Anno 14, n. 12 (147) - Dicembre 2017 Curia e pastorale per ... · Mihaela Lupu Propriet ......

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Registrazione al Tribunale di Velletri n. 9/2004 del 23.04.2004 - Redazione: C.so della Repubblica 343 - 00049 VELLETRI RM - 06.9630051 - fax 0696100596 - [email protected] Mensile a carattere divulgativo e ufficiale per gli atti della Curia e pastorale per la vita della Diocesi di Velletri -Segni Anno 14, n. 12 (147) - Dicembre 2017

Transcript of Anno 14, n. 12 (147) - Dicembre 2017 Curia e pastorale per ... · Mihaela Lupu Propriet ......

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Il contenuto di articoli, servizi foto e loghi nonché quello voluto da chi vi compare rispecchia esclusivamente il pensierodegli artefici e non vincola mai in nessun modo Ecclesìa in Cammino, la direzione e la redazione.Queste, insieme alla proprietà, si riservano inoltre il pieno ed esclusivo diritto di pubblicazione, modifica e stampa a propria insindacabile discrezione senza alcun preavviso o autorizzazioni. Articoli, fotografie ed altro materiale, anche se non pubblicati, non si restituiscono. E’ vietata ogni tipo di riproduzione di testi, fotografie, disegni, marchi, ecc. senza esplicita autorizzazione del direttore.

Ecclesia in camminoBollettino Ufficiale per gli atti di Curia

Mensile a carattere divulgativo e ufficiale per gli attidella Curia e pastorale per la vita della

Diocesi di Velletri-Segni

Direttore ResponsabileMons. Angelo Mancini

CollaboratoriStanislao FioramontiTonino Parmeggiani

Mihaela Lupu

ProprietàDiocesi di Velletri-Segni

Registrazione del Tribunale di Velletri n. 9/2004 del 23.04.2004

Stampa: Quadrifoglio S.r.l.Albano Laziale (RM)

RedazioneCorso della Repubblica 34300049 VELLETRI RM06.9630051 fax 96100596 [email protected]

A questo numero hanno collaborato inoltre: S.E. mons. Vincenzo Apicella, card. Francis Arinze, donAntonio Galati, don Carlo Fatuzzo, don Andrea Pacchiarotti,mons. Franco Fagiolo, Sara Gilotta, MassimilianoPostorino, Antonio Bennato, Giovanni Zicarelli, Mara DellaVecchia, Luigi Musacchio, Sergio Ventura, A. C. giovaniS. Barbara in Colleferro, parr. S. Bruno in Colleferro, VincenzaCalenne, Mara Della Vecchia.

Consultabile online in formato pdf sul sito:www.diocesivelletrisegni.it

DISTRIBUZIONE GRATUITA

In copertina:

Adorazione dei pastori,

Fra Juan Bautista Maino, 1611-13,Museo del Prado, Madrid

- Cristo nasce a Betlemme, in un luogo preciso e in un momento determinato della storia, ma Egli è, allo stesso tempo, il Figlio eterno del Padre, che accetta di assumere tutta la nostra umanità,

+ Vincenzo Apicella p. 3

- Con la guerra si perde tutto,Stanislao Fioramonti p. 4

- Dal Beccaria al Sinodo sui giovani,Sergio Ventura p. 5

- Testamento biologico o testamento di pietà, Massimiliano Postorino p. 7

- “Generare Dio”, Sara Gilotta p. 8

- Il Bambino che tace,Antonio Bennato p. 9

- La Bibbia nella nostra vita,card. Francis Arinze p. 10

- Ispirazione e verità della Sacra Scrittura,don Carlo Fatuzzo p. 12

- Calendario dei Santi d’Europa / 11:S. Thorlak (Torlaco) Thorhalsson,

Stanislao Fioramonti p. 13

- Annuncio dell’elezione di Mons. Leonardo D’Ascenzo ad Arcivescovo di Trani-Barletta-Bisceglie,

Giovanni Zicarelli p. 15- Il Collegio Consultori dell’Arcidiocesi diTrani-Barletta-Bisceglie incontra l’Arcivescovo eletto p. 16

- Lo stemma e il motto episcopale di Mons. Leonardo D’Ascenzo p. 17

- Il ricordo e il saluto dell’A. C. all’Assistente Diocesano don Leonardo D’Ascenzo,

parr. S. Barbara e S. Bruno in Colleferro p. 17

- Oltre l’invisibilità: dieci anni di casa Nazareth,Sara Bianchini p. 18

- Veglia di Natale. “Ti vengo a cercare”.Preghiera vigiliare all’inizio della Messa nella“notte santa” di Natale,

don Andrea Pacchiarotti p. 19

- Un viaggio missionario in Cina, negli anni 1743-49 / 14,

Tonino Parmeggiani p. 23

- La Chiamata Universale alla Santità. Omelia nella messa solenne nella Festa di san Clemente, Velletri

card. Francis Arinze p. 26- Il rinnovamento dell’iniziazione cristiana nella nostra Chiesa locale / 4,

don Antonio Galati p. 28- Cattedrale di San Clemente, 26 novembre: Andrea Orsini, Massimo Tartaglia e Giuseppe Baroni ordinati Diaconi permanenti,

a cura della redazione p. 29- Segni - Concattedrale S. Maria Assunta: Settenario della Madonna Addolorata,

mons. Franco Fagiolo p. 30- Apertura ufficiale del Processo di inchiesta diocesana sulla vita. Virtù e fama di santità della Serva di Dio Suor Maria Lilia di Gesù Crocifisso, Stanislao Fioramonti p. 31

- Il Sacro intorno a noi / 42: A Rendinara di Morino (AQ) per S. Ermete eremita ed esorcista,

Stanislao Fioramonti p. 32- Tutti a “Natale a Zuccheropoli” per sostenere gli abitanti di Amatrice,

a cura della redazione p. 34- Presentazione del libro di L. Lepore “Sulle orme dei patriarchi”,

don Antonio Galati p. 35- Natale 2017,Vincenza Calenne p. 35- Colleferro: Presentazione di due opere di padre Gianfranco Grieco,

Giovanni Zicarelli p. 36- Olivier Messiaen: Vingt Regards sur l’Enfant-Jèsus,

Mara Della Vecchia p. 37- Il Natale di Rouault,

Luigi Musacchio p. 39

p. 38

33DicembreDicembre20172017

� Vincenzo Apicella, vescovo

NNei giorni scorsi in una lettura della Liturgia delle ore ci è stata pro-posta una pagina di San Giovanni Eudes, un santo francese vis-

suto nel 1600, interamente dedito all’annuncio dell’Evangelo, alla cari-tà ed alla formazione dei sacerdoti. Con poche felici parole egli descri-ve la vita del cristiano e ne fornisce una illuminante chiave di lettura:“Noi dobbiamo sviluppare continuamente in noi e, in fine, completaregli stati ed i misteri di Gesù. Dobbiamo poi pregarlo che li porti lui stes-so a compimento in noi ed in tutta la sua Chiesa”.Più oltre egli spiega: “Il Figlio di Dio desidera una certa partecipazionee come un’estensione e continuazione in noi ed in tutta la sua Chiesadel mistero della sua incarnazione, della sua nascita, della sua infan-zia, della sua vita nascosta. Lo fa prendendo forma in noi, nascendonelle nostre anime per mezzo dei santi sacramenti del battesimo e del-la divina eucarestia. Lo compie facendoci vivere di una vita spiritualeed interiore che sia nascosta con lui in Dio”.Viene offerto qui uno spunto importante per comprender e vivere seria-mente il mistero del Natale che ci prepariamo a celebrare e, insieme,un ulteriore motivo per dedicare la nostra attenzione al tema che ci sia-mo proposti di approfondire quest’anno in diocesi: quello dell’Iniziazionecristiana. Cristo nasce a Betlemme, in un luogo preciso e in un momen-to determinato della storia, ma Egli è, allo stesso tempo, il Figlio eter-no del Padre, che accetta di assumere tutta la nostra umanità, di nasce-re uomo per essere presente nella nascita di ogni essere umano e que-sto si realizza sia sul piano della natura, sia su quello della grazia, siafisicamente che spiritualmente. Forse in nessun’altra occasione possiamosperimentare la presenza ineffabile di Dio come quando contempliamocon stupore un fragile e innocente neonato.In quel momento dinanzi ai nostri occhi si concretizza il mistero inson-dabile della vita, questo miracolo continuo che ci porta il sorriso di Dio,che ci apre al futuro e ci rimanda ad una realtà che ci trascende, chenon può essere semplicemente un prodotto nostro, ma un dono imme-ritato, scaturito da una sorgente nascosta.Per questo Gesù potrà dire: “Chi accoglie anche uno di questi bambi-ni in nome mio, accoglie me” (Mt.18,5) e, poco più avanti: “Guardatevidal disprezzare uno solo di questi piccoli, perché vi dico che i loro ange-li nel cielo vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli” (Mt.18,10).Gli occhi del bambino vedono ciò che noi non possiamo più vedere, per-ché tanti diaframmi si sono ormai interposti tra noi e Colui che abita neicieli, cioè nella profondità del nostro essere, se qualcuno non guariscela nostra cecità. Si comprende, quindi, quell’altra frase misteriosa di Gesù:“In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bam-bini, non entrerete nel regno dei cieli” (Mt.18,3). Si potrebbe dire che il bambino ci viene donato come un sacramento,un segno efficace della presenza di Dio in mezzo a noi, un Dio che nonsi stanca di amarci e ci chiede amore, che solo possiede la vita e lamette nelle nostre mani. Ecco perché la nascita di un bambino è un momen-to privilegiato di grazia per riprendere un cammino che forse si era inter-rotto o procedeva a tentoni e stancamente tra tante distrazioni e ingan-nevoli miraggi. Ma l’umanità che Cristo ha assunto ha bisogno di cre-scere nella libertà, per rispondere con l’amore all’amore che l’ha gene-rata, per essere liberata dalla morte, con cui il peccato ha infettato lanostra natura e che solo la morte e resurrezione di Cristo può vinceree annientare.Il dono del battesimo, allora, pone in noi quel piccolo seme del Regnoche deve crescere e portare frutto: Cristo nasce in noi e, come dicevaSan Giovanni Eudes, estende anche a noi e continua in noi la sua nasci-ta, la sua infanzia, la sua crescita in sapienza età e grazia, la sua vitanascosta, la sua obbedienza al Padre, il suo servizio ai fratelli, fino a“rendere perfetti in noi i misteri della sua passione, della sua morte edella sua resurrezione”. Il Natale di Cristo in noi è sempre il Natale diCristo Crocefisso e Risorto, che il battesimo opera in potenza e inizial-

mente, ma che apre a un orizzonte illimitato, a un cammino impegna-tivo ma carico di promesse e che ha bisogno di essere accompagna-to, sostenuto e guidato. E’ qui che appare il ruolo fondamentale e inso-stituibile della Chiesa e, in modo ancora più specifico, di quella chiesadomestica che è la famiglia, che però non può svolgere il suo ruolo serimane isolata e abbandonata a se stessa. L’itinerario dell’Iniziazione cristiana ha proprio il compito di creare l’am-biente vitale in cui questo possa avvenire. “San Paolo dice che il Cristocresce e giunge alla sua maturità nella Chiesa e che noi contribuiamoa questo processo di sviluppo. Noi effettivamente cooperiamo a crea-re l’uomo perfetto e a portare a piena maturità il Cristo (cf. Ef.4,13)” (S.Giovanni Eudes). Tutto questo trova il suo completamento se si tienepresente l’altra prospettiva complementare: nel Battesimo Cristo ci par-tecipa il suo Natale, ma nel Natale noi celebriamo anche il nostro nata-le in Lui: “Mentre adoriamo la nascita del nostro Salvatore, ci ritrovia-mo a celebrare la nostra stessa generazione. La generazione di Cristoè l’origine del popolo cristiano: il natale del capo è anche il natale delcorpo…Tutta la comunità, tutti i fedeli, nati dal fonte battesimale, sonostati generati insieme con Cristo in questa natività, come insieme conlui sono stati crocefissi nella passione, sono resuscitati nella resurre-zione e sono stati collocati alla destra del Padre nell’ascensione”. (S.Leone Magno, Serm.XXVI,2).Il Natale ed il sacramento del battesimo si richiamano, dunque, reciprocamentee sembra opportuno concludere con le parole dello stesso S. Leone Magno:“Ora che abbiamo ottenuto la partecipazione alla generazione di Cristo,rinunciamo alle opere della carne. Riconosci, o cristiano, la tua digni-tà…Ricorda di quale capo e di quale corpo sei membro. Ripensa che,liberato dalla potestà delle tenebre, sei stato trasportato nella luce e nelRegno di Dio. Per il sacramento del battesimo sei diventato tempio del-lo Spirito Santo: non scacciare da te un sì nobile ospite… perché ti giu-dicherà secondo verità chi ti ha redento nella misericordia, egli che vive

e regna con il Padre e loSpirito Santo nei seco-li dei secoli. Amen”.(Serm.XXI,3).

BUON NATALE!

Adorazione dei pastori, sec. XVII, attr. Zampieri Domenico, Dulwich

44 DicembreDicembre20172017

sintesi a cura di Stanislao Fioramonti

Giovedì 2 novembre 2017, nel giorno che la Chiesa dedica al ricordo dei defunti, Papa Francesco si è recato in visita al

sacrario delle Fosse Ardeatine di Roma e al Cimitero Americano di Nettuno, dove ha celebrato una messa per i

caduti di tutte le guerre. Nell’omelia ha avuto occasione di

ribadire - oggi che il mondo un’altra volta è in guerra e si prepara per andare più

fortemente in guerra - la posizione dellaChiesa sull’argomento, ripetendo i concetti

già manifestati dai suoi predecessoriBenedetto XV - che il 1° agosto 1917,

in una lettera ai capi dei popoli belligeranti,definì la guerra che si combatteva in Europa

una “inutile strage” - e Paolo VI che il 4 ottobre 1965 a New York nel suo discorso

all’ONU lanciò il grido “Jamais plus la guerre”, “Mai più la guerra”. Riportiamo l’omelia del papa.

“Tutti noi, oggi, siamo qui radunati in speranza.Ognuno di noi, nel proprio cuore, può ripeterele parole di Giobbe che abbiamo sentito nellaprima Lettura: “Io so che il mio Redentore è vivoe che ultimo si ergerà sulla polvere”. La spe-ranza di rincontrare Dio, di rincontrarci tutti noi,come fratelli: e questa speranza non delude. Paoloè stato forte in quella espressione della secon-da Lettura: “La speranza non delude”.Ma la speranza tante volte nasce e mette le sueradici in tante piaghe umane, in tanti dolori uma-ni e quel momento di dolore, di piaga, di soffe-renza ci fa guardare il Cielo e dire: “Io credo cheil mio Redentore è vivo. Ma fermati, Signore”.

E questa è la preghiera che forse esce da tut-ti noi, quando guardiamo questo cimitero.“Sono sicuro, Signore, che questi nostri fratel-li sono con te. Sono sicuro”, noi diciamo que-sto. “Ma, per favore, Signore, fermati. Non più.Non più la guerra. Non più questa strage inuti-le”, come aveva detto Benedetto XV. Meglio spe-rare senza questa distruzione: giovani …migliaia, migliaia, migliaia, migliaia … speran-ze rotte. “Non più, Signore”. E questo dobbia-mo dirlo oggi, che preghiamo per tutti i defun-ti, ma in questo luogo preghiamo in modo spe-ciale per questi ragazzi; oggi che il mondo un’al-tra volta è in guerra e si prepara per andare piùfortemente in guerra. “Non più, Signore. Non più”.Con la guerra si perde tutto.Mi viene alla mente quell’anziana che guardando

le rovine di Hiroshima,con rassegnazione sapien-ziale ma molto dolore, conquella rassegnazionelamentosa che sanno vive-re le donne, perché è illoro carisma, diceva:“Gli uomini fanno di tut-to per dichiarare e fareuna guerra, e alla finedistruggono se stessi”.Questa è la guerra: ladistruzione di noi stes-si. Sicuramente quella don-na, quell’anziana, lì ave-va perso dei figli e deinipotini; le erano rima-ste solo la piaga nel cuo-re e le lacrime. E se oggi è un giorno disperanza, oggi è ancheun giorno di lacrime.Lacrime come quelleche sentivano e facevanole donne quando arrivavala posta: “Lei, signora, hal’onore che suo marito èstato un eroe dellaPatria; che i suoi figli sono

eroi della Patria”. Sono lacrime che oggi l’umanitànon deve dimenticare. Questo orgoglio di que-sta umanità che non ha imparato la lezione esembra che non voglia impararla!Quando tante volte nella storia gli uomini pen-sano di fare una guerra, sono convinti di por-tare un mondo nuovo, sono convinti di fare una“primavera”. E finisce in un inverno, brutto, cru-dele, con il regno del terrore e la morte. Oggi preghiamo per tutti i defunti, tutti, ma inmodo speciale per questi giovani, in un momen-to in cui tanti muoiono nelle battaglie di ogni gior-no di questa guerra a pezzetti.Preghiamo anche per i morti di oggi, i morti di

guerra, anche bambini, innocenti. Questo è il frut-to della guerra: la morte. E che il Signore ci diala grazia di piangere”.

55DicembreDicembre20172017

Sergio Ventura*

DDall’11 al 15 settembre si è svolto a Roma, in preparazio-ne al Sinodo dei Vescovi del 2018, il Seminario interna-zionale sulla condizione giovanile, organizzato dalla

Segreteria Generale del Sinodo stesso. Esperti e giovani dei cin-que continenti si sono confrontati, dai rispettivi punti di vista disci-plinari e culturali, sulle tematiche dell’identità e dell’alterità, della pro-gettualità e della tecnologia, infine della trascendenza. Ho avuto l’o-nore di partecipare e di far risuonare le voci dei giovani che stiamoascoltando nel nostro percorso di avvicinamento al Sinodo. Ma soprat-tutto ho sperimentato ancora una volta quanto è piacevole potersiconfrontare in profondità con persone così diverse per età e con-testi di provenienza.Di un incontro, però, vorrei farmi mediatore oggi con i lettori di VinoNuovo. Quello con D., cresciuto tra le vie difficili di Quarto Oggiaro,quartiere milanese dalle aspirazioni ed aspettative quasi segnate,con modelli di felicità e percorsi di vita quasi obbligati:

“Sono cresciuto immerso in una cultura materiale assordante: sol-di, successo, immagine, potere. Non avevo altre prospettive. Persentirmi all’altezza della situazione, fin da giovanissimo ho comin-ciato a fare reati. Inizialmente, piccoli furti nel mio quartiere. Versoi 17 anni sono arrivato a commettere rapine in banca, finché sonostato arrestato e ho compiuto i miei 18 anni in una cella del carce-re minorile Beccaria di Milano.

Con l’arresto pensavo di avere raggiunto una certa notorietà nel quar-tiere: tutti avrebbero parlato di me, immaginavo...” .Ma, ad ulteriore conferma che le sanzioni punitive - da sole - nonrieducano nessuno, che il giudizio veritativo sui nostri comportamenti- da solo - non conduce verso nessuna luce, ecco il racconto deiprimi anni in carcere: “Dentro il carcere misi in atto il mio copione predefinito: rifiuto del-l’autorità, insofferenza per le regole e verso ragazzi di altre etnie.Ricordo i primi giorni in cella con altri due ragazzi rom: un vero incu-bo! Non riuscivo ad accettare di dover condividere la cella con loro.Per cattiva condotta, ho preso in carcere diversi rapporti disciplinari.Come se non bastasse, sono stato trasferito, sempre per questio-ni disciplinari, in altri tre carceri minorili italiani. Ero ingestibile e vio-lento, incattivito da un ambiente carcerario che percepivo solo comeluogo punitivo”.Fortunatamente, viviamo in un’epoca in cui si è ottenuto che le strut-ture carcerarie prevedano la presenza di percorsi in cui la personadel prigioniero possa ricostruire il senso della propria presenza nelmondo, nell’incontro e confronto con le persone che li portano avan-ti impegnando tutto di se stesse:“Al Beccaria, fin dai primi giorni, conobbi don Claudio, uno dei duecappellani. Con lui riuscivo a parlare e a farmi ascoltare. Non eroabituato a fidarmi degli adulti, se non quelli del mio quartiere. Condon Claudio era diverso. E’ per questo che, dopo un anno di car-cere, chiesi al giudice la possibilità di andare a vivere nella sua comu-nità di accoglienza. Ma per il giudice di sorveglianza non ero anco-ra pronto: ne avevo combinate troppe! Passarono altri due anni in carcere, finché il magistrato acconsen-tì. Finalmente entrai nella comunità Kayros di don Claudio”.

continua nella pag. 6

66 DicembreDicembre20172017

Qui - devo riconoscerlo - mi sono sentito toccato, non solo perchéun filo rosso si è ancora una volta riannodato, ma soprattutto per-ché nelle successive parole di D. ho ascoltato una delle migliori ese-gesi esistenziali di quanto va ripetendo Papa Francesco sul rap-porto corretto tra morale e misericordia, tra legge e grazia (EG, 34-39):“In passato, avevo già sperimentato alcune comunità da dove miero allontanato dopo poche ore. In ognuna di esse, l’approccio erasempre lo stesso: prima ancora di conoscere il mio nome, il respon-sabile mi leggeva un interminabile elenco di regole che avrei dovu-to sottoscrivere e poi seguire. Nella comunità Kayros di don Claudioera tutto diverso: mi sentii da subito a casa, accolto con simpatiae fiducia. Non che non ci fossero regole, ma la mia libertà era pre-sa sul serio. Ero chiamato a decidere io, ero messo di fronte allemie scelte con responsabilità.Oggi, comprendo che don Claudio è stato con me molto “furbo”.Non mi imponeva nulla. Come quella volta che volendo stare fuo-ri casa oltre l’orario consentito dal giudice, gli telefonai per strap-pare un sì o per sentirmi dire un prevedibile no. La risposta di don Claudio fu: “Sei grande, decidi tu con la tua testa.Tu conosci la risposta, non te la devo dare io. So che saprai sce-gliere bene!”. Fu questo uno degli episodi che diede inizio al miocambiamento. C’era qualcuno che credeva in me e nella mia capa-cità positiva di scelta e mi chiamava ad assumermi con coscienzale mie responsabilità. Feci due anni nella comunità Kayros”.Papa Francesco, però, lega l’anzidetta gerarchia all’attenzione ver-so la gradualità dei processi, essendo la vita - come l’incipit dellaDivina Commedia - fatta di boscaglie e radure, salite affrettate eterribili capitomboli: “Finita di scontare la mia pena giuridica, tornai a casa, a QuartoOggiaro. Mi sentivo pronto, già cambiato. Durai solo sei mesi. Perun altro reato, questa volta si aprirono le porte di San Vittore, il car-cere degli adulti di Milano. Sei mesi durissimi, dove ho davvero toc-cato il fondo”.E’ per questo che i punti di riferimento posti sulla nostra (cattiva)strada, per (ri)attivare desideri sopiti o evocarne di sconosciuti, devo-no essere molteplici:“Nel momento più duro del carcere, un incon-tro mi ha aiutato ad affrontare la sfida. Una anziana volontaria diSan Vittore mi mise nel cuore il desiderio di riprendere gli studi. Terminatii sei mesi chiesi a don Claudio di poter ritornare nella sua comu-nità. Non ero obbligato dalla legge, ma sentivo che avevo bisognodi un nuovo periodo di riflessione e di crescita. Don Claudio accet-tò e, dopo due anni, eccomi qui...”.Come spesso avviene, solo in seguito ad un cambiamento interiorediventa possibile vivere una vita nuova, aderire a nuovi valori, com-piere nuove scelte di vita:“Sono stati due anni incredibili, dove ho scoperto con stupore unaltro me. Oggi vivo in comunità con un senegalese, un marocchi-no e un russo. Non mi faccio più problemi come un tempo; anzi,imparo molto nel condividere la vita con giovani di culture e reli-gioni diverse da me. Sono tornato a scuola. Ho cambiato percorso di studio, concludendo con la maturità la scuo-la superiore che avevo interrotto con l’arresto cinque anni prima,e ora sto sostenendo gli esami del primo anno di Scienze della for-mazione alla Cattolica”.

All’interno di questo percorso decisamente molto umano, anche lavita di fede - con la celebrazione della Cresima - ha ricevuto nuo-va linfa, ma è ancor più interessante il modo in cui ne parla D., lemodalità di evangelizzazione che sono state per lui, lontano e indif-ferente, decisive:“Sono nate in me delle domande di fede. Ho cominciato a porremolte di queste domande a don Claudio e ho cominciato a cono-scerlo in maniera nuova. In carcere, don Claudio non mi aveva maiparlato di Dio, anche perché a me non interessavano certi discor-si. Oggi comprendo che per educare i giovani alla fede occorre innan-zitutto permettere a loro di ritrovare le domande perdute”. A questo punto, quasi alla fine, possono fare la loro apparizione laBibbia e la Chiesa (con la sua Etica), forse perciò ancora più apprez-zate:“In questo periodo sto preparando l’esame di Teologia all’Universitàsul Vangelo di Marco. È incredibile! Sembra che questo testo scrit-to secoli fa parli a me, alla mia vita. Ogni persona incontrata da Gesùsembra che racchiuda un pezzo della mia storia. Il passo del Vangeloche più mi colpisce di questi tempi è quello di Marco 8,36: “A cheserve all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la propriaanima”. E’ nata in me la curiosità e ho iniziato a conoscere di più il mondodella Chiesa. Spesso don Claudio mi porta a incontrare altri gio-vani nelle parrocchie e mi sono detto: - Tra le tante persone checonosco i cristiani sono indubbiamente le persone più felici e piùvere -. Non posso ancora dirmi un credente vero e proprio, peròavverto sempre di più la bellezza del Cristianesimo, perché esigente,perché interroga seriamente la mia libertà e non mi propone faciliscorciatoie per la felicità. Nell’ambito dei rapporti affettivi, per esempio, la proposta cristianami affascina, anche se forse non sono in grado ancora di viverlain pienezza. Molti giovani abituati come me a vivere l’amore comepossesso e nella logica utilitaristica dell’amore usa e getta, messidi fronte all’amore per sempre tremano non poco. Eppure, capiscoche solo un amore che è dono può durare tutta la vita”.Il messaggio di D. ai vescovi che saranno presenti al Sinodo? E’ quello, ricorrente nei giovani, di vedersi riconosciuto uno spaziovitale:“Chiedo alla Chiesa e a questo Sinodo di non dimenticarsi di noi,di quei giovani che per un misterioso disegno della vita hanno cono-sciuto l’abbandono, il carcere e la solitudine. Noi, proprio per i nostri sbagli, per tutte le sofferenze provate e perl’esperienza di cambiamento che stiamo vivendo possiamo esse-re un dono anche per altri giovani. Non è possibile alcun discerni-mento se stai sempre con chi ti assomiglia. Nel mio quartiere era-vamo tutti uguali, ripetevamo modelli di comportamento consueti. Oggi capisco che solo il confronto col diverso da me, mi aiuta aconoscermi meglio e incoraggia scelte autentiche fuori e dentro laChiesa. Chiedo, inoltre, di farci incontrare un Vangelo vivo che siesprima attraverso il volto di persone vere e felici - come è suc-cesso a me in questi anni. Attraverso la loro testimonianza quoti-diana, mi hanno affascinato e attratto al Bene. E il Bene fatto in silenzio, fa molto più rumore!”

*da Vino Nuovo, 02 ottobre 2017

segue da pag. 5

77DicembreDicembre20172017

prof. Massimiliano Postorino*

BBip, bip,tuuu…. Forse non abbiamo mairiflettuto abbastanza su questo suonoonomatopeico emesso da un freddo e

impietoso monitor, ma esso rappresenta per tut-ti l’ultima nota che ascolteremo nella nostra vitaterrena. In questa società tecnologica, anche lamorte ha perso la dignità di essere accertata econstatata dalle mani pietose di un medico, maè sancita, invece, da una macchina, che deci-de quando non è più vita. Quando ero un giovane medico le nostre mani,i nostri sensi, con fare umano e rispettoso del-la morte e del dolore, rappresentavano l’unicostrumento così pietoso e caritatevole perdichiarare la fine di un’esistenza. Quel contat-to breve come un saluto, rendeva più accetta-bile persino il tremendo istante della fine. Oggi la nostra epoca moderna, fatta di criteri asso-luti e imprescindibili, ciechi e sillogistici, impo-ne persino i requisiti minimi per stabilire ciò cheè vita o vita degna di essere vissuta. Con leg-gi aride, frutto di vili compromessi tra coscien-za e diritto, si cerca di decidere quando è ora,per ognuno di noi, di ascoltare il cessare del-l’ultimo bip. Così nasce la domanda, quando lavita di un paziente terminale non è più vita? Quando l’esistenza di uno stato vegetativo nonè più esistenza? Questi interrogativi, antichi quan-to l’uomo, non hanno risposta reale, perchè nonesiste una veritiera definizione di cosa signifi-chi universalmente vita. Nella mia esperienza di medico, ho vistopazienti terminali vivere intensamente ogni istan-te che gli era concesso e famiglie di malati instato vegetativo, organizzare intorno a loro e perloro, un mondo di affetti, che rendeva miraco-

lo ogni attimo, ogni alito o movimento dei lorocari. Ho visto lacrime di commozione dagli occhichiusi di tetraplegici mentre li accarezzavo; hosentito i brividi nelle fredde mani che stringe-vo. Non è forse anche questa vita? L’uomo moderno ha paura della morte perchènon ha ancora compreso che cosa sia la vita esi limita a definirla come una serie di attività indi-viduali che esprimono il suo egocentrismo e lasua autodeterminazione, senza comprendere chela sua stessa esistenza fa parte di un divenireuniversale, in cui, suo malgrado, è solo una pic-cola parentesi. Se per morte intendiamo la finedella vita e dunque non diamo alcun significa-to trascendentale ad essa, allora dobbiamo defi-nire prima cosa sia la vita. Cartesio diceva “cogito ergo sum”, “penso quin-di esisto”. Personalmente, dopo anni di lotta tra-scorsi giornalmente in prima linea, io credo fer-mamente che vivere significa provare o produrreamore intorno a noi. Solo se riusciamo e sen-tire e a generare amore nella nostra vita alloraavremo vissuto fino all’ultimo istante. Si ama per vivere, per sentirsi vivi e per sen-tirsi parte di un universo di cose e di persone;si vive per amare, stimolare e seminare amo-re, così che non saremo vissuti invano. Se dun-que la vita fosse solo un’esistenza emoziona-le, allora mi arrenderei al fatto che la vita vege-tativa o terminale forse non è più vita; ma seconsidero la vita propria come un seme per gene-rare amore nei cuori e negli occhi di chi è accan-to, allora sarà vita in ogni modo, anche nella sof-ferenza e nel silenzio, perchè fino all’ultimo istan-te avremo prodotto amore in chi ci assiste. Negli ultimi mesi, a livello di proposta di legge,si è ampiamente discusso sull’eticità e sulla eti-cità del testamento biologico. Con questodocumento ogni cittadino potrà dichiarare che,

in condizione di vita vegetativa o terminale, nes-sun atto medico potrà essere compiuto su di luise non con l’assoluta certezza che questo miglio-ri sensibilmente e stabilmente il suo stato. In ter-mini semplici, qualora un medico non possa farritornare un paziente ad una qualità di vita otti-male, dovrà astenersi dal mantenerlo in vita conle cure. Come medico e come uomo, mi chiedo chi pos-sa mai giudicare con assoluta certezza il pun-to del non ritorno. Come può un medico aste-nersi dal donare vita, quando è nelle sue capa-cità e possibilità, purchè non recando dolore oaccanimento sul paziente? Sarebbe come chiedere ad un padre di non com-piere tutto ciò che è nelle sue possibilità per ama-re suo figlio e perchè il figlio possa generare amo-re nel suo prossimo. Personalmente credo che un testamento bio-logico redatto in corso di una vita normale e tran-quilla, non sia applicabile nel momento in cuiquello status quo cambia, cioè nel momento del-la lotta contro la morte e contro il dolore, chetrascende la logica e rende penosa e ridicolaogni legge che regoli vita e morte. L’arbitro dei nostri comportamenti, non sarà ilcodice, ma la pietà medica, cioè il sentimentodi colui che ha speso e spende la propria esi-stenza per salvare vite, per alleviare il dolore ecustodire i propri pazienti, fino alla fine dei lorogiorni. L’unico giudice sarà dunque la coscien-za di chi lotta e si consuma per la vita, quellacapace in ogni condizione, fino alla fine, di sen-tire e generare ancora amore.

*Cattedra di Malattie del Sangue Università degli studi di Tor Vergata, Roma

88 DicembreDicembre20172017

Sara Gilotta

IIl filosofo MassimoCacciari ha pubblicatoun libricino dal titolo

“Generare Dio” nel quale inda-ga la figura e la storia di Maria,madre di Gesù, il figlio di Dio,prendendo le mosse dalVangelo di Matteo, in cui com-pare per la prima volta il nomedi Maria, dalla quale “natusest Iesus, qui vocaturCheristus”. Altre donne sono citate nelVangelo, ma a nessuna diesse, né a Rachele, né aRebecca, né a Sara, né adaltre è concesso l’appella-tivo di madre di Israele. Perché è Maria che acco-gliendo nella sua casa diNazareth l’arcangelo Gabrielecambia il corso della storiae della salvezza. Come si sal’angelo saluta Maria, una fan-ciulla nata in una zonaabbastanza periferica comeNazareth, definendola ”pie-na di grazia”, un’espressio-ne bellissima e misteriosa,su cui subito la giovane siinterroga, per cercare di com-prenderne il significato, che,per lei che non conosce uomo,appare ancora più denso dipericolo e capace di susci-tare una vera e propria pau-ra. Ma se Cacciari ricorre ad alcuni celebri dipin-ti per illustrare meglio il mistero dell’Annunciazione,è vero, peraltro che è Dante nel Paradiso checi ha lasciato l’immagine perfetta di Maria in tut-ta la sua grandezza. Così già nel XVI canto, par-lando con il trisavolo Cacciaguida, il poeta, comedel resto accadeva a Firenze, dice :”da quel dìche fu detto “ave”, per riferirsi al fatto per cuiFirenze computava gli anni, iniziando dall’incarnazione,ritenendo, dunque che fu l’obbedienza di Mariaa cambiare il concetto stesso di tempo ben pri-ma della nascita di Gesù. E, certo Dante con i suoi concittadini ben ave-va capito che in Maria l’ obbedienza non erastata quella di una “serva“ fedele, ma di unavera donna che, dopo aver compreso il mes-saggio, portatole dall’angelo, accetta fino in fon-

do il suo destino, come farà il Figlio che saliràsulla croce liberamente. Dunque la storia del Cristianesimo inizia, affi-dandosi ad una semplice fanciulla, che, accet-tando la parola di Dio, ne diviene collaboratri-ce. Ed ancora nel canto XXXII, quello famosoper la candida rosa , Dante ci mostra come lostesso arcangelo Gabriele mostri nei confrontidi Maria un vero e proprio innamoramento e aguardarla da lassù la madre di Dio appare immer-sa in un tripudio perfetto di cori angelici, che can-tano “Ave Maria”. E’ poi San Bernardo, lo stesso che pronunce-rà la preghiera alla Vergine nel canto XXXIII chespiega come sia proprio colui che annunciò aMaria, a ripetere il rituale dell’annuncio in unacontinua situazione di festa, che altro non è se

non la manifestazio-ne di quanto tutto ilParadiso consideriMaria “vera stella mat-tutina” che generò il soledi Cristo. Così nel can-to ultimo del ParadisoSan Bernardo in set-te terzine, ispirando-si alle scritture, can-ta le lodi alla Vergineche mai poesia uma-na espresse in versipiù alti. La lode, tuttavia, divie-ne supplica che ilSanto rivolge allaVergine per ottenereche colui che eragiunto fin lì “dall’infi-ma lacuna dell’universo”possa avere la graziadi contemplare il miste-ro mistico della Trinitàche compie l’itinera-rio metafisico del poe-ta. E per tutti i Cristianil’intercessione di Mariaè e sempre rimarràmezzo privilegiato perrivolgersi a Dio, per-ché è solo la Vergineche può renderci piùcapaci di rivolgere lenostre preghiere alCreatore che con-cesse all’umanità SuoFiglio generato dauna fanciulla e che,appunto, non si limi-

tò ad ubbidire, ma volle e seppe far sua la volon-tà divina, per testimoniarla dalla nascita di Betlemmefino alla morte in Croce di suo figlio. Un altro grande santo Alberto Magno così cele-brò Maria:” Salve aurora che sorge, per cui èiniziata la prima ora dello splendore tearchico.Prega il sole da te nato, irroraci con la rugiadadella luce, stilla di rugiada divina”. Perché Maria, e solo lei, è la stilla di rugiadache ha permesso a Dio di far scendere la suamisericordia e la sua grazia sugli uomini, doniche resteranno con noi fino al giorno della reden-zione perfetta.

Nell’immagine del titolo: Annunciazione,

Orazio Gentileschi, 1623, Torino

99DicembreDicembre20172017

Antonio Bennato

FForse ancora quest’anno mi racconteròfrottole? Ecco, mancano due mesi, e lapubblicità già m’avvisa che sta per arri-

vare il compleanno del Bambino. Poi, super-mercati e vetrine. Quand’è sera mi faccio quat-tro passi, e con qualche nostalgia mi fermo davan-ti alle vetrine pensando ai regali che avrei volu-to ricevere da ragazzo e non ho mai ricevuto.Non ne vedo uno che io avrei voluto ricevereda bambino. Fra tanta neve d’ovatta e fra tan-te luci intermittenti, vedo regali costosi – chefurbi, i produttori! – regali che in futuro sono sem-pre da aggiornare, o da ricomprare, data la lorofragilità. Quelli che avrei voluto io sarebbero costati trop-po poco e sarebbero durati più a lungo. Camminoe passo alle vetrine più avanti: ah, finalmenteuna mangiatoia, ma sopra c’è un babbo nata-le di zucchero. Altri dolci stanno lì a titillarmi lagola, ma dico a me stesso che è meglio evi-tare lo zucchero. Cerco una vetrina con le sta-tuine del presepe. Ne trovo una e penso d’a-verla trovata per caso. Senza dubbio alcune sta-tuine sono belle davvero. Mentre le guardo, pen-so che in casa già c’è un abete con le luci acce-se. Niente presepe. La neve, l’abete, le luci, idolci, i regali… ma che cosa mi si vuole nascon-dere? Comincio a pensare che sia il compleannodei commercianti. Se venderanno bene, il Nataleè stato un buon Natale. E lo diranno con chia-ra soddisfazione al giornalista che li intervisterà. L’anno scorso, a Natale mi sono sbafato e, dopoCapodanno, mi sono ritrovato un po’ più ingras-sato. Per Capodanno sono andato in un risto-rante che aveva organizzato il veglione fra gen-te occasionalmente amica e disposta ad augu-rare a tutti benessere e felicità. Ora, midomando a che cosa sono serviti tutti quegli augu-ri di cui sembrava non si potesse fare a meno.A nulla! Dunque, c’è stato qualcosa che mi èsfuggito. Se no, adesso che è di nuovoNatale, perché tanta solitudine? Oh, ma que-st’anno!… Cosa? Che cosa?Quest’anno mi ricorderò che c’è una grot-ta a Betlemme, una grotta che nei seco-li s’è fatta presente ovunque, anchequi in questo mio paese, e so beneche si tratta di una grotta sen-za porte. Se vedessi che neha una, esiterei; e forse andreiavanti. Ma, per fortuna, èuna grotta che non ha por-te. Quest’anno mi mette-rò in cammino e piano pia-no vi entrerò per vedere ilBambino che tace, il

Bambino che per molti e molti è una meravi-glia di Dio, il Bambino venuto per raccontareciò che io neppure avevo chiesto di racconta-re. Davanti al Bambino sulla mangiatoia ascolte-rò il suo racconto, lo ascolterò come quandouno riceve un dono. E dono lo è davvero giac-ché racconta dell’uomo che è tanto amato daun Padre e da lui, che gli è Figlio, capace dilasciare il regno del Padre per cercare me, Minore,così mi chiamo io, Minore, per cercare quest’uomocapotico, smarrito nei porcili del mondo, ma suoagnello, sua dracma, sua perla. Un racconto-dono questo racconto di un Padreche chiama tutti figli e amici e fa festa quandovede laggiù nella via di polvere uno dei figli chenon vuole più mangiare indecorose carrube. Davanti al Bambino io sento dentro di me chelui stesso è un grande dono, e, quando saràgrande, mi farà quel racconto del Padre con lemeravigliose Parole che non oso aspettarmi. Ora, Il Bambino tace. E’ da grande che mi faràil suo racconto, da grande. Adesso che è nel-le braccia di sua Madre lui già me lo fa tuttointero ma con il suo sguardo. Mi offre il suo rac-conto con lo sguardo. Io penso che i nostri Natali nascondano quel-lo sguardo divino dietro la neve d’ovatta, e nascon-dano il nostro sguardo dietro i dolci e i regali.Se noi nascondiamo i suoi e i nostri occhi, comepotrà raggiungerci la Parola per la quale noi sia-mo già un sogno nel suo sguardo? Con il racconto della neve d’ovatta, delle luci,di babbo natale, della slitta e delle renne, e idoni nella calza, nella scarpa, nelle tasche, sievita bellamente di “ascoltare” lo sguardo delceleste Bambino. Oh, ma quest’anno mi lasce-rò raggiungere dallo sguardo del Bambino inno-cente, lo sguardo che mi chiede di fare la veri-tà dentro di meperché lui nonè venuto

a contarmi frottole e neppure io posso contar-gli le frottole che so così bene inzuccherare. Entrerò nella grotta e ci guarderemo nella veri-tà e nell’innocenza degli sguardi. Fu la notte del Natale del 1886 che la piccolaTeresa Martin, il piccolo fiore di campo nel pra-to del Carmelo, riflettendo davanti al Bambinonella grotta del presepe, capì che il Bambino,nel suo tendere le braccia, le tendeva la suafiducia e anche lei decise di fare lo stesso, sen-za alcuna condizione. Con la semplice arte delguardare, scoprì la fiducia che il Bambino ripo-neva in lei e lei ripose in lui la propria fiducia,e così fu educata alla “piccola via.” E’ la via percorsa dai piccoli, cioè è la via di chisa che il suo cuore è fatto di niente, e tuttaviacerca di mettere molto amore nelle piccole cosed’ogni giorno.Il Bambino che tace, senza rumore di parole,solo con le braccia tese chiedeva alla piccolaTeresa di mettere amore nelle cose spinose enon spinose da fare ogni giorno, e lei, che anco-ra non capiva come mettere amore, si lasciòistruire; imparò la via dell’infanzia spirituale; eora, tutti possono prendere esempio da lei.Il Natale è la festa che ci fa tornare all’infan-zia; la festa è tutta qui. La grotta di Betlemme è la piccolezza che uni-sce, nel silenzio della notte, il mio passato e ilmio futuro; ed è in quella sola grotta, sotto quelsolo sguardo del Bambino, che inizio ad ave-re stima di me stesso. Se non valessi assolu-tamente nulla, perché questo Dio si fa Bambino,perché comincia con l’esporsi alla prova del fred-do e del gelo, perché viene a “moltiplicare” lamia gioia, ad “aumentare” la mia letizia? E’ ilprofeta Isaia che mi parla di una gioia che saràmoltiplicata, sarà aumentata, ed ecco, ilmomento è questo. Tutti, tutti ci nutriremo della fiducia che ci ten-de il Bambino e cammineremo nell’anno nuo-vo con un sorriso che si trasformerà in fiore digratitudine per Maria, la Madre, che ci riporrà,

fragili fratelli del suo Bambino, inuna mangiatoia per la nostra

nuova rinascita.

Natività (part.), afresco chiesa

ortodossa

1010 DicembreDicembre20172017

Ad ampliare l’offerta che “Ecclesia in C@mmino”

da tempo pone per l’attenzione personale e

comunitaria sulla Parola di Dio, ci si avvale ora del

prezioso ed eminente apporto del nostro

Cardinale titolare Francis Arinze, riportando una

sua riflessione offerta nel

Municipio di Auronzo di Cadore,

1 luglio 2017.

“La Parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada adoppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’animae dello spirito, fino alle giunture e alle midolla, e discerne i sen-timenti e i pensieri del cuore” (Eb. 4, 12)Nelle riflessioni nostre stasera volgiamo l’attenzione alla Parolascritta di Dio, la Sacra Scrittura: Perché è così preziosa la Bibbia?Come si deve leggere e capire? Come la Bibbia ispira la sacraliturgia? La Parola di Dio dirige la vita e l’apostolato della Chiesa.Una conclusione è che dobbiamo leggere e meditare ogni gior-no la Sacra Scrittura e condividere questo tesoro prezioso conle altre persone.

Che cosa è la Bibbia?

“La Sacra Scrittura è la parola di Dio in quanto consegnata periscritto per ispirazione dello Spirito divino” (Dei Verbum, 9). E’ loSpirito Santo che guida gli scrittori sacri nello scrivere ciò che Diovuole per la nostra salvezza. “Quando si affievolisce in noi la con-sapevolezza dell’ispirazione, si rischia di leggere la Scrittura comeoggetto di curiosità storica e non come opera dello Spirito Santo,nella quale possiamo sentire la stessa voce del Signore e cono-scere la sua presenza nella storia” Così ci ammonisce Papa BenedettoXVI nell’Esortazione Postsinodale Verbum Domini, 19.La Sacra Scrittura ci è data nella forma del Vecchio Testamentoe del Nuovo Testamento. Dio che ha ispirato ambedue i Testamenti“ha sapientemente disposto che il Nuovo fosse nascosto nel Vecchioe il Vecchio fosse svelato nel Nuovo” (DV, 16, citandoSant’Agostino: Quaest. In Hept. 2,73: PL 34, 623).Di preminenza nel Nuovo Testamento vi sono i quattro Vangeli.

Possiedono una meritata superiorità, in quanto costituiscono laprincipale testimonianza relativa alla vita e alla dottrina del Verboincarnato, nostro Signore Gesù Cristo (cfr DV, 18). I sacri autorihanno composto questi racconti selezionando da testimonianzericevute oralmente oppure per iscritto.Non tutto quello che Gesù ha fatto e insegnato è stato messo periscritto nei quattro Vangeli. Un esempio ci è offerto infatti da SanGiovanni, il quale, non senza un po’ di esagerazione, parlandodi tutte le cose che avrebbero potuto dire, dice che “se fosseroscritte una per una, penso che il mondo stesso non basterebbea contenere i libri che si dovrebbero scrivere” (Gv. 21,25). La Chiesa,perciò, è guidata nella sua fede, non soltanto dalla Sacra Scritturama anche dalla sacra Tradizione che l’ha ricevuta da Cristo tra-mite gli Apostoli e i loro successori. Come insegna il Concilio VaticanoSecondo, “l’una e l’altra devono essere accettate e venerate conpari sentimenti di pietà e riverenza” (DV, 9).

Il valore prezioso della Sacra Scrittura

Ciò che i sacri autori hanno scritto si deve ritenere come dettodallo Spirito Santo. “Bisogna ritenere, per conseguenza, che i libridella Scrittura insegnano con certezza, fedelmente e senza erro-re la verità che Dio, per la nostra salvezza, volle fosse consegnatanelle sacre scritture” (DV, 11). Ecco perché San Paolo scrive alsuo discepolo Timoteo che “Ogni Scrittura divinamente ispirataè anche utile per insegnare, per convincere, per correggere, pereducare alla giustizia, affinché l’uomo di Dio sia perfetto, adde-strato a ogni opera buona” (2 Tim. 3,16-17). La Bibbia è veramenteun patrimonio di inestimabile valore.

L’interpretazione della Bibbia

Tutto quello che è contenuto nella Sacra Scrittura non è imme-diatamente chiaro ad ogni persona. Il diacono Filippo ha chiestoal funzionario etiope: “Capisci quello che stai leggendo?” Egli rispo-se: “E come potrei capire, se nessuno mi guida?” (At. 8, 30-31).“L’ufficio poi d’interpretare autenticamente la Parola di Dio, scrit-ta o trasmessa, è affidato al solo magistero vivo della Chiesa, lacui autorità è esercitata nel nome di Gesù Cristo. Il quale magi-stero però non è superiore alla Parola di Dio ma la serve, inse-gnando soltanto ciò che è stato trasmesso, in quanto, per divinomandato e con l’assistenza dello Spirito Santo, piamente ascol-

1111DicembreDicembre20172017

ta, santamente custodisce e fedelmente espone quella parola, eda questo unico deposito della fede attinge tutto ciò che propo-ne da credere come rivelato da Dio” (DV,10).

La Sacra Liturgia, luogo privilegiato della Parola di Dio

La sacra liturgia, il culto pubblico della Chiesa, è luogo privile-giato ove Dio ci parla nella nostra vita. L’azione liturgica è immer-sa nella Sacra Scrittura. Dalla Bibbia la liturgia prende le lettureche vengono ascoltate e poi spiegate nell’omelia, come anche isalmi che sono cantati. La Bibbia ispira le orazioni e i canti e daessa prendono significato i segni e le azioni liturgiche. Cristo stes-so “è presente nella sua Parola, giacchè è lui che parla quandonella Chiesa si legge la Sacra Scrittura” (Sacrosanctum Concilium,7). “La Chiesa, infatti, ha sempre mostrato la consapevolezza chenell’azione liturgica la Parola di Dio si accompagna all’intima azio-ne dello Spirito Santo che la rende operante nel cuore dei fede-li” (Verbum Domini, 52). Papa Benedetto ricorda a questo pro-posito: “ nella storia della salvezza infatti non c’è separazione traciò che Dio dice e opera; la sua stessa Parola si presenta comeviva ed efficace (cfr. Eb. 4,12). Al medesimo modo, nell’azioneliturgica siamo posti di fronte alla sua Parola che realizza ciò chedice” (Verbum Domini, 53). Il sinodo dei vescovi del 2008 sullaParola di Dio nella Vita e Missione della Chiesa ha sottolineatola relazione tra la Sacra Scrittura e l’operato dei Sacramenti.In questa luce si può comprendere perché la sacra liturgia dia mol-ta importanza al lezionario e specialmente alla proclamazione delVangelo dal libro chiamato Evangeliario. Inoltre l’omelia deve esse-re basata sulla Sacra Scrittura come è proclamata nelle letture.La Chiesa incoraggia la celebrazione della Parola di Dio anchefuori le azioni liturgiche.

La Parola di Dio ispira la vita e l’apostolato della Chiesa

Da queste considerazioni, è chiaro che la Parola di Dio ispira lavita e l’apostolato della Chiesa.Nella sacra liturgia, la Parola di Dio viene proclamata, ascoltatae celebrata. La vita cristiana è essenzialmente marcata dall’in-contro con Gesù Cristo che ci invita a seguirlo. La cura pastora-le del popolo di Dio deve perciò essere marcata da un’attenzio-ne alla Sacra Scrittura che la deve animare nella formazione gene-rale dei cristiani e nella catechesi (cfr. Direttorio Catechetico Generale,128).Una lettura della Scrittura accompagnata dalla preghiera è spe-cialmente incoraggiata nella pratica della lectio divina con i suoicinque passi fondamentali: lettura (che cosa dice il testo bibli-co in sé?), meditazione (che cosa dice il testo biblico a noi?),preghiera (che cosa diciamo noi al Signore in rispostaalla sua Parola?), contemplazione (quale conver-sione della mente, del cuore e della vita chie-de a noi il Signore?), e finalmente l’azio-ne (che muove il credente a farsi donoper gli altri nella carità) (cfr. VerbumDomini, 86-87).La Parola di Dio positivamenteci invita a coinvolgerci nello svi-luppo di questo mondo. Ci invi-ta a promuovere la giustizia ela pace, praticare la carità, amostrare la solidarietà versoi sofferenti e i poveri, a dimo-strare interesse per i giovanie il loro bene, e a protegge-re la creazione, visto che altregenerazioni verranno dopo dinoi. La Sacra Scrittura possiedeanche grande potenzialitàper la promozione delle cul-ture e per l’incarnazione del

Vangelo nelle varie culture e tra i popoli del mondo. Le scuole ele università non sarebbero ancorate alla realtà se non tenesse-ro conto della Bibbia. La stessa cosa dicasi per i mezzi della comu-nicazione. Nella storia dell’umanità non c’è un libro più conosciutodella Bibbia.

La Sacra Scrittura per le meditazioni di ogni giorno

Il Concilio Vaticano Secondo conclude la magnifica Costituzionesulla Divina Rivelazione con un appello a prendere in mano ognigiorno il Libro Sacro: “E’ necessario che tutti i chierici, principal-mente i sacerdoti e quanti, come i diaconi o i catechisti, atten-dono legittimamente al ministero della Parola, conservino un con-tatto continuo con le scritture mediante una lettura spirituale assi-dua e uno studio accurato, affinché non diventi “un vano predi-catore della Parola di Dio all’esterno colui che non ascolta den-tro di sé” (Dei Verbum, 25, citando Sant’Agostino: Serm. 179, 1:PL 38,966). Il Concilio esorta con ardore e insistenza tutti i fede-li, soprattutto i religiosi, ad apprendere “la sublime scienza di GesùCristo” (Fil. 3,8) con la frequente lettura delle divine Scritture: SanGirolamo ci ammonisce: “L’ignoranza delle Scritture, infatti, è igno-ranza di Cristo” (Comm. In Is. Prol.: PL 24,17). Ciò che si consi-glia è una lettura lenta e meditativa. Ogni cristiano farebbe benea dedicare almeno 15 minuti alla Sacra Scrittura ogni giorno.In famiglia la Sacra Scrittura deve trovare posto in un luogo pro-minente. E sarebbe bene che i genitori procurino che ciascun figlioabbia una copia della Bibbia, o almeno del Nuovo Testamento.Che il Signore ci conceda la grazia di amare la sua Parola scrit-ta, di leggerla e meditarla ogni giorno, di viverla e di condivider-la con i nostri fratelli e sorelle.

+ Francis card. Arinze,1 luglio 2017

Ispirazione di San Giovanni ev. a Patmos, miniatura medievale.

1212 DicembreDicembre20172017

don Carlo Fatuzzo

CCol presente articolo concludiamo que-sta rubrica che ci ha accompagnato,attraverso l’intero anno, alla scoperta

dei più recenti documenti ecclesiali che riguar-dano la Bibbia, per rispondere all’invito del nostrovescovo Vincenzo di rimettere al centro, duran-te l’ultimo anno pastorale, la Parola di Dio.Avevamo iniziato tale percorso presentando l’e-sortazione apostolica post-sinodale Verbum Dominidel papa Benedetto XVI, e lo concludiamo conun richiamo concreto a quel documento, che laPontificia Commissione Biblica ha voluto espli-citamente considerare come ispiratore del suoultimo lavoro, dal titolo Ispirazione e verità del-la Sacra Scrittura, pubblicato nel 2014.«La vita della Chiesa si fonda sulla Parola diDio. Essa viene tramandata nella SacraScrittura, ossia negli scritti dell’Antico e del NuovoTestamento. Secondo la fede della Chiesa, tut-ti questi scritti sono ispirati, hanno Dio per auto-re, il quale si è servito di uomini da lui scelti perla loro stesura. A causa della loro ispirazionedivina, i libri biblici comunicano la verità. Scrittiche non provengono da Dio non possono comu-nicare la Parola di Dio», scrive il cardinal GerhardMüller nella prefazione al documento. La tesi fondamentale di questo testo con-siste nell’affermare che il contenuto della SacraScrittura è una Parola che, proveniente daDio, rivela all’uomo la verità su Dio, e in modospeciale sul suo disegno di salvezza per gliuomini.La Commissione Biblica, in questa sua ultimafatica, si è impegnata a verificare che cosa glistessi scritti biblici dicono sulla loro provenien-za da Dio (prima parte). Per quanto riguardapoi la verità della Bibbia, questo documento riba-disce con forza che l’argomento principale ditutta la Scrittura è Dio stesso e la sua salvez-za offerta all’umanità (seconda parte): con lasua Parola, Egli vuole comunicarci Se stessoe il suo progetto salvifico universale, e non for-nire documentazioni d’altro genere d’interessestorico o scientifico. Le sfide ermeneutiche che in tempi recenti han-no coinvolto alcuni passi della Bibbia, nella pro-spettiva di una loro apparente inconciliabilità con

i risultati delle scienze storiche e naturali moder-ne, nonché con gli articolati sviluppi delle rifles-sioni etiche contemporanee, sono affrontate neldocumento con serenità, chiarezza e lucidità (ter-za parte). Rispondendo puntualmente a tali sfi-de, al fine di evitare sia il pericolo del fonda-mentalismo che quello opposto dello scetti-cismo nei confronti della Bibbia, la CommissioneBiblica afferma: «togliendo questi ostacoli, si spe-ra che venga liberato l’accesso per una rece-zione matura e adeguata della Parola di Dio»,e cioè per accoglierein essa né più né menoche le risposte più pro-fonde su chi è Dio ecome Egli vogliasalvarci.Il contesto liturgi-co sacramentale«è il più appropriato perla proclamazione del-la Sacra Scrittura,costituisce anche il con-testo più adeguato perstudiarne l’ispirazionee la verità. […] SoloDio conosce Dio; diconseguenza, soloDio può parlare diDio in un modo ade-guato e affidabile.Perciò soltanto unaparola che provie-ne da Dio può par-lare giustamentedi Dio». «L’assemblealiturgica è illuogo più signi-ficativo e solenne per la proclamazione della Paroladi Dio, ed è quello in cui tutti i fedeli incontra-no la Bibbia. […] Rendere presente Gesù inmezzo alla comunità dei credenti e favorire l’in-contro e l’unione con lui e con Dio Padre è loscopo dell’intera celebrazione. Cristo nel suomistero pasquale viene proclamato nella lettu-ra della Parola di Dio e viene celebrato nellaliturgia eucaristica. […] Nella liturgia della Parolae massimamente nella liturgia eucaristica si cele-bra il mistero pasquale di Cristo, culmine e com-pimento della comunicazione di Dio con l’umanità.

In essa si realizza la redenzione degli esseri uma-ni, e nello stesso tempo, la più alta e perfettaglorificazione di Dio». Attraverso l’analisi di alcune testimonianze attin-te da brani scelti sia dell’Antico che del NuovoTestamento, la Commissione Biblica chiariscei termini del rapporto tra Dio Autore principalee gli autori umani che hanno messo per iscrit-to le verità rivelate sotto ispirazione divina. Punto di riferimento sul tema è ovviamente lacostituzione dogmatica Dei Verbum sulla Divina

Rivelazione delC o n c i l i oEcumenicoVaticano II.

I libri biblici,così differenti

tra loro quan-to a forma

letteraria

e ambiente storico-culturale di gestazione, com-pongono un unico canone sacro, testimonian-do l’unica Verità su Dio, manifestata in pie-nezza nella Persona di Gesù Cristo.

Nell’immagine:Ezechiele (part.), 1511 cca.,

Michelangelo, Cappella Sistina

1313DicembreDicembre20172017

Stanislao Fioramonti

IIl 24 giugno dell’anno 1000, dopo l’interventodi missionari norvegesi e tedeschi inviati dalre di Norvegia Olaf I (995-1000), il parla-

mento islandese accetta la religione cristiana come lecita nel paese, ancora largamente pagano. E’ del 1056 la prima diocesi islandese, Skalholt;ad essa il primo vescovo isolano Gissurarssonannette un’importante scuola per la formazio-ne ecclesiastica. Circa cento anni dopo (1152)tutte le diocesi islandesi sono annesse all’arci-diocesi norvegese di Nidaros. Dall’Islanda partono missionari verso la Groenlandia, doveall’inizio del XII secolo è fondata la diocesi di Garoar. Torlaco è uno dei santi nazionali d’Islanda, insie-me a Jon Ogmundsson (1052-1121), primo vesco-vo di Holar dal 1106 alla morte.Nacque a Fljotshlionel 1133 e a soli 19 anni ricevette l’ordinazio-ne sacerdotale. Desideroso di dedicarsi agli stu-di teologici, si trasferì a Parigi dove conobbe icanonici dell’abbazia di San Vittore, fondata nel1108. Proseguì poi gli studi a Lincoln, in Inghilterra.Tornato in patria divenne rettore della chiesa diKirkjubaer, dove in seguito fondò un monaste-ro di canonichesse.Essendo ancora sconosciuta in Islanda la rifor-ma gregoriana, la famiglia di Torlaco pensavache egli fosse propenso per un eventuale matri-monio, ma egli preferì invece entrare tra i cano-nici regolari di Sant’Agostino, grazie ai quali diven-ne primo priore del monastero di Thykkvibaer,fondato nel 1168 da Thorkill. Due anni dopo Kloengur,vescovo di Skalholt, confermò Torlaco nell’incarico,dandogli anche la benedizione abbaziale.La “Thorlàks saga”, vita del santo scritta pocodopo la sua morte, racconta l’ingresso nel mona-stero di Thykkvibaer di molti islandesi e anchedi stranieri, attratti dalla fama di santità che giàcircondava l’abate.Nel 1178 Torlaco fu nominato successore di Kloengure ricevette l’ordinazione episcopale a Nidarosdall’arcivescovo Eystein. Quest’ultimo riuscì aintrodurre la riforma gregoriana anche inIslanda guadagnando al suo partito il novello vesco-vo. Uomo di grande spiritualità e verità, Torlacocercò di incrementare la formazione del cleroislandese, promuovendo anche fortemente il celi-bato sacerdotale. Il suo capolavoro fu il“Poenitentiale”, caratterizzato da una grande seve-rità che fece da contraltare alla confusione diquel periodo: nel 1180 l’arcivescovo Eystein saràbandito dal re e lo stesso Torlaco dovette sub-ire molte sofferenze.Nel XII secolo le famiglie islandesi che si era-no fatte promotrici dell’edificazione di nuove chie-se, ritenevano tutti i diritti su di esse. I sacer-doti, da loro nominati a queste chiese private,naturalmente avevano poche possibilità di rim-proverare i loro signori, qualora avessero agi-to contro la morale cristiana. In taluni casi Torlacoarrivò al punto di rifiutare la consacrazione diuna chiesa se tutti i diritti su di essa non fos-sero stati trasferiti a lui, in quanto vescovo. Ciò

causò una disputa con il diaconoJon Loptsson, restauratoredella chiesa di Hofdabraeck. Lasituazione peggiorò quandoJon, sposatosi, decise di coabi-tare con Ragneid, sorella di Torlaco,e per ben tre volte tentò di ucci-dere il vescovo. La disputa sareb-be finita solo con la morte diTorlaco, avvenuta il 23 dicem-bre 1193 a Skalholt. Nel 1198dal parlamento islandese fu rico-nosciuto santo.Il suo successore Paolo, figliodi Jon e Ragneid, riconciliò il padrecon la Chiesa. La morte di Torlacosembrava segnare il fallimen-to definitivo dei disegni e del-le speranze che aveva coltivatocirca una fruttuosa riforma del-la chiesa islandese. Ma comel’apparente fallimento di NostroSignore sulla Croce si rivelò lasconfitta finale del peccato e del-la morte, così con la prematu-ra scomparsa del vescovoTorlaco si aprì la strada versouna riforma duratura, ed egli otten-ne un posto nella schiera deisanti nella cui vita e morte si mani-festò il mistero della croce: “Chiperde la propria vita la conserverà”. Questa è la legge del chicco difrumento che brilla nei martiricome Olav II di Norvegia,Enrico di Upsala ed Erik IX diSvezia, per citare quelli geo-graficamente vicini a Torlaco che,pur non essendo stato chiamato a testimonia-re con il sangue la propria fede, realizzò nel-l’adempimento fedele del suo ministero episcopalela stessa sequela praticata dai martiri con la loromorte. Quando egli era ancora in vita colpivanoparecchio l’attenzione popolare i numerosimiracoli da lui operati e cinque anni dopo la suamorte il parlamento islandese decise la solen-ne traslazione del suo corpo, operazione cor-rispondente a quei tempi a una canonizzazio-ne. La sua festa si celebrava il 23 dicembre,giorno ancora oggi chiamato in islandese“Thorlaksmessa”, “Messa di Torlaco”. Nel Medioevo in Islanda gli erano dedicate alme-no 56 chiese e perfino a Costantinopoli glieneintitolarono una. Molto venerato anche inInghilterra e Scandinavia, nel 1237 fu aggiun-ta una seconda festa in ricordo della sua “trans-latio” il 20 luglio, unica sua memoria liturgicaancora oggi celebrata visto che le norme del ConcilioVaticano II vietano la celebrazione solenne deisanti durante la novena di Natale.Nel XVI secolo nell’isola, che dipendeva politi-camente dalla Danimarca, fu imposta d’autori-tà la Riforma luterana; gli ultimi due vescovi chesi opposero furono uccisi e i cattolici in brevescomparvero del tutto dal territorio.La Costituzione islandese ha riconosciuto la liber-

tà di culto nella nazione solo nel 1874. Le rela-zioni diplomatiche della Santa Sede conl’Islanda sono riprese nel 1923 con l’aperturadi una Prefettura Apostolica, affidata ai religio-si Monfortani, elevata sei anni dopo a VicariatoApostolico; infine nel 1968 è stata istituita l’u-nica diocesi cattolica di Reykjavik, formata da5 parrocchie, con una cattedrale dedicata a CristoRe. Nel 1982 fu fissato il giorno per la memo-ria di San Torlaco nel Proprio della Chiesa Cattolicadella Norvegia. Poi nel 1983, anno dell’anniversario,la Santa Sede confermò la celebrazione dellasua memoria anche per l’ordine dei Canonici Regolaridi Sant’Agostino. Nel 1984 papa Giovanni PaoloII lo nominò Patrono dell’Islanda, isola che visi-tò il 3 e 4 giugno 1989.Nel 2017 i cattolici in Islanda erano 13 mila, suuna popolazione totale di 338 mila persone amaggioranza protestanti (in particolare lutera-ni); la percentuale di cattolici nel paese (3,8%)è comunque la seconda nell’Europa del Nord.La Riforma protestante, che portò alla distruzionedel reliquiario di San Torlaco, non riuscì fortu-natamente a cancellare la sua memoria nel popo-lo islandese che ancora oggi, all’alba del terzomillennio, lo onora come patrono. Non solo perl’Islanda, ma per l’intera Europa san Torlaco costi-tuisce un pressante invito a riscoprire con gioiale proprie radici cristiane.

1414 DicembreDicembre20172017

1515DicembreDicembre20172017

Giovanni Zicarelli

LL’appuntamento è stato per il mattino del-lo scorso 4 novembre in Velletri, pres-so il Salone della Curia vescovile della

Diocesi Velletri-Segni. L’atmosfera era carica diattesa. Un’attesa che è divenuta grande gioiaquando il nostro vescovo, S.E. Rev.ma mons.Vincenzo Apicella, ha annunciato a tutti i pre-senti la decisione di Sua Santità Papa Francescodi nominare mons. Leonardo D’Ascenzo arci-vescovo di Trani-Barletta-Bisceglie. Una soddisfazione palpabile tra i rappresenta-ti di tutte le parrocchie della Diocesi presenti insala. L’annuncio (già riportato e celebrato nelprecedente numero di questa rivista) veniva datoin contemporanea, oltre che a Velletri, anche inVaticano, attraverso il Bollettino della Sala Stampadella Santa Sede, e nella Curia dell’Arcidiocesidi Trani-Barletta-Bisceglie.A quel punto il vescovo cercava don Leonardoper invitarlo al suo fian-co. Un momento in cuiè affiorata la grandeumiltà del sacerdote,fino ad allora seduto trai parroci, che con evidenteimbarazzo ha raggiuntomons. Apicella.È seguita quindi la solen-ne promessa di mons.D’Ascenzo, davanti aiVangeli, al vescovo e allaplatea, di restare, nel-l’assumere l’Ufficio divescovo, sempre incomunione con la Chiesacattolica tanto nelle paro-le quanto nell’agire e diadempiere con fedeltà ai

doveri a cui è tenuto. Per la nostra Diocesi una giornata di festa dalretrogusto amaro, come ha specificato mons.Apicella in uno dei suoi interventi, poiché alla

soddisfazione di vederpremiare la grande com-petenza, la discrezione eil non comune equilibrio didon Leonardo, si con-trappone il dispiacere divedere andar via uno deifigli migliori della Diocesi.Il prelato, che dal luglio 2015ricopre l’impegnativa edelicata carica di rettore delPontificio Collegio Leonianodi Anagni, svolgerà dun-que il suo ministero di arci-vescovo in terra di Puglia.Una regione di quel Sudd’Italia paradisiaco e pro-blematico ove particolar-mente utili e fondamentali

potranno rivelarsi proprio quella discrezione equell’equilibrio che vengono riconosciuti fra ledoti principali di mons. D’Ascenzo.Per il resto, come ha ancora affermato il vesco-vo, “la cosa più importante per tutti i cristiani,dal neonato battezzato al papa, il vescovo di Roma,è sempre quella di confrontarsi con Nostro SignoreGesù Cristo”.Tutti i presenti si sono quindi recati in cattedraleper pregare davanti all’icona della Madonna del-le Grazie. Sarà un’assenza che si avvertirà, quel-la di don Leonardo, ma che troverà consolazionenella certezza che quella competenza, quelladiscrezione, quell’equilibrio saranno ancor piùefficacemente messi al servizio della Chiesa edella comunità cristiana e non solo, poiché il Beneveicola sempre al di là delle appartenenze.Il prossimo appuntamento è con la solenneOrdinazione Episcopale che si celebrerà il 14gennaio 2018, alle ore 16, presso la cattedra-le di Velletri, Basilica di San Clemente I. A mons. Leonardo D’Ascenzo i più fraterni e sin-ceri auguri.

1616 DicembreDicembre20172017

O Dio grande e misericordioso,Ti benediciamo per la Santa Chiesa,

popolo adunato dal Padre,dal Figlio e dallo Spirito Santo

sotto la guida dei Pastori.Tu effondi lo Spirito su coloro

Che chiami e scegli a guidare il tuo popoloPerché siano segno e strumento di salvezza per tutti gli uomini.

Effondi la tua benedizione sul presbitero Leonardoeletto vescovo della nostra Chiesa di Trani-Barletta-Bisceglie.

Sappia leggere con gli occhi della fede e del cuorele attese e i bisogni dei figli di questa terra

per condurli a diventare offerta a Te gradita.Donagli un cuore grande

perché possa discernere i segni dei tempie accogliere le istanze dei poveri,

dei sofferenti e degli ultimi;fa’ che tutti,

convocati come santa Assemblea del tuo popolo,nutriti del pane della Parola,dell’Eucaristia e della Carità,

formiamo un solo corpo al servizio del Vangeloper la missione apostolica della Chiesa nel mondo.

A Te, Padre, la gloria, la potenza e l’onore,per Cristo, con lo Spirito Santo,

nella santa Chiesa,ora e nei secoli dei secoli

Amen

MMartedì 14 novem-bre u.s. presso ilPontificio Collegio

Leoniano di Anagni si è avu-to il primo incontro tra l’ar-civescovo eletto mons.D’Ascenzo, attuale rettoredel seminario, e il Collegioconsultori dell’Arcidiocesi diTrani-Barletta-Bisceglie. Il gruppo dei sacerdoti eraguidato dall’AmministratoreDiocesano mons. GiuseppePavone. Si è trattato del pri-mo contatto con il clero dalquale si è potuto scorgereuna sintonia e una simpatia nata spontanea e immediata.

In un clima del tutto fami-liare si sonofatte le primeconoscenza eprese anche leprime decisioninecessarie comedate e oraridell’Ordinazionee dell’ingressoin diocesi delnuovo arcive-scovo. Al terminedell’incontro ladelegazione hacondiviso i lmomento con-viviale con lacomunità deiseminaristi del

Leoniano e subito dopo è ripartita alla volta della Puglia.

Nelle foto sotto: Cattedrale di Trani, alcuni momenti durante l’annuncio ufficiale della

decisione di Sua Santità Papa Francesco di nominare mons. L. D’Ascenzo Arcivescovo

di Trani-Barletta-Bisceglie.

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EEccoci qui a scrivere del nostro caro “Don Lex“,collaboratore per ben 11 anni della nostra

parrocchia di Santa Barbara e sacerdote tantoamato da noi ragazzi, che il Signore ha volutoche ci seguisse fin da bambini. Con la sua dili-genza, costanza ed entusiasmo ci ha trasmessoil Vangelo e il desiderio di portarlo agli altri e oraa malincuore dovremo salutarlo.Sono tanti i momenti condivisi con lui: dagli scher-zi alle risate, alle esperienze più tristi e alle lacri-me versate. Il nostro percorso insieme è ini-ziato con il cammino della Cresima, da subi-to ci è stato vicino sopportandoci, ma soprat-tutto supportandoci.Nonostante quella sua ‘serietà’ è sempre sta-to al gioco in tutto ciò che abbiamo combi-nato in questi anni. E diciamolo, ne abbia-mo fatte... dai suoi compleanni improvvisa-ti a Canneto con i nostri regali improbabili,ai viaggi imprevisti, ai vari momenti di con-

divisione. La nostra partecipazione emotiva èstata l’emblema del viaggio ad Assisi dove tranoi e il Don è aumentata la complicità tanto daconsiderarlo la nostra guida spirituale vera e pro-pria. Perciò per dimostrargli il nostro affetto, ilgiorno dell’ultima festa del Ciao prima della “chia-mata“ gli abbiamo consegnato, per giunta sot-to la pioggia, la felpa ufficiale del gruppo gio-vani di Ac di Santa Barbara perché..., come diceil nostro motto “Insieme è più bello!“. Un altro momento intenso che abbiamo vissu-

to con don Leonardo e in cui ci ha dimostratotutta la sua vicinanza, sempre più profonda, èstato quando ha organizzato, al Seminario di Anagni,una messa dedicata esclusivamente a noi matu-randi per incoraggiarci a superare gli ostacolie ad abbattere le paure.Con lui abbiamo condiviso anche le varie e nume-rose esperienze diocesane che ci ha sempre inco-raggiato a vivere come gruppo di Acg. Tutto ciòlo ha fatto semplicemente con amore. L’amore di chi sa chi è e cosa sta offrendo. Comeha fatto Gesù sulla croce: il Salvatore che offrein dono la propria Vita per tutti noi. Ti ringraziamoper questi bellissimi anni insieme, per la tua pre-senza, per l’ascolto e per la disponibilità sem-

plicemente ad esserci con noi, nei nostri entu-siasmi e nelle nostre fatiche!Caro Arcivescovo don Leonardo D’Ascenzo,ti auguriamo il meglio in tutto. E intanto, arri-vederci! Con Amore ti salutiamo, ma ci rive-dremo presto! Dal tuo gruppo

Azione Cattolica giovani Santa Barbara

Parrocchia San Bruno Colleferro

LL’associazione parrocchiale, insieme allacomunità di San Bruno tutta, si strin-ge in un caloroso abbraccio per rin-

graziare Mons. Leonardo D’Ascenzo: per il cammino condiviso in que-sti anni al servizio dell’associazione, per la cura spirituale di tutti dai più

piccoli ai più maturi, per il garbo e delicatezza,per la risolutezza e il senso di responsabili-tà, per l’umiltà e la fraternità, per la bontà dicuore e per la testimonianza che si può vera-mente essere e vivere ogni giorno al servi-

zio di Gesù. Grazie don Leonardo, ti assicuriamo le nostre preghiereper il tuo cammino.

Messis quidem multa

Sono parole che, in qualche modo, richia-mano il fil rouge della mia vita e del mioministero sacerdotale, caratterizzato dal-l’impegno nell’ambito della pastorale del-le vocazioni. Sono anche parole che riman-dano alla terra di Puglia, granaio d’Italia.Ancora, sono parole che invitano a matu-rare uno sguardo sulla realtà che sia capa-ce di riconoscere il bello, il positivo checi precede e ci accompagna.Papa Francesco, nel suo primo messaggioper la Giornata Mondiale di Preghieraper le Vocazioni (11 maggio 2014), ciha proposto una serie di ‘contenuti’ pro-fondi, belli, che toccano le corde fon-damentali della relazione chiamata-rispo-sta tra Dio e l’uomo: “’La messe è abbon-dante’ [...] Queste parole ci sorpren-dono, perché tutti sappiamo cheoccorre prima arare, seminare e col-tivare per poter poi, a tempo debito, mie-tere una messe abbondante. Gesù affer-ma invece che la ‘messe è abbondante’.Ma chi ha lavorato perché il risultato fosse tale? La rispo-sta è una sola: Dio”.Spesso siamo segnati nel cuore e nel modo di guardare la realtà, da

depressione e negatività, siamo presi da sentimentidi preoccupazione, di tristezza o di sconfor-

to. Orientiamo, allora, il nostro sguardo sul-l’abbondanza della messe, dono di Dio,

e impariamo a sperimentare stupore, gra-titudine, a coltivare speranza.

Stemma

Il grano, in basso, richiama il fil rouge del-la vita e del ministero sacerdotale di donLeonardo, caratterizzato dall’impegnonell’ambito della pastorale delle vocazionie rimanda alla terra di Puglia, granaiod’Italia. Al centro le colline e la valle,sono un riferimento al paese nataleValmontone, città adagiata su vari col-li e valli, Vallis montanae.In alto due stelle, la più grande sim-boleggia Gesù (Io sono la radice e lastirpe di Davide, la stella radiosa delmattino Ap 22,16; cf 2Pt 1,19) e la piùpiccola, accanto, è riferita a donLeonardo. I tanti campi scuola estivi in

tenda hanno segnato la sua storia vocaziona-le. Una strofa della preghiera che tutte le sere si cantava attor-

no al falò recita: quante stelle, quante stelle… dimmi Tu la mia qualè. Non ambisco la più bella, basta sia vicino a Te!

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Sara Bianchini*

SSi è svolto lo scorso 27 otto-bre, a Colleferro, il convegno“Oltre l’invisibilità”, orga-

nizzato dagli operatori e daivolontari di Casa Nazareth, l’opera-segno diocesana nata per acco-gliere ed accompagnare le don-ne sole con figli, vittime di diverse forme di violenza.Il convegno, svolti presso il teatro della Parrocchia SS. Immacolataa Colleferro, ha visto la partecipazione di: Argia Simone, operatri-ce e presidente di ASP Socialmentedonna; Elisa Galeotti, avvoca-to, di ASP Socialmentedonna, Antonella Moriconi, psicologa; ShqiponjaDosti, dipartimento Immirazione CGIL Roma e Lazio; don CesareChialastri direttore della Caritas Diocesana in qualità di moderato-re ed Emanuela Nanni, responsabile della Casa sin dalla sua nasci-ta, come presentatrice dell’incontro. “Oltre l’invisibilità”: un titolo pensato proprio per evidenziare comel’attenzione della comunità civile e di quella religiosa non è mai suf-ficiente a confronto con una realtà come quella della violenza fem-minile. In 10 anni la maggior parte delle donne accolte, sono sta-te donne italiane. Negli ultimi anni, molte di queste accoglienze sonostate per donne con patologie afferenti all’ambito della malattia men-tale. Si è trattato spesso di depressione, o di situazioni in cui il lavoroprincipale è stato quello di coordinarsi con il progetto elaborato daidiversi servizi di igiene mentale che avevano in carico queste per-sone. Talora la presa in carico non ha riguardato solo la donna, mal’intero nucleo familiare. L’obiettivo è stato quasi sempre quello diricostruire delle relazioni familiari funzionali, in cui i membri dellafamiglia (figli e/o compagni di vita) potessero crescere nella loro capa-cità di convivere, avvicinare ed accompagnare nella guarigione ladonna in difficoltà. Certamente la violenza domestica è aumentata a dismisura, nel cor-so dei dieci anni in cui Casa Nazareth ha operato ed opera. Anchese c’è molta più attenzione mediatica su questo fenomeno, diver-si “paradossi” saltano immediatamente agli occhi: innanzitutto lad-

dove ci si aspetterebbe una diminuzione del fenomeno, si assisteinvece ad un aumento; il clima culturale, che si può notare già dal-la scuola primaria, è di una diffusa aggressività per esempio nellagestione della relazione con l’altro sesso (proprio in questo climadi diffusa si ritiene di potere gestire, controllare l’altro dominando-lo nel rapporto, ma si finisce poi per passare velocemente da “car-nefici” a “vittime”, anche a causa della crescente incapacità di leg-gere con autenticità i propri desideri profondi e le proprie emozio-ni). La partecipazione al convegno poteva essere maggiore; ma anchequesto potrebbe essere un segno diversamente interpretabile: innan-zitutto il clima culturale dominante sfavorisce anche la comunica-zione su questi argomenti; in secondo luogo, le tematiche legatealle diverse forme di violenza sulle donne sono difficili da affronta-re, perché si corre molto facilmente il rischio di scadere in posizio-ni ideologiche (di qualunque natura esse siano), che non tiene con-to dell’aspetto centrale del problema, ossia del fatto che si ha a chefare con storie, non con fenomeni globali, ma con persone concretecon il loro carico di sofferenze ma anche di risorse. Ed è proprioquesto il secondo significato del titolo pensato per la manifestazione– significato con il quale vogliamo chiudere – “oltre l’invisibilità”, oltreil pregiudizio (“se l’è cercata col suo comportamento”, “è lei che pro-vocava…”, “in fin dei conti ognuna di noi ha avuto la sua dose disoprusi…”), ci sono delle donne concrete con le loro personalissi-me storie, degne di rispetto e degne di riscatto (come la copertatessuta in molti fili diversi intrecciati insieme, offerta durante la cele-brazione eucaristica conclusiva, ha voluto rappresentare).

* Caritas Diocesana

1919DicembreDicembre20172017

don Andrea Pacchiarotti*

“TI VENGO A CERCARE” Preghiera vigiliare all’inizio della Messa

nella “notte santa” di Natale

Ambientazione La chiesa è in penombra. Alla porta della chiesa è posta una lampa-da accesa. Un solista da voce all’attesa con brani tratti dalleConfessioni di Sant’Agostino.

Voce solista Stimolato a rientrare in me stesso, sotto la tua guida, entrai nell’intimi-tà del mio cuore, e lo potei fare perché tu ti sei fatto mio aiuto (cfr. Sal29, 11). Entrai e vidi con l’occhio dell’anima mia, qualunque esso potes-se essere, una luce inalterabile sopra il mio stesso sguardo interiore esopra la mia intelligenza. Non era una luce terrena e visibile che splen-de dinanzi allo sguardo di ogni uomo. Direi anzi ancora poco se dices-si che era solo una luce più forte di quella comune, o anche tanto inten-sa da penetrare ogni cosa. Era un’altra luce, assai diversa da tutte leluci del mondo creato. Non stava al di sopra della mia intelligenza qua-si come l’olio che galleggia sull’acqua, né come il cielo che si stendesopra la terra, ma una luce superiore. Era la luce che mi ha creato. Ese mi trovavo sotto di essa, era perché ero stato creato da essa. Chiconosce la verità conosce questa luce. O eterna verità e vera carità e cara eternità! Tu sei il mio Dio, a te sospi-ro giorno e notte. Appena ti conobbi mi hai sollevato in alto perché vedes-si quanto era da vedere e ciò che da solo non sarei mai stato in gra-do di vedere. Hai abbagliato la debolezza della mia vista, splendendopotentemente dentro di me. Tremai di amore e di terrore. Mi ritrovai lon-tano come in una terra straniera, dove mi parve di udire la tua vocedall’alto che diceva: «Io sono il cibo dei forti, cresci e mi avrai. Tu nontrasformerai me in te, come il cibo del corpo, ma sarai tu ad essere tra-sformato in me». Cercavo il modo di procurarmi la forza sufficiente per godere di te, enon la trovavo, finché non ebbi abbracciato il «Mediatore fra Dio e gliuomini, l’Uomo Cristo Gesù» (1 Tm 2, 5), «che è sopra ogni cosa, Diobenedetto nei secoli» (Rm 9, 5). Egli mi chiamò e disse: «Io sono lavia, la verità e la vita» (Gv 14, 6); e unì quel cibo,che io non ero capace di prendere, al mio essere,poiché «il Verbo si fece carne» (Gv 1, 14). Così latua Sapienza, per mezzo della quale hai creatoogni cosa, si rendeva alimento della nostra debo-lezza da bambini. Tardi ti ho amato, bellezza tanto antica e tanto nuo-va, tardi ti ho amato. Ed ecco che tu stavi den-tro di me e io ero fuori e là ti cercavo. E io, brut-to, mi avventavo sulle cose belle da te create. Ericon me ed io non ero con te. Mi tenevano lonta-no da te quelle creature, che, se non fossero inte, neppure esisterebbero. Mi hai chiamato, haigridato, hai infranto la mia sordità. Mi hai abba-gliato, mi hai folgorato, e hai finalmente guaritola mia cecità. Hai alitato su di me il tuo profumoed io l’ho respirato, e ora anelo a te. Ti ho gusta-to e ora ho fame e sete di te. Mi hai toccato e oraardo dal desiderio di conseguire la tua pace.

Dalle «Confessioni» di sant’Agostino, vescovo (Lib. 7, 10, 18; 10, 27;CSEL 33, 157-163. 255)

Al termine della lettura, tutti si mettono in piedi e in silenzio, colui chepresiede la celebrazione, accompagnato dai ministri e dal servizioliturgico, si reca alla porta della chiesa e davanti alla lampada acce-sa introduce la preghiera.

LUCERNARIO

Cel. O Cristo, stella radiosa del mattino, incarnazione dell’infinito amore, salvezza sempre invocata e sempre attesa, tutta la Chiesa ora ti grida come la sposa pronta per le nozze:

Tutti Vieni Signore Gesù, unica speranza del mondo.

Cel. Tu sei Dio, e vivi e regni con Dio Padre nell’unità dello Spirito Santoper tutti i secoli dei secoli.

Tutti Amen. Maranathà!

Il celebrante consegna la lampada ad un membro della comunità i quali la depongo-no a fianco dell’immagine di Gesù Bambino velato. Mentre si svolge la processionesi esegue un canto d’attesa.

Al termine del canto, restando ai piedi dell’altare, colui che presiede dice:

Cel. Entrando nel mondo, Cristo dice: Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato.

Tutti Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato.

Nell’immagine: Natività e adorazione dei pastori, Giuseppe Vermiglio.

2020 DicembreDicembre20172017

Cel. Allora ho detto: Ecco, io vengo - poiché di me sta scritto nel rotolo del libro - per fare, o Dio, la tua volontà.

Tutti Dopo aver detto prima non hai voluto e non hai gradito né sacrifici né offerte, né olocausti né sacrifici per il peccato, cose tutte che vengono offerte secondo la legge, soggiunge: Ecco, io vengo a fare la tua volontà.

Cel. Con ciò stesso egli abolisce il primo sacrificio per stabilirne uno nuovo. Ed è appunto per quella volontà che noi siamo stati santificati, per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù Cristo, fatta una volta per sempre. (cfr. Ebrei 10,5-10) Maranathà, Vieni Signore Gesù!

Tutti Il tuo nome sia lodato! Maranathà, vieni Signore Gesù!

Si accendono le luci della chiesa. Il celebrante, fatto l’inchino all’altare, lo bacia e si reca alla sede, quindi rivolto al popolo lo saluta.

SALUTO

Cel. Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Tutti Amen. Maranathà!

Cel. O Signore, in questa veglia noi celebriamo il giorno santo, memoriale della tua venuta tra noi, per abitare questa terra e la nostra vita; per raccontarci il desiderio del Padre di raccoglierci attorno a Te e per ricondurci a Lui, ti preghiamo, o Signore, accogli la nostra lode. La Chiesa ha sete di te nostro Salvatore e noi bramiamo di dissetarci a Te, fonte d’acqua viva che zampilla per la vita eterna.

Un solista alternandosi all’assemblea avvia la preghiera del Salmo 62

Solista O Dio, tu sei il mio Dio, all’aurora ti cerco, * di te ha sete l’anima mia, a te anela la mia carne, * come terra deserta, arida, senz’acqua.

Tutti Così nel santuario ti ho cercato, * per contemplare la tua potenza e la tua gloria. Poiché la tua grazia vale più della vita, * le mie labbra diranno la tua lode.

Solista Così ti benedirò finché io viva, * nel tuo nome alzerò le mie mani. Mi sazierò come a lauto convito, * e con vocidi gioia ti loderà la mia bocca.

Tutti Nel mio giaciglio di te mi ricordo, * penso a te nelle veglie notturne, tu sei stato il mio aiuto; *esulto di gioia all’ombra delle tue ali.

Solista A te si stringe * l’anima mia. La forza della tua destra * mi sostiene.

Tutti Gloria al Padre e al Figlio * e allo Spirito Santo.

Come era nel principio, e ora e sempre, * nei secoli dei secoli. Amen.

Cel. Signore del Mondo, il nostro cuore attende il compimento delle tue promesse e la terra intera anela alla salvezza: manda tuo Figlio, il Messia Gesù nella sua gloria e non tardare più perché lui solo è la nostra speranza Benedetto con te e lo Spirito Santo ora e sempre, nei secoli dei secoli.

Tutti Amen. Maranathà!

Tutti siedono. Un lettore dall’ambone legge.

Lettore

Orsù, misero mortale, fuggi via per breve tempo dalle tue occupazioni,lascia per un po’ i tuoi pensieri tumultuosi. Allontana in questo momen-to i gravi affanni e metti da parte le tue faticose attività. Attendi un pocoa Dio e riposa in lui. Entra nell’intimo della tua anima, escludi tutto tran-ne Dio e quello che ti aiuta a cercarlo, e, richiusa la porta, cercalo. Omio cuore, di’ ora con tutto tè stesso, di’ ora a Dio: Cerco il tuo volto.“II tuo volto, Signore, io cerco” (Sal 26, 8). Orsù dunque. Signore Dio mio, insegna al mio cuore dove e come cer-carti, dove e come trovarti. Signore, se tu non sei qui, dove cercheròte assente? Se poi sei dappertutto, perché mai non ti vedo presente?Ma tu certo abiti in una luce inaccessibile. E dov‘è la luce inaccessibi-le, o come mi accosterò a essa? Chi mi condurrà, chi mi guiderà a essasì che in essa io possa vederti? Inoltre con quali segni, con quale vol-to ti cercherò? O Signore Dio mio, mai io ti vidi, non conosco il tuo vol-to. Che cosa farà, o altissimo Signore, questo esule, che è così distan-te da te, ma che a te appartiene? Che cosa farà il tuo servo tormenta-to dall’amore per te e gettato lontano dal tuo volto? Anela a vederti e iltuo volto gli è troppo discosto. Desidera avvicinarti e la tua abitazioneè inaccessibile. Brama trovarti e non conosce la tua dimora. Si impe-gna a cercarti e non conosce il tuo volto. Signore, tu sei il mio Dio, tu sei il mio Signore e io non ti ho mai visto.Tu mi hai creato e ricreato, mi hai donato tutti i miei beni, e io ancoranon ti conosco. Io sono stato creato per vederti e ancora non ho fattociò per cui sono stato creato. Ma tu, Signore, fino a quando ti dimenticherai di noi, fino a quando dis-toglierai da noi il tuo sguardo? Quando ci guarderai e ci esaudirai? Quandoilluminerai i nostri occhi e ci mostrerai la tua faccia? Quando ti restitui-rai a noi? Guarda, Signore, esaudiscici, illuminaci, mostrati a noi. Ridonatia noi perché ne abbiamo bene: senza di te stiamo tanto male. Abbi pie-tà delle nostre fatiche, dei nostri sforzi verso di te: non valiamo nullasenza te. Insegnami a cercarti e mostrati quando ti cerco: non possocercarti se tu non mi insegni, ne trovarti Se non ti mostri. Che io ti cer-chi desiderandoti e ti desideri cercandoti, che io ti trovi amandoti e tiami trovandoti. Dal Proslògion di Sant’Anselmo, vescovo

Solista Gioiscano i cieli, esulti la terra (1Cr 16,31; Sal 96,11)

o monti, cantate con gioia le lodi. (Is 49,13)Tutti Sgorghi l’esultanza dai monti (Sal 98,8)

e i colli proclamino la giustizia. (Sal 72,3) 63

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Solista Perché verrà il Signore nostro. (Is 40,10; Zc14,5)

E avrà misericordia dei suoi poveri.(Is 49, 13)Tutti Piovete, o cieli, dall’alto e dalle nubi scenda il Giusto (Is 45,8)

Si apra la terra e germogli il Salvatore

Solista Ricordati di noi, Signore, (Sal 106,4)

e visitaci con la tua salvezza. Tutti Mostra a noi, Signore, la tua misericordia (Sal 85,8)

e dona a noi la tua salvezza.

Solista Manda, Signore , l’Agnello a regnare sulla terra (Is 16,1)

dal deserto al monte della città di Sion. Tutti Vieni a liberarci, Signore, Dio dell’universo (Sal 80,3.5)

mostra a noi il tuo volto e saremo salvi. (Sal 80,4.8.20)

Solista Vieni, Signore, a visitarci nella pace ed esulteremo davanti a te con tutto il cuore.

Tutti Si conosca sulla terra la tua via, Signore (Sal 67,3)

tra tutte le genti la tua salvezza.

Solista Risveglia, Signore, la tua potenza (Sal 80,3)

e vieni a portarci la salvezza. Tutti Vieni, Signore non tardare (Ab 2,3)

e perdona i peccati del tuo popolo.

Solista Se tu squarciassi i cieli e scendessi (Is 64,1)

dinnanzi a te si scioglierebbero i monti. Tutti Vieni e mostra a noi il tuo volto (Sal 80,4.8.20)

Signore nostro che siedi sui cherubini.

In piedi

CANTO

Al termine del canto, tutti siedono e un solista legge un testo liberamente ispirato allacanzone “Ti vengo a cercare” di Franco Battiato che sottolinea la ricerca di Dio daparte dell’uomo.

Voce solista

Ti vengo a cercare o Dio, sperando di vederti, sicuro di parlarti. Hobisogno della Tua presenza per capire meglio la mia essenza. Esso è il sentire di molti nella vita, e nasce da seme divino piantatonel cuore d’ogni uomo. Sa essere rapimento mistico e dei sensi cheattrae a Te, sua origine. Per incontrarti dovrei cambiare l’oggetto dei miei desideri non accon-tentarmi di piccole gioie quotidiane ma imparare a fare l’eremita cherinuncia a sé. Ti vengo a cercare o Dio, forse anche con la scusa di

volerti parlare mi piace ciò che pensi e che dici perché in te vedo lemie radici. Se dispero, vedo il tempo scorrere ed oramai alla fine tutto mi apparesaturo di sterilità gremito di parassiti senza dignità. Ciò mi spinge solo ad esseremigliore a vincere la mediocrità con più volontà. Emanciparmi dall’incubo delle passioni per cercare solo Te che seil’Uno al di sopra di tutto, il Bene, più forte del male. E così essere immagi-ne e somiglianza di Dio in questa realtà che cerca Te. E ti vengo a cercare Perché sto bene con te Perché ho bisogno dellatua presenza.

Silenzio di riflessione.In piedi

INVOCAZIONE A COLUI CHE VIENE

Cel. Fratelli, nel mistero dell’Incarnazione e in quello della Natività, Dio si è rivelato, mostrandoci in Gesù il Suo volto e la Sua continua ricerca dell’umanità, iniziata nel giardino dell’Eden, e pienamente realizzata nell’opera redentiva di Cristo. Il Padre non ci ha lasciato soli ma ci ha fatto cercare: Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui. (cfr. Gv 3,16-17)

Solista Udite la lieta notizia, vi annunzio una grande gioia oggi è nato, carne della nostra carne, il Signore nostroGesù Cristo. Annunziatelo anche voi a tutto il mondo: un Virgulto è germogliato dalla radice di Iesse; è nato il Principe della Pace, il cui regno non avrà fine.

Lettore Lettura del profeta Isaia (11, 1-10) Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici. Su di lui si poserà lo spirito del Signore, spirito di sapienza e d’intelligenza, spirito di consiglio e di fortezza, spirito di conoscenza e di timore del Signore. Si compiacerà del timore del Signore. Non giudicherà secondo le apparenze e non prenderà decisioni per sentito dire; ma giudicherà con giustizia i miseri e prenderà decisioni eque per gli umili della terra. Percuoterà il violento con la verga della sua bocca, con il soffio delle sue labbra ucciderà l’empio. La giustizia sarà fascia dei suoi lombi e la fedeltà cintura dei suoi fianchi.

2222 DicembreDicembre20172017

Il lupo dimorerà insieme con l’agnello; il leopardo si sdraierà accanto al capretto; il vitello e il leoncello pascoleranno insieme e un piccolo fanciullo li guiderà. La mucca e l’orsa pascoleranno insieme; i loro piccoli si sdraieranno insieme. Il leone si ciberà di paglia, come il bue. Il lattante si trastullerà sulla buca della vipera; il bambino metterà la mano nel covo del serpente velenoso. Non agiranno più iniquamente né saccheggeranno in tutto il mio santo monte, perché la conoscenza del Signore riempirà la terra come le acque ricoprono il mare. In quel giorno avverrà che la radice di Iesse sarà un vessillo per i popoli. Le nazioni la cercheranno con ansia. La sua dimora sarà gloriosa.

Tutti Acclamate al Signore, voi tutti della terra, servite il Signore nella gioia, presentatevi a lui con esultanza.

Cel. È il giorno della nascita del nostro Salvatore, stabilita dall’altissimo Iddio prima della creazione del mondo, dallo Spirito preparata con sapiente amore. È il giorno della nascita temporale dell’eterna Luce, prefigurata dai Patriarchi, promessa dai Profeti, attesa da Israele, il popolo eletto, da tutto il cosmo ardentemente desiderato.

Tutti Riconoscete che il Signore è Dio egli ci ha fatti e noi siamo suoi, suo popolo e gregge del suo pascolo.

Quindi il celebrante o un lettore può dare l’annuncio del Natale

ANNUNCIO del NATALE

Da lunghi secoli dopo la creazione delmondo quando Dio all’inizio creò il cielo e laterra da lunghi secoli ancora dopo la disob-bedienza del primo uomo e dopo la purificazione della terra conle acque del diluvio 1850 anni dopo la chiamata di Abramo e la sua partenza sorretto soltanto dal-la fede senza alcun’altra umana sicurezza 1250 anni dopo la rivelazione delNome adorabile a Mosè nel fuoco del roveto ardente dopo la redenzione del popolo strap-pato alla schiavitù d’Egitto e la sua liberazione attraverso leacque del mar Rosso

e la sua lunga peregrinazione nel deserto nella grazia dell’alleanza 1000 anni dopo l’unzione del re David e la promessa del Messia 752 anni dopo la fondazione di Roma 587 anni dopo la caduta di Gerusalemme e la deportazione del popolo a Babilonia per la purificazione dei cuori attraverso l’esilio e la parola dei profeti 500 anni dopo il ritorno del «piccolo resto» e la ricostruzione del tempio di Gerusalemme 150 anni dopo le sofferenze dei martiri d’Israele sotto la dominazione ellenistica essendo i poveri del Signore nell’attesa in questi giorni che sono gli ultimi in cui si compirono i secoli della pazienza di Dio Quando venne la pienezza dei tempi essendo Cesare Augusto imperatore di Roma Erode re di Giudea, sotto il pontificato di Anna tutto l’universo essendo in pace nei giorni del grande censimento GESU’ CRISTO, DIO ETERNO E FIGLIO DELL’ETERNO PADRE volle santificare il mondo con la sua misericordiosa venuta SI FECE UOMO essendo stato concepito DALLA POTENZA DELLO SPIRITO SANTO NACQUE DALLA VERGINE MARIA a Betlemme di Giuda, la città di David. E’ LA NATIVITA’ DEL NOSTRO SIGNORE GESU’ CRISTO. Venite, adoriamo!

Canto del GLORIA PROCESSIONE CON L’IMMAGINE DI GESÙ BAMBINO Mentre il coro e tutta l’assemblea esultano cantando l’inno del Gloria, il celebranteincensa l’immagine di Gesù Bambino. La celebrazione eucaristica continua con laColletta.

*Direttore dell’Ufficio Liturgico diocesano

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Tonino Parmeggiani

PPartita sul fine del mesedi dicembre dell’anno 1747,dal porto cinese di

Canton, la squadra navaleinglese, composta da ben ottonavi, a causa delle ostilità bel-liche intercorse tra l’Inghilterrae la Francia che imponevano unaadeguata copertura militare aprotezione, dopo aver supera-to l’Isola di Giava, non senzamomenti di spavento per pre-sunte imboscate nemiche, si eraimbattuta in una violenta tem-pesta da cui, però, ne era usci-ta fortunatamente indenne.

[Cap. 40]“Anche la nostra Nave adunque sola soletta die-de le vele al vento: ed il dì 6. di Marzo passammoil tropico di Capricorno [si trova a 23° e mez-zo di latitudine]; ed uscimmo dalla zona torri-da, entrando nella temperata meridionale. Si avan-zò la Nave verso il mezzogiorno; passando ladirittura del Capo di buona speranza, sino a gra-di 41. [ad una certa distanza dal Capo, in quan-to lì le correnti sono molto forti], ove la staggioneera assai fresca. Cominciammo indi a fare il cammino versoSettentrione à poco à poco; ed il giorno 28. dibuonissim’ora fummo chiamati sopra, ovegiunto viddi una nuola [scritto male, leggi nuvo-la], qual chiamano tromba, che attraversa à seuna gran quantità di acqua, e quando questaebbe dato compimento alla sua operazione, l’ac-qua non attratta perfettamente, nel suo ricadere,formava una gran pioggia: stimarono che l’al-tezza di questa attrazione [un fenomeno dellanatura di certo impressionante] arrivar potes-se à 90. braccia [se braccia comuni, oltre 50metri di altezza]”.Superato quest’altro pericolo, appena tre gior-ni dopo, se ne prospetta un’altra di disavven-tura! “Il dì ultimo di Marzo sulla mattina, la guar-dia, che stà sull’albero, osservò ben da lungiuna Nave, ed in poche ore approssimandosi,fù stimata assai grande, e da guerra. Di più osservando con il cannocchiale il suo movi-mento, riconobbero, che veniva à dirittura [indirezione] ad investire la nostra, come era inrealtà. Fù tosto comandato dal Capitano, chefosse preparata la nostra alla difesa. Averesti veduto in un punto sconvolgersi il tut-to sossopra: alcuni sbarazzavano tutta la pri-ma corsia [un percorso longitudinale] della Nave,per potere con commodità caricare il Cannone:

altri preparavano polvere, e palle: prendeva-no gli uni tutti i letti, per farne parapetti sul bor-do: cavavano gli altri acqua, per tenerla preparatain occorrenza di fuoco: empirono in un momen-to tutta la coperta della Nave di archibusi [= archi-bugi], pistoni [= un’arma da fuoco portatile, madi grosso calibro], pistole, sciable [chiamate anchesciabole], uncini, ebastoni ferrati, apparatofù questo, che riempi-va di orrore! Mi diceva un mio Amico,da qui ad un’ora, quan-ti saranno morti di noi? Non sapevo ove nascon-dermi; mi spingeva lacuriosità lo stare sullacoperta, per osservarla battaglia; mi stimo-lava il timore à scendereda basso, per difesa del-la mia vita; ma essen-do la corsia di sotto tut-ta occupata, mi risolveifinalmente à ritirarmisopra la coperta [ilponte scoperto dellanave], dietro un granfascio di vele, che for-mavano un parapetto,ivi raccomandavo alSignore il mio spirito, casofosse stato quello perme l’ultimo mio giorno. Già erano tutti accintialla pugna; già siapprossimava l’altraNave; ed il Capitano

comandò, che fermata fosse la Nave e tosto ripie-garono quasi tutte le vele; indi impose a tuttisilenzio, acciò si udissero gli ordini; appressocomandò, che tutti si ponessero da quella par-te, che risguardava la Nave Nemica; ordinò altre-

Rotta marittima, seguita dalla squadra navale inglese nella risalita

dell’Oceano Atlantico, con i vari eventi riferiti nel racconto;

la ‘Nuova Carta dei Mari del Sud’ è dell’anno 1730:

si noti sulla destra una scala graduata della latitudine.

continua nella pag. 24

2424 DicembreDicembre20172017

sì, che con micci [= miccie] accesi alla mano,preparati fossero a dar fuoco al Cannone: quan-do ci pervenne l’altra Nave, e sparò un sol Cannonesenza palla; segno evidente, che chiedeva aju-to: si vidde poi, che calarono uno schifo [= unapiccola imbarcazione di servizio] sul mare; e duedi essi se né vennero à bordo della nostra: dicen-do, essere eglino Olandesi, che la passata tem-pesta gli aveva disalberati [avevano perso par-te dell’alberatura], e la lor nave, aver molto pati-to, che andavano in cerca del Capo di BuonaSperanza; ma che da quel giorno, in cui seguìla tempesta, sino a quell’ora, non risplenden-do chiaramente il Sole, non sapevano ove fos-se. Gl’Inglesi inventori di un moderno instrumento,col beneficio del quale riconoscono il sito, in cuisi trovano, ancorchè il sole non tramandi chia-ri i suoi raggi, sodisfecero alla domanda degliOlandesi; e gli uni, e gli altri ripigliarono il pro-prio Cammino”.

Probabilmente si trattava del moderno ‘Ottantedi Hadley’, che aveva soppiantato il ‘Doppio qua-drante’ e/o delle ‘bussole nautiche’.

[Cap. 41]“Il dì 10. di Aprile ripassammo il Capricorno, edentrammo altra volta nella Zona torrida; e ben-chè fosse caldo, in questo mio ritorno, ne spe-rimentai la metà del calore, da me provato nel-l’andare à Cina. Il vento era assai fresco, sic-chè il dì 17. [di aprile 1747] arrivammo all’ Isoladi S. Elena, situata a gradi 16. di Latitudine meri-

dionale”.L’isola ha una superficie di circa 122 Kmq, scar-samente abitata, ma di grande importanza stra-tegica come scalo, al centro dell’OceanoAtlantico, per le navi che facevano rotta con l’Oriente,essendo per la sua orografia una vera fortez-za nel mare. “Trovammo nel porto giunte avanti di Noi le Navidel Capitan Altan, e del Capitan Becher; sicchèarrivò la nostra in terzo Luogo; salutò laFortezza, e questa ci rese il saluto: era il mar-tedì di Pasqua, ed il mercoledì scendemmo aterra. È questa una piccola Isoletta, dalla natu-ra resa inespugnabile, perchè d’intorno intornohà precipizij di montagne; non vi è entrata, senon avanti il porto, ma questo passo è fortifi-cato dall’arte [militare], avendo buone muragliecon trè fila di Cannoni. Entro vi si vede una bel-la piazza, ove è l’abitazione del SignorGovernatore, ed immediatamente entrammo in

essa, per riverirlo; ci accolse veramente con ognicortesia immaginabile, interrogando ognuno inparticolare, e nella lor rispettiva Lingua, e cì riten-ne a desinare per quella mattina. Dopo il pranzo, facemmo ricerca di un’ alloggio,in questo venne subito à riverirmi il Signor Virthamon,e mi esibì tutto quello, di cui avessi avuto neces-sità, fintantochè non fosse stato portato à ter-ra il mio baulle; lo ringraziai della cortesia, e conesso mi portai à riverire Monsignor Martilliat [entram-bi missionari, già incontrati ed anch’essi fuggi-ti dalla Cina, imbarcati sulla nave del Capitan

Altan], da me allora veduto per la prima voltacamminare colle stampelle [sapevamo che si erarotto una gamba sulla nave, investito da un can-none!]. Dopo di noi giunsero à salvamento le altre Navicò Lor Capitani; a riserva del Capitano Congre,quale manegiando il suo archibuso, supponendoloscarico, questo sparò, e gli pose una palla nelventre, e ne uscì: a questo successe per Capitanoil primo Piloto. Diecinove giorni riposammo in questo Luogo,in cui si providde la nostra Nave di acqua, pochelegna, e otto bovi. Il Luoghetto [un piccolo abi-tato] è assai vago, e consistente in una stradaben larga, ed hà buone abitazioni: benchè siasi vicino alla Linea equinoziale, pure vi è mol-to fresco, tirando continuamente vento, e sem-pre regolato; cioè sei mesi da mezzogiorno, edaltri sei da settentrione, questo fa che non ci siamai, né troppo caldo, né molto freddo. Vi è un bel giardino, che appartiene alla Compagniadè Mercanti della Flotta Inglese [Compagnia del-le Indie Orientali]: vi è un buon capo d’acqua[una sorgente, alimentata dalle colline, era la con-dizione necessaria per l’esistenza di un abita-to e del forte militare, altrimenti impossibile], uni-co ogetto, per il quale ritengono quest’Isola, evi fanno tanta spesa per mantenerla. Non vi siodono mai tuoni; né vi regna il vajolo.A’ riserva di pochi animali, come vacche, qual-che porco, gallinacci, e galline, vi è necessitàdi tutto: legna poche, niente affatto di grano, vino,e sale. Le Navi portano tutto il necessario pertrecento persone in circa, poiché più non vi dimo-rano. Cuociono una certa specie di tartufi sul-le bragie, e li mangiano in mancanza del pane,quale per altro l’hanno portandovi la farina gliInglesi: bevono ò acqua, ò poncia [= punch oponcie, bevande alcoliche], e di rado veggonoil vino. In tutto il tempo dell’anno vestono alla sempli-ce, ritirati né Loro tugurij entro le valli dell’Isola;al solo arrivo delle Navi, tempo (per così dire)di mercato, e di fiera per Loro, se ne vengonoalle [dalle] lor case in questo Luoghetto vicinoal porto [era l’unica parte pianeggiante dell’isoladi fronte all’attracco delle navi]. Sono le persone di vago aspetto, e stanno nel-le Lor case con tutta proprietà durante il tem-po sudetto: ma la spesa del vitto è intollerabi-le, vi vuole almeno uno scudo al giorno, se vole-te stanza, e mangiare; con questo però, che ènecessario, che da voi vi provediate di pane, edi vino. Fuori dello spasso del giardino, per noinon vi era alcun divertimento, ondè cominciò arendersi nojosa si lunga dimora.

“Descrizione dell’Isola di S. Elena” del 1815:

1) Collina, 2) Picco, 3) Batteria sul pendio, 4) Fort Munden’s,

5) Collina Rupert’s, 6) Approdo, 7) Gru per le merci,

8) Confine proprietà Governatore, 9) Casa del Governatore,

10) Scala sulla collina, 11) Rocce ad owest, 12) Fortezza Knoll.

Si notino: le bandiere inglesi sulle navi e sulle fortezze, i

collegamenti stradali sulle colline, anche con scale,

l’abitato si sviluppa dalla baia verso la vallata che si estende

all’interno.

La Fortezza Knoll che sovrasta l’Isola, oggi.

segue nella pag. accanto

2525DicembreDicembre20172017

Il quinto giorno di Maggio, consegrato agli ono-ri del Nostro S. Pio Quinto [Antonio Michele Ghislieri,dello stesso Ordine dei Predicatori, morì il 1°maggio 1572 e la sue festa liturgica venne sta-bilita il 5 maggio], il Signor Capitano Comandantedella Fortezza, e Governatore invitò à banchetto

tutti i Capitani, Uffiziali, e Passaggieri di otto navi;poiché alle nostre sette, si aggiunse altra pro-veniente da Bancul nell’India, carica di droghe[era la nave mercantile]. Era un bel vedere una sì Lunga mensa, dispo-sta in una sola ben’ ornata, e ben fresca, sullesponde del mare. Diedero il primo Luogo a MonsignorMartilliat, indi a noi trè Sacerdoti, ponendosi essipoco men che alla rinfusa. Dopo il lauto pran-zo, imbandito di carni assai buone, che ivi si crea-no, il Signor Governatore chiamò nella sua Camerai sol Capitani, e Loro Lesse gli ordini della Loropartenza; la strada che dovevan tenere, ed il por-to in cui dovevano ancorare, giunti che fosse-ro alle Loro terre. Fù fatto tuttociò con tanta secretezza, che nonsi potè mai con certezza sapere, se non quan-do il fatto ci scoprì la verità”. Così, dopo esser-si gli equipaggi riposati sia nel corpo che nellospirito - erano quattro mesi e mezzo che era-no in viaggio - terminati gli opportuni rifornimenti

delle navi, tutta la squadra ingleseall’indomani, il 6 maggio 1747, sciol-se le vele alla volta del nord ma, anco-ra una colta, si preannunciava unpericolo: il possibile incrocio con navimilitari francesi, cosa che di certoera più probabile risalendo l’Atlanticoin vista dell’Europa!

[Cap. 42] “Avvicinandosi la sera, si ritiraronotutti né loro respettivi vascelli, né qua-li appena giunti, ci diè il buon viag-gio la Fortezza [la Fortezza Knoll]collo sparo di 27. Pezzi di Cannone,

se mal non mi ricordo; alla Fortezza rispose unasola delle nostre con pochi tiri; e la mattina appres-so [il 6 maggio 1747] spiegarono le vele al ven-to, e se n’andammo ordinariamente; per far resi-stenza [predisponendosi le navi ad una forma-zione strategica per la difesa da eventuali attac-chi] ad ogni incontro di Vascelli Francesi: Andavamoin forma di un quadrato [in realtà era di un rom-bo, con il primo vertice occupato dalla

Comandante del Cap.Ghilbert], sola prece-deva la Comandante,formando il primoangolo; appressoseguivano due altre conlarga proporzione;cioè al nostro Lato drit-to il Capitan Altan, edal sinistro il CapitanBecher: dopo queste,se ne venivano duealtre, assai più slargatefrà loro, formandoaltri due angoli dimezzo,: cioè il drittoera tenuto dal CapitanChente, ed il sinistrodal Capitan Encoch:

’altre due si restringevano, come le prime due,ed a man dritta viaggiava il capitano provenientedall’Indie, ed a man sinistra il nuovo Capitanosucceduto al Congre [deceduto]: chiudeva in finequesto quadrato, formando il quarto angolo [quel-lo che chiudeva la squadra], il Capitan Lassar;e questo reputasi il secondo Luogo [posizionenella disposizione difensiva], dopo la comandante. Con vento sempre regolato passammol’Equinoziale [=l’Equatore] il dì 16. di Maggio;ed avemmo il sole a perpendicolo il dì 31. [a gra-di 21 di latitudine] ed il giorno primo di Giugnopassammo il Tropico del Cancro, sicchè uscim-mo dalla zona, avendo sperimentato pochissi-mo calore; ed entrammo nella nostra parte tem-perata. Seguitò a soffiare questo vento regola-to sino a gradi 28. di Latitudine Settentrionale,e poi mancò, e si andava molto adagio, essen-do fin giunti a camminar sole 13. Miglia in 24.Ore. Il dì 13. di Giugno, essendo a gradi 31. diLatitudine Settentrionale, fù preso un Delfino,quale non era secondo le favole, che si raccontano,ma come gli altri pesci, lungo due braccia [menodi un metro e mezzo]; il più largo del corpo era

di un palmo, ed aveva quattro piccole alette, cioèdue à fianchi, e due quasi sotto il corpo, e tut-te quattro molto vicine al capo; la sua coda erabipartita: fù mangiato, ed era di un’ottimo gusto. Il dì 15. eravamo a gradi 33., e fù veduto un Brigantino[un veliero di modeste dimensioni]; le Nostre Navia vele gonfie, e bandiere spiegate lo insegui-vano, per udire qualche nuova di Europa: maquelli spaventati dal vedersi inseguiti da otto navi,approfittandosi del vento, se ne fuggirono, e nonvollero mai porre bandiera. Quando ci trovammo a gradi 34. principiò il bra-mato vento Ovest, quale era per noi assai a pro-posito, perché cì ritrovammo molto vicinoall’America, rimpetto alla Virginia: è vero, cheavevamo ciò fatto espressamente per non imbat-tersi con Legni Francesi [cercando di passareal largo il più possibile dalla costa europea]; maancora è vero, che molto fummo ivi spinti dalvento. Dà gradi 21. sino a gradi 35., cioè dal dì31. Maggio, sino à 17. di Giugno era la super-ficie del mare ricoperta (non però continuamente,e colla medesima moltitudine) di alcuni fiori, asso-migliansi ad un gran grappolo di uva, allorchèquesta è piccolina; dicono; che vengono dettifiori dà Lidi della terra Florida [la colonia più asud], che resta trà la nuova Spagna [ilVicereame che si estendeva dal Messico ai pae-si caraibici], e la Virginia. In questi giorni avevamo vento molto gagliar-do, e facevamo il cammino tanto vicinoall’America, che non si viddero né l’Isole di CapoVerde, né le Canarie, anzi neppure l’Isole Asorie[= Azzorre]; ma passammo trà queste, el’America, molto vicino alla Terra degli Inglesi,detta terra nuova [l’Isola di Terranova], e teme-vamo molto, che volessero andare Là à pren-der porto, per aspettare il convoio [un convo-glio] di qualche Vascello da guerra Inglese; maper grazia del Signore, il nostro timore riuscì vano.Alli 24. di Giugno, essendo à gradi 42., che valea dire all’altezza di Roma, e poco più, comin-ciò a farsi sentire il freddo Settentrionale, qua-le veniva sempre crescendo a misura che anda-vamo approssimandoci verso il polo. Aì 26., citrovammo entro una nebbia sì folta, che non vede-vamo le Navi Compagne, benchè vicine: giun-ta la notte, per timore, che niun Vascello inve-stisse l’altro, continuamente la nostra Comandantetirava un colpo di Cannone, e le altre gli rispon-devano, perché se erano vicine si scostasse-ro, se lontane, noi aspettavamo quelle. Nonostante tutte queste diligenze, nella nostra,essendosi accavallato il canapo del governale,o sia della rota del timone, andava la nostra Navead investire quella del Capitan Becher, che resta-va alla nostra sinistra; e per quanto dissero, ecertificarono [= rassicurarono], poco ci mancò,che battendosi assieme, non ci annegassimotutti, essendo che il vento era molto gagliardo”.Ancora una volta la Divina Provvidenza li ave-va assistiti, in questo viaggio verso il nord chetoccherà, come vedremo, il 6 luglio 1747, i 60°di latitudine: avevano oltrepassato l’Inghilterra!

continua

L’approdo e la vallata oggi: ancora evidenti il

giardino e la casa del Governatore.

Mappa dell’Isola del 1739, con evidenziate le

valli all’interno.

2626 DicembreDicembre20172017

IIn questa fausta occasione della celebrazione della festa delnostro Patrono Diocesano, san Clemente, noi festeggiamoun grande Cristiano, Sacerdote, Vescovo e Martire. Come

la Chiesa prega nell’orazione colletta, San Clemente “testimo-niò con il sangue il mistero che celebrava e confermò con la vital’annunzio del Vangelo”. Anche noi siamo chiamati, come cri-stiani, a seguire Gesù, a vivere il Vangelo, ciascuno secondo lapropria vocazione e missione nella Chiesa e nel mondo. San Clemente era un grande Santo. Anche noiabbiamo la vocazione alla santità.Riflettiamo, perciò, sulla voca-zione universale alla san-tità, che è propria diogni battezzato.

La Vocazione alla

Santità è per tutti.

Il Concilio VaticanoSecondo insegna questaverità fondamentale: “IlSignore Gesù, maestroe modello divino di ogniperfezione, a tutti e a cia-scuno dei suoi discepo-li di qualsiasi condizioneha predicato quella san-tità di vita, di cui egli stes-so è autore e perfezio-

natore: “Siate dunque perfetti come è perfetto il vostro Padreceleste” (Mt. 5,48). Mandò infatti a tutti lo Spirito santo, che limuova internamente ad amare Dio con tutto il cuore, con tuttal’anima, con tutta la mete, con tutte le forze (cfr Mc. 12,30), ead amarsi a vicenda come Cristo ha amato loro (cfr Gv. 13, 34;15, 13)” (Lumen Gentium, 40). La santità, perciò, è la perfezio-ne della carità, dell’amore di Dio e dell’amore del prossimo. Chiunqueama Dio e ama il prossimo è santo.

I Martiri sono

Santi modelli

Tra i Santi, pensiamoin luogo ai martiri.Sono quei Santi che,come San Clemente, han-no dato la vita per Cristo,

per il Vangelo, o per ilprossimo, fino all’ef-

fusione del san-gue. I mar-tiri hannosegui tol’esempiodel mae-stro Gesùche dis-

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se agli apostoli: “Nessuno ha un amore più grande di questo:dare la sua vita per i propri amici” (Gv 15,13). Gesù ha fatto pre-cisamente questo. E i martiri l’hanno imitato. “Perciò il martirio”,dice il Concilio Vaticano Secondo, “col quale il discepolo è resosimile al suo maestro che liberamente accetta la morte per lasalute del mondo, e col quale diventa simile a lui nella effusio-ne del sangue, è stimato dalla Chiesa come dono insigne e supre-ma prova di carità. Ché se a pochi è concesso, tutti però devo-no essere pronti a confessare Cristo davanti agli uomini e ai seguir-lo sulla via della croce durante le persecuzioni, che non man-cano mai alla Chiesa” (Lumen Gentium, 42).

Tutti i battezzati sono chiamati alla santità

Solo alcuni cristiani sono chiamati alla corono del martirio. Maogni battezzato è chiamato alla santità. Il Concilio Vaticano Secondonon poteva essere più chiaro: “Tutti coloro che credono nel Cristodi qualsiasi stato o rango, sono chiamati alla pienezza della vitacristiana e alla perfezione della carità e (che) tale carità e talesantità promuove nella stessa società un tenore di vita più uma-no” (ibid 40). “Nei vari generi di vita e nei vari compiti una uni-ca santità è coltivata da quanti sono mossi dallo Spirito di dioe, obbedienti alla voce del Padre e adorando in spirito e veritàDio Padre, camminano al seguito del cristo povero, umile e cari-co della croce, per meritare di essere partecipi della sua gloria”(ibid 41).Segue come conclusione necessaria che ogni cristiano è chia-mato alla santità e che questa pienezza della vita cristiana nonè riservata a vescovi, o sacerdoti, o religiosi/religiose. Tutta lavita cristiana è una chiamata a seguire Gesù. Il cristiano deve distinguersi con la sua vita, con la sua conver-sazione, il suo modo di comportarsi come marito o moglie, nelsuo modo di esercitare la sua professione di medico, di avvo-cato o di commerciante, o nel suo comportamento da politico.Ecco, per esempio, ciò che il Concilio Vaticano Secondo inse-gna sulla gente sposata, sui lavoratori e sui poveri nell’eserci-zio della santità.“I coniugi e i genitori cristiani, seguen-do la loro propria via, devonosostenersi a vicenda nella fedel-tà dell’amore con l’aiutodella grazia per tutta lavita, e istruire nella dot-trina cristiana e nelle vir-tù evangeliche la prole,che hanno amorosa-mente accettata da Dio. Così infatti offrono a tutti l’e-sempio di un amore instanca-bile e generoso, edificando lacarità fraterna e diventando testi-moni e cooperatori della fecon-dità della madre Chiesa, in segnoe partecipazione di quell’amo-re, col quale Cristo amò la suaSposa e si è dato per lei� Quelli poi che sono dedicati alavori spesso faticosi, devono conle opere umane perfezionare

se stessi, aiutare i concittadini e far progredire tutta la societàe la creazione verso uno stato migliore; devono infine con cari-tà operosa, imitare Cristo, le cui mani sin esercitarono in lavo-ri manuali e il quale sempre opera con il Padre alla salvezza ditutti�. Sappiano che sono pure uniti in modo speciale a Cristo soffe-rente per la salute del mondo quelli che sono oppressi dalla pover-tà, dalla infermità, dalla malattia e dalle varie tribolazioni, o sof-frono persecuzioni per la giustizia: il Signore nel Vangelo li haproclamati beati” (Lumen Gentium, 41). Fratelli e Sorelle in Cristo, preghiamo Maria Santissimi, Madredelle Grazie, di ottenere per tutti noi la grazia di essere anima-ti dall’esempio di San Clemente, Martire, e di rispondere, cia-scuno di noi secondo la propria vocazione e missione, alla chia-mata alla santità.

Francis Card. Arinze23 Novembre 2017

Nelle immagini:

1) L’affresco che si trova nella basilica di san Clemente in Roma, descri-

ve la traslazione da San Pietro alla Basilica di San Clemente del cor-

po del Santo papa e martire che i fratelli Cirillo e Metodio avevano ripor-

tato dalla Crimea, da un affresco dell’XI secolo. I due fratelli accom-

pagnano il corpo del santo con il Papa in mezzo a loro, ma l’artista indi-

ca il Papa come Nicolò sbagliando nome perché in realtà fu Papa Adriano

II a ricevere i missionari.

2) Nel registro superiore l’affresco raffigura un miracolo leggendario com-

piuto da san Clemente. Secondo la tradizione Clemente era stato mar-

tirizzato gettandolo in mare con un’ancora legata al collo e qualche tem-

po dopo le acque si erano ritratte scoprendo una tomba costruita dagli

angeli. Da allora una volta l’anno la marea defluiva e la tomba di san

Clemente poteva essere vista.

In una di queste occasioni la donna che è qui raffigurata si era recata

alla tomba per venerare il santo, ma, al sopraggiungere della marea,

era tornata sulla ter-

ra ferma dimentican-

do il suo bambino

addormentato presso

la tomba. L’anno dopo,

al tempo del pelle-

grinaggio, era torna-

ta e, nel momento in

cui le acque deflui-

scono, aveva ritrovato

il bambino vivo vici-

no alla tomba di san

Clemente. Si vedono

chiaramente, nell’af-

fresco, i pesci che nuo-

tano intorno alla tom-

ba che aveva mira-

colosamente protet-

to il bambino per l’in-

tercessione di san

Clemente.

2828 DicembreDicembre20172017

don Antonio Galati

IIl terzo venerdì di novembre, come al solito, il clero della nostra Chiesaha vissuto la sua giornata di ritiro mensile e durante questa abbia-mo continuato a riflettere sul processo dell’iniziazione cristiana e

come, quello che è emerso al convegno, interroga i presbiteri, comeresponsabili delle comunità parrocchiali.In questa direzione, il sottoscritto ha cercato di riportare ai confratelliuna parte delle riflessioni fatte il mese scorso su Ecclesia, sempre par-tendo da quello che è emerso al convegno, sottolineando di nuovo comesia possibile interpretare la situazione contemporanea alla luce di quel-la dei primi secoli della Chiesa, sollecitando a guardare al quel perio-do per comprendere, non tanto quali strumenti erano utilizzati per la tra-smissione della fede (perché ciò risulterebbe anacronistico), quanto gliatteggiamenti con i quali la Chiesa si poneva a vivere nel mondo.Questi si possono sintetizzare con la categoria “credibilità”: in effetti solouna comunità cristiana credibile e coerente con se stessa può esserein grado di interrogare seriamente le persone e metterle di fronte allanecessità di confrontarsi con il Vangelo e quindi, anche, orientare l’e-ducazione dei propri figli nella direzione di una vita cristianamente inte-sa, con tutto quello che ciò comporta. È ciò che è successo all’iniziodella storia della Chiesa, ed è ciò che deve succedere di nuovo oggi.Ma, affinché ciò sia fattibile, la Chiesa deve saper incarnare, durantetutta la storia, ma in maniera particolare il questo periodo, le figure evan-geliche del Buon Samaritano e del Cireneo: ciò significa entrare nel-l’ottica di una Chiesa che sappia accompagnare il mondo, che si cari-ca sulle spalle le fatiche e le ferite del malcapitato e del condannato amorte. Non tanto quindi un sancire con la condanna, dall’alto di un pul-pito, gli errori e i peccati della società, quanto un aiutare a correggeretali errori e tali peccati mettendosi accanto, facendo il percorso insie-me. Ciò permette di affiancarsi alla società e aiutarla ad andare in unadirezione piuttosto che in un’altra. Questo è sicuramente più lungo e difficile, che non dare subito una sen-tenza sperando che la paura dell’inferno e della condanna facciano cam-biare idea, ma è sicuramente più efficace, perché: anche lì dove la pau-ra della condanna ha i suoi effetti, questi potranno facilmente svanirenel momento in cui finisce la paura; lì, invece, dove la decisione di vita

è scelta in forza di una condivisione di valori e di idee, questa perdu-rerà sicuramente di più.Ciò, si vede, non è direttamente collegato al compito dell’educazionealla vita cristiana, ma, come già detto, permette alla Chiesa di recupe-rare quella credibilità che poi potrà “giocarsi” anche nell’educazione allavita cristiana: una Chiesa credibile è anche più convincente, specie sesa comprendere le difficoltà che le persone debbono affrontare.Su questa linea di riflessione, poi, p. Vincenzo Molinaro ha continuatola mattinata del ritiro del clero, ricordando che uno, e forse l’unico impor-tante, dei modi che la Chiesa ha per essere presente nel mondo di oggi,cercando di essere anche convincente e credibile, è quello di riscopri-re la sua dimensione missionaria, anche in quei luoghi e quelle socie-tà che già conoscono il fenomeno cristiano. In effetti, il missionario, quando si trova per le prime volte in “terra dimissione”, vive semplicemente il suo essere cristiano, e da questa fedee da questi valori si lascia guidare e opera, in primis con quelle operedi carità e di risposta ai bisogni più essenziali che caratterizzano ognimissione cristiana. Ciò permette alle persone che ha intorno di doman-darsi il perché di tale atteggiamenti, e questo fa sì che il missionarioabbia la possibilità di parlare di Cristo e della sua opera salvifica e dicome questa dà senso alla propria vita e la motiva.Tutto questo permette, inoltre, di dare delle risposte a due domandeche, all’inizio di questo processo di riflessione per il rinnovamento del-l’iniziazione cristiana, si pongono necessariamente: cosa c’è da cam-biare? È necessario farlo?Alla prima si può rispondere facilmente: c’è da cambiare il modo concui le comunità cristiane vivono nel mondo. Non è tanto, quindi, unaquestione di cosa fare, di percorsi di iniziazione da reinventare, ma è,principalmente, la necessità, da parte dei cristiani, di riprendere con-sapevolezza di essere una comunità di credenti, e non solo una som-ma di singoli fedeli, e che vivere la comunità non può essere il ridursia vedersi una volta a settimana, la domenica a messa. Essere comu-nità significa sentirsi parte di un insieme e anche quando non vedo fisi-camente le altre membra della comunità so che ci sono, e che, agen-do personalmente, agisco anche a nome loro e per loro.Alla seconda domanda, invece, bisogna rispondere con dipende. Nonè necessario cambiare per il solo fatto di cambiare, ma è importantefarlo se ciò può aiutare altri, fosse solo una persona in più, a (ri)sco-prire i valori cristiani e a sceglierli come propri e a viverli.

2929DicembreDicembre20172017

DDomenica 26 novembre nella cornice litur-gica della Solennità di Cristo Redell’Universo, nella cattedrale di San

Clemente in Velletri, S.E. Rev.ma Mons.Vincenzo Apicella ha conferito il sacramento dell’Ordinenel suo primo grado ovvero il Diaconato, in que-sto caso permanente, a tre candidati da tempoimpegnanti nella vita ecclesiale diocesana, spo-sati e attivi nella loro professione. Si tratta di:

BARONI GIUSEPPE nato a Colleferro nel 1964,residente a Segni; coniugato con la Sig.ra NennaLetizia e padre di tre figli: Alessandro, Diletta,Francesco. Appartenente alla parrocchia di S.Maria degli Angeli in Segni.ORSINI ANDREA nato a Roma nel 1965, resi-

dente ad Artena; coniugato con la Sig.ra AnnaPaola Carnevale e padre di Francesca Teresa.Appartenente alla parrocchia di S. Maria di GesùTARTAGLIA MASSIMO nato a Velletri nel 1964,residente a Velletri; coniugato con la Sig.ra CaliciottiDoriana e padre di Jamine. Appartenente allaparrocchia Cattedrale San Clemente I P. e M.La celebrazione ha visto la partecipazione di tut-ti i Diaconi, di molti sacerdoti diocesani e non,

e di molti religiosiproveniente da luoghilontani dalla nostra dio-cesi legati per diver-si motivi ai candidati.

Il popolo di Dio era mol-to numeroso, attento epartecipe.Mons. Apicella rimanendonel solco tracciato dal-la liturgia della Parola

della solennità di Cristo Re dell’Universo , nel-la sua omelia, ha sottolineato come il ministe-ro specifico del Diacono sia il servire la Parolaanche attraverso la Carità verso i fratelli e inparticolare verso coloro che sono nel bisogno. Vocazione, a cui il vangelo ci ha tutti richiama-to: saremo giudicati sulle nostre scelte nel segui-re Gesù sulla via dell’amore. S. E. ha colto l’oc-casione per ricordare come queste opere sia-no state scolpite sulla Porta Santa dellaCattedrale, recentemente collocata nell’ AnnoGiubilare della Misericordia, come monito pertutti uomini di buona volontà.

n.d.r.

3030 DicembreDicembre20172017

mons. Franco Fagiolo

OOgni anno, nel mese di novembre, pri-ma della Solennità di Cristo Re, Segnicelebra la Festa del Voto in onore di

Maria, la Vergine Addolorata. Per la cessazio-

ne del colera (estate 1854), attribuita all’inter-cessione della Madonna, il Municipio della cit-tà di Segni con il consenso di tutti i cittadini feceun voto per esprimere gratitudine alla VergineAddolorata. Dai documenti conservati nell’Archivio Diocesano,il voto consisteva nel “trasporto dell’immaginedell’Addolorata dalla Chiesa del Gesù alla Cattedrale,

in preghiere e pii esercizi per set-te giorni continui (il settenario), neldigiuno e astinenza il sabato di quel-la settimana”. Ancora oggi il popo-lo di Segni è fedele a questo impe-gno.Quest’anno, l’inizio del Settenarioè stato particolare: SolenneConcelebrazione presieduta dalnostro vescovo Mons. VincenzoApicella, concelebranti Mons.Lorenzo Loppa vescovo di Anagni-

Alatri, Mons. Luigi Vari arcivescovo di Gaeta,Mons. Leonardo D’Ascenzo arcivescovo elet-to di Trani-Barletta-Bisceglie.Da tempo, d’accordo con il nostro Vescovo, sipensava di vivere un momento forte di preghierainsieme con i Vescovi nativi di Segni. Quale occa-sione migliore dell’inizio del Settenario? Poi, asorpresa, nei primi giorni di novembre, è sta-ta resa nota la nomina di Don Leonardo chenon ha potuto dire di no a partecipare.Don Leonardo non è nato a Segni, ma subitodopo l’ordinazione sacerdotale ha svolto a Segniil suo impegno pastorale come vice parroco del-la Concattedrale.È stato un momento bello, forte, emozionan-te; un ritorno in famiglia, come ha sottolineatoil nostro vescovo nell’omelia. Non solo una bel-la cerimonia, un evento eccezionale, ma unafesta vissuta con grande fede, onorando la VergineAddolorata, per continuare a trasmettere ai segni-ni di oggi i grandi valori dell’impegno di vita cri-stiana.

3131DicembreDicembre20172017

Stanislao Fioramonti

IIl primo atto del processo di beatificazionee canonizzazione di suor Maria Lilia di GesùCrocifisso, fondatrice delle Sorelle Terziarie

della Divina Provvidenza (Suore Pie Operaie),attive dal 1920 nella diocesi di Segni (Gavignano,Segni Scalo e Segni Città, Colleferro, Montelanico),è stato celebrato venerdì 10 novembre 2017 alleore 17, 00 nella Sala Capitolare della Concattedraledi Santa Maria Assunta in Segni, con la riunio-ne del Tribunale diocesano presieduto dal vesco-vo di Velletri-Segni mons. Vincenzo Apicella.Il vescovo in apertura ha esortato tutti, ufficialie invitati, a elevare una preghiera a Dio perchétutto si svolgesse fedelmente, nella ricerca del-la Verità e della Giustizia, e quindi ha intonato

il “Veni Creator Spiritus” chiedendo per tutti l’as-sistenza dello Spirito Santo. A questo scopo inparticolare il Vescovo e gli altri membri del Tribunalecon la Postulatrice hanno quindi recitatol’“Adsumus”, una preghiera perché la loro atti-vità di ricerca sia sempre guidata non dai con-dizionamenti umani ma dalla legge divina.Successivamente la dott.sa Lucia Trinchieri,Postulatrice della causa di beatificazione di SuorMaria Lilia, ha presentato al Vescovo il mandatoprocuratorio e ha tracciato un breve profilo bio-grafico della religiosa, chiedendo formalmentel’apertura del processo di inchiesta diocesanasulla vita, virtù e fama di santità della Serva diDio. Il Vescovo ha poi ispezionato e presenta-to ai membri del Tribunale ecclesiastico il man-dato, lo ha dichiarato legittimo e ha ordinato al

Notaio attuario, donFranco Fagiolo par-roco dellaConcattedrale diSegni, di leggere ildecreto di costitu-zione del Tribunale.Si è proceduto quin-di ai giuramenti, isacerdoti toccan-dosi il petto, laPostulatrice in ginoc-chio, i membri lai-ci toccando i Vangeli.Ha giurato per pri-mo i l VescovoApicella, poi il Giudicedelegato don Natale

Loda, il Promotore di giustizia don Teodoro Beccia,il Notaio don Fabrizio Marchetti. E’ stato poi ilturno dei quattro membri della commissione sto-rica, due sacerdoti - il Presidente della commissionestessa don Luciano Lepore, parroco di SantaBarbara a Colleferro e don Antonio Burattini par-roco di Castellazzara, il paese natale di SuorMaria Lilia - e due laici, Francesco Canali di Gavignanoe Stanislao Fioramonti di Valmontone, che han-no accettato l’incarico offerto dal Vescovo giu-rando di svolgere con coscienza il proprio man-dato e di mantenere il segreto istruttorio. Infine ha giurato, genuflessa, la Postulatrice, chepoi ha presentato al Tribunale l’elenco dei testi-moni da lei chiamati a deporre nel processo, chesaranno in seguito interrogati dal Promotore digiustizia.Il Giudice delegato ha dichiarato che le sessionisi terranno nel tempo sia nell’aula capitolare del-la Concattedrale di Segni che presso la catte-drale di Velletri e ordina al Promotore di giusti-zia di preparare gli interrogatori. La prima sessione del processo informativo perla beatificazione di Suor Maria Lilia si è conclusacon la lettura del Verbale, che tutti hanno sot-toscritto, e con una preghiera finale. Al termine della cerimonia il sig. Mario Manciocchidi Colleferro, Presidente dell’Associazione di fede-li “Maria Lilia” che ha promosso l’apertura di que-sto processo, ha letto un breve indirizzo di salu-to e di ringraziamento al Vescovo e a quanti dedi-cano il loro impegno per questo scopo e ha invi-tato i partecipanti, tra i quali alcuni parenti del-la Suora Serva di Dio, a un rinfresco beneau-gurante.

3232 DicembreDicembre20172017

Stanislao Fioramonti

RRendinara è una delle frazioni di Morino,paese della media Valle Roveto in Abruzzo,ma ecclesiasticamente in diocesi di Sora,

come tutta la valle. Sorge alla sinistra orogra-fica del fiume Liri nato pochi km più a monte,a Petrella Liri frazione di Cappadocia. Ha appe-na 145 abitanti e sta a 904 metri di quota sot-to i monti Ernici (Ginepro m. 2004, Brecciarom. 1885, Pizzo Deta m. 2041, raggiungibile incirca 3 ore per l’affascinante Vallonedel Rio). Le montagne sono infat-ti la vera ricchezza e la bellez-za di Rendinara; non è lonta-na (nell’altra frazione La Grancia)una delle emergenze naturali piùbelle della zona, la cascata diZompo lo Schioppo con il suoantico santuario della Madonnadel Caùto, mentre dall’altroversante della valle c’è la SerraLunga e le prime cime del ParcoNazionale d’Abruzzo, Lazio eMolise (PNALM).Rendinara è molto suggestivaper la posizione e l’ambiente incui è inserita ed è un piaceregirarla in tutta la sua lunghez-za, parcheggiando all’inizio del

paese e arrivando fino all’eremo di S. AntonioAbate, all’imbocco del Vallone del Rio, alla pine-ta accanto da dove si gode una bella vedutad’insieme dell’abitato, all’altura della “chiesa spal-lata” dove una grande croce di ferro che di not-te si illumina ricorda i 67 rendinaresi morti il 13gennaio di cento anni fa per il terribile terremotomarsicano. Contemplato il magnifico panorama su tutta lavalle, da Balsorano a Capistrello, si torna in “cen-tro” per visitare la chiesa parrocchiale (ci si pro-curano le chiavi dai vicini, se fosse chiusa) eper vedere il corpo del santo patrono del luo-

go, il monaco benedet-tino S. Ermete fuggito daMontecassino a causa diuna invasione “barbari-ca” e rifugiatosi tra que-ste montagne come ere-mita. Ricordiamo che le primedue gravi distruzioni diMontecassino (assimilabilialle “invasioni barbariche”di cui parla la leggendadella fuga di S. Ermetedall’archicenobio) sonostate quelle operate daiLongobardi nel 577(secolo VI) e dei Saraceninell’883 (secolo IX); è for-se da quest’ultima che l’e-remita di Rendinara puòessere fuggito?Egli è il compatrono diRendinara insieme a S.Giovanni Battista, comeriferisce un martirolo-gio in pergamena data-to 1308 e conservatonell’Archivio della Certosadi Trisulti (Collepardo, FR).La sua santità, con ogniprobabilità, è stata pro-

clamata dal popolo per vox populi, vox Dei. Di origine incerta, forse francese, S. Ermete sareb-be vissuto intorno al X-XI secolo; questo alme-no si deduce da una preziosa bolla trovata nel-l’urna alla ricognizione della salma, custodita all’in-terno della nuova chiesa di San Giovanni Battista. E’ festeggiato in tre giorni: il 31 dicembre datapresunta della morte; il 9 luglio a ricordo dellatraslazione delle reliquie avvenuta il 9 luglio 1798;e il 21 agosto che non indica una ricorrenza par-ticolare ma rientra nelle festività patronali.Secondo notizie riportate dagli operatori del Servizio

continua nella pag. accanto

S. Ermete di Rendinara,

monaco benedettino

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Civile Nazionale appar-tenenti al progetto“Culturando nella Valle”della Comunità MontanaValle Roveto e ripre-se dalla tradizionelocale, “S. Ermetenacque in una cittadi-na della Francia meri-dionale chiamataBologne. All’età didiciassette anni abban-donò amici e parenti es’incamminò versol’abbazia diMontecassino. Qui, appena vestito ilsaio benedettino econsacrato (ordinato)esorcista (che era unodegli ordini minori peril sacerdozio, n. d.R.), fu costretto a fug-gire a causa di un’in-vasione barbarica.Trovò rifugio presso lemontagne di Rendinaradove visse in con-templazione da eremita. Morì a causa di una nevicata durante un inver-no particolarmente rigido, che non permise algiovane di nutrirsi delle radici come d’abitudi-ne faceva. Accanto a lui fu trovato il quadro del-la decollazione di S. Giovanni Battista che por-tava sempre con sé”.Sempre secondo la leggenda Ermete, in quelgelido inverno, morì all’interno della chiesa par-rocchiale di San Giovanni Battista, quella anti-ca, distrutta dal terremoto del 1915 e perciò det-ta chiesa spallata. In passato il monaco è sta-to oggetto di devozione da parte di numerosifedeli anche forestieri, ma soprattutto dagli abi-tanti di Luco de’ Marsi, che si recavano in pro-cessione a centinaia verso la festa della decol-lazione di S. Giovanni Battista. Il santo dove-va essere molto conosciuto, per lo meno in tut-ta la Marsica.Il 9 ottobre 1743 il vescovo Scipione SersaleNapolitano fece sistemare le ossa di S. Ermetein una cassa sigillata e ricoperta di cristallo. Primadi allora, le reliquie erano conservate in un reci-piente di legno che il vescovo GirolamoGiovannelli nel 1617 descrisse come antico econsumato dal tempo. Le ossa, tenute in questo raccoglitore di legno– già deteriorato nel 1617 – erano conservatesotto l’altare maggiore, protette dapprima da unalastra di cristallo, poi da una cancellata di fer-ro e infine da una porta orizzontale. Monsignor Sersale nel 1743 evidentemente pen-sò di togliere le reliquie da questa sede per met-terle in una cassa asciutta e ben sigillata perevitare che fossero rovinate dall’umidità. L’atto definitivo della traslazione – si ignora ilmotivo - fu rimandato fino al 1798, e forse fuaccelerato dall’avvenimento del fulmine che lesio-

nò la nuova sistemazione e quindi rese più urgen-te risolvere la questione della dimora definiti-va delle reliquie. Giovedì 1° giugno 1797 alle ore 22 accadde infat-ti in Rendinara che un violento temporale tur-bò la calma del paese e una serie di fulmini anda-rono a colpire la chiesa parrocchiale causan-do molteplici danni. Un fulmine addirittura finìper colpire la cassa dove erano riposte le sacreossa di S. Ermete, lesionando il sigillo di ceradi Spagna e mandando in frantumi il cristalloin cui essa era contenuta. Le ossa però non furo-no danneggiate perché il fulmine non attraver-sò il legno.L’8 luglio 1798 il vescovo di Sora Agostino Colaiannigiunse a Rendinara per celebrare la traslazio-ne delle reliquie dalla cassa in cui giacevanoda tempo nell’urna in cui riposano tutt’ora. Latraslazione fu effettuata nella casa dell’abate allapresenza di un notaio di Civitella Roveto, GiuseppeLibbri; la mattina dopo, lunedì 9 luglio, ebbe ini-zio una processione con il sacro deposito por-tato a mano per tutto il paese e infine colloca-to in chiesa sotto l’altare maggiore. Iniziò quin-di la messa celebrata dal vescovo alla quale assi-stettero numerosi rappresentanti del clero, alcu-ni dei quali recitarono l’orazione panegirica inlode al santo.La chiesa per la circostanza fu parata in manie-ra superba da un artefice fatto venire da Arpino.La sera furono eseguiti i fuochi artificiali e unabanda militare rallegrò i rendinaresi. La festacontinuò anche il giorno seguente, martedì 10luglio, e furono cresimate dal vescovo circa due-cento persone, anche di altri paesi.

Oltre alle reliquie di S. Ermete, si custodivanonella parrocchiale antica quelle di S. Biagio, diS. Stefano, dei vestimenti della Madonna delCarmelo, di S. Alessandrino e di S. Amico. Oggi le reliquie del santo eremita si conserva-no sotto l’altare della nuova parrocchiale,anch’essa dedicata al patrono San Giovanni Battista,costruita negli anni ’60 e contenente un mosai-co del celebre artista croato il gesuita p. MarkoIvan Rupnik (n. 1954).Può essere interessante riportare qualcheesempio della moderna devozione popolare perquesto monaco eremita. Ecco l’ultima strofa eil ritornello dell’inno popolare che gli cantano: “Nel sorriso oppur nel pianto, nella gioia e neldolor, tu ci assisti, o Ermete santo, santo nostroProtettor. O giovinetto angelico, Ermete ascol-ta il voto del popolo devoto che chiede a Diomercè”. E questa è la preghiera con la quale i rendinaresilo invocano: “Glorioso S. Ermete nostro patro-no, che con la vita hai testimoniato la tua san-tità in Gesù Cristo, in questo paese diRendinara, concedi anche a noi tuoi devoti diessere forti nelle prove della vita, di saper resi-stere ad ogni lusinga del male.Per le tue eroiche virtù il Signore ti glorificò anchein questa terra con strepitosi prodigi d’amore;dona anche a noi il desiderio ardente di con-cederci nell’amore ai nostri fratelli.Per la tua potente intercessione ottienici di esse-re sempre protetti dalla divina misericordia lun-go il cammino della nostra vita, e nell’ora del-la nostra morte di partecipare insieme con tealla gloria eterna del cielo. Amen”.

Morino, paese della media Valle Roveto in Abruzzo

3434 DicembreDicembre20172017

n.d.r.

LL’autrice veliterna Rossella Giardina,nel corso dell’incontro che si è tenutolo scorso 29 di Ottobre presso la Sala

Micara del Complesso Diocesano San Clementedi Velletri, ha presentato il progetto Natale aZuccheropoli, che quest’anno ha come sco-po quello di sostenere la ricostruzione di Amatrice. Alla presentazione sono intervenute, insiemeall’autrice, la volontaria ANDOS MarisaMonderna e la giornalista Eugenia Belvedereche, con la loro partecipazione a Zuccheropoli,hanno arricchito di emozioni l’incontro.Rossella, nel corso della manifestazione, haraccontato la storia di Zuccheropoli che nascenel 1989 come collezione di bustine di zucchero,ma che poi negli anni è diventato qualcosa dipiù. E’ stato organizzato il primo evento nel 2015che ha sostenuto il progetto Vite Coraggiosedella Fondazione dell’Ospedale PediatricoBambin Gesù di Roma e sono state scritte duefiabe. A proposito di questo, alla fine della conferen-za di domenica 29 ottobre Rossella ha anche

accennato una cosa straordinaria, che nel cor-so del prossimo evento potrà presentare uffi-cialmente, e cioè l’uscita della prima fiabaZuccheropoli edita dalla casa editriceLombrellomatto! Forti di queste meravigliose espe-rienze, gli amici di Zuccheropolisono pronti per vivere insiemeil prossimo evento, Natale aZuccheropoli, che si terrà il9 e 10 Dicembre presso ilTempietto del Sangue diVelletri, in Piazza CesareOttaviano Augusto. In quei due giorni, circondatida un’atmosfera natalizia, chiun-que potrà sostenere la cau-sa Amatrice partecipandoalle numerose attività in pro-gramma. Si potrà praticare lo Yoga del-la risata con la volontaria AndosMarisa Monderna che già inSala Micara ha coinvolto i pre-senti in una prova sul campoe l’effetto è stato straordina-

rio e diverten-tissimo!Al Tempietto,arricchito dauna mostra dibustine di zuc-chero natalizie,ci sarà ancheuna pesca soli-dale ricca dioggettini rea-lizzati a manodalle “fatineZuccheropoli”;

si potrà assistere a delle miniconferenze sullo zucchero epartecipare a giochini letterari. I più piccini potranno ascol-tare la lettura delle fiabeZuccheropoli, potranno par-tecipare a laboratori di dise-gno con la maestra DanielaMenaldo e realizzare con leproprie mani un libro, seguen-do le indicazioni preziosissi-me della giornalista EugeniaBelvedere, titolare della libre-ria Contromano di Velletri.Insomma, ce ne sarà per tut-ti i gusti! Non ci resta quin-di che aspettare con ansia ilprossimo 9 di Dicembre e attra-versare con curiosità il sug-gestivo portone del Tempiettoper trovarsi a Natale a

Zucheropoli e vivere tutti insieme due giornida fiaba, all’insegna della solidarietà per gli abi-tanti di Amatrice.

3535DicembreDicembre20172017

Presentazione del libro di

L. LEPORE,

Sulle orme dei patriarchi(Bibbia e oriente –

Supplementa 25),

Sardini Editrice, Bornato in

Franciacorta (BS) 2017

don Antonio Galati

DDopo tre libri, pubblicati conlo stesso editore, nei qualidon Luciano si è cimentato

nell’analizzare scientificamente, da piùpunti di vista, l’insieme del Pentateuco,cercando di divulgare tutto il bagagliodi ricerche accumulato in diversianni di studio, ora viene pubblicato ilquarto, che, a differenza degli altri, con-centra l’attenzione sui racconti bibli-ci che contengono l’epopea deipatriarchi.A partire dalla riforma di Nehemia, spie-ga don Luciano nel suo testo, i rac-conti su Abramo, Isacco, Giacobbe eGiuseppe vengono riletti alla luce del-le nuove situazioni socio-politiche che si sono venute a creare, di modoche questi personaggi del passato, che affondano le loro radici nelle lon-tane epoche arcaiche delle comunità di Canaan e della Mezzaluna fer-tile, diventino portatori di valori, tali da favo-rire una base comune per la società ebraicache sta cercando di (ri)costruire la sua unitàintorno a Gerusalemme e al suo Tempio, dopol’esperienza a Babilonia.Ed è proprio la ricerca dell’unità nazionale eculturale che porterà ad una doppia una rilet-tura dei testi del Pentateuco: da una parte cer-cando di scorgere, attraverso i racconti e lefigure del passato, i percorsi e i modelli di vitae di società che possano rispondere meglioalle nuove esigenze che si sono venute a crea-re, o che vengono imposte dal mondo che cir-conda Gerusalemme e la terra di Canaan; dal-l’altra, invece, tali episodi vengono rivisti, facen-doli diventare quei veicoli di trasmissione dimodelli nuovi, necessari ai tempi nuovi.In forza di questo secondo tipo di rilettura, allo-ra, lo studio critico-letterario, insieme con il con-fronto con altri testi e i reperti archeologici, per-mette al ricercatore di scorgere quegli inter-venti redazionali e letterari che hanno prodottoil testo che oggi conosciamo, riuscendo, quin-di, anche a comprendere le intenzioni che han-no diretto tali riletture. In questo modo, qua-si proprio come in uno scavo archeologico,

partendo da ciò che si scopre,è possibile risalire al tipo di socie-tà che sottostà a tale opera dirilettura e al percorso che hafatto nel tempo.Percorso che, partendo da unadisgregazione iniziale, va nel-la direzione di una centralizzazionesia del culto che della guida poli-tica, provando a creare l’uni-tà all’interno della terra diCanaan, fondandosi su quel-le radici comuni che vengonoricondotte ad Abramo, comepadre di tutti i popoli, attraversoquel legame creato da Isacco,Giacobbe e Giuseppe.La lettura attenta di questo testo,quindi, tra le altre cose, può anchepermettere di scoprire come ilcammino verso l’unità, anchepolitica oltre che culturale, è insi-to nella storia dell’umanità, equindi potrebbe portare ariflettere sul fatto che dovrem-mo costruire più ponti e menomuri, e che dovremmo esse-re guidati maggiormente dal-l’insegnamento biblico, speciedalla legge del giubileo, pur-troppo ipotizzata e mai ben attua-ta, facendo in modo che la giu-

stizia e la legge cedano il passo alla misericordia, nell’atto di (ri)unifi-care l’umanità, che sta rischiando di incamminarsi sempre di più, inve-ce, nella disgregazione e separazione.

Natale 2017

Nasce una stella

Ad oriente

Tutti si destano

Al suono del corno

La luce rischiara le menti

Esultano i popoli all’evento:

quel BIMBO è segno di pace!

Vincenza Calenne

3636 DicembreDicembre20172017

Giovanni Zicarelli

VVenerdì 17 novembre, si è tenuta,presso la sala “Vittorio Bachelet” del-la parrocchia San Bruno di Colleferro,

una conferenza imperniata su due libri dello scrit-tore e giornalista padre Gianfranco Grieco: “LaChiesa francescana di Papa Francesco” (LibreriaEditrice Vaticana, 2016) e “Paolo VI. Ho visto,ho creduto - Gli anni del pontificato (1963-1978)”(Libreria Editrice Vaticana, 2014).Al tavolo dei relatori, oltre all’autore: il dr. DarioFelice Corsetti, generale dell’Arma dei Carabinieri;Claudio Gessi, direttore regionale della PastoraleSociale e Lavoro; il dr. Giuseppe Raviglia, pre-sidente del Comitato locale soci della Banca diCredito Cooperativo di Roma e GiancarloFlavi, giornalista per la testata frosinonetoday.ite promotore dell’evento.La serata inizia con il parroco di San Bruno donAugusto Fagnani, che introduce brevemente l’ar-gomento per poi passare la parola ai relatori. Giancarlo Flavi, nell’annunciare i titoli dei duelibri, accenna alla visita a Colleferro di Paolo VI(Giovanni Battista Montini; 1897 – 1978) – adoggi, primo ed unico pontefice a visitare la cit-tà – avvenuta l’11 settembre 1966, e al grandeentusiasmo che la sua presenza generò nellapopolazione.L’occasione fu la ricorrenza, in quell’anno, del75° anniversario dell’enciclica Rerum Novarum,promulgata il 15 maggio 1891 da Papa LeoneXIII (Gioacchino Pecci; 1810 – 1903), figlio diquesta terra, essendo nato nella vicina CarpinetoRomano. Con tale enciclica, la Chiesa per la pri-ma volta si aprì alla questione sociale, soprat-tutto lavorativa, dando inizio alla DottrinaSociale.Colleferro si rivelò quindi perfetta per tale even-to, essendo nata (1912) intorno ad una fabbri-ca: la “Bombrini Parodi Delfino”, un’industria diesplosivi, più nota come “BPD”, realizzata ad

opera dell’ingegnere Leopoldo Parodi Delfino (1875– 1945; già senatore e figlio del fondatore del-la Banca nazionale, poi Banca d’Italia) e del sena-tore Giovanni Bombrini (1838 – 1924); in origi-ne un quartiere industriale, dunque, che il 13 giu-gno 1935 si costituirà nel Comune di Colleferro.La parola va quindi a Claudio Gessi che da subi-to ostenta una profonda ammirazione perpapa Montini, un “uomo con il senso della poli-tica” vista come lo strumento per far sì che ognu-no, popolo o individuo, agisca sempre tenen-do conto, oltre che delle proprie, anche delle esi-genze altrui, lasciando sempre prevalere il beneper le persone.Dopo la visita a Colleferro, da lì a breve PaoloVI promulgherà l’enciclica Populorum Progressio(26 marzo 1967), altra pietra miliare della Chiesain ambito sociale, che intenderà il lavoro come“l’esplicazione naturale delle attività umane”.Il dr. Raviglia, nel ricordare la visita del papa,racconta della commemorazione ai caduti sul

lavoro nella tragica esplosioneall’interno della fabbrica diesplosivi avvenuta il 29 gennaiodel 1938, provocando la mor-te di 60 lavoratori e il ferimen-to di oltre 1.500. “La Chiesa amai lavoratori” disse il pontefice rivol-gendosi alla grande folla accor-sa per vederlo.Il gen. Corsetti argomenta sul-la fase del rapimento dell’on.Aldo Moro (1916 – 1978) – unefferato agguato in cui trova-rono la morte i cinque agentidi scorta – avvenuto a Roma,

in via Fani, il 16 marzo 1978 ad opera del grup-po estremista armato delle Brigate Rosse. Sene fece rinvenire il corpo senza vita circa duemesi più tardi (9 maggio) nel bagagliaio di un’au-tomobile precedentemente rubata.Fu con grande dolore che Paolo VI seguì la tra-gica vicenda dell’amico di vecchia data. Un dolo-re culminato con una lettera pubblica diffusa suvari quotidiani (21 aprile) con cui il Santo Padreesortava i rapitori a rilasciare il politico definendolo“Uomo buono ed onesto, che nessuno può incol-pare di qualsiasi reato o accusare di scarso sen-so sociale e di mancato servizio alla giustiziae alla pacifica convivenza civile”. Oltre che nell’amicizia, i due uomini saranno acco-munati anche nella morte, avvenuta nel corsodello stesso anno: papa Montini morirà il 6 ago-sto. Un caso, quello “Moro”, caratterizzato da

continua nella pag. accanto

3737DicembreDicembre20172017

Mara Della Vecchia

NNel 1944, a Parigi durante l’occupazione nazi-sta in Francia, mentre in città scarseggiavanoi beni di prima necessità e la popolazio-

ne subiva l’oppressione e la mancanza di libertà,Olivier Messiaen iniziò a comporre il grande ciclodi composizioni pianistiche “Vingt regards sur l’en-fant-Jesus (Venti sguardi sul bambino Gesù), si trat-ta di una suite di venti pezzi per pianoforte solo, neiquali l’autore attraverso la musica vuole proporre idiversi sguardi sul bambino Gesù nella sua uma-nità e divinità. Di chi sono gli sguardi? Lo sguardo del Padre, della stella, della Vergine, delFiglio sul Figlio, della Croce, delle altezze, del tem-po, dello Spirito gioioso, degli Angeli, dei profeti, deipastori e dei Magi, del silenzio e della Chiesa dell’amore. Inoltre la suite comprende anche alcuni bra-ni dedicati ad eventi riguardanti la vita di Gesù: Loscambio, Attraverso di lui tutto è stato fatto, La pri-ma comunione della Vergine, La parola potente, Natale,Il bacio di Gesù infantile, Dormo ma il mio cuore con-tinua a guardare. In questa opera l’autore ha cercato e trovato la sin-tesi del suo pensiero religioso, filosofico, estetico e musicale, infatti èun’opera molto complessa per la quale lo stesso Messiaen ha scrittouna sua personale nota, spiegandone l’impostazione generale e, in det-taglio, ciascuna delle venti distinte parti che la compongono. Nell’opera sono presenti dei temi ricorrenti: il tema di Dio il quale è pre-sente nello “sguardo di Dio” nello “sguardo del Figlio”, nello “Spirito del-la gioia”, troviamo poi il tema della Stella e della Croce, presente, ovvia-mente nello “sguardo della stella” e nello “sguardo della croce”, infineil tema dell’amore mistico e il tema degli accordi che circola in tutti i ven-

ti brani per i quali l’autore ha voluto inserire un sottotitolo a chiarirne ilsignificato. Molti sono gli spunti di riflessione più strettamente musica-le che si possono trarre dai Vingt regards: l’uso della poliritmia, l’influenzadi sonorità esotiche, le sequenze armoniche molto articolate. L’esecuzione di questa opera è davvero molto impegnativa anche per-ché, sebbene alcuni brani siano piuttosto brevi, la durata complessivaè di circa due ore e richiede, inoltre una vera comprensione della visio-ne mistica e religiosa dell’autore.

troppi dubbi e contraddizioni, ricorda il genera-le, all’epoca giovane ufficiale dell’Arma in ser-vizio proprio a Roma.“Un gigante” è la definizione che dà di Paolo VIpadre Gianfranco Grieco che lo ha conosciuto,da giovane presbitero, negli ultimi anni di pon-tificato, collaborando poi da giornalista con i suoisuccessori, fino al 2015.Dalle parole di padre Grieco, sia contenute nelvolume “Paolo VI. Ho visto, ho creduto” che pro-nunciate in conferenza, ne esce la figura di unintellettuale raffinato, geniale, dal grande intui-to, di vasta cultura. Sensibilissimo nelle tema-tiche sociali, che nel corso del suo pontificatolo hanno spinto a portare il Messaggio di Cristoin tutto il pianeta, oltre che in varie città italia-ne tra cui, appunto, Colleferro. Di certo, affer-ma, è prossima la sua canonizzazione.A chi gli fa notare la poca eco mediatica di PaoloVI che ha fatto di lui un papa meno popolarerispetto al suo predecessore Giovanni XXIII ea successori come Giovanni Paolo II e

Francesco, padre Grieco risponde che ogni pon-tefice riflette caratteristiche che, seppur alla lun-ga, risultano sempre le più opportune per l’e-poca vissuta e che fanno di lui parte di un uni-co disegno. Ciascuno, cioè, ha immancabilmentedato un importantissimo contributo alla Chiesae all’umanità che la storia ha poi riconosciutoe che in Vaticano ha indirizzato verso la sceltadel suo successore, segno che nel conclave lanomina di un papa non è solo la scelta espres-sa dai cardinali che vi partecipano.A fine conferenza, su richiesta di don Augusto,padre Gianfranco Grieco passa a parlare del-la figura di Papa Francesco. Un uomo, racconta,a cui il papato sembra aver aumentato a dis-misura le energie e la disponibilità verso la gen-te, estrinsecando al massimo l’indole latino-ame-ricana. Sta traghettando la Chiesa, come lasciaintendere il libro “La Chiesa francescana di PapaFrancesco”, con estrema decisione verso l’os-servanza del Messaggio evangelico attraversol’insegnamento di san Francesco d’Assisi.

Padre Gianfranco Grieco, dei Frati MinoriConventuali, ha ricevuto l’ordinazione sacer-dotale il 21 dicembre del 1967. Nel 1968 ha conseguito il dottorato in Teologiae il diploma in Giornalismo presso l’Universitàdi Friburgo, in Svizzera. Assunto dal 1970 come redattore de «L’OsservatoreRomano», è stato dal 1978 inviato speciale alseguito di Giovanni Paolo II nei viaggi pasto-rali in Italia e nel mondo. Tra i numerosi volu-mi pubblicati, ricordiamo anche:Pellegrino. Giovanni Paolo II fra le civiltà delmondo (Edizioni San Paolo, 2007); Come a lampada che brilla (Edizioni San Paolo,2007); Sopra il cielo di Ravello - 60 anni con il beatoBonaventura da Potenza (Libreria EditriceVaticana, 2012); L’ ultimo sguardo prima del cielo - Vita del VenerabilePadre Quirico Pignalberi OFM (Libreria EditriceVaticana, 2017).

segue da pag. 36

3838 DicembreDicembre20172017

Bollettino diocesano:

Prot. VSC 54/2017

NOMINA DI COLLABORATORE PARROCCHIALE

In base alla richiesta presentata dalla diocesi di Velletri-Segni, nella persona del sottoscritto Vescovo Vincenzo Apicella ed accolta dalConsiglio Generale dell’Ordine dei Chierici Regolari della Madre di Dio, con lettera in data 28 settembre 2017 del Superiore generale P. VincenzoMolinaro, con il presente

DECRETOnomino il Rev.do P. AROCKIA SAMY,

nato a T. Sindalai Cherry, Tamilnadu (India), il 19 settembre 1985 e ordinato Presbitero il 21 novembre 2015, professo di voti solenni dal 9 dicembre 2012 nella suddetta Congregazione

Collaboratore parrocchiale della Parrocchia di S. Maria di Gesù in Artena.

La nomina decorre dal 1° novembre 2017 ed avrà la durata di tre anni, fino al 30 settembre 2020.Il Signore accompagni con la Sua benedizione il servizio pastorale di P. Samy ed il commino della sua Famiglia religiosa.

Velletri, 09.11.2017 + Vincenzo Apicella, Vescovo di Velletri-Segni

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Prot. VSC 55/2017

Al Rev.do Don Dario Vitalidel clero diocesano di Velletri-Segni

Con profonda gratitudine per il servizio pastorale svolto come Collaboratore Parrocchiale di San Clemente in Velletri dal 15.10.2008 fino al presente e come Direttore del Servizio diocesano di Formazione permanente e della Scuola diocesana di Teologia per Laici (Decreto del 15.10.2008Prot. VSCA 41/2008), accogliendo la tua richiesta di trasferire la tua residenza nella città di Segni, con il presente

DECRETOti nomino Collaboratore parrocchiale della

Parrocchia Concattedrale di S. Maria Assunta in Segni.

Nei limiti delle tue disponibilità, presterai la tua collaborazione pastorale anche alle Parrocchie di Colleferro e al Servizio di Formazionepermanente e alla Scuola di Teologia.

Ringraziandoti ancora per la tua disponibilità, invoco ogni benedizione divina sulla tua persona e sulla tua opera ministeriale in un settore così rilevante della nostra vita diocesana.

Velletri, 23 novembre 2017Solennità di S. Clemente P. e M.

+ Vincenzo Apicella, Vescovo di Velletri-Segni

Il Cancelliere Vescovile,Mons. Angelo Mancini

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Luigi Musacchio

DDicembre 1916. Il Cavalier Rossodell’Apocalisse aveva sguainato la spa-da già da oltre due anni percorrendo

una gran parte dell’Europa e seminando guer-ra e morte. E da un anno e mezzo la nostra stes-sa Italia era entrata in quel funesto teatro, quan-do Trilussa, solo con apparente bonomia, - quel-la vena poetica che indulgeva al sorriso ma chedisvelava verità - scriveva il suo

NATALE DE GUERANATALE DE GUERA

Ammalapena che s’è fatto giorno,

la prima luce è entrata ne la stalla

e er Bambinello s’è guardato intorno:

“Che freddo, mamma mia. Chi m’aripara?Che freddo, mamma mia. Chi m’ariscalla?”

- “Fijo, la legna è diventata rara

e costa troppo cara pe compralla” -

“E l’asinello mio ‘ndov’è finito?” -“Trasporta la mitraja

sur campo de battaja: è requisito” -

“Er bove?” – “Puro quello

fu mannato ar macello”.

“Ma li Re Maggi ariveno?” – “È impossibile

perché nun c’è la stella che li guida,

la stella nun vò uscì, poco se fida,

pe paura de quarche diriggibile”.

Er Bambinello ha chiesto: “Indove stannotutti li campagnoli che l’antr’annoportaveno la robba ne la grotta?

Nun c’è neppuro un sacco de polenta,nemmanco una frocella de ricotta”.

- “Fijo, li campagnoli stanno in guera,

tutti ar campo e combatteno. La mano

che seminava er grano

e che serviva pe vangà la tera

adesso viè addoprata unicamente

pe ammazzà la gente.

Guarda, laggiù, li lampi

de li bombardamenti!

Li senti?, Dio ce scampi,

li quattrocentoventi

che spaccheno li campi?” -

Ner dì così la Madre der Signore

s’è stretta er Fijo ar còre

e s’è asciugata l’occhi co le fasce.

Una lagrima amara pe chi nasce,

una lagrima dorce pe chi mòre.

“Natale”-”guerra”: una contraddizione in termi-ni, un ossimoro supremo, che Trilussa con dis-incantata facondia ha tradotto a suo modo in ver-si “ambientati” in una grotta, pardon, nella Grotta,ove una Madre non può tacere al suo sgomentoe implorante Bambino gli aspetti più truci del con-flitto allora imperversante. Ma, come si convienea ogni degna poesia, il commovente e presso-

ché socratico dialogo Madre-Bambino è rivol-to agli adulti e alla loro ostinata incapacità (chesi dimostra anche nel XXI secolo) di risolverele capitali questioni con la diplomazia della paro-la, senza avvertire la necessità di volgere un pen-sierino agli arsenali d’armi. Quel dialogo impossibile, silenzioso, sussurra-to nella Grotta, richiama la serafica atmosferadel Presepe e disegna, peraltro, a contrasto, la

scena del dipinto prodromico del secondo con-flitto mondiale: la Guernica picassiana.Sì, la poesia, così colma d’immagini, non puònon riecheggiare la pittura per forza analogica,ritmica, (si potrebbe anche aggiungere “armo-nica”) ed emotiva.Riverberi significativi in questo senso si rinvengonoanche nelle opere di Otto Dix (1891-1969) e GeorgeGrosz (1893-1959). In entrambi la guerra esceallo scoperto, abbandonando il chiuso cui l’a-veva ridotta Picasso per aprirsi ai campi di bat-taglia e ai campi sociali nei loro rispettivi pre-cipizi di brutalità e corruzione.A fronte di questi spaventevoli scenari, così “dipin-ti” (è il caso di dire) di crudo e irreversibile rea-lismo, senza un cuneo di passabile, sperabile“soluzione”, senza un pur minimo afflato di uma-na compassione, con i riflettori accesi a certifi-care oggettivamente crudeltà belliche e sordi-de miserie sociali, si oppone in una sorta di retro-bottega, più vicina però ad un piccolo cantieredi vetrate medievali, il pittore e incisore franceseGeorge Rouault (1871- 1958).Anche a un primo e preliminare approccio, lavicenda artistica di Rouault appare piuttosto sin-golare. Egli si affaccia al nuovo secolo nella pie-nezza della sua gioventù artistica, aperto allenuove avanguardie; ma, per la sua attitudine aprediligere le cromie forti e pure, nonostante l’in-segnamento del classico Moreau, si accosta aifauves, anche se è subito indicato come pre-cursore e maestro dagli espressionisti tedeschi;e come tale passa perlopiù nelle cronache distoria dell’arte. Non lo toccano, infatti, né i surrealisti né i cubi-sti pur subendo, per la sua valenza tecnica, unacerta influenza da Van Gogh. E di Van Gogh,(quello, per esempio, della Ronda dei carcera-ti, del Contadino che lega i covoni e dello Scavatore)subisce il fascino alla stessa stregua di Honoré

Daumier (per la forte vena polemica) e di Jean-François Millet (Piantatrici di patate, Le spigo-latrici, L’uomo con la zappa, I taglialegna). E anulla valsero gli insegnamenti, benché illuminati,del suo maestro, precursore del simbolismo edel surrealismo, Gustave Moreau (1826-1898).Rouault viene, dunque, attratto, anche per le suemodeste origini familiari, dalle esistenze mise-revoli dei diseredati, dei clowns, delle donne più

sfortunate, senza mancare di farne di tutti i colo-ri ai generali e ai giudici dei tribunali. La sua arte volge così dalla pittura meramen-te descrittiva (com’era stata per Millet e Van Gogh)a quella di denuncia, di protesta, fino ad attin-gere alle soglie della morale e a sconfinare ver-so gli orizzonti più alti della religione. La speranza di una resurrezione nutre così ealimenta tutta la sua produzione più rilevante finoa fargli dire:« Quello che ho fatto non è niente, un grido nel-la notte, un singhiozzo soffocato, un riso stroz-zato. Io sono l’amico silenzioso di quelli che sof-frono nel solco profondo. Cristiano, in questo tem-po così incerto, io non credo ad altro che a Gesùsulla croce ». Discende da qui come ciascuno dei suoi per-sonaggi, il più corrotto, la donna più caduta, tut-ti siano circonfusi da un’alea partecipe e com-passionevole di vicinanza, di solidarietà e, finan-che, d’immedesimazione. Non v’è posto, si potreb-be dire, per un “miserere” definitivo perché un“magnificat” di redenzione, secondo la coscien-za cristiana più coraggiosa e più alta, è sem-pre possibile. L’“Ecce homo“ non resta condannato per l’eternoaddossato alla colonna della sua esistenza pec-caminosa o alla sua condizione di sfruttamen-to umano. Con la “passione” l’uomo non muo-re per sempre perché per sempre è atteso il suoravvedimento. E, in questa sublimazione, ovesi avvertono tutti gli insegnamenti dell’esisten-zialista Maritain, dello scrittore Leon Bloy, in que-sto “élan vital”, come direbbe il filosofo Bergson,che prende e sospinge la stessa natura, tutto,ma proprio tutto, concorre ad una sorta di ele-vazione verso una sfera spirituale d’indefinibi-le ma certa valenza.Rouault va, dunque, accostato con un certo giu-

IL NATALE IL NATALE

DI ROUAULTDI ROUAULT

continua nella pag. 40

sto spirito, con una certa circospezione e pru-denza. Non è solo il pittore “che appare”, “pove-ro” in fondo nel suo disegno, molte volte “brut-to” anziché no, che fa gridare quasi allo scan-dalo al suo amico Bloy: « Lei è attirato solamentedalla bruttezza. Se lei fosse un uomo di preghiera,credente nell’Eucarestia, un obbediente, non potreb-be dipingere questi quadri orribili ».Al che Rouault risponde serafico: « Ho il difet-to, forse, e in ogni caso è per me un abisso disofferenze, ho il difetto di non lasciare mai a nes-suno il suo abito luccicante; che si tratti di unre o di un imperatore, l’uomo che ho davanti ame, ebbene, è la sua anima che voglio vede-re, e più è grande e più viene glorificato dagliuomini, più io temo per la sua anima ». Quest’artista ha, così, ilmerito di recuperarequello che era mancatosia a Picasso sia a Dixe allo stesso Grosz. Il suo“Miserere”, ritrova e risco-pre la dimensione tra-scendentale e quest‘ope-ra ne fa uno dei maggioripittori d‘arte sacra delNovecento. In questetavole di alta arte incisoria,concepite sul finire del-la prima guerra mondialee pubblicate nella loro inte-rezza solo nel 1948,Rouault squinterna tuttoil suo “manifesto”. Essaprende il titolo, e non soloil titolo, dal salmo 50 dimano del re, musicista epoeta, Davide, che, cadu-to nelle ire del profetaNatan per aver amato inadulterio Betsabea, gri-da, ravveduto e pentito,il suo “miserere”. Rouault vede in Davide,padre di Salomone e capo-stipite dopo Abramo del-le generazioni da cui sareb-be disceso Gesù, il para-digma della condizioneumana segnata dal pec-cato: la sola salvezza ènel pentimento e nelraccomandarsi alla mise-ricordia del Signore.Forse è questo il puntodi vista più idoneo perammirare e cercare di com-prendere, in sequenza, le 58 litografie che com-pongono il capolavoro del “Miserere”: una sequen-za impressionante, dal disegno d’una fattura rude

e aspra, linee curve perlopiù, che racchiudonoa mo di contorno da vetrata, figure in bianco enero dove il bianco appare concesso solo pernecessità.La raccolta è divisibile in due parti. Nella prima,“Miserere” (tavole 1-33) e nella seconda“Guerra” (tavole 34-58) non v’è discontinuità dicontenuto: il “racconto” si snoda fluido e dram-matico attraverso il succedersi di situazioni, per-sonaggi e paesaggi comunque osservati e raf-figurati con sguardo a volte a volte spietato (7:potere - 8: clown - 14, 14, 16, 17: donne - 18:condannato - 19: avvocato . 22: contadino pove-ro - 26, 27, 28, 43, 45, 47: morte. 51: feldma-resciallo) e compassionevole (12, 25: duro lavo-ro - 13: amore bello - 29: alba - 46: pietà ).

In corale continuità con le suddette tavole scor-rono le restanti litografie ispirate alla vicenda diGesù e della Vergine. In quest’ultima soltanto

(tavola 56) e, se si vuole, nella tavola dell’Amorebello, lo sguardo di Rouault si placa come con-fuso e tuttavia preso da un’amorevolezza sin-tonica di sapore filiale. La figura della Madre appare compatta in un “uni-co” di dolente comprensione con Figlio-Bambino.Ella non “abbraccia” il suo divino figliuolo ma lo“offre”, primissima eucarestia e promessa di sal-vezza, al mondo. I loro sguardi non sono altresì reciproci ma paio-no diretti verso la terra, forse impediti ad ele-varsi dalle tragiche iniquità contemporanee delconflitto mondiale: tant’è che il Bambino tienein mano non quello che può sembrare un pomoo un giocattolo, ma è il globo, il mondo messoa soqquadro e offerto alla Madre in un’invoca-

zione di salvezza. E laMadre, col capo incli-nato e gli occhi chiusi,già sembra percepire,compresa, l’ultimo, fata-le ma salvifico esito aLui riservato.Non può sfuggire, a que-sto punto, l’assoluta“novità” insita in questaimmagine della Verginee del suo Bambino: sonostati definitivamenteaboliti tutti gli abbellimentie i decori che hanno dasempre accompagna-to, in particolare, leraffigurazioni d’artesacra: la soave dolcezzadei lineamenti, la son-tuosità delle vesti, l’al-lusiva forza dei simbo-li, l’armonica com-prensione delle figurenel contesto paesag-gistico, la magnificen-za del cromatismo. Qui del colore non v’ètraccia. Il bianco e il nerocelebrano il de profun-dis della luce, intesacome suprema mani-festazione del colore,paiono anzi la suanegazione. Alla negazione della lucesuccede, a rigore, il buiodella notte; alla quale,però - e questo è l’ul-timo messaggio diRouault - non può man-

care, alba paziente e misericordiosa, Natale prov-videnziale sempre atteso, la salvifica incarna-zione del Verbo.