologia superficiale ètutta contenuta nel paradigma antro-pocentrico: cerchiamo di preservarel’ambiente per vivere meglio noi e, pos-sibilmente, i nostri figli. In questa ver-sione, l’ecologia è semplicemente “tea-trale”: tutto il non-umano è semplice-mente “paesaggio”, sfondo su cui si sta-glia l’attore principale, cioè l’uomo. Es-sendo questa la corrente che ha mag-giormente influenzato i vari “partiti ver-di” non stupirà come questi non abbia-no ottenuto alcun cambiamento dellarotta della politica internazionale. L’ecologia profonda, d’altronde, effet-tua un rovesciamento di prospettiva masenza modificarne il paradigma di fon-do: non sono le varie componenti del“sistema-natura” a contare, ma il be-nessere del sistema stesso. Il paesaggiodiventa l’attore principale e gli attori(uomini, animali e piante) diventanosfondo: siamo ancora a teatro dopo uncoupe de théâtre! Può allora succedereche, se si pensa che il benessere del si-stema richieda l’abbattimento di 300cervi o 5.000 cinghiali, la cosa non de-sta eccessive preoccupazioni morali. In-sospettisce che nessun ecologo profon-do abbia mai suggerito (per fortuna!)l’abbattimento di esseri umani che, no-toriamente, costituiscono il problemaprincipale del “sistema-natura”. Ho evo-cato questo paradosso, che va controtutte le nostre intuizioni morali pre-ri-flessive, per indicare come anchel’ecologia profonda non esca, nono-stante l’apparenza, dal paradigma an-tropocentrico. Non è allora un caso cheecologia (il discorso sulla casa, dell’uo-mo ovviamente) e economia (le regoledella casa, dell’uomo ovviamente) ra-ramente confliggano e facilmente si ac-cordino.

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L’antispecismo, con il suo accento sul-la inviolabilità di tutti gli individui chepossiedono le caratteristiche per esse-re considerati «soggetti di una vita» (perdirla con Regan), non ricorre né al mi-to della sacralità della sola vita umanané a quello della natura incontamina-ta. Miti che sembrano opporsi ma chenascono da una comune radice.L’antispecismo mette in scacco la vi-sione antropocentrica del mondo chedomina la nostra cultura aprendo la stra-da per una società veramente egualita-ria. Altrove, ho definito l’antispecismocome “equologia profonda”. Questa differenza di prospettiva si ri-flette poi nella prassi. Ad esempio, ilprogetto REACH della Comunità Eu-ropea, che prevede di testare sugli ani-mali la tossicità di decine di migliaia disostanze potenzialmente tossiche perl’uomo, ha visto ecologisti e antispeci-sti schierarsi su fronti diametralmenteopposti. Ovviamente, ho semplificatoed esistono anche punti di contatto traantispecismo ed ecologia: si vedano, adesempio, molte delle intuizioni dell’e-cologia sociale di Murray Bookchin.

La scopertadell’antispecismo

Cerchiamo di metteremeglio a fuoco il nessotra l’antispecismo el’anti-antropocentrismo

che è uno dei centri della tua riflessio-ne in questi anni.

L’antropocentrismo è in realtà, come ciinsegna Derrida, «carnofallologocen-trismo», cioè quella teoria giustifica-zionista di ogni sopruso che l’uomo ma-schio, bianco e adulto ha messo in atto,dagli albori della storia così come la co-nosciamo, nei confronti dell’Altro (don-ne, barbari, animali, bambini, schiavi,stranieri e natura). La “scoperta” del-l’antispecismo, conformandosi in que-sto con la riflessione di Horkheimer eAdorno, è stata capire che il paradig-ma dell’antitesi “noi/loro” risiede pro-prio nell’antitesi uomo-animale, che ifrancofortesi declinano come «sfondoinalienabile dell’antropologia occiden-tale». L’inclusione dell’animale nella sfera del-la considerazione morale non ha, quin-di, solo risvolti “zoo-pratici” (nella ri-chiesta della cessazione della violenza

istituzionalizzata nei loro confronti), maanche “antropo-pratici” (nel rifiuto diogni dottrina di discriminazione in-traumana) e, più in generale, teorici nel-la ridefinizione dell’antropologia filo-sofica come discorso intorno all’uomoe non, sempre e ancora una volta, comediscorso dell’uomo. Anders intendevaquesto quando reclamava la necessitàdi fare non solo una «filosofia dell’uo-mo», ma anche del «moscerino» e del«bambino». E che questa serie di pro-blemi sia rilevante è mostrato dal fattoche le campagne di eliminazione del di-verso sono sempre partite con un’ope-razione “linguistica”, prima che fattua-le, di riduzione dell’Altro ad animale. Che questo tipo di operazione “lin-guistica” sia poi esercitata anche dal-la sinistra è sia tragico che ridicolo vi-sto che, ribadendo l’antitesi uo-mo/animale, essa di fatto contraddicei suoi stessi principi ispiratori: si pen-si, solo per fare due esempi recenti, al-la «demoratizzazione» della scuolaproposta dai COBAS qualche mese fao all’equiparazione di Lamberto Diniad un rospo portata avanti in questigiorni da «il manifesto». Da un’altra prospettiva, a questa tut-tavia complementare, quella della sto-ria delle idee, l’antispecismo non è chela “naturale” continuazione della de-centralizzazione dell’uomo, iniziata daCopernico (la casa dell’uomo non è alcentro dell’universo), proseguita daDarwin (l’uomo non è al centro dellasua casa) e da Freud (l’uomo non èneppure al centro di se stesso).L’antispecismo declina tutti questi“non” in positivo: la casa, pur essen-do molto periferica, è di tutti quelliche la abitano, dove abitare significa“essere-in-un-mondo” (non quindi “es-sere-nel-mondo” poiché, come ci hainsegnato lo zoologo Jakob vonUexküll, esistono molti mondi, quellodell’uomo, ma anche quello del lupo,della scimmia, della farfalla, dei pesci,ecc.) cioè pensare, provare emozioni,instaurare rapporti, ricordare il pas-sato e pianificare il futuro.

Storicamente la questio-ne animale è spesso sta-ta declinata in termini didiritti, cioè con un ap-

proccio fortemente razionalistico e, infondo, antropocentrico. Non è tempodi andare oltre i diritti?

Credo che stia emergendo anche nel-l’ambito della riflessione filosofica quel-lo di cui discutevamo prima a livello esi-stenziale: l’acquisizione di una consa-pevolezza della questione animale pas-sa attraverso una serie di considerazio-ni razionali e affettive. La nozione di“diritti animali”, come hai giustamentesuggerito, va approfondita. Infatti, co-me già indicava Henry Salt più di un se-colo fa se gli uomini sono titolari di di-ritti, beh... allora lo devono essere an-che gli animali. Già il parlare di “dirit-ti umani” e di “diritti animali” è una di-mostrazione del nostro pensiero antro-pocentrico. I “diritti”, inoltre, sono chiaramenteuna convenzione sociale, anche se estre-mamente utile, io credo, per protegge-re i più deboli dal sopruso istituziona-lizzato, ma che proprio per la loro “uni-versalità” rendono i titolari degli stessiperennemente “sostituibili” in quantotra loro identici. La sostituibilità, che èalla base dello sfruttamento animale eumano, costituisce una “barriera pro-tettiva” davvero labile, oltre a renderei diritti qualcosa di facilmente revoca-bile, come stiamo assistendo in questiultimi anni a livello intraumano. Eccoallora che la domanda sul perché ad al-cuni enti vengono accordati dei dirittinecessita di essere riconsiderata. Pen-so che l’enfasi posta dai filosofi moralisulla capacità degli animali di provarepiacere e dolore in realtà si fondi suqualcosa di più profondo. E questo qual-cosa di più profondo è l’intenzionalità. L’intenzionalità è quel meccanismoche lega il passato con il futuro: sullabase di esperienze positive e negativeavute in passato e di cui mi ricordo,pianifico il futuro cercando di avvici-narmi alle fonti di piacere e di allon-tanarmi da quelle dolorose. Questo ti-po di intenzionalità è chiaramente pos-seduta da (almeno) gran parte deglianimali e questo lo sa chiunque abbiamai avuto a che fare con un animaleda compagnia”. C’è poi qualcosa di ancora più profon-do che muove l’intenzionalità: la vul-nerabilità dei corpi. In quanto possiedoun corpo mortale, sviluppo un’inten-zionalità che mi aiuta a preservarlo. Ecredo che in pochi sarebbero dispostiad accettare che il corpo animale nonsia vulnerabile e che la vulnerabilità siasostituibile: tutti siamo vulnerabili maognuno lo è a suo modo. Allora, in ag-giunta alle considerazioni morali clas-

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�siche fortemente razionali, si affianca,nella rivalutazione dell’animale, la com-passione, cioè a un tempo la capacità diempatizzare con le sofferenze dell’Al-tro e la capacità di condividere le pas-sioni con l’Altro. Qualcosa di estrema-mente corporeo, qualcosa che la nostratradizione ha in effetti svalutato comemeramente animale.

Tu parli di universalità ein effetti i diritti valgono,quando ci sono, per tut-ti allo stesso modo. La

diversa prospettiva a cui alludi, quelladell’intenzionalità e della vulnerabilità,ci porta nella direzione invece dell’i-dentità e dell’unicità dell’animale, ver-so il riconoscimento di un altro.

Sì, credo proprio che questo sia un pun-to fondamentale che richieda un grandelavoro teorico. Lavoro teorico che è giàcominciato sia nella riflessione conti-nentale (Derrida e Despret) sia in quel-la anglosassone (Acampora e Calarco)e che, sono certo, darà frutti importantidi cui beneficerà non solo l’antispecismoma anche la riflessione sui diritti umani,così spesso declamati, ma altrettantospesso calpestati. Insomma, diritti da unlato e compassione dall’altro non vannocontrapposti ma coniugati. Mettere insieme la cogenza universaledei diritti, che vanno lontani ma che cilasciano sostituibili, con la nuance per-sonale della compassione, che è gio-coforza limitata nello spazio e nel tem-po, ma che ci rende unici, sarebbe unenorme passo avanti per tutti, animaliumani e non umani.

Grattacieli, cattedralie mattatoi

Il suggestivo titolo del-l’ultimo libro di Tom Re-gan (insieme a Singer unodei principali filosofi e at-

tivisti animalisti) che hai tradotto in ita-liano è Gabbie vuote. Ecco, a parte legabbie vuote, la fine dei macelli, degliallevamenti, dello sfruttamento anima-le in tutte le forme, come te l’immaginiun mondo liberato? È ovviamente unmondo in cui anche gli uomini e le don-ne sono liberate dallo sfruttamento.

Non c’è dubbio che qualunque anti-specista che non voglia cadere in con-

traddizione deve prevedere che il “mon-do liberato” sia tale al di là della forza-ta dicotomia di cui abbiamo parlato. Èaltrettanto ovvio, credo, che tutto que-sto debba passare, per quanto detto, nelrifiuto di ogni mito della forza, che, perdefinizione, non si prende cura dellavulnerabilità, ma la piega ai propri in-teressi. Per quanto poi riguarda una car-tografia più precisa del “mondo libera-to”, credo che al momento sia difficileproporre qualcosa di più di qualche me-tafora e di qualche caratterizzazione innegativo. E quando il pensiero manca, si ricorreai poeti. Montale, in Ossi di seppia, scri-veva: «Codesto solo oggi possiamo dir-ti, ciò che non siamo, ciò che non vo-gliamo». E penso che questi versi rias-sumano bene la situazione del pensie-ro antispecista attuale. Quasi 100 annifa, Horkheimer descriveva la nostra at-tuale società come un grattacielo, dovein cima stanno i «grandi magnati deitrust dei diversi gruppi di potere capi-talistici» e alla base «poveri, vecchi, ma-lati» e gli abitanti dei paesi cosiddetti

“sottosviluppati” (i vari «dannati dellaterra», direbbe Fanon), e aggiunge:«Sotto gli ambiti in cui crepano a mi-lioni i coolie della terra, andrebbe poirappresentata l’indescrivibile, inimma-ginabile sofferenza degli animali,l’inferno animale nella società umana,il sudore, il sangue, la disperazione de-gli animali». E termina dicendo: «Que-sto edificio, la cui cantina è un mattatoioe il cui tetto è una cattedrale, dalle fi-nestre dei piani superiori assicura ef-fettivamente una bella vista sul cielostellato».Ecco, quello che gli antispecisti non vo-gliono sono grattacieli, cattedrali e mat-tatoi, immaginandosi così un’altra “ur-banistica” del pensiero e della vita,un’eterotopia (direbbe Foucault), cioèun altro mondo, dove tutti possano ve-dere il cielo stellato. Un altro mondoche sia veramente alternativo alle uto-pie rassicuranti dell’altro mondo, uto-pie che sempre hanno richiesto la mor-te del corpo.

■ Filippo Trasati

Filippo Trasati e Arnold

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Il grattacielo

Vista in sezione, la struttura sociale del presente dovrebbe configurarsi all’in-circa così:Su in alto i grandi magnati dei trust dei diversi gruppi di potere capitalistici cheperò sono in lotta tra loro; sotto di essi i magnati minori, i grandi proprietari ter-rieri e tutto lo staff dei collaboratori importanti; sotto di essi – suddivise in sin-goli strati – le masse dei liberi professionisti e degli impiegati di grado inferiore,della manovalanza politica, dei militari e dei professori, degli ingegneri e dei ca-pufficio fino alle dattilografe; ancora più giù i residui delle piccole esistenze au-tonome, gli artigiani, i bottegai, i contadini e tutti quanti, poi il proletariato, da-gli strati operai qualificati meglio retribuiti, passando attraverso i manovali fi-no ad arrivare ai disoccupati cronici, ai poveri, ai vecchi e ai malati. Solo sotto tutto questo comincia quello che è il vero e proprio fondamentodella miseria, sul quale si innalza questa costruzione, giacché finora abbiamoparlato solo dei paesi capitalistici sviluppati, e tutta la loro vita è sorretta dal-l’orribile apparato di sfruttamento che funziona nei territori semi-coloniali ecoloniali, ossia in quella che è di gran lunga la parte più grande del mondo.Larghi territori dei Balcani sono una camera di tortura, in India, in Cina, inAfrica la miseria di massa supera ogni immaginazione. Sotto gli ambiti in cui crepano a milioni i coolie della terra, andrebbe poi rap-presentata l’indescrivibile, inimmaginabile sofferenza degli animali, l’infernoanimale nella società umana, il sudore, il sangue, la disperazione degli ani-mali. [...] Questo edificio, la cui cantina è un mattatoio e il cui tetto è una cat-tedrale, dalle finestre dei piani superiori assicura effettivamente una bella vi-sta sul cielo stellato.

■ Max Horkheimer«Il grattacielo»,da Crepuscolo.

Appunti presi in Germania 1926-1931, Einaudi 1977, pp. 68-70.

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di Aldo Sottofattori

C ome ti controllol’animalista

Per molto tempo le espressioni orga-nizzate dell’animalismo non hannocostituito un problema di ordine pub-

blico. Esse hanno dato, sin dalla loro nasci-ta, la dimostrazione di una buona compati-bilità con la società vigente e le sue leggi.L’associazionismo protezionistico ha potu-to attraversare decenni interi senza alcunproblema di ordine legale, riuscendo a con-quistare da parte delle istituzioni quel vagorispetto che non si nega a nessuno. Le atti-vità dall’associazionismo hanno avuto e han-no tuttora un carattere contraddistinto dainiziative informative, petizioni e conferen-ze. Oggi, anche quando hanno come inter-locutore le istituzioni pubbliche, le associa-zioni mantengono posizioni moderate nel-la convinzione di adottare lo stile relazio-nale più opportuno per conquistare spazi dimiglioramento per la vita degli animali. Con il tempo si è diffusa l’opinione che talestrategia non avrebbe condotto a risultaticoncreti. In Gran Bretagna e negli Stati Uni-ti sono nati gruppi che hanno radicalizzatola questione animale incominciando a intro-durre nella prassi animalista attività illegalicome i blitz negli stabulari e negli allevamenti.Naturalmente non tutti i gruppi hanno se-guito questa strada e si può affermare cheancora oggi l’atteggiamento prevalente del-l’animalismo sia quello delle origini. Tutta-via i gruppi più innovativi hanno conquista-to una visibilità e un’incidenza proporziona-li al loro dinamismo ed è naturale che, in que-ste nuove condizioni, la questione animale sisia radicalizzata e abbia incominciato ad ave-re l’onore di una attenzione più stretta daparte di polizia e magistratura.

È logico che le attività notturne dei libera-zionisti siano oggetto di tale attenzione, con-siderando che un sistema tende a combat-tere i comportamenti che definisce illegali.Apparentemente è meno logico l’interesseesagerato delle istituzioni sulle attività an-tispeciste svolte alla luce del sole. Infatti lasocietà liberale dichiara che ogni istanza hala possibilità di affermarsi se diventa mag-gioranza e, affinchè ciò avvenga, può con-frontarsi senza limitazioni nell’arena pub-blica. Sappiamo bene che il gioco è trucca-to, ma le forme vengono generalmente sal-vaguardate consentendo l’espressione deldissenso. Perché, dunque, in questo caso ilgioco non funziona? Le ragioni sembrereb-bero due.Innanzitutto, le manifestazioni liberazioni-ste hanno la caratteristica di essere di lun-ga durata. Ad esempio, una campagna con-tro la sperimentazione animale o control’alimentazione carnea, se esce dalla logicadel protezionismo, non può che andare avan-ti fino allo sfinimento degli attivisti o alla ri-soluzione del problema. L’intervallo di tem-po in cui la protesta si esprime, consideran-do la forza dell’ideale animalista, può esse-re quindi molto lungo e, di conseguenza, ilsuo controllo implica dispendio di risorse.Da qui i divieti imposti con pretesti risibili.La seconda ragione è ancora più importan-te. In genere le proteste, ad esempio per ilwelfare, la pace o il risanamento della poli-tica, si inscrivono in un panorama che tuttisostengono di accettare, compatibilmentecon risorse e situazioni. Il welfare è giusto, ma il suo livello è sta-bilito dalle risorse disponibili. La pace è

doverosa, ma occorre sconfiggere il terro-rismo. La politica va certamente risanatae «stiamo lavorando per questo». Invecela richiesta per i diritti fondamentali deglianimali è inaccettabile, perché, se fosse ac-colta, comporterebbe la crisi irreversibiledel sistema economico di qualsiasi paese.Dunque la protesta animalista può esseretollerata soltanto se, limitata nel tempo,sussurra inviti moderati e generici a ri-flettere su macelli e laboratori. Ci pensapoi l’ordine simbolico del sistema sociale,con i suoi collaudati sistemi di rimozione,ad estinguere il trauma della visione di uncapra sgozzata o di un visone spellato an-cora vivo. Invece l’iterazione senza treguadella presentazione del dramma animalerischia di stabilizzarsi dentro soggetti chescoprono la realtà e di dare l’avvio a unpericoloso processo di emulazione e pro-selitismo in individui sensibili.Negli Stati Uniti è stata approvata una leg-ge che rendeperseguibile penalmente qualsiasi attivitàsuscettibile di recare danno al profitto di im-prese che usino o si occupino di animali, in-cluse le proteste pacifiche, i volantinaggi,ecc. Tali attività pacifiche e dimostrative so-no addirittura paragonate ad atti di terrori-smo. Ogni azione diretta contro aziende cheusino animali è sanzionabile. In questo pae-se si è persino giunti a infiltrare i piccoligruppi non solo per controllarli, ma addi-rittura per indurli a commettere reati. Al-trettanto è stato fatto in Gran Bretagna sot-toponendo per legge gli animalisti al divie-to di volantinare, pronunciare slogan e usa-re il megafono durante le manifestazioni.

Aldo Sottofattori, attivista antispecista,redattore della rivista online ”Liberazioni”

e del sito ”Rinascita animalista”.

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Tali restrizioni non sono mai state postea nessuna protesta di piazza in tempo di pa-ce nella storia delle democrazie liberali del-l’ultimo secolo e si è giunti perfino a direche «oggi gli attivisti per i diritti animali ven-gono subito dopo i terroristi islamici in ter-mini di minaccia nei confronti della stabi-lità dell’ordine democratico»1. In Gran Bre-tagna è stato istituito un ente, il NationalExtremism Tactical Coordination Unit(NETCU), con il ruolo di coordinare la ri-sposta contro il movimento animalista estroncare la protesta legale di cui è portatore.L’intento repressivo di queste misure nonha tardato a manifestarsi e in entrambi i pae-si anglosassoni gli attivisti sono perseguitigrazie alle nuove norme2.E in Italia? Qui non siamo ancora giunti al-le leggi speciali perché il movimento libe-razionista è ancora acerbo, ma vanno ri-cordati due eventi estremamente signifi-cativi accaduti il primo a S. Polo d’Enza eil secondo a Ivrea. Essi costituiscono i pro-babili modelli repressivi del futuro sel’antispecismo liberazionista riuscirà a di-ventare socialmente rilevante nel nostropaese. Il primo caso ha comportato il di-vieto di protesta davanti al noto canificioMorini, azienda che produce beagle desti-nati alla sperimentazione animale. Dopoun numero interminabile di manifestazio-ni, l’ultima iniziativa è stata funestata dacariche della polizia così dure e ingiustifi-cate da ricordare in scala ridotta le bottedi Genova. Per quanto il paragone debba essere relati-vizzato, non si giustifica il silenzio dei me-dia che ha circondato l’evento. Una stam-pa non asservita si sarebbe impegnata perstigmatizzare le aggressioni che, secondo al-cune testimonianze, si sono espresse conviolentissimi pestaggi3. Il secondo caso è

quello di Ivrea. Le proteste davanti all’a-zienda RBM che pratica la sperimentazio-ne animale sono proseguite per circa 18 me-si tra il 2003 e il 2004 e probabilmente sa-rebbero ancora in corso se la Questura nonavesse revocato i permessi con motivazionipretestuose. Affermare che un gruppo di ra-gazzi confinati da polizia e carabinieri die-tro una siepe alta tre metri e lontani quasi100 metri dal primo edificio dell’aziendapossa creare problemi di ordine pubblico si-gnifica solo essere animati dall’intenzionedi non sopportare un’iniziativa inconcepi-bile per la sua durata. Ma il modello repressivo di Ivrea non si èesaurito con i divieti. Una volta concluse lemanifestazioni, l’RBM ha citato una dozzi-na di attivisti per offese all’onore e al deco-ro dei dipendenti. Occorre nuovamente se-gnalare che gli slogan, i campanacci, i fi-schietti non avrebbero dato luogo a rivalsese le manifestazioni non si fossero protrat-

te per tanto tempo. Si prefigura dunque unassurdo giuridico. Un’attività legale e rico-nosciuta dalla Costituzione, la protesta, ri-mane tale se condotta per un tempo limita-to. Oltre questo limite temporale, non pre-visto da nessun codice e lasciato agli umoridi funzionari dello Stato, è possibile fare le-va sugli elementi di una normale manife-stazione per avviare denunce che risolvanola protesta.

1 Cfr. Matthew Humphrey e Marc Stears,La protesta per i diritti degli animali e la sfi-da per una democrazia deliberativa, in «LoStraniero», n. 85, luglio 2007, pp. 42-67.2 Per maggiori ragguagli intorno alla re-pressione del liberazionismo nei paesi an-glosassoni cfr. «La Nemesi». 3 Particolarmente significativi sono i reso-conti riportati in Sabrina Tonutti, op. cit. inbibliografia, pp. 231-232.

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Tipologie di gruppi di attivisti per i diritti degli animali

L’approccio alla galassia “animalista” non può prescindere da un preliminare esame dei «repertori di azionecollettiva e dalle forme di organizzazione proprie delle varie espressioni del movimento» (Tonutti, op. cit. nel-la bibliografia). Si passa per le forme di protesta convenzionali (petizioni, volantinaggi, conferenze) per giun-gere a quelle dimostrative (boicottaggi, picchetti, scioperi della fame) fino a quelle confrontative (dimostra-zioni con contatto fisico con gli oppositori) e illegali (liberazioni di animali e distruzione di materiale connes-so al loro sfruttamento). Fanno parte del primo gruppo le iniziative tipiche dell’associazionismo classico (LAV,LAC, UNA) che tendono a garantirsi un rispetto istituzionale. Le iniziative dimostrative sono legate a gruppimeno strutturati che si attivano su obiettivi particolari normalmente caratterizzati come campagne. La cam-pagna AIP (Attacca l’Industria della Pelliccia) e l’omonimo gruppo ne costituiscono un esempio. Le azioniconfrontative, tipiche di alcuni gruppi anglosassoni, non hanno corrispettivi in Italia mentre le azioni illegalihanno un certo spazio e sono genericamente firmate con l’acronimo ALF (Fronte di Liberazione Animale).

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Scrivo questa lettera ai lettori di «A»da antispecista e con lo stesso spiritoche mi animava anni fa quando mi ri-volsi agli animalisti. Molti come me sitrovano in una posizione di mezzo tra idue movimenti che non avrebbe moti-vo di esistere se questi si evolvessero fi-no a percorrere la stessa strada.

Ricordo come fosse ieri la letteraaperta al movimento animalista in cuicercavo di affrontare l’importanza dicostruire un’identità tra coloro che sioccupano di lenire l’enorme dolore chela società infligge agli animali non uma-ni. Sostenevo allora la necessità di faremergere, da un approccio essenzial-mente sentimentale e pietistico, unaprospettiva capace di sostenere, su tut-ti i piani che spettano al discorso,l’opportunità di cambiare uno stato dicose che reifica coloro che non appar-tengono alla specie umana. La logicaopportunistica di formare un movi-mento unito al di là delle differenze po-litiche non tiene infatti conto della se-rietà e dell’assunzione di responsabilitàche sta nel ponderare e scegliere unaposizione, difenderla e determinarla neiconfronti delle idee contrarie.

Perseguire un fine specifico, come laliberazione di tutti gli animali dallo sfrut-tamento, non può esimersi dal conside-rare che ciò è possibile, e auspicabile, so-lo in un ipotetico mondo totalmente li-berato. Una battaglia antispecista, chevada oltre l’animalismo a testa alta, de-

ve evidenziare il profondo legame tra di-scriminazione a discapito degli animali eprevaricazione nell’ambito delle stesserelazioni degli uomini e delle donne.

Il mio intervento di allora nascevadal desiderio di influenzare un dibatti-to che si era aperto in modo confuso sulrapporto tra sfruttamento animale e po-litica e che comprendeva la richiesta daparte di realtà riconducibili all’estremadestra di intervenire sulle tematiche diliberazione animale. In quel periodo siera alzato un certo clamore in seguitoal nascere di campagne di pressione chesupportavano l’azione diretta e, con es-se, la non necessaria subordinazione alconcetto di legalità. Tale impostazionepresupponeva una critica allo Stato, conle sue leggi, le sue pressioni sulle mi-noranze dissidenti e i suoi condiziona-menti di ordine morale. Sostenevo che,superata una visione protezionistica neiconfronti del “povero animale”, tuttiinsieme dovessimo batterci a favore del-la diffusione dell’uguaglianza oltre laspecie di appartenenza. Molto di più,quindi, di un semplice, seppur dovuto elegittimo, atto di compassione.

Meccanismoperverso

Scrivevo: «La prassi del “tutto fa bro-do” è ciò che ci ha lasciati indietro, at-territi dalla paura di essere in pochi,

schiacciati dal meccanismo perverso delsistema che vogliamo ribaltare, che an-cora ci tiene sotto i piedi con il terroredel pensiero libero, che diventa scon-veniente». Ricordo la forza che sentivoquei giorni, l’entusiasmo che mi ani-mava per aver conosciuto la prospetti-va anarchica. Quella sensazione la por-to ancora dentro, come fosse ieri: uncaldo vento rigenerante aveva spazza-to via gli imbarazzi e i limiti che primami impedivano di percepire la ragione-volezza che era alle radice dei miei di-sagi nella vita.

Un amico anarchico un giorno mi dis-se: «O sei anarchico ora o, mio caro,non lo sarai mai». Essere sensibile allesorti di un animale, di un gatto investi-to riverso su di una strada quanto di untopo torturato per fini di ricerca medi-ca, assume in me lo stesso senso di au-tenticità. Dicevo un giorno a un amico:«Se impari a comunicare con un ani-male scoprirai l’essenza del linguaggio».Esiste una predisposizione primordia-le a relazionarci con gli animali, una fa-coltà insostituibile che deriva da milio-ni di anni di convivenza. Quando la ci-viltà non aveva ancora stravolto a pro-prio piacimento la morfologia terrestre,la nostra specie plasmava la sua vita an-dando oltre le prerogative intraumane.

Tutto questo è come riaprire una fi-nestra nella stanza in cui hanno confi-nato i tuoi desideri, una vista su un pa-norama che proietta un nuovo senso del-

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di Willy Lorbo

L ettera apertadi un anarchicoantispecista

Sommario mancamanca il sommario quì.

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la vita e che parla di libertà. Un punto sulquale soffermarsi per raggiungere nuo-vi obiettivi. Ricordo cosa mi conquistòdel cosiddetto, variegato come nessunaltro, movimento anarchico: il pregio dioccuparsi della ricerca della libertà fa-cendone la questione fondante in meri-to a tutte le sue aspettative; sceglierla co-me un riferimento che, seppur a voltedistante dalle contingenze del presente,conferisce lucidità ad un’analisi impre-scindibile del futuro. Destreggiarsi nellabirinto delle norme comporta la ri-nuncia a credere nell’opportunità di pro-ferire un messaggio rivoluzionario, per-petua il proliferare dell’autoritarismo,alimentando il ricorso allo strumento de-responsabilizzante della delega.

Ricordo, però, anche un periodo suc-cessivo, in cui andavo scoprendo che lamia tendenza innata ad idealizzare lesituazioni si scontrava con la frequen-tazione di coloro i quali avevano fattodella libertà una bandiera sotto la qua-le nascondere i propri indugi, debolez-ze e difficoltà.

Un ennesimo tuffo nella realtà. Esi-ste una sorta di ideologia che si originanella sparuta schiera degli oppositori alpotere. È l’ideologia della conflittualitàassoluta, che fa leva sulla presunta per-corribilità del contrasto perenne. Un at-teggiamento denso di autoreferenzia-lità che sfocia in un’asettica presa di po-sizione contro tutto ciò che non si ade-gui perfettamente alla purezza delle so-luzioni proposte.

È limitato e limitante inseguire unsogno circoscrivibile alla sola umanità.Comunque si realizzasse non sarebbecompleto, sarebbe la riconferma di unennesimo ordine prestabilito. Vigonoalcuni luoghi comuni che si ripetono

persino all’interno dell’area anarchica;scambiate le abitudini per fondamentidel pensiero, i più arrivano a costruirsidelle scusanti senza mettere mai in di-scussione la natura delle scelte quoti-diane, che per noi anarchici dovrebbe-ro essere scelte politiche. Non intendosviluppare in questa sede tutte le opi-nioni personali in merito; voglio soloconcentrarmi sulle risposte che ho ri-cevuto da chi rivendica la sua “libertà”di usare gli animali come fonte di so-stentamento.

Confrontoaperto

Considerazioni per fortuna soggetti-ve alla luce del fatto che nessuno ha for-mulato teorie condivise. Esiste infattiuna coincidenza di vedute circa la de-tenzione, la tortura e l’utilizzo a scopoludico degli animali: una condanna una-nime e decisa. Esiste, purtroppo, unanetta, quasi zittita, incompatibilità trachi pensa che l’animale possa essere tra-sformato in cibo e chi è vegano, ridu-cendo così l’impatto di nocività sul giàcompromesso ecosistema ed evitandoil coinvolgimento di esseri senzienti nelproprio vestiario e nella propria ali-mentazione.

È bene sottolineare questa distin-zione in seno ad un movimento che cre-de, come sua caratteristica fondamen-tale, al confronto aperto. Eppure è fre-quente ascoltare frasi del tipo: «Unadieta che evita il consumo di carne, lat-te e uova è frutto dell’alienazione distampo borghese». Perché invece nonchiedersi le ragioni per cui il mercatofavorisce con incentivi e sgravi fiscali

l’industria della produzione zootecnicae la vendita di derivati animali? Anco-ra: «Meglio rifornirsi in allevamenti nonintensivi, in aziende biologiche, non con-taminate da ormoni e farmaci sommi-nistrati agli animali». Perché evitare laquestione alludendo a prigioni più gran-di, a soluzioni che di pulito hanno esclu-sivamente la facciata pubblicitaria, aun’aspirazione alla propria salute per-sonale tanto miope quanto cinica?

La verità è che siamo tutti figli dellostesso sistema che contemporaneamen-te osteggiamo. La verità è che spesso loriproduciamo fino ad allargarne la giàfolta schiera di fedeli servitori. Le per-sone che crescono nell’indifferenza san-no chiudere gli occhi al punto che, mes-se di fronte all’evidenza dei fatti, ricor-rono all’ipocrisia, annaspando in impro-babili giustificazioni. Confermare lo sta-tus quo corrisponde a pagare un’assicu-razione per non avere problemi da risol-vere. Omologare è diventato un istintoacquisito per la sopravvivenza che si au-toalimenta, quasi non fosse indotto conartificio. I singoli percorsi individuali con-vergono a determinare un quadro com-plessivo che genera la sottomissione dialcuni individui ad altri. Di conseguenzadobbiamo continuamente interrogarci.

Guardando un animale vedo che lapredisposizione all’autodeterminazione,il dedicarsi alla socialità, il sottrarsi allasofferenza, fisica e psicologica, non sonoprerogative esclusive del genere umano.Proviamo ad immaginare per un attimoun’esistenza nella quale ciò in cui cre-diamo è estendibile a chiunque la vive.Niente di nuovo alla fine, se non la no-stra peculiarità che si rinnova.

■ Willy Lorbo

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Rifugi, oasi, santuari

Rifugio, oasi e santuario sono sinonimi utilizzati dal movimento antispecista per definire luoghi dove ci si pren-de cura degli “animali da reddito”, luoghi dove questi animali sfiniti da un processo produttivo delirante ven-gono finalmente “riabilitati” a condurre una vita libera e consona alle loro esigenze etologiche. Storicamente,i primi rifugi per animali sono i panjarapole (veri e propri ospedali dove sono accolti animali anziani, malati eprivi di protezione) della religione jaina dell’India, religione che si fonda sulla dottrina della ahimsa (nonvio-lenza). I primi rifugi “laici” nascono invece nel mondo anglosassone, dove il movimento animalista modernoè nato e si è maggiormente sviluppato. Negli ultimi anni, tuttavia, anche l’Italia ha visto il fiorire di questo fe-nomeno; tra i principali rifugi italiani visitabili, si segnalano: Porcikomodi con le sedi di Arese e Magnago (Mi)e Nave (Bs) (www.vitadacani.org), Valle Vegan nei comuni di Rocca S. Stefano e Bellegra (Rm)(www.vallevegan.org) e l’Oasi Angels a Fraore (Pr) (www.sosangels.it).

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Si fa presto a dire «le galline». Non ave-vo mai conosciuto una gallina in vita mia.Anzi, erano sempre stati esseri che mi

procuravano una leggera repulsione. Il lorofissarti gelido, le zampette squamose, quelmuoversi a scatti, lo sguardo inespressivo e vi-treo, me le rendevano estranee, lontane. In-somma, rispetto ai mammiferi,anche ai più piccoli, il paragonenon reggeva proprio. Alfonso eCarlotta arrivarono una dome-nica pomeriggio. Alfonso avevauna ferita su una zampa: lo ave-vano tenuto legato con una cor-da perchè non scappasse. Pre-sto lo avrebbero ucciso perchèil suo strepitoso e altissimo can-to infastidiva una signora delcortile dove viveva. Lo avrem-mo accolto nel rifugio se insie-me a lui ci avessero portato an-che una gallina per fargli com-pagnia. Così anche Carlotta fusalva. Ma Carlotta era ancora unapulcinotta (sarebbe stato uno spreco regalareuna gallina già adulta) che il gallo seguiva co-me fosse una figlia. Alfonso non cercò mai diaccoppiarsi con lei e necessitava di una com-pagna che gli fosse all’altezza. Giuseppe, ilcontadino che collabora alla gestione del ri-fugio, decise allora di rubare una gallina dalpollaio della moglie la quale non se ne accor-se o, se si accorse, non disse mai nulla. Appe-na Alfonso vide Clotilde avvicinarsi guardin-ga alla nuova residenza fu amore a prima vi-

sta. In due minuti si accoppiarono 4 o 5 volte. I tre uccelli vissero tranquilli per due me-

si, in perfetta armonia. Dopo qualche setti-mana trovammo una gallina girovaga, scap-pata da non si sa dove, che passeggiava in-curante dei cacciatori e dei carnivori dellazona. Ovviamente dopo un breve insegui-

mento anche Claretta fu sana e salva nel-l’oasi. Alfonso apprezzò Claretta (anche sela sua favorita rimaneva Clotilde) e tra letre galline e il gallo si instaurò presto gran-de amicizia e complicità. Carlotta, l’unicagallina bianca, seguiva Alfonso ovunque eanche lui apprezzava la sua vicinanza, lachiamava e correva per raggiungerla quan-do si perdevano di vista. Ma ancora adessonon li abbiamo mai visti accoppiarsi.

Condizioni assurdee vergognose

I quattro intrattenevano rapporti ami-chevoli anche con le capre e le anatre (me-no coi maiali) ma ad una certa ora del po-

meriggio estivo il quartetto si iso-lava e si incamminava a esplorarela parte in fondo del campo.

Passò qualche altra settimanae arrivò nel rifugio un gruppettodi galline ovaiole. Esseri che era-no stati costretti a sopravvivere incondizioni assurde e vergognose.Animali malati, esauriti nel corpo,storditi nella mente. Ai mangiato-ri di uova vorrei dire: «Che le uo-va possano andarvi di traverso epossiate un giorno capire davverola violenza da cui nascono!». I pri-mi 3-4 giorni le nuove arrivate qua-si non si muovevano. Spaventate

dagli altri animali e dall’entusiasmo diAlfonso, stavano in disparte, come se stes-sero imparando a vivere. Due di loro (Mo-sciona e Codanera) purtroppo morirono.Indebolite dopo anni di gabbia e antibioti-ci si ammalarono al contatto con la vita.

Ma la vita alla fine contagiò quelle chesopravvissero. Decisero un giorno di di-menticare il passato. Decisero di non ser-bare tristezza e di godere di quella felicitàche ancora sarebbe rimasta. Le galline can-tano! Come tutti gli altri uccelli. Modulano

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di Alessandra Galbiati

S i fa presto a dire”le galline”

Attivista di Oltre la specie, gestisce con Raffaella Giardiniun rifugio per i cosiddetti “animali da reddito”.

Da sinistra: Raffaella Giardini e Alessandra Galbiati

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diversi suoni. Il più comune, quello che tut-ti conosciamo, è il classico «cococo» riferi-to al cibo. Poi modulano dei suoni dolci egorgoglianti per comunicare gioia e benes-sere. Urlano quando si spaventano e si sa-lutano quando si incrociano. Se si ha un po’di pazienza e le si osserva con attenzione, siiniziano a comprendere molti particolari esi inizia a conoscere il carattere di ognuna.All’inizio, per intenderci tra noi, dicevamo«le galline», ora diciamo: «Hai visto che Cre-

stina si avvicina per farsi accarezzare?”,«Schifì e Clotilde non si piacciono molto,spesso si beccano mentre mangiano», «Mo-scina non ama la compagnia di Alfonso e sene sta spesso da sola a girovagare nell’er-ba»,... Ora ogni gallina ha il suo nome e co-sì come per i cani e le persone, il suo carat-tere individuale.

Bibì e Bibò, per esempio, sono letteral-mente inseparabili. Amiche per la pelle findal primo momento, non stanno mai a più

di un metro una dall’altra. All’imbruniredanzano insieme in cerchio e si appollaia-no contemporaneamente sulla staccionataper passare la notte vicine, a stretto contat-to. Sì, perchè a differenza di tutte le altre, lo-ro dormono all’aperto. Amano le stelle e ilvento, amano la pioggia e la brina. Come lecornacchie sugli alberi e i pettirossi nellesiepi, loro sentono di essere dei veri uccel-li. Probabilmente vicine un tempo nella stes-sa gabbia, o sorelle nella stessa incubatrice,mi piace pensare che si siano sempre fatteforza a vicenda, un tempo nella orribile sor-te come ora nelle belle sere di luna. Questoloro affetto reciproco, così totale e incon-dizionato, è tra le cose che mi emozionanodi più quando osservo gli animali del rifugio.E mi chiedo, per esempio, se Mosciona, mor-ta poco dopo il suo arrivo, non abbia per ca-so lasciato una delle altre con una ferita nel-l’anima che io non riesco neppure ad im-maginare.

Un mese dopo il gruppo si allargò anco-ra: arrivarono Adalberto e Camilla, un’altracoppia a rischio-vita. Adalberto è un gal-letto piccolo, Camilla la sua minuscola com-pagna. Il primo giorno pensammo di met-terli in un recinto da soli per tenerli un po-co sotto osservazione e evitare che Alfon-so potesse essere eccessivamente aggressi-vo con lui e insistente con lei. La mattina cispaventammo: i nuovi arrivati erano fuggi-ti dal recinto. Meno male che erano solo vo-lati oltre la rete a poche decine di metri, perraggiungere le altre galline del rifugio. Adal-berto, che è piccolissimo e molto gentile ri-spetto ad Alfonso, è il preferito di Bibì eBibò che, seppur non disdegnano Alfonso,passano più tempo con lui. Lo becchettano,

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Alfonso, Carlotta e Claretta

Campagne Il Coordinamento Chiudere Morini (www.chiuderemorini.net) è nato nell’ottobre 2002 con lo scopo di far cessarel’attività dell’allevamento omonimo per mezzo di proteste indirizzate verso i partner commerciali della ditta. Questoallevamento da 30 anni vende animali a laboratori di sperimentazione e attualmente vi sono rinchiusi più di 350 bea-gle e centinaia di criceti, topi, conigli, gerbilli, porcellini d’India e ratti. Varie testimonianze provano che le condizio-ni in cui sono tenuti gli animali sono pessime, con una mortalità dei cani molto superiore alla media.La Campagna AIP (Attacca l’Industria della Pelliccia – www.campagnaaip.net) nasce nel 2004 con lo scopo di porta-re alla luce la realtà dell’industria della pelliccia e contribuire alla sua definitiva cessazione. Dopo avere ottenuto uncambiamento di politica aziendale da parte de La Rinascente e di Upim, la campagna si è ora focalizzata sul GruppoCoin. L’attenzione di AIP è indirizzata anche verso la vendita di inserti di pelliccia, l’ultima tendenza proposta daglistilisti della moda per ingannare gli acquirenti e rilanciare un prodotto che generalmente viene percepito come cru-dele.Coalizione contro la vivisezione nelle Università (C.c.v.U. – www.bastavivisezione.net) opera attraverso un interven-to capillare sul territorio al fine di promuovere una presa di coscienza collettiva contro la sperimentazione animale.Esercitazioni nei laboratori e nelle aule adibite all’insegnamento universitario comportano indicibili sofferenze ad unnumero incalcolabile di esseri viventi. In Italia la situazione per quanto riguarda la ricerca pubblica è favorevole ri-

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lo puliscono teneramente e lo coinvolgononelle loro danze e canti di felicità. Cresto-na, invece, non ama i maschi, non li cerca eloro sembrano rispettare la sua indifferen-za. Clotilde e Carlotta sono molto gelose diAlfonso, forse rimpiangono il terzetto o almassimo il quartetto iniziale e tentano, inu-tilmente, di scacciare le altre galline che ilgrosso gallo continua a chiamare a raccoltaquando trova qualche chicco di mais per ter-ra o una zona di terra particolarmente at-traente da becchettare. Claretta, socievolee molto meno possessiva, non è per nullaostile al gruppetto delle nuove arrivate, an-zi, la si vede spesso passeggiare e fare ami-cizia ora con l’una, ora con l’altra. Camillaè forse la più infelice. Troppo piccola perAlfonso, troppo diversa dalle altre galline,un po’ dimenticata da Adalberto, spesso siconsola inserendosi nel gruppo delle anatreche mi pare siano animali più schivi e tolle-ranti delle galline.

Quando ero piccola, la sola idea di po-ter entrare in contatto con una gallina, opeggio ancora con le sue zampette gelide,mi procurava una specie di incubo, ora, ap-pena arrivo al rifugio la mattina, vado dicorsa a prendere Cocò dal suo recinto prov-visorio (zoppica leggermente e l’abbiamoisolata in modo da proteggerla dall’irruen-za delle due maiale) e lei, appena mi sente,mi canta una sua dolce melodia e quando laprendo in braccio e l’accarezzo continua agorgogliare, contenta che qualcuno le sus-surri parole gentili.

■ Alessandra Galbiati

�Libri, siti e riviste

BibliografiaPaola Cavalieri, La questione animale. Per una teoria allargata dei diritti umani, Bollati Borin-ghieri 1999.Jacques Derrida, L’animale che dunque sono, Jaca Book 2006.Vinciane Despret, Quando il lupo vivrà con l’agnello. Sguardo umano e comportamenti animali,Elèuthera 2004.Gino Ditadi (a cura di), I filosofi e gli animali, Isonomia 1994.Michel Faber, Sotto la pelle, Einaudi 2004.Donald R. Griffin, Menti animali, Bollati Boringhieri, 1999.Milan Kundera, L’insostenibile leggerezza dell’essere, Adelphi 1985.Rosa Luxemburg, Un po’ di compassione, Adelphi 2007.Jim Mason, Un mondo sbagliato. Storia della distruzione della natura, degli animali e dell’umanità,Edizioni Sonda 2007.Enrico Moriconi, Le fabbriche degli animali. Alle origini dell’insicurezza alimentare. Edizioni Co-smopolis 2007.Anna Maria Ortese, Corpo celeste, Adelphi 1997.Charles Patterson, Un’eterna Treblinka. Il massacro degli animali e l’Olocausto. Editori Riuniti2003.James Rachels, Creati dagli animali. Le implicazioni morali del darwinismo. Edizioni di Comu-nità 1996.Tom Regan, I diritti animali, Garzanti 1990.Tom Regan, Gabbie vuote. La sfida dei diritti animali, Edizioni Sonda 2005.Jeremy Rifkin, Ecocidio. Ascesa e caduta della cultura della carne, Mondatori 2001.Hans Ruesch, Imperatrice nuda, Civis 1989.Peter Singer, Liberazione animale, Net 2003. Lev Nicolaevi Tolstoj, Contro la caccia e il mangiar carne, Isonomia 1993.Sabrina Tonutti, Diritti animali: storia e antropologia di un movimento, Forum 2007.

SitografiaUn elenco ragionato e aggiornato di siti antispecisti si può trovare nella pagina dei link di Oltrela specie (www.oltrelaspecie.org), dove è anche possibile reperire i libri sopra elencati. Un altropunto dove vale la pena di iniziare a navigare è il sito di Rinascita animalista(http://www.liberazioni.org/ra/ra/index.html). Un grande archivio di documenti sui diritti animali è quello fondato da Tom Regan:http://www.lib.ncsu.edu/animalrights/.RivisteLiberazioni (http://www.liberazioni.org/liberazioni/rivista.htm)La Nemesi (http://www.chiuderemorini.net/la_nemesi.htm)Veganzetta (http://www.veganzetta.org/)Journal for Critical Animal Studies (http://www.cala-online.org/Journal/Journal.html)Les Cahiers antispécistes ( http://www.cahiers-antispecistes.org/)

spetto ad altre nazioni della Comunità Europea, poiché i 3/4 degli atenei hanno già abbandonato il ricorso agli ani-mali nella didattica ed è vigente una legge che consente l’obiezione di coscienza. La pressione esercitata dai gruppi lo-cali si innesta su tale situazione con l’intento di favorire quei cambiamenti che portino al totale abbandono della spe-rimentazione animale anche al di fuori del circuito universitario.