Anime Alla Finestra
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Poesie
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ANIME
ALLA FINESTRA
Poesie
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Sentiamo il tuo soffio
tra le nostre pagine
come una tacita benedizione,
come primaverile essenza
sbocciare ad ogni nostro palpito
che a te, Salvatore, offriamo
lieti di sapere che tu,
anima gradita in cielo,
vegli continuamente su di noi.
a Salvatore Papalia
il Centro di Promozione Giovanile
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PREFAZIONE
In questa piccola raccolta poetica, senza accorgersene,
ci si trova immersi a godere di una forza di ispirazione così
intensa da rimanerne estasiati.
Una ventata d’aria fresca queste liriche sottratte al
limbo del cassetto; un modesto forziere colmo di perle
inestimabili, e ogni perla se ne sta chiusa nella sua conchiglia
madreperlacea, in attesa che mani delicate possano schiuderla
con il loro tocco garbato e premuroso.
Non è mia intenzione (né mi sento all’altezza)
inquadrare le poesie una per una né per singolo autore; sono
da considerare pregevoli in egual misura, poiché
rappresentano un canto a più voci che porta alla luce la
coscienza profonda dell’uomo; è confessione e vive dei tempi
mutevoli, dei ritmi complessi, delle contraddizioni interne ed
esterne, di realtà e fantasia, di azione e contemplazione. È un
coro di itinerari diversi mirante a un linguaggio universale
comune a tutti gli uomini.
In questo atomo stagnante, e direi quasi privo di
determinazioni, qual è l’ambiente di Barrafranca, ci troviamo
di fronte a idee poetiche che balzano fuori dal cliché del
quotidiano barrese, del modo di vivere, pensare e
comportarsi; dove la vera cultura entra di soppiatto, come una
donna che, ritenendosi brutta, si tiene celata a ogni sguardo e
non la bellezza sfavillante del sapersi esprimere, confrontarsi e
leggere nel silenzio le più remote vibrazioni dell’animo.
Un percorso luminoso il loro, molto vicino alla
POESIA, non come termine astratto, ma come operosità,
sentimenti, entusiasmi, inquietudini, aneliti, ritorni all’infanzia,
espressioni del cuore imprigionato da barriere esistenti ma
non invalicabili, pensieri gravi ma non desolati, gioie smorzate
8
ma non ancora deluse, solitudini che si avvertono
maggiormente in mezzo agli altri e vagheggianti un approdo
più sicuro, come le acque del mare che cullano prima di
condurre alla riva.
Anime più o meno giovani, spontanee, fresche,
modeste, che non hanno la velleità di dover far parte del
mondo dell’ARTE, inteso come Olimpo dispensatore di
Cultura (o pseudo-tale); vi si accostano, invece, in punta di
piedi, dimostrando soprattutto una grande verità che le
accomuna e le onora: l’amore per la Poesia. Ed è proprio in
nome di questo Amore e per questo Amore che il tempo e la
natura si equilibrano con l’uomo, fanno parte del suo essere e
la Musa diviene la compagna palpabile, la beltà che non si
sovrappone ma trasmette la forza della sua più intrinseca luce
interiore.
Dodici sono i poeti presenti in questa breve antologia,
dodici microcosmi che irraggiano un alone di energia attiva e
fanno bene sperare in un maggiore coinvolgimento, in un più
ampio orizzonte di creatività e di ricerca appassionata.
Concludo con le considerazioni che scrisse una volta il
poeta Pedro Salinas: “…Quando una poesia è scritta è
terminata, ma non finisce; comincia, cerca un’altra poesia in
sé stessa, nell’autore, nel lettore, nel silenzio…”.
Quindi nulla può porre termine a una parola poetica,
nemmeno il silenzio, perché essa respira autonomamente, è
come una stella che vive di luce propria e può essere ricreata,
contemplata, riannodata ad opera del lettore.
In questo sta la sua universalità e la sua immortalità. È
il mio augurio per questi versi che mi hanno veramente
incantata.
Jole Virone
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Andrò controvento
contro luna
contro cielo,
andrò dove ci saranno foglie
e petali
e onde d’increspate sabbie:
nessun’altra strada è mia,
nessun’altra tormenta…
In che cosa esistere
se non nel divenire,
nello svanire dei passi,
nelle vestigia del futuro,
nel tuo trascorrermi dentro
brezza marina controvento.
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Acqua e fuoco
sono la stessa cosa:
entrambi purificano.
Buio e luce
sono la stessa cosa:
entrambi accecano.
Terra e aria no,
non sono la stessa cosa:
essi si baciano e si compenetrano
come la carne e lo spirito.
L’acqua è l’inchiostro della terra,
il buio dell’aria.
Noi due…
un paesaggio notturno
sfuocato da una lucida pioggia.
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Qualcosa si porterà via i miei fogli
ingialliti per il troppo aspettare,
avrà gli occhi di una notturna danzatrice
dalle vesti fruscianti come i pioppi del sentiero.
L’inesprimibile che solo io conoscevo
avrà lo stesso sussurro del mistero
e tornerà con la sua nuova diversità.
Qualcosa cambierà i miei fogli
imbrattati di versi da rifare,
sarà la mia coscienza menzognera
con i suoi noviluni dipinti di nero.
Quello che non ho scritto,
quello che non ho detto,
che non ho fatto
sarà la mia stessa esistenza.
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Questa pioggia è per me
e per quello che sarò,
perché ogni goccia
ha la sua singola storia
eterea e terragna,
di pianto e benedizione,
di gioia e disperazione.
Questa pioggia
ha il suono dei miei pensieri
che sanno farsi mare, fiumi e nevai
e poi leggere nuvole
a lambire monti e tramonti
e di nuovo pioggia e musica
finché io, perfuso di liquidi odori,
raccoglierò la rosa sotto l’antro dell’eco
e strapperò l’ultimo giorno dall’ultima notte.
Questa pioggia sarà il mio pianto
quando saprò che nessuno
mi saprà arginare,
quando vedrò che i porti
non sapranno più aspettare.
Questa pioggia è per me
e per quello che non sarò:
questa notte ci sarà la luna a mietere stelle.
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Tra i mandorli e gli ulivi
hai sposato le spighe
o ambrata ancestralità,
ed è nata l’estate.
Con l’argento del lago
hai lambito le fronde
o diafana amenità
da un re nero rapita.
E adesso t’invocano i venti,
le messi ammalate,
le fronde ingiallite
ed i clivi indolenti.
E’ un pianto di rose recise,
di tremule stelle sparite
di croci piantate sui monti
e di lune di nero vestite.
Ma verranno i tuoi capelli a danzare
come fanno le nuvole sul mare
e i tuoi veli saranno rugiada
come petali sulla valle assolata.
E adesso vieni tra i tigli e i sambuchi
nella terra che conosci
nei templi a te sacri
tu dea profana, tu speranza diana,
tu Proserpina-Core degli Erei regina.
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Nuda tu vieni dagli aprici porti
Venere ardita spogliata dal vento
gremita di stelle sul madido crine
velata d’incenso e d’intensa preghiera.
Nuda tu vieni a danzare sui tetti
graziosa creatura dal volto sublime
zingara lieve, celeste trastullo
e nobile strale dal tocco glaciale.
Nuda tu vieni a fragare d’estate
candore di fianchi e di versi fluenti,
stentoreo canto di splendide muse
tra mille singulti di tiepide notti
che sanno d’antiche scapolate tormente.
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Sono l’uomo che a piedi nudi
va incontro alla notte
l’uomo dai passi stanchi
e dalle braccia rotte.
Sono l’uomo che a capo chino
brancola nell’inferno
l’uomo senza respiro
della fatica scherno.
Nudo come nacqui
ritorno nel grembo
di una madre megera
ed ogni sera
è come non essere mai nati.
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LA CANDELA
La candela arde pigramente
squarciando con dura fatica
l’opprimente buio
di questa stanza orribile.
La luce anemica,
traballando, proietta
immagini deformi
sulle pareti screpolate.
I miei poveri occhi
stanchi, avviliti,
osservando, in forzato silenzio,
quella muta scena,
rievocano dolci, tristi ricordi
corrosi dal tempo tiranno.
Intanto la candela
si consuma inesorabilmente
ed io ho paura, tanta paura
di rimanere al buio.
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DURA FATICA
Anche di notte
il sole picchia
sui capi cupi
dei contadini tristi.
La notte sui letti
imbottiti di paglia,
corpi deformi
si dimenano
come canne al vento
in cerca di pace
agognata da sempre.
Quando l’alba bussa,
con aria tiranna,
alle rustiche porte
delle case desolate
s’accende il lume
e spegne la speranza
d’una vita migliore,
per dare posto
alla dura fatica,
vecchia nemica
di chi vive arrancando
tra impervi sentieri.
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Scroscia la pioggia intensa e fugace,
un profumo di antico sale da laggiù, dalle
remote vie del cuore che un fiume d’argento
ricopre dolcemente!
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Ecco un vento bizzarro spazzare
i granelli, percuotere questo mare schiumoso, sterminato,
che come me, in un moto senza fine,
non conosce limiti nè confini al suo perenne sentire!
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Sentii un canto
(meravigliosa vita)
ballai di notte e il giorno mi accecò gli occhi.
Cantai ancora
il mio strumento era il pianto e il suono era il vento.
Uscii
continuai il mio canto per strada
era notte
il lamento si udì da lontano
un uomo attese i miei passi
si sciolse in parole e apri le sue mani
margherite mi offrì e sorrisi velati.
In ginocchio pregai,
esaudì il mio silenzio
e di sera cantò con me
(meravigliosa vita).
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Verrà la vita
avrà occhi dal profumo ignoto
- sono io
dal profondo mi sussurra.
Battono ancora le mie ali
in un abbraccio dal sapore sconosciuto,
è un dolore che palpita
è il sangue che vibra cantando, (vieni)
avrò il tuo canto e il tuo dolore.
Scorrerà dalla tua bocca come sangue
invaderà altri cuori
penetrerà in essi come un respiro
si fonderanno
chiamami ancora vita
vibra cantando il mio veleno.
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Guardano i miei occhi con tristezza
i giorni che con amara indifferenza passano
Mi vedo spettatrice di me stessa
di un triste film muto in bianco e nero
In cerca dell’amore va il mio cuore…
Solo così forse cambierà la mia sceneggiatura.
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Tristezza
pervadi il mio cuore
come un’ombra
avanzi dentro la mia anima
oscurando le mie timide speranze
che come boccioli
sotto il freddo e gelido inverno
si vedon portar via
l’ultimo caldo raggio di sole.
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TORINO
Splendide luci
ad incantare e fermare
il mio sguardo.
Immense distese e spazi verdi
ove ritrovare i miei pensieri.
Corse lunghe e affannate
a consumar degli anni
che non torneranno più,
mentre,
oh cuor mio!!
ci stiamo accorgendo
che stiamo cambiando
e tu Torino
a guardare da sempre…
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SARO’ UN UOMO
Fino a quando
proverò emozioni
e guardare il cielo
mi catturerà il cuore.
Fino a quando
guarderò un uomo
ed in lui
ritroverò le mie debolezze.
Fino a quando
avrò voglia di camminare e lottare.
Fino ad allora
vivere sarà VIVERE
ed essere UOMO
il mio unico
mestiere.
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NELL’OMBRA
Oh notte amica e nemica
di sognatori ignoti
Lune invisibili, visibili
ad occhi spossati
dai perpetui tormenti
inseguiti da teschi
nascosti nell’intimo
pensiero.
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INCONTRO DI DUE BRUCHI
Lenti i passi
sulle ali del vento
avanzano sinuosi
fra morbide pietre
e i verdi e i neri
e i gialli
muti parlano
d’invani tocchi.
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DORMIVEGLIA
Spasimi notturni
zampillano
nella ragnatela
dell’anima…
Ai rintocchi
del tempo sepolcrale
danzano amletiche
le sagome solitarie
… non un sussurro!
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INCONSISTENZA
Vago immobile
nel mio essere minuzioso
e
delicato come petalo
di rosa appassita
cellule impazzite
liberano
mille movimenti mentali:
non più parole
non più gesti
solo schizzi nauseabondi
irrefrenabili
al potere della ragione.
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FOGLIA D’INVERNO
Scende al triste vento
la foglia dell’albero
e sospirando dice:
è arrivato l’inverno.
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OCCHI AZZURRI
I tuoi occhi sono azzurri,
acqua cristallina.
Cielo! Quel cielo in cui l’amore
non avrà fine.
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SCRIVERE
Ansia di scrivere
perché non passi
senza memoria
una fuga senza speranza.
E l’impressione
di scrivere il falso
un vuoto reticolato
di sensi che parlano.
E il silenzio
e il sonno
la pace in cui m’avvolgo.
E’ notte.
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NON POTRA’
Non potrai
col tuo volto
rimuovere idee
e sensi
già colmi d’asprezza
Non potrai
col tuo sguardo
spezzare un sorriso
che sempre
sospetta e non crede
non vede
Non potrà
il tuo sorriso
tenermi lontano
malgrado io “strano”.
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E ANCORA
E ancora giorni
sconosciuti a noi
che siamo rimasti a custodire
della memoria che ci soffoca d’istanti
la smania ormai asciutta
dei “m’illumino d’immenso”
d’altri giorni e di altri incontri.
Attenti ormai
a leccare ferite non più vissute
scivoliamo eterni
nella buccia d’un istante.
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PAROLE
Parole il fuoco
che assale di versi
le mie disattese
Parole i vestiti
che impèrlano
le mie nudità
di re, solo parole
Arabesco la mia pelle trafitta
verso bruciante ogni passo
che scandisce in quartine
la lirica ardente
all’anelito d’altre
di spazi e cieli
immensità.
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UNO SQUARCIO D’AZZURRO
E sciolgono al cielo
d’autunno che sale
gli spalti del cuore
e nudo s’accora
muto e sognante
un lento e cadente
canto di lode
Lontano sussurra
uno squarcio d’azzurro.
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E DI NUOVO SILENZIO
Lasciarsi accadere,
così,
inavvertitamente.
Muoversi
dentro attimi
dispersi.
Vibrare di luce e di ombre
disfatti di vita.
Silenzio dentro.
Un muto clamore di vita.
E di nuovo silenzio.
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DILATARE DI CUORI
Ancora eroi di questo momento
che ci disfa d’istanti
che ci porta lontano
a deriva nel tempo…
Ancora sempre uguali
vecchi e nuovi ma sempre diversi
come diverso è il dolore
a sfidare, stanchi, il domani…
E’ questo dilatare di cuori
che insieme battono
soffrono e muoiono
questo mai sazio
divenire che taglia
che strazia che brucia
le brevi speranze
e ci disperde lontani
in una babele d’oblio.
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L’ALBA VERRA’
Anime alla finestra
in fondo a tutto
sparse in un pulviscolo
di paese ormai perso
inutile ombra dei suoi
sogni perduti.
Languide le sue ciglia
sfiorano silenti
calde lacrime di noia.
Così vicino
e cosi lontano
inerte nel mio pigro vagabondare
nei meandri nascosti
della mia vita.
Eterno bambino
a fingere eterna innocenza
quando tutto già è stato compiuto
a lottare e sperare
anche senza certezze
anche senza obiettivi
lottare e sperare comunque.
L’alba verrà quando verrà
e ci troverà così
nelle nostre placide culle
a stillare fiducia e speranza,
goccia dopo goccia,
e a prenderci cura,
con velata incertezza
ma con mano sicura,
del nostro sperare.
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MORMORIO
È d’intorno una luce
s’appare d’ignoto
fuggevole sguardo
d’amore ferito che
guarda e non vede
non sente. D’intorno
un fuoco si è spento
carboni che brillano rossi
nel buio. Ed è sempre
più buio. Lucciono occhi
brillanti rugiada
nel buio disfatto
tenebra sonno.
Silenzio un placido
mormorio di vita.
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ATMOSFERA
Lontano da tutto
giorni scivolano
con crudele naturalezza
attenti ansanti uguali.
Atmosfera
bruma di colore
sacco pezza gelo
icona cubista del reale
schiuma di speranze
sperate ancora.
Lontano. Nuvole
accarezzano leggere
i miei capelli.
Leggere. I miei capelli
melograno maturo
scrigno seta.
Tardano
solitarie lacrime
già viste.
Lontano. Solo ormai
un punto all’orizzonte.
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TRAFITTI DI CUORE
Lunghe sere
a sgranellare sorrisi
smarriti nel tempo
di un battito d’ali.
Lievi carezze
dal sapore di antico
un gusto di amaro
che sale che sale
e poi scende che gocce
quel pianto che stringe
il mio cuore di uomo.
D’intorno una sera
a disfarci di vita
e mietere sogni
di ieri e di sempre
trafitti di cuore.
Incerto avanzare
fra pallide lune
a cercare nel buio
inciampando che buio
una nuvola attenta
che mi porti lontano.
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COLGO
Colgo dalle spalle tue nude il calore
che trasuda dai pori bevanda
inebriante alle labbra il sapore
di te che pudenda trascini
le mie mani a scolpire i tuoi fianchi
Mentre tu le tue mani rovini
sui capelli e le tempie mie accese
e gli sguardi che amare d’amore non fanno
d’amaro e di dolce e di petto profumano
il tuo che s’arrende ai miei respiri
che chiedono di più
Corre cuore senza fiato treno in corsa
Coppi in fuga solitario sulla vetta
la tua schiena rilievo di colline
e poi abbracci riposano lenti
tra le ultime carezze
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IL TRENO
Sera
tramonto di viali
cortili scoscese viuzze
in penombra di lampade complici
antiche di incontri
d’amanti
Viandanti
camminano passi
echeggianti in stanze di attesa
stazioni sperdute di paese
tra sperdute colline
emozioni
Una nonna
di nero seduta
profumo di ricordi biscotti
di forno farina che ancora
resiste alle mani
resiste
Il treno
risuona il suo arrivo
richiama sparsi passeggeri
qualcuno in silenzio s’avvicina
nessuno scende
io salgo
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La donna
è rimasta dov’era
attesa paziente di un che
che forse neanche lei si domanda
quale ieri si cela
e domani
Tra i grigi capelli
chissà quanti giorni vissuti
e com’erano belli
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QUEL GIORNO TRA I PRIMI D’OTTOBRE
Pare lontano quell’attimo istante disteso
di stanco tramonto scaldato di rosso
immerso di tiepido cielo azzurrato
poi blu ed infine stellato di quiete
Eppure era ieri chiedeva di te la mia sete
e ti concedevi abbandono sublime a quel quadro
che il giorno dormiente lasciava e la notte
rubava impotente al destino
lasciandoci ancora più soli più amanti
Non so se fu il caso o fu il vino
o quella geniale follia che riempie di se certi istanti
a farmi parlare di te a quella luna
che ormai aveva preso la scena
Ma so che quel giorno tra i primi di Ottobre
ci accese quell’attimo istante disteso
di intrepidi sguardi scaldati di noi
e se pure quel giorno è lontano pare ieri
ed ancora ci tiene per mano
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CIELO
Aperto cielo in aperta campagna
azurro appagato appagante colora silenzi
in esso s’annegano rondini lontane
movimenti costanti punti neri
che finiscono nel nulla
E le nuvole intanto si spostano
cattedrali nel cielo
pose plastiche impensabili d’amanti
nell’alcova d’azzurro
Sotto il cielo è ancora cielo
che si scontra
coi confini di colline come seni
generosi di mamme che allattano
casolari abbandonati al tramonto
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LA REPUBBLICA - ATTO SECONDO
Venite governanti a governare
il mondo dei balocchi
è pieno di uomini pupazzi
burattinai d’altri tempi si risvegliano
attirati dal profumo di fame
Non si aspetta altro che ascoltare
padroni vecchi vestiti di nuovo
padroni padrini camuffati
da sguardi incerati di sorrisi artificiali
pronti a promettere libertà
in cambio della Libertà
Iene si avventano sul pasto
avvoltoi girano attenti
aspettando il primo che cada
La seconda repubblica è seconda
soltanto alla prima M
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EMOZIONI IN BUFERA
Impaziente silenzio che si schiude
in ali pesanti e si libra in volo
nell’aria buio d’emozioni che nude
nuotano naufraghi in mare che il molo
Cercano avide ansiose del porto
tramonto vinto che dia un po di tregua
a lungo atteso cammino sconforto
mani rivolte a quel cielo alla stregua
Di anime dannate alla ricerca
dell’ultimo vagone per la pace
tutti animali insoliti nell’arca
Di un improbabile Noè capace
a raccogliere dannati alla forca,
ma intanto forte il diluvio non tace
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ANDAVO A VEDERE LE RONDINI
Andavo a vedere le rondini
coi passi affannati della corsa
le tempie sudate e il viso rosso
calzoncini e il pallone
della mia primavera
La terrazza un’immensa finestra
dalla quale m’affacciavo all’olimpo
delle mie fantasie
Andavo a ubriacarmi di sole
aspettando venisse la sera
a placare i miei sogni
Quante sere d’azzurri tramonti
senza fiato m’arrossivano in gola
nei silenzi
del mio stanco e felice fiatare
che aspettava il richiamo di madre alla cena M
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IL VIALE DEI CIPRESSI
Il passo dei giorni non passa pei viali tramonti
alberati di miti cipressi in attesa
di alcuno che s’alzi incantato del loro ondeggiare
a guardarli, sfiorarne l’essenza di quiete
Profuma di mare quel vento che sfoglia le foglie
da lontano ne porta il sapore fin dove
non sbatte sui rami e ricade sul viale e si sperde;
come eco di un’onda mi bagna ed è assente
L’imbrunire tradisce tra i rami qualche timido
raggio di sole che indeciso mi raggiunge
e mi trovo solitario viandante d’un silenzio
che raccoglie il più autentico pulsare della vita
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ULIVI DI SICILIA
Trazzere di campagna percorro
in questo incerto meriggio di Sicilia
tra i rovi sparsi e le timpe
colline di pietra ed argilla
sentieri infestati di gramigna
Acerba selvaggia terra
arsa di sole e profumo di pioggia
isola senz’acqua
tesoro giornalmente rubato
bellezza sistematicamente violentata
Eppure profumo di mare
vergine distesa al tramonto
sulla tavola azzurra poi blu
poi luna
e silenzio di cicale
o rade foglie accarezzate dal vento
armonia di stelle che ti contemplano
Campi di grano si piegano alla notte
aspettando il primo fuoco o l’ultimo sole
granaio svuotato
tavola imbandita per Romani
poi Arabi poi Torinesi
Vecchi alberi d’ulivo
continuano a fare olio
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ROSE
Rose cercavamo
dense di profumi amate
e viali di pose d’amanti
passeggiavamo
Silenzi ammiccanti di sere
armonie con gli occhi accennate
nere bianche
erano le nostre rose
le nostre cercate
e attorno
i deserti di stanche giornate
e amabili ansiose pretese
di baci
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APOCRIFO
Le nate a vaneggiar menti mortali (*)
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E ci si incanta a guardare un affresco
Con façon de voyer dell’animo/a altrui:
Questo oggi siamo. E di fedi inventori
Fallaci, strumenti offerti a chi offre sco-
Perte di eugeníe e assoluti con cui
Verniciare di sorrisi i dolori:
Umani si è o ci si spaccia per tali.
da: U. Foscolo “All’amica risanata”
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LAMENTO
Questo suolo è un alveare
Di passanti,/ i pensieri impaccati
Da giornate/ spese a figurarsi
Telefonate/ da dopocena ai nipoti
A supplire/ al caldo di coperte sulle gambe.//
Solo le madri hanno ancora,
Nei volti,/ le antiche meste
Sicilitudini/ di illusioni e carezze
Per le figlie,/ proserpine rapite da parvenu/
Visti in tivù poche sere addietro.//
È questo paese un mondo
Che ha smesso/ di dosso i ricordi
Di paese del sud,/ e a ridere si accompagna
A ragazze/ lunari che hanno tutta la gioia
Di/ feste cadute a metà settimana,//
O a notti fonde a citarsi bravate/
D’adolescenti e macchine appannate./ Qui,
Il solo colore che ci dà fiato,/
È attorno a un venditore di quartiere,/
A cicalare e attendere il Natale.
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NOT(T)E
Mi vede la notte
Trasmutare ferite
In esilio fioco di pace – impavido
L’illunare ch’è
la dissotterra,
Giubilo estremo. Tremo.
Cosa mi fa egro più
Dello spasmo
Di foggiare sincopate
note
di blu?
Tu.
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BOLERO
Affidato, custode
Eternale, è a chi lo immensa di cuore,
Il cielo che avete donato, vati.
Quanto, di sé, essenziare i giorni è vivere?
La scena qui ci spetta,
L’assòlo corale, seppur nolenti,
Di questo Bolero in creando, tenere.
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MATTINALE
L’arco bianco del cielo dispare
Risvegliato da rochi presagi
E ci trova, d’altri lidi, ormeggi
Disfusi dall’alito delle alture.
Ora s’insola l’etra; gia sbuia
Di te, ora, che infiori di mimose
Il nonnulla che riempie, di cose
Regalate, questa mia mane, gaia
D’abbandoni come il primo che demmo
Desueto, - lieto agrore di pompelmo.
Per sempre correrò l’attimo che va-
Le un tuo sorriso, un ricordo, la neve.
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QUELLE GIORNATE!
Quelle giornate
sperate
delle gite di classe
ricordo,
e mi s’avventa stupendo il passato
come i nerore che affebbra l’estate
sulle strade
solatìe
di passi così,
che non tange sgranare.
Giornate – quelle giornate! –
siccome questa, di vuoti mai resi,
scolori
chè non sai cosa aspettare
come in Quaresima la Pasqua.
Giornate,
queste giornate,
in cui t’inventi
qualcosa di sacro
a venire. A
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STUDIO PER UN’ARIA
Incantandoci, versi,/
ci accavalliamo
verso/ latitudini più fonde
di noi.//
Ci siamo stati
e ci cerchiamo ancora/ – compagni
solitari/ su tutta una terrra –
a oltranza, sospesi,/
senza mai finirci: io voi, voi me.//
Chi di noi;
quale verso,/ in quale pazzo Inverno,/
fisserà i movimenti/
a questo tempo-spartito
a finire?
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FALSETTO
E campi e vento
legnoso e cemento/racconto,
come di sabbia ancestrale/
che srotola
dai dorsi in movimento/
di queste erèe colline
naufragali// nelle nottità
di un mare:
salmastre/ brume
come d’un gennaio lontano,/
troppo lontane
per essere nostre./ Qui
ogni istante smuore
del baccano// dell’afa
che porta il tempo
con sé;/ qui
ogni pietra è cilicio
d’addosso/
a soppesare l’indole di un verso//
snaturato per troppa attesa,
sperso/
– o mai cercato? –
nelle rochità asso/late
di un’occhiata data
in falsetto.
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DI ANIMA E DI MANI
E viaggiando ci è meta il rimanerci –
Noi, insonni, in sogni Dada d’incontri
Di macchine da cucire e d’ombrelli.
Di rimando: viaggiarci,
Rimando ciò che d’impesante siamo
In questo traslocare
Di anima, di mani…
Siano pure i versi
Autunnati di acuti o cavatine,
Ma è tutto quanto abbiamo
D’arguto da inventare
Per arginare vortici
E ortiche dai giorni, fatui di sé
Come nelle vetrine.
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AMAI
Amai i ricordi come sperato
Riverbero di un incanto qualsiasi;
Amai i passi che furono fiato
E colore alla mia anima in pausa:
È adesso questo canto, macerato
Assolo di quieti per sempre mie:
È quando me ne sto solo, riamato
Da un intimo firmamento di addii.
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NIHIL
Un volto non ha, questo movimento
Tacito, inconsistente,
Che vanisce sepolto
Nel ricordo noiescente di me.
E l’etra muove in un limbo di nulla;
E d’intorno è il non-più che, non colto,
Arremba, ritorna – opera d’ombra,
Liturgia della parola brulla.
Cos’è che svèlle le trame dei giorni;
Fa di un aprile barbarica landa;
O che ingravida l’anima
D’afa, fino a grondarne?
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LA MUSA TACITURNA
Donne, scendono a imbastire di quiete
Gli autunni, le sere. Sere sorelle
Di attempate mete avute, sfumate
Nell’acre nomèa di essere ai giorni.
E non sappiamo se è d’altri ricordi,
O è alba sporcata da mani di mare
Quest’azzurrità che slabbra l’incanto
Dei davanzali impazziti di neve.
E è come sentir le vanità tristi
Dei rivoli alla foce quest’eterno
Inseguirsi nei meandri del dire –
Ah di sé ipotiposi è vana cosa!
Pudìca mercenaria dei poeti
Ricorda, quando annotta la speranza,
Ai tanti sitibondi di parole
D’un anima a cui èremo fu vita.
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NOSTOS
Il tuo corpo è una nostalgia della mente
il suo pensarti è già parlare,
scrivere è toccarti
come se avessi mani nelle mie parole,
poterti toccare è il tacere queste mie parole
che ti pensano
e nel silenzio di ciò che scrivo
è l'armonia di un gesto che ci tiene
se potessimo tenerci
Vivi come il fantasma di altri suoni
più densi e più neri di questi che traccio
nella speranza di vederti svanire
come un'isola nell'ampiezza del suo mare
dentro il naufragio d'ogni mio desiderio
Ma nell'amara risacca delle mie parole
sento le tue acque attendermi
stanco Ulisse di nessuna Itaca
che tu inviti all'estremo ritorno,
al porto inviolato del tuo ventre
dove una verità non detta
si apre come un molo per l'anima.
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METRICA
E' nel tuo volto tutta la bellezza
ermetica d'un verso
che però non canto
per non sciuparti
nella metrica del cuore
così sillabica e volgare
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ODE PROFANA
Per la tua perfezione femminile
con la quale si compì l'imperfetta creazione
e fu così compiuto l'uomo
io non ho la voce e il verso argentino
del cieco Omero di Buenos Aires
che vide più di me
la bellezza che ora in te ammiro
e che cantò anche me
chino su questi versi
già tentati nella mente
di uno scriba d'Alessandria
che ti chiuse in ermetico amore
per farti prigioniera della vertigine
di quella sola moltitudine
in cui già vissi con un altro accento
nel cuore di Lisbona
nascosto a te e all'Universo.
Per te creatura carnale venuta dalla carne
e dal sonno della mia prima stanchezza
vorrei il pulpito alto di una poesia
per un canto spirituale
come l'ebbe l'Orfeo
che in Arno visse il suo inferno
e toccò il paradiso nella carne
per quello sguardo che gli hai dato
ove anch'io vagherei smarrito
perché con esso hai dato
l'oro purissimo del sogno
a ciò che era solo un po’ di fango soufflé
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In te che ora dormi al mio fianco
così fraterna e carnale,
così indubitabilmente reale
perché così immemore di tutto,
in te e nella tua notte
riversa e smisurata
dimora la meraviglia insonne d'un poeta
che fu già tutti i poeti
della sola donna che sempre sei stata
e che s’illude di cantarti nella mistica d'un verso
forbito ma non più colto
del verso che ulula la bestia
nell'inquietudine atterrita
di sentirsi una solitudine infinita.
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OCCIDENTE
Occidente inesplorato di un'illusione,
obliqua e protesa
come un'agave fiorita sul distico inatteso
che ha unito la mia strada e il greto
asciutto delle tue ciglia,
questo tuo labbro che sa di terra
verso cui mi conduce
il tramonto umido d'un bacio
nel sogno che in lui si compia
il solitario periplo d'ogni mio bisogno.
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MOMENTO
Sei carezza che galleggia nel mio sguardo
come nell'acqua una luna che s'allunga
a cercarsi un volto che non ha
in quella franta solitudine
che scintilla
Nei miei occhi immoti le tue dita
s'intrecciano alle mie, umide e imperfette
che disegnano nell'aria
un fatuo origami d'amore
Resta così
ancora sospesa e riflessa
prima che un mio desiderio
rinato narciso
anneghi il momento
in cui per magia
sei l'eco e sei l'acqua
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INCIPIT AMORIS
Tra gli astri d’Agosto ristette
un’interminata notte
di luna esterrefatta
e in quell’ampio pallore dell’aria
noi muti ci aprimmo
ad un nudo domani
di cose uguali e distanti
Come lenti rivi d’amore
le mie mani ti vollero mare
e foce le mie lente parole
In quell’ora pura ci unimmo
nell’onda sfinita e salsa del piacere
di una riva calma per i corpi
che ancora stanno in questa pace
come bianchi rigurgiti di luce
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Ho visto le nuvole di tutto il giorno
trascorrere senza mai abitare
se non il luogo breve del mio guardare
Entrambi ugualmente esiliati
Dalla terra e da ogni cielo
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INDICE DEGLI AUTORI
- Filippo Selvaggio 9
- Giuseppe Marotta 16
- Angelo Nicolosi 18
- Antonio Lanza 20
- Rosanna Strazzanti 22
- Stella Lo Monaco 24
- Anelia Balsamo 26
- Luigi Siciliano 30
- Gino Strazzanti 32
- Marcello Di Dio 43
- Angelo Baiunco 54
- Salvatore Bonincontro 66