Anno 16, n. 2(160) - Febbraio 2019 Curia e pastorale per...

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Registrazione al Tribunale di Velletri n. 9/2004 del 23.04.2004 - Redazione: C.so della Repubblica 343 - 00049 VELLETRI RM - 06.9630051 - fax 0696100596 - [email protected] Mensile a carattere divulgativo e ufficiale per gli atti della Curia e pastorale per la vita della Diocesi di Velletri -Segni Anno 16, n. 2(160) - Febbraio 2019

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22 Febbraio 2019Febbraio 2019Anno 16, n. 2 (160)

Il contenuto di articoli, servizi foto e loghi nonché quello voluto da chi vi compare rispecchia esclusivamente il pensiero degliartefici e non vincola mai in nessun modo Ecclesìa in Cammino, la direzione e la redazione.Queste, insieme alla proprietà, si riservano inoltre il pieno ed esclusivo diritto di pubblicazione, modifica e stampa a propriainsindacabile discrezione senza alcun preavviso o autorizzazioni. Articoli, fotografie ed altro materiale, anche se non pubbli-cati, non si restituiscono. E’ vietata ogni tipo di riproduzione di testi, fotografie, disegni, marchi, ecc. senza esplicita autorizza-zione del direttore.

Ecclesia in camminoBollettino Ufficiale per gli atti di Curia

Mensile a carattere divulgativo e ufficiale per gli attidella Curia e pastorale per la vita della

Diocesi di Velletri-Segni

Direttore ResponsabileMons. Angelo Mancini

CollaboratoriStanislao FioramontiTonino Parmeggiani

Mihaela Lupu

ProprietàDiocesi di Velletri-Segni

Registrazione del Tribunale di Velletri n. 9/2004 del 23.04.2004

Stampa: Quadrifoglio S.r.l.Albano Laziale (RM)

RedazioneCorso della Repubblica 34300049 VELLETRI RM06.9630051 fax 96100596 [email protected]

A questo numero hanno collaborato inoltre: S.E. mons. Vincenzo Apicella, p. Giulio Albanese, don CarloFatuzzo, don Andrea Pacchiarotti, p. Luciano Manicardi,don Claudio Sammartino, Sara Gilotta, Massimiliano Postorino,Sara Bianchini, Giovanni Zicarelli, Mara Della Vecchia,Luca Leoni, Alessandra Terrei, Costantino Coros, ClaudioCapretti, Antonio Bennato, Massimo Riccardi, AlessandroMaggiore, Francesco Cipollini, Marco Pappalardo,Augusto Cianfoni.

Consultabile online in formato pdf sul sito:www.diocesivelletrisegni.it

DISTRIBUZIONE GRATUITA

In copertina:

Papa Francesco confessa un giovane detenuto - XXXIV GMG

Foto: AP Photo, Alessandra Tarantino

- Battesimo: “Che cosa chiedete alla Chiesa di Dio?”,

+ Vincenzo Apicella p. 3

- “È la paura che ci rende pazzi”,p. Giulio Albanese e + Vincenzo Apicella p. 4

- Viaggio Apostolico di Papa Francescoa Panama in occasione della XXXIV Giornata Mondiale della Gioventù,

Stanislao Fioramonti p. 5- Messaggio di Papa Francesco in occasione della XXVII Giornata Mondiale del Malato,

Stanislao Fioramonti p. 8

- Gli angeli nei testi sacri, nella Commedia ed in mezzo a noi,

Sara Gilotta p. 9- Pillole di bioetica cristiana / 2,

don Carlo Fatuzzo p. 10- Donaci, Signore, profeti di salvezza,

Massimiliano Postorino p. 11

- La Parola e le parole. Quando la tentazione si fa segno,

Claudio Capretti p. 12- Eliseo, e la lebbra del potere,

Antonio Bennato p. 13- Calendario dei Santi d’Europa / 24. 27 febbraio, San Gabriele dell’Addolorata, patrono degli Abruzzi,

Stanislao Fioramonti p. 14

- Là dov’è il tuo tesoro, là...,Sara Bianchini p. 16

- La fraternità evangelica tra i presbiteri / 2,p. Luciano Manicardi p. 17

- Liturgia / 8. La liturgia della Parola,don Andrea Pacchiarotti p. 19

- Velletri, 5 gennaio 2019: Claudio Sinibaldi ordinato Diacono,

Giovanni Zicarelli p. 20

- Velletri, 24 gennaio: Incontro di Preghiera per l’Unità dei Cristiani,

Alessandro Maggiore p. 21

- L’Anno Aloisiano a Valmontone / 4, Stanislao Fioramonti p. 22

- Colleferro il 5 gennaio: Concerto ”tutte le genti verranno e canteranno al tuo nome”,

Massimo Riccardi p. 23

- Colleferro Solidale nelle festività natalizie,Giovanni Zicarelli p. 24

- Speciale Thomas Becket:

Thomas Becket: uno “scatto fotografico” del 1581!Segni, chiesa di S. Lucia: l’altare dedicato a San Tommaso arcivescovo di Canterbury,

Francesco Cipollini p. 26

S. Tommaso Becket: cittadino onorario di Segni?,don Claudio Sammartino p. 27

- La Giornata della Memoria in chiesa,Marco Pappalardo p. 28

- 23 gennaio 2019: Incontro della Consulta Regionale dei Beni Culturali - Edilizia di Cultodella Conferenza Episcopale Laziale. Beni culturali ecclesiastici: un patrimonio da tutelare e da far conoscere per trasmettere la fede, conservare la memoria e raccontare la storia, Costantino Coros p. 29

- Il Restauro dei Documenti dell’Archivio Storico Diocesano di Velletri / 2,

Alessandra Terrei p. 30

- Il Sacro intorno a noi / 54. Cura di Vetralla (VT) dal Convento di Sant’Angelo all’Eremo di San Girolamo,

Stanislao Fioramonti p. 32

- Rocca Massima riconosciuta tra le “mete turistiche” più apprezzate,

Augusto Cianfoni p. 35

- Campaniliana terza edizione - 2019, Fondazione di Partecipazione Arte e Cultura Città di Velletri p. 36

- MisaTango di Martin Palmeri,Mara Della Vecchia p. 37

- Sant’Apollonia, ausiliatrice dei denti e dell’emicrania,

Luca Leoni p. 38

- Decreto di nomina p. 38

33Febbraio 2019Febbraio 2019Anno 16, n. 2 (160)

� Vincenzo Apicella, vescovo

AAll’inizio della celebrazione del Battesimo, dopo aver chiesto aigenitori il nome scelto per il loro figlio, si passa alla seconda doman-da, che ugualmente non può essere presa alla leggera e meri-

ta qualche approfondimento e precisazione: per questa creatura “che cosachiedete alla Chiesa di Dio?” Anch’essa non è una domanda superfluao semplicemente convenzionale, come possono far supporre le rispostesuggerite nel rito (“se siamo qui è evidente che chiediamo il Battesimo…”),ma contiene almeno due importanti presupposti necessari ad una ade-guata comprensione di quanto si sta celebrando. Anzitutto risulta chiaroche il sacerdote, o il diacono, non agisce a titolo personale: la richiestaè rivolta alla Chiesa, che è questa comunità particolare, formata da que-ste persone concrete, che si raduna oggi, qui, in comunione col vesco-vo e che rende presente l’intera Chiesa, terrena e celeste, Corpo unitoal suo Capo, Cristo, la Vite vera, che misteriosamente e realmente inne-sta, attraverso il Sacramento, un nuovo tralcio a se stesso.Quando il ministro battezza, diceva S. Agostino, è Cristo stesso che bat-tezza, rende partecipe ed immerge questo bambino nel Mistero della suavita di Risorto, vita di Figlio di Dio, vita dello Spirito Santo, ma Cristo ope-ra per mezzo della sua Sposa, la Chiesa, scaturita nel segno dell’acquae del sangue dal suo costato squarciato sulla Croce. A questa Chiesa, rappresentata dal ministro, i genitori si rivolgono per-ché accolga nel suo seno questa nuova creatura, poiché, come dicevaS. Cipriano: “non può avere Dio per Padre, chi non ha la Chiesa comeMadre”. Reciprocamente, da qui deriva la necessità che questa Chiesa,questa comunità concretamente presente, sia consapevole e coscientedi agire in nome del suo Signore e di essere, quindi, il vero soggetto prin-cipale della celebrazione. Si è molto insistito nella Lettera pastorale e nel-la sua presentazione sull’indispensabile coinvolgimento di tutta la comu-nità parrocchiale nella celebrazione del Battesimo, che non riguarda sologli stretti familiari del bambino o gli amici più intimi, ma esige la parteci-pazione di tutti in una liturgia animata nel modo più completo possibile,con i lettori, il canto, i ministranti…: è la nuova grande famiglia in cui staper entrare.In secondo luogo, la domanda posta ai genitori chiede loro di esprimerepubblicamente e solennemente cosa desiderano per questo bambino. Tornaalla mente la scena evangelica in cui due discepoli di Giovanni il Battistalasciano il loro maestro per seguire Gesù: Giovanni lo aveva indicato come“l’Agnello di Dio” ed essi comprendono che l’attesa era ormai compiuta,la voce cedeva il posto alla Parola, la lampada alla Luce.“Gesù allora si voltò e, osservando cheessi lo seguivano, disse loro: ‘Che cosacercate?’ ” (Gv.1,38): è una domandaprecisa, cui spesso però non si pen-sa abbastanza e, in alcuni casi, vie-ne totalmente ignorata, mentre sareb-be necessario che ognuno di noi la sen-tisse seriamente rivolta a se stesso.Che cosa cerchiamo, anzitutto per noie, poi, per questo bambino? Se cer-chiamo una vita comoda e senza pro-blemi, un’assicurazione contro lemalattie e le disgrazie, una omologa-zione a un dato di fatto scontato e tra-dizionale, una consolazione a buon mer-cato, forse abbiamo sbagliato indiriz-zo. Alla domanda di Gesù i due rispon-dono con un’altra domanda: “Rabbì (chesignifica Maestro), dove dimori?”:hanno già compreso che si tratta di met-tersi alla scuola di quello sconosciu-to, di sapere dove abita, cioè dove tro-varlo; “Disse loro: ‘Venite e vedrete’.

Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero conlui” (v.39). Con questo Maestro occorre “rimanere”, condividere la sua vitae non contentarsi di un insegnamento teorico o moralistico, anche se spes-so faranno molta fatica a stargli appresso e saranno spiazzati quando dovran-no scoprire, un po’ alla volta, che le vie percorse da Lui non sono quelleche avrebbero scelto loro, ma Egli solo ha parole di vita eterna, Egli è iltesoro nascosto nel campo e la perla preziosa per la quale vale la penadi mollare tutto (Mt.13,44-46); impareranno a cercare anzitutto il Regnodi Dio (Mt.6,33) e a non cercare i primi posti (Lc.14,7). La domanda “Che cercate?” diventa ancora più provocatoria se pensia-mo che in questo momento riguarda il figlio che portiamo al Battesimo.Quante idee, quante aspirazioni, quanti interrogativi passano per la men-te di fronte ad un bambino appena nato! La prima cosa che, di solito, sicerca di capire è: “a chi somiglia?” e non è raro proiettare su di lui i nostridesideri ed i nostri progetti; sembra anche di riascoltare la domanda chela gente si poneva alla nascita di Giovanni il Battista: “Che sarà mai que-sto bambino?...” (Lc.1,64): diventerà un personaggio importante, avrà suc-cesso, potrà godersi la vita, sarà felice? “…e davvero la mano del Signoreera con lui”: quello che è certo è che il Signore lo ha voluto, perché lo haamato da sempre, ha un progetto su di lui che occorrerà scoprire giornoper giorno anche attraverso le prove e le difficoltà che non possono man-care per alcuno, gli ha preparato un posto e lo prende per mano perchépossa stare accanto a Lui per sempre e, se da grande si dimenticherà diLui, sarà Lui a cercarlo. Per ora gli occhi del bambino contemplano il vol-to del Padre che è nei Cieli e riflettono il suo sorriso (Mt.18,10); quelloche noi cerchiamo per lui è anzitutto che sia felice veramente proprio invirtù del Battesimo che riceve e viva sempre nella gioia di essere tra lebraccia di un Padre, da cui nessuna cosa al mondo, neanche la morte,potrà mai strapparlo (Gv.10,29). Proviamo a rimeditare tutto questo alla luce della festa che apre il mesedi febbraio, la Presentazione di Gesù al Tempio, la festa dell’Incontro diDio col suo Popolo, comunemente detta Candelora, quando il vecchio Simeoneprende tra le braccia il Bambino e riconosce in Lui “la Luce delle genti ela Gloria del tuo popolo, Israele” (Lc.2,32), mentre “il padre e la madre diGesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui” (v.33): forse allorapotremo imparare da Maria, che, “da parte sua, custodiva tutte questecose, meditandole nel suo cuore” (Lc.2,19.51).

segue

44 Febbraio 2019Febbraio 2019Anno 16, n. 2 (160)

p. Giulio Albanese e + Vincenzo Apicella, vescovo

QQueste parole così forti sono state pronunciate dal Vescovo diRoma, Papa Francesco, sull’aereo che lo conduceva aPanama per le Giornate Mondiali della Gioventù a commento

delle misure adottate da alcuni governi nei confronti dei migranti. Si tratta di un fenomeno che interpella anche le nostre comunità cristianee di fronte al quale non possiamo mostrarci indifferenti. Non si può, infat-ti, che restare profondamente addolorati per la superficiale e ripetitivaretorica con la quale ormai da molto tempo si affronta il tema delle migra-zioni nel nostro Paese, perdendo di vista il fatto che, dietro i flussi migra-tori, gli sbarchi e le statistiche, ci sono pur sempre uomini, donne e bam-bini creati ad immagine e somiglianza di Dio, che hanno attraversato edattraversano inenarrabili sofferenze.Occorre riaffermare, pertanto, in linea con Papa Bergoglio, il sacrosan-to diritto alla vita, al rispetto della dignità umana e all’integrità fisica, mora-le e spirituale, conformemente al Vangelo, ma anche alla Dichiarazioneuniversale dei diritti dell’uomo e alla nostra Costituzione repubblicana equesto precede ogni possibile discussione su come affrontare concre-tamente il problema dei migranti e dei richiedenti asilo. Guardando poi in particolare a quanto sta avvenendo nella nostra Regione,desta inquietudine la chiusura del “Centro accoglienza dei richiedenti asi-lo” (Cara) di Castelnuovo di Porto. Con l’applicazione del recente “Decretosicurezza” molti migranti, da ora in poi, saranno costretti a sospenderei percorsi già avviati di studio e lavoro, come denunciato dalle stesseautorità comunali e dai responsabili delle nostre comunità ecclesiali. Quanto accade ormai sempre più spesso in Italia e nel Lazio, con unaspettacolarizzata violenza nei confronti di queste persone, ci spinge arinnovare un appello accorato a tutti, nostri fratelli e sorelle nella fede ein umanità, a dissipare pregiudizi e paure, abbandonando la cultura domi-nante dello scarto e del rifiuto. Ai credenti basterebbe ricordare il prin-cipio ecclesiale, identitario in senso cristiano, che si basa sul Vangelo:“Ero straniero e mi avete accolto” (Mt.25,35) e l’esigenza di poter dire:“Padre nostro” senza doverci vergognare di dire: “nostro”. Agli altri, sipuò ricordare il diritto delle genti, per non dire i principi della nostra Costituzione,che nessun provvedimento giurisdizionale può violare, volontariamen-te o inconsapevolmente. In particolare ai responsabili della cosa pubblica, specie a quanti dichia-

rano un’appartenenza cristiana, si fa presente che il Dio del Vangelo losi incontra soprattutto nel povero, in ogni povero, senza indegne con-trapposizioni di razza o di nazionalità. Additare i migranti come una peri-colosa minaccia al nostro benessere, definendoli in blocco potenziali cri-minali o approfittatori del nostro Paese è un atteggiamento non solo par-ziale, ma anche mistificatorio e strumentale. Come auspicato in più cir-costanze da Papa Francesco, bisogna credere fermamente che si “pos-sa operare con responsabilità, solidarietà e compassione nei confrontidi chi, per motivi diversi, ha lasciato il proprio Paese”, motivi spesso tra-gici e che hanno le loro concause anche in alcune nostre scelte eco-nomiche e di potere. A quanti, nelle strutture diocesane, anche a Velletri, e nell’associazio-nismo cattolico - e non solo - si impegnano nell’accoglienza e nella pro-tezione di tanti sfortunati fratelli e sorelle, si deve esprimere la gratitu-dine, la vicinanza e il sostegno di tutti. Pur rispettando il pensiero di chimanifesta opinioni contrarie, non si può tacere di fronte al pianto e allesofferenze di vite umane risucchiate dalle fredde acque del Mediterraneo,ribattezzato da molti “Mare Monstrum” o “Cimitero Liquido”, mentre sisvolge a livello politico e mediatico un grottesco “gioco delle parti”. Si deve ribadire, dunque, con Papa Francesco che l’accoglienza nellalegalità e la prossimità restano vie obbligate della pratica del dettato evan-gelico. Si è consapevoli delle oggettive difficoltà nel ricercare soluzionipolitiche soddisfacenti rispetto alla complessità dello scenario migrato-rio, quindi non si intende colpevolizzare nessuno, ma occorre essere altre-sì consapevoli che le risposte da trovare debbono essere espressionedi quella “pietas” cristiana che è costitutiva della nostra civiltà europea.Pertanto, suscita grande apprezzamento l’opera meritoria dei primi cor-ridoi umanitari, avviati, oltre che dalla Caritas Italiana e da tante Caritasdiocesane, dalla Comunità di Sant’Egidio, dalla Tavola Valdese, dalla Federazionedelle Chiese Evangeliche in Italia, in un vero ecumenismo della solida-rietà. In mancanza di una politica migratoria che apra vie sicure e lega-li di accesso verso l’Europa, sarà inevitabilmente e fatalmente incenti-vata la mobilità umana irregolare. E’ fuori luogo, quindi, ogni strumentalizzazione ideologica che pensa bastidefinire “buonista” ogni posizione critica, in quanto il Vangelo di Gesù,di cui vogliamo essere interpreti e testimoni, in questo delicato momen-to storico, interpella le coscienze e chiede a ciascuno di non acconten-tarsi di un’accoglienza indiscriminata, facilona e a buon mercato, ma dioperare con coraggio e lungimiranza per il bene comune, promuoven-do la giustizia, la pace, il rispetto della dignità umana.

55Febbraio 2019Febbraio 2019Anno 16, n. 2 (160)

sintesi a cura di Stanislao Fioramonti

Del Viaggio Apostolico di PAPA FRANCESCO A PANAMA in occasione della

XXXIV Giornata Mondiale della Gioventù, svoltosi dal 23 al 28 gennaio 2019, riportiamo

tre dei vari momenti significativi: il discorso alla fine della Via Crucis con i giovani,l’ultima parte dell’omelia alla S. Messa

per la GMG e il ricordo di alcuni gravi fatti di cronaca dopo l’Angelus domenicale.

DISCORSO ALLA VIA CRUCIS CON I GIOVANI

(Venerdì 25 gennaio 2019)

“Signore, Padre di misericordia, in questaCinta Costera, insieme a tanti giovani provenientidal mondo intero, abbiamo accompagnato il tuoFiglio sulla via della croce; quella via che ha volu-to percorrere per noi, per mostrarci quanto Tuci ami e quanto sei coinvolto nella nostra vita.Il cammino di Gesù verso il Calvario è un cam-mino di sofferenza e solitudine che continua ainostri giorni. Egli cammina, soffre in tanti voltiche soffrono per l’indifferenza soddisfatta e ane-stetizzante della nostra società, che consumae si consuma, che ignora e si ignora nel dolo-re dei suoi fratelli. Anche noi tuoi amici, o Signore,ci lasciamo prendere dall’apatia, dall’immobili-smo. Non poche volte il conformismo ci ha scon-fitto e paralizzato. È stato difficile riconoscerti nel fratello che sof-

fre: abbiamo distolto lo sguardo, per non vede-re; ci siamo rifugiati nel rumore, per non senti-re; ci siamo tappati la bocca, per non gridare.Sempre la stessa tentazione. È più facile e “paga di più” essere amici nellavittoria e nella gloria, nel successo e nell’applauso;è più facile stare vicino a chi è considerato popo-lare e vincente. Com’è facile cadere nella cul-tura del bullismo, delle molestie, dell’intimida-zione, dell’accanimento su chi è debole!Per Te non è così, Signore: nella croce ti seiidentificato con ogni sofferenza, con tutti quel-li che si sentono dimenticati.Per Te non è così, Signore, perché hai volu-to abbracciare tutti quelli che tante volte consi-deriamo indegni di un abbraccio, di una carez-za, di una benedizione; o peggio ancora, nem-meno ci accorgiamo che ne hanno bisogno, liignoriamo.Per Te non è così, Signore: nella croce ti uni-sci alla via crucis di ogni giovane, di ogni situa-zione per trasformarla in via di risurrezione.Padre, oggi la via crucis di tuo Figlio si pro-lunga: si prolunga nel grido soffocato dei bam-bini ai quali si impedisce di nascere e di tantialtri ai quali si nega il diritto di avere un’infan-zia, una famiglia, un’educazione; nei bambini chenon possono giocare, cantare, sognare...; si pro-lunga nelle donne maltrattate, sfruttate eabbandonate, spogliate e ignorate nella loro digni-tà; e negli occhi tristi dei giovani che si vedonostrappar via le loro speranze di futuro dalla man-canza di educazione e di un lavoro degno; siprolunga nell’angoscia di giovani volti, nostri ami-ci, che cadono nelle reti di gente senza scru-

poli – tra di loro si trovano anche persone chedicono di servirti, Signore –, reti di sfruttamen-to, di criminalità e di abuso, che mangiano sul-la vita dei giovani.Si prolunga in tanti giovani e famiglie che, assor-bite in una spirale di morte a causa della dro-ga, dell’alcol, della prostituzione e della tratta,si trovano privati non solo del futuro ma del pre-sente. E così come furono spartite le tue vesti,Signore, viene spartita e maltrattata la loro digni-tà. Si prolunga nei giovani coi volti accigliati chehanno perso la capacità di sognare, di crearee inventare il domani e “vanno in pensione” conla pena della rassegnazione e del conformismo,una delle droghe più consumate nel nostro tem-po. Si prolunga nel dolore nascosto e che faindignare di quanti, invece di solidarietà, da par-te di una società piena di abbondanza, trova-no rifiuto, dolore e miseria, e per di più vengo-no indicati e trattati come portatori e responsabilidi ogni male sociale. La passione del tuo Figliosi prolunga nella solitudine rassegnata degli anzia-ni, che lasciamo abbandonati e scartati.Si prolunga nei popoli nativi, spogliati delle loroterre, delle loro radici e della loro cultura, facen-do tacere e spegnendo tutta la sapienza che han-no e che ci possono offrire.Padre, La via crucis di tuo Figlio si prolunganel grido di nostra madre terra, che è ferita nel-le sue viscere dall’inquinamento dell’atmosfe-ra, dalla sterilità dei suoi campi, dalla sporciziadelle sue acque, e che si vede calpestata daldisprezzo e dal consumo impazzito al di là diogni ragione.

continua nella pag. 6

66 Febbraio 2019Febbraio 2019Anno 16, n. 2 (160)

Si prolunga in una società che ha perso la capa-cità di piangere e di commuoversi di fronte aldolore. Sì, Padre, Gesù continua a cammina-re, a farsi carico e a soffrire in tutti questi voltimentre il mondo, indifferente, e in un comodocinismo consuma il dramma della propria frivolezza.E noi, Signore, che cosa facciamo? Come rea-giamo di fronte a Gesù che soffre, cammina, emi-gra nel volto di tanti nostri amici, di tanti sco-nosciuti che abbiamo imparato a rendere invi-sibili? E noi, Padre di misericordia, consoliamoe accompagniamo il Signore, indifeso e soffe-rente, nei più piccoli e abbandonati? Lo aiutia-mo a portare il peso della croce, come il Cireneo,facendoci operatori di pace, creatori di allean-ze, fermenti di fraternità? Abbiamo il coraggiodi rimanere ai piedi della croce come Maria?Contempliamo Maria, donna forte. Da Lei voglia-mo imparare a rimanere in piedi accanto allacroce. Con la sua stessa decisione e il suo corag-gio, senza evasioni o miraggi. Ella seppe accom-pagnare il dolore di suo Figlio, tuo Figlio, o Padre,sostenerlo con lo sguardo e proteggerlo con ilcuore. Dolore che soffrì, ma che non la piegò.È stata la donna forte del “sì”, che sostiene eaccompagna, protegge e abbraccia. Ella è la gran-de custode della speranza.Anche noi, Padre, desideriamo essere una Chiesache sostiene e accompagna, che sa dire: sonoqui!, nella vita e nelle croci di tanti cristi che cam-minano al nostro fianco.Da Maria impariamo a dire “sì” alla resisten-za forte e costante di tante madri, tanti padri,nonni, che non smettono di sostenere e accom-pagnare i loro figli e nipoti quando sono “nei guai”.Da lei impariamo a dire “sì” alla pazienza testar-da e alla creatività di quelli che non si perdonod’animo e ricominciano da capo nelle situazio-ni in cui sembra che tutto sia perduto, cercan-do di creare spazi, ambienti familiari, centri diattenzione che siano una mano tesa nella dif-ficoltà. In Maria impariamo la forza per dire“sì” a quelli che non hanno taciuto e non tac-ciono di fronte a una cultura del maltrattamen-to e dell’abuso, del discredito e dell’aggressio-ne, e lavorano per offrire opportunità e condi-zioni di sicurezza e protezione.In Maria impariamo ad accogliere e ospitare tut-ti quelli che hanno sofferto l’abbandono, che han-no dovuto lasciare o perdere la loro terra, le radi-ci, la famiglia, il lavoro.Padre, come Maria vogliamo essere Chiesa,la Chiesa che favorisce una cultura capace diaccogliere, proteggere, promuovere e integra-re; che non stigmatizzi e meno ancora generalizzicon la più assurda e irresponsabile condannadi identificare ogni migrante come portatore delmale sociale.Da Lei vogliamo imparare a stare in piedi accan-to alla croce, ma non con un cuore blindato echiuso, ma con un cuore che sappia accompagnare,che conosca la tenerezza e la devozione; chesia esperto di pietà trattando con rispetto, deli-catezza e comprensione. Desideriamo essereuna Chiesa della memoria che rispetti e valo-rizzi gli anziani e rivendichi per essi lo spazioche è loro, come custodi delle nostre radici.

Padre, Come Maria vogliamo imparare a sta-re. Insegnaci, Signore, a stare ai piedi della cro-ce, ai piedi delle croci; apri questa sera i nostriocchi, il nostro cuore; riscattaci dalla paralisi edalla confusione, dalla paura e dalla disperazione.Padre, insegnaci a dire: sono qui insieme al tuoFiglio, insieme a Maria e insieme a tanti disce-poli amati che desiderano accogliere il tuo Regnonel cuore. Amen”.

OMELIA ALLA SANTA MESSA PER LA GMG

(Domenica 27 gennaio 2019)

(…)“Uno dei frutti del recente Sinodo è stata la ric-chezza di poterci incontrare e, soprattutto, ascol-tare. La ricchezza dell’ascolto tra generazioni,la ricchezza dello scambio e il valore di riconoscereche abbiamo bisogno gli uni degli altri, che dob-biamo sforzarci di favorire canali e spazi in cuicoinvolgerci nel sognare e costruire il domanigià da oggi. Ma non isolatamente, uniti, crean-do uno spazio in comune. Uno spazio che nonsi regala né lo vinciamo alla lotteria, ma uno spa-zio per cui anche voi dovete combattere. Voi gio-vani dovete combattere per il vostro spazio oggi,perché la vita è oggi. Nessuno ti può promet-tere un giorno del domani: la tua vita è oggi, iltuo metterti in gioco è oggi, il tuo spazio è oggi.Come stai rispondendo a questo? Voi, cari gio-vani, non siete il futuro. Ci piace dire: “Voi siete il futuro...”. No, siete ilpresente! Non siete il futuro di Dio: voi giovanisiete l’adesso di Dio! Lui vi convoca, vi chiamanelle vostre comunità, vi chiama nelle vostre cit-tà ad andare in cerca dei nonni, degli adulti; adalzarvi in piedi e insieme a loro prendere la paro-la e realizzare il sogno con cui il Signore vi ha

sognato. Non domani, adesso, perché lì, ades-so, dov’è il tuo tesoro, lì c’è anche il tuo cuore(Mt 6,21); e ciò che vi innamora conquisterà nonsolo la vostra immaginazione, ma coinvolgeràtutto. Sarà quello che vi fa alzare al mattino evi sprona nei momenti di stanchezza, quello chevi spezzerà il cuore e che vi riempirà di mera-viglia, di gioia e di gratitudine. Sentite di avere una missione e innamoratevene,e da questo dipenderà tutto (cfr Pedro Arrupe,S.J., Nada es más práctico). Potremo avere tut-to ma, cari giovani, se manca la passione del-l’amore, mancherà tutto. La passione dell’amoreoggi! Lasciamo che il Signore ci faccia innamoraree ci porti verso il domani! Per Gesù non c’è un“frattanto”, ma un amore di misericordia che vuo-le penetrare nel cuore e conquistarlo. Egli vuo-le essere il nostro tesoro, perché Gesù non èun “frattanto” nella vita o una moda passegge-ra, è amore di donazione che invita a donarsi.È amore concreto, di oggi vicino, reale; è gioiafestosa che nasce scegliendo di partecipare allapesca miracolosa della speranza e della cari-tà, della solidarietà e della fraternità di fronte atanti sguardi paralizzati e paralizzanti per le pau-re e l’esclusione, la speculazione e la manipo-lazione.Fratelli, il Signore e la sua missione non sonoun “frattanto” nella nostra vita, qualcosa di pas-seggero, non sono soltanto una GiornataMondiale della Gioventù: sono la nostra vita dioggi e per il cammino!Per tutti questi giorni in modo speciale ci ha accom-pagnato come una musica di sottofondo il fiatdi Maria. Lei non solo ha creduto in Dio e nel-le sue promesse come qualcosa di possibile, hacreduto a Dio e ha avuto il coraggio di dire “sì”per partecipare a questo adesso del Signore.

continua nella pag. accanto

77Febbraio 2019Febbraio 2019Anno 16, n. 2 (160)

Ha sentito di avere una missione, si è innamo-rata e questo ha deciso tutto. Che voi possia-te sentire di avere una missione, che vi lascia-te innamorare, e il Signore deciderà tutto.E come avvenne nella sinagoga di Nazaret, ilSignore, in mezzo a noi, ai suoi amici e cono-scenti, di nuovo si alza in piedi, prende il libroe ci dice: «Oggi si è compiuta questa Scritturache voi avete ascoltato» (Lc 4,21).Cari giovani, volete vivere la concretezza del suoamore? Il vostro “sì” continui ad essere la por-ta d’ingresso affinché lo Spirito Santo doni unanuova Pentecoste alla Chiesa e al mondo. Cosìsia”.

DOPO L’ANGELUS (Domenica 27 gennaio 2019)

“Cari fratelli e sorelle,

oggi si celebra la Giornata internazionale del-la memoria delle vittime dell’Olocausto. Abbiamobisogno di mantenere vivo il ricordo del passato,delle tragedie passate, e imparare dalle pagi-ne nere della storia per non tornare mai più acommettere gli stessi errori. Continuiamo a sfor-zarci, senza sosta, di coltivare la giustizia, di farcrescere la concordia e sostenere l’integrazio-ne, per essere strumenti di pace e costruttoridi un mondo migliore.Desidero esprimere il mio dolore per le trage-die che hanno colpito lo Stato di Minas Geraisin Brasile e lo Stato di Hidalgo in Messico.Raccomando alla misericordia di Dio tutte le vit-time e, nello stesso tempo, prego per i feriti edesprimo il mio affetto e la mia vicinanza spiri-tuale alle loro famiglie e a tutta la popolazione.Qui a Panama ho pensato molto al popolo vene-zuelano, al quale mi sento particolarmente uni-to in questi giorni. Di fronte alla grave situazione che sta vivendo,chiedo al Signore che si cerchi e si raggiungauna soluzione giusta e pacifica per superare lacrisi, nel rispetto dei diritti umani e cercando esclu-sivamente il bene di tutti gli abitanti del Paese.

Vi invito a pregare, ponendo questa interces-sione sotto la protezione di Nostra Signora diCoromoto, Patrona del Venezuela.A Cristo e alla Vergine ugualmente affidiamo levittime dell’attentato terroristico perpetrato, que-sta domenica, nella cattedrale di Polo, nelleFilippine, mentre era in corso la celebrazionedell’Eucaristia. Ribadisco la mia più ferma ripro-vazione per questo episodio di violenza, che recanuovi lutti in questa comunità cristiana, ed ele-vo le mie preghiere per i defunti e per i feriti. IlSignore, Principe della pace, converta il cuoredei violenti e conceda agli abitanti di quella regio-ne una convivenza serena”.L’ultimo pensiero del Papa è stato per i 21 gio-vani allievi della Scuola Cadetti di Polizia “GeneraleFrancisco de Paula Santander” di Bogotà, in

Colombia, uccisi dall’odio terroristain un attentato avvenuto il 17 gennaioscorso. “Questi giovani – ha detto Papa Francesco- sono stati un’offerta nella Messa ein ricordo di essi mi permetto in que-sto Angelus di nominarli, e ciascunonel proprio cuore, se non ad alta vocenel proprio cuore, dica quella parolache si usa dire in queste istituzioni quan-do si nomina un morto: “presente”. Chesiano presenti davanti a Dio. Cadetto Luis Alfonso MosqueraMurillo; cadetto Oscár Javier SaavedraCamacho; cadetto Jonathan EfraínSuescón García; cadetto ManjardezContreras Juan Felipe; cadetto JuanDiego Ayala Anzola; cadetto Juan DavidRodas Agudelo; cadetto DiegoAlejandro Pérez Alarcón; cadettoJonathan Ainer León Torres; cadettoAlán Paul Bayona Barreto; cadetto Diego

Alejandro Molina Peláez; cadetto Carlos DanielCampaña Huertas; cadetto Diego Fernando MartínezGalvéz; cadetto Juan Esteban MarulandaOrozco; cadetto César Alberto Ojeda Gómez;cadetto Cristian Fabián González Portilla;cadetto Fernando Alonso Iriarte Agresoth;cadetto Ercia Sofía Chico Vallejo; cadettoCristian Camilo Maquilón Martínez; cadetto StevenRolando Prada Riaño; cadetto Iván RenéMunóz Parra. Ti preghiamo, Signore, di concedere loro la pace,e che anche al popolo colombiano Tu concedala pace. Amen”.La prossima giornata mondiale della gioventùsi farà nel 2022 a Lisbona, capitale delPortogallo; quindi la GMG torna in Europa.

88 Febbraio 2019Febbraio 2019Anno 16, n. 2 (160)

a cura di Stanislao Fioramonti

Cari fratelli e sorelle,

«Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamentedate» (Mt 10,8). Queste sono le parole pronunciateda Gesù quando inviò gli apostoli a diffondereil Vangelo, affinché il suo Regno si propagas-se attraverso gesti di amore gratuito.In occasione della XXVII Giornata Mondiale delMalato, che si celebrerà in modo solenne a Calcutta,in India, l’11 febbraio 2019, la Chiesa, Madredi tutti i suoi figli, soprattutto infermi, ricorda chei gesti di dono gratuito, come quelli del BuonSamaritano, sono la via più credibile di evan-gelizzazione. La cura dei malati ha bisogno diprofessionalità e di tenerezza, di gesti gratuiti,immediati e semplici come la carezza, attraversoi quali si fa sentire all’altro che è “caro”.La vita è dono di Dio e come ammonisce SanPaolo: «Che cosa possiedi che tu non l’abbiaricevuto?» (1 Cor 4,7). Proprio perché è dono,l’esistenza non può essere considerata unmero possesso o una proprietà privata, soprat-tutto di fronte alle conquiste della medicina edella biotecnologia che potrebbero indurre l’uo-mo a cedere alla tentazione della manipolazionedell’“albero della vita”.Di fronte alla cultura dello scarto e dell’in-differenza, mi preme affermare che il donova posto come il paradigma in grado di sfi-dare l’individualismo e la frammentazione socia-le contemporanea, per muovere nuovi lega-mi e varie forme di cooperazione umana tra popo-li e culture. Il dialogo, che si pone come pre-supposto del dono, apre spazi relazionali di cre-scita e sviluppo umano capaci di rompere i con-solidati schemi di esercizio di potere della socie-

tà. Il donare non si identifica conl’azione del regalare perché puòdirsi tale solo se è dare sé stes-si, non può ridursi a mero tra-sferimento di una proprietà odi qualche oggetto. Si differenziadal regalare proprio perché con-tiene il dono di sé e supponeil desiderio di stabilire un lega-me. Il dono è quindi prima ditutto riconoscimento reciproco,che è il carattere indispensa-bile del legame sociale. Nel donoc’è il riflesso dell’amore di Dio,che culmina nell’incarnazionedel Figlio Gesù e nella effusionedello Spirito Santo.Ogni uomo è povero, bisognosoe indigente. Quando nasciamo,per vivere abbiamo bisogno del-le cure dei nostri genitori e cosìin ogni fase e tappa della vitaciascuno di noi non riuscirà maia liberarsi totalmente dal biso-gno e dall’aiuto altrui, non riusci-rà mai a strappare da sé il limi-te dell’impotenza davanti a qual-cuno o qualcosa. Anche que-

sta è una condizione che caratterizza il nostroessere “creature”. Il leale riconoscimento di que-sta verità ci invita a rimanere umili e a pratica-re con coraggio la solidarietà come virtù indi-spensabile all’esistenza.Questa consapevolezza ci spinge a una pras-si responsabile e responsabilizzante, in vista diun bene che è inscindibilmente personale e comu-ne. Solo quando l’uomo si concepisce non comeun mondo a sé stante, ma come uno che persua natura è legato a tutti gli altri, originariamentesentiti come “fratelli”, è possibile una prassi socia-le solidale improntata al bene comune. Non dob-biamo temere di riconoscerci bisognosi e inca-paci di darci tutto ciò di cui avremmo bisogno,perché da soli e con le nostre sole forze nonriusciamo a vincere ogni limite. Non temiamoquesto riconoscimento, perché Dio stesso, inGesù, si è chinato e si china su di noi e sullenostre povertà per aiutarci e donarci quei beniche da soli non potremmo mai avere.In questa circostanza della celebrazione solen-ne in India, voglio ricordare con gioia e ammi-razione la figura di Santa Madre Teresa di Calcutta,un modello di carità che ha reso visibile l’amoredi Dio per i poveri e i malati. Come affermavoin occasione della sua canonizzazione (4 set-tembre 2016), «Madre Teresa, in tutta la suaesistenza, è stata generosa dispensatrice del-la misericordia divina, rendendosi a tutti disponibileattraverso l’accoglienza e la difesa della vita uma-na, quella non nata e quella abbandonata e scar-tata. Si è chinata sulle persone sfinite, lascia-te morire ai margini delle strade, riconoscendola dignità che Dio aveva loro dato; ha fatto sen-tire la sua voce ai potenti della terra, perché rico-noscessero le loro colpe dinanzi ai crimini del-la povertà creata da loro stessi. La misericor-

dia è stata per lei il “sale” che dava sapore aogni sua opera, e la “luce” che rischiarava letenebre di quanti non avevano più neppure lacri-me per piangere la loro povertà e sofferenza.La sua missione nelle periferie delle città e nel-le periferie esistenziali permane ai nostri gior-ni come testimonianza eloquente della vicinanzadi Dio ai più poveri tra i poveri».Santa Madre Teresa ci aiuta a capire che l’u-nico criterio di azione dev’essere l’amore gra-tuito verso tutti senza distinzione di lingua,cultura, etnia o religione. Il suo esempio con-tinua a guidarci nell’aprire orizzonti di gioia edi speranza per l’umanità bisognosa di comprensionee di tenerezza, soprattutto per quanti soffrono.La gratuità umana è il lievito dell’azione dei volon-tari che tanta importanza hanno nel settore socio-sanitario e che vivono in modo eloquente laspiritualità del Buon Samaritano. Ringrazio e inco-raggio tutte le associazioni di volontariato chesi occupano di trasporto e soccorso dei pazien-ti, quelle che provvedono alle donazioni di san-gue, di tessuti e organi. Uno speciale ambitoin cui la vostra presenza esprime l’attenzionedella Chiesa è quello della tutela dei diritti deimalati, soprattutto di quanti sono affetti da pato-logie che richiedono cure speciali, senzadimenticare il campo della sensibilizzazione edella prevenzione. Sono di fondamentaleimportanza i vostri servizi di volontariato nellestrutture sanitarie e a domicilio, che vanno dal-l’assistenza sanitaria al sostegno spirituale. Nebeneficiano tante persone malate, sole, anzia-ne, con fragilità psichiche e motorie. Vi esortoa continuare ad essere segno della presenzadella Chiesa nel mondo secolarizzato. Il volon-tario è un amico disinteressato a cui si posso-no confidare pensieri ed emozioni; attraversol’ascolto egli crea le condizioni per cui il mala-to, da passivo oggetto di cure, diventa soggettoattivo e protagonista di un rapporto di recipro-cità, capace di recuperare la speranza, megliodisposto ad accettare le terapie. Il volontaria-to comunica valori, comportamenti e stili di vitache hanno al centro il fermento del donare. Èanche così che si realizza l’umanizzazione del-le cure.La dimensione della gratuità dovrebbe animaresoprattutto le strutture sanitarie cattoliche, per-ché è la logica evangelica a qualificare il lorooperare, sia nelle zone più avanzate che in quel-le più disagiate del mondo. Le strutture catto-liche sono chiamate a esprimere il senso deldono, della gratuità e della solidarietà, in rispo-sta alla logica del profitto ad ogni costo, deldare per ottenere, dello sfruttamento che nonguarda alle persone.Vi esorto tutti a promuovere la cultura dellagratuità e del dono, indispensabile per supe-rare la cultura del profitto e dello scarto. Leistituzioni sanitarie cattoliche non dovrebberocadere nell’aziendalismo, ma salvaguardare lacura della persona più che il guadagno.Sappiamo che la salute è relazionale, dipendedall’interazione con gli altri e ha bisogno di fidu-cia, amicizia e solidarietà, è un bene che può

continua nella pag. accanto

99Febbraio 2019Febbraio 2019Anno 16, n. 2 (160)

essere goduto “in pieno” solo se condiviso. Lagioia del dono gratuito è l’indicatore di salutedel cristiano. Vi affido tutti a Maria, Salus infir-morum. Lei ci aiuti a condividere i doni ricevu-ti nello spirito del dialogo e dell’accoglienza reci-proca, a vivere come fratelli e sorelle attenti ai

bisogni gli uni degli altri, a saper donare concuore generoso, a imparare la gioia del servi-zio disinteressato. A tutti con affetto assicuro la mia vicinanza nel-la preghiera e invio di cuore la Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, 25 novembre 2018Solennità di N. S. Gesù Cristo Re dell’universo

Francesco

(n.d.r.: le evidenziazioni in grassetto nel testo sono redazionali)

Sara Gilotta

“Angelo di Dio…” è questa, di invocazione all’angelo custode, forse unadelle preghiere più belle che un credente possa recitare, per sentirevicina la bontà e la misericordia divine. Sono parole semplici che, divolta in volta, sembrano uscire direttamente dalla bocca di chi, uomo,donna o bambino, avverte nel cuore il desiderio di pregare. Ma chi sonogli angeli? Sono i nostri custodi celesti finché viviamo su questa terra,dove, istante dopo istante, sentiamo la necessità di ricevere un aiutoche affianchi le nostre debolezze e magari rafforzi le nostre speranze.E se non li possiamo vedere, è vero che li sentiamo vicini soprattuttoquando più forti avvertiamo i dubbi riguardanti le nostre scelte e più gran-di le difficoltà che non mancano mai. Perché gli angeli accompagnanoe arricchiscono le nostre preghiere umili, spesso deboli e distratte, gui-dando la nostra voce e suggerendoci le parole, una per una. Ma essi,d’altra parte e non a caso, sono presenti sia nella Bibbia che nei Vangeli.Come non ricordare, infatti, tra tutti il più celebre ed il più importantel’Arcangelo Gabriele, che portò l’annuncio a Maria della Sua vergina-le maternità con la quale avrebbe donato il Salvatore al mondo. Ed anco-ra l’angelo annuncia a Zaccaria la nascita di un figlio, quel GiovanniBattista, l’annunciatore di Gesù e Suo “predecessore”. Così un ange-lo rivela a Giuseppe che cosa è accaduto a Maria chiedendogli di nontemere perché il figlio che porta in grembo è frutto dello Spirito Santo.E Giuseppe uomo buono e dalla grande fede, accetta come moglie lagiovane di cui aveva dubitato. Gli Angeli del resto sono, come suggerisce il loro nome, messaggeridella parola e dell’Opera di Dio, così come accompagnano la vita diGesù dalla nascita fino alla resurrezione. E sono proprio gli angeli chesi rivolgono ai pastori che di notte vegliavano sul loro gregge e, dopoaverli avvolti di luce, di fronte al loro timore, dicono: ”Non temete: ecco,vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo, oggi nella cit-tà di Davide è nato per voi un Salvatore che è Cristo Signore.” Annuncio

ripreso e cantato e non si può non ricordare l’inno dedicato a questoevento da Alessandro Manzoni, che legge in quella nascita non soloun dono della grazia divina, ma anche la necessità che essa avvenis-se per la redenzione dell’umanità. Perché diversamente senza l’inter-vento divino l’uomo sarebbe rimasto “sul fondo” dov’era precipitato acausa del peccato, non avendo da solo la capacità di rialzarsi. Ma, dice il poeta “ecco ci è nato un pargolo” e l’annuncio viene datodagli angeli non ai potenti, ma “ai pastor devoti, al duro mondo ignotisubito in luce appar”. Gli angeli che scesero “a stuolo” per cantare lelodi di Dio, e , come dice il Vangelo di Luca questo fu il loro canto cheogni volta che leggiamo le parole ripetiamo con gioia: “gloria a Dio nelpiù alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini che Egli ama“. Così gliAngeli avvicinano il cielo alla terra e gli uomini tutti a Dio, perché eglici ama tutti. Né si può dimenticare che nella Divina Commedia la pre-senza degli angeli è molto importante, ma credo che sia davvero mol-to significativo l’episodio del canto VIII del Purgatorio, quando nella cosid-detta valletta dei principi a conferma della fragilità della natura umanapersino nell’al di là, ma anche dello spirito di carità e di sollecitudineche lega intimamente l’oltretomba alla terra, a difesa delle anime scen-dono per scacciare il serpente due angeli, che Dante così descrive:”Verdi come fogliette pur mo nate erano in veste, che da verdi pennepercosse traean dietro e ventilate.” Le ali degli angeli sono verdi le vesti altresì verdi come evidente sim-bolo di speranza, mentre il loro volto è tanto luminoso che in essi sismarrisce la vista. Scendono ai lati della valletta con spade fiammeg-gianti, ma prive di punta, a confermare insieme la giustizia divina e laSua misericordia nei confronti non solo delle anime purganti, ma anchedell’intera umanità. E’ per tutto questo che gli angeli continuano ad esse-re vicini a tutti.

Nell’immagine: Tobia con l’Arcangelo Raffaele, Lorenzo Lippi, 1640 -50, Wroclaw

segue da pag. 8

1010 Febbraio 2019Febbraio 2019Anno 16, n. 2 (160)

don Carlo Fatuzzo

FF ebbraio: mese della tradizionale Giornata nazionale per la vita, giun-ta ormai alla sua 41a edizione. Nel precedente numero di questobollettino ha giustamente pubblicato con impeccabile solerzia e pun-

tualità il messaggio promulgato dal Consiglio episcopale permanente perquesta Giornata, che nel 2019 affronta il tema: “È vita, è futuro”. Anche aVelletri, nel nostro piccolo, ci siamo preparati a questa giornata con un incon-tro aperto a tutti gli operatori sanitari e a tutte le persone interessate all’ar-gomento, per dialogare insieme – sia dal punto di vista medico che da quel-lo teologico-morale – sulla piaga dell’aborto procurato o volontario, nel-l’ambito degli incontri mensili con i medici cattolici che si svolgono, a curadella Pia Unione “Madonna della Salute”, nella Chiesa di S. Maria in Triviola terza domenica di ogni mese, subito dopo la S. Messa vespertina offer-ta in modo speciale per tutti gli ammalati e sofferenti.La vita è un dono che si eredita: «Dono di Dio è il figlio, e sua grazia ilfrutto del grembo» (Salmo 126,3). Angelo Serra sintetizza così:«Questo è il messaggio sapienziale che definiva la creatura germogliata,nel mistero, da un dono di amore e di un padre e di una madre. Oggi lascienza […] è riuscita a svelare qualcosa di questo mistero. Punto essen-ziale: nella massima parte del regno vegetale e animale, pur attraversodifferenti meccanismi, ogni nuovo essere inizia la sua vita alla fusione didue cellule che portano ciascuna un proprio patrimonio genetico: con ilnuovo patrimonio, derivante dalla fusione dei due patrimoni, la nuova cel-lula eredita anche la vita che prosegue con nuove caratteristiche nel nuo-vo soggetto»1.Con la fecondazione non si può più parlare di gameti, né di una cellulain più della madre perché il genoma del concepito è diverso da quello deigenitori. «Sono da sottolineare due principali aspetti di questa nuova cel-lula: la prima, che lo zigote ha una sua precisa identità, cioè non è unessere anonimo; la seconda, che esso è intrinsecamente orientato e deter-minato a un ben definito sviluppo: e ambedue identità e orientamento, sonoessenzialmente dipendenti dal genoma»2. Lo zigote è dunque un orga-nismo nuovo. Il secondo fatto: questo organismo nuovo è un organismo umano. Lo zigo-te appartiene alla specie biologica umana. Su questo fatto nessun biolo-

go osa porre obiezioni: l’analisi del numero e della natura dei cro-mosomi non lascia spazio ad alcuna controversia. Il singolaris-simo DNA del nuovo individuo compone il suo patrimonio gene-tico. È importante notare che la novità rappresentata dallo zigotenon va intesa come somma dei codici genetici dei genitori. È unessere con un progetto e un programma nuovi. Questo programma genetico, assolutamente originale, indivi-dua il nuovo essere, che d’ora in poi si svilupperà secondo esso.La chiave è nelle principali proprietà della crescita e dello svilup-po embrionale: coordinazione, continuità e gradualità. La prima pro-prietà è la coordinazione dello sviluppo embrionale. Dalla fusio-ne dei gameti lo sviluppo embrionale è un processo che manife-sta una coordinata sequenza e interazione di attività molecolari ecellulari, sotto il controllo del nuovo genoma. Questa proprietà èinnegabile e implica e richiede una rigorosa unità del soggetto chesta sviluppandosi. La continuità è la seconda proprietà dell’uomo-embrione. Lo svi-luppo quantitativo e differenziale dell’embrione è un perfetto con-tinuum senza salti qualitativi o mutamenti sostanziali. La continuitàdello sviluppo fa sì che l’embrione umano si sviluppi in un uomoadulto e non in un’altra specie. La terza proprietà è la gradualità. Risulta evidente come la for-ma finale sia raggiunta gradualmente. Lo sviluppo si configura neces-sariamente come un processo che vede un succedersi di formeche in realtà non sono che stadi di momenti diversi di uno stessoidentico processo di sviluppo di un ben determinato essere. A cau-

sa di questa intrinseca legge epigenetica, scritta nel genoma ogni embrio-ne mantiene la propria identità, individualità e unicità3. Celebre è l’affer-mazione di sapore esistenziale di Jerome Lejeune: «comunque si consi-deri la natura umana non vedo nessuna differenza fra l’essere piccolissi-mo che voi siete stato e quello che voi siete ora, perché in entrambi i casivoi foste e voi siete un membro della vostra specie: un uomo è un uomo»4.

Nell’immagine: Il miracolo della vita, foto di Mauro Paillex, fotografo e ginecologo

1 A. SERRA, L’uomo-embrione. Il grande misconosciuto, Cantagalli, Siena 2003, p. 292 Ibid. pag. 333 Ibid. pag. 444 J. LEJEUNE, Il messaggio della vita, Cantagalli, Siena 2002, p. 19.

1111Febbraio 2019Febbraio 2019Anno 16, n. 2 (160)

prof. Massimiliano Postorino*

SSe fossi un pittore e dovessiimmortalare in un’immagineil ritratto per i posteri della

nostra società, la rappresenterei comeuna lunga galleria con qualche raraed insufficiente torcia, che a trattiillumina un breve frammento di stra-da in discesa e senza freni. In questo tunnel falsamente agevolato,corre freneticamente l’uomo moder-no, convinto di trovare al fondo laluce di una folgorante e appagan-te realtà nuova, ma ignorandoinvece che dopo la forsennata e soli-taria corsa, troverà solamente le tene-bre della solitudine e del rimpian-to. Una visione oggettiva e disincantatadell’epoca moderna, ci svela un uomoche ha sostituito l’Umanesimo conla tecnocrazia, ha confuso il suo ruo-lo di custode del Creato con un antro-pocentrismo delirante ed autodistruttivo. I recenti dati sociologici ci indica-no un essere umano ben diversoda quello del secolo passato, perogni fascia d’età. I giovani mediamente fanno uso didroghe leggere, come la cannabis,nel 34% dei casi in modo costante e saltuariamente nel 49%: l’uso ditali sostanze in età adolescenziale determina lesioni permanenti, cro-niche ed inapparenti, nello sviluppo del carattere e della personalità delragazzo, che spesso potrà assumere un’aggressività emulativa o statidepressivi ricorrenti, finanche a stati di attacchi di panico e schizofre-nia. Sempre nella popolazione giovanile, l’uso di alcolici è quanto maiun problema in escalation: 1 su 8 dei ragazzi tra i 16 e i 25 anni fa usodi superalcolici in modo ricorrente (almeno due volte a settimana) e 1su 9 assume superalcolici il sabato sera in dosi elevate. A questi elementi relativi all’attuale gioventù va aggiunto il dato fornitodalle associazioni di psichiatri e psicologi, che indicano un aumento del30% circa del consumo di farmaci ansiolitici e antidepressivi nella fasciad’età tra i 18 e i 25 anni e un ricorso all’assistenza psicologica per i ragaz-zi under 18 pari a circa il 20%. Quanto suddetto delinea il quadro di unagioventù in preda a un evidente disagio esistenziale; la causa non deveessere però ricercata e giustificata nel Progresso della società, bensìnello stravolgimento dei valori e della responsabilità della famiglia. Le due ultime generazioni di genitori, travolte prima dal benessere effi-mero degli anni ’80 e poi dalla crisi del 2000, non hanno saputo trasmetterei valori etici, sensibili e Cristiani ai loro figli; sempre più coinvolti in unasocietà tecnocratica e tecnicista, utilitarista e finalizzata, hanno sosti-tuito l’umanesimo sociale (il rispetto, l’amore per il prossimo, la ricercadella propria anima e della vera felicità), con l’efficientismo antropolo-gico, in cui l’uomo diviene solo un ingranaggio della società che lo remu-nera e lo incensa in funzione della sua produttività. Da qui nasce la cultura dello scarto, come la definisce Papa Francesco,in cui l’essere più debole, il giovane o l’anziano, il malato, il povero o ildetenuto, sono ingranaggi fallaci o improduttivi, perciò considerati inu-tili e dunque da scartare e non considerare. I genitori hanno quindi dimen-ticato i valori precedentemente a loro trasmessi, chiudendosi spesso in

una egoistica sopravvivenza fami-liare: da qui i disagi giovanili, l’in-cremento dei divorzi, l’uso ricorrentedi terapie psicologiche di coppiao di farmaci ansiolitici. Anchenell’età adulta infatti il ricorso a sup-porti farmacologici o psicologici percontrastare un’ansia esistenzialeormai diffusissima è notevolmen-te aumentato (pari al 60%). Comefermare questa autodistruzione dimassa? È necessario che l’uomomoderno si riappropri del suoUmanesimo, si convinca che la feli-cità sta nella realizzazione interioredi sé stesso e non nella sempliceproduttività. Egli deve prendere atto e convin-cersi che non è solo Materia, per-ché l’attuale materialismo non gliha portato altro che solitudine e autos-fruttamento o sfruttamento reciproco: l’uomo deve accettare che den-tro di sé esiste un’anima. Il concetto di anima non è soltan-to religioso, ma ancor prima filo-sofico: quando il pensiero si orga-nizza in modo tale che l’essere uma-no si sente realizzato e quasi tra-sceso dalla realtà, così da prova-re una gioia infinita e un appaga-mento totale anche nella miseriadella vita, tale pensiero non puòessere espressione della materiae della materialità. Per noi cristiani quell’anima viene

e torna a Dio, dove trova la sua pace in terra e nel Cielo, non comepanacea alle nostre miserie o illusorio e tranquillizzante premio futuro,ma come forza d’amore inspiegabile, che ci fa gioire nel dolore, oltre-passare ogni croce e persino la morte. L’unica speranza di salvezza è che l’uomo moderno riscopra la sua spi-ritualità, religiosa o anche solo filosofica. Quest’ultima tuttavia, ampia-mente vissuta nelle filosofie-religioni orientali, può salvare dall’autoni-chilismo moderno ma non disseta l’anima, che invece ha bisogno di amo-re reciproco e gratuito. Si deve vivere per amare ma si ama per vive-re, per sentirsi profondamente vivi. Questa società ha un disperato biso-gno d’amore e preghiamo il Signore che ci invii tanti profeti di amore,perché saranno profeti di salvezza: solo chi si sente amato può con-vertirsi all’amore. In fondo, da medico, dico sempre che la malattia piùbella e contagiosa è proprio l’amore.

*Cattedra di Malattie del Sangue Università degli studi di Tor Vergata, Roma

Nell’immagine del titolo: La lavanda dei piedi di Sieger Köder

L’opera: Gesù e Pietro s’inchinano profondamente l’uno verso l’altro. Gesù si è inginocchiato, qua-si prostrato davanti a Pietro in un gesto assoluto, non si vede nemmeno il suo volto. In questomomento Gesù è solo e soltanto servizio per questo uomo lì davanti a lui. Solo servizio, e cosìvediamo il suo volto rispecchiato nell’acqua, sui piedi di Pietro. Pietro si inchina verso Gesù. La sua mano sinistra ci parla di rifiuto: “Tu Signore vuoi lavare i piedi a me?”. La sua mano destrae il suo capo, in contrasto, si appoggiano con tutto il loro peso sulla spalla di Gesù. Pietro non guarda al Maestro, non può vedere neppure il suo volto che appare nel catino. NelVangelo di Giovanni, Gesù risponde alla domanda esitante di Pietro: “Quello che faccio tu ora nonlo capisci ma lo capirai dopo”. È questa parola che si rispecchia nell’immagine. Adesso, in que-sta situazione, non conta il capire ma l’incontro, l’accettare un’esperienza. Il corpo di Pietro è un corpo che vive un processo, un incontro dalla testa ai piedi. Una personache scopre il suo bisogno di essere lavato, una persona che scopre allo stesso tempo la sua digni-tà. Sono bisognoso che Lui mi lavi i piedi, sono degno che Lui mi lavi i piedi...

1212 Febbraio 2019Febbraio 2019Anno 16, n. 2 (160)

Claudio Capretti

CC redo sia indicibile la gioia che Tu, o Signore,provi nel momento in cui, dopo non pochevicissitudini - di cui una buona parte toc-

cate dalla sconfitta - , scopriamo che la nostra feli-cità passa in quel particolare servizio che ci chia-mi a compiere. Quello che mai avremmo pensa-to, e forse, mai voluto in quanto fuori dai nostripiccoli schemi. Così, dopo aver scoperto la viagiusta, quella che ci rimette in contatto con noistessi, quella che ci permette di restituire il nostrocuore a se stesso e placare così la nostra inna-ta inquietudine, occorre mettersi in marcia soste-nuti dalla benedizione che afferma: «Bontà e fedel-tà non ti abbandonino: légale attorno al tuocollo, scrivile sulla tavola del tuo cuore e otter-rai favore e buon successo agli occhi di Dioe degli uomini» (Pr 3,3-4). Inizia così il nostro peregrinare consapevoli cheil seme della tua Parola è ormai dentro di noi, mace-rato e pronto a germogliare. Come prendiamo attoche la tua Parola non è qualcosa che può esse-re addomesticata o assecondata ai nostri istinti,e il fine di tutto è sì il traguardo da varcare, maal tempo stesso, la via che calpesteremo è essastessa meta. Poi scopriamo che servirti non è cosada poco conto né qualcosa che si può fare conleggerezza o con doppiezza di cuore. Né tantomeno è qualcosa che può essere inserito tra i tan-ti nostri impegni poiché Tu, sei un Dio geloso edisdegni la mezza misura. Così, nel momento stes-so in cui ci mettiamo in cammino, già in lontananzasi intravedono i monti da spianare, esattamente,quelle colline fatte di orgoglio, di presunzioni e arri-vismi, di arroganze e pretese. Che di fatto, sonotutti quegli aspetti che ci inducono a non dare com-pimento alla Parola: «Siamo servi inutili» (Lc 17,10).Ma ci sono anche i baratri da colmare, o meglioquei burroni che ci impediscono di passare dal-l’altra parte della strada, che di fatto, sono i nostriabbattimenti e fallimenti; tutte le nostre dispera-zioni e delusioni. Tutto ciò che induce a dire: «La mia vita è incollata alla polvere» (Sl 119,25).Ecco allora che la tentazione di mollare tutto efuggire via a gambe levate diventa sempre più insi-stente, perché sembra che quei baratri siano incol-mabili e destinati a rimanere così per sempre. Comesembra che spianare quei monti, equivale a osa-re l’inosabile. E il primo campo di battaglia è den-tro di noi, è dentro il nostro cuore. Allora, vedoche: «Il cristiano è un uomo tentato, il solo uomoove la tentazione prende aspetti abissali» (DonPrimo Mazzolari).Dinanzi a tutto questo, c’è dunque ben poco dascandalizzarsi da ciò che Tu, per il nostro bene,permetti. E lo permetti perché la felicità ha il suogiusto prezzo. Un prezzo che possiamo pagare.

Ma ancor di più lo consenti per farci scoprire cheappoggiandoci a Te, possiamo fare grandi cose,anche superare la tentazione in quanto sei Tu chedai compimento alla parola: «Ogni burrone saràriempito, ogni monte e ogni colle sarà abbas-sato» (Lc 3,5). Oppure, perché vuoi farci vede-re che niente più della tentazione dispie-ga ciò che realmente siamo. E quan-do l’impulso ad acconsentire alla ten-tazione è pressante, non abbiamoaltro da fare se non dirti: «Non abban-donarci alla tentazione, maliberaci dal male» (Mt 6,13). Il male…, che ci piaccia o no esi-ste e agisce e da sempre com-pie diligentemente il suo lavo-ro. Si atteggia a vincitoreanche se sa bene di esse-re stato sconfitto e di nonavere più l’ultima paro-la sugli uomini. Eppure, inun certosenso,

dovremmo essere contenti quando la tentazionenon ci concede tregua, sia perché è la prova chenon ci ha ancora fatti suoi, sia perché al terminedella battaglia potremo vedere il compimento del-la Parola: «Nessuna tentazione, superiore alleforze umane, vi ha sorpresi; Dio infatti è degnodi fede e non permetterà che siate tentati oltrele vostre forze ma, insieme con la tentazione,vi darà anche il modo per uscirne per poter-la sostenere» (1 Cor 10,13). Forse, dopo aver superato la tentazione non giun-geranno gli angeli a consolarci, ma saremo ugual-mente felici per aver gustato di non essere statiabbandonati a noi stessi. Forse la Presenza tor-nerà a farsi assenza, ma abbiamo la consapevolezza

che è un’assenza presente, nascosta ma dina-mica, silenziosa ma operante. E in fondo, è giu-sto così, poiché anche le “notti oscure” fanno par-te dell’essere cristiani. Anzi, fa parte dell’essereservi del Re inviati a chiamarei chiamati «… per le stradee lungo le siepi» (Lc 14,23).La tentazione, quando non

viene assecondata,diviene dun-

que segno che Cristo è stato accanto a noi pertutto il tempo della prova. Lui stesso che è statocondotto dallo Spirito nel deserto per essere ten-tato, ci ha insegnato come vincere la tentazione:appoggiandoci alla Parola che non passa (Lc 4,1-13). Lui stesso, quando prevale in noi il sonno del-la tristezza, del non senso e dell’angoscia, o quan-do sembra che il torpore spirituale stia per vin-cere su di noi, bussa alla porta del nostro cuore,per destarci e per dirci: «Vegliate e pregate pernon entrare in tentazione. Lo spirito è prontoma la carne è debole» (Mc 14,38).

Nell’immagine: Le nozze di Cana, part., Paolo Veronese, 1563, Parigi

1313Febbraio 2019Febbraio 2019Anno 16, n. 2 (160)

Antonio Bennato

EElia lasciò l’Oreb e camminòfino ad Abel-Mecolà nel-l’alta valle del Giordano.

E qui, come gli aveva chiesto difare il Signore, passò accanto algiovane figlio di Safat coprendo-lo col suo mantello. Un modo perdire da adesso in poi ti prendo ioin carico. Il giovane stava arando il suo campocon altri undici aratori e ognuno conduceva un paiodi buoi. Si può ben dire che Safat, per possede-re 24 buoi, doveva essere un benestante, un ric-co agricoltore. Safat e suo figlio speravano in unbuon raccolto di grano dopo gli anni di siccità. MaEliseo comprese quel gesto di Elia che gli met-teva sottosopra tutta la vita. Comprese, e si sentì come afferrato e sedotto dal-la chiamata divina; non pensò più al grano da semi-nare e, rispettoso dei genitori, chiese di andareprima a salutarli, e poi, con pronta e sincera volon-tà di farsi voce di Dio – lui che a quello non ci ave-va mai pensato – immolò il suo paio di buoi, li macel-lò, pose a cuocere la carne sul fuoco acceso coilegni del giogo, e la offrì agli aratori e ai vicini. SeguìElia, e gli “versava l’acqua sulle mani”. Cioè, simise al suo servizio. Questo accadeva circa nell’861/860a.c. Quattro anni dopo moriva re Acab.La narrazione biblica si chiude con Elia ed Eliseoche vanno a Betel, poi a Gerico, poi verso il fiu-me Giordano. E al Giordano Eliseo fu testimonedegli ultimi straordinari momenti del suo Maestro.Col mantello arrotolato, Elia battè sulle acque delfiume e il fiume si aprì come si aprì il mare davan-ti a Mosè. Dopo che ebbero attraversato sull’a-sciutto, Elia disse ad Eliseo: “Chiedi ciò che vuoiche io faccia per te prima che io sia rapito lonta-no da te.” Eliseo rispose: “Passino a me i due ter-zi del tuo spirito.” In altre parole, Eliseo, sentendosi adottato comeun figlio, chiese l’eredità del primogenito. Mentrecamminavano fianco a fianco e parlavano, pas-sò in mezzo a loro un carro di fuoco tirato da caval-li di fuoco, furono separati, ed Elia fu rapito al cie-lo mentre Eliseo lo salutava gridando: “Padre mio!Padre mio!” Eliseo raccolse il mantello di Elia cadu-to a terra e tornò indietro. Col mantello battè sul-le acque del Giordano e le acque di nuovo si divi-sero. Eliseo cominciò così la sua missione, ed eral’850 a.c.Eliseo fece molti miracoli. Quello che secondo me

è il miracolo più emozionante fu fatto alla donnadi Sunem, la famosa Sunamita. E’ un raccontoscritto con vivacità nel secondo libro dei re. Il mioconsiglio è divorarlo con gli occhi, e saprete beneche il potere di Dio operava in Eliseo per dare vita.Ma la storia di Naaman lebbroso è, in senso figu-rato, ancora attuale; guardiamoci intorno evedremo in mezzo a noi camminare gente resalebbrosa dal potere e dalla ricchezza. Naaman erail generale in capo dell’esercito del re di Aram. Ora, in una delle incursioni in territorio israeliti-co, venne rapita una fanciulla data come servaalla moglie del generale. Quando i medici ebbe-ro tentato tutte le medicine possibili e tutte furo-no vane, la fanciulla suggerì di portare il gene-rale dal profeta che era in Samaria. La visita fu presto organizzata. Persino fu prean-nunciata da una lettera del re aramita al re di Israele.Naaman, il potente generale, prigioniero della leb-bra, si aspettava ancora gloria: portò al suo segui-to carri e cavalli pieni di doni, truppe in gran para-ta, immaginando un rito solenne e la guarigionecon l’imposizione delle mani. Le cose non andarono così. Letta la lettera delre di Aram, il re d’Israele si stracciò le vesti e gri-dò: “Sono forse Dio per dare la morte o la vita?”Eliseo, saputo di Naaman, lo mandò a chiama-re, e quando stava per arrivare gli mandò incon-tro Giezi il servo per dirgli: “Va’, bagnati sette vol-te nel Giordano: la tua carne tornerà sana e tusarai guarito.” Nel sentire quella stranezza,Naaman si sdegnò. Ma che modo di fare era quel-lo? Perché non era venuto a dirglielo lo stessoprofeta? Quasi quasi nel fiume ci avrebbe butta-to il servo che gli aveva mandato. E poi, fiume?Un fiumiciattolo inquinato! Mancavano forse fiu-mi limpidi ad Aram?Naaman, uomo di potere, si sentiva degno di benaltro trattamento. “La potenza” dirà il filosofo Nietzsche“instupidice.” Naaman non si rese conto che lalebbra lo aveva ridotto al bisogno di doversi met-tere in ginocchio. Lui che aveva sempre coman-

dato e fatto leggi, respinse il consiglio umiliantedel profeta. Non seppe umiliarsi. E tornò indietroriportando con sé le ricchezze nelle quali avevaconfidato. Ora, mentre tornava indietro, i dignitari, pur aven-do un cuore plasmato da guerre e da corruzioni,gli lanciarono l’idea che in fondo non aveva altravia d’uscita, anzi, forse proprio in quella forma diumiliazione poteva esserci una sorta di coraggio,un coraggio mai così pericoloso come in tante bat-taglie! Naaman accettò. Accettò, ed entrò nellostile umiliante del profeta sopportando sette vol-te sulla pelle l’acqua inquinata del Giordano. Ma,quando ne uscì la settima volta, era già entratonella verità. E la verità è la stessa pure per oggi:solo bagnandosi sette volte nel fiume dell’umiltàè possibile uscirne puliti puliti da ogni corruzio-ne. Attraverso l’umiliante gesto, Naaman ritrovòla libertà dalla lebbra. Le sue carni tornarono come quelle di un fanciullo,e comprese che solo il Signore è Dio in Israele,e che il suo amore è del tutto gratuito. Che fos-se amore gratuito lo comprese quando si vide rifiu-tare da Eliseo le ricchezze portate con sé. Naaman tornò nel suo regno di merci e di con-sumi, di idoli e di potere, portando con sé tantaterra quanta ne occorreva per costruire un alta-re sul quale offrire sacrifici all’unico vero Dio incui ormai credeva. Ma aveva pregato Eliseo anchedi questo: quando sarebbe entrato col re nel tem-pio di Rimmon e il re si sarebbe prostrato – “Vogliail Signore perdonare me tuo servo!” – anche luisi sarebbe prostrato. “Va in pace” gli aveva rispo-sto Eliseo. La terra di Aram non era terra d’Israele.Anche Mosè tollerò gli dèi d’Egitto, e mai li attac-cò. Se Elia aveva fatto uccidere i sacerdoti di Baalera perché Baal stava sulla terra di Dio. Jhwh eral’Assoluto solo per i figli d’Israele in Terrad’Israele.

Nell’immagine: Elia lascia il suo mantello a Eliseo,Monastero di Visoki Dečani, Kosovo

1414 Febbraio 2019Febbraio 2019Anno 16, n. 2 (160)

Stanislao Fioramonti

RReligioso passionista morto a 24 anni, èun santo giovane per i giovani, comeil ventitreenne san Luigi Gonzaga (al qua-

le lo accomuna anche certa iconografia) o comeil fabbro abruzzese Nunzio Sulprizio, 19 anni,canonizzato il 20 ottobre scorso.San Gabriele è patrono d’Abruzzo per aver tra-scorso gli ultimi due anni e mezzo della sua bre-ve vita nel convento di Isola del Gran Sasso,in provincia di Teramo, dove all’antico santua-rio che conserva il suo corpo ne è stato aggiun-to uno grande e moderno, ricco di opere d’ar-te e di fede, iniziato nel 1970 e consacrato il 21settembre 2014. Oggi è uno dei santuari più fre-quentati nel mondo, con un’affluenza di due milio-ni di pellegrini ogni anno. Ma le origini del “santo dei giovani” stanno inUmbria, ad Assisi: nella città di San Francesco,dove il padre Sante Possenti era governatoredello stato pontificio, egli nacque il 1° marzo 1838e fu battezzato proprio con il nome di Francesco.A quattro anni perse la madre Agnese e con lafamiglia si trasferì a Spoleto, dove visse fino a18 anni. “Biondo era e bello”, ci dicono i suoicontemporanei, sempre a capo delle compagniegiovanili, gli piaceva ballare e vestire alla moda,ma era pure uno studente serio e curava la suavita morale e cristiana.A 18 anni, nell’agosto 1856, quasi ispirato daun’immagine della Madonna decise di farsi reli-gioso e il 10 settembre entrò nel noviziato deiPassionisti a Morrovalle, in provincia di Macerata;in onore di Maria cambiò il suo nome in Gabriele

dell’Addolorata. Visse la sua vita religiosa conentusiasmo e passione, trovandovi la vera gioia,come scrisse ai familiari. Ma dopo soli sei annidi vita religiosa, poco prima del sacerdozio, aIsola del Gran Sasso morì di tubercolosi il 27febbraio 1862, dopo una vita breve, semplicis-sima ma non inutile; “Quel ragazzo ha lavora-to col cuore” scrisse il suo direttore spirituale,riferendosi all’eroicità del quotidiano e alla devo-zione per il Crocifisso e per Maria da lui espres-se. Il segreto della sua santità infatti è aver vis-suto semplicemente il quotidiano; ai giovani SanGabriele insegna che si può essere vincenti nel-la vita senza fare grandi cose, ma compiendounicamente il proprio dovere.I prodigi avvenuti alla riesumazione delle sue

spoglie, nel 1892, avviarono la sua fama; fu bea-tificato nel 1908 da papa Pio X, canonizzato daBenedetto XV nel 1920, proclamato compatro-no della gioventù cattolica italiana da Pio XI (1926)e patrono d’Abruzzo da Giovanni XXIII (1959).I caratteri della santità di Gabriele dell’Addoloratasono sintetizzati plasticamente forse nell’ultimagrande opera d’arte installata nel suo nuovo san-tuario, la Porta degli Emigrati, realizzata in bron-zo dallo scultore abruzzese Paolo Annibali, natonel 1958 a San Benedetto del Tronto. L’opera illustra tutti gli aspetti della santità di SanGabriele: quello di Santo dei Giovani, specie stu-denti, seminaristi e novizi, che a 100 giorni dagliesami di maturità in gran numero accorrono alle

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1515Febbraio 2019Febbraio 2019Anno 16, n. 2 (160)

sue spoglie; quello di patrono d’Abruzzo e pro-tettore degli Emigrati abruzzesi, sparsi nei cin-que continenti ma con il cuore sempre in patria:per la loro fede il culto di San Gabriele si è dif-fuso nel mondo, e con le loro offerte si è potu-ta realizzare la Porta degli Emigrati; quello disanto dei miracoli, specie a favore di malati anchegravissimi, dal primo del 1982 che portò alla gua-rigione di una ragazza di Isola morente per tisi(la stessa malattia di San Gabriele), all’ultimodel 1975 a favore di una bambina di Montesilvano;quello di protettore degli Alpini, abruzzesi e non,che specie in tempo di guerra hanno trovato nelSanto un sostegno forte e che ogni anno, la ter-za domenica di febbraio, si radunano nel suosantuario per manifestare la loro riconoscenza.Mi sembra interessante riportare la deposizio-ne canonica del suo direttore spirituale, il padreNorberto Cassinelli (1829-1911), ligure, nella qua-le egli descrive sia il ritratto fisico che la fisio-nomia spirituale del confratello, di soli nove annipiù giovane, al quale fu accanto in tutti i sei annidella sua vita religiosa. Egli afferma:“Il Servo di Dio aveva avuto in sorte dalla natu-ra un carattere molto vivace, soave, gioviale, insi-nuante, insieme risoluto e generoso… Aveva un fare sommamente attraente, tratto pia-cevole, modi naturalmente gentili e ammanie-rati, gioviale e festoso nel trattare con gli altri,di parola pronta, propria, arguta, facile e pienadi grazia, che colpiva e metteva in attenzione.Agile e composto in ogni movimento della per-sona, ben formato, di bel colorito, di forme avve-nenti. Nell’insieme radunava tante e sì belle dotiinteriori ed esteriori che difficilmente tutte pos-sono trovarsi adunate in una persona. A tutto metteva compimentouna lingua assai sciolta ed agi-le e voce sonora. Onde nonè da meravigliarsi che ilServo di Dio si guadagnas-se la benevolenza di tutti, ancheprescindendo dalla virtù e san-tità che a tutto metteva com-pimento. Tutto egli seppe vol-gere al bene proprio e altruinella religione, di tutto si val-se per esercitare ed insinuareil bene: la virtù, l’amore ver-so Dio, la carità verso il pros-simo. (…)Egli era nemico della doppiezza,ingenuo ma prudente con tut-ti, schietto e sincero special-mente con i superiori esoprattutto con il direttore delsuo spirito, al quale nulla tene-va celato di ciò che passavanel proprio cuore e nell’ani-ma sua. (…)Era molto suscettibile all’ira,ma durava pochissimo tem-po, presto rientrava in se stes-so, e si pentiva molto di quan-to accaduto… Per quanto posso ricordaremai più ebbe luogo avverti-

tamente uno scatto d’ira da religioso, tanto cheera diventato modello di pazienza, di rassegnazione,di mansuetudine, tanto più perfetto quanto piùsi avanzava negli anni… Aveva un cuore sen-sibilissimo e pieno di affetto”.Sempre nei suoi “Cenni biografici di confratelGabriele” p. Norberto racconta anche il trapassodel discepolo, avvenuto all’alba del 27 febbraio1862, due giorni prima di compiere 24 anni dietà.“Sul levarsi del sole, ricevuta l’assoluzione, doman-dò l’immagine della Madonna Addolorata. (…)Si cercò l’immagine che sempre teneva sottogli occhi, e non si riuscì a trovarla perché vol-tandosi l’aveva smarrita per il letto. Si prese quelCrocifisso che in vita teneva sempre sotto gliocchi quando recitava l’Ufficio divino. A questa immagine all’angolo inferiore sinistroaveva da diversi anni unito la piccola effigie del-la Desolata del Mochetti, oggetto anch’esso ditanti atti di devozione. Gli fu consegnata, la pre-se tutto contento e sereno, la strinse con pas-sione con ambedue le mani, impresse su ambe-due mille fervidissimi baci, se la portò al petto,v’incrociò sopra le mani, e se la calcò sul pet-to con forza e grande affetto.Chi era presente piangeva per tenerezza, e nonso come io riuscii a contenermi. L’osservare congli occhi propri l’affetto, la confidenza, il fervo-re di carità, la tenera maniera con cui facevatutte quelle azioni, era cosa che avrebbe inte-nerito i sassi. Aveva appena posto la doppia imma-gine sul petto, fissò gli occhi in cielo, e disserivolgendosi a Maria Santissima: “Fa presto, Mamma mia”. Poi: “Maria, mater gra-tiae, mater misericordiae, Tu nos ab hoste pro-

tege, et mortis hora suscipe”, strofetta che ave-va sempre sulle labbra. Quindi: “Gesù, Giuseppee Maria, vi dono il cuore e l’anima mia. Gesù,Giuseppe e Maria, assistetemi nell’ultima ago-nia. Gesù, Giuseppe e Maria, spiri in pace travoi l’anima mia”. E tutto questo lo diceva con una tale conten-tezza e così sereno, lo esprimeva con un tonotoccante, che suscitava devozione e lacrime inchiunque lo guardava. E qui mi resi conto final-mente dello scopo di tutto il suo comportamento.Aveva appena terminato le giaculatorie, che eccoil respiro divenne più lento e leggero. Chiamaicon la campanella la Comunità che stava in ora-zione, e in un attimo arrivano tutti nella came-ra del moribondo e si pongono in preghiera. Ilmoribondo si sistema come uno che si pone aprendere un saporitissimo sonno, e all’improv-viso prende un viso tutto ridente e devoto, alzae fissa avidi in un punto gli occhi, e in quella posi-zione passa placidamente senza agonia, sen-za il minimo movimento, alla vita eterna, colladoppia immagine stretta sul petto. (…).Io tutto commosso e addolorato lasciai quellacamera che mai più si è cancellata dalla mia men-te e mi ritirai in cella. Più tardi quando il cadavere era già esposto nel-la camera vi entrai e notai che il volto di quelcaro figliolo si era fatto alquanto bruno e un pocodeformato. Ma poi poco a poco riprese il colo-rito e i lineamenti di quando era vivo e sembravain uno stato di raccoglimento e con un’aria dimaggior gravità. Lo rividi poi al tempio delle ese-quie per l’ultima volta. Non mi resse più il cuo-re di rivederlo e non ebbi il coraggio di assisterealla sua tumulazione”.

1616 Febbraio 2019Febbraio 2019Anno 16, n. 2 (160)

Sara Bianchini *

DDopo la celebrazione eucaristica delloscorso 5 dicembre, presieduta dal nostrovescovo ad Artena, quale apertura degli

incontri formativi per i volontari e gli operatoridella Caritas, si è svolto – sempre ad Artena,presso la parrocchia Santo Stefano – il primoincontro tematico della serie “Vinci solo quan-do smetti”, dedicata al tema “Dalla conoscen-za al contrasto dell’azzardo”. Intitolato secon-do l’espressione del salmista “L’uomo nella pro-sperità non comprende” e guidato da don CesareChialastri, l’incontro si è foca-lizzato sulla visione dellaricchezza nel Vangelo. Leconsiderazioni che seguo-no, rappresentano il suc-co del discorso del relato-re. Questo tema è un campominato, un tema di confi-ne e i confini sono labili, sispostano, anche dentro dinoi: nel Vangelo Gesù hadelle parole molto radica-li nei confronti della ricchezza:perché? È inoltre un temamolto vasto: riguarda tut-ti, non solo i cristiani, matutta l’umanità!Nella questione della ric-chezza, c’è una parte poli-tica e sociale non irrilevante:anche nei nostri paesi lapovertà è ritornata signifi-cativamente visibile e unadelle grandi preoccupazionidelle famiglie con genito-ri over 60 è quella di come vivranno e come cela faranno i loro figli (generazioni senza lavoroe senza sostegno), dopo la loro scomparsa.Gesù ci inviterebbe a cogliere il nesso fra l’in-dividualismo radicale e la finanza (il potere del-la finanza), nonché a vedere che questi poterisono illegittimi. Gesù aveva presente quello cheera successo in Galilea dopo 43 anni di ErodeAntipa. Spesso ci soffermiamo sulla fraseevangelica: “Dare a Cesare quel che è di Cesaree a Dio quel che è di Dio”. Al di là della com-prensione del suo corretto significato, qualcu-no potrebbe immaginare che Gesù andasse cer-cando la via di mezzo. Dare un colpo al cerchio(il denaro) e uno alla botte (Dio). Il nostro bra-no di riferimento è Matteo 6, 24-34: non pote-te servire due padroni (o Dio o il denaro); cer-cate innanzitutto il Regno di Dio e la sua giu-stizia. Queste sono parole sapienti, di buon sen-

so, ma forse… ovvie! C’era bisogno che Gesùle dicesse? Sembrano parole di una sapienzaumana che avrebbe potuto dire chiunque. In real-tà la sua sapienza è al di là della dimensioneumana, perché il discorso del denaro è comprensibilesolo alla luce della ricerca della giustizia del Regnodi Dio. Probabilmente Gesù dice queste paro-le ad un gruppo di persone ristretto che lo segui-va per la Galilea. È molto importante comprendere i destinataridelle parole di Gesù ed il contesto in cui que-ste persone vivevano. Lui era un itinerante manon un mendicante: cercava ospitalità e dun-que contava sulla solidarietà di coloro che lo ascol-tavano. A quanti avevano scelto radicalmentela logica del Regno, Egli fa però una richiesta

più radicale, ossia l’abbandono di tutto. La Palestina al tempo di Gesù era fertile, conun buon clima, possibilità di lavorare, ma anchemortalità alta e poca istruzione. Erode Antipa ave-va costruito molte città, divisa la terra della popo-lazione palestinese fra i soldati romani, sfruttatole fonti idriche (necessarie per l’agricoltura) aifini ludici (terme, etc.). Molte famiglie palestinesisi erano indebitate per pagare il tributo. Gesù quindi ricordava la promessa di Dio e vede-va la povertà attuale del suo popolo. Anche ilprimo passo pubblico di Gesù a Nazareth sonole parole del profeta che parlano del giubileo,che parlano di cosa fare per non radicalizzareed endemicizzare la povertà. Queste parole sono dunque una protesta con-tro la politica di Erode, di fronte a cui c’è unapossibilità diversa: cercare innanzitutto il Regnodi Dio e la sua giustizia.

Secondo brano di riferimento: il giovane riccoin Marco 10, 17-22. La vita aveva concesso aquesto giovane la possibilità di arricchirsi e Gesùgli dice che era tempo perso, gli dice radical-mente che c’è un’altra giustizia che supera lalegge che lui aveva seguito fin dalla sua giovi-nezza. I discepoli restano stupiti di fronte a ciò:quanto è difficile entrare nel Regno di Dio. Nella mentalità del tempo il denaro non era con-siderato una cosa iniqua. La prima comunità cri-stiana comincia allora a chiedersi perché Gesùsia così radicale rispetto alla ricchezza. Ai pochi ricchi romani che si presentavano nel-la comunità cristiana veniva posta un’alternati-va: se tu vuoi continuare ad essere ricco, il tuomodello già lo hai (Erode Antipa), se vuoi esse-

re cristiano, devi seguirequel povero uomo di Gesùche è morto oltraggiato, deri-so, etc. Gesù è statoderiso perché aveva fat-to una scelta di servizio enon di potere. La ricchezza in questo impe-disce di seguire Gesùperché è difficile staccar-sene. È quindi un ostacolo.I ricchi sono schiavi del-le esigenze di Mammona.Non riescono ad orienta-re le loro ricchezze e la lorovita al Regno di Dio.Se servi due padroni,ami l’uno e odi l’altro: altempo di Gesù, i servi appar-tenevano veramente alpadrone e dunque capivanobene cosa Gesù stessedicendo. Dov’è il tuo teso-ro (quello che vuoi vera-mente), là starà il tuo cuo-re. La logica dell’accumulo

vale per tutti, sia per chi può accumulare pocoche per chi può accumulare tanto (se tu puoiaccumulare cinque e ti attacchi a quel cinque,fai lo stesso tipo di azione di chi può accumu-lare mille e si attacca a mille). Tre conclusioni: 1) Gesù sa che nella sua terra domina una ido-latria del denaro, del possesso che avvelena tut-to e fa delle vittime (che sono la gente sempli-ce), per questo Gesù ha spesso evocato lo spi-rito del Giubileo (cioè delle riforme radicali), per-ché una società egualitaria è possibile se nonfai concessioni alle pretese dei ricchi; 2) Gesù invita tutti a venire allo scoperto, se iltuo tesoro non è Dio, allora cercherai il mododi fare svanire la logica del Giubileo e la tua logi-ca si estenderà alla tua famiglia, poi al tuo grup-po, alla tua città, alla tua nazione; 3) Nascono da ciò alcuni comandamenti:Non arricchirti perché è tempo perso

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1717Febbraio 2019Febbraio 2019Anno 16, n. 2 (160)

Se hai, hai per dareÈ un dovere per tutti quelli che vogliono segui-re Gesù, dare testimonianza di distaccamentodal denaroEducare all’elemosina e alla generosità nella Chiesa.Il Regno non ha bisogno di potere, l’Impero roma-no sì. Il prossimo incontro, guidato dall’Ufficioper il contrasto e la lotta all’azzardo della Diocesidi Roma, avrà luogo il primo marzo alle ore 17.30,sempre nel salone parrocchiale (della parroc-chia S. Stefano) in piazza Genocchi: esso mire-rà alla conoscenza dell’entità del fenomeno inItalia e della legislazione italiana in merito.

*Caritas Diocesana

Nell’immagine del titolo: L’amministratore disonesto, Marinus van Reymerswale, 1540

Luciano Manicardi

Riprendiamo la lettura del contributo del prioredella comunità di Bose, Luciano Manicardi,su “La fraternità evangelica tra i presbiteri”.

3. La prassi della sinodalità e della collaborazione nel presbiterio

Anzitutto è importante che il vescovo vigili per-ché ci sia una buona informazione di tutti i pre-sbiteri circa la vita diocesana. Una dimensionedella sinodalità è l’informazione. L’informazionetende all’edificazione del corpo ecclesiale. È impor-tante che i presbiteri conoscano con chiarezzale linee di governo del vescovo, conoscano moti-vazioni e finalità dell’agire pastorale che vieneloro richiesto, altrimenti, presto o tardi, ci si tro-verà di fronte a un rifiuto inconscio o anche aper-to della decisione. Ci si troverà di fronte a unademotivazione, a un divorzio se non dal mini-stero, almeno dalla volontà di impegnarsi.Da parte dei presbiteri occorre la volontà di esse-re presenti alle occasioni di incontro e di fraternitàe di non cedere troppo facilmente alla tentazionedi dire “Non servono a nulla”, “sono inutili”, “tan-to non cambia mai niente”. Occorre accettaredi essere scomodati. E combattere la pigrizia,il cinismo e la sfiducia.Perché la fraternità divenga responsabilità e cor-responsabilità tra presbiteri e tra presbiteri e vesco-vo occorre mettere in atto diversi atteggiamentirelazionali che comportano un impegnativo lavo-ro su di sé e la disponibilità a sempre ricomin-ciare.1. Serietà. Si tratta di prendere sul serio ciò chesi fa: il proprio e l’altrui ministero, la propria vitadi fede e di preghiera, le relazioni con gli altri,… In particolare, si tratta di prendere sul seriole occasioni sinodali e i momenti assemblearidisponendosi a una partecipazione convinta eattiva.2. Rispetto. Mi riferisco al rispetto dei preti tradi loro e del prete verso il vescovo e vicever-sa. Ma è anche rispetto delle opinioni diverse

dalla propria, rispetto delle debo-lezze dell’altro. Rispetto è anchecapacità di vedere (re-spicere) i pro-pri limiti, le proprie debolezze, pernon travalicare, per non peccaredi hybris, per non cadere nell’ar-roganza, nella prepotenza, nel dis-prezzo.3. Fiducia. Un vescovo è il primoresponsabile della creazione di unclima di fiducia reciproca nel pre-sbiterio. La sua disponibilità all’a-scolto e all’incontro dei suoi pre-ti, il suo prendersi cura dellesituazioni che gli vengono presentate,nella coscienza che la sollecitudi-ne per i presbiteri è il suo primocompito, il suo essere “di parola”,il suo ricordarsi delle situazioni diciascuno, tutto questo favorisce unclima di fiducia e fa sentire comeaffidabile il vescovo stesso. Ovvioche questa apertura di fiducia devevigere anche nei presbiteri e tra diloro. Senza fiducia non vi è alcuna possibilitàdi comunione e di fraternità.4. Lealtà. Sulla fiducia si costruisce la lealtà, cheè legame di alleanza con gli altri, accordo percostruire insieme e camminare insieme. La leal-tà è impegno della volontà che si orienta ver-so un fine comune, un obiettivo non individua-listico, ma comune.5. Sincerità. La sincerità accompagna la leal-tà e impedisce di nascondere, celare, mentire,dire verità parziali. Uno dei significati etimolo-gici del termine “sincerità” rinvia a “senza cera”,in riferimento agli scultori che non facevano ricor-so alla cera per mascherare i difetti delle loroopere. L’idea sarebbe quella di “genuino”, “auten-tico”, “senza finzione”. Sincerità rinvia anche aquella parresía che è libertà di parola e che devecontraddistinguere ogni riunione sinodale e ognirapporto intraecclesiale autentico. Sincerità sideve accompagnare a chiarezza di comunica-zione, perché caritas è anche claritas.

6. Responsabilità. La responsabilità mi situain rapporto vitale con Dio e con gli altri e mi spin-ge a rispondere di me, di ciò che faccio, del mini-stero che ho ricevuto, della mia vita di fronte alSignore, di fronte alla mia coscienza, di frontealla comunità. E anche, per il presbitero, di fron-te al vescovo. Della responsabilità fa parte costi-tutiva, anche etimologicamente, la parola, la rispo-sta. Una piena responsabilità non può esseremuta o non comunicativa.7. Discrezione. Va infine ricordata la necessaria,anzi vitale, discrezione. Discrezione da parte delvescovo che si trova a conoscere dettagli di situa-zioni ecclesiali e personali di presbiteri che richie-dono di non essere divulgati, discrezione da par-te di ogni presbitero per non cadere in quellatentazione così spesso stigmatizzata da papaFrancesco della chiacchiera, della mormorazione,del parlar male degli altri, del vescovo o di altripresbiteri.

continua nella pag. 18

segue da pag. 16

1818 Febbraio 2019Febbraio 2019Anno 16, n. 2 (160)

II Parte:ASCOLTO, PAROLA, AFFETTIVITÀ

Queste osservazioni ci introducono nella secon-da parte della mia relazione in cui individuo trepunti cruciali su cui si costruiscono la fraterni-tà e la comunione presbiterale: l’ascolto, la paro-la, l’affettività.1. L’ascolto Il ministero affidato ai presbiteri, secon-do il Nuovo Testamento, è ministero della Parola,parola celebrata, annunciata, testimoniata. I pre-sbiteri sono affidati alla Parola di Dio, dice Paoloin At 20,32). Il ché significa che essi, per esse-re servi della parola di Dio, devono ascoltarlaogni giorno, farne il loro nutrimento spirituale quo-tidiano, il loro pane quotidiano. E devono dive-nire uomini di ascolto a servizio di quella chie-sa che si pone davanti a Dio “in religioso ascol-to della parola di Dio e proclamandola con fer-ma fiducia ” (come recita il Prologo della Dei Verbum).Lì si afferma che la Chiesa esiste in quanto ser-va della Parola di Dio, sotto la parola di Dio, neldoppio movimento di ascolto e annuncio dellaparola di Dio: “è come se l’intera vita della Chiesafosse raccolta in questo ascolto da cui solamentepuò procedere ogni suo atto di parola”, scrisseil teologo Joseph Ratzinger commentando il pas-so di DV. Per essere ecclesia docens, la Chiesadeve essere ecclesia audiens. Ora, il presbitero, a servizio della comunione eccle-siale che nasce dall’ascolto della parola di Dio,come potrebbe lui sottrarsi a questo imperati-vo dell’ascolto? Il ministero della Parola non puòche essere anche ministero di ascolto. Della paro-la di Dio certo, nella lectio personale come nel-la liturgia, ma poi di ascolto degli altri. Diventare un uomo capace di ascolto: questoè vitale per il lavoro pastorale (dove un presbi-tero ha relazioni a 360 gradi e deve diventareesperto in relazioni differenziate: con bambinie anziani, con sposi e fidanzati, con malati e moren-ti, con giovani, ecc.) e questo è essenziale ancheper i rapporti tra presbiteri. Chiediamoci: che cos’è ascoltare? Che cosa richie-de? Una fraternità presbiterale e una comunionenella comunità, si creano a partire dalla quali-tà del vostro ascolto.

1. L’ascolto è un atto intenzionale.A differenza del sentire che è meccanico, auto-matico, l’ascolto esige una decisione, una volon-tà. L’ascolto esige concentrazione, rientrare insé, rispettare ciò che si ascolta senza manipo-lare, senza forzare, senza interpretare arbitra-riamente. L’ascolto tende a far emergere ciò chel’altro dice e sente per far emergere chi l’altroè. Ascoltare è impegno di tutta la persona, è unessere presenti all’altro senza riserve, senza dis-trazioni, con piena attenzione. Nell’ascolto tento di comprendere l’altro coin-volgendomi con lui. Un ascolto distaccato, aset-tico, non coinvolto, semplicemente fallisce l’in-contro a cui l’ascolto vuole condurre. L’ascoltocome fatica tesa alla comprensione dell’altro èatto che tende all’accoglienza dentro di sé del-l’altro (cum-prehendere). La fraternità presbiterale

e l’amore pastorale nascono dalla volontà di ascol-to.

2. L’ascolto non ascolta solamente le paro-le e le frasi ma anche il corpo. Anche il corpo parla, anzi normalmente il cor-po non mente a differenza delle parole che masche-rano o mentono apertamente. Nella comunica-zione umana sappiamo che i gesti, il tono del-la voce, i lineamenti del volto, le posture del cor-po, gli sguardi, comunicano molto di più del con-tenuto delle parole. Ascoltare è anche osservare,fare attenzione, cogliere i tic verbali e i movi-menti del corpo che si accompagnano alle paro-le dette, notare i riflessi emotivi che sottolinea-no certi passaggi del parlare dell’altro. Ascoltarel’atteggiamento del confratello presbitero che vedopreoccupato, teso, e che, forse, attende solo qual-cuno che gli offra la possibilità di dire ciò chelo sta facendo soffrire. Certi abbandoni della vitapresbiterale forse si sarebbero potuti evitare seil prete avesse avuto l’occasione (certo, ancheil coraggio) di dire ciò gli gravava sul cuore, lacrisi che stava vivendo.

3. L’ascolto suppone che si rompa con i pre-giudizi sull’altro.Precomprensioni, etichette e pregiudizi sono unimpedimento all’ascolto. Ascoltare significaoperare una purificazione delle idee che ave-vamo sull’altro. Il nostro ascolto sincero può pro-vocare un cambiamento anche in colui che tut-ti giudicano impossibilitato a cambiare. L’altronon è una categoria, ma una persona, un vol-to, una unicità irripetibile. E questo io lo riconoscosolo con l’ascolto. Occorre essere aperti alle smen-tite e alla novità quando ci si dispone all’ascol-to. Il rischio è quello di proiettare sull’altro le coseche sappiamo di lui o quelle che crediamo disapere. Ascoltare significa uscire dalla pigriziaper cui etichettiamo l’altro e ingessiamo i rap-porti con lui arrivando a cadere, a volte, in rap-porti tra presbiteri superficiali o infantili, solamentescherzosi o banali. Rapporti regressivi.

4. Ascoltare significa dare tempo all’altro. La fretta è nemica di un buon ascolto. Occorrerimettersi ai tempi dell’altro, non forzargli la mano,ma acconsentire ai suoi tempi perché arrivi adire ciò che vuole dire. Ascoltare è, come io pre-ferisco dire, dare ascolto. Dare ascolto, dare tem-po è dare vita. Spendere la propria vita, dona-re il proprio tempo perché l’altro sia e viva. Spessol’altro fatica a trovare le parole, ha vergogna diquel che pure vorrebbe dire, fatica a esprime-re ciò che intende significare, parla in modo nonchiaro, non padroneggia le parole, spesso la comu-nicazione è una sofferenza, e l’ascolto una veraascesi. Ma guai a far sentire all’altro che nonsi ha tempo, che lo si ascolta guardando l’oro-logio. L’altro deve sapere che ha tempo e chepuò dirsi. Soprattutto quando vuole e cerca didire cose pesanti, di cui si vergogna: più chemai allora deve trovare una persona che lo acco-glie incondizionatamente. Se l’altro, ascoltan-domi mi accoglie in ciò che io sento di irricevi-bile in me, allora anch’io posso accogliermi. Posso

dirmi di sì, se un altro me lo dice con il suo ascol-to. Ascoltare è dire di sì all’altro e apprestargliuno spazio di rinascita. L’ascolto crea fiducia,che è la matrice della vita.

5. Ascoltare è ospitare.L’ascolto è atto di ospitalità verso l’altro.Occorre pertanto sgombrare il proprio io da pen-sieri, distrazioni, rumori, immagini che riempo-no e non lasciano spazio all’altro di trovare dimo-ra. Se il nostro cuore trabocca di preoccupazioni,sofferenze, pensieri autocentrati, non si rendelibero per ascoltare e chiude all’altro la porta ela possibilità di entrare in sé. L’ospitalità dell’a-scolto si deve accompagnare al pudore e alladiscrezione. L’altro ci fa fiducia consegnando-ci timori, problemi, paure, parole delicate,angosce, situazioni inerenti la sfera sessuale omorale: questo esige pudore, non intrusività, noncuriosità fuori luogo o morbosa, perché alloral’ascolto diventerebbe violenza e abuso, prete-sa e prevaricazione.

6. Ascoltare implica anche il fare silenzio.Non solo il tacere, ma il fare silenzio, il fare delsilenzio un’attività interiore. Il silenzio interioreè silenzio delle conversazioni interiori, dei litigiinteriori, delle voci e dei rumori, delle immagi-ni che ci attraversano e ci disturbano. Anche deiricordi che ci tengono prigionieri del passato. L’ascoltoesige l’ascesi mentale, il dominio della facoltàdell’immaginazione. Solo così ciò che l’altro cidice e ci comunica ci può raggiungere in modolimpido.

7. Ascoltare è discernere. L’ascolto opera una cernita, un discernimento,una scelta tra gli elementi che compongono ilmessaggio dell’altro. L’ascolto è atto intelligen-te, selettivo: legge dentro, fra, negli interstizi deldetto e del non-detto, tra parole e gesti, nota leparole chiave e rivelatrici dell’altro. Tante paro-le dette non sono essenziali al fine della cono-scenza dell’altro, ma spesso per comunicare qual-cosa di importante si avvolge il messaggio conparole che costituiscono un cuscinetto protet-tivo che attutisce il colpo della rivelazione chesta a cuore. Ascoltare implica anche il vederee nominare le paure che possiamo avere nel-l’ascolto. Le resistenze all’ascolto: ho il fastidiodi chi è noioso, di chi è lento, di chi per dire unacosa che ho già capito quale sarà, percorre ungiro interminabile per arrivarci, ho il terrore del-le persone confuse e poco capaci di esprimer-si con chiarezza. L’ascolto diviene così ancheascolto di sé, svelamento delle nostre miserie,delle nostre debolezze, delle nostre fragilità. Èimportante, quando si ascolta una persona ascol-tare anche la risonanza in noi di ciò che dice ocomunica. Comprendiamo così che l’ascolto del-l’altro è anche, inscindibilmente, ascolto di sé.E, tra i frutti che porta, non c’è solo la conoscenzadel’altro, ma anche di se stessi. E, dunque, laconoscenza del Signore che è in noi, come ènel fratello. Dunque, un presbiterio diviene real-mente tale quando si crea in esso un clima diascolto reciproco.

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1919Febbraio 2019Febbraio 2019Anno 16, n. 2 (160)

don Andrea Pacchiarotti*

CCon la liturgia del-la Parola si entranel cuore della

Celebrazione eucaristicapoiché tutto ciò che la pre-cede è principalmente pre-parazione e introduzionead essa. Lo stesso Gesùantepone una celebrazionedella Parola primadell’Ultima cena vera e pro-pria. In un certo sensoGesù avverte la neces-sità di spiegare agliApostoli quanto sta perfare nell ’ ist i tuzionedell’Eucaristia. È proba-bile quindi che, nel coman-do di ripetere in suamemoria quanto da lui fat-to in quell’occasione,rientrasse anche il ricor-do di lui nelle scritture. Giovanni nel suo Vangelocolloca nel contesto del cenacolo, in concomi-tanza con quanto i sinottici narrano circa l’Ultimacena, un lungo discorso di Gesù. Sulla via diEmmaus Gesù dapprima “spezza” le scrittureche parlano della sua passione e poi compiela frazione del pane, che permette ai due disce-poli di riconoscerlo (Lc 24,13-49).Giustino è il primo testimone storico esplicitodi una liturgia della Parola caratterizzata da let-ture, omelia e preghiere dei fedeli primadell’Eucarestia. Nei Padri della chiesa appareinvece come normale la liturgia della Parola pri-ma di quella eucaristica, anche se la sua impo-stazione assume forme diverse a seconda deiluoghi e dei tempi nella qualità, nel numero enell’ordine delle letture, dei canti e delle altreparti. Successivamente sorgono il lezionario e libri dicanto con un’impostazione sistematica e orga-nica dei testi da proclamare. La parte principaledella liturgia della Parola è costituita dalle let-ture bibliche che mettono in luce l’unità dei dueTestamenti e della Storia della salvezza. Nei giorni festivi le letture variano secondo unciclo triennale, durante il quale i Vangeli dell’annoA sono secondo Matteo, quelli dell’anno B, secon-do Marco, e i Vangeli dell’anno C, secondo Luca.La prima lettura è ricavata normalmentedall’Antico Testamento, eccetto che nel TempoPasquale, quando è tratta dagli Atti degli Apostoli,mentre la seconda proviene dagli Scritti del NuovoTestamento. Il Vangelo di Giovanni invece viene letto non

in un anno specifico, ma nelle domeniche diQuaresima, di Pasqua e in particolari Solennitàe circostanze durante l’Anno liturgico.Nelle 34 settimane del Tempo ordinario dei gior-ni feriali le letture sono suddivise in due cicli,secondo gli anni pari e dispari. I Vangeli sono tratti invece per nove settima-ne da Marco, per dodici da Matteo e per tredi-ci da Luca; le prime letture sono dell’Antico odel Nuovo Testamento. Negli altri tempi la scelta delle letture è fatta secon-do le caratteristiche del periodo liturgico.Parlare della liturgia della Parola, implica il sot-tolineare come nelle nostre assemblee liturgi-che si “leggano” le letture più che “celebrare”la Parola. Questa impostazione è ancora piut-tosto scolastica, per cui la Parola di Dio è accol-ta come un messaggio da leggere e da spie-gare, più che una “Persona” da incontrare e unevento da celebrare.In quanto azione liturgica, la Parola non è sem-plicemente letta e commentata ma è celebra-ta attraverso la molteplicità e la varietà dei lin-guaggi della comunicazione e dell’incontro. All’attoverbale della proclamazione, la liturgia acco-sta gesti, silenzi, canti, movimenti, immagini, segnie attenzioni rituali che non costituiscono sem-plicemente la cornice e il contesto della Parola,ma che fanno parte integrale dell’evento cele-brato. La stessa proclamazione della lettura va com-presa anzitutto come gesto: il lettore proclamala Parola di Dio coinvolgendo il proprio corpo,occupando uno spazio preciso – l’ambone – e

prestando la propriavoce, singolare e incon-fondibile. Il suo stessorecarsi all’ambone costi-tuisce un movimentorituale, da compiere concura e piena consape-volezza del ruolo mini-steriale che si apprestaa svolgere. Oltre all’atto di lettura, laritualità nella liturgia del-la Parola si concentra attor-no al libro delle Scritture(più precisamente,l’Evangeliario), nei gestidella processione e del-la venerazione. Il movimento processio-nale verso l’altare, con cuiall’inizio della celebrazionel’Evangeliario fa il suoingresso insieme al dia-cono (o ai lettori), espri-me il dono della Parolache viene dall’alto, da Dioe che si compie nelmistero eucaristico. Conil rito dell’incensazione eil bacio del libro, è la Paroladi Dio ad essere onora-ta e venerata, poiché nel

corpo delle Scritture Dio è presente in mezzoal suo popolo. Si tratta di una Parola che non è troppo lonta-na da noi, ma è vicina, sulla nostra bocca, nelnostro cuore (Rom 10, 6-9): il segno di croce,che viene tracciato sulla fronte, sulle labbra esul cuore, esprime la vicinanza della Parola ela totalità del coinvolgimento personale nell’attodell’ascolto. Nel sottolineare l’importanza dei gestie dei riti che si compiono intorno alla Parola,occorre spendere una Parola sull’uso deifoglietti per la Messa. Durante la liturgia della Parola, è importante ascol-tare la proclamazione delle letture e non leg-gerle, anche se sottovoce o interiormente, dalfoglietto. L’assemblea liturgica non può esse-re una sorta di sala di biblioteca dove ognunolegge individualmente e simultaneamente lo stes-so testo. Tra ascoltare e leggere c’è una note-vole differenza. La celebrazione liturgica è un’azione profonda,reale, vera: il Signore stesso ci parla, si rendepresente, ci permette di rivivere il suo misterodi salvezza oggi. Siamo invitati a partecipareil più possibile come un’unica famiglia che pre-ga con un cuore solo ed un’anima sola. Solouna profonda consapevolezza dell’importanzadella Parola di Dio nella liturgia e un’autenticae adeguata ministerialità sapranno rendere i gestiliturgici semplicemente, spontaneamente, gar-batamente capaci di far trasparire il Mistero cele-brato.

*Direttore dell’Ufficio liturgico diocesano

2020 Febbraio 2019Febbraio 2019Anno 16, n. 2 (160)

Giovanni Zicarelli

SSabato 5 gennaio è stata celebrata, nel-la magnifica cornice della Basilica di SanClemente I, cattedrale di Velletri,

l’Ordinazione diaconale di ClaudioSinibaldi.La solenne funzione, iniziatacon il lungo corteo dei sacerdo-ti e dei diaconi della Diocesi Velletri-Segni, è stata presieduta da S.E.Rev.ma mons. Vincenzo Apicella.“La nostra Diocesi – dice scher-zosamente mons. Apicella –, for-tunatamente non esprime solovescovi – alludendo alle recenti

nomine di mons. Luigi Variad arcivescovo di Gaetae di mons. LeonardoD’Ascenzo ad arcive-scovo di Trani-Barletta-

Bisceglie e Nazareth –; oggi infatti celebriamoun’Ordinazione diaconale, quella di Claudio Sinibaldi.”.Un tono divertito ma che esprime tutte le diffi-coltà che oggi incontra quotidianamente un vesco-vo a causa della carenza di presbiteri e diaconima che non da meno si attende senza forza-ture che a chiamare sia la vocazione suppor-tata da una rigorosa formazione.Gioiosa è l’espressione del vescovo e di tuttii presbiteri e i diaconi che hanno accompagnatoClaudio nella navata. Un ragazzo che ha iniziato il suo percorso spi-rituale presso la parrocchia di San Bruno in Colleferro.È nato a Colleferro il 17 luglio del 1984 da Vincenzo(prematuramente scomparso nel 2001) e da GiuliaSerani. Ha una sorella: Daniela. Ha frequentato la scuola elementare “FrancescoPetrarca” (oggi “Giovanni Paolo II”) di Colleferroe, sempre in Colleferro, ha frequentato la scuo-la media “Giuseppe Mazzini”. Si è quindi diplo-mato presso il Liceo artistico “Anton Giulio Bragaglia”di Frosinone ed è prossimo alla laurea in Architettura

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2121Febbraio 2019Febbraio 2019Anno 16, n. 2 (160)

AlessandroMaggiore

SSi è svolto il 24 Gennaioin Cattedrale un inten-so, e ormai tradiziona-

le per la nostra Diocesi, incon-tro di preghiera ecumenica pre-sieduto dal nostro VescovoVincenzo assieme al sacerdoteortodosso Preot Vasile Radue il Pastore riformato della ChiesaMetodista Emanuele Fiume daltema “Cercate di essere vera-mente giusti (Dt 16, 18-20)”.Già molto simbolica, e forse aipiù sconosciuta, la data tradi-zionale per la celebrazione del-la Settimana di preghiera perl’unità dei cristiani che nell’e-misfero nord, va dal 18 al 25 gennaio. La data fu proposta infatti nellontano 1908 da P. Paul Wattson perché compresa tra la festa della cat-tedra di san Pietro e quella della conversione di san Paolo.La Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani per quest’anno 2019è stata preparata dai cristiani dell’Indonesia. Con una popolazione di 265 milioni di persone, di cui l’86% si profes-sa musulmano, l’Indonesia conta la più ampia maggioranza musulma-na rispetto ad ogni altro paese. Vi è, però, un 10% di indonesiani costi-tuito da cristiani di varie tradizioni.

L’incontro di preghiera in Cattedrale è stato incentrato sulla liturgia del-la Parola e in particolare sul Vangelo di Matteo (Matteo 15, 28) “O don-na, davvero la tua fede è grande!” su cui i tre pastori delle Chiese han-no proposto una breve meditazione.In particolare il nostro Vescovo si è soffermato sulla possibilità che leChiese cristiane agiscano concretamente insieme su temi comuni chestanno a cuore di tutte le Chiese cristiane quali il tema dei migranti eper la difesa del creato.

presso l’università “La Sapienza” di Roma. Frequenta il Pontificio Collegio Leoniano di Anagnidal 22 ottobre del 2012.Nel corso della celebrazione, Claudio riceve lachiamata pronunciata dal diacono Leonardo Chiappini:“Si presenti colui che deve essere ordinato dia-cono: l’accolito Claudio Sinibaldi della Parrocchia

San Bruno in Colleferro.” a cuiha prontamente risposto “Eccomi!”;dopo le frasi di rito ad appura-re che ne è degno e a confer-mare la volontà a divenire, contutto ciò che implica, diacono,il vescovo pronuncia le parole:“Con l’aiuto di Dio e di Gesù Cristo

nostro Signore,noi scegliamo que-sto nostro fratelloper l’ordine deldiaconato.”; l’or-dinando si è poiprostrato a terra insegno di umiltà edi affidamento del-la propria vita a Dio; il vescovo impo-ne quindi le sue mani sul capo delnuovo diacono in ginocchio davan-ti a lui per poi consegnargli, dopola vestizione, il libro dei Vangeli.Alle Letture si sono alternatifedeli di San Bruno in Colleferro,Santo Stefano in Artena e San

Clemente in Velletri, parrocchie presso cui Claudioha svolto servizio di accolitato. La Messa è sta-ta animata dal Coro di San Clemente diretto daSimona Nobili.A Claudio il più affettuoso augurio che il suo mini-stero proceda sempre nel segno della dedizioneal bene, per il prossimo e della Chiesa.

Claudio con la madre e la sorella

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2222 Febbraio 2019Febbraio 2019Anno 16, n. 2 (160)

Stanislao Fioramonti

Ricordiamo che con questa pagi-na si vuole accompagnare l’AnnoAloisiano istituito anche per laparrocchia S. Maria Assunta diValmontone, paese che ha perpatrono San Luigi Gonzaga, esi vuole dare risalto alle iniziativeprese per questo. Nei mesi incui queste mancano, pubbli-cheremo comunque una par-te della biografia del Santo euna delle sue lettere.

1. LA FAMIGLIA DI SAN LUIGI

San Luigi prese il nome dal nonno Aloisio Gonzaga(1494-1549), uomo d’armi del Rinascimento delramo cadetto dei Gonzaga di Mantova, signo-re di Castel Goffredo, Castiglione e Solferino,feudi che alla morte lasciò ai suoi tre figli, chefurono:- Alfonso Gonzaga (1541-1592), primo mar-chese di Castel Goffredo. Sposò IppolitaMaggi, che fu madrina di battesimo di Luigi. Fufatto assassinare forse dal nipote Rodolfo peroccuparne il feudo.- Ferrante o Ferdinando Gonzaga (1544 – 13febbraio 1586), primo marchese di Castiglionedelle Stiviere in Lombardia, tra Brescia e Mantova,in diocesi di Brescia. Il 15 novembre 1566 a Madrid, presso la cor-te del re di Spagna Filippo II, sposò Marta Tana(1545 – 3 gennaio 1606), donna saggia e pia,figlia di Baldassarre conte di Sàntena di Chieriin Piemonte. Due anni dopo nacque Luigi, loroprimogenito ed erede del marchesato. Dal 1579 Ferrante fu principe dell’Impero e gover-natore del Monferrato. Valoroso uomo d’armi alservizio del re di Spagna, Ferrante era gene-roso e attaccato alla famiglia, ma era un pes-simo giocatore d’azzardo e sofferente di una gra-ve forma di gotta.- Orazio Gonzaga (1545 – 14 aprile 1587), pri-mo marchese di Solferino, la sua morte provocheràil dissidio tra i cugini Rodolfo e Vincenzo Gonzaga,che sarà sanato dall’intervento sul posto di Luiginovizio gesuita nel 1589.- Vincenzo era figlio di Eleonora d’Austria e diGuglielmo Gonzaga il Gobbo, III duca di Mantova,biscugino di Ferrante e padrino di battesimo diLuigi.-Altro zio di Luigi fu Ercole Tana, fratello del-la madre Marta e conte di Santena, che ospi-tò il nipote nel 1584.

Figli di Ferrante Gonzaga e di Marta Tana,

fratelli minori di Luigi:

- Rodolfo (7 maggio 1569 – 3 gennaio 1593),secondo Marchese di Castiglione, nel 1588 spo-sò in segreto Elena Aliprandi dopo averla rapi-ta e l’anno dopo rese nota l’unione per l’inter-vento del fratello Luigi. Entrò in contrasto coni parenti per la successione ai feudi degli zii pater-ni. Fu ucciso da un suo servo davanti alla chie-sa di Castel Goffredo.- Ferrandino Isidoro (15 aprile 1570 – 9 mag-gio 1577).- Carlo (9 luglio 1572 – 23 agosto 1574).- Isabella (12 novembre 1574 - 1593 a Madrid).- Francesco (27 aprile 1577 – 23 ottobre 1616).Terzo marchese di Castiglione, sposò Bibianadi Pernstein e assisté alla beatificazione del fra-tello.- Cristierno Vincenzo (3 settembre 1580 – 1630).- Diego (settembre 1582 – 19 aprile 1597, ucci-so a Castiglione).

2. LETTERA DI LUIGI GONZAGA, DI 13 ANNI, AL SUO PRECETTORE

PIER FRANCESCO DEL TURCO PER INVITARLO AL

VIAGGIO IN SPAGNA(Castiglione delle Stiviere, 23 giugno 1581)

Al Molto Mag.(nifi)co Amico CarissimoM. Pier Francesco del Turco – Firenze

Molto Mag.co Amico Carissimo,Essendo noi in breve per far con l’Imperatrice

il passaggio di Spagna, abbiamo la Sig. Madreed io pregato il Sig. Padre di contentarsi chequello, il qual sin ora è stato al nostro governofusse quello che per l’avvenire ancora ci gover-nasse, il che molto volentieri ci ha concesso dimo-strando aver molto a caro, e perciò la prego voler-sene quanto prima venire, o almeno quanto pri-ma risolversi e, risolvendosi di venire, subito par-tirsi perché tutta la spesa qual farà per il viag-gio, subito sarà giunta, se gli farà buona.Con che facendo fine il Sig. Luigi Pignalosa edio gli baciamo le mani.

Di Castiglione alli 23 Giugno 1581

Alli suoi piaceriAluigi Gonzaga

(Fonte: Luigi Gonzaga, Lettere e Scritti, a cura di Gualberto Giachi S. J.,

Città Nuova Editrice, Roma 1990,pagg. 87-88).

Qualche elemento per capire meglio la lettera

L’Imperatrice citata è Maria di Spagna (1528-1603), figlia di Carlo V, vedova dell’imperatoreMassimiliano II d’Asburgo, sorella (e suocera)del re di Spagna Filippo II, che nell’agosto 1581doveva rientrare da Praga a Madrid e a Lisbona,destinata a reggere il regno di Portogallo appe-na acquisito dal fratello.Il sovrano spagnolo aveva chiesto ai suoi sud-diti sparsi in Europa di accompagnarla nel lun-ghissimo viaggio e anche i Gonzaga diCastiglione delle Stiviere si aggregheranno all’im-ponente comitiva a Verona il 30 settembre 1581.Tre mesi prima, preparandosi al grande trasferimento,Donna Marta Tana e il figlio Luigi chiedono eottengono dal marito e padre Ferrante Gonzagadi portare con la famiglia Pier Francesco del Turco,il fiorentino precettore dei due figli maschi, e alui scrivono per invitarlo ad accettare la propostasenza preoccuparsi delle spese, che sarannoa carico della famiglia invitante. A questa prima lettera, del 23 giugno, Luigi nefarà seguire altre due simili, il 25 giugno e il 1°luglio, per sollecitare l’aio a raggiungerli senzatardare, soprattutto perché non avrebberopotuto affrontare la nuova esperienza senza l’aiu-to di un “Molto Magnifico Amico Carissimo”, alquale Luigi era molto affezionato. Sappiamo che Pier Francesco accettò e lo accom-pagnò per tutto il periodo trascorso a Madrid(tre anni, fino a luglio 1584). Quanto al Sig. Luigi Pignalosa, dovrebbeessere un familiare dei Marchesi.

2323Febbraio 2019Febbraio 2019Anno 16, n. 2 (160)

Riccardi Massimo

LLe cose belle, spesso, nasco-no per caso. Qualcuno ha un’i-dea, e questa idea poi viene

accolta ed elaborata, fino ad acquistarevita e diventare realtà. Nel nostro caso,giorni e giorni di dedizione e di provehanno permesso di dare forma ad unprogetto che voleva portare qualcosadi nuovo nel panorama musicalelocale ed ha finito per trasformarsi invero e proprio evento: il concerto “tut-te le genti verranno e canteranno altuo nome” tenutosi nella Chiesa“Maria SS. Immacolata” di Colleferroil 5 gennaio 2019 alle ore 21,00. Il tutto frutto della collaborazione trala Banda Filarmonica di Colleferro, isti-tuita solo quattro anni orsono ma congià alle spalle notevoli esperienze con-certistiche e raduni bandistici e pro-motrice di una scuola di musica pergiovanissimi esecutori, e il coro“Madre Fiducia Nostra” della ParrocchiaMaria SS. Immacolata di Colleferro, compostodagli elementi delle varie corali che animano lemesse parrocchiali del sabato sera e della dome-nica di nuovissima fondazione.All’inizio della serata, la banda ha fatto il suoingresso nella chiesa gremita e successivamenteha accolto il Maestro Mario Cesari, proponen-do sotto la sua direzione il brano concert-marchper banda “Altavilla”.Dopo questa esecuzione, ha fatto il suo ingres-so il coro, che si è sistemato alle spalle dellabanda, davanti l’altare. Quindi diretto dalla MaestraAlessia Caratelli ha inter-pretato insieme alla ban-da il brano “Alzati e risplen-di” di Don Marco Frisina.La serata musicale è pro-seguita con una mirabileperformance del celeber-rimo brano “My Way” daparte dell’ottuagenarioMaestro Marcello Papitto,la cui voce ha vibrato sicu-ra e al contempo piena disentimento lasciando i

presenti profondamente rapiti. Un’ interpretazione talmente risuscita che allafine del concerto il Maestro Papitto ha dovutoconcedere un richiestissimo bis. Senza intervallidi sorta, sono seguiti altri due brani della riusci-ta collaborazione banda-coro “Adeste Fideles”un canto tradizionale natalizio e il brano pret-tamente religioso “Jesus Christ you are my life,altro brano scritto da Don Marco Frisina.L’interpretazione del secondo brano strumen-tale della serata, “Miniature Suite” di Donald Furlano,da una parte ha messo in risalto le caratteristi-

che espressive della ban-da e dall’ altra ha permessoalla corale di riposare pri-ma del finale banda-corocomposto dal brano “JingleBells Rock” una versionerielaborata del famosissimobrano adattato per ban-da dal Maestro Bruno Stella,e dal successivo branogospel “Oh, happy day”con la voce solista diMaurizio Frioni che ha tra-

scinato di nuovo il pubblico nel pieno clima del-le festività natalizie nonostante queste erano aglisgoccioli. Sensazioni appaganti e di grande sod-disfazione per tutti i protagonisti, acclamati edapplauditi per un concerto abilmente prepara-to ed altrettanto magistralmente eseguito.Soddisfazione che hanno espresso nei loro bre-vi discorsi sia il rappresentante del Comune,l’Assessore Umberto Zeppa, che ha espressoapprezzamento per la realizzazione di un con-certo di elevato pregio culturale, sia il parroco,don Cesare Chialastri, che ha augurato di poterripetere il concerto anche negli anni futuri. Sicuramentecontento è stato il numeroso pubblico che, non-ostante l’orario ed il freddo pungente, ha riem-pito la chiesa ed applaudito la performance del-la banda, del coro e del Maestro Papitto.A conclusione di una serata, che resterà nel ricor-do di tutti i presenti, il Direttivo dell’ AssociazioneCulturale-musicale Banda Filarmonica diColleferro ha voluto suggellare la preziosa col-laborazione con il coro consegnando, attraver-so il Presidente Diego Stella, una targa ricordoalla gentilissima e preparatissima Direttrice AlessiaCaratelli.

2424 Febbraio 2019Febbraio 2019Anno 16, n. 2 (160)

Giovanni Zicarelli

SSabato 5 gennaio, in Colleferro, volonta-ri della parrocchia di San Bruno e del-la Comunità di San’Egidio (di cui nel 2018

è ricorso il 50° anniversario della fondazione)hanno organizzato, presso la Residenza sani-taria assistenziale (RSA) “Aurora Hospital”, unpranzo per i degenti della struttura. Un momento in continuità con il pranzo che siè svolto il 28 dicembre in San Bruno, semprea cura dei medesimi gruppi di volontariato, offer-to dalla parrocchia a chi in qualche modo è osi sente emarginato. Iniziativa, quest’ultima, cheper la parrocchia colleferrina è giunta al terzoanno consecutivo ed è ispirata al “Pranzo di Natale”che annualmente la Comunità di Sant’Egidio orga-nizza il 25 dicembre a Roma, nella basilica diSanta Maria in Trastevere; una tradizione natanella Capitale nel 1982 per assistere un picco-lo gruppo di anziani che altrimenti avrebbero tra-scorso da soli il giorno di Natale e che oggi èdiffusa in vari luoghi nel mondo.I pranzi presso la casa di cura e la parrocchia

di Colleferro si uniscono così alle miriadi di ini-ziative di varie associazioni benefiche in tuttoil pianeta. Sono specificatamente rivolte agli emar-ginati con l’intento, attraverso un sorriso, unaparola, un seppur modesto regalo, di strappa-re sorrisi, tranquille chiacchiere, espressioni feli-ci in chi nel quotidiano tribolare ha ben pochimotivi che lo predispongano a simili atteggia-menti e stati d’animo.“Emarginati” èuna parolaalquanto genericache racchiudeun universo didrammi socialiognuno dei qua-li contribuiscead infoltire sem-pre più l’eserci-to degli “ultimi”,persone lascia-te troppo spes-so sole con le lorogravi problema-

tiche, che trovano fonte disperanza, o quantomeno disollievo, quasi unicamen-te nella Chiesa e nel volon-tariato.Importante la presenza alpranzo in San Bruno delnostro vescovo VincenzoApicella che, all’annunciodel parroco don AugustoFagnani, è stato accolto daun caloroso applauso da par-te di tutti i presenti insala. Il prelato ha stretto mani escherzato con alcuni dei bam-bini presenti per poi pran-zare fra ospiti e volontari.Dopo essersi informatosui Paesi d’origine deicommensali non italiani

(Albania, Bulgaria, Romania, Polonia, BurkinaFaso, Marocco, Tunisia), il vescovo non ha potu-to che esternare la conclusione che fraterniz-zare non è solo doveroso ma anche possibilee può essere piacevole. Al di là, ovviamente, del diritto che ha ognunoa vivere dignitosamente nella propria terra. Dopoil pranzo, l’immancabile tombola, ma solodopo l’ingresso a sorpresa in sala di “Babbo Natale”,

La presenza di varie etnie al pranzo

Un momento del breve

discorso del Vescovo

durante il pranzo a

San Bruno

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2525Febbraio 2019Febbraio 2019Anno 16, n. 2 (160)

ben presto circondato dai bambini, che ha dis-tribuito regali a tutti i presenti, vescovo compreso(una sciarpa che con simpatia ha subito indos-sato). Uno stato d’animo diverso accompagnail volontario che porta un momento di svago pres-so una casa di cura. Così è stato per i volon-tari di San Bruno e della Comunità di Sant’Egidioquando si sono recati presso la RSA “Aurora Hospital”per il pranzo che si è svolto alla vigiliadell’Epifania.

In tali strutture si per-cepisce netta l’assenzadella speranza di un ritor-no alla vita che è statao di una svolta per

quella che sarà, vi è solo attesa. Ma indomiti, ivolontari, tra cui don Carlos Ortiz Romero, col-laboratore del parroco di San Bruno, come sem-pre gentilmente supportati dal personale dellaRSA, hanno portato la loro parentesi di festa impac-chettando in disparte regali, apparecchiando itavoli, accogliendo con sorrisi e simpatia i degen-ti man mano che giungevano in sala. Per poidare inizio al pranzo con pietanze preparate daglistessi volontari che, una volta terminata la dis-

tribuzione, con gli assistiti hanno condiviso ciboe bevande e conversato. È seguita la consegna dei regali (un plaid, unasciarpa, un borsello, una cornice, una giacca),tanto ai presenti in sala quanto a tutti coloro chenon avevano potuto lasciare il proprio letto e sonoquindi stati raggiunti da un piccolo corteo pres-so le loro stanze, con don Carlos che porgevaloro la statua di Gesù Bambino per un confor-to spirituale particolarmente gradito. La giornatasi è conclusa con la Santa Messa celebrata dadon Carlos presso la cappella della RSA.Due pranzi, due messaggi simbolici per dire chenessuno deve essere lasciato solo. Mai.Ovunque.

Alcuni dei volontari all'opera in cucina

Una foto ricordo di un piccolo gruppo

Il momento dell’arrivo di Babbo Natale Un momento della distribuzione dei regali

La S. Messa celebrata nella cappella della strutturaDon Carlos

benedice

la mensa

2626 Febbraio 2019Febbraio 2019Anno 16, n. 2 (160)

Francesco Cipollini

IIl 21 febbraio cade l’anniversario della cano-nizzazione di Thomas Becket, il cui marti-rio è avvenuto nella cattedrale di Canterbury

il 29 dicembre 1170. L’anno che va dal 2018 al2019 è stato definito «ANNO DI BECKETT» a 900anni dalla sua nascita (se si considera il 1118)ed ha preso l’avvio con una celebrazione chesi è svolta nella Concattedrale di Segni il 29 dicem-bre scorso, presieduta dal vescovo diocesanomons. Apicella con la concelebrazione del par-roco mons. Franco Fagiolo. Al rito hanno partecipato molti fedeli e autoritàcivili (presenti, fra gli altri, il sindaco di Segni,dott. Piero Cascioli, il presidente della Compagniadei Lepini, Quirino Briganti, don Dario Vitali edon Claudio Sammartino). È sempre utile fer-marci a riflettere e a “fare memoria” del profondolegame che lega la nostra città e diocesi a que-sto santo.Come certamente ricordiamo, Segni è il luogoin cui, nel 1173, in capite jejunii, cioè all’iniziodel digiuno quaresimale (il 21 febbraio come det-

to), papa Alessandro III (al secoloRolando Bandinelli) ascrisse nel nume-ro dei santi l’arcivescovo ucciso qual-che anno prima.La Patrologia Latina riporta le lettereRedolet Anglia fragrantia (PL CC 902)eGaudendum est universitati fidelium(PL CC 901) che ci forniscono alcu-ne informazioni ma non il luogo dov’èavvenuta la celebrazione in occa-sione di questa proclamazione.Come ho già scritto in un mio pre-cedente articolo nel numero 49 (delgennaio 2009) di questa rivista, glistudiosi locali si dividono in due par-titi: coloro che voglio la celebrazio-ne in cattedrale e coloro che seguo-no la linea della celebrazione nellachiesa di Santa Lucia.Già Gregorio Lauri nel suo mano-scritto (ascrivibile al 1706) Della cit-tà di Segni ci riportava che nella chie-sa di santa Lucia, non l’attuale (rico-struita dopo il bombardamento dalcompianto don Antonio Navarra neldopoguerra) ma in quella più anti-

ca, erano pre-senti un altarededicato al martire Becketed una lapide che ne ricor-dava la canonizzazione(foglio 385):Santo/B. ThomeArchiepo/Cantuariem. quemAlexander III/Pont. Max. inhoc sacro/Divorum in numer-um retullit/Dedicatum.La testimonianza del con-cittadino Lauri, è conforta-ta (e per certi versi supe-rata quanto ad importanza)da un’altra attestazionefinora ignota ai più.Infatti quasi 130 anni prima,il Visitatore Apostolicomons. Annibale Grassi(vescovo di Faenza e poinunzio a Madrid) visitava perconto del Pontefice i pae-si della diocesi di Segni(Segni, Gavignano,Valmontone, Montelanico eMontefortino), precisamentetra il 27 e il 31 marzo 1581

(in verità Montelanico era già stato vistoqualche giorno prima, il 18 marzo, dalsuo collaboratore don Giulio “Thaurello”,un chierico della diocesi di Faenza, diritorno dalla visita a Carpineto).Il manoscritto che riporta il resoconto del-

la visita e le specifiche indicazioni che ilVisitatore lascia al clero e al vescovo è conservatonell’Archivio Segreto Vaticano - Fondo dellaCongregazione dei Vescovi e regolari e costi-tuisce, a mio avviso, la “fotografia” più antica diSegni che, ad oggi, si possa consultare. Come ci informa il manoscritto, vergato con pre-cisione quasi “teutonica” dal notaio VespasianoMaiella, il Visitatore arriva a Segni nel pome-riggio del 27 marzo dopo aver pranzato (“sump-to prandio in castro Gavignani”) e dopo aver visi-tato l’Abbazia di Rossilli nell’agro segnino. A caval-lo, “equitando”, sale verso la città (ascendit mon-tem saxosum super quo posita est Civitas Signae). Il vicario generale dell’allora vescovo diocesa-no Pamphili gli si fa incontro lungo la strada perpercorrere insieme l’ultimo tratto. Giunto faticosamente in città (non sine laborepervenit, auxiliante Deo, ad civitatem), inizia lasua visita dalla cattedrale di Santa Maria, dovetrova i canonici che lo accolgono solennemen-te in veste talare e cotta. Si reca, successiva-mente, nelle altre chiese di Segni, visitando nel-l’ordine: S. Stefano, Santa Lucia e San Pietro,incontrando anche i loro parroci.Non manca di esaminare l’oratorio di Sant’Angelo,la chiesa di San Marco, l’ospedale e le carce-ri. Ci soffermiamo, per ora, soltanto su quelloche mons. Grassi ci riferisce a proposito dellachiesa di santa Lucia ed in particolare su ciò che

Chiesa di Santa Lucia

interno prima della

distruzione a causa

della guerra continua nella pag. accanto

2727Febbraio 2019Febbraio 2019Anno 16, n. 2 (160)

don Claudio Sammartino

IIl titolo dell’articolo non è una sterileprovocazione ma la proposta che il sot-toscritto ha rivolto, il 29 dicembre 2018, al

Sindaco di Segni e al Presidente dellaCompagnia dei Lepini, in occasione della sera-ta in onore del Martire inglese, tenutasi nellaConcattedrale della “Perla dei Lepini”.Anche se non abbiamo notizia di una presen-za in Segni del presule di Canterbury, tuttaviapossiamo affermare con sicurezza che egli neconoscesse l’esistenza. Infatti il 13 ottobre del1170, a circa due mesi dal rientro nella sua sedearciepiscopale, Papa Alessandro III gli scrisseuna lettera proprio dal palazzo dei Papi in Segni,quello che in seguito diventerà il Seminario mino-re. Il Papa, che come Becket aveva sperimentatol’esilio dalla propria terra ed era anche lui in aper-to contrasto con il potere politico del tempo, rap-presentato dal Barbarossa, con la sua missi-va confermava il suo appoggio al vescovo esu-le. Anzi lo autorizzava, qualora il Re Enrico IInon gli avesse restituito la sede episcopale coni possedimenti e gli onori connessi, a procederesecondo i poteri del suo ministero. La lettera terminava con un invito alla prudenzache Becket non tenne in nessun conto, dato cheal suo rientro in Inghilterra sospese “a divinis”i Vescovi che erano troppo legati al Re. È cosanota a tutti che i rapporti tra il monarca ingle-se e l’arcivescovo di Canterbury divennero tal-mente incandescenti da degenerare fino all’e-

secuzione, ad opera di quattro baroni della coro-na, del prete “intrigante” nella sua cattedrale,il 29 dicembre 1170. A tre anni dal sacrilego omicidio, PapaAlessandro presiedette proprio in Segni la Messain cui Becket veniva iscritto nell’albo dei Santi,e ne fissò la memoria annuale al 29 dicembre,giorno del suo “martirio”. Con quella celebra-zione ebbe inizio, tra il vescovo inglese e la cit-tà di Segni, un rapporto particolare che a direil vero è stato riscoperto e rivalutato da una quin-dicina di anni. Una copia della bolla di canonizzazione di Becketè conservata nell’Archivio Storico “InnocenzoIII” di Segni, mentre una lapide marmorea situa-ta nella nostra concattedrale, tramanda ai poste-ri l’evento della iscrizione di Becket nell’albo deiSanti. Nell’ormai lontano 2004 poi, si tenne sem-pre nella nostra Concattedrale una giornata dedi-cata alla figura del presule inglese con la pre-sentazione di un prezioso opuscolo che raccoglievagli interventi dei conferenzieri. In seguito, di fronte al porticato della chiesa diS. Lucia (quella della beatificazione di Becket)fu posto un busto bronzeo per ricordare il per-sonaggio e la sua vicenda, mentre nel 2014,in occasione della ricorrenza della sua cano-nizzazione, si propose il confronto tra il patro-no segnino S. Bruno astense e l’Arcivescovo

inglese, i quali, seppur in epoche diverse, furo-no accomunati dalla fedeltà alla Chiesa e al loroministero episcopale. Il martire albionico è stato inoltre ricordato indiverse occasioni, ed anche il 29 dicembre deltrascorso anno, sempre nella nostra Concattedrale,dopo la celebrazione in suo onore presiedutadal nostro Vescovo, ci si è soffermati a consi-derare la vicenda di un fatto di “cronaca nera”che è entrato a far parte della nostra comuni-tà segnina.E allora, visto il profondo e saldo legame crea-tosi tra il presule inglese e la nostra città, nonmi sembra poi così assurdo né provocatorio sug-gerire a chi di dovere, di proporre per San TommasoBecket la cittadinanza onoraria segnina, sep-pur postuma. Segni, “Prima RomanorumColonia” ne trarrebbe grande lustro onorandoun coraggioso rappresentante di quella fedel-tà alla Chiesa di cui anche il patrono S. Brunofu un alto e fulgido esempio.

Nell’immagine del titolo: Il Barbarossa si sottomette

all’autorità di Alessandro III, Palazzo Pubblico di Siena

è direttamente connesso con Becket. Infatti dopo aver delineato, con dovizia di par-ticolari, la struttura della chiesa, si sofferma adescrivere gli altari presenti tra cui “Altar S. ThomaeArch.pi Cantuariensis” (foglio 396r): l’altare diSan Tommaso arcivescovo di Canterbury! Ci informa che l’altare è provvisto di un’imma-gine del santo, del “martirium”, cioè l’iscrizioneche ricorda il suo martirio (quella riportata dalLauri nel suo manoscritto), di croce e candela-bri lignei e munito di tutti gli arredi sacri previ-sti dalle regole dell’epoca (tovaglie, pallio,…).Ci informa, purtroppo, che tale altare non ha ren-

dite proprie e si mantiene soltanto sull’elemo-sina; tuttavia, conclude, “saepe celebratur in eo”:nonostante la mancanza di rendite autonomeda assegnare al sacerdote per la celebrazione,veniva officiato “spesso”, indicazione questa diuna venerazione tutto sommato viva.La situazione di obiettiva positività dell’altare èconfermata anche dal fatto che, quando mons.Grassi elenca le prescrizioni a cui si devono atte-nere i parroci per le loro chiese (foglio 405r), nul-la dispone per questo altare: segno che veni-va conservato con cura e devozione, tanto danon richiedere alcuna disposizione.Una testimonianza importante che ci consente

di retrodatare la presenza dell’altare di almeno150 anni rispetto alla successiva attestazionedel Lauri!Un altro tassello, degno di nota per l’antichitàe l’autorevolezza, che si aggiunge alla testimonianzadi Gregorio Lauri e del memoriale anonimo delprimo decennio del 1700 (di cui ho parlato nelgià citato articolo del gennaio 2009 e a cui riman-do per non ripetermi). Un’altro tessera di un mosai-co che, a parere del vostro autore, sembra con-fermare la parrocchia di Santa Lucia come luo-go della celebrazione in occasione della cano-nizzazione di Thomas Becket.

segue da pag. 26

2828 Febbraio 2019Febbraio 2019Anno 16, n. 2 (160)

Marco Pappalardo*

on basterà tuttavia un minuto di silenzio, qualche pagina let-ta, un film coinvolgente, una mostra vista; dobbiamo fermar-ci per ascoltare riflessioni, per condividere, per porre doman-

de, per confrontarci, per pregare. Ricordare nella “Giornata della Memoria”è un dovere ed un impegno, ce lo ripetiamo e ce lo ripetono. Le scuo-le ci provano ma le realtà ecclesiali? Ricordare non vuol dire aprire per un attimo le porte di un museo permostrare qualcosa di prezioso e allo stesso tempo pieno di polvere,bensì fare memoria di ieri nell’oggi per dare un significato nuovo al doma-ni. Non si tratta dunque di tirar fuori una vecchia storia da un libro ocercare tra la filmografia a tema quello che fa al caso nostro, cioè svol-gere quasi un lavoro di scavo archeologico per tenere un reperto in manoo poterlo inserire tra i film già visti; ricordare è invece celebrare conmente e cuore in prima linea la vita stessa perché sia coinvolta a talpunto da sentirsi parte di un dolore collettivo e di una speranza chenon delude. Così la “Giornata della Memoria” assume una prospettiva universaleunendo tutti, giovani ed adulti, attorno al fuoco ardente del ‘mai più’,lasciando a ciascuno al contempo la scintilla del ‘non posso girarmi dal-l’altro lato’, illuminando la scelta personale del ‘tocca anche a me farequalcosa’. In questo modo ogni giorno sarà una tacca segnata sul murodella memoria, ogni dramma dell’umanità - vecchio o nuovo - troveràun cuore pronto ad abbracciarlo, a comprenderlo, a studiarlo, ad acco-glierlo, a combattere perché si manifesti il bene fin dove possibile, apregare per. Niente dovrebbe essere più uguale per una persona dopoun’esperienza forte di tal sorta, nulla di più difficile da dimenticare, un

tatuaggio impresso che ci provoca quel dolore utile per farci sentire vivie non in un sogno. Ciò che anche un solo uomo non dimentica, quanto è ricordato ancheda uno sparuta minoranza, in un tempo tanto social e ricco di condivi-sioni, si moltiplica sempre di più, genera reti virtuose, costruisce con-tatti positivi, edifica monumenti viventi che respirano un’aria nuova edinvitano altri ad aprire i polmoni per gridare la verità che ci libera. Ogni ricordo sarà come una piccola luce accesa, ogni luce una sem-plice traccia nella notte, ogni minima traccia una via da percorrere concoraggio, il coraggio della testimonianza dinanzi ad un mondo che nonha smesso, vicino o lontano da noi, di perseguitare ed uccidere, di usa-re violenza e di sterminare. Nelle parrocchie, negli oratori, nelle associazioni, nei movimenti, nei grup-pi di catechesi e di cammino di fede, nei cenacoli, in famiglia abbiamol’opportunità di vivere una giornata che lascerà un segno per la vita, dicrescere nella consapevolezza del male che c’è, e, riconoscendolo, diimpegnarci affinché con l’aiuto di Dio non si ripeta. Non basterà tuttavia un minuto di silenzio, qualche pagina letta, un filmcoinvolgente, una mostra vista; dobbiamo fermarci per ascoltare rifles-sioni, per condividere, per porre domande, per confrontarci, per pre-gare. Non sarà mai un tempo perso, poiché il tempo dedicato a fare memo-ria insieme è al contrario una conquista, un tesoro, la consegna di unatradizione per le generazioni.

* da ”Vino Nuovo” del 27 gennaio 2019

L’immagine del titolo è tratta dal film Il bambino con il pigiama a righe (2008),diretto e sceneggiato da Mark Herman, adattamento per il grande schermo

dell'omonimo romanzo di J.Boyne

NN

2929Febbraio 2019Febbraio 2019Anno 16, n. 2 (160)

Costantino Coros

QQuelle opere d’arte che sonola memoria viva dellaChiesa e del popolo di Dio.

“Custodire l’immenso patrimoniodi fede e cultura che abbiamo èun servizio che si rende all’Italia”,ha detto Vincenzo Apicella, vesco-vo della diocesi di Velletri-Segni,mercoledì 23 gennaio, aprendo ilavori del convegno dedicato a “Beniculturali ecclesiastici tutela e pro-tezione tra presente e futuro”.L’iniziativa che si è svolta pressoil palazzo vescovile di Velletri è sta-ta promossa dal ComandoCarabinieri tutela del patrimonioculturale, dalla Cei e dellaConferenza episcopale lazialeattraverso la Consulta regionaleper i beni culturali ecclesiastici el’edilizia di culto. Monsignor Domenico Pompili, vescovo di Rietie presidente della Commissione beni culturali-edilizia di culto della Conferenza episcopale lazia-le, durante il suo intervento ha reso noto il fat-to che si è in “dirittura di arrivo per una convenzionetra Regione Lazio e Conferenza episcopale regio-nale sui beni culturali e promozione della cul-

tura, un accordo che fa seguito a una conven-zione analoga tra Cei e Governo italiano del luglio2017”, riporta in una nota l’agenzia SIR.“Occorre sempre più fare squadra tra istanzedifferenti: la Chiesa, che è il più delle volte lalegittima proprietaria delle opere d’arte e lo Statonelle sue molteplici ramificazioni, Ministero e ancheCarabinieri” ha proseguito monsignor Pompili.

“È inoltre nostro compito,dopo la tutela, la promo-zione delle opere d’arte,perché musei, bibliotechee archivi da luoghi inac-cessibili diventino luoghifruibili a tutti. Non dobbiamosolo conservare ciò cheabbiamo ricevuto in ere-dità dalla storia, ma con-tinuare a far fecondare lacultura oggi, che è un’e-spressione della fede”, haaggiunto Pompili.Dal canto suo, LeonardoNardella, segretario regio-nale del Ministero per i Benie le attività culturali del Lazio,ha sottolineato che “per laprevenzione il ministero hastanziato venti milioni dieuro rispetto alle calami-tà naturali nel Lazio e sonoin corso accordi con la Ceiper creare un modello dimonitoraggio e interven-to. Un nuovo modello d’in-tervento è stato istituito dalministero nel 2015, pre-vede l’istituzione immediatadi un’unità di crisi regio-nale e nazionale. Questomodello è oggetto di con-

tinuo rinnovamento, per renderlo sempre più effi-ciente”. Nelle quattro Regioni coinvolte dal sisma, gli inter-venti di messa in sicurezza sono stati circa 1100.I beni recuperati sono quasi solo di natura eccle-siastica. Sono stati effettuati interventi su 469chiese e recuperate oltre tremila opere d’arte.Sono stati salvati quasi mille quadri. Il sostitu-to procuratore della Repubblica presso il tribu-nale di Roma, Tiziana Cugini, ha fatto notare cherubare opere d’arte ecclesiastiche significa dan-neggiare tutto il patrimonio culturale naziona-le. Inoltre, è importante diffondere informazio-ni sui beni rubati, così da poterli più facilmen-te recuperare. E’ necessario anche, secondo il magistrato, nonsolo punire il furto, ma riportare il bene nel suoluogo originario: “ciò vuol dire ridonare le ope-re ai fedeli e mostrare quindi rispetto alle pecu-liarità della religione, che ha anche nell’imma-gine un simbolo fondamentale”. Infine, ha concluso, come riporta l’agenzia SIRche occorre “comunicare l’impegno dei vari entia tutela dei beni culturali è fondamentale, siaper sostenere il lavoro collaborativo tra istituzionisia per dare voce a un servizio quotidiano cheviene fatto al patrimonio e quindi alla storia delPaese”.Sotto il profilo della conservazione del patrimoniolibrario, Patrizia Morelli, bibliotecaria e archivi-sta presso la biblioteca centrale dei Cappuciniha messo in risalto che “sono passati 20 annidalla nascita del software BeWeB della Cei. Inquesto tempo, sono più di 5 milioni i libri descrit-ti nella banca dati e oltre 135mila i fondi librariconservati negli archivi ecclesiastici”. Infine, il tenente colonnello dei Carabinieri, ValerioMarra, ha detto che esiste una fortissima doman-da estera di opere d’arte rubate. Il mercato diPorta Portese a Roma è una grande piazza divendita ed esistono anche accumulatori seria-li di beni ecclesiastici.

3030 Febbraio 2019Febbraio 2019Anno 16, n. 2 (160)

Alessandra Terrei

TTra i documenti restaurati dagli studentidel 3° anno solo due volumi presenta-vano tipologie di cuciture diverse; uno

è stato cucito su 4 nervi grecati in canapa e l‘altrosu 3 nervi in cuoio fendue. Cuciti i fascicoli siè proceduto alla realizzazione dei capitelli confilo di lino e anima in canapa o pelle allumatao cuoio arrotolati.Terminate le operazionidi cucitura, sono sta-te realizzate legatu-re d’archivio ex novo,di diversa tipologia inbase alle caratteristicheoriginali del docu-mento, ad eccezionedi “Lettere dei EmiVescovi”. Questo volu-me raccoglieva unaserie di lettere didiverso formato che,

in un precedente intervento di restauro, eranostate cucite assieme. Questo intervento pregresso ha generato la neces-sità di ripiegare i documenti di formato più gran-de, con la conseguenza di lacerazioni lungo lepieghe. Per tale motivo, durante la fase di pro-gettazione, è stato deciso, assieme all’archivi-sta la Dott.ssa Alessandra Petrelli, di lasciarele lettere sciolte, come erano in origine, e con-

servarle all’interno di una sca-tola idonea alla conservazione. Di seguito si riportano le foto dialcuni documenti prima e dopol’intervento di restauro. Gli studenti del 4° anno diLaboratorio hanno restaurato docu-menti in cui dovevano recupe-rare la legatura senza smontaggioo con smontaggio parziale deglielementi costitutivi dell’unitàarchivistica. In particolare, la maggior partedei volumi affidati agli studentidel 4° anno presentavanolegature d’archivio in pergame-na in mediocre o pessimo sta-to di conservazione con presenzadi abrasioni, lacune e lacerazionidi media e grave entità della coper-ta, dei quadranti e delle corregge,dorso e patta lacunosi, macchiedi vaia natura, sfaldamento deicartoni dei quadranti, deforma-zioni, capitelli allentati o spezzati,budelli in pergamena, utilizzatiper l’ancoraggio della coperta al

corpo delle carte, mancanti o spezzati in più pun-ti. Nella maggior parte dei volumi, le carte si pre-sentavano in discreto stato di conservazione conlacune e lacerazioni di lieve entità, ad eccezionedel volume A.V. SEZ. I TIT. X 1728-1742 chemostrava un attacco microbiologico, per circametà delle carte, in prossimità del taglio di pie-de, con conseguente indebolimento e infeltrimento

del supporto.A seguito delle operazioni preliminari,gli studenti del 4 anno hanno proceduto al restau-ro delle carte mediante carta e velo giappone-se di adeguato colore e spessore applicati conidrossietilcellulosa Klugel G in soluzione alco-lica al 4%. Si è deciso di utilizzare un adesivo

Ricomposizione dei fascicoli dopo il restauro delle carte

Cucitura

a catenelle

dei fascicoli

Cucitura delle singole lettere e lacerazioni

lungo le pieghe dei documenti

continua nella pag. accanto

3131Febbraio 2019Febbraio 2019Anno 16, n. 2 (160)

a base alcolica poichéle carte, non essendostate sottoposte adalcun trattamento umi-do, potevano esserefacilmente macchiateda un adesivo a baseacquosa.Nel caso del documentoA.V. SEZ. I TIT. X 1728-1742, le carte interessatedall’attacco microbio-logico sono state dis-infettate mediante solu-zione idroalcolica (30:70)applicata a pennello esuccessivamente vela-te con velo giapponeseda 3,5 g/mq e, incaso di lacune, sonostate reintegrate concarta giapponese di ade-guato spessore.Terminato il restauro del-le carte, si è esegui-to il restauro dellalegatura, procedendocon la reintegrazionedei quadranti con car-tone inglese alla for-ma applicato con ade-sivo misto di EvaconR e amido di mais modi-ficato Zin Shofu nelleproporzioni 30:70.Successivamente sonostate risarcite le lacu-ne della coperta in per-

gamena con carta giapponeseadeguata cromaticamentecon colori acrilici e trattata conuna miscela di resine acrili-che di Plextol B 500 e E-411e applicate alla pergamenacon idrossipropilcellulosaKlugel G in soluzione alcoli-ca al 4% e Evacon R (80:20).Le lacerazioni sono state risar-cite con peritoneo bovino, sgras-sato con alcool etilico eapplicato con Evacon R.Dopo aver rifilato l’eccessodelle reintegrazioni in cartagiapponese, sono state

restaurate le corregge concuoio conciato al vege-tale e tinto con anilinein base alcolica. Dopoaver preso la sagomadell’area mancante, ilcuoio è stato scarnitomediante bisturi e/omicrotrapano, intar-siato sul cuoio originalee incollato con amidodi grano modificatoZin Shofu.

Prima di inserire nuovi budellini di pergamenao sostituire quelli rotti, sono stati restaurati i capi-telli con l’anima in cuoio spezzata. Dopo aver realizzato un’anima in pelle alluma-ta arrotolata, mediante l’ausilio del microtrapa-no, sono state forate le sue due estremità in mododa creare un alloggiamento in cui inserire, e faraderire, le due estremità spezzate dell’anima incuoio del capitello. Asciugato l’adesivo, sono state realizzati giri ecalate del capitello, con filo di canapa di ade-guato spessore e colore. Infine sono stati inse-riti i nuovi budelli in pergamena arrotolata e sonostati ripresi i disegni geometrici delle corregge,con strisce di pelle allumata.

Cucitura su nervo in canapa grecato e su nervo in cuoio fendue

Realizzazione capitelli

Prima e dopo - Registro di Amministrazione (1720-1725)

Attacco microbiologico delle carte

Disinfezione delle carte interessate

da attacco microbiologico

Restauro delle carte interessate

da attacco microbiologico

Restauro della coperta in pergamena con

carta giapponese adeguata cromaticamente

e trattata con resine acriliche

3232 Febbraio 2019Febbraio 2019Anno 16, n. 2 (160)

Stanislao Fioramonti

VVetralla, borgo medievale della Tusciaviterbese al 70° km della via conso-lare Cassia, è ricca di storia e se la

contesero nel tempo le grandi famiglie degli Orsini,degli Anguillara, dei Borgia e dei Medici. La chiesa di S. Maria, oggi S. Francesco, giàesistente nel secolo IX ma ricostruita nell’XI secon-do le regole monastiche della scuola viterbe-se, ha tre navate, tre absidi, ampio presbiterioe torre campanaria da un lato, con una criptadi pianta molto irregolare tutta scavata nel tufonell’area sottostante al presbiterio.Si raggiunge la frazione di Cura, distante 3 kmsempre sulla Cassia, e dalla piazza centrale conla chiesa di S. Maria del Soccorso si punta almonte Fogliano verso le Tre Croci e poi su peril convento di Sant’Angelo, da raggiungere len-tamente (anche a piedi) dopo 3,8 km di stradaasfaltata (via S. Angelo) che taglia per il boscoin salita e che durante il periodo pasquale diven-ta una Via Crucis le cui 15 stazioni sorgono sullato destro della carreggiata inserite in altret-tante edicole.Il convento di S. Angelo al Monte Fogliano(m. 960) è inserito in un contesto boscoso, buco-

lico e tranquillo nella Riserva del Lago di Vico,in cui la spiritualità del luogo consente al visi-tatore di trascorrere una sosta piacevole e misti-ca; la struttura può ospitare chi fosse interes-sato ad un temporaneo soggiorno meditativo inquesto luogo (tel. 0761481285).Le prime notizie cer-te della sua esisten-za risalgono all’VIII sec.,quando l’oratorio di SanMichele, edificato daiLongobardi, fu dona-to al monastero bene-dettino di Farfa chevi trasferì un piccologruppo di frati; all’iniziodel XIII secolo iBenedettini ottenne-ro da papa Onorio III(1216-27) di pas-sare alla regola

cistercense.Nel XIV secolo e fino al 1413 ai benedettini sub-entrarono i francescani del Terz’Ordine. Dal 1470al 1744 fu trasformato in Romitorio. Nel 1744 San Paolo della Croce, fondatore deiPassionisti, scelse questo luogo come secon-

do convento dellasua Congregazionee vi dimorò per 25anni; nel pronao del-la chiesa due picco-li affreschi descrivo-no il luogo com’eraquando fu donato alsanto dal comune diVetralla (1744) ecome era stato tra-sformato e ingrandi-to fino al 1863 dai reli-giosi, che tuttora lo abi-tano.Fu sottoposto allesoppressioni napo-leonica (1810-14) e ita-lica (1875-77), rima-nendo comunquesempre in attività. Vi si trovano le reli-

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Nelle foto a destra:

Il Convento di

Sant'Angelo al

Monte Fogliano;

la statua di San Paolo

della Croce,

fondatore dei

Passionisti

3333Febbraio 2019Febbraio 2019Anno 16, n. 2 (160)

quie del Beato LorenzoSalvi, celebre per la suadevozione a GesùBambino, e vi iniziò lasua vita religiosa il BeatoDomenico Barberi,nato nel 1792 a Viterbo,apostolo dell’ecume-nismo. E’ sede dal“Centro di evangeliz-zazione Beato LorenzoSalvi”.La sua chiesa sette-centesca ha un coroin noce (XIX secolo);custodisce affreschi aencausto di FerdinandoVignanelli (1934) edue tele di TommasoConca raffiguranti “SanPaolo abbracciato dal Crocifisso” e “Gesù pove-ro che chiede l’elemosina al santo”. Nel Romitorio si possono visitare le celle abi-tate da S. Paolo della Croce e dal fratello Giambattista.Fornita è la Biblioteca.Il piazzale del complesso è intitolato aBeniamino Gigli (1890-1957), che era solitotrascorrere qui lunghi periodi di riposo; una lapi-de nel pronao della chiesa ricorda che negli annitrenta del ‘900 il grande tenore fece giungereal convento la luce elettrica.Nel terreno sottostante la chiesa, accanto all’or-to conventuale, è un altro spazio verde con unantico fontanile tuttora funzionante, utilizzatodalle greggi transumanti che un tempo frequentavanonumerose questo monte; di esse resta il ricor-do nella dozzina di pecore presenti nell’orto dei

frati.L’8 maggio di ogni anno in uno spazio albe-rato antistante il convento si celebra lo“Sposalizio dell’albero”, evento civile e reli-gioso nato da un fatto storico intrecciato a moti-vi etnoantropologici. Nel 1432 papa Eugenio IV,cacciato Giacomo da Vico, dona i possedimentidi monte Fogliano al popolo di Vetralla. Neglianni successivi altri soggetti, tra cui il Comunedi Viterbo, ne rivendicarono il possesso ma lecontese fino al 1544 si risolsero a favore deiVetrallesi. Da allora per rinnovare in forma pubblica il pos-sesso della selva di Fogliano e dell’eremo di S.Angelo e per riaffermare i diritti che ne deriva-no, nella data in cui ricorre la festa dell’appa-

rizione di S. Michele Arcangelo sul Gargano lapopolazione vetrallese celebra questa cerimo-nia. Una rappresentanza del clero benedice l’unio-ne di una quercia e di un cerro appositamen-te ornati per il rito; quindi il Sindaco rinnova l’at-to di possesso firmando un documento che riba-disce il possesso dei boschi di monte Foglianoai Vetrallesi come stabilito dalla Bolla “Exigit”di Papa Eugenio IV del 1432. Il documento è appositamente rogato dalSegretario comunale ed è sottoscritto daitestimoni e dalle autorità presenti ma anche daquanti intendono partecipare. La manifestazionesi conclude con la distribuzione di cibi e bevan-de agli intervenuti.

A circa 1 km a Est del con-vento di Sant’Angelo si tro-va l’eremo di S. Girolamo,suggestivo complesso ere-mitico del XVI secolo sca-vato in un unico masso vul-canico.I resti dell’eremo e altri manu-fatti del circondario hannodato vita al museo rupestredella Tuscia nel cuore del-la civiltà etrusca, vicino aViterbo, Castel d’Asso,Blera, Barbarano, le Termedei Papi, un’area ricca di sto-ria e di arte, valorizzata ancheper i pellegrini della ViaFrancigena.

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L’Eremo di San Girolamoa Monte Fogliano

3434 Febbraio 2019Febbraio 2019Anno 16, n. 2 (160)

Vale la pena fare un piccolo itinerario di trek-king a piedi dentro quest’area di grande fasci-no.Fra Gerolamo Gabrielli, nato da nobile fami-glia senese, si ritirò in questo luogo di penitenzanel 1525 esclusivamente per meditare e pre-gare. La sua abitazione può definirsi misterio-sa: è un sito quasi completamente scavato all’in-terno di una roccia effusiva vulcanica (nenfro,una varietà di tufo = ignimbrite trachitica, ana-loga al peperino grigio sempre del Viterbese),nascosto tra la fitta faggeta del monte Fogliano,non lontano dalla cima del monte. Alberi e acquasono i due elementi dai quali gli eremiti non han-no mai potuto prescindere.E’ stato fittamente lavorato nel tempo per crea-re ambienti, ripari, sedili, piattaforme e passaggi.Opera faticosa e complessa per la quale fra Girolamosi servì di manodopera locale: e siccome la rico-noscenza non abbonda nell’animo umano, tem-po dopo quei servi lo hanno malmenato e rapi-

nato. Perciò il sant’uomo dovette tornarsene aSiena, dopo aver distribuito tutti i suoi averi aipoveri. La prima domenica di luglio si svolge qui lafesta di San Girolamo, con una S. Messa alleore 12 celebrata dal parroco di Cura sulla roc-cia dell’eremita senese.L’eremo si raggiunge con il sentiero che dallastrada per S. Martino al Cimino (la “strada diViterbo”), cento metri dopo il convento S. Angelo,sale a destra sulle pendici del monte Fogliano,tra faggi alti e maestosi, sulla sponda di un fos-so in secca; il percorso è molto piacevole e faci-le, in lieve salita, e in meno di mezz’ora (1 km)si incontra la grande roccia scura, isolata tra glialberi.Nei suoi pressi, due cartelli descrivono percorsidi biking e trekking dedicati alla ciclista Rita Chiodie all’eremo stesso; quest’ultimo, posto dal Comunedi Vetralla, dice: “SAN GIROLAMO. Nacque nel 1525 fra

Girolamo Gabrielli di nobilissima famiglia sene-se. Questo eremita nel vagare per la selva sco-prì il luogo che gli parve più idoneo per viver-ci in solitudine e ci volle costruire un romito-rio. Poiché era di famiglia molto facoltosa fecevenire da Siena una manovalanza che sca-vando nel tufo, nella pietra ed erigendo del-le mura ricavò una costruzione conosciuta finoai nostri giorni come San Girolamo.Il luogo poco dopo fu abbandonato perché

alcuni malfattori o soldatesche depredarono ilpovero eremita malmenandolo gravemente e dan-neggiando quanto con molta fatica aveva fat-to. Il poveretto appena poté riprese la via di Sienaed elargì ai poveri tutto il suo cospicuo patri-monio”. La roccia nenfritica è stata recentemente“attrezzata” con una piccola scala di legno cheporta prima alla grotta rettangolare che funge-va da cappella e poi alla parte più alta del mas-so, dove è una piccola piattaforma e poco distan-te una grande croce con un altare; qui si cele-bra la messa nel giorno della festa dell’eremo,che cade la prima domenica di luglio. Da qui partono anche sentieri nel bosco, cheè davvero suggestivo e fresco. Nella “cappel-la” c’è solo un crocifisso sulla parete di fondo,due finestre naturali (aperture del blocco vul-canico) e una iscrizione scolpita su una pietrache dice: “E’ leggenda che San Girolamo sostas-se in questo luogo; i Benedettini ne fecero il loroeremo e San Paolo (della Croce, fondatore deiPassionisti) soleva pregarvi a lungo”.

Quanto alla “fuga” diGirolamo Gabrielli dal luo-go, qualcuno invece che adei servi irriconoscenti l’at-tribuisce all’assalto di un grup-po dei Lanzichenecchi diCarlo V, l’esercito di pro-testanti tedeschi inviatinel 1527 dall’ imperatoreCarlo V contro papaClemente V (Giulio de’ Medici,1478-1534) e autori del fami-gerato sacco di Roma. Solo alcuni anni più tardiun concittadino di Girolamo,fra Marcantonio, fece rico-struire l’eremo, che le fon-ti attestano ancora esistentenel 1628.

Foto: Patrizia Magistri

L’eremo di San Girolamo a Monte Fogliano - due particolari

3535Febbraio 2019Febbraio 2019Anno 16, n. 2 (160)

Augusto Cianfoni

UUn anno fa l’Associazione Astronomitalyriconobbe al cielo di Rocca Massimail lusinghiero attestato di essere tra “i

più belli d’Italia”. Oggi il relativo manifesto acco-glie escursionisti e visitatori all’ingresso del pae-se e suscita ammirazione. Che a queste altez-ze, lontano dai bagliori delle grandi città, si pos-sa ancora rimirare il cielo nella sua trasfigura-ta luminosità è scontato. Rilevarlo e attestarlonon è sempre frequente pur se qui ogni annosi organizzano serate in cui esperti insegnanoa riconoscere stelle e pianeti a curiosi eappassionati. Soltanto chi ha potuto da queste alture guardareil cielo in una notte di tramontana può capirel’emozione che suscita l’universo che sta sopradi noi in questa claustrale solitudine. E ancorpiù nelle notti di luna piena. “Che fai tu luna in ciel ?” Il canto del pastoreerrante diventa la colonna sonora ancorchè sus-surrata per chiunque alzi lo sguardo verso la vol-ta immensa, dimentico per pochi istanti delle mise-rie umane.Il Comune più alto della Provincia, negli ultimianni ha collezionato non pochi primati : dallavirtuosa raccolta differenziata alla tradizionalepulizia del centro storico di cui questa Comunitàva da sempre orgogliosa insieme a tante altreattività e iniziative che poco a poco hanno con-tribuito a far uscire il Belvedere dei Lepini dal-l’anonimato e da un isolamento che, pur con-diviso con molti Comuni montani, è ancor menogiustificato essendo esso al centro di unTerritorio ricco di storia, di tradizioni culturali ereligiose oltre che gastronomiche le quali bensi accompagnano alle devozioni dei braviCristiani che sanno sempre coltivare lo spiritosenza trascurare le esigenze corporali. Omniamunda mundis direbbe Fra’ Cristoforo. La ventennale Rassegna Organistica, ormai cono-sciuta da Musicisti delle migliori scuole, deiConservatori e delle Cattedrali di tutta Europa.L’ impianto di fune aerea, VOLO del Falco Pellegrino,realizzato da soci rocchigiani e non, con la spin-ta promotrice di quel geniaccio di Franco Cianfoniè un’altra iniziativa che suscita ammirazione deiComuni vicini e di migliaia di appassionati pro-venienti da tutta Italia e dall’estero. Senza dimen-ticare le due suggestive Sagre degli Antichi sapo-ri in agosto e dei Marroni a metà ottobre cheda molti anni assecondano ed esalta-no la vocazione turistica del paese periniziativa della Proloco e dellaAssociazione La Castagna. Il concorso di poesia La Goccia D’Oroper alunni e studenti di scuole diogni parte d’Italia ma pure per tan-ti ispirati poeti di ogni età è pro-mosso e organizzato dallaAssociazione “Mons. Centra”presso il Parco della memo-ria dove la Proloco, che necura la manutenzione, tie-

ne a sua volta ogni annola serata di recitazione poe-tica Le Poesie dellaMemoria : vi vengonoproposte opere dei più gran-di poeti della letteratura ita-liana e del mondo nellaricorrenza di loro anniversari.Infine le tre Festività reli-giose della Madonna del-la Pietà e di S.Isidoro agri-cola in maggio ma pure diS. Antonio da Padova inagosto concorrono tutte allaconoscenza e all’apprez-zamento del piccolo Centrolepino. Esso peraltrorecentemente ha merita-to altri importanti ricono-scimenti. In una cerimonia avvenutail 6 dicembre presso ilSenato della Repubblica,tra 100 Comuni italianiRocca Massima è statariconosciuta tra le “meteturistiche” più apprezza-te come pure, con altri die-ci, meritevole per inizia-tive di solidarietà verso per-

sone e famiglie disagiate ma pure nella curadell’ambiente e nella valorizzazione delle tra-dizioni identitarie. Ne va dato merito alla municipale Amministrazionee al Sindaco Angelo Tomei, ma anche a questimontanari che collaborano, talvolta magari mugu-gnando, a rendere il paese accogliente per quan-

to sia possibile fare con la solabuona volontà degli abitanti. Una iniziativa a riguardo, che peranni fu promossa dalla attivissi-ma Proloco, Fai Fiorire il Tuo Paeseandrebbe rilanciata come siconviene perchè tra le più signi-ficative e coinvolgenti la parte-cipazione dei cittadini, molti deiquali hanno imparato ad abbel-lire balconi e aiuole o ad adot-tare interi vicoli del centro comeogni altro angolo del paese. Pur con tutti i disagi propri dei pic-coli Comuni montani Rocca

Massima cerca ogni giorno di sopravvivere allungo abbandono. I premi certo sono importanti,ma se la vita è sempre più grama non c’è mol-to da sentirsi gratificati. Se oltre alla cura purscrupolosa delle necessità quotidiane, delle qua-li bisogna riconoscere merito ad alcuni eroiciAmministratori, non si offre nulla che pianifichi

un futuro umanamente accettabile, la mor-te verrà e avrà gli occhi di troppi faccendieri,solo a parole occupati al bene comu-ne in ogni angolo della PubblicaAmministrazione dove imperversanoimprovvisati e pigri apprendisti che,ripiegati sulle ideologie del giovani-lismo e del sedicente buon senso,credono fideisticamente o furbe-scamente di poter vincere la mito-logica sfida di coltivare finalmentei giardini di Tantalo.

3636 Febbraio 2019Febbraio 2019Anno 16, n. 2 (160)

PREMIO NAZIONALE TEATRALE

ACHILLE CAMPANILE

EDIZIONE 2019

BANDO DI CONCORSO

Art.1La Fondazione di Partecipazione Arte e CulturaCittà di Velletri, in memoria di Achille Campanile,indice un concorso per l’assegnazione di un pre-mio dell’importo di € 1.500,00 da attribuire adun’opera teatrale inedita, di genere umoristicoe redatta in lingua italiana. Oltre a ricevere ilpremio in denaro, l’opera vincitrice avrà l’op-portunità di essere messa in scena da una com-

pagnia teatrale scelta tra quelle iscritte alla UILT,presso il Teatro Artemisio Gian Maria Volontéa Velletri.

Art. 2Possono partecipare al concorso autori italia-ni o di altra nazionalità. Il premio sarà unico anche se l’opera fosse pre-sentata da più coautori.Ogni opera dovrà essere trasmessa, a pena diesclusione dal concorso, soltanto a mezzo delservizio postale, tramite plico raccomandato, sen-za indicazione del mittente o altro segno di rico-noscimento. Il plico dovrà contenere due copie cartacee del-l’opera posta in concorso e una copia in for-mato elettronico (CD rom in formato PDF) anch’es-se prive di segni di riconoscimento e recanti uni-camente il titolo del lavoro.Dovrà inoltre contenere, in busta bianca e sigil-

lata, le generalità dell’autore,il recapito postale, quellotelefonico e un indirizzo di postaelettronica.Si richiede altresì un’auto-certificazione in cui l’autore atte-sti che l’opera messa a con-corso non sia mai stata rap-presentata.L’inosservanza, anche parziale,di quanto sopra prescritto com-porterà l’esclusione dal con-corso.Il plico postale, completodell’intero contenuto richiesto

dal presente bando, dovrà essere indiriz-zato a: Fondazione Arte e Cultura Città diVelletri – Premio Nazionale Achille Campanile– c/o Segreteria del Sindaco - Palazzo comu-nale. P.za Cesare Ottaviano Augusto n.1 -00049 Velletri (RM) e dovrà essere reca-pitato entro e non oltre il 31 maggio 2019. Per la data farà fede il timbro postale di spe-dizione.Resta inteso che il recapito del plico rima-ne ad esclusivo rischio del mittente ove, perqualsiasi motivo, non dovesse giungere a

destinazione in tempo utile.

Art. 3La Commissione giudicatrice sarà composta dapersonalità appartenenti al mondo dell’arte edella cultura ed esprimerà il giudizio sulle ope-re messe a concorso. Esso sarà insindacabi-le e inappellabile. In caso di parità di votazio-ne, il voto del Presidente della Commissioneverrà considerato pari a due voti.I lavori della Commissione verranno regolarmenteverbalizzati. Qualora la Commissione ravvisasseopere non originali fra quelle ammesse al con-corso, ne disporrà l’esclusione dal medesimo.Le opere pervenute non verranno comunquerestituite.

Art. 4-La Commissione giudicatrice, oltre ad assegnareil premio, avrà anche la facoltà di segnalare un’o-pera particolarmente meritevole della quale laFondazione di Partecipazione Arte e Cultura Cittàdi Velletri favorirà la messa in scena, ad ope-ra di una compagnia teatrale aderente alla UILT.

Art. 5Il vincitore sarà informato a mezzo telegram-ma o per posta elettronica. La premiazione avràluogo in Velletri domenica 13 ottobre 2019 pres-so il Teatro Artemisio - Gian Maria Volonté.

Art. 6La partecipazione al concorso implica la tota-le e piena accettazione delle norme contenu-te nel presente bando.L’inosservanza di esse comporta l’esclusionedal concorso.

Per ulteriori informazioni consultare il sito www.campaniliana.it o rivolgersi aFondazione di Partecipazione Arte e Cultura Cittàdi Velletri Piazza Trento e Trieste – 00049 Velletri (RM)

Mail: [email protected]

tel. 3392791878 Sig.ra Katia Bacchionitel. 3396621883 Sig.ra Vera Dani

Velletri, 10 gennaio 2019

3737Febbraio 2019Febbraio 2019Anno 16, n. 2 (160)

Mara Della Vecchia

MMartin Palmeri è un compositore e direttore d’or-chestra (nato in Argentina nel 1965) , autoredi opere vocali e strumentali la maggior par-

te delle quali sono ispirate dell’armonia e alla forma delTango Nuevo, pensata e introdotta nel panorama musi-cale del XX secolo da Astor Piazzolla (grande musicistaargentino scomparso nel 1992), il quale sviluppò un gene-re di tango nuovo e innovativo destinato non più alla dan-za, bensì all’ascolto, adatto ad essere eseguito nelle saleda concerto, a questo scopo Piazzolla era riuscito a fon-dere nel tango tradizionale argentino, alcuni elementi del-la musica contemporanea europea, generando così unamusica molto complessa, ma che comunque conserval’anima popolare del tango argentino.Nella Misa a Buenos Aires, meglio conosciuta come Misatango,Palmeri si inserisce proprio in questo solco, realizzan-

do un’opera cheintegra gli ele-menti stilisticidel tango con latradizione della grande musicasacra europea. La Misatango fu eseguita perla prima volta nel 1996dall’Orquesta Sinfonica deCuba ed è basata sul testo del-la messa ordinaria del rito cat-tolico ovvero la ripartizionenelle cinque parti: Kyrie, Gloria,Credo, Sanctus, Agnus Dei.

L’organico prevede un mezzosoprano solista, un coro misto, un quar-tetto di tango, un’orchestra d’archi; la forza a l’originalità dell’opera risie-de nella fantasia con la quale l’autore utilizza le risorse tecniche ed espres-sive degli strumenti melodici, spesso usati in funzione percussiva, e laparticolare atmosfera armonica creata grazie al bandoneon, strumen-to simbolo del tango argentino, mentre il coro misto viene utilizzato inmodo rigoroso e classico. Oltre la Misatango, Palmeri ha composto diver-se opere di Musica sacra quali Gloria, Magnificat, Oratorio della Natività,le quali vengono frequentemente eseguite in molte delle sale da con-certo più prestigiose del mondo.

L’ufficio Catechistico Diocesano con il suodirettore Don Daniele Valenzi anche perquesto anno pastorale in corso propo-ne i Wee-End dei cresimandi. Si tratta di una iniziativa che negli scor-si anni ha avuto in discreto successo,invitando gruppi interi di ragazzi che abreve riceveranno il sacramento dellaConfermazione, provenienti da parroc-chie e città diverse a vivere un fine set-timana insieme e riflettere nel gioco, nel-la preghiera e nella condivisione sul valo-re e il significato del ricevere questo sacra-mento.Tratteranno degli impegni già ricevuti nelbattesimo e che ora consapevolmentene prendono coscienza ricevendo la cre-sima, e come questi si innestano una gio-vanissima vita, com’è quella dei cresi-mandi, che comincia ad affacciarsi ver-so il mondo e nella chiesa con uno sguar-do più adulto.Ovviamente insieme al direttore cisaranno altri animatori referenti dei qua-li sono suor Francesca ap. e Antonella.La cornice come sempre sarà quella magni-fica del Centro di spiritualità Santa Mariadell’Acero.

3838 Febbraio 2019Febbraio 2019Anno 16, n. 2 (160)

Bollettino diocesano:

Luca Leoni

Per una serie di coincidenze, associo da anniil pensiero di Sant’Apollonia alla memoria delcardinale argentino Jorge Maria Mejìa (1923-2014) il quale, negli ultimi decenni della suavita e finchè la salute glielo permise, si recòpiù volte a Velletri. La prima coincidenza sta-va nel fatto che, quando fu eletto vescovo nel1986, gli fu assegnata la diocesi titolare diApollonia, che esisteva nell’attuale Albania,presso Durazzo, sin dal V secolo. Giovanni Paolo II lo aveva promossoVicepresidente della Pontificia Commissione‘Iustitia et Pax’ il giorno prima della storicavisita alla Sinagoga di Roma del 13 aprile 1986,segno della gratitudine del pontefice per il gran-de impegno di Mejìa nel dialogo della chie-sa cattolica con il mondo ebraico. Poi ci fula sua nomina a cardinale nel 2001 e il suo

titolo passò da Apollonia a quello della chie-sa romana di San Girolamo della Carità: il curio-so legame con la chiesa veliterna continuò,passando dal nome della Santa titolare a quel-lo dell’icona di Maria (dipinta da AntoniazzoRomano intorno al 1491) che vi si venera ela cui festa ricorre la prima domenica di set-tembre.Il porporato argentino accettò anche la nomi-na, il 12 febbraio 2005, a membro onorariodella locale Confraternita della Carità,Orazione e Morte. In occasione di una sua visita a Velletri, miraccontò che, mentre ricopriva la carica di Archivistae Bibliotecario di Santa Romana Chiesa (2001-2003), aveva rinvenuto in un recesso un anti-co e arrugginito manufatto metallico descrit-to come ‘strumento usato per estrarre i den-ti di Sant’Apollonia’: alla mia proposta di donar-lo alla chiesa veliterna, rispose con un elo-quente silenzio.

AA pollonia, la cui memoria liturgica ricor-re il 9 febbraio, sarebbe vissuta adAlessandria d’Egitto tra il secondo e il

terzo secolo dopo Cristo; secondo la tradizio-ne, nel 249 sarebbe stata torturata cavandolei denti dalla bocca e per questo viene consi-derata patrona dei dentisti, igienisti dentali e odon-totecnici. Il primo a parlare del martirio di Apolloniafu San Dionisio di Alessandria (190-265), cheaveva assistito a una sommossa popolare con-tro i cristiani che fu fatale per l’anzianaApollonia: siccome aveva svolto opera di apo-stolato, sarebbe stata percossa così duramen-te da farle cadere i denti (soltanto in seguito ilpopolo ci mise del suo, tirando in ballo le tena-glie). Venne poi preparato un gran fuocoper bruciarla viva se non avesse pronunciato del-le bestemmie ma Apollonia, dopo essersi libe-rata dalle mani degli sgherri, si sarebbe lanciatavolontariamente tra le fiamme, morendo: del suocorpo sarebbe rimasta solo cenere. Una pas-sio latina, invece, sposta questo martirioa Roma, all’epoca dell’imperatore Giuliano: secosì fosse, i fatti si sarebbero svolti intorno al 331,quasi un secolo più tardi.

Sant’Apollonia, ausiliatrice dei denti e dell’emicrania

Prot. n° VSC A 04/ 2019

NOMINA DEL CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE DELL’ISTITUTO

ORFANOTROFIO S.MARIA DELLA NEVE in VELLETRI.

In base all’art. 13 dello Statuto dell’Orfanotrofio “S. Maria della Neve” in Velletri viene rinnovato il Consiglio di Amministrazionedel medesimo Istituto con il presente

DECRETO DI NOMINA:

MEMBRI DESIGNATI:

PRESIDENTE: S.E. Mons. Vincenzo APICELLA, vescovo di Velletri-Segni.CONSIGLIERI: Mons. Roberto MARIANI, curato p.t. di S. Michele Arcangelo

Mons. Angelo MANCINI, canonico di San Clemente.

Il Consigliere comunale non è stato ancora nominato dal Sindaco di Velletri.

MEMBRI ELETTI:

Ill.mo Sig. Adalberto PALMIERI, con funzioni di Segretario

Ill.mo Sig. Angelo CAPRARA, diacono di questa diocesi.

A norma dello stesso art.13, il presente Consiglio di Amministrazione resta in carica per tre anni.

Velletri, 29.01.2019 + Vincenzo Apicella, vescovo

Mons. Angelo Mancini,Cancelliere Vescovile

continua nella pag. accanto

Nel medioevo, Apollonia entra a far parte dei quat-tordici Santi Ausiliatori, che nell’attuale Germaniachiamavano ‘Nothelfer’, ossia ‘Coloro che aiu-tano contro le angosce’: Sant’Acacio contro l’e-micrania, Santa Barbara contro la scossa, SanBiagio contro il male alla gola, Santa Caterinad’Alessandria contro le laringofaringiti, San Ciriacocontro le ossessioni diaboliche, San Cristoforo

contro la peste, San Dionigi contro i dolori allatesta, Sant’Egidio contro le crisi di panico, Sant’Erasmocontro i dolori addominali, Sant’Eustachio con-tro le scottature, San Giorgio contro le derma-titi, Santa Margherita per partorire senza pro-blemi, San Pantaleone per morire senza trop-pe sofferenze, San Vito contro l’epilessia.Apollonia agiva su un campo vasto: dai denti

al mal di testa. Apolloniaè patrona di Cantù,Ariccia, Catania e altricentri italiani.Alla fine del Settecento,siccome i denti diSant’Apollonia in giro perla Penisola erano trop-pi, Pio VI decise un’a-zione drastica: li fece rac-cogliere, li fece chiuderein un baule e li fece get-tare nel Tevere.A Velletri, il culto diSant’Apollonia venneintrodotto e diffuso daiTerziari Francescaniquando vi si insediaro-no, a partire dal 1621.I Francescani, presen-ti in Alessandria d’Egittosin dal Seicento e fat-tivamente ospitali ver-so i pellegrini europei diret-ti in Terra Santa, oltrea Santa Caterina s’erano‘appropriati’ del culto diSant’Apollonia. La chiesa veliternadedicata alla Santa, diun’unica navata, fu con-sacrata il 15 agosto 1633dal vescovo suffraganeoGiuliano Viviani.Sul soffitto dell’edificiosacro è visibile la Gloriadella Santa, opera pro-babilmente di quellemaestranze pittoriche atti-ve pochi anni prima nel-la chiesa romana deiSanti Cosma e Damiano,della quale la chiesa veli-terna è una costola.Nonostante i danni sub-iti durante il bombar-damento aereo del 22gennaio 1944, l’affresco,nel quale risalta unturbinio di possenti alid’angeli, è discreta-mente leggibile e meri-terebbe un integralerestauro. Anche a Roma,

nella zona di Trastevere, esisteva una chiesadedicata alla Santa (insieme a Santa Chiara),ovviamente affidata ai Terziari Francescani, cheperò venne abbattuta nel XIX secolo e della qua-le resta l’intitolazione della piazza.Ad Apollonia d’Alessandria s’ispirò una martirecristiana nipponica, vissuta tra XVI e XVII seco-lo: era una vedova di nobili origini che accolsenella sua casa i missionari perseguitati dalle auto-rità. La beata Apollonia fu tra i 52 (o 55) cristianimartirizzati a Nagasaki il 10 settembre 1622. Tradi essi, anche il gesuita genovese CarloSpinola e il domenicano lucchese AngeloOrsucci, tutti elevati agli onori degli altari da PioIX il 7 luglio 1867.

Iacopo da Varazze, Legenda Aurea (1260-1298 circa),

‘Santa Apollonia’:

“Al tempo dell’imperatore Decio si era scatenatain Alessandria una violentissima persecuzionecontro i servi di Dio. Un tale, Divino di nome,ma di fatto ministro del demonio, addirittura pre-corse le disposizioni dell’imperatore, infiammandola plebaglia idolatra contro i seguaci di Cristo.La folla scatenata era assetata del sangue deifedeli. Subito furono presi dei religiosi, uominie donne: alcuni furono bastonati in ogni partedel corpo, e dopo aver loro trapassato la fac-cia e gli occhi con stecchi appuntiti, li gettaro-no fuori della città; altri furono portati davanti agliidoli perché li adorassero, ma essi si rifiutava-no e anzi li maledicevano: allora legarono loroi piedi e li trascinarono per le piazze di tutta lacittà, finchè non restarono tutti dilaniati da que-sto orrendo e spietato supplizio.Viveva a quel tempo una venerabile vergine, dietà ormai avanzata, che si chiamava Apollonia,adorna dei fiori della castità, della sobrietà e del-la purezza. Come solidissima colonna rafforzatadallo spirito stesso del Signore, ammirata per imeriti della sua salda fede e per le virtù che ilSignore le aveva dato, essa offriva agli uominie agli angeli lo spettacolo edificante di se stes-sa. Quando dunque la folla furibonda irruppe nel-le case dei servi di Dio devastando ogni cosacon odio brutale, anche Apollonia fu catturatae portata di fronte al tribunale degli empi. La beata Apollonia, innocente nella sua purez-za, fortissima nella virtù, spoglia di tutto se nondelle fermezza della sua mente intrepida e del-la purezza della sua coscienza immacolata, aDio offrì l’anima devota, e ai persecutori il suocastissimo corpo per il martirio. Dopo averla presa i persecutori infierirono sudi lei crudelmente, prima strappandole tutti i den-ti; poi, raccolta della legna e preparato un gran-de rogo, minacciarono di bruciarla viva se nonsi fosse dichiarata pagana come loro. Ma lei,

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non appena vide accendere il rogo, si raccol-se un istante in se stessa, si liberò dalle manidegli infedeli e si gettò spontaneamente in quel-lo stesso fuoco con cui la minacciavano.Anche coloro che avevano preparato quel sup-plizio ne furono atterriti, vedendo una donna piùpronta alla morte di quanto gli aguzzini non fos-sero pronti alla pena.Dunque, già provata da numerosi supplizi, la mar-tire fortissima non si lasciò piegare né dai futu-ri tormenti che incombevano su di lei né dallefiamme dei crudeli persecutori, perché la suamente ardeva di ben più forte ardore, accesadai raggi della verità: il fuoco che brucia la car-

ne, frutto di mani mortali, non potè allontanareda quel petto instancabile il calore infuso da Dio.O grande e meravigliosa prova di questa ver-gine che, sorretta dalla grazia di Dio misericordioso,si gettò nel fuoco per non bruciare, e si consu-mò per non essere consumata, quasi non esi-stesse né fuoco né supplizio! Avrebbe avuto, èben vero, la certezza della libertà, ma non ci sareb-be stata la gloria della battaglia.Apollonia, fortissima vergine e martire di Cristo,rinunciando ai piaceri del mondo, soffocando ilfiorire della vita con il disprezzo che ne avevadella mente, desiderosa di compiacere a Cristosuo sposo, con gioiosa perseveranza nel suo

proposito di verginità, resistette saldissi-ma a ogni supplizio: spicca dunque e riful-ge fra i martiri questa vergine gloriosa efelice nel suo trionfo. Certamente in questa donna molto potèun animo virile se la sua fragilità non cedet-te a una tale prova. Allontanò da sé ognitimore di cose terrene per amore di Dioe raggiunse il trionfo della croce di Cristo:armata do fede e non di spada combat-tè e vinse sia contro la tentazione che con-tro tutti i supplizi. Si degni di donarci altret-tanto colui che vive e regna con il Padree lo Spirito Santo nei secoli dei secoli.”

Preghiera del dentista

Cara Santa Apollonia,tu che avendo avuto tutti i denti strap-pati nel glorioso martiriodevi certo sapere che significhi un cat-tivo dentista,concedimi, per amore dei tuoi fedeli, diessere uno dei buoni:di maneggiare i ferri con dolcezza,di risparmiare il dolore,di avere le dita leggere,di essere discreto negli onorari e genti-le anche con le signore anziane e ibambini.Poiché la nostra è una professionebenefica per il paziente e redditizia perchi l’esercita,aiutami a tenere più in conto la caritàche l’interesse,il sollievo più che il guadagno;e poiché, se calma i nervi dell’infermo,irrita quelli del dentista,

concedimi l’ottimismo e il buonumore di unaSanta come te.La mia vita è così piena di bocche, denti egengive,che vi rimane appena un briciolo per l’allegriae la pietà.Se è manchevole agli occhi di dio,ricordaGli che quel che ho fatto alle Suecreature e come se l’avessi fatto a Lui.Così sia.

(“Formulario Terapeutico Odontostomatologico”di R. Boissier e A. Bouland, 1953)