CRACOVIA GMG D - Piccole Suore Sacra FamigliaPiccole Suore ... · messo al centro di questa XXXI...

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23 NAZARETH 3 2016 VOCE GIOVANI D al 25 luglio al pri- mo agosto 2016 È stata una gran- de avventura estiva la Giornata mondiale della Gioventù. Uno di quegli appuntamenti destina- ti a rimanere scolpiti nella memoria di migliaia di giovani di tutto il mondo. Sono riusciti bene i giorni nelle diocesi, durante i quali i ragazzi sono stati accolti in tutta la Polonia (dal 20 al 24 luglio). Questa esperienza ha permesso di conoscere da vicino le famiglie, le parrocchie, le diocesi, gli usi e i costumi polacchi. I gio- vani hanno potuto toccare con mano l’anima di questa terra ricca di storia e di vita e l’in- dustriosità di un popolo che ha lasciato alle spalle l’arretrattezza imposta da un regime e si è aperto alle esigense dei tempi moderni. Nelle diocesi polacche i giovani hanno vissuto espe- rienze in piccoli gruppi. Sono stati accolti nelle case e hanno condiviso la vita quotidiana dei polacchi. Il programma svolto è stato uguale per tutte le 43 diocesi, che, per l’occasione, si sono date un nome biblico. Non sono mancate attività di volontariato o caritative come espres- sione concreta di miserisordia, che è il tema messo al centro di questa XXXI Gmg da Papa Francesco. Dal messaggio di Papa Francesco: Il desiderio della felicità La parola beati, ossia felici, compare nove vol- te in questa che è la prima grande predica di Gesù (cfr Mt 5,1-12). È come un ritornello che ci ricorda la chiamata del Signore a percorrere insieme a Lui una strada che, nonostante tutte le sfide, è la via della vera felicità. Sì, cari gio- vani, la ricerca della felicità è comune a tutte le persone di tutti i tempi e di tutte le età. Dio ha deposto nel cuore di ogni uomo e di ogni donna un desiderio irreprimibile di felicità, di pienezza. Non avvertite che i vostri cuori sono inquieti e in continua ricerca di un bene che possa saziare la loro sete d’infinito? I primi ca- pitoli del Libro della Genesi ci presentano la splendida beatitudine alla quale siamo chiama- ti e che consiste nella comunione perfetta con Dio, con gli altri, con la natura, con noi stessi. Il libero accesso a Dio, alla sua intimità e vi- sione era presente nel progetto di Dio per l’u- manità dalle sue origini e faceva sì che la luce divina permeasse di verità e trasparenza tutte le relazioni umane. In questo stato di purezza ori- ginale non esistevano “maschere”, sotterfugi, motivi per nascondersi gli uni agli altri. Tutto era limpido e chiaro. Quando l’uomo e la don- na cedono alla tentazione e rompono la relazio- ne di fiduciosa comunione con Dio, il peccato entra nella storia umana (cfr Gen 3). Le conse- guenze si fanno subito notare anche nelle loro relazioni con se stessi, l’uno con l’altro, con la natura. E sono drammatiche! La purezza delle origini è come inquinata. Da quel momento in poi l’accesso diretto alla presenza di Dio non è più possibile. Subentra la tendenza a nascon- dersi, l’uomo e la donna devono coprire la pro- pria nudità. Privi della luce che proviene dalla visione del Signore, guardano la realtà che li circonda in modo distorto, miope. La “busso- la” interiore che li guidava nella ricerca della felicità perde il suo punto di riferimento e i richiami del potere, del possesso e della brama del piacere a tutti i costi li portano nel baratro della tristezza e dell’angoscia. Nei Salmi troviamo il grido che l’umanità rivolge a Dio dal profondo dell’anima: «Chi ci farà ve- dere il bene, se da noi, Signore, è fuggita la luce del tuo volto?» (Sal 4,7). Il Padre, nella sua infi- nita bontà, risponde a questa supplica invian- do il suo Figlio. In Gesù, Dio assume un volto umano. Con la sua incarnazione, vita, morte e risurrezione Egli ci redime dal peccato e ci apre orizzonti nuovi, finora impensabili. E così, in Cri- sto, cari giovani, si trova il pieno compimento dei vostri sogni di bontà e felicità. Lui solo può soddi- sfare le vostre attese tante volte deluse dalle false promesse mondane. Come disse san Giovanni Paolo II: «è Lui la bellezza che tanto vi attrae; è Lui che vi provoca con quella sete di radicalità che non vi permette di adattarvi al compromes- so; è Lui che vi spinge a deporre le maschere che rendono falsa la vita; è Lui che vi legge nel cuore le decisioni più vere che altri vorrebbero soffocare. È Gesù che suscita in voi il desiderio di fare della vostra vita qualcosa di grande» (Ve- glia di preghiera a Tor Vergata, 19 agosto 2000: Insegnamenti XXIII/2, [2000], 212)... Francesco CRACOVIA GMG

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23NAZARETH 3 2016

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Dal 25 luglio al pri-mo agosto 2016È stata una gran-

de avventura estiva la Giornata mondiale della Gioventù. Uno di quegli appuntamenti destina-ti a rimanere scolpiti nella memoria di migliaia di giovani di tutto il mondo. Sono riusciti bene i giorni nelle diocesi, durante i quali i ragazzi sono stati accolti in tutta la Polonia (dal 20 al 24 luglio). Questa esperienza ha permesso di conoscere da vicino le famiglie, le parrocchie, le diocesi, gli usi e i costumi polacchi. I gio-vani hanno potuto toccare con mano l’anima di questa terra ricca di storia e di vita e l’in-dustriosità di un popolo che ha lasciato alle spalle l’arretrattezza imposta da un regime e si è aperto alle esigense dei tempi moderni. Nelle diocesi polacche i giovani hanno vissuto espe-rienze in piccoli gruppi. Sono stati accolti nelle case e hanno condiviso la vita quotidiana dei polacchi. Il programma svolto è stato uguale per tutte le 43 diocesi, che, per l’occasione, si sono date un nome biblico. Non sono mancate attività di volontariato o caritative come espres-sione concreta di miserisordia, che è il tema messo al centro di questa XXXI Gmg da Papa Francesco.Dal messaggio di Papa Francesco: Il desiderio della felicitàLa parola beati, ossia felici, compare nove vol-te in questa che è la prima grande predica di Gesù (cfr Mt 5,1-12). È come un ritornello che ci ricorda la chiamata del Signore a percorrere insieme a Lui una strada che, nonostante tutte le sfi de, è la via della vera felicità. Sì, cari gio-vani, la ricerca della felicità è comune a tutte le persone di tutti i tempi e di tutte le età. Dio ha deposto nel cuore di ogni uomo e di ogni donna un desiderio irreprimibile di felicità, di pienezza. Non avvertite che i vostri cuori sono inquieti e in continua ricerca di un bene che possa saziare la loro sete d’infi nito? I primi ca-pitoli del Libro della Genesi ci presentano la splendida beatitudine alla quale siamo chiama-ti e che consiste nella comunione perfetta con Dio, con gli altri, con la natura, con noi stessi. Il libero accesso a Dio, alla sua intimità e vi-sione era presente nel progetto di Dio per l’u-

manità dalle sue origini e faceva sì che la luce divina permeasse di verità e trasparenza tutte le relazioni umane. In questo stato di purezza ori-ginale non esistevano “maschere”, sotterfugi, motivi per nascondersi gli uni agli altri. Tutto era limpido e chiaro. Quando l’uomo e la don-na cedono alla tentazione e rompono la relazio-ne di fi duciosa comunione con Dio, il peccato entra nella storia umana (cfr Gen 3). Le conse-guenze si fanno subito notare anche nelle loro relazioni con se stessi, l’uno con l’altro, con la natura. E sono drammatiche! La purezza delle origini è come inquinata. Da quel momento in poi l’accesso diretto alla presenza di Dio non è più possibile. Subentra la tendenza a nascon-dersi, l’uomo e la donna devono coprire la pro-pria nudità. Privi della luce che proviene dalla visione del Signore, guardano la realtà che li circonda in modo distorto, miope. La “busso-la” interiore che li guidava nella ricerca della felicità perde il suo punto di riferimento e i richiami del potere, del possesso e della brama del piacere a tutti i costi li portano nel baratro della tristezza e dell’angoscia.Nei Salmi troviamo il grido che l’umanità rivolge a Dio dal profondo dell’anima: «Chi ci farà ve-dere il bene, se da noi, Signore, è fuggita la luce del tuo volto?» (Sal 4,7). Il Padre, nella sua infi -nita bontà, risponde a questa supplica invian-do il suo Figlio. In Gesù, Dio assume un volto umano. Con la sua incarnazione, vita, morte e risurrezione Egli ci redime dal peccato e ci apre orizzonti nuovi, fi nora impensabili. E così, in Cri-sto, cari giovani, si trova il pieno compimento dei vostri sogni di bontà e felicità. Lui solo può soddi-sfare le vostre attese tante volte deluse dalle false promesse mondane. Come disse san Giovanni Paolo II: «è Lui la bellezza che tanto vi attrae; è Lui che vi provoca con quella sete di radicalità che non vi permette di adattarvi al compromes-so; è Lui che vi spinge a deporre le maschere che rendono falsa la vita; è Lui che vi legge nel cuore le decisioni più vere che altri vorrebbero soffocare. È Gesù che suscita in voi il desiderio di fare della vostra vita qualcosa di grande» (Ve-glia di preghiera a Tor Vergata, 19 agosto 2000: Insegnamenti XXIII/2, [2000], 212)...

Francesco

CRACOVIA GMG

24 NAZARETH 3 2016

Quasi 18.000 le persone che hanno abitato all’interno del villaggio olim-pico, costruito a Barra de Tijuca, un

quartiere di Rio de Janeiro, durante le Olim-piadi. Per sfamare un simile esercito di atleti e accompagnatori le mense hanno lavorato a

pieno regime per gran parte di ogni giorna-ta, cucinando quintali di pasta e riso, carne e pesce, frutta e verdura. È bello ricordare che l’Italia, per evitare che anche una sola briciola di cibo andasse sprecata, ha messo a punto un Progetto e ha distribuito ai tanti poveri che vivono nelle baraccopoli brasilia-ne almeno 19mila pasti. Il progetto si chiama “Refetto-Rio”. Ha recuparato circa 12 tonella-te di cibo in eccedenza del villaggio olimpi-co. Con fantasia: la cucina degli avanzi è sta-ta affi data a 45 cuochi sopraffi ni, chef giunti da tutto il mondo, che hanno prestato la loro opera ai fornelli per preparare pasti squisiti con ingredienti di qualità.

Un’idea e realizzazione che vale una medaglia. D’oro!

VOCE GIOVANI

Una bella notizia: niente sprechi al villaggio Olimpico

OLIMPIADI Rio de Janeiro – Brasiledal 5 al 21 agosto 2016

25NAZARETH 3 2016

Capita che alcune persone, convenute per percorsi formativi, mi dicano: “vengo a sentirla” oppure “di che cosa parlerà?”. In

queste semplici domande si percepisce già un certo orientamento sul “cosa” della formazio-ne, cioè sui contenuti. Non che la dimensione teorica della conoscenza sia poco importante, intendiamoci, ma il punto è che il vero pro-cesso di apprendimento-arricchimento avviene non soltanto ascoltando un relatore, ma anche, e soprattutto, nell’incontro con l’altro e gli altri partecipanti al percorso. L’intento dell’approccio descritto in questo contributo è dunque quello di traghettare gradualmente le esperienze for-mative in età adulta da una formazione centrata sul “cosa” a una formazione centrata sul “chi”. Nel precedente contributo avevamo sottolineato come la formazione, proprio perché condotta secondo un approccio di tipo fenomenologico, “con” e non “su” i soggetti coinvolti, si confi guri come spazio inclusivo e partecipativo, nel quale si genera una conoscenza sapienziale, attraverso la condivisione di storie di vita. In questo contri-buto, mi interessa sottolineare che, in questo ap-proccio alla formazione, il sapere del “relatore” as-sume la forma di un sapere che genera relazioni, che fa sì che le persone, attraverso la conoscenza esperienziale, si incontrino, condividano la loro esperienza e si arricchiscano reciprocamente. Capita spesso che i partecipanti ai percorsi for-mativi vengano colpiti dall’intervento di qualcu-no, che non si aspettavano; questo impatto può attivare processi di apprendimento che agiscono in loro anche in senso trasformativo. Non sem-pre le persone che intervengono, all’interno di un gruppo in formazione, possono prevedere gli effetti che i loro contributi avranno sugli altri partecipanti. Il relatore, dal suo canto, in que-sta prospettiva, si confi gura come un “tessitore di relazioni” e proprio la “relazione”, anche at-traverso e oltre l’intervento teorico del relatore, diventa la competenza che facilita le relazioni all’interno del gruppo e la condizione fonda-mentale per l’apprendimento e per la crescita di tutti i soggetti. Questo signifi ca che la compe-tenza del relatore non si limita all’ambito della conoscenza teorica, ma si espande verso quella

conoscenza pratica che sa costruire spazi in cui l’incontro con la conoscenza (il “che cosa” della formazione) fa diventare più sensibili al “chi”, cioè alle persone in formazione. In un certo sen-so, il “cosa” della formazione viene a coincidere con il “chi”, dal momento che le persone cresco-no proprio attraverso l’incontro e la condivisio-ne che avviene tra formatore e partecipanti. La parola stessa “formazione”, in età adulta, va intesa prevalentemente nel senso del “prendere forma” e non del “dare forma” a qualcuno. L’adul-to è protagonista della sua formazione e sceglie lui stesso i contenuti, gli spunti, le sfumature della conoscenza, in base a svariati fattori: la fase della vita in cui si trova, il momento che sta vivendo, le esigenze della sua vita professionale o personale. C’è poi una dimensione non governabile, quella dell’incontro e degli incontri con l’altro, che può contribuire al cambiamento, alla trasformazio-ne della propria vita, e le può dare una forma inaspettata. Le nostre autobiografi e sono abitate dagli altri, dagli incontri che ci hanno segnato e che hanno contribuito a fare in modo che pren-dessimo la forma che abbiamo oggi. Una forma che però rimane dinamica, malleabile, sogget-ta al cambiamento; una forma fl essibile, la cui caratteristica è proprio quella di essere in con-tinua tras-formazione. L’arricchimento che può avvenire attraverso l’incontro con la conoscenza va dunque potenziato e vivifi cato nella condi-visione e nell’elaborazione della conoscenza che avviene attraverso l’incontro con l’altro/a e gli/le altri/e. La formazione diventa il luogo dell’incontro, che contribuisce ad avvicinare le persone, a farle crescere attraverso l’apprendi-mento di qualcosa che avviene proprio grazie o attraverso l’incontro. È in questa dinamica che l’incontro con l’altro può diventare anche “Van-gelo”, lieta notizia di un Dio che è all’opera nella storia e nell’esperienza umana; si tratta sempre di una storia che segna, tocca nel profondo e tras-forma. Anzi, sono convinto che il vero in-contro col Vangelo sia proprio quello che avvie-ne attraverso il Vangelo dell’incontro, l’annuncio di una relazione che avvicina all’altro e conduce ad approfondire l’umano condiviso.

Gustavo Mejia Gomez, formatore - Verona

Dal “COSA” al “CHI”

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La formazione come incontro con l’altro

26 NAZARETH 3 2016

CEI - ORIENTAMENTI PASTORALI

Lo Spirito del Signore Gesù suscita e ali-menta le molteplici dimensioni dell’azio-ne educativa. Ne richiamiamo alcune in

dettaglio.La dimensione missionaria. «Riceverete la for-za dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fi no ai confi ni della terra» (At 1,8). È lo Spirito a formare la Chiesa per la missione, la testimonianza e l’annuncio. Grazie alla sua forza, la Chiesa diventa segno e strumento della comunione di tutti gli uomi-ni tra loro e con Dio, manifesta l’amore frater-no da cui ciascuno può riconoscere i discepoli del Signore (cfr Gv 13,35) e proclama in ogni lingua le grandi opere di Dio tra i popoli (cfr At 2,9-11).La dimensione ecumenica e dialogica. Lo Spi-rito è principio di unità: «un solo corpo e un solo Spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione» (Ef 4,4). Egli unisce intimamente in Cristo tutti i battezzati, suscitando in loro il desiderio della comunione visibile; ispira l’in-contro tra le diverse confessioni cristiane, per-ché convergano verso l’unità voluta dal Signo-re; incoraggia il dialogo con i credenti di altre religioni e con ogni uomo di buona volontà.La dimensione caritativa e sociale. Il pun-to culminante della formazione secondo lo Spirito è l’amore: «Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la cari-tà, sarei come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita. E se avessi il dono della profezia, se conoscessi tutti i misteri e avessi tutta la conoscenza, se possedessi tanta fede da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sarei nulla» (1Cor 13,1-2). Con la sua opera educativa la Chiesa intende esse-re testimone dell’amore di Dio nell’offerta di se stessa; nell’accoglienza del povero e del

bisognoso; nell’impegno per un mondo più giusto, pacifi co e solidale; nella difesa corag-giosa e profetica della vita e dei diritti di ogni donna e di ogni uomo, in particolare di chi è

straniero, immigrato ed emarginato; nella cu-stodia di tutte le creature e nella salvaguardia del creato.La dimensione escatologica. L’educazione cristiana orienta la persona verso la pienez-za della vita eterna. È lo Spirito che «attesta che siamo fi gli di Dio. E se siamo fi gli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se davvero prendiamo parte alle sue sofferen-ze per partecipare anche alla sua gloria» (Rm 8,16-17). Ciò non allontana dall’impegno nelle realtà terrene, ma preserva dal cadere nell’i-dolatria di se stessi, delle cose e del mondo.

Conferenza Episcopale ItalianaOrientamenti pastorali

per il decennio 2010-2020

La vita come

VOCAZIONE d’amoreAccoglienza del dono dello Spirito. Da: “Educare alla vita buona del Vangelo” in un mondo che cambia, n. 24

27NAZARETH 3 2016

Celebriamo il dono di 100 anni di vita di Suor Marsilia. Siamo riuniti insieme: consorelle, personale della casa, fami-

liari e amici. Anche l’amministrazione pubbli-ca del nostro comune, Isola Vicentina, con la presenza del sindaco Francesco Enrico Gonzo

e l’assessore Denise Dacchioni desidera con-dividere con noi questa festa. A tutti il nostro grazie. Cento anni sono un traguardo, una tap-pa importante, un segno che Dio continua ad amarci, lasciando in mezzo a noi sorelle che ci testimoniano la sua infi nita misericordia.

Quando un giorno, Marsilia si sentì dire come a san Paolo: “Seguimi !”/ da quel giorno cambiò sede. / Dicendo subito “SÌ” / si ritrovò in un piccolo castello, al suo servizio. /Gioiosa, come sempre, iniziò il suo servizio con amore e per amore / con i sacerdoti anziani che, anche loro Gesù un giorno chiamò al servizio dei fratelli / che lo rappresentano / “tu sei sacerdote” la massima dignità sulla terra / e tu Marsilia hai avuto l’onore di servire Cristo / nella persona dei suoi sacerdoti. / Sei stata fortunata / tu hai

fatto sempre l’obbedienza aiutando / molte per-sone / e il Signore ti ha benedetta concedendoti / tanti anni / per fare del bene a tante altre per-sone. / Il Signore è stato contento di te! / Puoi essere contenta suor Marsilia e quando / incon-trerai Gesù sorridente / Lui ti dirà “sei stata bra-va Marsilia, vieni vicino a me!” / e ti stringerà al suo cuore in un abbraccio eterno e lì godrai il suo paradiso. / È l’augurio più bello che si può fare ad una persona che ha scelto il Signore. / Ora ti auguriamo ancora tanti anni gioiosi! ...

Una lunga Una lunga VITA DONATAVITA DONATASuor Marsilia Zanini (01.07.1916) PSSF

Un magnifi co centenario

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Sr. Marsilia con il sindaco di Isola Vicentina Francesco Enrico Gonzo, l’assessore Denise Dacchioni

Familiari e parenti attorno a sr Marsilia con la torta del centenario

Sr Marsilia con alcune consorelle

28 NAZARETH 3 2016

CARISMA

Chi hanno cercato i Fondatori in tutta la loro vita? Certamente il popolo, “il po-vero popolo”!

L’espressione, obsoleta e dispregiativa per noi che abbiamo scoperto la “persona” e l’abbiamo posta al centro della nostra attenzione e del no-stro interesse, anche sganciandola dalla comu-nità e spesso dal suo Creatore, racchiudeva per loro tutta la forza di un amore che portava fuori di sé, apriva mente e cuore a cogliere il “biso-gno dell’altro”, a mostrare quella “misericordia” che fa vedere nel “popolo”, il Corpo di Cristo, la carne di Cristo. In quanti modi i Fondatori e le suore, da loro formate, hanno toccato, curato, guarito la carne di Cristo! E in questa esperien-za di misericordia e di amore hanno scoperto il volto di Dio, il volto del Padre, rivelato dal Figlio, il primo ad accostare “il povero popolo” per curarlo, perdonarlo, guarirlo, riconciliarlo con se stesso e con gli altri. Del Fondatore, in-fatti, si può dire quanto Papa Francesco dice del sacerdote: “Sa che l’amore è tutto. Non cerca assicurazione terrene o titoli onorifi ci, che por-tano a confi dare nell’uomo; nel ministero per sé non domanda nulla che vada oltre il reale bisogno, né è preoccupato di legare a sé le per-sone che gli sono affi date. Il suo stile di vita semplice ed essenziale, sempre disponibile, lo presenta credibile agli occhi della gente e lo avvicina agli umili, in una carità pastorale che fa liberi e solidali. Servo della vita, cammina con il cuore e il passo dei poveri; è reso ricco dal-la loro frequentazione”. Con lo stesso stile ha voluto e formato le suore, perché vivessero in mezzo alla gente, suore “alla buona” capaci di condividere la vita del popolo, di evangelizzare testimoniando la gratuità della salvezza che “è per tutti” (EG 113), “che Dio ci offre come ope-ra della sua misericordia” (EG112). L’Istituto in tal modo si trova a compiere tutte le opere di misericordia corporali e spirituali, mai disgiun-te dalla contemplazione del volto di Dio, uni-ca fonte dell’amore che rende misericordiosi e permette di arrivare dove mezzi e forze umane sembrano fallire. E la storia dell’Istituto così è la stessa “nostra storia di Chiesa, che è glorio-sa in quanto storia di sacrifi ci, di speranza, di lotta quotidiana, di vita consumata nel servizio,

di costanza nel lavoro faticoso, perché ogni lavoro è “sudore della nostra fronte” (EG 96). Vita vissuta e spesa per il popolo senza mai intrattenersi “vanitosi parlando a proposito di “quello che si dovrebbe fare” - il peccato del “si dovrebbe fare” - come maestri spirituali ed esperti di pastorale che danno istruzioni rima-nendo all’esterno” (EG). “Più fatti che parole” era il motto del Fondatore che inviava le suore dovunque ci fosse una necessità, dovunque il popolo mostrava un bisogno, una possibilità di crescita e di vita più umana e dignitosa. L’espe-rienza di vicinanza e di immersione nella vita del popolo, iniziata a Castelletto, veniva espor-tata nei vari paesi, dove parroci attenti alle ne-cessità dei fedeli, coglievano nella semplicità e concretezza di vita delle suore l’opportunità della loro presenza. Ovunque a mostrare che “la Chiesa dev’essere il luogo della misericor-dia gratuita, dove tutti possano sentirsi accolti, amati, perdonati e incoraggiati a vivere secon-do la vita buona del Vangelo” (EG 114). L’at-tenzione e l’amore per il popolo allora erano volti a risposte a bisogni primari, la povertà era grande nei paesi del lago di Garda e anche al-trove, curando le relazioni familiari, la salute, il lavoro, i diritti civili, a partire dai quali pro-muovere le persone ed evangelizzare. Era già una Chiesa rinnovata e liberata dalle ingerenze statali, quella che nel Concilio Veneto del 1859 esortava i parroci a fare oggetto delle loro cure, non il territorio o i beni temporali, ma il popo-lo di Dio, i battezzati, cercando di conoscere “uno per uno i propri fedeli”. Rimaneva tuttavia una Chiesa verticistica e gerarchica a prendersi cura del popolo, sempre suddito e dipendente dal pensiero e dall’agire degli altri, ed esortato alla rassegnazione di fronte a ingiustizie, poteri vari, disavventure e a volgere tutte le proprie risorse per tendere alla “Patria celeste”. Sarà il Concilio Vaticano II a dare ai battezzati la con-sapevolezza di essere Chiesa, popolo di Dio, verità richiamata oggi con forza da Papa Fran-cesco: “Essere Chiesa signifi ca essere Popolo di Dio, in accordo con il grande progetto d’amore del Padre ”(EG114). Progetto che va conosciuto e attuato “con un dinamismo missionario che porti sale e luce al mondo…con una spiritualità

Il POPOLO

29NAZARETH 3 2016

La festa della “Madonna della Salute” è tipica della tradizione del paese che ri-corda con gratitudine la miracolosa fi ne

dell’epidemia di colera del 1836. La popo-lazione di Castelletto si rivolse a Maria per ottenere la liberazione dal colera, che in un mese potè mietere 66 vittime. La statua della Vergine, invocata sotto il titolo di Madonna della salute, si trova in una cappella laterale

della chiesa parrocchiale. Della statua non si hanno notizie certe; si ritiene, però, che sia stata collocata in questa cappella nel 1936, in occasione del centenario dell’avvenimento. La festa votiva si celebra il 10 luglio. Anche quest’anno c’è stata molta partecipazione. La celebrazione si è svolta, a partire dalla Chie-sa parrocchiale, fi no alla Piazza “Madre Maria Domenica Mantovani”.

FESTA POPOLAREFESTA POPOLARE

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che permei l’azione e la renda desiderabile”(EG 81.82). “La salvezza che Dio ci offre è opera della sua misericordia”(EG 112). Sta in noi com-prendere che siamo chiamati tutti, perché Chie-sa popolo di Dio, “ad illuminare e a comunicare vita” (EG83), convocati da Dio “come popolo e non come esseri isolati”(EG83), perché in noi “battezzati, dal primo all’ultimo, opera la

forza santifi catrice dello Spirito che spinge ad evangelizzare”(EG119). La forza e la passione dei nostri Fondatori può darci oggi la compren-sione di che cosa signifi chi uscire da sé e sen-tirci tutti popolo di Dio, soggetto e oggetto di evangelizzazione nello Spirito che non cessa di operare nell’umanità intera.

G.T.

Processione con la Madonna e il Corpo bandistico di Castelletto - Brenzone (VR)

Benedizione delle barche

30 NAZARETH 3 2016

I modelli di comportamento sono cambiati dopo la guerra in Angola. Prima le don-ne erano più pazienti, affettuose, capaci di

coltivare e mantenere buone relazioni in fami-glia e tra parenti. Esisteva rispetto da parte dei fi gli verso i genitori, gli anziani e viceversa; credevano di più ai valori morali e civili che i più anziani raccontavano e trasmettevano con la loro vita. Vi era più armonia anche a livel-lo sociale. La struttura dei valori morali aveva come base il rispetto mutuo a benefi cio della preservazione della vita umana. Quarant’anni di guerra hanno minato le basi della persona-lità angolana: in poco più di due generazio-ni, hanno alterato radicalmente la defi nizione della vita ed il signifi cato dell’esistenza. A par-tire dal 2002 (fi ne della guerra) si constata una crescita della violenza interpersonale e sociale caratterizzata dall’indebolimento dei valori ci-vili/morali della società. Molti giovani, privi di lavoro e di guida, vivono di espedienti o si lasciano sopravvivere. Purtroppo, si pensa che questa situazione possa durare ancora per molto tempo. Ma le vittime della guerra non sono solo i giovani. La maggior parte degli an-golani stanno manifestando nel vivere quoti-diano varie disfunzioni cognitive e sperimen-tano uno scoraggiamento capace di inibirli e di renderli incapaci di assimilare nuovi valori che consentirebbero una convivenza più ar-

moniosa e uno sti-le di vita più uma-no. Dal punto di vista psicologico, l’estrema povertà porta con sé an-che un sentimento di rivolta. Sul pia-no psicopedagogico, la guerra e le sue conse-guenze hanno creato un defi cit nell’apprendi-mento scolastico, con le sue ripercussioni nel campo tecnico-professionale…Guardando a questa realtà in cui sono inserite le nostre sorelle che cercano di evangelizzare gli angolani di Lucala e di Luanda, compren-diamo da dove attingano la forza e la fi ducia per ripartire ogni giorno con amore nel loro servizio all’educazione e di aiuto ai poveri. Che cosa condividono con i fratelli e sorelle angolane le Piccole Suore della S. Famiglia? Certamente la povertà delle risorse; la fatica del cammino di questo popolo che sembra farsi sempre più lento e doloroso; l’impotenza e la tentazione allo scoraggiamento. Tuttavia si impegnano a rispondere e a collaborare al forte appello che la Conferenza Episcopa-le dell’Angola ha lanciato a tutti i cristiani e agli uomini e donne di buona volontà nella sua ultima nota pastorale dal titolo: “O que vimos e ouvimos” (quello che abbiamo visto e ascoltato) davanti all’attuale situazione della Nazione angolana. Il loro accorato appello si rivolge ai governanti e ai funzionari pubblici affi nché gestiscano il bene comune con com-petenza, giustizia, trasparenza, onestà senza dimenticare che, oltre al rispetto che i cittadini devono ad essi, la loro autorità deve essere al servizio di tutti i cittadini, nessuno escluso. Invitano gli impresari angolani a creare lavo-ro per combattere la disoccupazione galop-pante e che, nella collaborazione con coloro che li fi nanziano dall’esterno, non fi niscano per ipotecare la loro libertà ed i valori del popolo angolano. Ai medici, infermieri ed a tutti coloro che lavorano nell’ambito della sa-nità chiedono di dedicare generosamente le

LE PSSF IN MISSIONE

ANGOLALe Piccole Suore della S. Famiglia a Luanda e a Lucala

31NAZARETH 3 2016

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Il nostro essere Piccole Suore della Sacra Famiglia nella Chiesa

Con gioia vi annunciamo che le nostre sorelle juniores togolesi, il 2 luglio 2016, hanno rinno-vato il loro SI alla fedeltà di Dio.

Comunità di Yokoé - Lomé

Dalle Costituzioni - Vita evangelica se-condo il carismaart. 2. Con la Famiglia di Nazareth, luo-

go in cui il disegno di Dio si fa storia, partecipia-mo della missione di dedicare tutta la vita per la

redenzione del mondo. Diventiamo, per la gra-zia dello Spirito, presenza di Dio in ogni realtà, rifl esso della comunione trinitaria nel quotidia-no pregare lavorare e patire, e testimoni della pienezza di vita che opera dentro l’umanità.

loro energie in difesa della vita, soprattutto di quelle moltitudini che non sono oggetto di attenzione ed aiuto. Incoraggiano i giovani, affi nché affrontino le diffi coltà della vita con determinazione e perseveranza, resistendo alla tentazione dell’alcool, della droga, di una sessualità disordinata. Infi ne un accorato invi-to ai sacerdoti e alle comunità religiose di de-dicarsi ad una preghiera assidua e più intensa e di donarsi nel servizio-carità a tutti, senza

escludere nessuno, con l’attenzione ai più po-veri e agli indigenti di ogni età e religione, fuggendo la tentazione di rinchiudersi in se stessi e di sentirsi bene e protetti all’interno delle loro comunità. L’appello per tutti noi ad essere davvero Chiesa in uscita, ovunque, in comunione con il nostro papa Francesco, in quest’Anno della Misericordia.

Suor Giovanna Paola Ghislotti

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LE PSSF IN MISSIONE

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Sono entrate nella pienezza della vitaChiamate alla piena partecipazione del mistero pasquale di Cristo Gesù

PICCOLE SUORE DELLA SACRA FAMIGLIA

Suor Almaletizia ReginelliSuor Assisia ZattraSuor Grazia ZermiglianSuor Giovanilde Capancioni

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DIALOGO ECUMENICO E INTERRELIGIOSO

“Noi dobbiamo essere come l’ulivo: musulmani e cristiani, noi siamo fratelli per la pace. Abbiamo la

stessa radice”. Papa Francesco lo ha detto qualche giorno fa incontrando la seconda mo-glie dell’attuale emiro del Qatar. Storia e testi fondatori ci testimoniano sia le radici comuni sia le divisioni di queste due grandi espressio-ni religiose e culturali che insieme, collabo-rando e scontrandosi, sfi dandosi e imparando l’una dall’altra, formano la base della nostra civiltà mediterranea.Parlare di dialogo islamo-cristiano è diventato una moda. Ma lo si fa spesso in linea teorica, dimenticando che il dialogo nasce dall’incon-tro tra persone concrete, con nome e cogno-me. Il cosiddetto dialogo tra cristiani e mu-sulmani, come sottolinea nei suoi discorsi e nei suoi gesti il Papa, nasce e cresce a partire dalla vita concreta, dove tutti si ritrovano nella comune umanità e, tra credenti, nella comune ricerca di Dio. I “pellegrini della verità”, di-ceva Benedetto XVI, condividono le strade e sono capaci di “lasciarsi destabilizzare dall’al-

tro” per purifi care la propria fede dalle incro-stazioni che non le appartengono.Questo non signifi ca barattare le proprie con-vinzioni o cercare facili concordismi sui prin-cipi fondatori della propria fede. Un musul-mano non è un cristiano e Gesù Cristo non è il Corano. Il presupposto perché si possa par-lare di vero dialogo è il riconoscimento della differenza, che non porta a sentirsi superiori o inferiori rispetto all’altro, ma a costatare l’in-superabile fantasia del Dio creatore e la multi-forme presenza dello Spirito, che non si lascia catturare e inscatolare in nessuna espressione religiosa umana ma invita a respirare il suo profumo oltre ogni muro e ogni siepe.Di qui l’atteggiamento, richiesto in particolare ai cristiani, di non rinchiudersi nella paura e di non barricarsi in difesa. Non si può par-lare di dialogo quando si ha paura dell’altro o si pensa a lui come al nemico da battere e da cui difendersi. Ormai musulmani e cristiani vivono insieme, condividono i medesimi spa-zi, partecipano alle medesime sfi de sociali e economiche e sono chiamati a lottare insieme per i valori spirituali e morali, come auspica il Concilio. In particolare, condividono l’ado-razione del Dio misericordioso che spinge gli uni e gli altri a esercitare in concreto la mi-sericordia in questo mondo purtroppo segna-to dall’odio e dalla violenza. “Perciò è vitale - dice il messaggio ai musulmani del Pontifi cio Consiglio per il Dialogo Interreligioso per la fi ne del mese di Ramadan - che tutti operino insieme per assistere coloro che sono biso-gnosi, prescindendo dalla loro etnia o dal loro credo religioso. È motivo di grande speranza vedere o sentire di musulmani e cristiani che si uniscono per aiutare i bisognosi. Quando uniamo i nostri sforzi, noi obbediamo ad un importante comandamento presente nelle no-stre rispettive religioni e diamo dimostrazione della misericordia di Dio, offrendo così una testimonianza più credibile, come individui e come comunità”.

Valentino Cottini

Il DIALOGO nasce dall’incontro

tra persone CONCRETE

Per i 50 anni del Pontifi cio Istituto di Studi Arabi e d’Islamistica (PISAI) Roma: papa Francesco con l’imam Yahya Pallavicini e don Valentino Cottini

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Gesto forte, motivato da fede e carità cri-stiane. Senza sfi de politiche, però ac-cettando l’irritazione turca, già quando

il Papa aveva ricordato il centenario del “ge-nocidio armeno”, e ora trattato da “crociato”.Eppure è bene visitare amorevolmente il kato-

likos Karekin 2° e i fedeli armeni. È secondo il cuore del Signore Gesù pregare insieme in modi diversi nei luoghi più santi, più cari. Ge-sti e dichiarazioni comuni hanno affratellato, promosso il dialogo diretto, approfondito la parziale comunione e rafforzato la speranza di un domani di pace.Quasi in contemporanea, con gioia beneaugu-rante di papa Francesco, è avvenuto il “sinodo panortodosso” a Creta (19-24 giugno). Anche questo un avvenimento storico, dopo un mil-lennio, nonostante l’assenza di alcune chiese. Convocato da Bartolomeo 1° di Costantino-poli, dopo lunga preparazione di anni, han-no partecipato: i patriarcati di Costantinopoli, Alessandria, Gerusalemme, Serbia, Romania; le chiese autocefale di Cipro, Grecia, Polonia, Albania, Cecchia e Slovacchia. Sono state as-

PAPA FRANCESCO pellegrino di comunione

Continua “l’ecumenismo degli incontri” di papa Francesco. Nei giorni 24-26 giugno scorso ha visitato fraternamente i cristiani di Armenia

Monte Ararat

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senti le chiese di Russia, Antiochia, Bulgaria e Giorgia. Molti i motivi di contrasto, ma tutti denotano la debolezza della nostra umanità. L’unanimità è auspicabile, però praticabile è solo la via dell’umile concretezza, mentre il cammino da fare resta aperto e lungo. Quello che conta è partecipare e condividere, come ha fatto Gesù, fi no al sacrifi cio di sé.Ricordiamo che prima, il 16 aprile, papa France-sco si era recato a Lesbo, insieme con il patriar-ca Bartolomeo 1° di Costantinopoli (Turchia) e l’arcivescovo Hieronymos di Atene (Grecia); proprio quando la chiesa ortodossa greca, con i monaci del Monte Athos, sono poco aperti al dialogo con Roma. Pure questo un semplice gesto ecumenico di condivisione nei confronti di tanti disperati, che fuggono con ogni mezzo verso un’Europa impaurita, che si sente minac-ciata da un’invasione. In realtà a Lesbo c’erano già cristiani di diverse confessioni, che insieme con altri volontari e residenti lavorano fi anco a fi anco nel servizio a chi soffre e fugge le con-seguenze di guerre immani. Papa Francesco pare ben deciso a percorrere la via dell’umiltà, accettando il dialogo anche se si fa insidioso, come sull’aereo di ritorno dall’Armenia. I giornalisti in Italia e all’estero hanno titolato: “Il papa chiede scusa ai gay”. A dire il vero la conversazione era stata ampia e su vari argomenti, e un solo giornalista ha chiesto se il papa condivideva l’idea lanciata

dal cardinale tedesco Marx di “chiedere scusa ai gay”. Papa Francesco ha risposto che “la chiesa non solo deve chiedere scusa ai gay”, come propone il cardinale, ma “deve chiede-re perdono anche ai poveri, alle donne stu-prate, ai bambini sfruttati nel lavoro, … deve chiedere scusa di aver benedetto tante armi”. E citando il Catechismo della chiesa cattolica ha concluso affermando che i gay non vanno discriminati, vanno rispettati e accompagnati pastoralmente.Non solo i giornalisti enfatizzano qualche fra-se di un discorso più ampio e fanno notizia; capita da sempre. Avviene anche nella rifl es-sione teologica, quando ad esempio si cita una frase famosa di Sant’Ireneo, vescovo di Lione e martire verso il 200: “L’uomo vivente è gloria di Dio!”. Ciò che scrive il santo è ben più completo: “… l’uomo vivente è gloria di Dio e vita dell’uomo è la visione di Dio. Se infatti la rivelazione di Dio attraverso il creato dà la vita a tutti gli esseri che si trovano sulla terra, molto più la rivelazione del Padre, che avviene tramite il Verbo, è causa di vita per coloro che vedono Dio”.Evviva i limiti, i piccoli passi, la comunione imperfetta! Scrive sempre papa Francesco in Amoris laetitia n. 113: “L’amore convive con l’imperfezione, la scusa, e sa stare in silenzio davanti ai limiti della persona amata”.

Gianfranco Cavallon

DIALOGO ECUMENICO E INTERRELIGIOSO

Oggi nella Santa Echmiadzin, centro spi-rituale di Tutti gli Armeni, noi, Papa Francesco e Karekin II, Catholicos di

Tutti gli Armeni, eleviamo le nostre menti e i nostri cuori nel ringraziare l’Onnipotente per la continua e crescente vicinanza nella fede e nell’amore tra la Chiesa Apostolica Armena e la Chiesa Cattolica nella loro comune testimonian-za al messaggio del Vangelo in un mondo lace-rato da confl itti e desideroso di conforto e spe-ranza. Lodiamo la Santissima Trinità, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, per averci consentito di venire nella biblica terra dell’Ararat, che si erge

Dalla “Dichiarazione comune”Papa Francesco e Karekin II a Echmiadzin - 26 giugno 2016

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come a ricordarci che Dio sarà sempre la no-stra protezione e salvezza... Siamo grati di aver avuto la grazia di essere insieme in una solenne liturgia nella Basilica di San Pietro a Roma il 12 aprile 2015, nella quale ci siamo impegnati ad opporci ad ogni forma di discriminazione e violenza, e abbiamo commemorato le vittime di quello che la Dichiarazione Comune di Sua Santità Giovanni Paolo II e Sua Santità Karekin II menzionò quale «lo sterminio di un milione e mezzo di Cristiani Armeni, che generalmente viene defi nito come il primo genocidio del XX secolo» (27 settembre 2001). Lodiamo il Signore per il fatto che oggi la fede cristiana è di nuovo una vibrante realtà in Armenia, e che la Chiesa Armena porta avanti la sua missione con uno spirito di fraterna collaborazione tra le Chiese, sostenendo i fedeli nel costruire un mondo di solidarietà, di giustizia e di pace... Tuttavia, sia-mo purtroppo testimoni di un’immensa trage-dia che avviene davanti ai nostri occhi: di innu-merevoli persone innocenti uccise, deportate o costrette a un doloroso e incerto esilio da con-tinui confl itti a base etnica, politica e religiosa nel Medio Oriente e in altre parti del mondo... I martiri appartengono a tutte le Chiese e la loro sofferenza costituisce un “ecumenismo del san-gue” che trascende le divisioni storiche tra cri-stiani, chiamando tutti noi a promuovere l’unità visibile dei discepoli di Cristo. Insieme preghia-mo... Imploriamo i capi delle nazioni di ascol-tare la richiesta di milioni di esseri umani, che attendono con ansia pace e giustizia nel mondo, che chiedono il rispetto dei diritti loro attribuiti

da Dio, che hanno urgente bisogno di pane, non di armi... Memori di quanto Gesù insegnò ai suoi discepoli quando disse: «Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi ave-te dato da bere, ero straniero e mi avete accol-to, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi» (Mt 25, 35-36), chiediamo ai fedeli delle nostre Chiese di aprire i loro cuori e le loro mani alle vittime della guerra e del terrorismo, ai rifugiati e alle loro famiglie... Siamo lieti di confermare che, nonostante le persistenti divisioni tra Cri-stiani, abbiamo compreso più chiaramente che ciò che ci unisce è molto più di quello che ci divide... Oggi siamo convinti dell’importanza cruciale di sviluppare queste relazioni, intra-prendendo una profonda e più decisiva collabo-razione non solo in campo teologico, ma anche nella preghiera e in un’attiva cooperazione a li-vello delle comunità locali, nella prospettiva di condividere una piena comunione ed espressio-ni concrete di unità... Dalla Santa Echmiadzin invitiamo tutti i nostri fedeli ad unirsi a noi in preghiera, con le parole di san Nerses il Grazio-so: «Glorioso Signore, accetta le suppliche dei Tuoi servi, e benevolmente esaudisci le nostre richieste, per intercessione della Santa Madre di Dio, di san Giovanni Battista, di santo Stefano Protomartire, di san Gregorio l’Illuminatore, dei santi Apostoli, dei Profeti, dei Santi “Divini”, dei Martiri, dei Patriarchi, degli Eremiti, delle Vergi-ni e di tutti i Tuoi santi in cielo e sulla terra. E a Te, o indivisibile Santa Trinità, sia gloria e lode nei secoli dei secoli. Amen”.

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Quando ero ragazzo, aspettavo con an-sia le vacanze estive, non solo per an-dare al mare con la mia famiglia ma,

soprattutto, per ritrovare gli amici dell’anno precedente e per conoscerne di nuovi. La stessa trepidazione mi pervadeva durante altri viaggi e in ogni occasione che avevo di pas-sare qualche giorno fuori dalla mia città. Chi cercavo lo sapevo: nuovi amici, un bel mare e, qualche anno più tardi, anche qualche bella ragazza. Cercavo, sapendo di dover attendere un po’ di tempo per trovare esaudimento a questo mio desiderio.Oggi, a differenza della mia giovinezza, il tem-po dell’attesa si è molto ridotto. La tecnologia ha accorciato tutto, rendendoci la vita più agi-le e comoda ma, al tempo stesso, privando-ci di particolari emozioni. Grazie ad internet abbiamo ridotto sensibilmente i tempi della ricerca ma, dall’altra parte, abbiamo perso la capacità di attendere. Ci siamo pian piano abi-tuati al “tutto e subito”. Questo non solo per-ché il mondo corre sempre più veloce - forse troppo - ma anche perché sottraiamo diverso

tempo alla cura delle relazioni con le persone e lo dedichiamo in buona parte al lavoro, al raggiungimento dei target che ci siamo posti o che ci hanno imposto. Siamo presi da mille faccende, buona parte delle quali, se passate in un setaccio di realtà, sono inutili o, quan-tomeno, poco signifi cative rispetto ad altre. La tecnologia, in questo, ci ha messo del suo. Ba-sta uno smartphone e siamo collegati “h 24” con il mondo. La questione, allora, diventa non tanto quella del cercare in sé, quanto il “cosa” e “chi” cerchiamo. Se siamo iscritti a Facebo-ok, ad esempio, non solo abbiamo la possi-bilità di poter ritrovare dei vecchi amici che non vediamo da tempo - cosa bellissima - ma il social network ci suggerisce anche quali altre persone, per affi nità di gusti e passioni oppure perché amiche di altri nostri amici, potremmo conoscere e decidere di metterci in contatto. Basta una foto particolare, simpatica, curiosa, attraente, provocatoria e parte la “richiesta di amicizia”. Se confermata, si diventa amici an-che se, fi no a quel momento, non ci si è mai visti né conosciuti. Miracoli del mondo virtuale.

È POSSIBILE ancoraAttendere e incontrare le persone per crescere insieme

Lago di Garda - Castelletto di Brenzone (VR)Servizio... battello!

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IZIASe penso al tema di “chi cerchiamo” mi ven-

gono in mente anche tanti padri, madri e fi gli che in questi ultimi anni hanno cercato di at-traversare il Mediterraneo per salvare la loro vita, per provare a vivere un futuro che gli è stato negato nella loro patria. Queste perso-ne hanno una sola certezza: quella di partire. Non sanno se arriveranno e se lo faranno tutte insieme. Eppure partono lo stesso alla ricerca non solo di una nuova terra, ma di persone e popoli che riconoscano la loro dignità umana. Appena approdano sulle nostre coste e sono arrivati vivi, si guardano attorno e si cercano. Se non si trovano, in molti casi, proseguono comunque il loro viaggio, nella speranza di ri-vedersi in un altrove fatto di libertà e di pace. Il cercare, in questo caso, diventa una sfi da con il proprio destino.Cercare è una scoperta continua. Non sempre troviamo quello che cerchiamo e, in altri casi, dobbiamo capire se siamo contenti o meno di chi si trova e di cosa si trova. Eppure cercare,

almeno per me, è uno stimolo che rende vive le persone. Cercare richiede cura, attenzione, curiosità e può generare piccole-grandi gioie. Perché cercare qualcuno o qualcosa diventa anche un misurarsi con il trascorrere del tem-po della propria esistenza. A me è capitato di vivere queste sensazioni, quando uno dei miei fi gli, un giorno, è stato capace di trovare, prima di me, un quadrifoglio. Quel cercare e quel trovare, quell’aver superato l’adulto, han-no generato in lui gioia e fi ducia, due elemen-ti essenziali sulla strada del “diventare grandi”.Nella vita non si cerca soltanto qualcuno o qualcosa. Si può essere cercati. E allora l’in-terrogativo può diventare: perché cercano me? Mi faccio trovare oppure no? Sono pronto a questo incontro? Prima di cercare altri do-vremmo forse chiederci se abbiamo il corag-gio di cercare e di trovare noi stessi. E di ac-cettarci per quello che siamo. Tante domande, tanti pensieri. È la vita che scorre.

Pierpaolo Romani

Quattro generazioni intorno ad una tavola. A radunarci la gioiosa ricor-renza di compleanno del nonno-bi-

snonno Armando. Il sorriso che gli illumina il volto rischiarerà sempre la nostra strada. Quattro generazioni intorno ad una mensa familiare per far festa e per condividere. La

pace, la serenità e la saggezza del nostro amato festeggiato, è motivo per tutti noi di fi ducia e di speranza nel nostro presente, e di un dolce ricordo, che rimarrà per sempre. Siamo e rimaniamo uniti in letizia e gratitu-dine!

Vania Grazioli

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FAME E SETE DI GIUSTIZIA

Abito nella casa regionale, chiamata Do-mus religiosa, che è la casa di riferimen-to per i saveriani nel Congo. Una strut-

tura sulla riva del lago Kivu, a 1400 d’altezza. È occupata in alcuni periodi dell’anno per assem-blee, ritiri e riposo, ed è disponibile per l’acco-glienza a persone in visita per scopi umanita-ri. In questo periodo sono presenti un inglese (Kevin) per un servizio ai ragazzi di strada e un medico belga per dare lezioni sulle malattie tropicali (Jef). La casa, soprattutto la domenica, è a disposizione dei gruppi per ritiri e incontri vari. In comunità siamo in sette (sei padri con il regionale e Mauro, il volontario addetto al garage). Ci si incontra per un appuntamento settimanale e ogni giorno per la preghiera e per i pasti. Padre Giovanni si dedica ai bambini malnutriti e alle famiglie povere. A sera, a cena, ha l’occasione di raccontare situazioni assurde di miseria e di sofferenza. Dirige case-famiglia, offre pacchi di viveri in collaborazione con enti internazionali, assicura assistenza medica e accompagna i più gravi all’ospedale. Mentre racconta, Giovanni esplode in esclamazioni di sconforto e inveisce contro l’incuria sociale. In altre occasioni, è spassoso e provoca briosa-mente p. Antonio, professore di morale e pro-feta, che gli siede accanto. I due formano un

duetto, si tengono compagnia, si tacchinano e rimangono sempre amici. Sono un po’ sordi, e, quando si capiscono, convergono nelle idee e nelle valutazioni degli eventi. Dopo il pasto serale, raggiungono insieme la saletta TV, sie-dono uno accanto all’altro… E là, tra colpi di tosse, commentano, si agitano e prorompono in esclamazioni o in deplorazioni a seconda delle notizie. Il volume del suono si adatta alle loro orecchie. Giovanni non si prolunga nella visione e, dopo le prime notizie, se ne va e, quasi sempre un po’ deluso, manda tutti a quel paese. Sulla riva del lago, ho occasione di vi-vere ore serene... Quattro volte alla settimana, sono con gli studenti universitari. Non ho più occasione di visitare i quartieri della periferia di Bukavu, come un tempo. Ma arrivano amici e raccontano le loro sofferenze e diffi coltà…Il lago Kivu offre panorama e meditazione. Lo splendore del mattino con i suoi tenui colori è la bellezza del dono della vita; il lento scorrere delle acque è il tempo che passa; il cielo azzur-ro con le nubi bianche in calmo movimento è l’anima silenziosa e anelante; le nuvole buie di tempesta imminente sono gli avvenimenti che scompigliano il quotidiano per breve tempo; il scintillio delle lunghe foglie delle palme tre-molanti e appuntite accarezza la quiete; l’arrivo

LAUDATO SI’La Domus

Studenti e capo villaggio

Tramonto sul lago Kivu dalla Domus

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della luna piena, a l’imbrunire, o la notte buia con la proliferazione di stelle sono un invito ad alzare gli occhi al cielo. Un messaggio, arrivato in questi giorni, suggeriva un invito: “Lascia che la natura ti insegni la sua calma”. Straordinario è il salmo 131. L’autore ha uno sguardo ampio e umile, “guarda in giro e si accorge che ci sono molte cose, persino più belle dell’oro: i fi ori, gli alberi, l’acqua, il sole,

gli amici” ed esclama: “Non si inorgoglisce il mio cuoreE non si leva in superbia il mio sguardo;non vado in cerca di cose grandi,superiori alle mie forze.Io sono tranquillo e serenocome un bimbo svezzato in braccio a sua madre,come un bimbo svezzato è l’anima mia”.

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È nato nell’isola degli ananas (09.07.1990). L’isola, che si chiama Idjwi e che si trova nel bel mezzo del lago Kivu, là dove la

natura conserva il suo fascino e dove la gente è semplice, laboriosa e aperta. Oasi di pace ma anche di povertà. Willy, unico ragazzo di cinque fi gli, studia nelle scuole primarie a Mugote, villaggio della fami-glia. Ma, per le scuole superiori, va all’istituto Kashofu, a 15 km dalla sua abitazione. Nell’i-sola non c’è un metro di strada asfaltata e non ci sono mezzi di trasporto. Il cammino è nella polvere della stagione secca o nel fango nel periodo delle piogge. Parte alle 6 del mattino per arrivare a scuola alle 8. Rientra a casa dopo le 15 e mangia alla sera con la famiglia, parte-cipando all’unico pasto della giornata. Intelligente, di buona volontà, dopo sei anni, egli ottiene il diploma di Stato (2009). Desidera andare avanti negli studi, ma il papà è povero e non può pagare l’università. Il gio-vane diplomato, ben voluto e stimato, è as-sunto come insegnante nel suo stesso Istituto Kashofu con salario di 135$.Nel 2011, decide di lasciare l’isola per la città di Bukavu e sceglie l’ISP (Istituto Superiore di Pedagogia). Accolto nell’internato della cap-pellania, deve pagare la scuola e arrangiarsi per il cibo quotidiano. Willy racconta: “Ar-rivavo a studiare dalle 8 alle 17 senza man-giare, e nonostante tutto sono sempre riuscito bene ai primi esami”.I compagni lo stimano, lo scelgono come se-gretario della comunità. Si rivela valido colla-boratore e amico.

Nel terzo anno, il papà si ammala e in più una delle sorelle vorrebbe frequentare l’università e prende-re il posto del fratello nelle spese della fa-miglia. Willy non desiste, pensa alla licenza: “Ho girato tutta la cit-tà per avere un aiuto, - scrive - e non l’ho trovato. Ma, alla fi ne, Dio mi ha aiutato. Nel settembre 2015 mi è stato offerta l’occasione di dare lezioni private, che mi hanno permesso di iniziare il primo anno di licenza”. Nello stesso periodo è eletto portaparola degli studenti e riceve l’invito di un viaggio nella capitale, Kinshasa, non solo a nome dell’ISP, ma anche degli istituti superiori della città. Con i delegati delle diverse regioni, è ricevuto dal Capo dello Stato.Willy, attualmente, è iscritto all’ultimo anno di licenza in fi sico-chimica e insegna in uno dei più noti istituti della città, nel liceo Wima. Alla fi ne, nei suoi appunti, scrive: “Vorrei dare fi ducia ai miei compagni di studio. Ho avuto parecchie diffi coltà, ma ho messo sempre Dio al primo posto. Egli conosce il disegno mio e di ciascuno. Coraggio e grazie!”.

Giuseppe Dovigo

La bella storia di Willy

Con SIMPATIA