ANIEM«Puc, vanno apportati correttivi e chiusi i cantieri del Piu Europa» 70 05/07/2014 Libero -...

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La proprietà intellettuale degli articoli è delle fonti (quotidiani o altro) specificate all'inizio degli stessi; ogni riproduzione totale o parziale del loro contenuto per fini che esulano da un utilizzo di Rassegna Stampa è compiuta sotto la responsabilità di chi la esegue; MIMESI s.r.l. declina ogni responsabilità derivante da un uso improprio dello strumento o comunque non conforme a quanto specificato nei contratti di adesione al servizio. ANIEM Rassegna Stampa del 07/07/2014

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Rassegna Stampa del 07/07/2014

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INDICE

ANIEM

06/07/2014 Corriere della Sera - Nazionale

Scomparso in Libia un tecnico italiano «È stato rapito con i suoi colleghi»12

06/07/2014 QN - Il Resto del Carlino - Nazionale

Libia, scompare tecnico italiano «L'hanno rapito con due colleghi»14

06/07/2014 QN - Il Resto del Carlino - Modena

Spariti tre dipendenti della Piacentini: si teme il rapimento in Libia15

06/07/2014 QN - Il Giorno - Nazionale

Libia, scompare tecnico italiano «L'hanno rapito con due colleghi»16

06/07/2014 QN - La Nazione - Nazionale

Libia, scompare tecnico italiano «L'hanno rapito con due colleghi»17

06/07/2014 Gazzetta di Modena - Nazionale

Tre dipendenti della Piacentini misteriosamente spariti in Libia18

06/07/2014 Gazzetta di Modena - Nazionale

Il Gruppo è un vero e proprio colosso, leader delle paratie che sono uniche al mondo19

06/07/2014 Gazzetta di Modena - Nazionale

«Nè minacce nè rivendicazioni»20

07/07/2014 Gazzetta di Modena - Nazionale

Ore d'ansia per la sorte dei tre tecnici21

06/07/2014 La Liberta

Piacentini Costruzioni, azienda leader con cantieri nel mondo22

06/07/2014 Prima Pagina - Modena

Paura in Libia, rapiti tre tecnici della Piacentini23

06/07/2014 Prima Pagina - Reggio Emilia

Paura in Libia, rapiti tre tecnici della Piacentini24

07/07/2014 Prima Pagina - Modena

Erano all'opera su un cantiere «speciale»25

04/07/2014 Espansione

Corsa contro il tempo per saldare i debiti della pa26

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ANIEM WEB

06/07/2014 gazzettadimodena.gelocal.it 10:52

Libia, l'ambasciata conferma: rapiti i tre tecnici della Piacentini costruzioni32

SCENARIO EDILIZIA

06/07/2014 Corriere della Sera - Bergamo

Artigiani, rallenta il calo di imprese Ma non per i giovani35

07/07/2014 Corriere della Sera - Nazionale

Il percorso a ostacoli delle riforme Servono altri 812 provvedimenti36

05/07/2014 Il Sole 24 Ore

Edilizia scolastica, al via i lavori in un istituto su due39

05/07/2014 Il Sole 24 Ore

A rischio crack per troppi crediti41

05/07/2014 Il Sole 24 Ore

Il sistema legno vede la ripresa42

06/07/2014 Il Sole 24 Ore

Il bonus del 65% non esclude altri benefici44

06/07/2014 Il Sole 24 Ore

Finito il restauro della Villa Reale45

07/07/2014 Il Sole 24 Ore

Il tax rate sulle imprese non arretra47

07/07/2014 Il Sole 24 Ore

Per i tendoni serve il permesso49

07/07/2014 Il Sole 24 Ore

La contromossa: più spazio al secondo pilastro53

07/07/2014 Il Sole 24 Ore

Camper e roulotte dribblano la richiesta di autorizzazione55

05/07/2014 La Repubblica - Genova

Fincantieri, Sestri torna a costruire navi da crociera il 15 luglio taglio della primalamiera per la Regent

56

05/07/2014 La Repubblica - Palermo

Il flop del passante ferroviario cantieri alla paralisi operai in cassa integrazione57

06/07/2014 La Repubblica - Nazionale

IL CROLLO DEGLI INVESTIMENTI PUBBLICI59

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06/07/2014 La Repubblica - Torino

"Rifiuti tossici riciclati in cava il nuovo business dei 'calabresi'"61

07/07/2014 La Repubblica - Firenze

Parte la lunga stagione dei cantieri oggi via Alderotti, sabato piazza Dalmazia62

05/07/2014 La Stampa - Novara

La casa si ristruttura con agevolazioni fiscali63

05/07/2014 Il Messaggero - Nazionale

Debiti della Pa, 11 miliardi alle imprese bloccati dal Patto64

05/07/2014 Il Messaggero - Umbria

La Cisl: Edilizia, insieme per ripartiree'65

06/07/2014 Il Messaggero - Roma

Tevere navigabile e strade ecco il piano investimenti66

05/07/2014 QN - Il Resto del Carlino - Rimini

Blindato il cantiere del Vgs «I vandali non entrano più»68

06/07/2014 Avvenire - Nazionale

FDebiti Pmi, prorogata la sospensione69

06/07/2014 Il Mattino - Benevento

«Puc, vanno apportati correttivi e chiusi i cantieri del Piu Europa»70

05/07/2014 Libero - Nazionale

«Entro il 2017 lavori finiti Ma non costiamo troppo»71

06/07/2014 Libero - Nazionale

Basta cantieri eterni Il progetto del Cipe72

05/07/2014 ItaliaOggi

Edili disoccupati speciali73

06/07/2014 L Unita - Nazionale

Una scuola su due sarà subito messa in sicurezza74

07/07/2014 La Repubblica - Affari Finanza

Effetto moltiplicatore dai nuovi investimenti "E' la carta da giocare"75

07/07/2014 La Repubblica - Affari Finanza

Sollevatori e gru hi-tech le macchine ripartono77

07/07/2014 La Repubblica - Affari Finanza

"Valorizzare il nostro patrimonio ecco la bussola per i costruttori"79

07/07/2014 Corriere Economia

Mattone Dove parcheggiare l'auto e i soldi81

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07/07/2014 ItaliaOggi Sette

Mutui, acquisti a rate parificati83

05/07/2014 Milano Finanza

LE OCCASIONI DA MORDERE85

04/07/2014 Espansione

II Made in Italy a caccia nel Continente Nero87

05/07/2014 Eurosat

SAIE e All Digital: l'edificio diventa intelligente89

04/07/2014 Vita

LA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO ALLA SVOLTA BLENDING: PIÙ PRESTITIMENO DONAZIONI

90

04/07/2014 Vita

Il Governo italiano Il blending è il futuro: anche da noi serve una Banca per loSviluppo

93

04/07/2014 Vita

Jobs act, ecco quello che le organizzazioni non profit devono sapere95

05/07/2014 Edilizia e Territorio

Contratto: resta la «solidarietà», 48 euro di aumento96

05/07/2014 Edilizia e Territorio

CANTIERI 2.0 Controllo dei costi vera innovazione per le costruzioni97

04/07/2014 RCI Riscaldamento Climatizzazione

Forme utili per il massimo comfort99

04/07/2014 RE Real estate

"ABITARE SOSTENIBILE" ENTRA IN CLASSE104

04/07/2014 RE Real estate

Nota illustrativa DEF 2014 aspetti immobiliari (I parte)105

SCENARIO ECONOMIA

05/07/2014 Corriere della Sera - Nazionale

Imprese, investimenti mai così bassi dal '95108

05/07/2014 Corriere della Sera - Nazionale

Per la guida dello Ior il Vaticano valuta un francese110

05/07/2014 Corriere della Sera - Nazionale

Cassa Depositi, il Fronte europeo delle Infrastrutture111

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05/07/2014 Corriere della Sera - Nazionale

Camere Commercio, 1.800 posti a rischio112

06/07/2014 Corriere della Sera - Nazionale

Le Monete «non circolano»? Bankitalia crea un Borsino ad hoc113

06/07/2014 Corriere della Sera - Nazionale

«Svolta Mps, missione compiuta Saremo la banca della media impresa»114

07/07/2014 Corriere della Sera - Nazionale

«Mi alleo con Telefónica e ho fiducia nel premier»116

05/07/2014 Il Sole 24 Ore

Caio: «Porteremo Poste Italiane in Borsa dopo novembre»119

05/07/2014 Il Sole 24 Ore

Il coraggio di un fisco dal volto umano121

05/07/2014 Il Sole 24 Ore

Il coraggio di regole per un lavoro «semplice»123

05/07/2014 Il Sole 24 Ore

Amazon e il fisco globale da armonizzare125

06/07/2014 Il Sole 24 Ore

Meno spesa e meno tasse, due cose da fare assieme127

06/07/2014 Il Sole 24 Ore

Con un pegno sulle riforme saremmo più credibili129

06/07/2014 Il Sole 24 Ore

Il buon uso dei fondi chiave del rilancio131

06/07/2014 Il Sole 24 Ore

Ipo in Borsa, Europa batte Usa132

06/07/2014 Il Sole 24 Ore

Unico agli ultimi calcoli134

06/07/2014 Il Sole 24 Ore

«Sanzioni a caro prezzo per l'Italia»137

06/07/2014 Il Sole 24 Ore

Abi-Pmi, prorogata la moratoria dei debiti139

06/07/2014 Il Sole 24 Ore

Quei 10 miliardi a Piazza Affari, tra aumenti e Ipo141

06/07/2014 Il Sole 24 Ore

Consumi, segnali di vita dai saldi143

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06/07/2014 Il Sole 24 Ore

La Tassara vende anche Mps145

06/07/2014 Il Sole 24 Ore

Riformare la Pa è privatizzare (e viceversa)147

07/07/2014 Il Sole 24 Ore

La guerra dei trent'anni con il Fisco per un rimborso149

07/07/2014 Il Sole 24 Ore

Nella «Pa» 250mila in uscita150

07/07/2014 Il Sole 24 Ore

L'Europa digitale? Un programma che procede a rilento152

07/07/2014 Il Sole 24 Ore

La crescita può eliminare le iniquità154

07/07/2014 Il Sole 24 Ore

Pensioni sempre più leggere155

05/07/2014 La Repubblica - Nazionale

Il potere temporale dei banchieri157

05/07/2014 La Repubblica - Nazionale

Telefonica entra nella pay tv Premium Mediaset incassa e cerca altri soci159

06/07/2014 La Repubblica - Nazionale

Se l'America ignora il Pil160

06/07/2014 La Repubblica - Nazionale

Pirelli, a Rovati non bastano 130 milioni Tronchetti vuole i russi di Rosneft162

06/07/2014 La Repubblica - Nazionale

Bus e metro, via alla riforma spese fuori dal patto Stabilità cambiano le regole dellegare

163

07/07/2014 La Repubblica - Nazionale

Lo scandalo dei fondi europei 500 mila progetti di formazione non sono serviti acreare lavoro

165

07/07/2014 La Repubblica - Nazionale

"Spendiamoli meglio ma guai a rinunciarvi"167

05/07/2014 La Stampa - Nazionale

"Il patto di stabilità non va diluito"168

05/07/2014 La Stampa - Nazionale

L'Antitrust: "Più liberalizzazioni per superare il capitalismo di Stato"170

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05/07/2014 La Stampa - Nazionale

Carige ce la fa Tutto esaurito l'aumento di capitale171

06/07/2014 La Stampa - Nazionale

Più tasse a tutti Ecco i conti del federalismo172

06/07/2014 La Stampa - Nazionale

Rivoluzione allo Ior Arriva il francese de Franssu e stop ai maxi investimenti174

07/07/2014 La Stampa - Nazionale

"Servono misure di rottura Via la reversibilità e l'art. 18"175

07/07/2014 La Stampa - Nazionale

"Focus su tecnologia e servizi L'obiettivo? Utili a 400 milioni"176

07/07/2014 La Repubblica - Affari Finanza

IL MISTERO DELLA FEDE SULLA TASI E LA CHIESA178

07/07/2014 La Repubblica - Affari Finanza

Montepaschi dopo l'aumento di capitale resta il nodo della redditività179

07/07/2014 La Repubblica - Affari Finanza

Mediaset, nozze riparatrici tre candidati per Premium181

07/07/2014 La Repubblica - Affari Finanza

Super euro la soluzione non verrà dalla Fed183

07/07/2014 La Repubblica - Affari Finanza

"Quattro punti per rendere solida l'Unione bancaria"185

07/07/2014 Corriere Economia

Quanti aumenti e promozioni nella «Calabria felix»187

07/07/2014 Corriere Economia

Bce, i mille miliardi che devono arrivare a famiglie e aziende188

07/07/2014 Corriere Economia

Cessioni La nuova vita di Eni ed Enel189

07/07/2014 Corriere Economia

Big Blue realizzerà in Italia il super Data Center192

07/07/2014 Corriere Economia

Riforme «Giovani state attenti In futuro lo Stato non vi aiuterà più»194

07/07/2014 Corriere Economia

Orizzonti Il risparmio gestito vince quando è in formato esportazione196

05/07/2014 Milano Finanza

Assiom: dalla Bce più soldi del previsto198

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05/07/2014 Milano Finanza

Il debito nasce a Berlino199

SCENARIO PMI

06/07/2014 Il Sole 24 Ore

«No alla dipendenza bancocentrica La Borsa strada per crescere»202

07/07/2014 Il Sole 24 Ore

Sugli investimenti esteri timidi segnali positivi204

07/07/2014 Il Sole 24 Ore

Nei Bric si punta alle joint venture206

06/07/2014 La Stampa - Nazionale

"È colpa del governo Monti Ma ora aggiustiamo tutto"208

06/07/2014 La Stampa - Nazionale

"Subito le semplificazioni E studiamo un taglio Irap"209

06/07/2014 La Stampa - Biella

La posta dei lettori210

06/07/2014 La Stampa - Novara

"Competitività, il decreto legge va sostenuto da una strategia"211

07/07/2014 Il Messaggero - Nazionale

Il sondaggio Immigrazione e debito priorità per gli italiani212

06/07/2014 Libero - Milano

«Congressi locali e primarie Così conquisteremo Milano»214

07/07/2014 La Repubblica - Affari Finanza

Le librerie in guerra contro il potere di Amazon215

07/07/2014 La Repubblica - Affari Finanza

Innovazione le pmi hanno capito che si fa in partnership217

07/07/2014 La Repubblica - Affari Finanza

Unidata si lancia nel business "Mobile" e da settembre anche sulla fibra ottica218

07/07/2014 La Repubblica - Affari Finanza

Con reverse e certificazione i gestori puntano in alto il trend positivo continuerà219

07/07/2014 Corriere Economia

Università & Ricerca Piccoli inventori crescono220

05/07/2014 Milano Finanza

Si sono scordati l' Aim222

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04/07/2014 Espansione

Salvare la manifattura per salvare l'Italia224

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14 articoli

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Il caso Marco Vallisa, originario del Piacentino, è ufficialmente «irreperibile» da ieri. Sono in tutto quattro inostri connazionali sequestrati nel mondo Scomparso in Libia un tecnico italiano «È stato rapito con i suoi colleghi» Appalto È impiegato nei lavori di ammodernamento del porto di Zuwara Auto abbandonata Dipendente di unaditta modenese, la sua auto di servizio è stata ritrovata di fronte a casa Fabrizio Caccia ROMA - Da ieri mattina, Marco Vallisa, 53 anni, di Cadeo (Piacenza), tecnico edile specializzato in

trivellazioni, è ufficialmente «irreperibile» in Libia, secondo la Farnesina. La tv Lybia International Channel ha

ipotizzato il suo rapimento nella zona di Zuwara, ad ovest della capitale Tripoli, verso il confine con la Tunisia,

località sulla costa ormai divenuta famosa per il traffico illegale di immigrati. È da Zuwara infatti che partono

ogni giorno, diretti verso l'Europa, i barconi della speranza organizzati da scafisti senza scrupoli.

Vallisa, sposato, tre figli, è stato visto l'ultima volta ieri mattina da un gruppo di dipendenti come lui

dell'impresa modenese «Piacentini Costruzioni», leader mondiale delle paratie metalliche, impegnata

attualmente nei lavori di ricostruzione e ammodernamento del porto di Zuwara: un appalto che si aggira

intorno ai 37 milioni di euro. Il tecnico italiano era insieme con altri due colleghi, il bosniaco Petar Matic e il

macedone Emilio Gafuri, scomparsi anche loro. La macchina di servizio su cui viaggiavano i tre è stata

ritrovata di fronte a casa: «Abbiamo provato numerose volte a contattarli ma i cellulari risultavano prima

irraggiungibili e poi spenti», hanno raccontato più tardi gli altri dipendenti.

Il nostro ministero degli Esteri ha «subito attivato tutti i canali» e ha raccomandato ai familiari il massimo

riserbo. Per ora, comunque, nessuna rivendicazione e nessuna richiesta di riscatto è arrivata. Ma Vallisa,

purtroppo, non sarebbe il primo italiano rapito in Libia. Da marzo scorso, infatti, non si hanno più notizie di

Gianluca Salviato, 48 anni, tecnico della «Enrico Ravanelli» di Udine, sparito nella città orientale di Tobruk.

Da allora si teme per la sua vita, anche perché l'uomo, diabetico, ha bisogno di insulina. E nella stessa

regione, la Cirenaica, due operai calabresi, Francesco Scalise e Luciano Gallo, della General World di

Crotone, furono rapiti il 17 gennaio vicino Derna e, per fortuna, liberati 20 giorni dopo.

Così ora sono 4 gli italiani nel mondo che mancano all'appello: oltre a Vallisa e Salviato, ci sono Giovanni Lo

Porto, 38 anni, palermitano, sequestrato in Pakistan il 19 gennaio 2012, rapito insieme a un collega tedesco a

Qasim Bela, nella provincia del Punjab, dove lavorava per la ong tedesca Welt HungerHilfe alla ricostruzione

dell'area messa in ginocchio dalle inondazioni del 2011. Eppoi, ormai da quasi un anno, è sparito in Siria (il

27 luglio 2013) padre Paolo Dall'Oglio, 59 anni, catturato da un gruppo di miliziani qaedisti. La sua morte, più

volte annunciata in questi mesi, è stata smentita di recente da attivisti locali, secondo cui il gesuita romano

sarebbe «prigioniero ma ancora vivo».

Intanto, a Cadeo, paese di 5 mila anime a 15 chilometri da Piacenza, il sindaco Marco Bricconi è andato a

trovare la moglie di Marco Vallisa, la farmacista Silvia Bolzoni, che è anche consigliere di maggioranza in

comune: «Non c'è certezza del rapimento - ha detto Bricconi -. Siamo in attesa di notizie, abbiamo comunque

piena fiducia nelle istituzioni. È ovvio che c'è grande apprensione, questa è una piccola comunità e ci

conosciamo tutti. Speriamo che questa vicenda si risolva positivamente al più presto».

Anche il titolare dell'azienda, Dino Piacentini, è in stretto contatto con l'Unità di crisi della Farnesina. Il Gruppo

Piacentini, specializzato in dighe, porti e cantieri navali, ha commesse in tutto il mondo e il patron Dino, che è

presidente della Confapi di Modena, ha portato in Libia a lavorare con lui tante piccole e medie imprese del

territorio. «Ma il dopo Gheddafi è drammatico - racconta Paolo Cason, 65 anni, anche lui imprenditore -.

Laggiù siamo al tutti contro tutti, le tribù si combattono tra loro, ovunque girano gruppi armati e noi italiani

dobbiamo lavorare sotto scorta. Io me ne sono andato già da tempo. Ormai è diventato troppo pericoloso».

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06/07/2014 12Pag. Corriere della Sera - Ed. nazionale(diffusione:619980, tiratura:779916)

La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato

ANIEM - Rassegna Stampa 07/07/2014 12

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Il tecnico Biografia

Ha 53 anni e vive a Cadeo, nel piacentino, Marco Vallisa (foto) , il tecnico italiano di cui si teme il rapimento in

Libia. L'uomo lavora nel Paese nordafricano per la «Piacentini Costruzioni» di Modena. Secondo la tv libica

sarebbe stato sequestrato a Zuwara insieme a due colleghi. Sono tre gli altri italiani rapiti in diversi parti del

mondo

06/07/2014 12Pag. Corriere della Sera - Ed. nazionale(diffusione:619980, tiratura:779916)

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Libia, scompare tecnico italiano «L'hanno rapito con due colleghi» Il piacentino Marco Vallisa. Le autorità di Tripoli: è un sequestro Alessandro Farruggia DOVEVANO giungere in cantiere di buona mattina, ma nel cantiere del porto di Zuwara

- una cittadina della costa libica resa celebre dal fatto che è il principale imbarco dei migranti che puntano a

raggiungere l'Europa - non sono mai arrivati. E così è scattato l'allarme. Sono irreperibili tre lavoratori - un

italiano, un bosniaco e un macedone - di una azienda emiliana che a Zuwara porta avanti una commessa per

la ricostruzione del porto che vale 37 milioni di euro. L'italiano è Marco Vallisa, 53 anni, di Cadeo, nel

Piacentino, direttore di cantiere della Piacentini costruzioni Lybian Branch, succursale nordafricana della

Piacentini costruzioni di Modena, azienda che da anni opera a Tripoli e dintorni. Con lui sono scomparsi

Emilio Gafuri, macedone, e Petar Matic, bosniaco che viaggiavano nello stesso fuoristrada, poi ritrovato

vicino alla loro casa. Secondo la polizia locale, contattata da altri dipendenti e poi dalla nostra ambasciata a

Tripoli, si tratta di «presunto rapimento», eufemismo per dire rapimento, ma il fatto che non sono giunte

richieste di riscatto lascia ancora un margine di incertezza. L'ipotesi più probabile è che i tre siano stati

intercettati dai rapitori mentre avevano appena lasciato la loro abitazione e portati via. Il caso è comunque

nelle mani dell'Unità di Crisi della Farnesina che coordina gli sforzi potendo contare sui nostri 007 oltre che

sulla nostra ambasciata. Prioritario è adesso avere conferma che di rapimento si tratta e capire chi li ha presi.

Nel Piacentino c'è grande preoccupazione, ma il riserbo è totale. «C'è grande apprensione - ha detto Marco

Bricconi, sindaco di Cadeo - questa è una piccola comunità e ci conosciamo tutti. Auspichiamo che questa

vicenda si risolva positivamente al più presto». Il sindaco ha parlato con la moglie, che è in contatto con

l'Unità di crisi della Farnesina, e non rilascia dichiarazioni. La stessa linea che a Modena ha adottato Dino

Piacentini, titolare del gruppo che ha sede a Montale Ragone e per il quale lavora Vallisa. DI CERTO per

l'Unità di Crisi si profila un nuovo dossier caldo che si aggiunge a quello aperto il 22 marzo scorso quando si

sono perse le tracce in Libia del tecnico Gianluca Salviato, 48 anni, originario della provincia di Venezia. E ci

sono anche altri due rapiti italiani che mancano all'appello. Da oltre due anni non si hanno notizie del

cooperante Giovanni Lo Porto, 38 anni, palermitano, fu sequestrato in Pakistan il 19 gennaio 2012, dove

lavorava per la ong tedesca. E dal luglio dello scorso anno è sparito in Siria padre Paolo Dall'Oglio, 59 anni,

gesuita romano.

06/07/2014 22Pag. QN - Il Resto del Carlino - Ed. nazionale(diffusione:165207, tiratura:206221)

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IL GIALLO SI TRATTA DI UN ITALIANO DI PIACENZA, UN BOSNIACO E UN MACEDONE Spariti tre dipendenti della Piacentini: si teme il rapimento in Libia L'allarme è scattato ieri: ritrovata la loro auto di fronte a casa MARCO VALLISA, piacentino di Cadeo, il bosniaco Petar Matic e il macedone Emilio Gafuri. Sono i tre

dipendenti della 'Piacentini Costruzioni' scomparsi a Zuwara, in Libia, dove l'azienda modenese ha un

cantiere: l'ammodernamento del porto. Di loro non si hanno notizie dalla giornata di ieri. La notizia, giunta a

Modena nel pomeriggio, è stata diffusa dall'emitente Libya International Channel, che sulla sua pagina

Facebook ipotizza un rapimento. I tre sono quindi scomparsi nell'ovest del paese. LA FARNESINA per il

momento ha confermato la scomparsa dell'italiano, aggiungendo che sono stati attivati tutti i canali e che è

stata avvertita la famiglia. A Cadeo (Piacenza), paese d'origine di Vallisa tecnico specializzato nel settore

costruzioni, che spesso lavora con grandi aziende anche all'estero, sono ore di apprensione, nella speranza

che la vicenda si risolva presto. I tre dipendenti della Piacentini Costruzioni sono stati visti l'ultima volta ieri

mattina da un altro gruppo di dipendenti. Da allora si sono perse le loro tracce, riferiscono fonti della ditta a

Tripoli. Mentre Dino Piacentini per il momento non ha voluto commentare in alcun modo il presunto

rapimento. La loro macchina di servizio è stata ritrovata di fronte casa e a ieri sera non c'erano notizie più

concrete sulla loro sorte. Per ora nessuna rivendicazione è stata resa nota e nessun riscatto chiesto alla ditta,

informa la Piacentini. Intanto le autorità di Zuwara si sono attivate nella ricerca degli operai e avrebbero

anche fermato alcune persone che potrebbero essere probabili sospetti, ma niente di concreto. LA

PIACENTINI sta attualmente lavorando alla ricostruzione e all'ammodernamento del porto di Zuwara per un

importo che si aggira intorno ai 37 milioni di euro. Dalla rivoluzione del 2011 che ha deposto Muammar

Gheddafi, la Libia e' teatro di rapimenti quasi giornalieri di membri delle forze di sicurezza, attivisti, giornalisti,

giudici libici ma anche civili e stranieri, spesso perpetrati a scopo di riscatto. Il sindaco Gian Carlo Muzzarelli,

ha fatto sapere di aver telefonato a Dino Piacentini: «Mi ha confermato - sottolinea il sindaco - che la

Farnesina è al lavoro. Attendiamo novità, nella speranza che la vicenda venga risolta presto e nel modo

migliore».

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Libia, scompare tecnico italiano «L'hanno rapito con due colleghi» Il piacentino Marco Vallisa. Le autorità di Tripoli: è un sequestro Alessandro Farruggia DOVEVANO giungere in cantiere di buona mattina, ma nel cantiere del porto di Zuwara

- una cittadina della costa libica resa celebre dal fatto che è il principale imbarco dei migranti che puntano a

raggiungere l'Europa - non sono mai arrivati. E così è scattato l'allarme. Sono irreperibili tre lavoratori - un

italiano, un bosniaco e un macedone - di una azienda emiliana che a Zuwara porta avanti una commessa per

la ricostruzione del porto che vale 37 milioni di euro. L'italiano è Marco Vallisa, 53 anni, di Cadeo, nel

Piacentino, direttore di cantiere della Piacentini costruzioni Lybian Branch, succursale nordafricana della

Piacentini costruzioni di Modena, azienda che da anni opera a Tripoli e dintorni. Con lui sono scomparsi

Emilio Gafuri, macedone, e Petar Matic, bosniaco che viaggiavano nello stesso fuoristrada, poi ritrovato

vicino alla loro casa. Secondo la polizia locale, contattata da altri dipendenti e poi dalla nostra ambasciata a

Tripoli, si tratta di «presunto rapimento», eufemismo per dire rapimento, ma il fatto che non sono giunte

richieste di riscatto lascia ancora un margine di incertezza. L'ipotesi più probabile è che i tre siano stati

intercettati dai rapitori mentre avevano appena lasciato la loro abitazione e portati via. Il caso è comunque

nelle mani dell'Unità di Crisi della Farnesina che coordina gli sforzi potendo contare sui nostri 007 oltre che

sulla nostra ambasciata. Prioritario è adesso avere conferma che di rapimento si tratta e capire chi li ha presi.

Nel Piacentino c'è grande preoccupazione, ma il riserbo è totale. «C'è grande apprensione - ha detto Marco

Bricconi, sindaco di Cadeo - questa è una piccola comunità e ci conosciamo tutti. Auspichiamo che questa

vicenda si risolva positivamente al più presto». Il sindaco ha parlato con la moglie, che è in contatto con

l'Unità di crisi della Farnesina, e non rilascia dichiarazioni. La stessa linea che a Modena ha adottato Dino

Piacentini, titolare del gruppo che ha sede a Montale Ragone e per il quale lavora Vallisa. DI CERTO per

l'Unità di Crisi si profila un nuovo dossier caldo che si aggiunge a quello aperto il 22 marzo scorso quando si

sono perse le tracce in Libia del tecnico Gianluca Salviato, 48 anni, originario della provincia di Venezia. E ci

sono anche altri due rapiti italiani che mancano all'appello. Da oltre due anni non si hanno notizie del

cooperante Giovanni Lo Porto, 38 anni, palermitano, fu sequestrato in Pakistan il 19 gennaio 2012, dove

lavorava per la ong tedesca. E dal luglio dello scorso anno è sparito in Siria padre Paolo Dall'Oglio, 59 anni,

gesuita romano.

06/07/2014 22Pag. QN - Il Giorno - Ed. nazionale(diffusione:69063, tiratura:107480)

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Libia, scompare tecnico italiano «L'hanno rapito con due colleghi» Il piacentino Marco Vallisa. Le autorità di Tripoli: è un sequestro Alessandro Farruggia DOVEVANO giungere in cantiere di buona mattina, ma nel cantiere del porto di Zuwara

- una cittadina della costa libica resa celebre dal fatto che è il principale imbarco dei migranti che puntano a

raggiungere l'Europa - non sono mai arrivati. E così è scattato l'allarme. Sono irreperibili tre lavoratori - un

italiano, un bosniaco e un macedone - di una azienda emiliana che a Zuwara porta avanti una commessa per

la ricostruzione del porto che vale 37 milioni di euro. L'italiano è Marco Vallisa, 53 anni, di Cadeo, nel

Piacentino, direttore di cantiere della Piacentini costruzioni Lybian Branch, succursale nordafricana della

Piacentini costruzioni di Modena, azienda che da anni opera a Tripoli e dintorni. Con lui sono scomparsi

Emilio Gafuri, macedone, e Petar Matic, bosniaco che viaggiavano nello stesso fuoristrada, poi ritrovato

vicino alla loro casa. Secondo la polizia locale, contattata da altri dipendenti e poi dalla nostra ambasciata a

Tripoli, si tratta di «presunto rapimento», eufemismo per dire rapimento, ma il fatto che non sono giunte

richieste di riscatto lascia ancora un margine di incertezza. L'ipotesi più probabile è che i tre siano stati

intercettati dai rapitori mentre avevano appena lasciato la loro abitazione e portati via. Il caso è comunque

nelle mani dell'Unità di Crisi della Farnesina che coordina gli sforzi potendo contare sui nostri 007 oltre che

sulla nostra ambasciata. Prioritario è adesso avere conferma che di rapimento si tratta e capire chi li ha presi.

Nel Piacentino c'è grande preoccupazione, ma il riserbo è totale. «C'è grande apprensione - ha detto Marco

Bricconi, sindaco di Cadeo - questa è una piccola comunità e ci conosciamo tutti. Auspichiamo che questa

vicenda si risolva positivamente al più presto». Il sindaco ha parlato con la moglie, che è in contatto con

l'Unità di crisi della Farnesina, e non rilascia dichiarazioni. La stessa linea che a Modena ha adottato Dino

Piacentini, titolare del gruppo che ha sede a Montale Ragone e per il quale lavora Vallisa. DI CERTO per

l'Unità di Crisi si profila un nuovo dossier caldo che si aggiunge a quello aperto il 22 marzo scorso quando si

sono perse le tracce in Libia del tecnico Gianluca Salviato, 48 anni, originario della provincia di Venezia. E ci

sono anche altri due rapiti italiani che mancano all'appello. Da oltre due anni non si hanno notizie del

cooperante Giovanni Lo Porto, 38 anni, palermitano, fu sequestrato in Pakistan il 19 gennaio 2012, dove

lavorava per la ong tedesca. E dal luglio dello scorso anno è sparito in Siria padre Paolo Dall'Oglio, 59 anni,

gesuita romano.

06/07/2014 22Pag. QN - La Nazione - Ed. nazionale(diffusione:136993, tiratura:176177)

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Tre dipendenti della Piacentini misteriosamente spariti in Libia Da ieri non si hanno più notizie di MarcoVallisa, Petar Matic, Emilio Gafuri impegnati in un cantiere Si teme siano stati rapiti ad Al Zawra dove sitrovano bande che controllano il traffico di immigrati Tre dipendenti della Piacentini misteriosamente spariti in Libia Tre dipendenti della Piacentini

misteriosamente spariti in Libia

Da ieri non si hanno più notizie di Marco Vallisa, Petar Matic, Emilio Gafuri impegnati in un cantiere

Si teme siano stati rapiti ad Al Zawra dove si trovano bande che controllano il traffico di immigrati

di Stefano Totaro Tre dipendenti della Piacentini costruzioni, la ditta edile guidata da Dino Piacentini e che

ha sede a Montale di Castelnuovo, sono misteriosamente scomparsi da ieri mattina in Libia e si ipotizza per

loro il rapimento, ipotesi che si fa sempre più reale con il passare delle ore. Si tratta di un tecnico italiano,

l'ingegnere Marco Vallisa di Cadeo, nel Piacentino, e di due colleghi, il bosniaco Petar Matic e il macedone

Emilio Gafuri: la vicenda ha come teatro la città costiera di Zuwara, nell'ovest della Libia, dove la Piacentini

Costruzioni, assieme a diverse imprese del collegio edili Aniem di Apmi, sta lavorando per la ricostruzione e

l'ammodernamento del porto libico di Al Zawra, nei pressi del confine tunisino, per un importo che si aggira

intorno ai 37 milioni di euro. Tra le ditte impegnate la Granulati Donnini spa di Modena e la Cesare Turchi di

Rubiera. Per la gestione della commessa il management e la direzione tecnica sono italiani, mentre le

maestranze sono state reperite in loco. La notizia della scomparsa, è stata inizialmente diffusa dal Libya

International Channel che ha da subito ipotizzato un rapimento, poi la scomparsa è stata poi confermata dalla

Farnesina : "tenico italiano irreperibile". L'imprenditore Dino Piacentini, non appena ha saputo della

misteriosa scomparsa, ha avvisato la Farnesina e ora il tutto viene gestito da Roma. Veniamo ad una prima

ricostruzione di ciò che sarebbe avvenuto ieri mattina: il piacentino Vallisa, 53 anni ed esperto di costruzioni

era con altri due colleghi, il bosniaco Petar Matic e il macedone Emilio Gafuri, al momento della scomparsa

avvenuta nella città costiera di Zuwara, una città nota per il traffico illegale di immigrati e dalle cui coste

tentano di emigrare migliaia di clandestini verso l'Europa. Vallisa era da circa tre mesi impegnato in Libia per

la realizzazione del porto. I tre sono stati visti l'ultima volta ieri mattina da un altro gruppo di dipendenti. Da

allora si sono perse le loro tracce, riferiscono fonti della ditta a Tripoli all'Ansa. La loro macchina di servizio è

stata ritrovata di fronte casa e al momento non ci sono notizie più concrete sulla loro sorte mentre crescono i

timori di un rapimento. Ma, come ha affermato lo stesso Dino Piacentini, alla ditta non sono mai arrivate

rivendicazioni, nè richieste di riscatto. «Abbiamo provato numerose volte a contattarli ma i cellulari risultavano

prima irraggiungibili poi spenti», riferiscono da Tripoli. Intanto le autorità di Zuwara si sono attivate nella

ricerca degli operai e avrebbero anche fermato alcune persone che potrebbero essere probabili sospetti, ma

per ora niente di concreto. Dalla rivoluzione del 2011 che ha deposto Muammar Gheddafi, la Libia è teatro di

rapimenti quasi giornalieri di membri delle forze di sicurezza, attivisti, giornalisti, giudici libici ma anche civili e

stranieri, spesso perpetrati a scopo di riscatto. Come ricorda l'Ansa, da marzo non si hanno notizie di un altro

italiano scomparso invece nella città orientale di Tobruq, Gianluca Salviato, un tecnico della Enrico Ravanelli.

Da allora si teme per la sua vita anche perché l'uomo, diabetico, ha bisogno di insulina. Nella stessa regione,

la Cirenaica martoriata da scontri, attentati e sequestri quasi quotidiani, altri due operai italiani furono invece

rapiti il 17 gennaio vicino Derna e liberati 20 giorni dopo. Se i timori della prima ora, quelli del rapimento,

fossero confermati salirebbero a quattro gli italiani nel mondo di cui si sono perse le tracce. Oltre a Vallisa e

Salviati non si sa più nulla neanche di Giovanni Lo Porto, sparito da tre anni in Pakistan e Padre Dall'Oglio, in

Siria, di cui non si ha più notizia da tempo.

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Il Gruppo è un vero e proprio colosso, leader delle paratie che sono uniche al mondo SCHEDADELL'AZIENDA CON SEDE A MONTALE Il Gruppo è un vero e proprio colosso, leader delle paratie che sonouniche al mondo Il Gruppo è un vero e proprio colosso, leader delle paratie che sono uniche al mondo

SCHEDA DELL'AZIENDA CON SEDE A MONTALE

Il Gruppo Piacentini ha sede a Montale è nato da una prima impresa dell'immediato dopoguerra a Palagano,

quella di Stefano Piacentini. Nel 1981 nasce Piacentini Costruzioni Spa, controllata dalla famiglia Piacentini.

Nasce specializzata nella costruzione di opere pubbliche, civili e industriali, per lo più ponti, strade e poi, con

l'uso di tecnologie innovative, nelle paratie metalliche (palancole) per le quali risulta leader mondiale; lavora a

dighe, cantieri navali, porti. Ne è leader Dino Piacentini, imprenditore noto in città, presidente anche di

Confapi Pmi Modena. In Libia risulta coinvolta l'intera Confapi Modena che, attraverso Piacentini Costruzioni,

porta diverse imprese a lavorare per la ricostruzione ammodernamento del porto di Al Zawra, nei pressi del

confine tunisino. Il Gruppo ha commesse in molti Paesi all'estero, In Italia ha cantieri in porti, tangenziali e

tratte autostradali, lavori anche al Mose e all'aeroporto Fiumicino.

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«Nè minacce nè rivendicazioni» Dino Piacentini a lungo al telefono con Muzzarelli: «In tanti anni In Libia maisubìto delle violenze» «Nè minacce nè rivendicazioni» «Nè minacce nè rivendicazioni»

Dino Piacentini a lungo al telefono con Muzzarelli: «In tanti anni In Libia mai subìto delle violenze»

«Non appena ho saputo di quanto stava succedendo ho messo tutto nelle mani della Farnesina, mi sono

affidato completamente a loro. Sono tanti anni che lavoriamo in Libia e mai mi era capitato qualcosa di simile.

Mai una minaccia, un atto violento, una rivendicazione nè un fatto così grave come questo. Sono

preoccupatissimo, in asia per i miei dipendenti. Ripeto, anche in questi mesi in cui avevamo iniziato i lavori

nell'area portuale, non c'era mai stato un segnale, un avvertimento, un qualcosa che b fosse andato storto,

un avvertimento che potesse che potesse lasciare presagire a un fatto grave. Nè, tantomeno ora, una

rivendicazione». Così Dino Piacentini, l'imprenditore a capo della Piacentini costruzioni, ieri al telefono con il

sindaco Muzzarelli. «Mi ha detto - conferma Muzzarelli - di essere preoccupato, di non spiegarsi cosa possa

essere accaduto. Non sa, ad esempio, se i tre siano stati bloccati in strada, nel tratto da casa al cantiere. Si

sa per ora soltanto che non si sono presentasti al lavoro ieri mattina. Ho sentito amarezza e tanta

apprensione per i suoi dipendenti. Mi sembra che sia circa da un anno che è partita questa realizzazione in

Libia commissionata dall'autorità marittima e portuaria della zona. Là al cantiere ci sono, mi sembra proprio,

altri dipendenti, sicuramente italiani e pure modenesi così come altre ditte del Modenese». «Ovviamente

come amministrazione comunale di Modena - ha affermato il primo cittadino Gian Carlo Muzzarelli - siamo

vicini ai Piacentini e non solo, vicini a tutte le persone coinvolte in qualche modo in questa vicenda e ci

prodigheremo per sostenere, per aiutare, per dare supporto in tutti i modi e le forme possibili».

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Ore d'ansia per la sorte dei tre tecnici Il paese di Vallisa unito in preghiera: «Signore, proteggilo». A ModenaPiacentini in contatto costante con la Libia Ore d'ansia per la sorte dei tre tecnici Ore d'ansia per la sorte dei tre tecnici

Il paese di Vallisa unito in preghiera: «Signore, proteggilo». A Modena Piacentini in contatto costante con la

Libia

«Diciamo al Signore: 'Abbiamo bisogno di ristoro, abbiamo bisogno che tu lo protegga'». Così don Umberto

Ciullo, durante l'omelia della Messa domenicale nella chiesa di Santa Teresa Benedetta della Croce a Cadeo

di Piacenza, ha elevato al Cielo la preghiera affinchè Marco Vallisa, il tecnico della Piacentini costruzioni di

Modena, rapito in Libia insieme ad altri due colleghi di nazionalità europea, possa fare presto ritorno a casa

dalla sua famiglia. La pista più battuta è quella del rapimento a scopo di estorsione. «Non possiamo negare

che oggi ci opprima il pensiero del nostro concittadino Marco, che è in Libi. - ha detto - Il pensiero alla sua

situazione è un'oppressione». Oppressione affrontata con fiducia dal fratello di Marco, Corrado Vallisa.

«L'ultima volta che abbiamo sentito Marco è stato venerdì: aveva la stessa voce di sempre, - ha detto a

Piacenza24.eu - non era preoccupato e non aveva timori, anche perché la zona in cui lavora è sempre stata

tranquilla, lontana dalle tensioni, e non ha mai avuto problemi di sicurezza». «Poi - ha aggiunto - sabato

siamo stati contattati dalla Farnesina, che ci ha comunicato che Marco era irreperibile: a quel punto abbiamo

cominciato a chiamarlo sul cellulare, ma all'inizio non rispondeva, poi il cellulare si è spento. Ora non

sappiamo più nulla di lui. Aspettiamo che chi ha rapito Marco e i suoi colleghi chieda il riscatto, non so se

vorranno armi o soldi, non lo so. Io sono convinto che l'abbiano sequestrato, ma allo stesso tempo ho fiducia,

sì, sono fiducioso». Tutto il paese si è stretto attorno alla famiglia Vallisa, esperto in costruzioni e perforazioni,

e in particolare la moglie Silvia Bolzoni, farmacista del paese e consigliere comunale nel gruppo di

maggioranza, e i tre figli, che frequentano le scuole elementari. I familiari sono tornati ieri a casa, la notizia

del rapimento li ha raggiunti mentre si trovavano in vacanza. A fare da tramite e filtro è il sindaco, Marco

Bricconi: «Sono in costante contatto con la moglie di Vallisa - dice - Naturalmente c'è apprensione, non solo

tra i congiunti ma in tutta Cadeo». Marco Vallisa, ricorda il sindaco, è in Libia «da uno o due mesi, ma aveva

già avuto esperienze di lavoro all'estero». Fino a qualche tempo fa era stato titolare di una ditta, la Edilpali,

che tra l'altro nel 2009 aveva realizzato le fondamenta del ponte provvisorio sul Po, dopo il crollo di quello

sulla via Emilia, poi era andato a lavorare per la Piacentini. «Marco - aggiunge Bricconi - è una persona molto

capace, esperto in meccanica e opere di perforazione, ed è anche molto generoso nei rapporti umani».

Vallisa ha anche una forte passione per la politica: nel '95 si era candidato sindaco con la lista 'Cadeo riparte'

ed era poi entrato in consiglio nei banchi della minoranza, nel 2006 aveva appoggiato un altro candidato alla

poltrona di primo cittadino. Anche nella chiesa del paese, che conta circa 6.200 abitanti, non si parla che di

Vallisa. «Per la famiglia di Marco la parrocchia è come una seconda casa - dice don Umberto Ciullo - Potete

immaginare come ci sentiamo» Circa 150 persone erano riunite ieri sera in parrocchia per la consueta

"pizzata" mensile: ed è stata avanzata l'ipotesi di un momento di preghiera per Vallisa. La situazione è

seguita costantemente da Dino Piacentini l'imprenditore modenese titolare dell'omonima impresa che guida il

cartello di ditte impegnate nella alla ricostruzione e all'ammodernamento del porto di Zuwara per un importo

che si aggira intorno ai 37 milioni di euro. L'imprenditore si è chiuso dietro il massimo riserbo per tutelare i

suoi dipendenti. E l'associazione Apmi Confimi Impresa Modena ieri con una nota ha espresso «la propria

vicinanza all'azienda associata Piacentini Costruzioni e alle famiglie dei suoi dipendenti e rivolgono un

pensiero particolarmente accorato ai familiari dei tre collaboratori scomparsi», dice il neopresidente Apmi,

Giovanni Gorzanelli, che da fine giugno è succeduto a Dino Piacentini alla guida dell'associazione. «Ci

auguriamo tutti - prosegue - che questo increscioso episodio si concluda al più presto e nel modo più

soddisfacente, in modo che venga restituita la serenità alle famiglie di Marco Vallisa, Petar Matic ed Emilio

Gafuri». (r.c.)

07/07/2014 9Pag. Gazzetta di Modena - Ed. nazionale(diffusione:10626, tiratura:14183)

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modena Ad Al Zawara lavori di ricostruzione al porto Piacentini Costruzioni, azienda leader con cantieri nel mondo MODENA - Il Gruppo Piacentini ha sede a Montale Rangone (Modena), nato da un'impresa dell'immediato

dopoguerra a Palagano sull'Appennino. Era il 1949 quando Stefano Piacentini diede vita alla prima delle

aziende create e gestite dal gruppo di famiglia. Il passaggio del testimone alla seconda generazione è nel

1981, quando nasce Piacentini Costruzioni Spa, ancora oggi interamente controllata dalla famiglia Piacentini.

Nasce specializzata nella costruzione di opere pubbliche, civili e industriali, per lo più ponti, strade e

successivamente, con l'uso di tecnologie innovative, nelle paratie metalliche (palancole) per le quali risulta

leader mondiale; lavora a dighe, cantieri navali, porti.

Ne è leader Dino Piacentini, imprenditore noto in città, presidente anche di Confapi Pmi Modena: guida,

insieme ai fratelli, l'azienda di famiglia.

In Libia risulta coinvolta l'intera Confapi Modena che, attraverso Piacentini Costruzioni, porta diverse imprese

a lavorare per la ricostruzione e l'ammodernamento del porto di Al Zawara, nei pressi del confine tunisino.

Il Gruppo Piacentini ha commesse in molti Paesi, tra i quali Brasile, Costa Rica, West Indies (Caraibi),

Angola, Nigeria, Yemen, Indonesia, Kazakistan, Spagna. In Italia ha cantieri in molti porti, tangenziali e tratte

autostradali, reti di gas e acqua, recupero di scorie nucleari (Ispra, Varese), centrali termoelettriche e

idroelettriche, anche al Mose di Venezia o all'aeroporto Fiumicino di Roma.

06/07/2014

06/07/2014 21Pag. La Liberta(diffusione:30736, tiratura:172000)

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Ieri nel Paese magrebino la sparizione degli addetti impegnati in un cantiere dell'impresa modenese. Uno èitaliano SEQUESTRO Paura in Libia, rapiti tre tecnici della Piacentini Esclusa la pista jihadista, si ipotizza l'estorsione. La Farnesina: «Protocollo attivato» Il sindaco Muzzarelli«Attendiamo novità, nella speranza che la vicenda venga risolta presto e nel modo migliore» (Giancarlo Scarpa) Rapiti per soldi, sembra, per un'estorsione. Tre tecnici italiani sono stati vittima di un presunto sequestro ieri

in Libia: lavorano tutti per la Piacentini Costruzioni, la nota impresa edilizia modenese. I nomi, innanzi tutto: si

tratta dell'italiano Marco Vallisa, del bosniaco Petar Matic e del macedone Emilio Gafur. Viaggiavano sulla

stessa auto terminata nella rete dei banditi. La notizia è stata diffusa ieri pomeriggio dall'emittente magrebina

Libya international channel, ipotizzando che i tre tecnici al lavoro in un cantiere della Piacentini potessero

essere stati rapiti dopo essere scomparsi nella zona di Zuwara, nell'ovest del Paese magrebino, città nota per

il traffico illegale di immigrati e dalla quale tentano di emigrare migliaia di clandestini verso l'Europa. La

sparizione è stata confermata dall'azienda ma fino alla serata non sono stata avanzate rivendicazioni, in base

a quanto riportato dal sito web Al Rseefa.net, né tantomeno sono state avanzate richieste di riscatto. La

Piacentini sta attualmente lavorando alla ricostruzione e all'a m m o d e rnamento del porto di Zuwara per un

importo che si aggira intorno ai 37 milioni di euro. Secondo quanto emerso dalle indagini, il sequestro

potrebbe avere una matrice estorsiva: i tre sarebbe stati dunque rapiti per ottenere soldi. Un'ipotesi

comprovata da due ragionamenti. Il primo è che ad agire non sarebbero stati né terroristi e nemmeno i

jihadisti «attivi» nella parte est della nazione. Si potrebbe insomma trattare di criminali «comuni». Il secondo

spunto sulla natura del blitz riguarda la modalità utilizzata: l'a u t omobile sulla quale procedeva il trio sarebbe

stata bloccata sulla strada e i malcapitati sarebbero stati costretti a scendere dal veicolo sotto minaccia,

soggiogati da gente con le armi, e caricati su un altro mezzo. In effetti sarebbe stata ritrovata nei pressi della

loro abitazione la macchina e nel cruscotto, pare, le chiavi erano ancora inserite. Vallisa, Matic e Gafur sono

stati visti per l'ultima volta al mattino, prima che venissero persi i contatti, e un collega in servizio a Tripoli ha

fatto sapere «abbiamo provato numerose volte a contattarli, però i cellulari risultavano prima irraggiungibili e

poi spenti». Nel frattempo le autorità locali si sono attivate nella ricerca dei tre e sono state sentite alcune

persone che potrebbero essere infor mate sui fatti. Nell'attesa di sviluppi sulla vicenda, che ha richiamato l'at

tenzione della stampa internazionale, la Farnesina del Ministero degli Esteri ha confermato che Vallisa risulta

«irreperibile» sin dalla mattina e che «è stata avvisata la famiglia e attivati tutti i canali». L'italiano, si

apprende, ha 53 anni ed è originario di Cadeo, provincia di Piacenza; è un tecnico specializzato nel settore

costruzioni, che spesso lavora con grandi aziende anche all'estero. Va da sé che sono ore di apprensione per

familiari e conoscenti: l'auspicio, naturalmente, è che per lui così come per gli altri tutto vada per il meglio.

Pensiero condiviso dal sindaco di Modena, Gian Carlo Muzzarelli, che ha telefonato all'i mp re nd it ore Dino

Piacentini per manifestargli la solidarietà della città e chiedere informazioni sul presunto sequestro. «Mi ha

confermato che la Farnesina è al lavoro - dice -. Attendiamo novità, nella speranza che la vicenda venga

risolta presto e nel modo migliore». Dalla rivoluzione del 2011 che ha deposto Muammar Gheddafi, la Libia è

teatro di rapimenti quasi giornalieri di membri delle forze di sicurezza, attivisti, giornalisti, giudici libici come

pure civili e stranieri, spesso commessi a scopo di riscatto. Come quello che potrebbe aver coinvolto i tre

addetti della Piacentini.

Foto: APPRENSIONE Sopra un cantiere della Piacentini (foto d'archivio). A fianco, partendo da sinistra e in

senso orario, Vallisa, Matic e Gafuri

06/07/2014 3Pag. Prima Pagina - Modena

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ANIEM - Rassegna Stampa 07/07/2014 23

Page 24: ANIEM«Puc, vanno apportati correttivi e chiusi i cantieri del Piu Europa» 70 05/07/2014 Libero - Nazionale ... 06/07/2014 La Stampa - Nazionale Più tasse a tutti Ecco i conti del

Ieri nel Paese magrebino la sparizione degli addetti impegnati in un cantiere dell'impresa modenese. Uno èitaliano SEQUESTRO Paura in Libia, rapiti tre tecnici della Piacentini Esclusa la pista jihadista, si ipotizza l'estorsione. La Farnesina: «Protocollo attivato» Il sindaco di Modena«Attendiamo novità, nella speranza che la vicenda venga risolta presto e nel modo migliore» MODENA Rapiti per soldi, sembra, per un'estorsione. Tre tecnici italiani sono stati vittima di un presunto

sequestro ieri in Libia: lavorano tutti per la Piacentini Costruzioni, la nota impresa edilizia modenese. I nomi,

innanzi tutto: si tratta dell'italiano Marco Vallisa, del bosniaco Petar Matic e del macedone Emilio Gafur.

Viaggiavano sulla stessa auto terminata nella rete dei banditi. La notizia è stata diffusa ieri pomeriggio

dall'emittente magrebina Libya international channel, ipotizzando che i tre tecnici al lavoro in un cantiere della

Piacentini potessero essere stati rapiti dopo essere scomparsi nella zona di Zuwara, nell'ovest del Paese

magrebino, città nota per il traffico illegale di immigrati e dalla quale tentano di emigrare migliaia di clandestini

verso l'Europa. La sparizione è stata confermata dall'azienda ma fino alla serata non sono stata avanzate

rivendicazioni, in base a quanto riportato dal sito web Al Rseefa.net, né tantomeno sono state avanzate

richieste di riscatto. La Piacentini sta attualmente lavorando alla ricostruzione e all'a m m o d e rnamento del

porto di Zuwara per un importo che si aggira intorno ai 37 milioni di euro. Secondo quanto emerso dalle

indagini, il sequestro potrebbe avere una matrice estorsiva: i tre sarebbe stati dunque rapiti per ottenere soldi.

Un'ipotesi comprovata da due ragionamenti. Il primo è che ad agire non sarebbero stati né terroristi e

nemmeno i jihadisti «attivi» nella parte est della nazione. Si potrebbe insomma trattare di criminali «comuni».

Il secondo spunto sulla natura del blitz riguarda la modalità utilizzata: l'a u t omobile sulla quale procedeva il

trio sarebbe stata bloccata sulla strada e i malcapitati sarebbero stati costretti a scendere dal veicolo sotto

minaccia, soggiogati da gente con le armi, e caricati su un altro mezzo. In effetti sarebbe stata ritrovata nei

pressi della loro abitazione la macchina e nel cruscotto, pare, le chiavi erano ancora inserite. Vallisa, Matic e

Gafur sono stati visti per l'ultima volta al mattino, prima che venissero persi i contatti, e un collega in servizio

a Tripoli ha fatto sapere «abbiamo provato numerose volte a contattarli, però i cellulari risultavano prima

irraggiungibili e poi spenti». Nel frattempo le autorità locali si sono attivate nella ricerca dei tre e sono state

sentite alcune persone che potrebbero essere infor mate sui fatti. Nell'attesa di sviluppi sulla vicenda, che ha

richiamato l'at tenzione della stampa internazionale, la Farnesina del Ministero degli Esteri ha confermato che

Vallisa risulta «irreperibile» sin dalla mattina e che «è stata avvisata la famiglia e attivati tutti i canali».

L'italiano, si apprende, ha 53 anni ed è originario di Cadeo, provincia di Piacenza; è un tecnico specializzato

nel settore costruzioni, che spesso lavora con grandi aziende anche all'estero. Va da sé che sono ore di

apprensione per familiari e conoscenti: l'auspicio, naturalmente, è che per lui così come per gli altri tutto vada

per il meglio. Pensiero condiviso dal sindaco di Modena, Gian Carlo Muzzarelli, che ha telefonato all'i mp re

nd it ore Dino Piacentini per manifestargli la solidarietà della città e chiedere informazioni sul presunto

sequestro. «Mi ha confermato che la Farnesina è al lavoro - dice -. Attendiamo novità, nella speranza che la

vicenda venga risolta presto e nel modo migliore». Dalla rivoluzione del 2011 che ha deposto Muammar

Gheddafi, la Libia è teatro di rapimenti quasi giornalieri di membri delle forze di sicurezza, attivisti, giornalisti,

giudici libici come pure civili e stranieri, spesso commessi a scopo di riscatto. Come quello che potrebbe aver

coinvolto i tre addetti della Piacentini. (Giancarlo Scarpa)

Foto: APPRENSIONE Sopra un cantiere della Piacentini (foto d'archivio). A fianco, partendo da sinistra e in

senso orario, Vallisa, Matic e Gafuri

06/07/2014 8Pag. Prima Pagina - Reggio emilia

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ANIEM - Rassegna Stampa 07/07/2014 24

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IL PROGETTO DEL PONTE Gli addetti al lavoro su una commessa vanto dell'imprenditoria italiana Erano all'opera su un cantiere «speciale» Fase operativa nel 2013: dopo 8 anni vinta la scommessa di Dino Piacentini Erano diventata operativa a inizio 2013 la commessa che, attraverso la Piacentini Costruzioni, ha portato

diverse imprese del Collegio Edili Aniem di Apmi a lavorare per la ricostruzione e l'ammoder namento del

porto libico di Zuwara per 37 milioni di euro. Porto al quale pare stessero lavorando i tre uomini rapiti. La

meta era stata raggiunta a ben otto anni di distanza da quando nel 2004 il Consorzio stabile Coseam Italia,

costituito nell'ambito del Collegio Edili modenese, iniziò a guardare al Nordafrica con interesse, trascinato

dalla vocazione internazionale di Dino Piacentini che con l'a z ie n d a di famiglia aveva iniziato ad

interessarsi di quell'area geografica a motivo della grande necessità di infrastrutture della regione. Nel corso

degli anni è stata poi costituita la società Coseam Overseas, nella cui compagine era presente inizialmente,

oltre la Piacentini Costruzioni anche direttamente Coseam Italia stesso, con la funzione specifica di creare le

condizioni per un successivo coinvolgimento di altre imprese consorziate. Il contratto prevedeva infatti il

coinvogimento, al fianco di Piacentini, delle imprese Turchi Cesare, Granulati Donnini e Nautilus. Rilevante il

fatto che il management e la direzione tecnica di alto livello sono italiani, mentre le maestranze sono state

reperite in loco. Gli accordi prevedevano anche l'or ganizzazione di un Master in Ingegneria marittima

frequentato da ingegneri libici impegnati nel cantiere.

07/07/2014 4Pag. Prima Pagina - Modena

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ANIEM - Rassegna Stampa 07/07/2014 25

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MERCATI & BUSINESS TAVOLA ROTONDA PA Corsa contro il tempo per saldare i debiti della pa Nel giro di tre anni, Monti, Letta e Renzi hanno emanato decreti per sbloccare i pagamenti alle imprese. Dellenuove norme, del peso della burocrazia e del ruolo dello stato e delle banche si è parlato a Roma in unatavola rotonda organizzata da Espansione al Forum PA 2014 GUIDO SIRTORI LItalia è il Paese europeo la cui Pubblica amministrazione paga con maggiore ritardo le imprese. Un

malcostume che ha fatto scattare anche la procedura d'infrazione da parte dell'Unione europea. Se la media

europea si attesta, secondo uno studio della Cgia di Mestre, attorno ai 58 giorni, da noi si arriva a 165. Un

tempo molto più lungo rispetto ai 35 giorni della Germania, i 40 della Gran Bretagna e i 59 della Francia. Ma

riusciamo a fare peggio anche di Portogallo (129), Spagna (154) e Grecia (155). Contro questa emergenza

che sta mettendo in ginocchio le Pmi, con una piccola impresa su cinque costretta a licenziare proprio per i

ritardi dei pagamenti, sono intervenuti con tre provvedimenti distinti i Governi Monti, Letta e Renzi. Le norme

previste dall'esecutivo attualmente in carica dovrebbero avere due effetti: la riduzione della montagna di

debiti arretrati (stimati in 90 miliardi da Bankitalia e in 60 dal ministero dell'Economia) e, con l'introduzione di

nuovi sistemi di monitoraggio (fatturazione elettronica, la piattaforma che registra le spese degli enti locali), la

possibilità di avere un quadro certo della situazione ed evitare in futuro il ripetersi di queste situazioni. Ma

come saranno applicate le nuove norme previste dal decreto 66 del Governo Renzi? Che ruolo avrà lo Stato

nel fornire le garanzie sui crediti attraverso la Cassa depositi e prestiti? E quale sarà l'atteggiamento delle

banche? Sono i quesiti su cui si è discusso nella tavola rotonda, organizzato da BancaFinanza ed

Espansione, che si è svolta il 27 maggio a Roma all'interno del Forum PA All'appuntamento, coordinato da

Angela Maria Scullica, direttore di BancaFinanza, Giornale delle Assicurazioni ed Espansione, e moderato da

Achille Perego, caposervizio economia e finanza di QN-Quotidiano Nazionale, hanno partecipato: Salvatore

Bilardo, ispettore generale per la finanza della PA del ministero dell'Economia, Giovanni Sabatini, direttore

generale dell'Abi, Flavio Monosilio, direttore affari generali ed economici del Centro studi Ance, lino Enrico

Stopparli, vicepresidente di Confcommercio Imprese per l'Italia, Dino Piacentini, vicepresidente Confimi-

Impresa, Simone Bentrovato, assistente segreteria generale di Claai-Unione Artigiani, e Federico Ruta,

direttore generale di Aniem. Cosa prevede il decreto legge Renzi per ridurre i debiti della PA verso le

imprese? Bilardo. Le pubbliche amministrazioni con cui la Ragioneria si confronta sono 22mila. Ma la

piattaforma elettronica, potenziata prima dal decreto legge 35 del Governo Monti e poi dal decreto 66 del

Governo Renzi, ne registra solo 20.500: ne mancano ancora 1500, nonostante le sanzioni previste. Questo fa

capire che la Ragioneria può mettere tutto l'impegno, ma se non c'è collaborazione, anche da parte delle

imprese, l'operazione risulta ancora più difficile. Detto questo, con il decreto legge 66 si è posto l'accento

sulla fatturazione elettronica, anticipandone l'obbligo al 1° luglio 2014 per le amministrazioni centrali, le

agenzie fiscali e gli uffici pubblici e al 31 marzo 2015 per gli altri enti. Questo ci permetterà di capire a quanto

ammontano i debiti della PA nei confronti delle aziende. Inoltre, con la fatturazione e la piattaforma elettronica

imprese per registrare le fatture, sapremo quante sono e ne potremo monitorare il ciclo: pagamenti,

scadenze, certificazioni, se sono state compensate con debiti tributari e contributivi e, alla luce dell'articolo 37

del decreto 66, se c'è stata una cessione del credito a banche e intermediari finanziari con la garanzia della

Cassa depositi e prestiti. Come è possibile che si sia creata questa montagna di debiti? Bilardo. Quando ci si

domanda quali siano le cause dei ritardi dei pagamenti della PA, viene indicato il Patto di stabilità interno. Il

realtà è vero solo in parte: i ritardi maggiori nei pagamenti non riguardano la parte in conto capitale, ma quella

della spesa corrente, dove il Patto di stabilità interno non incide. Sulla quota capitale nel 2013 sono stati

stanziati 5 miliardi a fronte di 5 miliardi di debiti non ancora pagati, ma le richieste pervenute non hanno

superato i 3 miliardi. Un altro fattore che ha inciso sull'ammontare del debito è rappresentato dal fatto che gli

enti territoriali spendono somme che non hanno: in molti casi le entrate che gli enti ritengono di poter

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ANIEM - Rassegna Stampa 07/07/2014 26

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riscuotere non sempre si trasformano in cassa e tutto ciò si traduce in ritardi nei pagamenti. Il decreto 66 da

una risposta a questi temi? Bilardo. Tutti e tre i provvedimenti hanno cercato da un lato di eliminare lo stock

del debito (mettendo in campo 56 miliardi) e dall'altro di arginare il fenomeno con la piattaforma e la

fatturazione elettronica (introducendo anche un sistema sanzionatorio più incisivo che sposta l'attenzione dal

funzionario anche all'amministrazione). Il decreto 66 prevede per l'amministrazione che registra ritardi nei

pagamenti e non effettua gli adempimenti previsti il divieto di assunzioni e di fare ricorso a nuovo debito. Un

ruolo importante di vigilanza è stato assegnato al collegio dei revisori e viene svolto dalla Corte dei Conti: ci

risultano decine di procedimenti avviati per danno erariale nei confronti di funzionari che pagano in ritardo e

non rispettano la direttiva comunitaria. Sono uscite cifre diverse sui debiti della PA: quanti sono davvero?

Bilardo. Il Documento di economia e finanze (Def) stima in 60,5 miliardi il debito complessivo. La Banca

d'Italia, nel bollettino di febbraio 2014, sostiene che metà del debito stimato sarebbe riconducibile a ritardi

fisiologici nei pagamenti da parte di società partecipate, che non sempre sono pubbliche amministrazioni.

Comunque, la legge 66 prevede 2 miliardi di stanziamenti agli enti locali anche per i debiti delle partecipate.

Qual è il ruolo delle banche e della Cassa depositi e prestiti in questa operazione? Sabatini. Questi

prowedimenti rappresentano un passo importante. Molti ignorano le conseguenze dei ritardi dei pagamenti

della PA sul sistema economico e sui rapporti tra banche e imprese. Le nostre Pmi, rispetto a quelle europee,

hanno una quota molto più elevata di debiti a breve. Una tipica forma con cui la piccola impresa si indebita

con la banca è l'apertura di credito in conto corrente. Un comportamento che in parte è riconducibile

all'anomalia del ciclo incassi-pagamenti. Un'anomalia del sistema economico italiano che non riguarda solo i

crediti delle imprese verso la PA (la fetta più grande), ma anche i pagamenti tra imprese. A fronte dei ritardi

dei pagamenti, per un'impresa aumenta la difficoltà a finanziare il circolante. Ricorrere all'apertura di credito

in conto corrente consente la flessibilità necessaria per affrontare l'incertezza del ciclo di incassi, ma

rappresenta un costo maggiore per l'impresa: la banca, infatti, non può utilizzare questi crediti come

collaterali per ottenere finanziamenti dalla Bce. Operazioni rischiose e costose, dunque? Sabatini. Finché non

ci sono tensioni finanziarie, possono anche funzionare. Tuttavia, quando c'è scarsità di approvvigionamento

del credito da parte delle banche, come avvenuto in questi anni di crisi, si determina un maggiore

deterioramento dei crediti. Questo può sfociare in incagli e sofferenze, esplosi nei bilanci delle banche, e che

hanno comportato una richiesta di maggiori accantonamenti. E sarà così anche in futuro, visto che la crisi ha

insegnato due cose: servono maggiori accantonamenti da parte del sistema bancario e prestiti più oculati a

imprese e famiglie. Come giudica le mosse del governo? Sabatini. Lo sblocco dei crediti della PA è un aiuto

alla risoluzione dei problemi: fa entrare liquidità nelle imprese e riporta regolarità nel loro rapporto con le

banche. Grazie alla collaborazione tra banche e imprese, e grazie al lavoro con le strutture del Mef, si è

arrivati al decreto Renzi che ha risolto quasi tutti i problemi riscontrati con i precedenti provvedimenti. I primi

decreti, infatti, prevedevano adempimenti amministrativi pesanti. Ora, in virtù della sinergia tra Stato, Cassa

depositi e prestiti e sistema bancario, le banche potranno svolgere un ruolo importante per velocizzare il

processo dei pagamenti alle imprese dei crediti vantati verso la PA Come si concretizzerà il ruolo delle

banche? Sabatini. Tutto ruota attorno alla certificazione, l'elemento fondamentale. Credo che con il

cambiamento di passo rappresentato dall'obbligo della fattura elettronica il ciclo si chiuderà. A questo punto

anche l'impresa che riceve la certificazione può utilizzarla per compensare il suo credito. Un altro aspetto

importante è l'ampliamento delle possibilità offerte dal decreto Renzi: l'impresa può cedere questo credito

certificato e assistito dalla garanzia dello Stato alla banca e/o all'intermediario finanziario. Una volta ceduto, la

PA può chiedere la ristrutturazione del debito in cinque anni e l'intermediario finanziario può accettarla o

cedere a sua volta il credito alla Cdp che, nell'ambito della sua autonomia, può allungare l'orizzonte

temporale del pagamento del debito. Per mettere in moto il processo dovremo definire gli aspetti tecnici del

rapporto tra le banche e la Cassa depositi e prestiti, firmando una convenzione quadro. E dovremo anche

individuare il tasso a cui effettuare le operazioni di sconto che sarebbe meglio lasciare determinare al

mercato. Rispetto alle nuove procedure previste dal decreto Renzi quali sono le criticità che ancora

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incontrano le imprese sul fronte dei pagamenti dei crediti verso laPA? Stoppani. Riconosco a Renzi di aver

messo questo tema tra le priorità del Governo. Ma a nostro avviso esistono tre criticità collegate al decreto

66. La prima riguarda la possibilità di compensare i crediti verso la PA con tributi e contributi concessa solo

alle imprese che hanno aperto un contenzioso con la Pubblica amministrazione: vengono così escluse la

stragrande maggioranza delle imprese che pagano regolarmente imposte e contributi. Il secondo aspetto è la

complessità delle procedure a cui tutti gli enti devono sottoporsi per avere anticipi di liquidità dal Mef e dalla

Cdp e quindi utilizzare queste risorse: a tutt'oggi lo Stato non ha ancora un quadro certo e trasparente dei

debiti scaduti da tutte le Pubbliche amministrazioni. Infine, la terza criticità è rappresentata dal meccanismo

della certificazione, passaggio obbligato per cedere il proprio credito alle banche a condizioni agevolate e con

la garanzia dello Stato. Il decreto 66 ribadisce l'obbligatorietà di rilasciare o negare entro 30 giorni la

certificazione, prevedendo sanzioni al dirigente inadempiente. Ma, come ci dimostra l'esperienza, i ritardi

nell'ottenere una risposta si verificano e potranno verificarsi nonostante le norme e le sanzioni previste.

Quindi, come imprese, auspicheremmo che fosse introdotto il meccanismo del silenzio-assenso che scatta al

termine dei trenta giorni. Ma perché la nostra PA paga così in ritardo? Piacentini. Il fatto che per un'azienda ci

siano quattro mesi in più di circolante da finanziare è un problema enorme e certo non lo si risolve ricorrendo

ai fidi! Non solo: rispetto ai Paesi europei nostri concorrenti, come la Germania, iniziamo solo adesso a

parlare delle garanzie dello Stato, con l'intervento della Cdp, sulla cessione dei crediti mentre il fondo di

garanzia per le Pmi, che in Germania ha a disposizione dai 70 ai 75 miliardi di euro, da noi si limita a 4 o 5.

Venendo ai debiti della PA dobbiamo chiederci perché si è creata questa montagna e se non diamo la

risposta corretta il dottar Bilardo e il Mef dovranno inventarsi chissà cosa per fronteggiare la prossima crisi.

Quindi, ben vengano la fatturazione elettronica e quello che nelle imprese private è il cosiddetto elenco

clientifornitori vidimato. Ma la vera causa dell'accumulo di questo enorme debito è che abbiamo utilizzato la

spesa pubblica di parte corrente per fare Pii e adesso ne paghiamo le conseguenze. Se un sindaco mette a

bilancio una doppia previsione di incasso delle imposte locali rispetto a quello che realmente incasserà,

aumenta il livello di spesa su quella previsione, creando debito, perché non si è trasformata in cassa,

dobbiamo prevedere sanzioni vere e pesanti sia sul fronte politico-amministrativo sia per i dirigenti, sanzioni

prese anche a livello personale. In un mondo dove lo Stato e le imprese devono essere legati dalla finalità del

bene comune, chi creando occupazione e chi facendo investimenti, non dimentichiamoci che stiamo

comunque parlando di un rapporto tra cliente e fornitore e quindi è necessaria la massima chiarezza e

trasparenza. Trasparenza che in questo momento è fre• nata dalla burocrazia. Pensiamo alla spesa in conto

capitale: prima c'è la gara d'appalto, poi la delibera di aggiudicazione, la firma del contratto, l'emissione dei

Sai (gli Stadi di avanzamento lavori) e quindi le fatture dei pagamenti. Mi chiedo: si sente il bisogno di un'altra

certificazione? Dei sei mesi che occorrono per i pagamenti da parte della PA, due almeno sono da attribuire

al fatto che le procedure sono aumentate. Per evitare che si riproponga lo stesso problema bisogna cambiare

le regole. E cioè meno burocrazia cattiva e soprattutto chiarezza nelle responsabilità. Perché in Italia la

burocrazia si è sviluppata così disordinatamente? Bilardo. Il problema sta nel fatto che le pubbliche

amministrazioni spendono somme che non hanno, quindi prevale l'aspetto formale su quello sostanziale. Lo

vediamo nella gestione dei residui passivi degli enti territoriali, pari a circa 100 miliardi, ma solo il 10-15% è

costituito da vero debito. Anche in questo caso, si guarda più alla forma che alla sostanza. Quando un ente

locale deve finanziare un'opera pubblica mette a bilancio 100 per la spesa prevista e 100 per le entrate che la

finanzieranno. Ma ancora quell'ente non ha fatto la gara d'appalto, calcolato gli eventuali ribassi d'asta,

l'avanzamento dello stato lavori e quindi non è ancora nato il vero e proprio debito. Per questo è necessario

fare pulizia nei bilanci facendo prevalere la sostanza sulla forma e considerare come momento sostanziale

quello dell'esigibilità delle somme, sia in uscita, sia in entrata. Le imprese notano cambiamenti positivi nel

rapporto con le Pubbliche amministrazioni? Monosilio. Bisogna riconoscere che al Mef, più volte accusato di

frenare i cambiamenti, si sta suonando tutta un'altra musica. E c'è la consapevolezza di un problema, quello

dei ritardi dei pagamenti, che noi denunciamo da almeno tre anni. Probabilmente l'uscita dalla procedura

04/07/2014 42Pag. Espansione - N.7/8 - lug/ago 2014(diffusione:154456, tiratura:179408)

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europea d'infrazione sul deficit ha permesso di far emergere il problema e affrontarlo, ma che ci fosse la

bomba-debiti pronta a esplodere lo si sapeva benissimo. Il settore delle costruzioni ha avuto un senso di

impotenza e quasi di invidia per una serie di soluzioni immaginate in questi anni che hanno riguardato solo la

parte della spesa corrente, per un artificio contabile tutto italiano del quale anche la Uè non è pienamente

cosciente. Esiste infatti un doppio binario per la spesa corrente, il cui pagamento ha incidenza sul debito ma

non sull'indebitamento netto, e per quella in conto capitale, quindi gli investimenti, che incide direttamente

sull'indebitamento netto. Questo doppio binario ha fatto sì che negli ultimi dieci anni la spesa in investimenti

sia stata ridotta per rispettare il parametro europeo del 3% deficit-Pil, mentre quella corrente sia, seppure di

poco, aumentata. E molte soluzioni immaginate hanno sempre escluso le spese in conto capitale. Questo

significa che le fatture per opere e lavori pubblici non riportano la data e le banche, non conoscendo la

scadenza, non hanno titoli per agire sul debitore. Il settore delle costruzioni quindi fatica ancora molto per

vedere una via d'uscita. Sulle soluzioni abbiamo le idee chiare, sia l'Ance sia la Ragioneria generale dello

Stato. La prima riforma riguarda il Patto di stabilità: è un problema burocratico che riguarda l'interpretazione

diversa dei regolamenti. Eurostat rileva la spesa al momento della competenza economica mentre l'Istat

considera il pagamento nel momento in cui va a bilancio. Questa differenza non è secondaria perché è stata

utilizzata dalle Pubbliche amministrazioni per spendere di più nel corso degli anni e poi le imprese hanno

dovuto sopportare il blocco dei pagamenti. Ruta. Ci troviamo davanti a un'anomalia del sistema giuridico

ancor prima di quello economico: un sistema che non si fonda sulla certezza dei pagamenti è un sistema

malato. Due anni fa ci siamo mobilitati su questo tema ma non mi sembra siano stati fatti da allora passi

avanti. Da un nostro recente sondaggio con un campione di 100 aziende, è emerso che al primo posto delle

criticità per l'85% delle imprese rimane il ritardo dei pagamenti della PA, anche se il periodo di attesa si è

leggermente abbassato a 170 giorni medi rispetto a punte nei mesi scorsi anche di due anni. C'erano

addirittura bandi di gara che già prevedevano il ritardo dei pagamenti. Per un sistema fondato sulle Pmi

questo significa portare al collasso l'economia italiana. Il dato positivo è che questi provvedimenti sono

percepiti dal sistema imprenditoriale come una prima inversione di rotta: aspettiamo che si traducono nella

realtà. Bentrovato. Per gli artigiani, che hanno in media tre dipendenti, il problema del ritardo dei pagamenti è

presente ma riguarda solo il 30% delle aziende. Una fetta importante ma non importantissima. Però le

imprese artigiane, lavorando spesso per conto terzi, subiscono questo effetto in modo indiretto, anche se i

tempi medi di pagamento tra imprese restano più brevi. Dalle nostre indagini risulta che per le aziende

artigiane, che nella maggior parte dei casi lavorano per Comuni e aziende ospedaliere, i tempi dei pagamenti

restano alti: in oltre il 50% dei casi oltre i nove mesi. Per una piccola impresa artigianale è ancora più diffìcile

il recupero dei crediti perché non è in grado, con le sue risorse, di affrontare gli onerosi passaggi burocratici.

Per questo le nuove procedure della fatturazione elettronica sono benvenute ma non devono aggiungere altre

difficoltà nella gestione quotidiana delle imprese che da sempre auspicano un rapporto semplice con la

Pubblica amministrazione. Del resto solo 1*11% ha chiesto la certificazione. Ma vorrei anche ricordare che le

imprese artigiane hanno anche il grande problema del rapporto con le banche e dei finanziamenti, un

rapporto spesso difficoltoso. Che cosa rispondono le banche a questi rilievi? Sabatini. Il problema rimane

quello della rischiosità del credito. Dopo 5 anni di crisi, che hanno aumentato la rischiosità delle imprese,

bisogna rafforzare i sistemi di garanzia. È vero che nel nostro Paese sono usati poco rispetto alla Germania.

Il nostro fondo per le Pmi, però, ha funzionato egregiamente. Per questo, insieme con le associazioni del

mondo imprenditoriale, abbiamo chiesto di creare un sistema di garanzie in grado di superare l'emergenza

della rischiosità del credito. La Legge di stabilità ha recepito alcune delle nostre osservazioni ma non ha

previsto le dotazioni finanziarie per rafforzare il sistema delle garanzie, che sono l'altra leva per fare ripartire

la crescita. < i-

Divieto di assunzioni e stop ai nuovi debiti per gli enti che non rispettano i tempiDIBATTITO Alla tavola rotonda, coordinata da Angela Maria Scullica e moderata da Achille Perego, hanno

partecipato: Salvatore Bilardo, Giovanni Sabatini, Flavio Monosilio, Lino Enrico Stoppani, Dino Piacentini,

04/07/2014 42Pag. Espansione - N.7/8 - lug/ago 2014(diffusione:154456, tiratura:179408)

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ANIEM - Rassegna Stampa 07/07/2014 29

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Simone Bentrovato, Federico Ruta

Dei 22mila enti pubblici, sono 1500 quelli non ancora registrati alla piattaforma elettronicaFoto: PUNITI DALL'UNIONE II 19 giugno Antonio Tajani, commissario Uè all'industria, ha aperto la procedura

d'infrazione per il mancato rispetto della direttiva sui pagamenti

Foto: SCOCCA L'ORA DELLA FATTURAZIONE ELETTRONICA II governo Renzi (sopra con il ministro

Madia) ha anticipato al 1° luglio l'obbligo per la Pa della fatturazione elettronica

Foto: GIOVANNI SABATINI «II sistema bancario sarà basato su maggiori accantonamenti e prestiti più

oculati alle imprese» UNO ENRICO STOPPANI «II difetto del decreto? La limitata possibilità di compensare i

crediti verso la PA con tributi» SALVATORE BILARDO «La piattaforma elettronica ci permetterà di monitorare

tutto il ciclo delle fatture, riscontrando anomalie»

Foto: SOLUZIONI CONCRETE La 25° edizione di Forum PA è ruotata intorno a due temi: attenzione

all'innovazione e promozione della connettività tra i soggetti e gli enti

Foto: DINO PIACENTINI «In Germania, il fondo di garanzia per le Pmi è di 75 miliardi di euro, da noi si limita

a 4 o 5 miliardi» SIMONE BENTROVATO «Visti gli onerosi passaggi burocratici, per una pmi artigianale è

ancora più difficile il recupero crediti» FLAVIO MONOSILIO «In questi anni si è ridotta la spesa buona, quella

degli investimenti, mentre è cresciuta quella corrente» FEDERICO RUTA «Le norme sono un'inversione di

rotta, ma c'è ancora molto da fare»

04/07/2014 42Pag. Espansione - N.7/8 - lug/ago 2014(diffusione:154456, tiratura:179408)

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ANIEM - Rassegna Stampa 07/07/2014 30

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ANIEM WEB

1 articolo

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Libia, l'ambasciata conferma: rapiti i tre tecnici della Piacentini costruzioni pagerank: 7 Da ieri non si hanno più notizie di Marco Vallisa, Petar Matic, Emilio Gafuri impegnati in un cantiere della ditta

modenese. Oggi la conferma sono in mano a banditi che li hanno prelevati Al Zawra dove si trovano gruppi

che controllano il traffico di immigrati

di Stefano Totaro

E' arrivata la conferma ufficiale. I tre cittadini europei, tra cui un italiano, che lavorano in Libia per la ditta

Piacentini Costruzioni, di Modena, sono stati probabilmente rapiti: la conferma arriva stamane da un

funzionario del governo libico, citato dall'emittente satellitare al Arabiya.

Tre dipendenti della Piacentini costruzioni, la ditta edile guidata da Dino Piacentini e che ha sede a Montale di

Castelnuovo, sono misteriosamente scomparsi da ieri mattina in Libia. Si tratta di un tecnico italiano,

l'ingegnere Marco Vallisa di Cadeo, nel Piacentino, e di due colleghi, il bosniaco Petar Matic e il macedone

Emilio Gafuri: la vicenda ha come teatro la città costiera di Zuwara, nell'ovest della Libia, dove la Piacentini

Costruzioni, assieme a diverse imprese del collegio edili Aniem di Apmi, sta lavorando per la ricostruzione e

l'ammodernamento del porto libico di Al Zawra, nei pressi del confine tunisino, per un importo che si aggira

intorno ai 37 milioni di euro.

Tra le ditte impegnate la Granulati Donnini spa di Modena e la Cesare Turchi di Rubiera. Per la gestione della

commessa il management e la direzione tecnica sono italiani, mentre le maestranze sono state reperite in

loco. La notizia della scomparsa, è stata inizialmente diffusa dal Libya International Channel che ha da subito

ipotizzato un rapimento, poi la scomparsa è stata poi confermata dalla Farnesina : "tenico italiano

irreperibile".

LEGGI ANCHE:

03-_WEB

«Nè minacce nè rivendicazioni»

Dino Piacentini a lungo al telefono con Muzzarelli: «In tanti anni In Libia mai subìto delle violenze»

L'imprenditore Dino Piacentini, non appena ha saputo della misteriosa scomparsa, ha avvisato la Farnesina e

ora il tutto viene gestito da Roma. Veniamo ad una prima ricostruzione di ciò che sarebbe avvenuto ieri

mattina: il piacentino Vallisa, 53 anni ed esperto di costruzioni era con altri due colleghi, il bosniaco Petar

Matic e il macedone Emilio Gafuri, al momento della scomparsa avvenuta nella città costiera di Zuwara, una

città nota per il traffico illegale di immigrati e dalle cui coste tentano di emigrare migliaia di clandestini verso

l'Europa. Vallisa era da circa tre mesi impegnato in Libia per la realizzazione del porto.

I tre sono stati visti l'ultima volta ieri mattina da un altro gruppo di dipendenti. Da allora si sono perse le loro

tracce, riferiscono fonti della ditta a Tripoli all'Ansa.

La loro macchina di servizio è stata ritrovata di fronte casa e al momento non ci sono notizie più concrete

sulla loro sorte mentre crescono i timori di un rapimento. Ma, come ha affermato lo stesso Dino Piacentini,

alla ditta non sono mai arrivate rivendicazioni, nè richieste di riscatto.

«Abbiamo provato numerose volte a contattarli ma i cellulari risultavano prima irraggiungibili poi spenti»,

riferiscono da Tripoli.

Intanto le autorità di Zuwara si sono attivate nella ricerca degli operai e avrebbero anche fermato alcune

persone che potrebbero essere probabili sospetti, ma per ora niente di concreto.

Dalla rivoluzione del 2011 che ha deposto Muammar Gheddafi, la Libia è teatro di rapimenti quasi giornalieri

di membri delle forze di sicurezza, attivisti, giornalisti, giudici libici ma anche civili e stranieri, spesso

perpetrati a scopo di riscatto.

06/07/201410:52

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ANIEM WEB - Rassegna Stampa 07/07/2014 32

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Come ricorda l'Ansa, da marzo non si hanno notizie di un altro italiano scomparso invece nella città orientale

di Tobruq, Gianluca Salviato, un tecnico della Enrico Ravanelli. Da allora si teme per la sua vita anche perché

l'uomo, diabetico, ha bisogno di insulina. Nella stessa regione, la Cirenaica martoriata da scontri, attentati e

sequestri quasi quotidiani, altri due operai italiani furono invece rapiti il 17 gennaio vicino Derna e liberati 20

giorni dopo.

Se i timori della prima ora, quelli del rapimento, fossero confermati salirebbero a quattro gli italiani nel mondo

di cui si sono perse le tracce. Oltre a Vallisa e Salviati non si sa più nulla neanche di Giovanni Lo Porto,

sparito da tre anni in Pakistan e Padre Dall'Oglio, in Siria, di cui non si ha più notizia da tempo.

06/07/201410:52

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ANIEM WEB - Rassegna Stampa 07/07/2014 33

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SCENARIO EDILIZIA

43 articoli

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L'Osservatorio Artigiani, rallenta il calo di imprese Ma non per i giovani 4,3% L'incrementoIn un anno sono aumentate le aziende artigiane che offrono servizi innovativi alle altreimprese 15.185 SocietàLe imprese edili artigianein provincia di Bergamo. Nell'ultimo anno sono calate del2,1%: 10,9% Il caloRispetto allo scorso anno sono diminuite le imprese artigiane gestiteda giovani under 35 Fabio Spaterna Non è ancora tempo per sorridere, ma il peggio sembra forse alle spalle per l'artigianato bergamasco. Lo

dicono i numeri presentati ieri dall'Osservatorio di Confartigianato durante l'assemblea annuale

dell'associazione di via Torretta, con le imprese orobiche che pur segnando nel primo trimestre dell'anno un

calo numerico dell'1,4%, fanno registrare il minor saldo negativo degli ultimi 2 anni. Alla riduzione dell'ultimo

periodo ha contribuito in gran parte la caduta libera del comparto edile, che non ha risparmiato neppure gli

artigiani: a distanza di un anno le imprese legate alle costruzioni sono infatti 15.185, -2,1% rispetto al 2013. A

contribuire alla risalita numerica delle società artigiane ci sono invece i servizi alle imprese, che rispetto al

2013 aumentano di un punto percentuale: tra le nuove nate anche diverse società che offrono servizi

informatici, in particolare attive nella produzione di software e nella consulenza informatica, che hanno fatto

registrare una crescita del 4,3%. In un contesto di questo tipo preoccupa però particolarmente il forte calo di

spirito imprenditoriale tra i giovani under 35 della Bergamasca. A distanza di un anno i dati rilevano infatti un

crollo a due cifre (10,9%) delle imprese artigiane condotte da giovani, percentuale più alta di quella regionale

(-7,9%). In sostanziale tenuta invece le società gestite da stranieri, che rappresentano il 10,8% del totale

delle imprese artigiane della Bergamasca.

Qui la dinamica imprenditoriale rilevata nel 2013 mostra una variazione pressoché uguale a quella dell'anno

precedente, con un calo del -0,3% che comunque fa sorridere se si considera che il 57,9% delle imprese

artigiane guidate da stranieri opera nel comparto edile, quello più in difficoltà. Una situazione generale che ha

comunque permesso a Confartigianato Bergamo di chiudere il 2013 con un contenuto calo di iscrizioni, con la

percentuale dei rinnovi tra gli associati del 95,6%: «La risalita del nostro artigianato dovrà necessariamente

passare da parole chiave come innovazione, internazionalizzazione e formazione - ha spiegato il presidente

dell'Associazione Artigiani, Angelo Carrara, durante la sua relazione ai soci -. Infatti per fare emergere tutta la

forza del nostro Made in Italy dobbiamo sempre più "interpretare", senza limitarci solo ad eseguire. Dobbiamo

dimostrare che le micro e piccole imprese del territorio non sono la retrovia del nostro sistema produttivo, ma

possono invece esercitare una fondamentale funzione economica e sociale». Prima di tutto serviranno

soluzioni per rilanciare l'edilizia. Secondo il sindaco Giorgio Gori «è necessario tornare a parlare di "Grande

Bergamo", quel bacino produttivo da 400 mila abitanti da cui può ripartire l'economia del territorio».

L'assessore regionale all'Energia Claudia Terzi annuncia invece lo stanziamento da parte del Pirellone di

oltre 50 milioni di euro, destinati ad interventi per l'efficienza energetica. Una buona notizia anche per la

Bergamasca: solo il 20,6% degli edifici possiede certificazioni energetiche di alto livello.

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06/07/2014 5Pag. Corriere della Sera - Bergamo(diffusione:619980, tiratura:779916)

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 35

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Il percorso a ostacoli delle riforme Servono altri 812 provvedimenti Mancano i regolamenti attuativi dei programmi degli ultimi governi Antonella Baccaro ROMA - Non basta fare le riforme. Bisogna averle attuate. Sale l'asticella che l'Italia è chiamata a saltare per

dimostrarsi affidabile in Europa e guadagnare maggiore flessibilità. Ma i conti non tornano. Al 18 giugno,

mettendo insieme i cantieri normativi dei tre ultimi governi dal novembre 2011, Monti, Letta e Renzi, secondo

l'Ufficio per il programma di governo, mancavano 812 provvedimenti attuativi, senza dei quali le riforme che

dovrebbero dinamizzare il Paese restano sulla carta. Di questi provvedimenti, 133, il 16%, sono già

dell'esecutivo Renzi (334 sono di Monti su 846 prodotti e 345 di Letta su 457 emanati), che è in carica da

quattro mesi e mezzo e ha prodotto 33 norme pubblicate in Gazzetta ufficiale, solo nove delle quali non

rinviano ad atti di secondo livello.

Segno inequivocabile di un affanno che non riguarda solo il Parlamento, dove le Camere sono impegnate

ormai quasi solo a convertire decreti e attuare deleghe, ma anche gli uffici tecnici dei ministeri, dove spesso

queste riforme s'impaludano affossate, in alcuni casi, da veti incrociati.

I decreti attuativi

Non per niente il governo Renzi ritiene che la «riforma delle riforme» sia quella istituzionale che semplificherà

il meccanismo di produzione normativa, dimezzando Camere e tempi. Il secondo tassello, che avrebbe

dovuto produrre il «miracolo» di saltare a piè pari il meccanismo dei provvedimenti attuativi, è invece finito su

un binario morto. La norma, contenuta nel decreto di riforma della P.a., che imponeva tempi stretti ai tecnici

dei ministeri, pena l'intervento diretto di Palazzo Chigi in sostituzione degli uffici inadempienti, non ha visto

mai la luce.

Che fare? Renzi in Europa si gioca la partita più importante e ha fretta. Dalla sua, per convincere i burocrati

del suo piglio innovatore, ha un pacchetto di ben nove riforme da spendere, solo due delle quali però hanno

già ottenuto il via libera parlamentare. Si tratta del decreto che ha tagliato il cuneo fiscale, mettendo nella

busta paga di 10 milioni di italiani 80 euro al mese, e della riforma del lavoro, almeno la prima parte, quella

che ha trovato posto nel decreto Poletti. Soprattutto quest'ultima riveste un'importanza particolare nella

strategia immaginata dal governo in vista del negoziato sul patto di Stabilità. La norma prevede il rilancio

dell'occupazione, attraverso la semplificazione del ricorso all'apprendistato e ai contratti a tempo determinato.

L'obiettivo è favorire i giovani e agevolarne l'inserimento nel mondo del lavoro. Il decreto, convertito in legge il

16 maggio scorso, è in attesa di due decreti attuativi. Mentre il decreto Irpef, quello del bonus, in vigore dal 24

giugno, di provvedimenti ne attendeva, al 18 giugno scorso, ben 31.

Dal lavoro al Fisco

Ma il percorso di riforma del mercato del lavoro prevede anche un disegno di legge delega, ora giunto

all'esame del Senato, con interventi di revisione degli ammortizzatori sociali, di riordino dei rapporti di lavoro,

di sostegno alla maternità ed alla conciliazione. I senatori si sono impegnati a chiudere le votazioni entro fine

luglio, ma certezze in merito non ce ne sono.

In Parlamento sono arrivati da poco altri due provvedimenti varati a passo di marcia dal governo Renzi: si

tratta del decreto di riforma della P.a. e del decreto Competitività. Entrambi, dopo un impegnativo ping pong

tra Palazzo Chigi e il Quirinale, sono approdati in Aula per avviare l'iter di conversione in legge. La Camera

ora sta esaminando il decreto sulla P.a. e ha tempo fino al 23 agosto per votarne la conversione. Il

provvedimento, assegnato alla commissione Affari costituzionali di Montecitorio, contiene gli interventi in

favore della cosiddetta «staffetta generazionale». Nel dettaglio, si tratta di misure come l'abolizione della

possibilità di restare al lavoro oltre l'età di pensione, la maggiore mobilità per i dipendenti pubblici, il

dimezzamento del monte ore dei distacchi e permessi sindacali. Nel pacchetto sono finite anche le norme

anticorruzione che rafforzano i poteri del commissario Raffaele Cantone. È ancora atteso in Parlamento

07/07/2014 2Pag. Corriere della Sera - Ed. nazionale(diffusione:619980, tiratura:779916)

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 36

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invece il disegno di legge delega sulla riforma della P.a. che completa il pacchetto.

Corsa contro il tempo

Al Senato la commissione Industria e Ambiente è, invece, impegnata sul decreto Competitività, una serie di

misure a favore delle imprese, da convertire anch'esse in legge entro il 23 agosto. Dentro si trovano novità

come la possibilità da parte delle compagnie assicurative di concedere credito alle imprese. Il decreto

prevede inoltre il potenziamento dell'Ace, il cosiddetto Aiuto alla crescita economica, che garantisce benefici

fiscali a fronte di aumenti di capitale. Sul versante energia sono infine previsti interventi per ridurre il costo

della bolletta elettrica delle Pmi di circa 1,5 miliardi di euro all'anno. Al governo non sfugge che la conversione

di due decreti così articolati richiederà esami a tempi di record per arrivare al voto entro fine luglio.

Intanto procede il cammino della legge delega sul Fisco. Al momento il governo ha prodotto un unico decreto

attuativo, quello che introduce la dichiarazione dei redditi precompilata, insieme con altre semplificazioni e la

revisione delle commissioni censuarie in vista della riforma del catasto. Il testo è arrivato in Parlamento nei

giorni scorsi: le commissioni avranno tempo fino al 1° agosto per esprimersi. Ma già il governo ha in mente di

produrre ulteriori decreti per snellire il regime fiscale delle piccole e medie imprese: tra le novità, l'introduzione

dell'Iri, la nuova Imposta sul reddito imprenditoriale. Il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, ha

dichiarato al Corriere , che l'intero pacchetto dei decreti sarà completato «dopo l'estate».

I nodi politici

Sul fronte della giustizia per il momento il Consiglio dei ministri del 30 giugno ha esaminato un elenco di

dodici punti: i dettagli arriveranno a settembre, anche alla luce dell'esito della consultazione popolare dei

cittadini. Tra gli obiettivi, la riduzione ad un anno i tempi di giudizio in primo grado e l'introduzione della

responsabilità civile dei magistrati.

Anche il decreto «sblocca Italia», col quale Renzi vuole snellire e semplificare gli iter procedurali di cantieri,

opere pubbliche e concessioni, è allo stato di annuncio e non verrà approvato in Consiglio dei ministri prima

della fine di luglio.

E la «riforma delle riforme»? A Palazzo Madama, ormai dal 6 maggio, procede l'estenuante braccio di ferro

tra maggioranza e opposizione sulla bozza di riforma del Senato presentata l'8 aprile dal ministro Maria Elena

Boschi, che potrebbe arrivare in Aula prima della chiusura estiva. A marzo la Camera ha approvato l'Italicum,

la nuova legge elettorale frutto di un accordo politico tra Renzi e Berlusconi. Sul testo il dibattito politico è in

pieno corso.

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Il cantiere delle riforme PROVVEDIMENTI LEGISLATIVI DEL GOVERNO RENZI (deliberati dal Consiglio dei

ministri dal 24 febbraio, data di insediamento del governo Renzi) Decreti legislativi 24 53% Disegni di legge 8

18% Decreti legge 13 29% DECRETI LEGGE (deliberati dal Consiglio dei ministri) PROVVEDIMENTI

LEGISLATIVI PUBBLICATI IN «GAZZETTA UFFICIALE» Totale 45 Decreti legislativi 24 53% Disegni di

legge 8 18% Decreti legge 13 29% Non prevedono provvedimenti attuativi 9 27% Prevedono provvedimenti

attuativi 24 73% per un totale di 133 norme Decreti legislativi 20 61% Decreti legge 5 15% Disegni di legge 8

24% Il cantiere delle riforme Totale 13 In attesa di conversione 5 38% Convertiti in legge 8 62% Fonte:

Presidenza del Consiglio (dati aggiornati al 18 giugno 2014) CORRIERE DELLA SERA STATO DI

REALIZZAZIONE DEI PROVVEDIMENTI ATTUATIVI PROVVEDIMENTI DA APPROVARE 12/03/2014

Decreto lavoro Convertito L. 78/2014 18/04/2014 Decreto competività Approvato in via definitiva 13/06/2014

Decreto semplificazione In itinere 12/03/2014 Pagamenti alle imprese In itinere 12/03/2014 DDL lavoro In

itinere 31/03/2014 Disegno di legge costituzionale In itinere 31/03/2014 DDL riforma pubblica

amministrazione In itinere Data Consiglio dei ministri GOVERNO RENZI, LO STATO DELL'ARTE

Provvedimento Stato di attuazione Non adottati Adottati 345 457 75,5% 112 24,5% 334 846 39,5% 512

60,5% Governo Monti Governo Letta Governo Letta 128 36 181 Con termine scaduto Con termine non

scaduto Senza termine Governo Monti 117 17 200 Con termine scaduto Con termine non scaduto Senza

termine Governo Renzi 133 812 Provvedimenti attuativi mancanti

07/07/2014 2Pag. Corriere della Sera - Ed. nazionale(diffusione:619980, tiratura:779916)

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L'agenda

Lavoro

Il Jobs Act da approvare in sei mesiLo scorso 15 maggio il Parlamento ha convertito in legge il decreto Poletti. Tra le altre cose, la nuova

normativa rende più facile stipulare i contratti a termine. Ora l'obiettivo di Palazzo Chigi è ottenere dal

Parlamento l'approvazione del disegno di legge delega in materia di lavoro. Oggi il Jobs Act è all'esame del

Senato dove si prevede di arrivare al voto in Aula entro luglio. L'obiettivo del governo sarebbe chiudere in via

definitiva entro il semestre europeo

Pubblico impiego

Conversione del decreto entro agosto

La Camera sta esaminando in prima lettura il decreto sulla pubblica amministrazione: per la conversione c'è

tempo fino al 23 agosto. Il provvedimento, assegnato alla commissione Affari costituzionali di Montecitorio,

prevede l'abolizione del trattenimento in servizio, cioè la possibilità di restare al lavoro oltre l'età di pensione.

Ma anche la maggiore mobilità per i dipendenti pubblici. Nel pacchetto è finito anche il taglio ai contributi delle

imprese alle Camere di Commercio

Giustizia

Sessanta giorni per definire le nuove norme

Il 30 giugno scorso il Consiglio dei ministri ha approvato un decreto sulla giustizia articolato in dodici punti. I

contenuti arriveranno nei dettagli a settembre. Anche perché per due mesi, fino al 31 agosto, è stato aperto

un confronto pubblico tramite il web. La riforma dovrebbe contenere interventi in materia di giustizia civile per

ridurre a un anno i tempi di giudizio in primo grado, così come la responsabilità civile dei magistrati

ispirandola alle best practice europee. Visto l'iter, difficile che si arrivi a un varo della riforma entro l'autunno.

Foto: Qui sopra il ministro dell'Economia,

Pier Carlo Padoan, 64 anni. In basso

l'intervista rilasciata ieri al «Corriere della Sera»

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INFRASTRUTTURE Edilizia scolastica, al via i lavori in un istituto su due Giuseppe Latour Giuseppe Latour u pagina 4

Il piano di edilizia scolastica annunciato dal premier Matteo Renzi al momento del suo insediamento prende

ufficialmente il via. Coinvolgerà una scuola su due e quattro milioni di studenti in tutta Italia. Attiverà

investimenti per un miliardo e 94 milioni di euro tra il 2014 e il 2015 su 20.845 edifici, distribuiti su tre filoni

principali. Anche se va detto che, dal punto di vista numerico, la parte più rilevante (circa 18mila casi)

riguarderà migliaia di interventi di piccola manutenzione. Il resto servirà per edifici nuovi e per la messa in

sicurezza di quelli esistenti.

Il primo pezzo di questa serie di operazioni riguarda i 244 milioni di euro dei Comuni, liberati dai vincoli del

patto di Stabilità grazie al decreto Irpef (Dl n. 66/2014). Saranno utilizzati per completare o avviare interventi

di realizzazione di scuole. In totale, saranno aperti 404 cantieri, selezionati tra oltre 4mila domande arrivate

da tutta Italia dopo l'appello del 3 marzo scorso ai sindaci. La previsione è di generare, in questo modo, un

valore complessivo di circa 400 milioni di euro. Le amministrazioni coinvolte nel piano riceveranno una

comunicazione dalla Ragioneria dello Stato per avviare le procedure gestionali ordinarie di sblocco del Patto

per l'anno 2014 e 2015. Per gli altri sindaci che hanno chiesto finanziamenti per interventi da attivare nel

2015, comunque, non è tutto perduto: per loro ci saranno risorse con il prossimo Documento programmatico

di economia e finanza e con i mutui in fase di attivazione con oneri a totale carico dello Stato. Quindi, questa

parte del piano proseguirà anche il prossimo anno.

Gli altri due tasselli del programma saranno alimentati con i 510 milioni di euro inseriti nella delibera Cipe

approvata lo scorso 30 giugno, riprogrammando i Fondi di sviluppo e coesione. Di questa somma, 400 milioni

di euro sono destinati a 2.480 interventi di messa in sicurezza ed agibilità delle scuole, dal valore medio di

circa 160mila euro: sono operazioni già rese ammissibili e presenti in graduatoria, ma che solo oggi potranno

partire. Comuni e Province, per acquisire i relativi finanziamenti, dovranno aggiudicare gli appalti entro il 30

ottobre del 2014.

Gli altri 110 milioni, arricchiti da 40 milioni del ministero dell'Istruzione, finanzieranno il terzo troncone,

dedicato agli interventi di piccola manutenzione, decoro e ripristino funzionale, che interesseranno 7.801

plessi scolastici nel corso del 2014. Per chiudere il cerchio nel 2015 saranno sbloccati altri 300 milioni, da

usare sempre per la piccola manutenzione.

Dalle tabelle del Governo è possibile ricostruire anche come questo denaro sarà distribuito sul territorio

italiano. La Regione destinata a incassare di più è la Campania, per la quale sono previsti 182 milioni di euro

di interventi, in larga parte (171 milioni) dedicati al piano di piccola manutenzione. Al secondo posto c'è la

Lombardia, che incassa 160 milioni di euro: il grosso riguarda gli 82 milioni che serviranno per la messa in

sicurezza e i 67 milioni per il completamento e la realizzazione di nuovi edifici. La Puglia raccoglie 107 milioni

di euro: la fetta più grande (68 milioni) servirà per la piccola manutenzione. Per il resto, 91 milioni di euro

vanno alla Sicilia, 83 al Piemonte, 66 alla Calabria, 64 milioni al Veneto e al Lazio. Sul sito del Governo è

disponibile anche il dettaglio dei finanziamenti, Comune per Comune.

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1.094 MILIONI DI EURO: LE RISORSE PREVISTE DAL PIANO

SCUOLE COINVOLTE 17.961

Piccola manutenzione

Gli edifici interessati da piccoli interventi, come quelli per il decoro (iniziativa #scuolebelle)

2.480

05/07/2014 1Pag. Il Sole 24 Ore(diffusione:334076, tiratura:405061)

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 39

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Messa in sicurezza

Le scuole interessate da lavori come rimozione amianto e delle barriere architettoniche (#scuolesicure)

404

Sblocco Patto Stabilità

Opere per completare o avviare nuove scuole (#scuolenuove)

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Pa. Alla Tecnis dovuti 24 milioni SICILIA A rischio crack per troppi crediti Nino Amadore CATANIA.

Un'azienda che ha cantieri in tutta Italia e all'estero, che consegna i lavori in anticipo, che ha investito molto

su giovani e innovazione. Ma che ora rischia veramente grosso e potrebbe passare alla storia per essere

finita nei guai a causa del comportamento scorretto del committente pubblico. L'azienda è la Tecnis di

Catania, impresa delle costruzioni che fa capo agli imprenditori Mimmo Costanzo e Concetto Bosco con 300

milioni di fatturato annuo e 1.400 dipendenti che da sei mesi non viene pagata e ha accumulato un credito di

24 milioni di euro. Il cantiere è quello della darsena commerciale del porto di Catania di competenza

dell'Autorità portuale, un'opera da 83 milioni di euro i cui lavori sono iniziati nel 2012, ritenuta infrastruttura

chiave per il capoluogo etneo e che Tecnis si è impegnata a consegnare persino in aticipo sulla scadenza del

contratto fissata per settembre. Un bel colpo visto che la darsena serve anche a liberare dai container tutta

l'area della Playa, ovvero la spiaggia molto frequentata dai catanesi e dai turisti.

Peccato che errori e ritardi dei vertici dell'Autorità portuale hanno determinato una situazione esplosiva:

l'azienda, che non ha mai interrotto i lavori e spende per andare avanti 150mila euro al giorno, rischia di fare

il botto; Catania rischia di non avere un'opera fondamentale e anzi di ritrovarsi con una delle più grandi

incompiute nella storia dei cantieri nel nostro Paese. Una vicenda ora finita sul tavolo del ministro delle

Infrastrutture Maurizio Lupi cui si è rivolta la Confindustria con una lettera che documenta una situazione di

«insostenibile appesantimento economico, con il rischio di gravissime ricadute sui livelli occupazionali e

quindi sulla complessiva tenuta del sistema socio-economico del territorio». Il tutto mentre va in scena il

rimpallo delle responsabilità tra l'attuale commissario dell'Autorità portuale Giuseppe Alati e il precedente

Cosimo Aiello, i quali sostengono di aver fatto il loro dovere. Mentre l'azienda continua a lavorare e di fatto è

diventata la vera finanziatrice dell'opera visto che utilizza risorse proprie e non riesce a ottenere anticipazioni

dalle banche perché il finanziamento dell'opera, fino a un certo punto garantito da un mutuo con Dexia, è

diventato incerto, anzi inesistente. «È necessario - dice il presidente di Confindustria Sicilia Antonello

Montante - un intervento del ministro a tutela dell'impresa che è un patrimonio del paese ma soprattutto dei

lavoratori che rischiano di rimanere disoccupati, dei fornitori, dei cittadini. Questa vicenda è l'esempio di come

l'atteggiamento sbagliato della Pubblica amministrazione possa creare danni enormi al sistema economico.

Non solo perché danneggia un'azienda come la Tecnis ma anche perché pregiudica la credibilità del sistema

paese».

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Edilizia Arredo. Buone attese per il 2014 grazie alle ristrutturazioni. Corre l'export Il sistema legno vede la ripresa PROSPETTIVE Il mercato interno beneficia dell'effetto del bonus fiscale Fanno ben sperare i nuovi incentiviper riqualificare gli alberghi Giovanna Mancini MILANO.

«Abbiamo attraversato il deserto, ma ora finalmente siamo in vista dell'oasi». Dopo sei anni alla guida di

EdilegnoArredo (che riunisce le imprese produttrici di elementi in legno per l'edilizia e finiture), Alberto Lualdi

lascia il testimone al suo successore con un messaggio di forte ottimismo.

La crisi, che per un settore fortemente legato a quello delle costruzioni è stata particolarmente dura, non è

certo finita (il fatturato è sceso del 4,6% ancora nel 2013), ma all'orizzonte si intravedono anche sul mercato

interno i primi spiragli di una ripresa che, dice Lualdi, «ci aspettiamo già per quest'anno, quantomeno a livello

di ordinativi anche se sarà più evidente e consolidata nel 2015 e 2016». Il comparto dell'Edilizia Arredo, che

vale oltre 5 miliardi e dà lavoro a quasi 90mila persone, è l'ultimo anello della filiera delle costruzioni e

dunque, spiega il neopresidente Massimo Buccilli, eletto ieri all'assemblea annuale della Associazione,

«risentiamo ancora del colpo di cosa della recessione, ma tutti gli indicatori macroeconomici ci fanno ben

sperare».

Secondo uno studio elaborato ad hoc dal Cresme, è atteso un miglioramento sul mercato italiano, grazie

soprattutto al settore delle ristrutturazioni, che già nel 2013 hanno dato segnali di ripresa, spinte soprattutto

dalla novità degli incentivi fiscali governativi, confermati anche per tutto il 2014: lo scorso anno le famiglie

italiane hanno speso per la riqualificazione edilizia ed energetica delle proprie abitazioni, beneficiando del

bonus, 27,8 miliardi, e oltre 10 miliardi già nei primi quattro mesi di quest'anno.

«I dati del Cresme ci fanno ritenere che sia iniziato un nuovo corso - aggiunge Lualdi - anche se i dati di

maggio e giugno sono negativi». Buone prospettive apre anche la misura di incentivi fiscali inserita nel

decreto legge Franceschini per lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo approvato dal Consiglio dei

ministri lo scorso 22 maggio, che prevede un bonus del 30% per la ristrutturazione anche degli hotel. Il

settore dell'hospitality è infatti una voce importante per il comparto Edilizia Arredo e ancor più lo diventerà in

vista di Expo 2015.

Restano tuttavia alcuni nodi anche al di fuori del quadro macroeconomico. «Uno di questi - spiega l'ex

presidente - è la necessità di correggere gli strumenti di legge che consentono il concordato in itinere o in

bianco, che rischiano di vanificare gli sforzi delle aziende per reagire alla crisi». In base a questa misura,

un'impresa costruttrice in crisi può proseguire i lavori nei cantieri mentre elabora, sotto il controllo del

tribunale, un piano da sottoporre ai creditori. E pagare però i fornitori (dunque le aziende dell'Edilizia Arredo)

il 10-15% del costo inizialmente preventivato. «Parliamo di cifre irrisorie, che ci mettono in gravi difficoltà. Per

questo chiediamo al governo che questa misura venga ridiscussa», aggiunge Lualdi.

Di tutt'altro tenore sono le notizie che arrivano dai mercati esteri, che anche negli anni di crisi hanno visto

un'accelerazione costante (+31% tra il 2009 e il 2013). La quota media di export del comparto è ancora bassa

(il 12,6% nel 2013), ma sale rapidamente (+16,3% rispetto la 2012) e nei primi mesi del 2014 ha raggiunto

picchi del 60%, mentre le esportazioni nel loro complesso sono aumentate, tra gennaio e marzo, del 4,6%. A

correre non sono soltanto i mercati emergenti - come Cina, Medio Oriente o Nord Africa - ma anche l'Unione

europea (+13,4% lo scorso anno) e soprattutto gli Stati Uniti.

Consolidare le attività di internazionalizzazione, dunque, sarà un imperativo nei prossimi anni. «Assieme a

un miglioramento degli strumenti di comunicazione e distribuzione - precisa Massimo Buccilli -. Dobbiamo

ripensare il sistema distributivo, investendo di più nella formazione dei nostri rivenditori. Ma anche nello

sviluppo di strumenti e canali di vendita digitali: è un fatto ormai che i clienti si informano sempre di più su

internet e lì cominciano il processo di acquisto».

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© RIPRODUZIONE RISERVATA La fotografia del settore SISTEMA EDILIZIA ARREDO Valori in milioni di

euro a prezzi correnti PRINCIPALI MERCATI DEL MADE IN ITALY Export Gennaio-Marzo 2014, variazioni %

rispetto corrispondente periodo dell'anno precedente Fatturato alla produzione 5.587 5.331 -4,6 Esportazioni

606 672 +10,9 Consumo interno apparente 5.639 5.216 -7,5 Export/ fatturato 10,8% 12,6% +16,3 Addetti

90.949 89.288 -1,8 Imprese 30.491 29.094 -4,6 2012 2012 Milioni di Euro Variazione % Variazione % Francia

21,41 +13,5 Russia 14,58 +3,0 Svizzera 14,29 +3,6 Germania 11,43 +17,0 Stati Uniti 10,23 +13,2 Austria

6,78 +19,6 Cina 4,52 +25,4 Regno Unito 4,25 +24,0 Israele 3,90 +42,4 Spagna 3,83 +82,3 Fonte:Federlegno

Arredo

Foto: - Fonte: Federlegno Arredo

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Detrazioni. Cumulo con incentivi territoriali ma non con l'agevolazione del 30% per la ristrutturazione deglialberghi Il bonus del 65% non esclude altri benefici LA CONVENIENZA Nonostante sia assai minore, lo sconto sugli hotel può essere interessante perché si puòcompensare e dividere in sole tre rate Luca De Stefani Dal 3 gennaio 2013 la detrazione fiscale del 55-65% sugli interventi del risparmio energetico è cumulabile con

specifici incentivi disposti da Regioni, Province, Comuni, «previa verifica che questi incentivi prevedano la

cumulabilità con le detrazioni fiscali e usufruendo di essi per la parte di spesa eccedente gli incentivi locali».

Quindi questi benefici sono cumulabili per lo stesso intervento, a patto che naturalmente il bonus fiscale sia

calcolato sull'effettiva spesa rimasta a carico del contribuente, cioè sul costo totale al netto di quanto ricevuto

come incentivo regionale, provinciale o comunale. La conferma è arrivata dall'Enea, nella nuova Faq 21

(l'articolo 6, comma 3, decreto legislativo 30 maggio 2008, n. 115, ha abrogato l'articolo 28, comma 5, del

decreto legislativo 28/2011), la quale però ha confermato anche l'incumulabilità del bonus fiscale del 55-65%

«con altre agevolazioni fiscali previste da altre disposizioni di legge nazionali per i medesimi interventi», tra le

quali vi rientra anche il nuovo credito d'imposta per la ristrutturazione degli alberghi, introdotto dal decreto

cultura e turismo (articolo 10, deldecreto legge 31 maggio 2014, n. 83, in fase di conversione in legge).

Quest'ultima agevolazione consiste in un credito d'imposta del 30% delle spese relative a interventi di

ristrutturazione edilizia (articolo 3, comma 1, lettera d, del Dpr 6 giugno 2001, n. 380) o di eliminazione delle

barriere architettoniche (legge 9 gennaio 1989, n. 13, e decreto del Ministero dei lavori pubblici 14 giugno

1989, n. 236) sostenute dal 2014 al 2016 su strutture ricettive esistenti alla data del 1° gennaio 2012.

L'importo massimo delle spese agevolate è di 200mila euro. Il bonus va ripartito in tre quote annuali di pari

importo e nel rispetto degli aiuti "de minimis" (regolamento Ue 1407/2013 della Commissione europea del 18

dicembre 2013, relativo all'applicazione degli articoli 107 e 108 del trattato sul funzionamento dell'Unione

Europea).

Il previsto decreto attuativo non dovrebbe introdurre regole relative all'incumulabilità del credito d'imposta

con altre agevolazioni, quindi, con riferimento della detrazione del 65% per il risparmio energetico, valgono i

limiti sanciti da quest'ultima agevolazione.

La scelta tra le due agevolazioni, naturalmente, deve essere effettuata solo per quei lavori di ristrutturazione

edilizia che rispettano anche i requisiti per beneficiare del bonus del risparmio energetico. Si pensi al

rifacimento del tetto o alla costruzione di un cappotto. Inoltre, molti interventi minori, come il cambio delle

finestre o della caldaia con beni energicamente efficienti (classificati tra le manutenzioni straordinarie, se

presi singolarmente) possono rientrare nella ristrutturazione, se vengono effettuati in questo ambito, per il

principio di attrazione sancito dalla circolare 24 febbraio 1998, n. 57/E.

Analizzando, da ultimo, solo la percentuale dei due bonus, risulta ovviamente più conveniente la detrazione

del 65% (50% dal 1° gennaio 2015 al 31 dicembre 2015) rispetto al credito d'imposta del 30 per cento ma va

considerato anche che quest'ultimo è compensabile in F24 con altri debiti tributari o contributivi e può essere

riportato anche negli anni successivi, mentre la detrazione del 65 per cento, ripartita in 10 anni, può

scomputare solo l'Ires o l'Irpef dell'anno.

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monza Finito il restauro della Villa Reale Negli appartamenti recuperati saranno ospitati eventi, mostre e un museo permanente del Design. E al pianterreno aprirà un ristorante stellato Marco Carminati Come è accaduto qualche anno fa con la Reggia di Venaria Reale, anche con la Villa Reale di Monza

abbiamo assistito a un autentico "miracolo". Dopo i fasti asburgici, napoleonici e sabaudi (bruscamente

interrotti dal regicidio di Umberto I nel 1901 nel viale antistante la residenza), la Villa Reale di Monza

sembrava destinata a un irreversibile declino. Per chi lo ricorda, lo spettacolo era desolante: esterni

degradati, infissi cadenti, interni privati di ogni arredo e deturpati dal crollo degli stucchi, dallo strappo delle

tapezzerie, dai danni inflitti ai mirabili pavimenti lignei. Un potenziale rudere senza futuro.

Che cosa mancava alla Villa di Monza per risorgere da tanto declino? Semplice: mancavano gli uomini giusti

al momento giusto.

Ecco il "miracolo". Dopo decenni di parole, intenzioni e teorie, due anni fa è sorta l'alba del giorno propizio:

Regione Lombardia e Italiana Costruzioni dei Fratelli Navarra siglano un accordo per il restauro e la gestione

della Villa nei prossimi vent'anni. Tutti cominciano a remare insieme e dalla stessa parte. Regione Lombardia,

Comuni di Monza e Milano, Provincia di Monza, imprenditori e Confidustria di Monza mettono a disposizione

forze e risorse. E a essi si aggiunge il contributo di Arcus.

Il resto ce lo mettono i fratelli Navarra. La loro impresa di costruzioni e restauri non teme i grandi progetti e le

grandi sfide. La Italiana Costruzioni dispone di forze economiche e competenze tecniche per affrontare il

radicale restauro della villa e per pensare alla futura gestione. Dopo aver ultimato il restauro del colonnato di

San Pietro a Roma, nel marzo 2012 Attilio Maria Navarra si trasferisce a Monza. E in poco più di due anni

compie il "miracolo". Con 100 tra operai e restauratori al fianco, Navarra mette mano a una struttura di 40

stanze, di 3.500 metri quadri di superficie, con 1.000 metri quadri di parquet, 800 metri quadri di superfici

lapidee, 1.200 metri lineari di impianti. In perfetto accordo con la Soprintendenza regionale che vigila sul

cantiere, in settecento giorni di lavoro la villa riacquista il suo splendore.

La consegna viene stabilita al maggio 2014. E tempi di consegna vengono rispettati al millimetro: il 26 giugno

scorso c'è stata la solenne (e commuovente) cerimonia della fine dei lavori.

Ad aggirarsi ora per gli appartamenti reali del primo e del secondo piano nobile pare davvero di sognare.

Tutto è stato magnificamente recuperato: stucchi, stoffe, dipinti, parquet e infissi. Adesso possiamo godere

della magnificanza dello scalone d'onore, vasto, solenne e luminoso. Possiamo ammirare perfettamente

ripristinata la stanza del guardaroba del Principe di Napoli, con tanto di vasca da bagno e di servizi igienici

celati dentro un armadio. E possiamo finalmente ammirare, in tutta la sua solennità, l'appartamento

approntato per ospitare l'imperatore di Germania a Monza.

Il "miracolo" della reggia di Monza è costato complessivamente 24 milioni di euro (19 ce li ha messi la

Regione Lombardia, il resto i Fratelli Navarra e gli altri investitori).

Ma come verrà gestita in futuro la villa? E che cosa offrirà ai suoi visitatori?

La Nuova Villa Reale di Monza spa (società controllata da Italiana Costruzioni) gestirà la residenza per i

prossimi venti anni. Poi la restituirà al Consorzio proprietario e al Comune di Monza. I programmi delle offerte

sono questi. Al pian terreno (oltre ai servizi d'accoglienza per i visitatori) aprirà un ristorante che proporrà

piatti di chef stellati. Il primo piano nobile (con gli appartamenti del re e della regina) ospiteranno eventi di

vario genere, gestiti da Vision Plus. Il secondo piano nobile (con gli appartamenti dei principi e degli ospiti)

verrà dedicato alle grandi mostre: quella sul «Paesaggio italiano visto dai pittori esteri» sarà la prima e aprirà i

battenti in concomitanza con Expo. A gestire gli eventi espositivi sarà la società Cultura Domani, alla quale è

stata affidata anche l'organizzazione delle visite turistiche nella villa. Infine, il Belvedere al terzo piano è stato

dato in concessione alla Triennale di Milano che vi aprirà un'esposizione permanente dedicata del Design,

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organizzando a latere mostre a tema e corsi di formazione (gestiti dalla Camera di Commercio). Va

sottolineato che il Belvedere non è mai stato aperto al pubblico. Era il classico sottotetto che un tempo

ospitava gli appartamenti della servitù, ed è caratterizzato da un complesso gioco di capriate in legno che

sorreggono il tetto. Il nome di Belvedere non è stato dato a caso: dalle sue finestre si godono le più

spettacolari vedute del parco e del viale d'accesso alla villa.

Durante i mesi dell'Expo, la Villa Reale di Monza sarà una delle sedi di rappresentanza destinate a ospitare

incontri ufficiali dei capi di stato e di governo giunti nel nostro Paese per Expo. Così la villa rinnovata tornerà

al centro della storia.

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Foto: real magnificenza |Una delle sale della Villa Reale di Monza dopo il radicale restauro, appena ultimato,

realizzato da Italiana Costruzioni con l'apporto di Regione Lombardia

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La fotografia su 300mila bilanci - Il prelievo per le Pmi arriva anche a superare il 40% degli utili Il tax rate sulle imprese non arretra Quattro società su dieci hanno pagato più imposte rispetto all'anno precedente Giovanni Parente Pressione fiscale sempre alta sulle imprese. Quattro società su dieci hanno pagato più imposte rispetto

all'anno precedente. È la fotografia che emerge dagli ultimi bilanci disponibili in formato elettronico di 300mila

aziende analizzati da InfoCamere. L'effetto dell'Irap si vede soprattutto sui settori a elevato utilizzo della

manodopera e tra le Pmi il tax rate arriva anche a superare il 40 per cento.

Gaiani e Parente u pagina 5

Certo, le semplificazioni avviate nelle ultime settimane potranno rivelarsi utili. Ma il problema continua a stare

da un'altra parte. Parlare di fisco sulle imprese significa raccontare una storia che sembra già nota ma che

non finisce mai di stupire, purtroppo in negativo. Quattro società di capitali su dieci hanno pagato più tasse

rispetto all'anno precedente. È il dato che emerge dall'analisi di InfoCamere su 300mila bilanci con utile

positivo o pari a zero depositati in formato elettronico tra il 2010 e il 2012, ultimo esercizio per cui sono finora

disponibili i rendiconti completi.

Non è un viatico incoraggiante in vista della scadenza di oggi, che interessa tutte le attività soggette a studi

di settore, per i versamenti relativi all'anno d'imposta 2013. L'unica magrissima consolazione è che il tax rate

medio (vale a dire il peso percentuale delle imposte pagate sugli utili) si attesta intorno al 32,6% con una

leggera flessione rispetto al recente passato. Un numero, però, da contestualizzare e da analizzare in

parallelo ad altri aspetti. A cominciare da una crescita sensibile delle società in perdita. Tra i bilanci 2011 e

quelli del 2012 la quota delle imprese in «rosso» è salita addirittura al 36%, quasi quattro punti in più (in

questo caso il perimetro di osservazione riguarda quasi 700mila società). È forse uno dei segni più tangibili

della crisi economica, anche se a livello fiscale riportare una perdita dall'anno precedente può anche

permettere di limare il conto con l'Erario. A questo vanno aggiunti una serie di interventi messi in campo sotto

forma di agevolazioni fiscali ma di cui bisogna ancora valutare a pieno la capacità di abbattere il prelievo (si

veda l'altro articolo in pagina).

Ci sono poi tre ordini di questioni che dimostrano come il mix tra alta tassazione e congiuntura negativa sia

un ostacolo quasi insormontabile.

e Per il 40% delle società il fisco è diventato ancora più pesante con le imposte cresciute in media di 30mila

euro tra un anno e l'altro. La quota di aziende con prelievo in aumento supera addirittura il 50% in un settore

come le attività immobiliari che si è trovato a fronteggiare una contrazione senza precedenti del mercato di

riferimento. E qui potrebbe aver inciso un duplice fattore: i paletti alla deducibilità agli interessi passivi nel

caso sempre più diffuso di immobili invenduti; il rischio che l'aumento degli edifici non locati possa aver

comportato uno scivolamento verso il regime delle società di comodo.

r Scendendo nel dettaglio del tax rate si vede come ci siano settori più esposti di altri al peso della pressione

fiscale sugli utili e che continuano a rimanerlo. È il caso di quelli su cui c'è un maggior ricorso alla forza

lavoro: fra gli altri si può citare l'esempio del settore alberghiero e della ristorazione (ma il discorso vale anche

per i servizi in generale) in cui su 100 euro di utili ante-imposte il Fisco ne ha prelevati 40. L'indiziata numero

uno resta sempre l'Irap, che tende a penalizzare chi ha più manodopera. Ma ci sono anche tributi "mirati"

come nel caso della Robin Hood tax (un'addizionale all'Ires) che ha impresso un'ulteriore spinta alla crescita

del tax rate nel settore energetico.

t Le piccole e medie realtà imprenditoriali (Srl sotto i 15 dipendenti con un fatturato sotto i 2 milioni di euro)

sono state costrette a fari i conti con un aumento delle imposte versate anche di oltre 3mila euro in due anni.

E, a quanto rivelano i bilanci, il prelievo va anche oltre il 40% (a Milano e Napoli nelle costruzioni e a Roma

nelle manifatture). Da un lato, infatti, la crisi ha eroso il fatturato a fronte di aliquote rimaste "rigide" (l'Ires è al

27,5%) o addirittura aumentate (l'Irap) nelle regioni in extradeficit sanitario. Dall'altro, le imprese hanno

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continuato a fare i conti con i costi indeducibili - in tutto o in parte - come quello per il lavoro nel caso dell'Irap

o, tra gli altri, delle perdite su crediti dall'Ires, su cui solo di recente è stata riconosciuta una maggiore

flessibilità.

© RIPRODUZIONE RISERVATA LE IMPRESE CHE HANNO PAGATO DI PIÙ La percentuale di imprese

con un aumento di imposte tra i bilanci 2012 e quelli 2011 IL TAX RATE L'analisi del peso tributario (tax rate)

sulle società di capitali nel 2012 27.258 12.645 10.504 21.836 99.618 26.120 18.061 11.247 11.786 21.801

22.969 26.203 28.684 64.022 30.264 59.799 6.719 30.333 12.678 0 100.000 Media complessiva Imprese non

classificate Istruzione Attività artistiche, sportive, di intrattenimento e divertimento Noleggio, agenzie di

viaggio, servizi di supporto alle imprese Attività finanziarie e assicurative Attività professionali, scientifiche e

tecniche Sanità e assistenza sociale Attività dei servizi alberghieri e ristorazione Altre attività di servizi

Costruzioni Commercio Servizi di informazione e comunicazioni Attività manifatturiere Trasporto e

magazzinaggio Fornitura di acqua, reti fognarie, attività di gestione dei rifiuti Amministrazione pubblica e

difesa, assicurazione sociale Attività immobiliari Agricoltura, silvicoltura pesca Settore economico Media

imposte pagate in più, in euro 0 100% Imprese che hanno pagato più imposte 53,6% 47,9% 44,9% 44,9%

43,0% 42,7% 41,5% 41,3% 40,6% 40,1% 39,5% 39,3% 38,6% 38,6% 38,0% 37,5% 35,6% 30,8% 41,2% IL

PRELIEVO SULLE PMI Il tax rate e le imposte pagate dalle Srl con meno di 15 dipendenti e un fatturato sotto

i 2 milioni di euro +1.230 -865 +1.250 +1.645 +2.066 +1.744 39,5% 40,2% 38,8% Manifatture Costruzioni

Commercio 2.500 2.100 3.400 25.898 22.605 21.356 +3.236 +926 +2.613 Milano 43,5% 37,2% 39,6%

Manifatture Costruzioni Commercio 1.200 4.200 4.700 16.491 17.229 13.869 Roma 39,8% 40,6% 34,9%

Manifatture Costruzioni Commercio 1.100 1.800 3.000 13.985 14.197 12.142 Napoli Settore economico e

imprese considerate Tax rate Imposte 2012 pagate in euro Differenza sul 2010 Classe di fatturato in euro

Negativo da 0 a 2milioni da 2milioni a 10milioni da 10milioni a 50milioni oltre 50milioni Numero di addetti da 0

a 15 addetti da 16 a 200 addetti oltre 200 addetti 218 227.993 51.028 13.193 3.198 258.133 35.716 1.781

39.538 51.785 164.391 747.520 8.932.695 72.873 519.808 11.934.930 55.003 70.009 258.805 1.151.320

13.315.354 105.852 794.652 17.544.154 28,1% 26,0% 36,5% 35,1% 32,9% 31,2% 34,6% 38,0% Risultato

ante imposte medio in euro Numero bilanci Risultato netto medio in euro Tax rate Risultato netto medio in

euro 198.331 Risultato ante imposte medio in euro 294.123 Media complessiva Tax rate 32,6% Totale bilanci

295.630 Note: Il tax rate è il rapporto percentuale tra le imposte (ottenute come differenza tra risultato ante

imposte e risultato netto) e il risultato ante imposte. Il dato sulle imposte pagate dalle Srl nelle tre città

esaminate è la differenza in valore assoluto tra il risultato ante imposte medio e il risultato netto medio. Il

fatturato è assimilato al valore della produzione Fonte: elaborazione su dati InfoCamere, archivio dei bilanci

Xbrl

Foto: - Note: Il tax rate è il rapporto percentuale tra le imposte (ottenute come differenza tra risultato ante

imposte e risultato netto) e il risultato ante imposte. Il dato sulle imposte pagate dalle Srl nelle tre città

esaminate è la differenza in valore assoluto tra il risultato ante imposte medio e il risultato netto medio. Il

fatturato è assimilato al valore della produzioneFonte: elaborazione su dati InfoCamere, archivio dei bilanci

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 48

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NORME& TRIBUTI EDILIZIA Per i tendoni serve il permesso Per tendoni e prefabbricati è necessario il permesso. L'installazione di strutture smontabili a uso stagionale

non rientra nell'attività edilizia libera.

u pagina 28 PAGINA A CURA DI

Donato Antonucci

L'ultimo intervento in ordine di tempo è quello della legge 80/2014, di conversione del Dl 47, che ha escluso

l'obbligo di acquisire un titolo abilitativo per le roulotte, i camper e le case mobili, ma solo se posti all'interno di

strutture ricettive all'aperto (si veda l'altro articolo in pagina). Il tema dei permessi edilizi relativi alle strutture

leggere e temporanee, però, è molto più ampio, ed è sempre al centro dell'attenzione dei giudici.

Il Dpr 380/2001 ricomprende tra gli interventi di «nuova costruzione» - per la cui esecuzione è necessario il

previo rilascio di un titolo abilitativo - l'installazione di manufatti leggeri, anche se prefabbricati, e le strutture di

qualsiasi genere (articolo 3, comma 1, lettera e.5, prima parte). Tra queste strutture, in particolare, rientrano

anche le roulotte, i camper, le case mobili e le imbarcazioni che vengano adibiti ad abitazione, ambienti di

lavoro, depositi o magazzini, e che - proprio per tale destinazione - non siano diretti a soddisfare esigenze

meramente temporanee e di carattere precario.

Le opere «precarie»

La giurisprudenza si è soffermata da tempo sulla nozione di «precarietà» delle opere e sugli elementi

distintivi che queste devono possedere al fine di stabilire se farle rientrare nell'ambito dell'attività edilizia libera

o ricondurle tra le nuove costruzioni. La Corte costituzionale, con la sentenza 278/2010, poi ripresa nella

pronuncia 171/2012, ha ricordato che per la normativa statale ogni trasformazione permanente del territorio

necessita di titolo abilitativo e ciò anche ove si tratti di strutture mobili, quando queste strutture non abbiano

carattere precario. La pronuncia chiarisce sul punto che la nozione di «precarietà» deve intendersi in una

duplice accezione: quella «oggettiva», correlata «alle tipologie dei materiali utilizzati» per l'intervento, e quella

«funzionale», che risulta invece «caratterizzata dalla temporaneità dell'intervento». La distinzione operata

dalla Consulta si richiama a un orientamento progressivamente consolidatosi nel tempo, che ha fatto

assumere decisivo rilievo alla «precarietà funzionale» e che è stato ribadito dalla VI sezione del Consiglio di

Stato nella sentenza n. 2846 del 3 giugno 2014. Qui si evidenzia che la precarietà di un'opera, quale

condizione che esclude il permesso di costruire, presuppone un utilizzo del bene specifico e temporalmente

limitato.

Sul punto i giudici di Palazzo Spada sottolineano poi che il concetto di «temporaneità» dell'uso non deve

essere confuso con quello di «stagionalità», perché quest'ultima non è volta a soddisfare un bisogno

eccezionale, provvisorio o contingente. Le opere stagionali, insomma, non sono precarie e costituiscono

nuova costruzione. E questo fa passare in secondo piano l'elemento oggettivo e la tipologia del materiale

utilizzato, se l'intervento è funzionale a soddisfare esigenze permanenti, «a nulla rilevando la precarietà

strutturale del manufatto, la rimovibilità della struttura e l'assenza di opere murarie, posto che il manufatto non

precario (ad esempio: gazebo o chiosco) non è deputato ad un suo uso per fini contingenti, ma è destinato a

un utilizzo destinato ad essere reiterato nel tempo» ed è quindi idoneo ad alterare lo stato dei luoghi e ad

incrementare il carico urbanistico.

Bocciata la tensostruttura

Nello stesso senso si pone la recente decisione del Tar Lombardia-Brescia (Sezione I, 4 giugno 2014, n.

600), che ha esaminato il caso di una tensostruttura in montanti di metallo e teloni di plastica, stabilendo che

la stessa - pur se dotata di meccanismi che la rendono retrattile - non si colloca nell'attività edilizia libera, ma

tra tra gli interventi di nuova costruzione, di cui all'articolo 3 comma 1-e.5, prima parte del Testo unico,

trattandosi di manufatti leggeri, utilizzati come ambienti di lavoro oppure come deposito o magazzino e non

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diretto a soddisfare esigenze meramente temporanee.

Né si potrebbe assimilare la tensostruttura alle serre mobili stagionali (comma 1-e), poiché non presenta

un'utilizzazione differenziata nel corso dell'anno; né alle opere contingenti e temporanee destinate a essere

rimosse entro 90 giorni (comma 2-b), essendo evidente che l'utilità del manufatto non implica alcuna

scadenza; né alle aree di sosta esterne contenute nei limiti dell'indice di permeabilità (comma 2-c), in quanto

oltre alla platea in calcestruzzo esiste un volume reale o virtuale; né, infine, alle modifiche della destinazione

d'uso dei locali aziendali (comma 2-e-bis), in quanto non si sostituisce a un preesistente spazio attrezzato

qualificabile come locale dell'impresa.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Le pronunce01 | NON SONO PRECARIE

LE STRUTTURE STAGIONALI

La «precarietà» dell'opera - che esonera dall'obbligo del possesso del permesso di costruire - postula un uso

specifico e temporalmente limitato del bene e non la sua stagionalità. Non possono essere considerati

manufatti destinati a soddisfare esigenze meramente temporanee quelli destinati a un'utilizzazione

perdurante nel tempo, per i quali l'alterazione del territorio non può essere considerata temporanea, precaria

o irrilevante.

Consiglio di Stato, sezione VI,

3 giugno 2014, n. 2842

02 | C'È LOTTIZZAZIONE

ANCHE CON OPERE MODESTE

È legittimo un provvedimento che contesta una lottizzazione abusiva nel caso in cui il privato non si sia

limitato alla semplice recinzione del fondo e realizzazione di una strada sterrata, ma abbia eseguito opere

che denunciano in modo inequivoco l'intenzione di procedere a una lottizzazione (apposizione di baracche di

legno e/o roulotte, non accompagnate dal formale e legittimo esercizio di attività agricola). Né si può

sostenere che la modesta natura delle opere non comporti la trasformazione irreversibile del fondo: tale

argomento non può valere per la lottizzazione repressa dall'articolo 18 della legge 47/1985 (vedi oggi

l'articolo 30 del Dpr n. 380/2001), poiché questa è qualificata da modificazioni fisiche anche solo dell'uso

dell'area che, a prescindere dalla loro entità, si pongano in contrasto con le destinazioni stabilite dal Prg.

Consiglio di Stato, sezione IV,

19 febbraio 2013, n. 1028

03 | L'ECCEZIONE DETTATA

PER I CAMPEGGI

La collocazione di case mobili sarebbe, in astratto, definibile come «nuova costruzione», secondo l'articolo 3,

comma 1, lettera e), Dpr 380/2001. La disposizione, infatti, cita anche la «installazione di manufatti leggeri,

anche prefabbricati e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che

siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili e che non siano

diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee». Tuttavia, la disposizione va coordinata con le

disposizioni regionali e con le peculiari esigenze di un'area destinata a campeggio, ovvero rientrante fra le

«strutture ricettive all'aria aperta».

Consiglio di Stato, sezione VI,

5 aprile 2013, n. 1885

04 | NON SERVONO

OPERE IRREVERSIBILI

Ai fini del rilascio della concessione edilizia, deve parlarsi di nuova costruzione in presenza di opere che

comunque implichino una stabile - per quanto non irreversibile - trasformazione urbanistico-edilizia del

territorio preordinata a soddisfare esigenze non precarie del committente sotto il profilo funzionale e della

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destinazione dell'immobile.

Consiglio di Stato, sezione IV,

24 luglio 2012, n. 4214

05 | IL TENDONE IN PVC

NON È ATTIVITÀ LIBERA

Deve essere considerato intervento di nuova costruzione, come tale soggetto a permesso di costruire,

l'installazione

di un manufatto o di struttura di qualsiasi genere (anche roulotte, camper, case mobili

o imbarcazioni) che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee.

In particolare è da escludersi che sia destinata a esigenze temporanee l'installazione

di una voluminosa copertura

in Pvc, per quanto stagionale, specie ove si tratti di struttura destinata all'esercizio di un'attività commerciale

e di somministrazione, come tale ontologicamente «non temporanea». Nel caso specificio, la struttura veniva

rimossa per un periodo di quattro mesi ogni anno.

Consiglio di Stato, sezione VI,

16 febbraio 2011, n. 986

06 | LA TENSOSTRUTTURA

IN PLASTICA E METALLO

Una tensostruttura in montanti di metallo e teloni di plastica costituisce nuova costruzione ex articolo 3

comma 1, lettera e.5 (prima parte) del Dpr n. 380/2001 (manufatti leggeri utilizzati come ambienti di lavoro

oppure come depositi

e magazzini, non diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee).

Tar Lombardia - Brescia, sezione I, 4 giugno 2014, n. 600

07 | LA ROULOTTE

CON GLI ALLACCIAMENTI

È legittimo l'ordine di rimozione di una roulotte stabilmente installata all'interno di un suolo privato, senza il

preventivo rilascio dell'atto di assenso edificatorio, nel caso in cui sia utilizzata a fini abitativi

(nella specie l'utilizzazione

a fini abitativi risultava dall'allaccio abusivo alle utenze di luce, gas e acqua). In tal caso, infatti, la roulotte

deve qualificarsi come costruzione urbanisticamente rilevante, per la quale occorre il previo rilascio di

permesso di costruire, stante la presenza di indici in grado di supportare il carattere non precario della

installazione.

Tar Liguria, sezione I,

18 febbraio 2014, n. 281

08 | NON OCCORRE

L'ANCORAGGIO AL SUOLO

Anche per case mobili, camper e roulotte è necessario il permesso di costruire quando queste - a

prescindere da uno stabile legame con il suolo - siano destinate a esigenze di tipo abitativo, lavorativo o di

deposito, a carattere duraturo. Anche in queste situazioni, in caso di inottemperanza all'ordine di demolizione,

segue l'acquisizione dell'area di sedime al patrimonio comunale.

Tar Toscana, sezione III,

29 luglio 2009, n. 1319

09 | IL CAMPEGGIO

CON SERVIZI FISSI

Integra il reato di lottizzazione abusiva la realizzazione di un campeggio, anche se autorizzato, qualora l'area

destinata alla struttura ricettiva venga radicalmente mutata per la presenza di opere stabili, strutture abitative

e servizi in grado di snaturarne le caratteristiche originarie. Nella specie, si trattava di lavatoi, servizi igienici,

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piazzole con cucine e verande, uffici e roulottes intrasportabili.

Cassazione penale , sezione III,

4 giugno 2013, n. 29731

10 | I PREFABBRICATI

MONTATI SU RUOTE

È configurabile il reato di costruzione edilizia abusiva (articolo 44, comma 1,

lettera b, del Testo unico dell'edilizia, Dpr 380/2001) nell'ipotesi di installazione su un terreno, senza

permesso di costruire, di strutture mobili quali camper, roulotte e case mobili, sia pure montate

su ruote e non incorporate

al suolo, aventi una destinazione duratura

al soddisfacimento di esigenze abitative. Nel caso specifico, si trattava di case prefabbricate munite

di ruote gommate.

Cassazione penale , sezione III,

23 marzo 2011, n. 25015

11 | LA LOTTIZZAZIONE

TRAMITE QUOTE DI SRL

Integra il reato di lottizzazione abusiva negoziale il trasferimento di un terreno, sulla base di quote societarie

che conferiscono al suolo un assetto proprietario frazionato in lotti, ove risulti in modo inequivoco la

destinazione dei lotti a scopo edificatorio. Nel caso esaminato dai giudici, al versamento della quota da parte

di ciascun indagato - socio di una Srl proprietaria del terreno - conseguiva, contestualmente al conferimento,

l'assegnazione in esclusiva di una piazzola su cui veniva posizionata una roulotte o un caravan, di fatto

realizzando un frazionamento a scopo edilizio dell'area,

in contrasto con il piano regolatore generale (Prg)

e le norme di attuazione.

Cassazione penale , sezione III,

14 luglio 2010, n. 35968

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 52

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Fondi pensione. La crisi ha aumentato le sospensioni contributive e le anticipazioni La contromossa: più spazio al secondo pilastro Marco lo Conte La soluzione è a portata di mano ma, di fatto, non ha l'attrattività utile perché venga accolta da tutti coloro che

ne avrebbero bisogno. I fondi pensione italiani offrono ai lavoratori l'opportunità di supportare le proprie

rendite pensionistiche di primo pilastro con "pensioni di scorta" o di secondo pilastro, in grado di produrre un

supporto tale da avvicinare i vitalizi futuri ai livelli ottenuti da coloro i quali sono andati in pensione nel recente

passato. L'impiegato quarantenne con 15 anni di contribuzione va incontro a una pensione pubblica pari al

67% dell'ultimo stipendio (tasso di sostituzione); ma in caso di adesione a un fondo pensione con Tfr e

contributo volontario pari all'1% del proprio reddito (oltre a quello datoriale), può far salire il tasso all'80%. Di

fatto, però, questa soluzione è rimasta appannaggio di un numero insufficiente di lavoratori: le adesioni alla

previdenza complementare restano limitate (vedi tabella in pagina) e anzi si riducono in molti settori

produttivi, con la crisi che toglie risorse economiche e prospettive future ai lavoratori, schiacciati spesso dalle

necessità del presente che li spingono a interrompere la contribuzione in essere (vedi tabella a fianco) o a

richiedere anticipazioni al fondo; smontando così la propria strategia previdenziale. Come sottolineato da più

parti, sono proprio coloro che avrebbero più bisogno di un secondo pilastro previdenziale - i giovani e le

donne, per esempio - a mostrare i tassi di partecipazione più bassi.

Il tema del rilancio delle adesioni è individuale e anche sociale, visto che prive di uno strumento

previdenziale complementare ed esposte al «fai-da-te» (immobili o altre forme), ampie fette della popolazione

vanno incontro a un futuro fatto di prestazioni inadeguate e indigenza. Al primo posto tra le soluzioni indicate

c'è il rinnovo di una operazione comunicativa, una fase di silenzio/assenso analoga e auspicabilmente più

efficace di quella messa in campo nel 2007, in occasione dell'introduzione della 252/2005. Ma una leva la

offre il decreto "salva Italia", che offre la possibilità di un parziale opt out contributivo dal primo al secondo

pilastro, dirottando cioè una quota dei versamenti ai più redditizi fondi pensione; una mossa che presenta

inevitabili controindicazioni per la sostenibilità del primo pilastro, in caso di successo. Lo stesso presidente di

Mefop, Mauro Marè, nel corso di una recente audizione ha sottolineato l'opportunità di introdurre forme di

automatic enrollment con opzione di exit entro un determinato periodo, da sposare con le opzioni offerte da

una migliore diversificazione contributiva nel primo e nel secondo pilastro.

Alcuni contesti specifici hanno offerto soluzioni diverse: il recente rinnovo del contratto degli edili prevede dal

2015 il versamento di 8 euro nelle posizioni di tutti i lavoratori, a prescindere dalla loro adesione al fondo di

categoria (Prevedi); una soluzione che è stata resa praticabile dalla possibilità degli edili di aderire al fondo

anche senza il Tfr, in deroga alla norma, vista la specificità del settore produttivo caratterizzato da forte

mobilità. Un vantaggio sia per l'azienda, che paga sugli 8 euro al fondo un contributo aggiuntivo del 10%

invece del 30% in busta paga, sia per il lavoratore, che potrà dedurre fiscalmente il versamento invece di

vederlo defalcato dall'aliquota marginale.

Non manca chi propone una più stringente obbligatorietà dell'adesione ai fondi pensione, che, però,

presentano effetti collaterali rilevanti: da una parte l'obbligatorietà dovrebbe portar con sé forme di garanzia

ancor più robuste di quelle attuali (oggi ogni fondo pensione offre alla platea di iscritti una linea a rendimento

garantito); dall'altra ciò comporterebbe un costo per il sistema impresa italiano nell'approvvigionamento di

liquidità in misura ancor maggiore rispetto al recente passato, ossia nel pieno del credit crunch. E in assenza

di misure compensative.

Molti altri fondi studiano campagne di sensibilizzazione della propria platea di riferimento, muovendosi da

soli: in assenza di un progetto sistemico collettivo che faccia leva sulla capacità dei mass media, soprattutto,

di fare massa critica e nell'attesa ormai paradossale della diffusione della «busta arancione», l'informativa

che stima le prestazioni future dei lavoratori: assente sul primo pilastro, in vigore da anni per il secondo

pilastro.

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© RIPRODUZIONE RISERVATA Contribuzioni frenate dalla crisi La previdenza complementare in Italia.

Tassi di adesione al lordo e al netto degli iscritti non versanti. Dati di fine 2013; tasso di adesione in

percentuale Tipologia Iscritti Iscritti versanti Occupati* Tasso di adesione** lordo netto Dipendenti del settore

privato 4.355.970 3.559.779 13.543.000 32,2 26,3 Dipendenti del settore pubblico 160.263 157.063

3.335.000 4,8 4,7 Autonomi*** 1.687.530 1.075.343 5.542.000 30,4 19,4 Totale 6.203.763 4.792.185

22.420.000 27,7 21,4 Per memoria: Forze di lavoro* - - 25.533.000 - - Tasso di adesione in% forze di lavoro -

- - 24,3 18,8 (*) Il totale delle forze di lavoro, degli occupati e dei lavoratori autonomi è di fonte Istat; (**)

Tasso di adesione calcolato al lordo e al netto degli iscritti non versanti; (***) Con riferimento alle adesioni alla

previdenza complementare, il dato include gli iscritti che non risulta svolgano attività lavorativa Fonte:Covip

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Decreto casa. Liberalizzazione dopo la stretta del decreto «del fare» Camper e roulotte dribblano la richiesta di autorizzazione LE CONDIZIONI Le «case mobili» devono essere collocate in aree ricettive all'aperto in regola con lanormativa dettata dalle Regioni Tornano nel campo dell'edilizia libera le case mobili e i caravan collocati all'interno di strutture ricettive

all'aperto. Il decreto del fare (Dl 69/2013), modificando l'articolo 3, comma 1 lettera e.5), del Testo unico per

l'edilizia, aveva ricondotto nel novero degli interventi di nuova costruzione i manufatti e le altre strutture

leggere - come roulotte, camper e case mobili - posti all'interno di strutture ricettive all'aperto e adibiti alla

sosta e al soggiorno di turisti, «ancorché siano installati con temporaneo ancoraggio al suolo», così

escludendo che questa tipologia di installazioni potesse rientrare nell'ambito dell'attività edilizia libera.

La previsione, evidentemente ritenuta penalizzante per le attività turistiche, è stata oggetto di una piccola ma

significativa modifica da parte dell'articolo 10-ter, del decreto casa, Dl 47/2014, inserito dalla legge di

conversione 80/2014, in vigore dall'11 giugno scorso, che ha sostituito il termine «ancorché» con la locuzione

«e salvo che». Risultato: non è più necessario il titolo abilitativo edilizio per questa tipologia di strutture,

anche quando sono fissate al terreno, sia pure per un arco temporale limitato.

La modifica, secondo alcuni, potrebbe avere un impatto negativo sul territorio, favorendo fenomeni

speculativi e consentendo lo sviluppo di un mercato di «seconde case», mascherato da attività ricettiva; ciò in

quanto la disposizione prevede che i manufatti siano adibiti non solo alla «sosta» dei turisti - implicitamente di

breve durata - ma anche al loro «soggiorno», che invece può assumere carattere indeterminato, tanto da

poterlo assimilare all'uso abitativo.

Questo fenomeno, peraltro, è già stato affrontato dalla giurisprudenza. La Cassazione penale ha affermato

più volte la sussistenza del reato di lottizzazione abusiva negoziale nel caso di trasferimento di porzioni di

terreno su cui posizionare un caravan o di assegnazione in uso esclusivo di una piazzola su cui posizionare

una roulotte (sezione III, 4 giugno 2013, n. 29731, 23 marzo 2011, n. 25015, 14 luglio 2010, n. 35968 e 18

dicembre 2008, n 3481). Anche il Consiglio di Stato ha ritenuto configurabile una lottizzazione "materiale" nel

caso di presenza contestuale dei seguenti elementi: «a) acquisto di lotto, non frazionato ma pro-indiviso, da

parte di più soggetti; b) realizzazione sul medesimo di un complesso di opere, anche modeste (quali

l'apposizione di baracche o roulottes), la cui installazione si pone comunque in contrasto con la destinazione

attribuita dalle vigenti norme di Prg» (sezione IV, 19 febbraio 2013, n. 1028).

In realtà, salvo fenomeni di abusivismo - sempre possibili in caso di inadeguato controllo del territorio - la

norma non dovrebbe comportare particolari ripercussioni, se applicata correttamente. La deroga ai principi

generali, infatti, riguarda unicamente i manufatti installati nell'ambito di strutture ricettive all'aperto, in

conformità alla normativa regionale di settore.

Inoltre l'ancoraggio della struttura può essere soltanto temporaneo e non stagionale, per cui non può avere

carattere ciclico, poiché diversamente l'installazione del manufatto - e con essa il mutamento dello stato dei

luoghi - finirebbe per diventare permanente. Il semplice ancoraggio non può poi essere inteso come

possibilità di allaccio permanente alle reti tecnologiche o installazione di fosse imhoff, né può comportare la

realizzazione di accessori o pertinenze del manufatto, quali cordoli in cemento, recinzioni e cancelli carrabili

per l'ingresso al terreno su cui è ancorato il manufatto.

Non va infine trascurato che se per qualunque ragione venisse meno la destinazione turistica della struttura,

come nel caso decadenza di una concessione dell'area o di mancato rinnovo dell'autorizzazione all'esercizio

dell'impresa, i manufatti presenti dovrebbero essere tutti immediatamente rimossi a cura e spese dei

proprietari o di chi li ha installati.

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IL LAVORO Fincantieri, Sestri torna a costruire navi da crociera il 15 luglio taglio dellaprima lamiera per la Regent Il gruppo annuncia un investimento di 10,5 milioni per il restyling dello stabilimento (massimo minella) L'ULTIMA era stata la "chiatta semisommergibile". La prossima tornerà a essere una nave da crociera. Come

anticipato da Repubblica nei giorni scorsi, martedì 15 luglio avverrà la cerimonia del taglio della prima lamiera

della nuova nave da crociera che lo stabilimento di Sestri Ponente della Fincantieri costruirà per la "Regent

Seven Seas Cruises". La compagnia ha infatti affidato allo storico cantiere del ponente genovese la

realizzazione della «Seven Seas Explorer», 54 mila tonnellate di stazza lorda e nuova ammiraglia della flotta

Regent. Il lavoro di progettazione è già iniziato nei mesi scorsi e ora scatta la costruzione. Un bel segnale per

lo stabilimento che attende di tornare a sentire il "rumore del lavoro" dopo la partenza della chiatta

semisommergibile e i cassoni per la Costa Concordia. La lunga fase di "buco" si concluderà quindi nei

prossimi giorni quando inizierà la costruzione della «Seven Seas Explorer», 223 metri lunghezza 740

passeggeri, due anni di lavoro, con consegna prevista per l'estate del 2016. Ieri la direzione di Fincantieri ha

confermato durante l'incontro con i sindacati la data del 15 luglio per il taglio della prima lamiera, alla

presenza del cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova, da sempre vicino al mondo della lavoro.

L'avvio dei lavori consentirà già a settembre il rientro dalla cassa integrazione di un centinaio di lavoratori.

A ottobre, poi, saràa pieno ritmo la cosiddetta "area scafo", con l'officina e i servizi annessi, oltre all'attività di

ufficio. L'organico risalirà così all'ottanta per cento, un segnale forte per il futuro, in un momento di grande

sofferenza per l'industria genovese. Ma non è tutto. A Sestri Ponente il gruppo si prepara a sostenere con

una forte iniezione di liquidità il futuro del cantiere: saranno infatti investiti dieci milioni e mezzo per il

rifacimento del bacino, le nuove gru, il magazzino meccanizzato, il rinnovo degli uffici per gli impiegatie degli

spogliatoi per gli operai. A questo punto manca solo l'avvio dei lavori per il ribaltamento del cantiere, atteso

da tempo e che potrebbe scattare nelle prossime settimane con il lancio del bando di gara.

Foto: Il cardinale Angelo Bagnasco

05/07/2014 9Pag. La Repubblica - Genova(diffusione:556325, tiratura:710716)

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 56

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Allarme opere pubbliche Il flop del passante ferroviario cantieri alla paralisi operai in cassaintegrazione Rinviato il completamento del tunnel in zona tribunale Gli interventi a Sferracavallo e Capaci procedono arilento I sindacati: "Temiamo che questo maxi-appalto resti un'incompiuta" SARA SCARAFIA NON solo la galleria maledetta, lunga due chilometri ma con un pezzo mancante di appena sessanta metri

che da oltre un anno non si riesce a costruire. Sul passante ferroviario di Palermo - l'opera da un miliardo di

euro, la più imponente tra le grandi infrastrutture per la mobilità - incombono altri pesanti intoppi che ieri

hanno spinto la Sis, la ditta che sta eseguendo i lavori per conto di Rete ferroviarie italiane, a firmare con i

sindacati un accordo di cassa integrazione che riduce di un terzo la forza lavoro. L'impresa a corto di risorse

attenderebbe da Rfi tra 10 e 20 milioni di euro per lavori eseguiti in variante ma non ancora approvati: «Non

temiamo solo per gli operai, ma anche che il passante resti una incompiuta», dice la Fillea Cgil che ha lottato

insieme con le altre sigle per ridurre al minimo il ricorso alla cig. Per Sis «il programma dei lavori ha subito

notevoli stravolgimenti e conseguenti ritardi» tali da rendere necessarie al più 130 persone su un organico

totale di 327.

Alla fine, in cassa integrazione andranno in 110: 60 già a partire dal 16 giugno, altri 50 dal 16 luglio. Tutti per

quattro mesi (13 settimane escluse le ferie di agosto). Il cantiere dunque subirà un drastico rallentamento,

nonostante la tratta A - stazione centrale-Notarbartolo - dovesse essere consegnata già a dicembre 2012.

Ma che succede nei cantieri della maxi-opera che da sei anni ha riempito la città di trincee, da piazza

Indipendenza a Brancaccio, dalla Zisa a via Malaspina? Per l'azienda si tratta per lo più di imprevisti e

inadempienze dei partner pubblici, dal Comune alle Ferrovie, «indipendenti dalla volontà» della società. Il re

degli intoppiè di certo il fiume d'acqua che ha invaso lo scavo della galleria in zona tribunale dove le

perforazioni hanno danneggiato una ventina di palazzi e costretto una cinquantina di famiglie negli ultimi due

anni a lasciare le proprie casa. Ma sull'opera pesa anche il ritardo nei lavori della tratta Isola delle Femmine-

Capaci (un pezzo della tratta C) che sarebbero dovuti partire il 9 febbraio e invece sono ancora fermi a causa

«della tardiva definizione da parte di Ferrovie del nuovo assetto della stazione di Carini». E ancora il mancato

avvio del cantiere nella tratta Ems-Sferracavallo a causa della «mancata presa in consegna da parte del

Comune della nuova viabilità via Ugo La Malfa-via Lanza di Scalea». Problemi anche lungo la tratta B con Sis

che dice di non aver fatto partire i lavori in via Monti Iblei - il cantiere doveva essere avviato a dicembre 2013

- perché il Comune non avrebbe ancora firmato l'ordinanza per disporre la chiusura della strada.

Non solo intoppi tecnici: a pesare sulla maxi-opera sono soprattutto problemi di natura economica con

l'impresa che avrebbe eseguito lavori in variante non ancora pagati dal committente. «A noi risulta che aspetti

tra 10e 20 milioni», dicono Mario Ridulfo e Piero Ceraulo della Fillea Cgil. La Sis nel 2013 aveva già

licenziato 150 persone: «Ma a gennaio di quest'anno- dice Ceraulo - ne aveva riassunte 34: è chiaro dunque

che la scelta della cassa integrazione non era programmata ed è questo che ci preoccupa. La Sis ci ha

assicurato che entro ottobre avrà risolto tutti i problemi. Ce lo auguriamo: non accetteremo nemmeno un solo

licenziamento».

I nodi dell'appalto saranno affrontati lunedì durante un vertice tra Rfi, Sis e Comune. Ma se le altre difficoltà

sembrano superabili, a far paura sono «gli imprevisti geologici» che hanno paralizzato i lavori di ultimazione

della galleria sotterranea tra piazza Lolli e via Imera da ormai due anni: per un anno le betoniere hanno

pompato cemento lì dove le ruspe avevano scavato scatenando un fiume di acqua e sabbia, ma l'intervento

di "jet grouting" non è servito. Quando i primi di giugno le ruspe hanno ricominciato a perforare è stato di

nuovo il caos. Secondo la Sis in quel tratto la falda acquifera segue un andamento anomalo che non era

prevedibile. I residenti non credono all'imprevisto: «O hanno sbagliato il progetto o hanno sbagliato la tecnica

dei lavori», attaccano i residenti che si sono rivolti agli avvocati.

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 57

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Stazione Centrale Brancaccio Roccella Ficarazzi Bagheria S. Flavia Casteldaccia Altavilla Milicia Imperatore

Federico Fiera Giachery Aeroporto FalconeBorsellino Piraineto PALERMO Carini Capaci Ciachea Tommaso

Natale Cardillo S. Lorenzo Francia Capaci Isola delle Femmine Vespri Notarbartolo Palazzo Reale La mappa

degli ostacoli Linea A Linea B Linea C In ritardo la tratta Capaci-Isola delle Femmine Non è stato aperto il

cantiere di via Monti Iblei In ritardo la tratta Ems-Sferracavallo Lavori sospesi nella galleria in zona tribunale

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 58

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IL CROLLO DEGLI INVESTIMENTI PUBBLICI PAUL KRUGMAN DI FREQUENTE ci si imbatte in chi parla delle difficoltà economiche dell'America come se fossero qualcosa

di complicato e misterioso, sprovviste di un'ovvia soluzione. Come ha sottolineato di recente l'economista

Dean Baker, non c'è niente di più lontano dalla verità. In fondo, la storia di ciò che è andato storto, infatti, è di

una semplicità quasi disarmante: abbiamo avuto un'enorme bolla immobiliare e quando la bolla è scoppiata è

rimasta una voragine nella spesa. Tutto il resto è marginale.

Anche la risposta politica più adeguata era semplice: riempire quel buco nella domanda.

In particolare, il periodo che fa immediatamente seguito allo scoppio di una bolla era (ed è tuttora) ottimo per

investire nelle infrastrutture. Nei periodi prosperi, la spesa pubblica per costruire strade, ponti e altre

infrastrutture deve sempre competere dal punto di vista delle risorse con il settore privato. A partire dal 2008,

nondimeno, la nostra economia si è ritrovata straripante di disoccupati (specialmente operai dell'edilizia) e

con capitali senza grandi prospettive (e ciò spiega perché i costi delle passività statali siano ai minimi storici).

Mettere queste risorse inutilizzate all'opera per realizzare qualcosa di utile avrebbe dovuto essere un gioco

da ragazzi.

E invece, in realtà è accaduto esattamente il contrario: si è registrato un crollo senza precedenti nella spesa

per le infrastrutture. Rispetto agli inizi del 2008, la spesa pubblica è precipitata di oltre il 20 per cento, pur

tenendo conto dell'adeguamento dell'inflazione e della crescita demografica. In termini politici, ciò significa

che la situazione ha preso in modo quasi surreale una bruttissima piega: siamo riusciti a svigorire l'economia

sul breve periodo nel momento stesso in cui ne compromettevamo le prospettive sul lungo periodo. Gran bel

risultato! Ma c'è addirittura di peggio in arrivo. Il fondo fiduciario per le autostrade federali, che sovvenziona

buona parte della costruzione e della manutenzione della rete stradale americana, è pressoché esaurito. A

meno che il Congresso non acconsenta a rimpinguare in qualche modo il fondo, nel giro di poche settimane i

lavori stradali dovranno essere progressivamente ridotti. Se ciò dovesse accadere, ne farebbero

immediatamente le spese centinaia di migliaia di posti di lavoro, e questo rischierebbe di far deragliare quella

ripresa dell'occupazione che pare finalmente essersi messa in moto. Come se non bastasse, un tale scenario

pregiudicherebbe le potenzialità economiche a lungo termine.

Come abbiamo potuto commettere tali e tanti errori? Come nel caso di molti altri problemi che ci affliggono,

la risposta sta nell'effetto combinato di una rigida ideologia e di tattiche politiche da terra bruciata. La crisi del

fondo per le strade è soltanto un esempio di un problema assai più vasto.

Per quanto riguarda tale fondo, la spesa per la costruzione e la manutenzione delle strade per tradizione è

liquidata tramite apposite accise sui carburanti. Il fondo fiduciario federale, in particolare, riceve soldi dalla

tassa federale sulla benzina. Negli ultimi anni, però, gli introiti di tale tassa sono stati regolarmente inferiori

alle necessità. Ciò dipende innanzitutto dal fatto che le accise sul carburante (18,4 centesimi di dollaro per

gallone) sono rimaste invariate dal 1993, anche se il livello dei prezzi nel complesso è aumentato di oltre il 60

per cento.

È difficile farsi venire in mente un'unica buona ragione qualsiasi per la quale le accise sulla benzina

dovrebbero essere così basse, e viceversa è assai facile pensare a molti ottimi motivi - dalle preoccupazioni

per il clima alla riduzione della nostra dipendenza dal Medio Oriente - per i quali la benzina dovrebbe costare

di più. È del tutto palese che si debbano aumentare le accise sulla benzina, anche prescindendo dalla

necessità di sovvenzionare i lavori di costruzione e di manutenzione delle strade. E perfino nel caso in cui

non fossimo pronti a farlo immediatamente - poniamo il caso, per esempio, che volessimo evitare di

aumentare le tasse fino a quando l'economia non sarà più forte -, non si può smettere di costruire e riparare

le strade. Il Congresso può rabboccare il fondo fiduciario per le autostrade - e lo ha già fatto - attingendo alle

entrate generali. In effetti, dal 2008 ha già depositato in quel cappello ben 54 miliardi di dollari. Perché non

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 59

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ripetere quell'operazione? E invece no. Non possiamo semplicemente compilare e versare un assegno al

fondo per le autostrade, ci è stato comunicato, perché ciò aumenterebbe il deficit. E i deficit sono il male,

quanto meno quando alla Casa Bianca c'è un democratico, e perfino quando il governo può prendere capitali

in prestito a tassi di interesse incredibilmente bassi. Del resto, non possiamo neppure alzare le accise sulla

benzina, perché gli aumenti delle tasse sono un male ancora peggiore del deficit. Ne consegue che

dobbiamo lasciare che le nostre strade vadano in malora.

Se tutto ciò vi sembra pazzesco, è perché è pazzesco. Il vero problema è che dietro al drastico calo

complessivo degli investimenti pubblici c'è sempre una logica assai simile a questa. Buona parte di questo

tipo di investimenti è a carico dei governi statali e locali che, in genere, devono avere bilanci in pareggio e

dopo la bolla immobiliare hanno subìto un crollo delle entrate. Il governo federale, in ogni caso, avrebbe

potuto sostenere gli investimenti pubblici stanziando fondi finanziati dal deficit, e gli stati stessi avrebbero

potuto raccogliere entrate di gran lunga maggiori (alcuni, ma non tutti, lo hanno fatto). Il crollo degli

investimenti pubblici è stato, quindi, una scelta politica.

Nell'imminente crisi della rete stradale americana di istruttivo c'è il fatto che mette chiaramente in mostra

quanto sia diventata autolesionistica quella scelta politica. Un fatto è bloccare gli investimenti per l'energia

pulita o la costruzione di linee ferroviarie ad alta velocità, o addirittura di strade (io sono favorevole a molte di

queste cose, ma molti esponenti di destra non lo sono). Tutti, però, dai think tank progressisti alla Camera di

commercio degli Stati Uniti, pensano che abbiamo bisogno di una buona rete stradale.

Purtroppo, invece, questo mix di ideologia anti-fisco e di isteria da deficit (anch'essa gonfiata nel tentativo di

intimidire il presidente Obama e indurlo a tagliare la spesa) significa che di fatto stiamo lasciando che le

nostre strade - e con esse il nostro futuro - vadano in rovina. (Traduzione di Anna Bissanti) © 2014 New York

Times News Service

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 60

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La 'ndrangheta in Valsusa "Rifiuti tossici riciclati in cava il nuovo business dei 'calabresi'" Allarme dei pm dell'inchiesta San Michele "Smaltirli così costa dieci volte meno" E si rivende la terra "sporca"a altri cantieri I casi più eclatanti a Chiusa San Michele e Novara, ma ci sono sospetti anche su Venaria OTTAVIA GIUSTETTI Anche in Piemonte la 'ndrangheta tenta di specializzarsi nel business dello smaltimento dei rifiuti. Non rifiuti

«domestici», ma materiali di risulta degli scavi in edilizia e in grandi opere, tonnellate e tonnellate di terra,

roccia- quello che in gergo viene chiamato «smarino»- ma anche fresato, che solo in parte è riutilizzabile, e

rifiuto pericoloso, che economicamente ha un valore dieci volte quello dei materiali «puliti». Ecco il nuovo

tesoro per la rete delle imprese che fanno capo alla 'ndrangheta e che già in altre regioni sono venute allo

scoperto.

Il quadro, spiegano i magistrati che lavorano nell'inchiesta San Michele, è emerso già in diverse indagini a

Torino. E qualcosa di significativo tocca anche la zona di Novara. Ma la rete che sorregge il fenomeno appare

ancora immatura per concludere grandi affari. Il salto di qualità arriverà quando alle piccole aziende

subappaltatrici si assoceranno gli imprenditori dei grandi appalti e i funzionari che devono sorvegliare. Fino a

oggi, complice la difficoltà di accedere ai piani alti, la malavita si muove tra piccole opere edili e solo qualche

volta tenta di affacciarsi sul palco delle grandi opere pubbliche.

Qualche accenno emergeva nell'inchiesta sul grattacielo della Regione, dove secondo l'accusa erano stati

scavati metri cubi di terreno contaminato e poi riversati a Venaria, senza bonifica, e utilizzati per costruire il

parcheggio sotterraneo. Ma poi l'Arpa aveva smentito sondando il terreno davanti alla Reggia e dichiarando

che non conteneva sostanze pericolose. Più incisiva in questa direzione l'inchiesta sulla cosca crotonese

«Greco» di San Mauro Marchesato e sul tentativo di infiltrazione negli appalti dell'alta velocità. È raccontato

nell'ordinanza il tentativo di accaparrarsi una discarica a Chiusa San Michele nel 2011 per arrivare alla fase

esecutiva dell'opera con un sito da mettere a disposizione. Ma perché attira tanto il business dei rifiuti? Cosa

significa, nel caso Tav per esempio, avere accesso allo smaltimento delle terre di scavo prodotte dalla talpa?

Gli affari sono due. Il primo è quello «legale», comunque redditizio: liberare il cantiere del materiale di scavo -

e per la Torino-Lione parliamo di qualcosa come due milioni di metri cubi di smarino - ha un costo che si

aggira intorno a dieci euro per ogni metro cubo di rifiuti. Questi, poi, saranno depositati presso una cava e il

proprietario potrà, dopo averli adeguatamente trattati, riutilizzarli oppure rivenderli a nuovi costruttori.

Poi c'è la strada illegale, quella che emerge dall'inchiesta che ha portato a venti arresti e che ruota intorno

all'imprenditore Giovanni Toro: in questo caso le imprese che gestiscono i subappalti del movimento terra

trovano luoghi di smaltimento rifiuti di «amici». Preparano il terreno, insomma. Poi vannoa caccia di rifiuti

tossici, quelli che devono essere portati in discaricae che non hanno una seconda vita possibile, perché

liberare un cantiere di quel materiale vale dieci volte tanto. Fino a un centinaio di euro per tonnellata. Lo

caricano e lo portano nella cava anziché stoccarlo. Qui, lo mescolano insieme ad altre terre e lo rivendono

illegalmente guadagnando ancora.

Tre passaggi, tutti redditizi, che stanno diventando il core business della nuova 'ndrangheta piemontese. E

su cui gli investigatori continueranno a lavorare.

SU INTERNET Altre notizie e immagini sul sito torino.repubblica.it

Foto: LA CAVA Sopra la cava di Sant'Ambrogio in Valsusa che è sotto inchiesta

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 61

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La tramvia Parte la lunga stagione dei cantieri oggi via Alderotti, sabato piazzaDalmazia La strada chiusa nel tratto alto fra il semaforo e il Cto Lavori per 30 giorni Per arrivare e uscire da Careggil'unica alternativa sarà viale Morgagni A fine agosto tocca a via di Novoli e con la riapertura delle scuole alponte dello Statuto MASSIMO VANNI TRAMVIA, l'estate non fa sconti.

Stamani chiude via Alderotti, il tratto superiore tra il semaforo e il Cto. E con ciò il tormentone dei cantieri che

ci seguirà per oltre tre anni prende il via ufficialmente. Sabato prossimo ci si metterà pure piazza Dalmazia,

che nella zona centrale subirà un restringimento. Senza contare che a fine agosto dovremo dire addio a via di

Novoli. Quasi un monito del 'settembre nero' che ci aspetta, visto che giusto con la riapertura delle scuole

verrà chiuso il ponte dello Statuto. «Si comincia sì e sono preoccupato, perché comunque disagi ci saranno,

fin da subito», dice l'uomo-tramvia di Palazzo Vecchio, l'assessore a viabilità e trasporti Stefano Giorgetti.

Che oggi pomeriggio terrà una relazione davanti al consiglio comunale. «La prima cosa su cui vigileremo è il

rispetto dei tempi programmati da parte delle imprese. Su questo non si può sgarrare perché il rispetto dei

tempi è garanzia di serietà», aggiunge Giorgetti che da settimane studia carte e mappe. E proprio via

Alderotti sarà il primo banco di prova per il calendario: la strada deve restare chiusa 30 giorni, salvo ritardi,

per consentire i lavori preparatori: la sistemazione del fondo stradale con lo spostamento di alcune tubature e

la costruzione della centrale di alimentazione dietro l'edificio di ingegneria destinata a servire il capolinea

Careggi della linea 3 che attraverserà lo Statuto. E nel frattempo resterà viale Morgagni l'unica direttrice per

arrivare e lasciare in auto la cittadella ospedaliera.

Via Alderotti non è una strada infarcita di negozi. Ma le attività esistenti, nonostante il periodo, sono già sul

piede di guerra: «Ogni strada interessata dai cantieri verrà classificata secondo tre categorie d'impatto. E

trattandosi di chiusura via Alderotti sarà nella casella ad impatto massimo», dice l'assessore allo sviluppo

economico Giovanni Bettarini. Che già da giorni sta studiando le possibili compensazioni per le attività

commerciali. Quali? E' già stabilito che i negozi avranno almeno uno sconto sulla Tari. Cioè sulla tassa sui

rifiuti: «Di quanto però dobbiamo ancora stabilirlo, l'unica cosa certa è che la Tari sarà sicuramente una

leva», dice Bettarini. Le associazioni dei negozianti, Confesercenti in testa, stanno in realtà chiedendo molto

di più: per prima la possibilità di spostare temporaneamente il negozio utilizzando, dove esistono fondi di

proprietà comunale e poi anche contributi in denaro per sostenere le attività.

«Sulla prima richiesta non vedo grandi ostacoli, qualche fondo di proprietà qua e là esiste e possiamo

utilizzarli. Sui contributi diretti di sostegno non sarà facile, non è neppure detto che si possa fare», chiarisce il

responsabile delle attività economiche. Deciso a individuare delle regole condivise fin da mercoledì, quando

Bettarini tornerà ad incontrare i vertici delle associazioni. Il problema è destinato a riproporsi da sabato in

piazza Dalmazia. Anche se in questo caso i negozi non potranno avere la categoria del massimo impatto:

«Sono previsti lavori per lo spostamento di alcuni sottoservizi ma almeno una corsia di scorrimento dovrebbe

restare sempre aperta in ogni direzione», dice l'assessore Giorgetti. Nel frattempo prosegue la costruzione

delle spallette del ponte tra viale Milton e via XX Settembre: entro il 31 agosto deve essere terminato.

07/07/2014 2Pag. La Repubblica - Firenze(diffusione:556325, tiratura:710716)

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 62

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Come ottenere le detrazioni La casa si ristruttura con agevolazioni fiscali Ristrutturare un immobile, sostituire gli infissi o mettere a norma la propria abitazione quest'anno permette di

risparmiare sulla dichiarazione dei redditi e le agevolazioni fiscali proposte sono interessanti. Le detrazioni

riguardano ad esempio il bonus ristrutturazione per edifici già esistenti. Fino al 31 dicembre è possibile

detrarre il 50 per cento delle spese dall'Irpef, fino a un massimo erogato di 96 mila euro. Dal 2015 il bonus

scenderà al 40 per cento e dal 2016 tornerà poi all'aliquota ordinaria del 36 per cento con un tetto massimo di

spesa di 48 mila euro. Questo quindi è un anno propizio per chi fosse interessato ad iniziare lavori edilizi e un

discorso a parte riguarda inoltre l'adeguamento antisismico, per cui sono previste detrazioni fino al 65 per

cento entro il 31 dicembre con un tetto massimo di 96 mila euro; mentre del 2015 sarà al 50 per cento.

Esiste poi un «bonus mobili» che riguarda l'arredamento, con detrazioni del 50 per cento fino a fine anno,

per la sostituzione di complementi d'arredo o l'acquisto di grandi elettrodomestici, di classe però non inferiore

alla A+. La spesa massima consentita si aggira intorno ai 10 mila euro, ma le regole e gli aggiornamenti per

accedere ai bonus sono comunque visibili sul sito dell'agenzia delle entrate, dove sono pubblicati tutti i dati

aggiornati in tempo reale. In dieci anni con questi sistemi è possibile recuperare più della metà di quanto

speso, però le cifre erogate devono essere documentate presentando le fatture e i dati dei bonifici bancari.

Rientrano nell'ambito delle detrazioni anche la sostituzione degli infissi e i lavori relativi al discorso del

risparmio energetico e un conseguente beneficio anche per l'ambiente. Sono contemplati in questo ambito ad

esempio gli interventi che riguardano la manutenzione ordinaria. Tutto ciò si riferisce anche parti comuni

condominiali e in questo caso la detrazione viene suddivisa in base alle quote millesimali. Tra queste vi sono:

la sostituzione integrale o parziale di pavimenti anche esterni, il rivestimento o la tinteggiatura delle pareti.

Fanno parte invece degli interventi di manutenzione straordinaria quelli riguardanti le singole unità abitative.

In questo caso tra le spese detraibili vi sono: il posizionamento di ascensori o scale di sicurezza, di scale

interne, servizi igienici, l'aggiunta di nuove costruzioni o la demolizione di muri interni, ma anche nuove

pavimentazioni con l'ampliamento delle superfici o l'utilizzo di materiali moderni.

Lo stesso discorso vale per la sostituzione di infissi, serramenti, persiane e serrande, ma anche la messa in

posa di recinzioni, muri, cancelli e per la sostituzione o la messa a norma di caldaie, impianti elettrici e

idraulici. Si possono inoltre richiedere delle agevolazioni relative alla ricostruzione di edifici dopo un evento

calamitoso o per ripristinare un immobile danneggiato, importanti sono anche le norme che riguardano

l'eliminazione di barriere architettoniche con interventi per favorire la mobilità delle persone che sono

portatrici di handicap. Concludono l'elenco le opere volte a evitare gli infortuni domestici (sostituzione tubi del

gas, delle prese, installazione di corrimano), ma anche volte a prevenire le intrusioni (posizionamento di

grate, porte blindate, impianti di allarme).

05/07/2014 61Pag. La Stampa - Novara(diffusione:309253, tiratura:418328)

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 63

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IL CASO Debiti della Pa, 11 miliardi alle imprese bloccati dal Patto STUDIO DELL'ANCE, PER GLI ENTI LOCALI PIÙ CONVENIENTE PAGARE LE SANZIONI SUI RITARDICHE VIOLARE I VINCOLI Andrea Bassi R O M A Undici miliardi di euro. Soldi letteralmente sequestrati dal rigore. Fatture per lavori già eseguiti ma

non ancora saldate e che nessuno dei provvedimenti sul pagamento dei debiti della pubblica amministrazione

varati dal governo riesce a sbloccare. Per capire come le regole sul patto di stabilità, sia quello interno che

quello europeo, si possano rivelare come un cappio al collo, bisogna partire da qui, dagli 11 miliardi che le

imprese di costruzione ancora devono ricevere dalle amministrazioni dello Stato. L'Ance, l'associazione dei

costruttori, con una simulazione del suo servizio studi, ha dimostrato che non c'è modo perché si riesca a

convincere le amministrazioni a onorare quei debiti. Non ha convenienza a farlo lo Stato. I debiti in conto

capitale per lavori già eseguiti, se saldati, vanno immediatamente ad incidere sul deficit. Questo

comporterebbe il rischio di sforare il rapporto del 3 per cento imposto dalle regole europee. IL PARADOSSO

Per Comuni e Regioni, è ancora peggio. C'è il patto di stabilità interno, la regola nazionale che li obbliga a

partecipare al contenimento dei costi. Sforare questo patto costa. Costa persino più delle sanzioni appena

introdotte dal governo, dopo una procedura d'infrazione europea, che vengono comminate a chi ritarda il

pagamento delle fatture oltre i 60 giorni come previsto dalle regole Ue. «Un ente locale che deve 100 euro ad

un'impresa di costruzione e ha in cassa le risorse per pagare l'impresa ma ha raggiunto il tetto del Patto di

stabilità interno», si legge nel rapporto dell'Ance, ha due possibilità. La prima è pagare l'impresa e beccarsi le

sanzioni previste per chi sfora il Patto. La seconda è non pagare l'impresa vedendosi invece comminate le

sanzioni della direttiva dei pagamenti, ossia interessi di mora pari al tasso Bce aumentato dell'8 per cento e

un indennizzo di 40 euro per giorno di ritardo. Ebbene, nonostante ciò, si legge nella simulazione, per un ente

locale rimane preferibile pagare queste sanzioni per ben 12 anni piuttosto che saldare il debito. La ragione è

semplice. Le «multe» per chi sfora il Patto di stabilità sono decisamente peggiori di quelle previste per chi

ritarda il pagamento dei debiti. Innanzitutto bisognerebbe versare al ministero dell'Economia una somma

equivalente all'importo versato all'impresa sforando il Patto. Poi ci sarebbero limiti alle spese, il divieto di

ricorrere a nuovo debito per finanziare gli investimenti, il divieto di assumere personale, la riduzione

dell'indennità di fuinzione e dei gettoni di presenza degli amministratori. Riassumento, pure avendo i soldi in

cassa per saldare le proprie fatture, molti enti locali non pagano per non sforare il Patto di stabilità e dover

pagare le pesantissime sanzioni che questo comporterebbe. Così dei 19 miliardi di euro di arretrati che le

imprese di costruzione avanzano da Comuni e Province, fino ad oggi ne sono stati saldati solo otto miliardi.

Gli altri 11 miliardi rimangono per adesso senza una soluzione e con le amministrazioni locali che cercano

anche il modo di dribblare la direttiva dei pagamenti. Il 62 per cento delle imprese, si legge sempre nel

rapporto, si è sentita proporre in sede di contratto dei tempi di pagamento superiori a sessanta giorni. Oltre il

danno anche la beffa.

Foto: Cantieri edili

05/07/2014 6Pag. Il Messaggero - Ed. nazionale(diffusione:210842, tiratura:295190)

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 64

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La Cisl: Edilizia, insieme per ripartiree' L'ANALISI

TREVI Insieme per ripartire: il convegno organizzato dalla Filca Cisl Umbria, che si è tenuto a Trevi ed è stato

coordinato dal segretario regionale Filca Cisl Umbria Emanuele Petrini, è stato motivo di approfondimento per

il settore delle costruzioni. Partendo da una descrizione della situazione economico-occupazionale, che ha

visto in questi primi 6 mesi scendere a sotto 10 mila iscritti gli addetti alle due casse edili provinciali, il

segretario generale regionale Filca Cisl Umbria Tino Tosti ha tracciato le linee guida per un rilancio del

settore. Tosti ha sottolineato la necessità di dare maggiore spazio a proposte di edilizia urbana. La Filca Cisl,

che ha visto l'intervento al convegno del segretario nazionale Franco Turri, nel proporre questo cambio di

passo ha sottolineato il ruolo strategico della formazione per il rilancio del settore. Una formazione collegata

all'utilizzo degli ammortizzatori sociali e al reimpiego dei lavoratori attraverso la Borsa Lavoro (Blen.it)

realizzata con il contratto e «Amico Lavoro», lo strumento di intermediazione gestito direttamente dalla Filca

Cisl. il segretario regionale Cisl Umbria Pierpaola Pietrantozzi, ha sottolineato l'esigenza di rivedere il modello

regionale di sviluppo ed economico umbro. Hanno partecipato ai lavori il professor Mariano Sartore,

l'assessore regionale Vincenzo Riommi, il responsabile Ante Foligno Gianluca Ciani, il presidente Ance

Perugia Massimo Calzoni, Giuseppe Metelli diConfindustria il responsabile Cna Costruzioni Umbria Pasquale

Trottolini, il presidente di Confartigianato Foligno Giovanni Bianchini. Al convegno erano presenti il segretario

generale regionale Cisl Umbria Ulderico Sbarra e il segretario regionale Cisl Umbria Francesca Rossi.

05/07/2014 51Pag. Il Messaggero - Umbria(diffusione:210842, tiratura:295190)

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 65

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LE OPERE Tevere navigabile e strade ecco il piano investimenti Non solo tagli nel programma triennale del Campidoglio all'esame di palazzo Chigi Nella manovra previstianche interventi di pulizia dei tombini e nuove fognature PER IL COMUNE LA RAZIONALIZZAZIONE DELLASPESA SARÀ LA BASE «DELLA RIPRESA ECONOMICA DELLA CITTÀ» Fabio Rossi Manutenzione straordinaria di strade e caditoie, infrastrutture di trasporto, ville storiche, nuovo eco-distretto

per lo smaltimento dei rifiuti. Non ci sono solo tagli e risparmi nel piano di riequilibrio delle finanze del

Campidoglio. Anzi, una delle esigenze primarie è quella di rilanciare gli investimenti, allentando i vincoli del

patto di stabilità, per far ripartire i cantieri e l'economia romana. Un obiettivo che però potrà essere ottenuto

soltanto dopo aver messo in pratica i sacrifici, indispensabili per il risanamento dei conti e per evitare il

default, richiesti dal piano e dal decreto salva Roma. Ridurre e razionalizzare le spese, quindi, per dare

spazio agli investimenti necessari per il futuro della Capitale. «Gli effetti delle azioni di riequilibrio economico

finanziario dell'ente Roma Capitale, contenute nel piano triennale, saranno la base su cui impostare un

rinnovato modello di politiche di investimento - si legge nel testo redatto dalla cabina di regia - il piano

triennale di rientro costituisce una concreta opportunità di pianificare, nella medesima proiezione triennale, un

piano degli investimenti pubblici che, contestualmente alla imprescindibile necessità di riduzione progressiva

della pressione fiscale locale, possa sostenere la ripresa economica». Il piano, in particolare, individua cinque

settori strategici di intervento per dosare i nuovi investimenti che partiranno: infrastrutture, ambiente, turismo,

imprese e mobilità. LE INFRASTRUTTURE Il capitolo principale della voce investimenti riguarda la

manutenzione straordinaria, di cui la città ha urgente bisogno. Si partirà, ovviamente da strade e caditoie.

Quindi toccherà al restyling delle scuole comunali, che sarà affiancato dall'apertura di nuove strutture da

dedicare a nidi per l'infanzia, per arrivare ai circa 120 mercati rionali. Il piano prevede poi «lo sblocco degli

appalti di lavori già aggiudicati in via definitiva e non ancora consegnati alle imprese aggiudicatarie» e la

riqualificazione energetica, con relativa riduzione dei costi di gestione, del patrimonio comunale (scuole, uffici,

edilizia residenziale pubblica). Tra le opere che saranno realizzate ex novo ci saranno nuovi parcheggi

pubblici di scambio intermodale, il potenziamento di quelli esistenti secondo le priorità individuate dal piano

generale del traffico urbano, la realizzazione di parcheggi pubblici sostitutivi della sosta su strada. Ma anche

la realizzazione di nuovi collettori fognari per l'allaccio in fogna dei circa 120 mila romani che hanno ancora

scarichi non a norma. Quindi è previsto lo sblocco dei cantieri di grandi interventi in corso nella città, tra cui la

Città dello sport di Tor Vergata. AMBIENTE E TURISMO Progetti importanti sono previsti sul fronte

ambientale: nel documento si indica «la costruzione di un eco-distretto per garantire alla città di Roma la

chiusura del ciclo dei rifiuti; la manutenzione delle aree verdi pubbliche di pertinenza di Roma Capitale, in

particolare delle ville storiche, delle alberate stradali e del litorale di Ostia; la cura e valorizzazione del parco

fluviale del Tevere, adottando interventi per la navigabilità». Per lo sviluppo del turismo si pensa invece al

«miglioramento dei collegamenti infrastrutturali urbani per i punti di arrivo in città, nonché la predisposizione

di servizi aggiuntivi per garantire decoro e pulizia». Si punterà molto anche sul turismo congressuale,

considerato un settore capace di considerevole espansione nei prossimi anni. MOBILITÀ I trasporti saranno il

punto focale dello sviluppo cittadino nel prossimo triennio, e il piano di rientro ne traccia il programma. Si

parte dal «rafforzamento e la riqualificazione della rete tramviaria esistente», che prevede anche cinque

nuove linee, per arrivare al «completamento e l'avvio dell'esercizio della metro C e della B». Quindi «il

potenziamento e l'ammodernamento delle linee metro esistenti con l'immissione di nuovi treni già a partire dal

2014 e la riqualificazione delle stazioni esistenti». Sarà stilato «un piano straordinario di manutenzione delle

piste ciclabili esistenti, con l'individuazione di nuove tratte da realizzare e il potenziamento dei servizi di car e

bike sharing». Quindi un programma «di interventi urgenti a favore della pedonalità attraverso la

riqualificazione e messa a norma dei marciapiedi esistenti, la diffusione in tutta la città di zone con limite di

06/07/2014 41Pag. Il Messaggero - Roma(diffusione:210842, tiratura:295190)

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 66

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velocità di 30 chilometri orari e isole ambientali, l'istituzione di aree pedonali negli ambiti di valenza turistica e

storica del litorale romano». Infine sarà elaborato «un piano per le tecnologie finalizzato alla diffusione di

sistemi di informazione sul traffico, per l'accesso ai servizi di trasporto pubblici, per il controllo e la

regolazione dei flussi veicolari».

Il piano degli investimenti Sblocco dei cantieri di grandi inter venti Realizzazione di nuove fognature

Manutenzione straordinaria di strade e caditoie Costruzione di un ecodistretto per la chiusura del ciclo dei

rifiuti Manutenzione delle ville storiche Valorizzazione del parco fluviale e navigabilità del Tevere

Manutenzione delle alberate stradali Riqualificazione della rete tramviaria

300 mlnI fondi da sbloccare dal patto di stabilità per rilanciare gli investimenti

Foto: Dalla Regione 240 milioni l'anno per il trasporto pubblico

Foto: Il Comune chiede al Governo 110 milioni annui per gli extracosti

Foto: Il piano stima circa 27 milioni di risparmi sui salari accessori

06/07/2014 41Pag. Il Messaggero - Roma(diffusione:210842, tiratura:295190)

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 67

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CATTOLICA LA CURATRICE FALLIMENTARE: «SIGILLATI I VARCHI» Blindato il cantiere del Vgs «I vandali non entrano più» Spesi migliaia di euro per garantire la sicurezza BLINDATO, anzi, blindatissimo. In attesa che il cantiere del Vgs riapra dopo tanti anni i battenti

(l'amministrazione ha svelato nei giorni scorsi che ci sarebbero alcuni privati interessi ad acquistare i lotti di

via Del Partigiano e a portare a termine le opere), la curatrice fallimentare Monica Golfera spiega quali sono

le misure messe in campo dal 2012 per garantire la sicurezza all'interno del complesso edilizio incompiuto.

Per tanto tempo il Vgs - o Queen Village - è stata una spina nel fianco di Cattolica. Preso di mira dai vandali e

abbandonato completamente a se stesso, il cantiere era diventanto estremamente pericoloso, considerata

soprattutto la sua vicinanza con la scuola media Filippini e il parco della Pace. Dal 28 dicembre 2012 - data

della sentenza che ha sancito il fallimento della Valconca srl - la curatrice fallimentare ha però preso in carico

la gestione del sito di via Del Partigiano. Da allora le cose sono molto cambiate e il centro polifunzionale mai

completato è tornato a essere un posto sicuro. «In questi anni abbiamo speso tantissime risorse per la

manutenzione e il controllo del complesso immobiliare - spiega la Golfera -. Anzitutto, sono stati sigillati tutti

gli ingressi e l'intera area è stata recintata con transenne, recinzioni e lucchetti per impedire l'accesso di

estranei. In passato più volte alcuni vandali si erano introdotti nel cantiere per danneggiarlo o compiere dei

furti. Ora invece inviamo periodicamente delle squadre di operai a chiudere i varchi aperti da eventuali intrusi

e ad eseguire lavori di riparazione. Non solo: abbiamo anche predisposto un servizio di vigilanza notturna nei

pressi dello stabilimento. Grande è stato l'impegno anche dal punto di vista della manutenzione della struttura

- continua la curatrice fallimentare -. Abbiamo speso tanti soldi per garantire lo sfalcio dell'erba, il trattamento

antiparassitario, la chiusura delle bottole e la saldatura delle ringhiere pericolanti. Nel corso degli anni i

vandali hanno più volte sottratto le pompe idrauliche all'interno dello stabile. E' stata nostra cura sostituirle

ogni volta e provvedere allo svuotamento puntuale dei sotterranei in cui l'acqua si era accumulata. In

definitiva, è stato fatto il possibile per assolvere alle disposizioni impartite dal comune di Cattolica e dal punto

di vista della sicurezza nulla è stato lasciato al caso» conclude la Golfera. Intanto il Comune ha ratificato

l'accordo di transazione che permetterà a palazzo Mancini di riscuotere le polizze assicurative sulle opere di

urbanizzazione: nelle casse comunali arriveranno oltre 1 milioni e 300mila euro che serviranno a realizzare

tutti gli interventi accessori legati al Vgs. Lorenzo Muccioli Image: 20140705/foto/9510.jpg

05/07/2014 17Pag. QN - Il Resto del Carlino - Rimini(diffusione:165207, tiratura:206221)

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 68

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Abi FDebiti Pmi, prorogata la sospensione roroga al 31 dicembre 2014 per l'accordo di sospensione e allungamento dei debiti delle piccole e medie

imprese. Lo rende noto l'Abi, secondo cui «le condizioni del nostro tessuto produttivo, per quanto in

miglioramento rispetto al passato, richiedono di evitare discontinuità in questa delicata fase di avvio della

ripresa, fissando la nuova scadenza a fine anno rispetto a quella prevista del 30 giugno scorso». Co-

firmatarie dell'iniziativa, che punta a sostenere le pmi per promuovere la ripresa, sono Alleanza Cooperative

Italiane (che riunisce Agci, Confcooperative, Legacoop), Cia, Claai, Coldiretti, Confagricoltura, Confapi,

Confedilizia, Confetra, Confindustria e Rete Imprese Italia. I contenuti principali dell'accordo, spiega l'Abi,

restano immutati: sospensione per 12 mesi della quota capitale delle rate dei mutui, allungamento della

durata dei mutui per un massimo del 100% della durata residua del piano di ammortamento, allungamento

fino a 270 giorni delle scadenze delle anticipazioni bancarie su crediti per i quali si siano registrati insoluti di

pagamento, allungamento per un massimo di 120 giorni delle scadenze del credito agrario di conduzione.

Dall'avvio dell'iniziativa ad ottobre 2013, fino al 31 maggio 2014, sono state accolte 25.539 domande per un

controvalore complessivo di debito residuo pari a 9,6 miliardi di euro e una maggior liquidità a disposizione

delle imprese di 1,1 miliardi.

06/07/2014 22Pag. Avvenire - Ed. nazionale(diffusione:105812, tiratura:151233)

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 69

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«Puc, vanno apportati correttivi e chiusi i cantieri del Piu Europa» Gianni De Blasio

In un quinquennio, la forza lavoro dell'edilizia è diminuita del 50%. Il settore edile è da sempre volano dello

sviluppo ma da tempo è ingessato. Il Comune di Benevento proverà a fare la sua parte? Leonida Collarile,

presidente della commissione urbanistica, suggerisce alcuni rimedi. «Partiamo dal Puc. A tre anni

dall'approvazione gli scenari economici risultano modificati in negativo. L'attivazione dei comparti previsti,

ossia gli interventi definiti con gli Api, non si è avuta quasi per niente. A mio avviso, sarà opportuno procedere

a una rivisitazione degli Atti di programmazione degli interventi, apportando dei correttivi finalizzati ad

ampliare le possibilità di costruire. Ad esempio, ridurre la soglia minima prevista per la loro attuazione, oppure

immaginare meccanismi di aggregazione fra progetti di aree contigue. Questo, presuppone una riflessione

tecnico-politica che va fatta al più presto».

Collarile estende il confronto allo stesso programma di mandato. Che andrebbe rivisto, l'amministrazione ha

raggiunto dei risultati ma, in questi ultimi due anni che mancano alla scadenza della consiliatura, vanno

individuati alcuni obiettivi prioritari. «È un discorso condiviso, tanto che abbiamo chiesto al segretario cittadino

di individuare un luogo e una data nella quale la maggioranza possa confrontarsi per definire una road map di

quest'ultimo scorcio». Per il rilancio dell'attività amministrativa, l'esponente del Pd auspica una rapida

chiusura dei cantieri del Piu Europa, destinati a rideterminare gli assi infrastrutturali. «Lo sblocco dei lavori

della Spina Verde assicura un polmone ecologico con valenza sociale al rione Libertà, così come il ponte che

collegherà la zona di Port'Arsa a San Modesto, un asse che, in prospettiva, è destinato a proseguire con il

ponte già progettato dall'area della Torre Biffa a quella della Colonia elioterapica. E ancora, la passerella

ciclopedonale che va da Santa Maria degli Angeli al versante opposto. Evidente, inoltre, l'importanza "storica"

del depuratore, opera come noto già appaltata».

Fra le criticità spesso prospettate dai consiglieri, una delle più diffuse sta nella difficoltà di rispondere alle

problematiche di ordine quotidiano. Anche in questo caso, Collarile preferisce ricorrere a degli esempi:

«Parliamo di viabilità e traffico. Giusto prefigurare un adeguamento del piano traffico in relazione alle

trasformazioni infrastrutturali previste dai progetti in itinere oppure il miglioramento tecnologico garantito

dall'installazione delle telecamere, ma non è possibile tollerare ulteriormente che la buffer zone dell'Unesco

venga continuamente violata da veicoli non autorizzati. Creano non solo disagi ma anche danni a piazze e

strade, peraltro progettate per essere pedonali, a eccezione dei residenti. Come spiegare ai cittadini che il

Comune è impossibilitato a predisporre una sorveglianza che tuteli i beni della città, garantendo la presenza

di un ausiliario del traffico? Al riguardo, abbiamo chiesto un incontro con il comandante della Polizia

municipale per individuare una soluzione non ulteriormente prorogabile».

Dopo diversi incontri Comune-Ordini professionali, da qualche mese si è avuto uno stop. Collarile pensa di

riprendere quel confronto. «L'iniziativa del Tavolo è più che apprezzabile e ritengo doveroso riattivare il

confronto per giungere a delle conclusioni del percorso iniziato con gli Ordini e l'associazione dei costruttori,

conclusioni indispensabili ad assicurare ai cittadini una maggiore efficienza del servizio fornito dal settore

urbanistico». Sovente, l'opposizione ha rimarcato che i temi urbanistici richiederebbero una presenza più

assidua da parte dell'assessore. Collarile ricorda che «allorquando il professore Coletta è stato indicato, era

già noto che la sua presenza non potesse essere costante, visti i tanti impegni che gli derivano dalla sua

indiscussa caratura nel settore. «Coletta - conclude - è una grande risorsa per le questioni strategiche di

Benevento, sicuramente garantirà un'impronta elevata al futuro urbanistico della città».

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06/07/2014 33Pag. Il Mattino - Benevento(diffusione:79573, tiratura:108314)

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 70

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Il commissario Filippo D'Ambrosio «Entro il 2017 lavori finiti Ma non costiamo troppo» Cri.Lo Ingegnere Filippo D'Ambrosio, il Movimento Cinque Stelle si è battuto affinché la vostra figura di commissario,

a distanza di 34 anni dal terremoto non venisse più prorogata perché ritenuta inutile e intempestiva. Lei,

invece, si ritiene indispensabile? «Guardi, personalmente potrei anche andarmene domani. Perché non è

Filippo D'Ambrosio, nominato commissario dal 2003, a essere indispensabile. Indispensabile è semmai la

figura del commissario che serve a portare a termine le opere rimaste incompiute. Quando ho preso in mano

la situazione, circa dieci anni fa, le opere da definire sotto l'aspetto amministrativo, contabile, contrattuale,

progettuale erano 71. Sempre dal l 2003 a oggi sono stati firmati 1,270 decreti. Oggi di opere da completare

ne restano una decina da chiudere. E io conto di vederne l'ultimazione nel 2017». Scusi, ma la sua carica

dura fino a dicembre 2016. Servirà un'altra proroga dunque? L'ennesima? «Quel che servirà si vedrà. Di

certo sarebbe catastrofico più del terremoto lasciare l'Irpinia e la Basilicata incompiute». I fondi? «Con risorse

che mi sono state date nel 2003 e nel 2005, ma che furono stanziate nel 1996, abbiamo realizzato tutto

quanto era in cantiere. Quei fondi erano 100milioni. Due milioni e mezzo di euro sono arrivati dalla Regione

nel 2005. Per completare l'opera di riqualificazione ne servono sete-otto di milioni di euro». La Lioni-

Grottaminarda è una strada indispensabile? «Tutte le opere fatte e non completate sono indispensabili.

Abbiamo ora quattro progetti che sono stati divisi dal mio ufficio in sette lotti. Compresa, appunto, la Lioni-

Grottaminarda, l'asse stradale di collegamento tra l'A3 Salerno-Reggio Calabria e l'A16 NapoliBari. Nel 2003

alcune opere erano state individuate solo urbanisticamente. La Lione-Grottaminarda, ad esempio, è stata

progettata e realizzata dal mio ufficio. Con un costo, tutto compreso, di 430 milioni di euro. Certo, questa

opera è stata soggetta ad eventi sfortunati e i lavori sono andati per le lunghe: l'impresa che stava

realizzando la bonifica dei residuati bellici è fallita, dunque i lavori si sono fermati. Ma ora conto di vedere la

finalizzazione nel 2017». La struttura commissariale, intanto, costa. «I conti sono subito fatti: si tratta di 200

mila euro l'anno visto che la struttura conta su 10 persone tra Roma e Salerno. Sono tutti dipendenti pubblici

che lavorano per il commissario ad acta solo part-time. In questi anni ho sostituito un ufficio intero del

ministero e il bilancio dell'attività del mio mandato è più che positivo, viste tutte le opere completate. Voglio

ricordare, poi, che tra le incombenze del commissario ci sono anche le risoluzione di tutti gli espropri per la

costruzione delle opere progettate (si parla di circa 2000 particelle) e la risoluzione di oltre 300 transazioni.

Con un risparmio per le casse pubbliche di quasi 18 milioni di euro». Se, dopo 34 anni, il capitolo della

gestione commissariale della ricostruzione industriale dovrebbe essere chiuso, resta ancora aperto quello

relativo al patrimonio abitativo dell'Irpinia, gestito dai Comuni. La fine è dunque lontana. Serve il commissario

a vita? «Su questo non rispondo, perché non è compito mio». Il suo stipendio? «Il mio lordissimo compenso è

di 65 mila, fino al 2005 era 35 mila. È tutto documentato. Come l'assenza di contenziosi. Dal 2003 a oggi,

sotto la mia presidenza, non ce n'è stato uno».

Foto: Il commissario ad acta Filippo D'Ambrosio si deve occupare della costruzione della bretella Lioni-

Grottaminarda, superstrada che dovrebbe collegare gli omonimi svincoli della A16 Napoli-Bari e della A3

Salerno-Reggio Calabria. Il suo stipendio è passato da 35 a 65mila euro l'anno. [web]

05/07/2014 6Pag. Libero - Ed. nazionale(diffusione:125215, tiratura:224026)

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 71

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Appello di governo e costruttori Basta cantieri eterni Il progetto del Cipe P.E.R. Nel 2003 è stata costituita la società, nel 2015 dovrebbe aprire il cantiere e l'opera potrebbe essere

consegnata nel 2021. Il "forse" è d'obbligo perché, dopo 12 anni, le priorità di un Paese cambiano e i soldi

non spuntano mai fuori. Quello dell'autostrada Roma-Latina è l'ultimo esempio di appalto "all'italiana", di

grandi opere che non finiscono mai consegnate per tempo, realizzate rispettando i preventivi. È quest'ultimo

caso ad avere convinto governo e Cipe, presidiato dal sottosegretario e fedelissimo di Matteo Renzi, Luca

Lotti, a studiare un cambio della filosofia negli investimenti. Tutto è cominciato con una lettera-appello inviata

dalle associazioni dei costruttori. Ance Lazio e Acer hanno preparato un dossier denso di numeri e date che

riassume lo stato di molte opere che si sono incartate: pedemontana veneta, lombarda, Rho-Monza, Brebemi

e, soprattutto, l'autostrada Roma-Latina. È quest'ultima la "scintilla" che ha convinto Ance a chiedere un

cambio di linea in nome del risparmio e della semplificazione. la bretella ha un costo di 2,7 milioni: lo Stato

deve trovare 800 milioni, ma, ad oggi, il Cipe ne ha racimolati 468. «Vorremmo che si facesse, ma, nella

situazione in cui siamo, con le risorse trovate, con le incertezze sul tracciato e sui collegamenti, temo non si

farà e sicuro non prima del '21», spiega Edoardo Bianchi, presidente Acer. Piuttosto, sostengono i costruttori,

si sistemi quello che già c'è. L'impatto sull'economia, stima Bianchi, si avrebbe comunque: «La Pontina, per

esempio, farebbe aumentare il mercato regionale dei lavori pubblici del biennio del 20,3% e l'occupazione

nell'edilizia del 7%». Sistemando, suddividendo gli investimenti in 10 lotti da 50 milioni, si evitebbero

contenziosi. «Noi vogliamo che lavorino gli operai, non gli avvocati».

Foto: R. Cantone [Ftg]

06/07/2014 12Pag. Libero - Ed. nazionale(diffusione:125215, tiratura:224026)

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 72

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Un interpello chiarisce le condizioni di applicabilità del trattamento Edili disoccupati speciali Assegno straordinario fi no a dicembre 2016 DANIELE CIRIOLI La disoccupazione edile resta in vita fi no a dicembre 2016. Il trattamento spetta ai lavoratori licenziati per

grave crisi occupazionale, in numero di almeno 40 unità, nelle circoscrizioni con un rapporto superiore al

18,4% tra iscritti alla prima classe del collocamento e popolazione residente. Lo precisa il ministero del lavoro

nell'interpello n. 14/2014 che mantiene in vita la vigente disciplina della legge n. 223/1991 e relativo dm 14

gennaio 2003 fi no al 1° gennaio 2017, quando è prevista la defi nitiva abrogazione (legge n. 92/2012).

Interpello. I chiarimenti sono arrivati in risposta a un interpello dell'Associazione nazionale costruttori edili

sulla corretta applicazione della disciplina del trattamento di disoccupazione edile (di cui all'art. 11 della legge

n. 223/1991) in seguito all'entrata in vigore della riforma Fornero (legge n. 92/2012). Tale legge,

nell'introdurre un sistema unico di protezione dalla disoccupazione involontaria (Aspi e mini-Aspi), ha

abrogato molti dei trattamenti previgenti tra cui quello per l'edilizia. L'abrogazione ha effetto dal 1° gennaio

2017; pertanto, la disciplina resta operativa per i licenziamenti intervenuti fi no al 30 dicembre 2016. L'Ance

ha chiesto di sapere se risulta applicabile il punto 3 della delibera Cipi del 19 ottobre 1993, che fi ssa in 40

unità il numero dei lavoratori licenziati cui applicare il trattamento di disoccupazione «nelle circoscrizioni che

presentino un rapporto superiore alla media nazionale fra iscritti alla prima classe di collocamento e la

popolazione residente in età da lavoro». I chiarimenti. Il ministero risponde affermativamente, precisando di

ritenere tutt'ora validamente operante la disoccupazione speciale per l'edilizia come disciplinata prima

dell'entrata in vigore della legge n. 92/2012. Quindi in base alle regole individuate dalla citata delibera Cipi del

1993 e dal dm 14 gennaio 2003, che individua gli ambiti circoscrizionali che presentano un rapporto superiore

alla media nazionale tra iscritti alla prima classe delle liste di collocamento e la popolazione residente, ossia

gli ambiti interessati dal trattamento di disoccupazione edile. Il dm, in particolare, fi ssa la predetta

percentuale (rapporto) al 18,4% e contiene in allegato un elenco delle circoscrizioni territoriali che hanno un

rapporto percentuale superiore. Pertanto, in assenza dell'emanazione di nuovi decreti, il ministero stabilisce

che si possa continuare a ritenere ancora utili, ai fi ni della fruizione del trattamento speciale di

disoccupazione edile, le predette condizioni, ossia l'appartenenza territoriale dell'azienda che effettua i

licenziamenti a una circoscrizione con rapporto superiore al 18,4% e un numero di licenziamenti di almeno 40

unità a causa di gravi crisi dell'occupazione. A queste condizioni, i lavoratori licenziati fi no al 30 dicembre

2016 continuano ad avere diritto al trattamento speciale di disoccupazione.

La disoccupazione speciale edile Ai lavoratori licenziati entro il 30 dicembre A chi spetta Ai lavoratori

licenziati entro il 30 dicembre 2016 da aziende edili di circoscrizioni territoriali con rapporto tra iscritti alla

prima classe delle liste di collocamento e popolazione residente superiore al 18,4% (media nazionale).

Quando spetta Il trattamento speciale spetta se i licenziamenti sono stati almeno 40 e a causa di grave crisi

dell'occupazione

05/07/2014 25Pag. ItaliaOggi(diffusione:88538, tiratura:156000)

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 73

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Una scuola su due sarà subito messa in sicurezza Parte il piano di Renzi per il risanamento dell'edilizia scolastica: investito oltre un miliardo . . . Il pianopossibile grazie ai fondi sbloccati dal Patto di Stabilità: riguarderà 20.845 edifici VIRGINIA LORI ROMA Subito nuove scuole e interventi di manutenzione su quelle che ne hanno bisogno. È il piano voluto dal

governo per sanare una situazione di degrado che si trascina da anni: una scuola su due verrà messa in

sicurezza per una spesa complessiva che supera il miliardo. Il progetto prende il via da subito e si concluderà

a fine 2015. È stato possibile grazie alla liberazione di risorse dei Comuni dal Patto di Stabilità (circa

244milioni) e dal finanziamento dal Fondo di sviluppo e coesione possibile grazie alla delibera del Cipe il 30

giugno scorso per interventi di messa in sicurezza e piccola manutenzione. Quest'ultima cifra è per circa 510

milioni. L'intero progetto verrà coordinato da un pool istituito direttamente dalla Presidenza del Consiglio in

collaborazione con il ministreo della Pubblica Istruzione e dell'Università e Ricerca. Il risanamento riguarderà

20.845 gli istituti scolastici con investimenti per 1.094milioni. Chi riguarderà: subito tutti quei sindaci que

hanno risposto il 3 marzo scorso all'appello di Renzi segnalando interventi di edilizia scolastica interamente

finanziabili con i fondi propri sbloccati dal Patto di Stabilità. I decreti per questa prima fascia di interventi è

stata firmata da Palazzo Chigi nel giugno scorso e adesso - per l'avvio dei lavori - i primi cittadini devono solo

attendere la comunicazione della Ragioneria dello Stato. Invece, per tutti gli altri sindaci che hanno chiesto lo

sblocco per eseguire i lavori nel 2015 si aprirà una nuova possibilità con il prossimo Documento

programmatico e con i mutui a totale carico dello Stato. I dettagli del piano straordinario per l'edilizia

scolastica sono stati pubblicati sul sito del governo. Sono elencati comune per comune, con natura e costi di

ogni intervento. Per quanto riguarda gli interventi resi possibili dalla delibera del Cipe sono stati stanziati 510

milioni. Di questi, circa 400 milioni sono destinati alla messa in sicurezza delle scuole per un totale di 2480

interventi. Sia i Comuni che le Province per poter usufruire dei finanziamenti dovranno assegnare gli appalti

entro e non oltre il 30 ottobre 2014. In seguito saranno finanziati altri 845 progetti voluti dal ministero della

Pubblica Istruzione e dell'Università e Ricerca. I restanti 110 milioni finanzieranno invece interventi di piccola

manutenzione e decoro e riguarderanno 7.801 istituti scolastici nel corso del 2014. Nel 2015 saranno

sbloccati altri 300 milioni che serviranno a coprire la spesa degli interventi su 10160 scuole. I lavori saranno

monitorati passo dopo passo con rilievi fotografici, sistemi satellitari. «Nessun sindaco deve pensare di

essere stato escluso se non trova il suo progetto nell'elenco pubblicato dal sito del governo - spiega il

sottosegretario all'Istruzione Roberto Reggi -. dal prossimo gennaio ci saranno altri finanziamenti attraverso la

Banca di investimenti europea». Tutti, assicura il governo, saranno in grado di mettere in sicurezza i propri

edifici. Alcuni cantieri sono già partiti - spiega il sottosegretario. Altri partiranno a breve. L'unità speciale

vigilerà perché i tempi vengano rispettati e nessun intoppo burocratico o amministrativo possa affossare il

progetto.

06/07/2014 14Pag. L Unita - Ed. nazionale(diffusione:54625, tiratura:359000)

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 74

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focus edilizia Effetto moltiplicatore dai nuovi investimenti "E' la carta da giocare" SECONDO ANCE IMPIEGARE UN MILIARDO GENERA UNA RICADUTA DI OLTRE 3,3 MILIARDI E CREA17.000 POSTI DI LAVORO. PAOLO BUZZETTI, LEADER DELL'ASSOCIAZIONE: "SERVE PARTIRE DASCUOLE E RIASSETTO IDROGEOLOGICO PER PUNTARE A RIMETTERE IN MOTO IL SETTORE" Vito de Ceglia Come se non bastasse, le previsioni dell'Ance per l'anno in corso stimano una flessione degli investimenti del

2,5% in termini reali. Non a caso, nel mirino dei costruttori finisce la Legge di stabilità per il 2014 che non

appare in grado di imporre un cambiamento al comparto delle opere pubbliche, così ridimensionato dalle

politiche di bilancio degli ultimi anni. «La manovra di finanza pubblica, nonostante sia apprezzabile nelle

scelte adottate per la destinazione dei fondi, si caratterizza, ancora una volta, per l'esiguità delle risorse

stanziate per le infrastrutture rispetto alle reali esigenze del Paese», obietta Buzzetti. Un altro nervo scoperto

riguarda la partita sui bandi per i lavori pubblici posti in gara dai Comuni non capoluogo di provincia, che

rischia di diventare una zeppa capace di inceppare il 75% delle opere cantierabili. Sotto accusa, in questo

caso, finisce una norma, approvata per effetto della conversione in legge del decreto Irpef di aprile, che dal 1°

luglio ritarda fortemente i programmi ritenuti urgenti dal governo, come ad esempio quelli relativi alle scuole e

al rischio idrogeologico. «Questo provvedimento - osserva Buzzetti - limita fortemente l'effetto delle misure di

accelerazione della spesa tra cui l'allentamento del patto di stabilità interno». Una situazione controversa,

quella dei bandi, che si aggiunge al capitolo spinoso della sostenibilità nella filiera dell'edilizia e delle

costruzioni. Un tema che sarà centrale al Saie di Bologna, dove verrà presentato il manifesto "Cantiere a

impatto zero", promosso da Ascomac: la federazione che fa parte di Confcommercio e che raduna gli

operatori di vari settori, sostanzialmente del comparto delle costruzioni, dell'energia, del sollevamento e della

nautica. Il documento risponde alle indicazioni Ue in materia di appalti. Viene valorizzata non tanto e non solo

l'offerta più economica, ma il più basso costo di esercizio nell'intero ciclo vita del prodotto, macchina o

cantiere che sia. I pilastri del manifesto si fondano su: legalità e trasparenza normativa; applicazione Milano

Investire un miliardo di euro in edilizia genera una ricaduta complessiva sull'economia (effetti diretti, indiretti e

indotti) di oltre 3,3 miliardi e crea 17.000 posti di lavoro di cui circa 11.000 nelle costruzioni e 6.000 nei settori

collegati. E' sufficiente partire dai numeri dell'Ance per capire l'effetto domino che potrebbe avere il rilancio

del mercato delle costruzioni sul Pil italiano. «Il primo passo, per rimettere in moto gli investimenti, è quello di

intervenire sulla rigenerazione del patrimonio esistente partendo da scuole e riassetto idrogeologico: in gioco

ci sono rispettivamente 3,8 e 10 miliardi di euro da mettere in gara per poterli utilizzare subito. In Spagna e

Francia lo hanno fatto in un anno e gli effetti positivi sono stati evidenti», esordisce Paolo Buzzetti, presidente

dell'Ance, che sarà uno dei protagonisti del prossimo Saie di Bologna (22-25 ottobre). Una soluzione, quella

della "rigenerazione" del territorio, oggi più che mai attuale se si considera che l'Italia potrà anche utilizzare i

fondi europei 2014-2020 che prevedono 5,3 miliardi per migliorare l'efficienza energetica e altri 20 per la

ristrutturazione urbana. Sono fondi che rappresentano un sostegno all'edilizia. Così come lo sono stati, in

parte, gli incentivi fiscali arrivati negli ultimi anni dallo Stato per il recupero e la riqualificazione energetica

degli edifici. Un intervento che ha generato una progressiva crescita del giro d'affari di 15,5 miliardi nel 2011,

16 nel 2012, 22,9 nel 2013 e - stando alle proiezioni del Saie - 33,4 nel 2014. Ma non basta. Perché i nudi

numeri dell'industria delle costruzioni presentano un quadro d'insieme inquietante: il 2013 registra 11mila

imprese fallite e segna un'ulteriore caduta degli investimenti del 6,9% in termini reali su base annua. In sei

anni, dal 2008 al 2013, gli investimenti in costruzioni hanno subito una riduzione del 30%, collocandosi su un

livello paragonabile a quello del 1967. In particolare, nel 2013 la nuova edilizia abitativa registra un calo del

53,9%, quella non residenziale privata del 33,4%, mentre le opere pubbliche scendono del 45,2%. Solo gli

investimenti in riqualificazione del patrimonio abitativo, dal 2008 al 2013, mostrano un aumento del 16,5%.

Senza l'apporto di questo comparto, che ormai rappresenta il 37,3% del mercato, la caduta degli investimenti

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in costruzioni raggiunge il 43,6%. delle regole di statica e antisismica; innovazione tecnologica; formazione

delle maestranze; semplificazione burocratica. «La sfida è di applicare questo modello su tre driver: il

recupero del territorio, la riqualificazione delle città e le infrastrutture - sottolinea Carlo Belvedere, direttore di

Ascomac -. In questo modo, qualsiasi tipo di edificio o infrastruttura, pubblica o privata, può considerarsi

sostenibile per l'intero ciclo di vita. Il processo deve essere accompagnato da modelli e metodi informatici

quali Gis e Bim, e sottoposto ad ispezioni che ne certifichino la sostenibilità. I vantaggi si traducono in

emissioni quasi zero, basso contenuto di carbonio, elevato risparmio energetico, ridotto consumo di acqua e

alta riciclabilità». Di sicurezza parla anche Massimo Calzoni, presidente di Formedil: «Non è pensabile che si

possa assicurare livelli più elevati di sicurezza nei cantieri edili semplicemente attraverso una serie di

adempimenti formali. Bisogna andare oltre e prestare la massima attenzione alla formazione». La formazione

oggi è garantita quasi esclusivamente dal sistema rappresentato da Formedil e dal sistema paritetico. Un

sistema che in 4 anni ha realizzato 44.000 corsi per oltre un milione e mezzo di ore, interessando oltre

520.000 lavoratori, più del 30% del totale della forza lavoro delle costruzioni secondo i dati Istat. Al fine di far

conoscere il sistema capillare delle scuole e della loro competenza e struttura, Formedil rinnova al Saie

l'appuntamento Ediltrophy: la manifestazione che premia la squadra di muratori attraverso una serie di

selezioni regionali e la finale si terrà nella giornata conclusiva del Saie.

Foto: Nel 2013 la nuova edilizia abitativa registra un calo del 53,9%, quella non residenziale privata del

33,4%, mentre le opere pubbliche scendono del 45,2%

Foto: Solo gli investimenti in riqualificazione del patrimonio abitativo, dal 2008 al 2013, mostrano un aumento

del 16,5%

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[ IL TREND ] Sollevatori e gru hi-tech le macchine ripartono BUONI SEGNALI DA IMPORT ED EXPORT NEI PRIMI MESI DELL'ANNO. "ALLA KERMESSE EMILIANAPER AGGANCIARE I BUYERS STRANIERI" DICONO FMGRU E GRUPPO MERLO, CHE REALIZZANOALL'ESTERO GRAN PARTE DEI LORO RICAVI (v.d.c.) Milano «Partecipiamo al Saie perché crediamo nella ripresa del settore delle costruzioni in Italia ed in Europa.

E pensiamo che questa fiera possa rappresentare un punto di ripartenza importante. Inoltre, noi siamo

un'azienda molto legata all'Italia e non vogliamo rassegnarci all'idea che le fiere dedicate all'edilizia debbano

sparire dal nostro Paese per concentrarsi in Germania, Cina o negli Usa». Arrivano parole di ottimismo da

Amilcare Merlo, fondatore del gruppo Merlo di San Defendente di Cervasca (Cuneo), sul mercato da 50 anni.

Li compie quest'anno: «Il nostro anniversario coincide proprio con quello del Saie. Con una coincidenza cosi,

era difficile non partecipare», ammette l'imprenditore. Il gruppo Merlo ha generato nel 2013 un giro di affari di

400 milioni di euro, realizzati in buona parte con la vendita dei sollevatori telescopici, il suo core business. Il

resto con trasportatori cingolati, piattaforme aree, betoniere. Il 90% dei ricavi sono ottenuti all'estero grazie ad

una rete di 6 filiali commerciali (Francia, Germania, Spagna, UK, Polonia e Australia) ed oltre 600 tra dealer

ed importatori in tutto il mondo. «Ad oggi i mercati più importanti per noi, in termini di volumi - aggiunge Merlo

- sono sicuramente Francia, Inghilterra e Germania. A questi aggiungerei Canada, Belgio e Norvegia». E il

mercato domestico? «Senza dubbio, sta vivendo un momento di grande debolezza. La speranza è che dalla

fine dell'anno qualcosa incominci a muoversi», risponde l'imprenditore. Chi ritorna al Saie è anche un altro

pezzo di storia dell'edilizia italiana: l'azienda piacentina FmGru, di proprietà della famiglia Fuochi, in attività da

quasi mezzo secolo. A Bologna porterà la sua linea di gru a torre e gru automatiche idrauliche. «L'auspicio è

che al Saie arrivino tanti buyers stranieri, perché in questo momento difficile per il mercato domestico è

soprattutto con loro che vogliamo relazionarci», spiega Giacomo Fuochi di FmGru, azienda che oggi realizza

il 90% del fatturato all'estero. «Prima del 2008, il nostro business era concentrato per il 70% in Italia. Poi, è

arrivata la crisi: in 5 anni, il mercato italiano delle costruzioni si è bloccato. E noi abbiamo fatto affari altrove -

aggiunge Fuochi -. Oggi, i nostri mercati Ue di riferimento sono Austria, Germania, Belgio e Olanda. Sul

versante extra Ue: Turchia, Australia e Canada. Ma abbiamo lavorato molto anche con il Medio-Estremo

Oriente e Russia. Mentre oggi guardiamo con grande interesse le opportunità che arrivano dall'Africa: Algeria,

Ghana, Nigeria e Congo». Intanto, proprio dal settore delle macchine per l'edilizia arriva il primo segnale

incoraggiante. Lo dicono i numeri dell'Osservatorio vendite macchine e impianti per le costruzioni, realizzato

dal Cresme con il patrocinio di Saie e promosso da Federcostruzioni, CantiermacchineAscomac (importatori,

distributori, produttori e concessionari di macchine per l'edilizia), Ucomesa-Anima (le imprese produttrici

italiane), Comamoter-Federunacoma (produttori di macchine movimento terra). Nel primo bimestre del 2014,

riporta l'indagine, i dati delle importazioni di macchine per le costruzioni segnano un aumento consistente

rispetto allo stesso periodo del 2013: più di 46 milioni di euro importati pari al +28,7% su base annua. Le

oscillazione delle importazioni registrate in questi mesi prosegue ormai da ottobre, ma il forte aumento che si

registra a febbraio compensa ampiamente il - 10,5% registrato a gennaio tanto che totalizzando i dati annuali,

il 1° bimestre di quest'anno si chiude con un +9,7% rispetto a quello del 2013. Tuttavia, le vendite

complessive del 2013 sono state ancora in calo, del 17,3%, anche se la discesa rispetto al corrispondente

periodo del 2012 si è andata riducendo nel corso dell'anno: - 35,9% nel primo trimestre 2013, - 14,2% nel

secondo, risalita poi a - 21,5% nel terzo trimestre ma ridotta quasi a zero nel periodo ottobredicembre 2013 (-

1,3% rispetto al IV° trimestre 2012). Per poi rimbalzare all'insù a febbraio. Risultati positivi anche nell'export,

rimasto stabile a oltre 2,8 miliardi di euro nel 2013 e ripartito nel gennaio 2014 con il +14,9%, e con un saldo

commerciale del +22,8% (2,3 miliardi). Con 186 milioni di macchine esportate, però, febbraio segna - 5,6%

rispetto allo stesso periodo del 2013. Solo i settori delle macchine stradali (+39,3%), meno quelle del

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calcestruzzo (+0,4%), non risentono di questo andamento. Nonostante il calo di febbraio, la bilancia

commerciale del comparto macchine nel 1° bimestre 2014 risulta positiva rispetto ai primi 2 mesi del 2013: i

274 milioni di euro del totale bimestrale sono pari al +1,3% su base annua. S DI MEO FONTE

ELABORAZIONE ANCE SU DATI ISTAT

Foto: Qui sopra Paolo Buzzetti (1) presidente dell'Ance; Carlo Belvedere (2) direttore di Ascomac; Massimo

Calzoni (3) presidente di Formedil

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[ L'OPINIONE ] "Valorizzare il nostro patrimonio ecco la bussola per i costruttori" CAMPAGNOLI: "SAIE VUOLE PROMUOVERE UN EDIFICARE INNOVATIVO FOCALIZZATO SU RIUSO ERIGENERAZIONE PER IMPIEGARE BENE 25 MILIARDI DI FINANZIAMENTI EUROPEI IN ARRIVO NEIPROSSIMI ANNI" (v.d.c.) Milano Riqualificare e ricostruire l'esistente. Gira intorno a questi due basilari concetti la sfida del Saie, la

principale fiera edilizia italiana che quest'anno compie 50 anni. Un'edizione, quella in programma dal 22 al 25

ottobre a Bologna, che proprio per questo motivo si pone l'ambizioso obiettivo di "accompagnare" l'industria

del mattone oltre la crisi. «Obiettivo che in realtà il Saie persegue da un paio di anni, cioè dal momento più

difficile per l'Emilia Romagna: quello del sisma che, come per altre parti del Paese, ha mostrato in modo

inequivocabile che è necessario promuovere un radicale cambiamento per un nuovo costruire innovativo

focalizzato sul riuso e sulla rigenerazione del patrimonio urbano esistente prima che sul concetto di

espansione», spiega Duccio Campagnoli, confermato da poco più di una settimana per altri tre anni alla guida

di BolognaFiere. L'ente - che ha chiuso il 2013 con una valore della produzione inferiore a quello precedente

(quasi 110 milioni contro 114), ma con un utile netto di oltre 1,1 milioni di euro - guarda al futuro con cauto

ottimismo. In questo senso, il prossimo Saie rappresenta una tappa di crescita ulteriore per Campagnoli. Il

traguardo, sebbene celato, è quello di raggiungere la soglia delle 100mila presenze superando la quota

registrata nella precedente edizione (85mila visitatori). Un traguardo possibile anche se sono lontani i tempi

d'oro in cui il Saie, senza la concorrenza del Made a Milano e con la tumultuosa espansione del mercato

delle costruzioni, sfiorava i 170mila visitatori (era il 2004). «E' inutile guardarsi alle spalle - osserva

Campagnoli - : rispetto a 10 anni fa è cambiato tutto. Niente è più come prima. Per effetto dello tsunami che

ha investito il mercato italiano delle costruzioni, l'industria di settore sta cambiando pelle. E anche grazie ad

alcune politiche di sostegno verso un più sostenibile modo di costruire e di operare sul territorio si registrano

segnali importanti». I segnali di cui parla il presidente sono contenuti nel report che BolognaFiere ha

presentato il 3 giugno scorso alla Camera dei Deputati durante la presentazione della nuova edizione del

Saie. In quel documento, redatto con il contributo dei dati Ance, viene stimato in quasi 35 miliardi di euro il

valore del giro di affari attivato dagli incentivi per la riqualificazione e l'efficientamento energetico, con una

crescita rispetto al 2013 che sfiora il 60%. «Queste risorse costituiscono una valore importante ma non sono

tuttavia sufficienti sia sul piano quantitativo che qualitativo - aggiunge Campagnoli - Bisogna passare dalla

dimensione dell'edificio alla dimensione urbana in un'ottica di sistema di territori. Fondamentale è saper

utilizzare al meglio valorizzandoli i finanziamenti europei, che in sette anni ammonteranno a 25 miliardi di

euro». E proprio a Bologna ad ottobre, governo e operatori si confronteranno sul ruolo delle costruzioni per il

rilancio dell'Italia. «Sarà l'occasione - sottolinea il presidente - per un vero e proprio rendiconto di quanto si è

fatto e si sta facendo. Per quattro giorni, rappresentanti del governo, enti locali, consigli direttivi delle

associazioni degli imprenditori e degli ordini professionali approfondiranno i grandi temi del settore». Per il

momento, il nuovo Saie e BolognaFiere ha raggiunto il risultato di far condividere a tutti i soggetti coinvolti gli

stessi obiettivi: quelli di un'Italia «che vuole ripartire» e di un'Italia «che sa ripartire» per «costruire le città del

futuro»: sono parole mutuate dal titolo del Forum che aprirà la prossima edizione. In contemporanea

prenderanno il via anche la terza puntata di Smart City Exhibiton, la manifestazione dedicata alle città

intelligenti (realizzata da BolognaFiere assieme a Forum Pa) e gli altri expo della grande piattaforma del

costruire: Accadueo sulle reti idriche e i servizi ambientali per il territorio; Saie3 dedicato alla componentistica

di finitura; Ambiente Lavoro focalizzato sulla sicurezza nei cantieri; Expotunnel, la voce della grande

ingegneria italiana dei galleristi. Presentando il nuovo Saie, Campagnoli coglie anche l'occasione per togliersi

qualche sassolino dalle scarpe: «In questo ultimo triennio, BolognaFiere è cresciuta con la creazione di nuovi

quartieri e altri progetti annunciati - puntualizza - . Lo ha fatto nonostante la recessione che ha colpito l'Italia e

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in mancanza di politiche serie di coordinamento, come quelle che si fanno in Germania, che hanno creato

una confusa pressione competitiva tra i centri fieristici più grandi, Milano innanzitutto. Tutto questo mentre

registriamo una crescita del ruolo attrattivo per le imprese italiane dei grandi poli fieristici in Europa, appunto

soprattutto tedeschi, e delle attività nei paesi in grande sviluppo dalla Cina alla Russia fino al Brasile».

Foto: La caduta degli investimenti in costruzioni raggiunge il 43,6% senza l'apporto delle riqualificazioni

Foto: Saie alla Fiera di Bologna l'anno scorso ha raggiunto quota 85.000 visitatori

Foto: Nella foto Duccio Campagnoli , che è stato confermato da poco più di una settimana per altri tre anni

alla guida di BolognaFiere

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L'analisi Fisco leggero quando il bene è pertinenziale. Se si compra del costruttore c'è anche il bonus.Contratti flessibili e pochi rischi per chi affitta Mattone Dove parcheggiare l'auto e i soldi I prezzi sono in discesa: a Milano -5%, a Roma -6%. Ma il rendimento annuo resta interessante tra il 4,5% e il5% gino pagliuca C'è chi lo compra per mettere al sicuro l'auto, chi invece per mettere al sicuro i risparmi: da sempre l'acquisto

del box è stato sostenuto dalla domanda. Da almeno tre anni però i prezzi sono in discesa seguendo il trend

delle altre tipologie immobiliari.

Gli ultimi dati di Tecnocasa segnalano una diminuzione a Milano del 4,1% nei valori di acquisto e del 5% nei

canoni di locazione, con un andamento analogo a quello che si registra nelle altre grandi città, che vedono

nei prezzi cali che vanno dal 2,2% di Verona al 6,9% di Napoli, con Roma al 6,1% e Torino al 5,7%. Come si

ricava dalla tabella tratta dall'ultimo osservatorio di Tecnocasa i prezzi a Milano toccano i 60mila euro a Brera

e i 55 mila euro in zona Cinque Giornate. Si arriva anche oltre nelle aree più esclusive del centro storico ma il

numero di transazioni non è significativo. Nelle aree semicentrali si scende a 40 mila euro e in periferia i

prezzi oscillano tra i 20 e i 25 mila euro.

I canoni rilevati toccano i 220 euro al mese a Brera, per attestarsi tra i 180 e i 200 euro nelle zone centrali e

semicentrali, in periferia si scende fino a 100 euro. Il rendimento medio, calcolato considerando il rapporto tra

canone annuo e prezzo, è tra il 4,5% e il 5%.

Calano le auto

Dicevamo che i prezzi dei box risentono della crisi del mattone, ma a Milano bisogna anche considerare

anche un altro fattore: il fabbisogno di parcheggi per residenti sta scendendo. Per due ragioni: la prima è che

sta diminuendo il numero delle auto dei milanesi: è una tendenza di lungo periodo, visto che secondo le

analisi di Legambiente in venti anni le auto dei milanesi sono scese da 920 mila a 716 mila, mentre il calo di

immatricolazioni negli ultimi tre anni è stato del 43%. E il processo sta accelerando con l'utilizzo del car

sharing.

La seconda ragione è che - se si escludono le aree della movida dove sosta selvaggia impera - si trova più

facilmente posto sotto casa, perché i residenti possono parcheggiare sia nelle aree a loro espressamente

riservate sia, gratis, in quelle con le strisce blu, a pagamento per chi non abita nella zona. Va inoltre

considerato che l'offerta di box è molto aumentata, grazie alla realizzazione dei parcheggi sotterranei ceduti

in diritto di superficie e che sta aumentando in percentuale l'offerta di abitazioni costruite dopo l'agosto 1967,

cioè da quando i complessi di nuova edificazione devono obbligatoriamente disporre di posto auto.

Per questo oggi comprare un box a puri fini di investimento richiede un'analisi del mercato potenziale in

un'area piuttosto ristretta, tre-quattrocento metri al massimo, perché difficilmente chi cerca un parcheggio in

affitto lo prende a una distanza maggiore. Bisogna comunque rilevare che ancora oggi dal punto di vista

dell'investitore il box presenta un vantaggio non da poco: i contratti di locazione sono molto semplici da

gestire. Non hanno né durate né canoni prestabiliti, il rischio di morosità dell'inquilino è basso e anche le

spese di gestione sono ridotte.

Acquisto

Il Fisco ha la mano leggera con chi compra per uso diretto: se il box ha le caratteristiche per essere

considerato pertinenziale paga le imposte nella stessa misura prevista per l'immobile principale. E, quindi,

con riduzione dell'imposta di registro (o dell'Iva se si acquista da costruttore) per chi ha diritto alle

agevolazioni prima casa. Inoltre se il box (nella misura massima però di uno) è legato a un'abitazione esente

da Imu viene a sua volte esentato. Il requisito della pertinenza deve risultare dal rogito; il requisito c'è sempre

quando il posto auto è ubicato nello stesso stabile. Sono pertinenziali anche i parcheggi che non siano

«lontani» dall'immobile cui sono asserviti, così dice molto vagamente la normativa generale. Nei fatti a Milano

07/07/2014 37Pag. Corriere Economia - N.25 - 7 luglio 2014

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è considerato senza problemi pertinenziale un box che si trovi a meno di 500 metri dell'edificio principale.

Infine, l'acquisto di un box in una nuova edificazione beneficia del bonus ristrutturazioni: è detraibile in 10

anni il 50% della spesa per l'acquisto, limitatamente però ai costi di costruzione, che devono essere

evidenziati in fattura.

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ZONA BOX Brera Cinque Giornate Corso Como - XXV Aprile Corso Garibaldi - Moscova Moscova - Turati

Abruzzi - Plinio - Morgagni Corso Genova - De Amicis Lagosta - Isola Castel Morrone - Pascoli - Regina

Giovanna San Vittore - Cadorna - Magenta Sant'agostino - Parco Solari Filzi - Centro Direzionale Città Studi -

Grossich Montenero Fiera - Sempione Buenos Aires - Venezia Vercelli - Aquileia Savona - Tortona - Porta

Genova Solari - Foppa Solari - Porta Genova Washington Sarpi - Canonica Centrale - Vitruvio - Settembrini

Abruzzi - Buenos Aires - Città Studi Città Studi - Gorini 60 60 55 55 55 55 50 50 50 45 45 45 45 45 43 43 40

40 40 40 40 40 40 40 40 POSTI AUTO 25 25 22 22 20 22 25 20 35 30 Nd 20 16 30 Nd 25 25 Nd 20 Nd Nd

20 20 20 25 ZONA BOX Xxii Marzo - Plebisciti - Bronzetti Tibaldi - San Gottardo Sempione - Piazza Firenze

Tito Livio De Angeli - Gambara - Bande Nere Caiazzo - Loreto Città Studi - Porpora - Teodosio Piave Corsica

Fiera - Monterosa Loreto - Venini - Pasteur Maggiolina Gambara - Bande Nere Siena - Bande Nere -

Primaticcio - Forze Armate Tolstoj Certosa - Monte Ceneri Città Studi - Pecchio Corso Lodi - San Luigi Ripa

Ticinese Tibaldi - Cermenate Accursio - Certosa Affori Piazza Udine - Cimiano Inganni - Zurigo Lorenteggio -

San Gimignano 40 40 38 38 35 35 35 35 35 33 32 32 30 30 30 30 30 30 30 30 28 28 28 25 25 POSTI AUTO

25 20 Nd 22 Nd 20 15 15 20 15 14 Nd Nd 15 12 13 20 8.500 15 15 12 Nd 12 12 Nd I prezzi dei box e dei

posti auto a Milano, valori per auto singola in migliaia di euro Fonte: elaborazione su dati Tecnocasa S.

Franchino

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 82

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Ultimi controlli per le detrazioni: il punto sulle risposte fornite dall'Agenzia delle entrate Mutui, acquisti a rate parificati Deducibili gli interessi per l'immobile adiacente accorpato Pagina a cura NORBERTO VILLA Ultimi controlli per le detrazioni degli interessi passivi per mutui. La circolare 11/E del 21 maggio 2014 risolve

i dubbi nei casi di immobile accorpato e di quello in cui ci si trova in presenza di coniuge a carico. E non

sempre fornendo risposte positive per i contribuenti. La detrazione prevista dal Tuir con riguardo agli interessi

dei mutui ipotecari collegati all'acquisto (o alla costruzione) dell'abitazione è ormai presente da anni nel

nostro ordinamento. Ed è anche una di quelle maggiormente utilizzate. Nonostante ciò il sovrapporsi di

norme e interpretazioni succedutesi negli anni lascia ancora aperti non pochi dubbi. Ad alcuni di questi nello

scorso mese di maggio ha offerto una risposta interpretativa l'Agenzia delle entrate. Il primo caso considerato

è stato quello degli immobili da accorpare catastalmente. Nel dettaglio un contribuente era titolare della

proprietà di un immobile acquistato come abitazione principale. All'atto dell'acquisto aveva contratto un mutuo

ipotecario e pertanto sussistendo tutte le condizioni negli anni ha detratto al quota ammessa degli interessi

passivi. Successivamente il medesimo contribuente ha acquistato un nuovo immobile adiacente al primo con

lo scopo di ampliare la propria abitazione principale e accendendo un nuovo mutuo ipotecario. Per

formalizzare il tutto in seguito al secondo acquisto si è effettuata una variazione catastale, unificando le due

unità immobiliari e ottenendo così un'unica unità immobiliare. In sede di secondo acquisto il contribuente ha

goduto delle agevolazioni dettate nel caso di acquisto della prima casa assumendosi l'impegno di accorpare

le due unità. In tale situazione ci si chiedeva se anche gli interessi passivi del secondo mutuo potessero

essere detratti. L'art. 15, comma 1, lett. b del Tuir consente una detrazione per un importo pari al 19% degli

interessi passivi e relativi oneri accessori, pagati in dipendenza di mutui garantiti da ipoteca su immobili

contratti per l'acquisto dell'unità immobiliare da adibire ad abitazione principale entro un anno dall'acquisto

stesso, per un importo non superiore a 4 mila euro. Nella situazione sopra descritta la circolare 11/E ritiene

che il contribuente può fruire della detrazione per gli interessi passivi relativi al mutuo contratto anche per il

secondo degli acquisti descritti dopo che sia stato realizzato l'accorpamento catastale. Chiaramente

nonostante l'esistenza di un doppio fi nanziamento il limite di 4 mila euro deve essere riferito all'ammontare

complessivo degli interessi e oneri accessori relativi ai due mutui accesi per l'acquisto delle unità immobiliari

accorpate. Inoltre è dettata come ulteriore condizione affi nché la detrazione possa riconoscersi che anche il

secondo mutuo deve essere stipulato per l'acquisto dell'abitazione principale e ciò deve risultare dal contratto

di acquisto dell'immobile, dal contratto di mutuo o da altra documentazione rilasciata dalla banca. In assenza

di ciò è necessaria una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà redatta dal contribuente stesso. La

risposta nella sostanza parifi ca l'acquisto in più «tranche» di un unico immobile (così infatti lo stesso risulta

dopo l'accorpamento) a quello effettuato in un'unica soluzione per un immobile delle dimensioni dei due uniti.

Così come tale possibilità non consente di superare il limite di 4 mila euro allo stesso modo la fruizione della

detrazione deve sempre rispettare le ulteriori condizioni generale imposte dalla legge quali il limite temporale

che deve intercorrere tra l'accensione del mutuo, l'acquisto e la destinazione ad abitazione principale:

l'immobile deve essere adibito ad abitazione principale entro un anno dall'acquisto, che deve avvenire

nell'anno antecedente o successivo alla stipula del contratto di mutuo. Il secondo dubbio fugato dalla

circolare 11/E riguarda invece la possibilità in presenza di coniuge a carico di godere della detrazione relativa

ai mutui contratti per la costruzione abitazione principale. Anche in questa ipotesi l'art. 15 del Tuir prevede

che se uno dei due coniugi, comproprietari e cointestatari del mutuo per acquisto abitazione principale, sia fi

scalmente a carico dell'altro, questo può fruire anche della quota di detrazione spettante al coniuge. Un po'

stranamente questa previsione non è ripetuta nel caso di detrazione relativa ai mutui fi nalizzati non

all'acquisto ma alla ristrutturazione o costruzione dell'abitazione principale (caso in cui il limite massimo è

stabilito in € 2.582). Nel dettaglio nel caso di acquisto in ipotesi di mutuo cointestato a entrambi i coniugi,

07/07/2014 13Pag. ItaliaOggi Sette - N.159 - 7 luglio 2014(diffusione:91794, tiratura:136577)

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ciascuno di essi può fruire della detrazione unicamente per la propria quota di interessi mentre nel caso di

coniuge fi scalmente a carico dell'altro, la detrazione spetta a quest'ultimo per entrambe le quote (la norma è

chiara sul punto). Per converso nel caso di costruzione vi è un totale silenzio della norma di legge. Da qui

giunge un rigido stop dal parte dell'Agenzia delle entrate secondo cui «in mancanza di una disposizione

analoga a quella introdotta dalla legge n. 388 del 2000 in relazione alle tipologie di mutuo contemplate dalla

lettera b) dell'art. 15, comma 1, del Tuir, in caso di mutuo contratto per la costruzione dell'abitazione

principale, la quota di interessi del coniuge fi scalmente a carico non può essere portata in detrazione

dall'altro coniuge».

La detrazione per interessi sui mutui Caso Accorpamento di unità immobiliari e stipula di due mutui

Interessi su mutui per la costruzione e coniuge a carico La risposta della circolare 11/E Nel caso di acquisto

di due unità immobiliari in epoca successiva poi accorpati con stipula di due mutui, la detrazione può essere

calcolata considerando entrambi i fi nanziamenti. E' necessario il rispetto del limite massimo di 4 mila euro. In

presenza di coniuge a carico la detrazione relativa ai mutui contratti per la costruzione abitazione principale

non essendo presente una norma specifi ca la quota di interessi del coniuge fi scalmente a carico non può

essere portata in detrazione dall'altro coniuge.

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Grande Mela Non si arresta il boom del mattone a New York, che ora inizia a interessare nuove zone. DaHarlem a Brooklyn LE OCCASIONI DA MORDERE Teresa Campo Corre come un treno il mercato immobiliare della Grande Mela sostenuto dalla domanda sia interna sia

estera. Aumentano le transazioni, si riducono sconti e tempi di vendita, mentre le quotazioni arrivano alle

stelle. E questo soprattutto a Manhattan, mercato internazionale avulso dalle dinamiche del resto degli Stati

Uniti, peraltro positive: le vendite di abitazioni nuove a maggio sono salite del 18,6% rispetto ad aprile a 504

mila unità, superando di slancio le attese di 440 mila. «I dati sono molto forti e interrompono la lun(continua a

pag. 47) (segue da pag. 45) ga fase di crescita moderata del settore, dando un'ulteriore spinta all'economia

dopo la contrazione del 1° trimestre», spiegano gli economisti di Intesa Sanpaolo. Ma la crescita del mercato

è ancora più spedita, e senza tentennamenti, sulla piazza newyorkese . Secondo i dati del secondo trimestre,

appena resi noti, le compravendite registrano un ulteriore aumento del 6,3% arrivando a quota 3.342

transazioni (secondo valore più alto dal 2006), ma soprattutto crescono per il settimo trimestre consecutivo.

Non solo: gli immobili non restano sul mercato più di tre mesi contro i 140 giorni dello scorso trimestre e i 160

di un anno fa. Il tutto mentre lo sconto tra prezzo richiesto e prezzo effettivamente pagato tende quasi ad

azzerarsi: dal 4% di un anno fa era già sceso al 2,8% a inizio 2014 per arrivare ora al 2,4%. Ma non è tutto: il

45% delle proprietà viene venduto al prezzo richiesto o addirittura maggiorato, e anche questo non

succedeva da almeno sei anni. Fermi invece un po' i prezzi e in leggero aumento l'offerta, «ma anche questi

sono dati positivi perché indicano che nella Grande Mela il mattone, dopo la lunga corsa, sta ora

consolidando le posizioni», spiega Francesco Cirillo della Vivaldi Real Estate. «Del resto il mercato

immobiliare di New York viene da un anno irripetibile, in cui gli acquirenti spariti dal 2009, che qui è stato il

momento top della crisi, sono di fatto rientrati tutti insieme». Quanto all'offerta, l'incremento si deve in parte

all'arrivo sul mercato dei nuovi edifici appena terminati o in costruzione: lo scorso anno sono ripartiti tutti i

cantieri che si erano bloccati con la crisi, e ne sono stati avviati anche di nuovi. Il resto si deve al ritorno dei

venditori, più propensi a mettere un bene sul mercato sapendo che potranno chiudere in fretta e senza il

rischio di dover svendere. Tornando ai prezzi, «la media a Manhattan si aggira sui 15 mila dollari al metro

quadrato, circa 11 mila euro», continua Cirillo, «ma i nuovi condomini arrivano tranquillamente a 19 mila,

circa 13.900 euro, anche perché nell'ultimo anno le quotazioni si sono apprezzate del 33%». Per gli edifici di

lusso la media si spinge invece fino a 27 mila dollari (19.700 euro) al metro quadrato (+36% nell'ultimo anno),

il che vuol dire che un'appartamento costa in media da 5 a 7 milioni di dollari, ovvero da 3,6 a oltre 5 milioni di

euro. Ma nonostante la brusca impennata dei prezzi, le previsioni per Manhattan (e non solo visto che nel

mirino degli acquirenti, anche stranieri, sono entrate anche Brooklyn, Harlem e perfino i Queens) restano

improntate al bello. L'economia Usa è in crescita e così pure il mattone in genere, il dollaro è relativamente

debole e New York attira acquirenti da tutto il mondo, a cominciare dai nuovi ricchi delle vaste zone

emergenti che non rinunciano a un quartierino nella Grande Mela. Forte peraltro la domanda anche dalla

fascia medio alta, specie del Vecchio Continente, spinta da un lato dal desiderio di mettere un capitale al

sicuro fuori dalla zona euro e dall'altro a creare una base all'estero per i figli, sempre più in fuga da un'Europa

che fatica a uscire dalla crisi. Insomma, il mercato dovrebbe salire ancora, mentre i fondamentali economici

scongiurano il rischio bolla speculativa. Naturalmente le prospettive variano da zona a zona: quelle emergenti

offrono maggiori potenzialità di upside, così come quelle oggetto di nuovi sviluppi (palazzi, metropolitana,

centri commerciali) a prezzo naturalmente di rischi maggiori. Le altre, quelle di maggior pregio, offrono invece

più sicurezza. Ma a caro prezzo. Financial District, Tourtle Bay, Hudson Yard, Harlem sono di certo tra i nomi

oggi ritenuti più interessanti. «Sono zone rimaste un po' indietro, anche perché un po' più trascurando, ma

che stanno migliorando a vista d'occhio», spiega Guido Pompilj della Vivaldi Real Estate. «Molti i cantieri

aperti che però, appena terminati, lasceranno spazio a ristorantini, locali. E poi c'è la nuova stazione

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progettata da Calatrava e un outlet che verrà riqualificato. Bene anche l'area a est della Seconda Avenue,

nell'Upper East Side, dove oggi si compra a meno di 10 mila euro al metro quadro, ma a breve, con l'apertura

della nuova stazione della metropolitana, tutto costerà più caro». Chi vuole spendere meno, e rischiare di più,

può guardare anche a Brooklyn (a parte l'area di Williamsbourg, già rivalutatasi), e Queens, forti soprattutto di

una considerazione: «Gli ultimi sindaci della città hanno avviato tutti politiche mirate a trattenere la classe

media in città», spiega ancora Pompilj, «classe media allora in fuga sia dalle zone centrali, troppo care, sia da

quelle periferiche, troppo pericolose. Da qui i forti investimenti fatti per rendere queste ultime più vivibili, e da

qui anche nuove opportunità di investimento. In quest'ottica, oltre alle zone già citate, interessante è una

parte di West Harlem, sopra la Columbia University, dove con due milioni di dollari si possono acquistare

delle town house che tra qualche anno ne potranno valere 5. E lo stesso vale per la parte più a est del

Village, dove un monolocale grande costa oggi intorno a 300 mila euro: qui inoltre le spese condominiali sono

basse e quindi i rendimenti possono risultare interessanti». (riproduzione riservata)

LE ZONE DI NEW YORK OGGI PIÙ INTERESSANTI Al mq (in euro) Fonte: Vivaldi Real Estate *prezzo più

ricorrente ** appartamenti one bedroom in condominio GRAFICA MF-MILANO FINANZA UPPER WEST

SIDE UPPER EAST SIDE SOHO WEST VILLAGE EAST VILLAGE GREENWICH VILLAGE - NOHO

CHELSEA FLATIRON MIDTOWN GRAMERCY LOWER EAST SIDE FINANCIAL DISTRICT TRIBECA

CENTRAL HARLEM 10.130 9.030 20.870 16.572 11.387 18.015 12.501 13.789 10.670 12.420 9.176 10.333

13.724 5.353 70 71 73 85 78 83 78 73 74 80 70 74 77 62 780.000 670.000 1.480.000 1.280.000 990.000

1.530.000 1.180.000 1.140.000 840.000 990.000 700.000 899.000 1.135.000 325.000 Prezzo mediano* al

mq (in euro) Ampiezza** in mq Prezzo in euro

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INTERAZIONALIZZAZIONE AFRICA II Made in Italy a caccia nel Continente Nero Tramontato il mito americano, le imprese italiane cercano occasioni d'investimento in Paesi emergenti comeMozambico, Nigeria, Angola ed Etiopia, dove il tasso di crescita raggiunge picchi del 7% all'anno FRANCESCO NATI S era una volta l'America. Quella che un tempo era la meta di tanti emigranti in cerca di fortuna e di una vita

migliore è diventata il simbolo di una crisi. Ma per un sogno che svanisce, ce n'è un altro che si affaccia

all'orizzonte e che potrebbe diventare realtà, magari in un futuro neanche troppo lontano. Se fino a oggi la

parola Africa era associata a guerre, fame e miseria, ora qualcosa sta cambiando, n continente nero sta

diventando una nuova frontiera per i cittadini europei in cerca di opportunità lavorative. Ma soprattutto per

centinaia di aziende che hanno trovato una possibilità di riscatto rispetto alla difficile realtà europea. A dare

lavoro agli italiani sono le grandi . imprese tricolore che da anni operano in Nord Africa e che si sono

progressivamente spinte a sud del Sahara. Colossi come Eni, nel settore idrocarburi, Danieli nella siderurgia,

Trevi nelle infrastrutture, Salini-Impregilo nelle costruzioni, Ansaldo, Italcementi, Finmeccanica e tanti altri. Ma

le storie più interessanti sono quelle che ogni giorno nascono dalla piccola e media imprenditoria, che si

insinua sempre più nelle tante realtà diverse dei paesi africani. Anche gli esperti scommettono su questo

mercato come driver dei prossimi anni. In particolar modo sull'area che dai margini meridionali del Sahara

scende fino al Sudafrica. Secondo un recente sondaggio dell'Economist sulle multinazionali riguardo alla

priorità degli investimenti in Africa, infatti, l'area con le più grandi potenzialità è appunto la Sadc (South

African development community), zona di libero scambio a cui aderiscono 14 Paesi: Angola, Botswana,

Congo, Lesotho, Malawi, Mauritìus, Mozambico, Namibia, Seychelles, Sudafrica, Swaziland, Tanzania,

Zambia e Zimbabwe. La Sadc cresce a un tasso intorno al 5,5% del Pii. I fattori determinanti sono

abbondanza di risorse, disponibilità di terre, presenza di aree scarsamente popolate, inflazione sotto

controllo, stabilità politica nella maggior parte della regione e grande necessità di infrastrutture. Jp Morgan ha

creato addirittura un fondo d'investimento dedicato, che nel 2013 ha fatto guadagnare ai suoi sottoscrittori

oltre il 16%. Non solo. Il Fondo monetario internazionale prevede che nei prossimi cinque anni, 11 dei 20

Paesi che cresceranno di più nel mondo si trovano proprio in questa area del continente nero. A cominciare

da Mozambico, Nigeria e Angola, ricchi di riscrse preziose come petrolio e metano. D Mozambico è diventato

negli ultimi anni uno dei principali driver delle imprese italiane. Anche per l'indotto che ruota intorno al

business del gas. L'Erti è cresciuta tantissimo sul territorio, accaparrandosi una zona ricchissima di giacimenti

le cui riserve equivalgono a quelle dell'intera Unione Europea. Una scoperta che ha fatto balzare le previsioni

di crescita del Paese, dove si assiste a un brulicare di costruzioni e investimenti per soddisfare la domanda

della nuova classe media. In questo contesto, che coinvolge anche altre nazioni, stanno facendo fortuna

centinaia di piccole e medie imprese italiane. Come la ravennate Cmc, che sta costruendo un impianto della

Coca-Cola da 35 milioni di dollari edè presente nell'Africa australe dagli anni Settanta. Poi ci sono le aziende

del design e del mobile. Tanto per fare un esempio, il mobilificio brianzolo Molteni & Co. ha vinto l'appalto per

arredare l'intera sede della Eco Bank del Togo. Ma non solo. Nel portafoglio africano dell'azienda del mobile

italiano c'è anche un albergo a cinque stelle in Sudan, uno in Costa d'Avorio e decine di maxi ville che stanno

proliferando come funghi in Sud Africa. Un altro caso d'eccellenza italiana è quello delle Officine Piccini: il

presidente della Guinea Equatoriale, Teodoro Obiang Nguema Mangue, ha deciso di affidare all'impresa di

Perugia la realizzazione dell'intero progetto per trasferire la capitale in mezzo alla foresta, che prevede la

costruzione di 50 ville, un albergo da 400 camere, un campo da golf e palazzi superlusso per attrarre

business e turismo. Sulla loro strada, però, le imprese italiane devono fare i conti la concorrenza dei cinesi.

Angola e Tanzania Sono quasi una trentina le aziende del Made in Italy in fase di consolidamento in Angola.

A cominciare dal colosso del commercio della carne, Cremonini, che a Luanda vanta un giro d'affari di 30

milioni di dollari, per arrivare al leader della distribuzione e della logistica Intertransport Center spa. Ma le

04/07/2014 64Pag. Espansione - N.7/8 - lug/ago 2014(diffusione:154456, tiratura:179408)

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imprese italiane non si fermano all'Africa del Sud. Sono molte le piccole e medie società attive nell'import-

export, turismo, cibo e servizi sbarcate in mercati del continente occidentale e centrale, come la Costa

d'Avorio, Niger, Camerun, Burkina Faso, Senegal e Uganda. L'imprenditore fiorentino Claudio Corallo si è

lanciato alla conquista dell'arcipelago di Sào Tome e Principe con la sua attività di import-export di cacao e

caffè di qualità pregiata. In Tanzania l'azienda veronese di Fiorenzo Chesini produce e vende il vino della

savana di Dodoma con il marchio della cantina italiana della Cetawico (Central Tanzania Wine Company).

Ghana, e Costa. d'Avorio Anche l'Africa Nord-Occidentale rappresenta una sfida allettante per l'Italia. Persino

nel mercato della comunicazione. Significativa è la testimonianza di Emanitele Nenna, manager dell'agenzia

pubblicitaria Now Available Africa, approdata nella capitale Accra direttamente da Milano, con un team di

giovani italiani che nel tempo è stato affiancato da professionisti della comunicazione provenienti da cinque

paesi africani. In pochissimo tempo l'azienda è diventata la prima agenzia pubblicitaria straniera del Ghana

firmando contratti con clienti di primo piano come Nescafé e Mitsubishi. C'è poi la Costa d'Avorio, dove fare

impresa fa rima con legno e infrastnitture. Qui si trova il regno dell'azienda campana Urduoli, attiva appunto

nel settore della lavorazione del legname nonché nell'importazione di tutti i materiali e gli accessori utili a

questa attività. La Urciuoli, che opera in Costa d'Avorio ormai da più di 10 anni, oggi conta al suo attivo circa

240 dipendenti, tra fabbrica e foresta, e occupa più di 57 mila metri quadrati tra forni di essiccatoio, parco

tronchi e nuovi appezzamenti in assegnazione. Etiopia Quella che una volta era l'Abissinia, l'ex Impero

d'Etiopia che nel 1935 divenne per un breve periodo parte dell'Impero fascista, è oggi terra di grandi

opportunità per le imprese italiane in tanti settori, dalle ferrovie alle scarpe. Le carestie degli anni '80

sembrano ormai solo un brutto ricordo: per quanto la povertà sia ancora diffusa, l'Etiopia è una delle

economie più forti del continente africano, con una crescita annua che in passato ha toccato punte superiori

al 10% nel quinquennio 2004-2009, fino a stabilizzarsi sul 7% annuo nel 2013. Così le imprese italiane ne

hanno approfittato. Specialmente nel settore infrastrutturale. L'ultima commessa di rilievo è stata vinta

all'inizio dell'anno da Italferr, che si è aggiudicata l'appalto per la manutenzione e l'esercizio della linea

ferroviaria da Addis Abeba a Gibuti, attualmente in costruzione da parte dell'azienda di Stato cinese China

Railway Engineering Corporation. La società italiana che fa capo alle Ferrovie dello Stato dovrà organizzare

da zero un servizio ferroviario, occupandosi di standard, regole di circolazione e di formazione di un ente

sovrintendente, recuperando la linea storica costruita nel 1917. Molto attivo sul territorio etiope anche il

gruppo Salini-Impregilo, che si è accaparrato la costruzione di due dighe per impianti idroelettrici (la Grand

Reinassance Dam e la Gilgel Gibe III), per sfruttare un enorme potenziale energetico, al momento sfruttato

solo all'I per cento, i »

I concorrenti più pericolosi? Le agguerrite aziende cinesiIn alto il presidente del Mozambico Armando Guebuza

Di Italferr la strada ferrata da Addis Abeba a GibutiolFoto: Presenti colossi come Impregilo, Eni, Finmeccanica, Cremonini e Ansaldo, oltre a piccole e medie

aziende come Cmc e Molteni & Co

Foto: La Cmc sta realizzando in Mozambico un impianto della Coca-Cola da 35 milioni e ha 44 impianti dal

Sud Africa al Malawi. Sotto il progetto della SaliniImpregilo, che costruirà in Etiopia due dighe per impianti

idroelettrici

04/07/2014 64Pag. Espansione - N.7/8 - lug/ago 2014(diffusione:154456, tiratura:179408)

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 88

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NEWS / Manifestazioni SAIE e All Digital: l'edificio diventa intelligente II SAIE di Bologna compie 50 anni. La più importante fiera italiana del campo dell'edilizia interpreta il suo

cinquantesimo anniversario come un momento di grande innovazione del settore, dato soprattutto

dall'integrazione tra le tecniche di costruzione e il progresso delle tecnologie digitali Tutto ciò sarà Ali Digital-

Smart Building: un'area interamente dedicata all'edificio intelligente, che nasce in partnership con Ali Digital

Expo, dal 1993 evento leader in Italia di tutto il mondo dell'installazione. Con Ali Digital-Smart Building

installatori, progettisti di impianti, ingegneri, architetti, imprese di costruzioni e amministratori di condominio

troveranno al SAIE un'area interamente dedicata alle nuove tecnologie dell'abitazione, dell'ufficio e dell'hotel

intelligente basate sull'utilizzo della rete. Seminari, convegni, tavole rotonde, organizzati nel corso delle

quattro giornate di apertura, costituiranno momenti di formazione fondamentali, in grado di tradurre in azioni

concrete il concetto che oggi, e ancor più domani, costituirà il valore aggiunto di un edificio, sia esso nuovo o

ristrutturato, ovvero la sua capacità di essere connesso al mondo attraverso le reti. Per questo Ali Digital-

Smart Building è un evento irrinunciabile per i protagonisti dell'edilizia del XXI secolo, dove le aziende

partecipanti potranno incrociarsi con gli oltre 100.000 visitatori professionisti attesi. Obiettivo dichiarato è

creare le necessarie sinergie tra gli operatori TLC e dell'Edilizia per immaginare assieme l'edificio on line, che

costituisce uno dei tasselli fondamentali per l'aggiornamento tecnologico del Paese. L'organizzazione di Ali

Digital-Smart Building è stata affidata a Promospace, storica organizzatrice di Ali Digital Expo. Partner per la

formazione dell'area AH Digital-Smart Building saranno IP Center ed Eclettica, centri di formazione

professionale per i tecnici installatori. www.alldigitalexpo.it

05/07/2014 6Pag. Eurosat - N.253 - luglio 2014

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 89

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INCHIESTA LA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO ALLA SVOLTA BLENDING: PIÙPRESTITI MENO DONAZIONI In pochi se ne sono accorti, ma in Europa è in corso una rivoluzione che sta stravolgendo i vecchi schemi difinanziamento. Rischio o opportunità? L'Italia è al bivio: tutto si deciderà nei prossimi mesi . Ecco cosa c'è ingioco -di Joshua Massarenti e Evelina Urgolo Èuna rivoluzione silenziosa, ma irreversibile, scattata circa sette anni fa alla vigilia della crisi dei subprimes,

ed è come se Bruxelles avesse fiutato l'aria pessima che stava tirando sull'economia mondiale e i danni

devastanti che questa crisi avrebbe provocato per le casse degli Stati membri dell'Unione, con il rischio di

intaccare uno dei suoi più grandi successi in materia di politica estera: la cooperazione allo sviluppo. Di fatti,

nonostante l'Unione Europea sia sempre rimasta il primo donatore al mondo, le statistiche dell'Osce hanno

poi dimostrato cali significativi degli aiuti pubblici allo sviluppo (Aps) dei paesi europei tra il 2010 e il 2012,

passati dallo 0,46% del Pil allo 0,42%. Percentuali ben lontane dagli impegni presi dall'Ue nel 2005 di

raggiungere entro il 2015 la fatidica soglia dello 0,7% fissata negli Obiettivi del Millennio. Da cui la necessità

di trovare nuove forme di finanziamento, coinvolgendo il settore privato. E la rivoluzione sta racchiusa in una

parola: blending. Un mix di grants e loans Parliamo di un meccanismo finanziario che combina (dall'inglese

"to blend") doni (grants) e prestiti (loans). I grants sono fondi Ue destinati agli Aps, mentre i loans sono

prestiti concessi da istituzioni finanziarie dietro autorizzazione dell'Ue. La Commissione europea punta molto

sul blending per la sua capacità di fare lievitare i fondi disponibili partendo da una piccola componente a

dono, che consenta di generare un eetto moltiplicatore attraverso i prestiti, così da permettere all'Europa di

ridurre il budget destinato direttamente alla cooperazione. I fondi ottenuti sono utilizzati dalle istituzioni

finanziarie per realizzare azioni di sviluppo su iniziativa di imprese e governi locali. I progetti finanziati sono

regolati all'interno di otto strumenti regionali, le cosiddette "Eu blending facilities": Africa, America Latina

Caraibi, Pacifico, Asia, Asia Centrale, Balcani occidentali e regione del Vicinato (Europa dell'Est, Nord Africa

e Vicino Oriente). La componente a dono può essere utilizzata per diminuire i tassi d'interesse dei prestiti

contribuendo in tal modo a ridurre l'indebitamento del Paese beneficiario. I sostenitori del blending

sottolineano altresì come i grants incentivino l'accesso del settore privato, in particolar modo le piccole e

medie imprese, verso mercati rischiosi coprendo i rischi di capitale. Ancora, tra i vantaggi sbandierati si evoca

la capacità di raorzare il coordinamento tra donatori ed istituzioni finanziarie a beneficio dell'ecienza dell'aiuto

allo sviluppo dell'Ue, e quindi della lotta contro la povertà, il vero obiettivo della Commissione europea. Sino

ad ora, i doni canalizzati nel blending sono stati utilizzati per coprire investimenti diretti (41% dei grants tra il

2007 e il 2012), l'assistenza tecnica (32%) e il contributo in conto interessi (19%). A conferma delle ambizioni

della Commissione europea, un rapporto pubblicato dallo European Network on Debt and Development

(Eurodad) sostiene che «i grants allocati attraverso il blending sono passati da 15 milioni di euro nel 2007 a

490 milioni nel 2012», con oltre 300 progetti approvati tra il 2007 e il 2013. La stessa Commissione aerma

che a fronte di 1,2 miliardi di euro di aiuti provenienti dal budget multilaterale Ue dagli Stati Membri e dal

Fondo Europeo per lo Sviluppo (Fes), si sono ottenuti dalle istituzioni finanziarie prestiti per circa 32 miliardi di

euro, finanziando progetti per oltre 43 miliardi. L'intesse suscitato da questo strumento è tale che «in futuro

potrebbe coprire fino a un terzo degli aiuti allo sviluppo», assicura a Vita Florian Kratke, policy ocer allo

European Centre of Development Policy Management (Ecdpm). Francia-Germania: l'asse pigliatutto Oltre alla

Banca Europea per gli Investimenti (Bei) e la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (Bers), che

finanziano oltre la metà dei progetti approvati dall'Ue con il blending, fra le istituzioni nazionali sono la Banca

di sviluppo tedesca (Kfw) e l'Agence Française de développement (Afd) a farla da padrone coprendo un terzo

dell'investimento totale. Da note confidenziali ottenute a Bruxelles, si scopre che la stragrande maggioranza

degli Stati membri diserta i board dove i progetti vengono valutati e approvati. Ma guarda caso, Francia e

04/07/2014 70Pag. Vita - N.7 - luglio 2014(diffusione:45000)

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 90

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Germania rispondono sempre presente. L'Italia, che pure non manca una riunione, rimane troppo isolata per

poter sfidare Parigi e Berlino. Così, vengono approvati progetti che lasciano perplessi la società civile. È il

caso di Zenata, una città con forte impronta ecologica costruita ex novo alla periferia di Casablanca con

l'obiettivo di accogliere 300mila abitanti provenienti dalla capitale economica marocchina, tra cui 8mila

famiglie residenti in bidonville, e creare 100mila posto di lavoro. Il progetto, che include una componente a

dono dell'Ue di 4 milioni di euro e prestiti dell'Agenzia francese di sviluppo (150 milioni), prevede investimenti

pari a 1,8 miliardi di euro per la costruzione di una vasta rete infrastrutturale (strade, acqua, fognature, etc)

adata a una filiale della Cassa depositi del Marocco. Ma oltre al malcontento espresso dalle popolazioni più

povere, che accusano le autorità marocchine di ricollocarle con la forza, si sospetta che i fondi destinati al

progetto non siano utilizzati per costruire infrastrutture e servizi, ma edifici residenziali, con il rischio di

implicare la Commissione Ue in una oscura operazione immobiliare. Il caso Simest In Italia in attesa che

nasca l'Agenzia per lo sviluppo, ci si ada alla Simest, posseduta al 78% dalla Cassa Depositi e Prestiti. Ma

come sottolinea Maria José Romero, policy and advocacy ocer allo European Network on Development and

Debt (Eurodad), «la Simest ha come mandato la promozione delle imprese italiane, non lo sviluppo, e ciò

rischia di anteporre il profitto di queste imprese agli obiettivi di sviluppo». Tra i progetti controversi co-

finanziati dall'Ue, spicca quello promosso da Simest per la realizzazione dell'impianto eolico Bii Nee Stipa II

nella zona dell'istmo di Tehuantepec, in Messico. Il progetto, gestito da Enel Green Power (Egp) ha

beneficiato di un grant europeo di 3,3 milioni di euro, con investimenti in equity da parte di Simest ed Egp pari

a 90 milioni, a cui si sommano 25 milioni di prestiti da parte della Banca Interamericana per lo Sviluppo.

Lanciata nel 2012, l'iniziativa ha

Le donazioni possono servire a ridurre i tassi di interesseIl blending nella cooperazione esterna dell'UE I numeri 168 progetti dal 2007 1.2 miliardi euro di aiuti Ue

32 miliardi di investimenti generati I Fondi LAIF: Fondo d'investimenti per l'America Latina CIF: Fondo

d'investimenti per i Caraibi NIF: Fondo d'investimenti per il Vicinato ITF : Fondo Fiduciario UE-Africa per le

Infrastrutture AIF: Fondo d'investimenti per l'Asia IFCA: Fondo d'investimenti per l'Asia Centrale IFP: Fondo

d'investimenti per il Pacifico2 3 4

Grants approvati dalla Commissione europea 1. Altri : 9% 2. Afd (Agenzia francese di sviluppo): 16% 3. Kfw

(Banca tedesca per lo sviluppo): 19% 4. Ebrd (Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo): 20% 5. Bei

(Banca europea per gli investimenti): 36%

La Commissione europea I fondi privati complementari al Terzo settore: così sconfiggeremo lapovertà72 Private equity, mezzanini, fondi di garanzia, risk capital. Dieci anni fa nessuno avrebbe immaginato che il

gergo finanziario potesse entrare nel lessico della cooperazione allo sviluppo. Una rivoluzione copernicana

che Roberto Ridolfi, Direttore Crescita Sostenibile e Sviluppo presso la Direzione Generale per la

Cooperazione allo Sviluppo della Commissione Europea, spiega così: « Gli aiuti pubblici allo sviluppo non

bastano per ridurre la povertà nel mondo. Ci vogliono nuovi strumenti finanziari che chiamano in causa il

settore privato». - Col blending i Paesi poveri non rischiano però di indebitarsi ancora di più? Per non

accrescere l'indebitamento, si può combinare una componente di dono (grant) con prestiti caratterizzati

dall'interest rate subsidy (contributo in conto interessi), permettendo così ai beneficiari di ripagare i prestiti

solo quando gli investimenti realizzati cominceranno a produrre dei redditi. - Finora però si è intervenuti quasi

solo sulle grandi infrastrutture... È già iniziata un'inversione di tendenza, partita con l'agribusiness e

l'elettrificazione rurale, settori che coinvolgono le piccole e medie imprese. La riforma che stiamo elaborando

si tradurrà anche in una maggiore attenzione al settore sociale, educativo e sanitario, in cui il ruolo delle ong,

ma anche delle imprese sociali e delle cooperative è cruciale. Voglio ricordare che il blending non è

alternativo al Terzo settore, ma complementare. - Quali gli scenari futuri che ha in mente? L'obiettivo è quello

di introdurre strumenti innovativi come le equity, i mezzanini o i fondi di garanzia. I grants in realtà non

saranno doni ma equity, lo scopo è creare un fondo rotativo. Con questo meccanismo siamo in grado di

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moltiplicare per 32 ogni euro dei cittadini europei investito in cooperazione allo sviluppo.

Foto: Totale degli aiuti allo sviluppo canalizzati negli strumenti di blending della Commissione Ue

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 92

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Il Governo italiano Il blending è il futuro: anche da noi serve una Bancaper lo Sviluppo -di Lapo Pistelli* Una regia politica chiara, con un Viceministro titolare e garante della "coerenza" delle politiche; una nuova e

snella Agenzia al servizio degli attori del sistema Italia: perché non anche una Banca per lo Sviluppo, per

aggiungere nuove risorse, per seguire quelle devolute dal nostro Paese verso Banche e Fondi regionali e

internazionali, per aiutare professionalmente tutti i soggetti della cooperazione nel campo delle nuove

opportunità oerte dalla finanza per lo sviluppo ? Era il tassello mancante. Non è poca cosa. Entro pochi mesi,

il Parlamento approverà la nuova legge sulla cooperazione, mandando a riposo dopo ben 27 anni la Legge

49. Più volte, parlamentari, partiti e ministri avevano tentato, senza esito, di adeguare una buona legge ai

radicali ed evidenti cambiamenti provocati dal semplice scorrere del tempo. Tutto cambia in 30 anni:

guardiamo noi stessi, il nostro corpo, le nostre famiglie, le città in cui abitiamo, il modo in cui lavoriamo. Così,

il mondo attorno a noi ha cambiato dimensione, orientamento e velocità: è mutata la geografia dei Paesi

ricchi e di quelli poveri, si è strutturata una conversazione globale sui prossimi obiettivi dello sviluppo che -

dagli scioperi della fame contro la fame nel mondo degli anni 80 - definirà nel 2015 una grammatica comune

e universale: obiettivi, strumenti, responsabilità attribuite a tutti e a ciascuno, sotto l'egida delle Nazioni Unite

e più in generale della comunità internazionale. Sarà certamente una sfida spericolata: sconfiggere la povertà

in 15 anni, aggredendo le cause economiche sociali e ambientali del sottosviluppo, garantendo l'universalità

degli obiettivi in un quadro di buon governo e rispetto dei diritti della persona, sottopone chi sottoscriverà

questi impegni a un rischio clamoroso di fallimento, di scollamento fra retorica - "narrazione", come si dice

oggi - e realtà. Fin qui l'obiettivo, la meta finale. E gli strumenti ? L'Ocse e l'Ue hanno evidenziato come

continui a crescere il volume dell'aiuto pubblico allo sviluppo, nonostante la crisi, ma hanno anche riaermato

che l'aiuto pubblico, quand'anche tutti raggiungessero il traguardo storico dello 0,7% del proprio Pil, non

sarebbe suciente a cogliere gli obiettivi di un'agenda così ambiziosa. Intervenire sull'emergenza, aiutare i

Paesi ancora pesantemente arretrati, promuovere lo sviluppo dei Paesi in movimento, aiutare tanti a colmare

le disuguaglianze interne, dare sostenibilità a questi sforzi, richiede il coinvolgimento di tutti gli attori. Non è

un caso, dunque - e meno che mai si tratta di un cedimento "ideologico"- che le istituzioni lavorino, non solo

con la società civile e le ong, ma anche per un coinvolgimento sempre più robusto del settore privato.

Nell'ambito di principi condivisi, il privato può concretamente apportare risorse fresche, favorire processi di

innovazione, contribuire allo sviluppo inclusivo dei Paesi che gradualmente si stanno alzando. Non si tratta di

evidenziare qualche isolato caso di "business illuminato" ma di cambiare il modo di concepire lo sviluppo e le

sue relazioni. Nella nuova legge, in discussione in Parlamento, il Governo intende completare l'architettura

della "Cooperazione 2.0", dotandola di quella che Emilio Ciarlo (nel dibattito che il consigliere politico di

Pistelli ha promosso su vita.it, ndr. ) ha definito una "Banca per lo Sviluppo". Come la Kfw per la Germania,

come Afd per la Francia, si tratterebbe di specializzare un apposito Dipartimento presso un gruppo pubblico

come Cassa Depositi e Prestiti, accreditandolo presso la Commissione Europea quale Istituzione Finanziaria

Internazionale qualificata. A seguito di un successivo accordo con Ministero e Agenzia, la "Banca per lo

sviluppo" potrebbe gestire ecacemente gli strumenti finanziari oggi esistenti, ma soprattutto dovrebbe

accompagnare gli attori del sistema nel grande mare delle possibilità oerte dalle istituzioni finanziarie

internazionali e dovrebbe infine apportare fondi propri alle dotazioni della cooperazione italiana. Il cosiddetto

"matching" fra risorse pubbliche e private, il "blending" fra dono e credito d'aiuto o fra finanziamenti di diversa

provenienza sono pratiche consolidate nei Paesi partner, che impongono all'Italia di guadagnare rapidamente

lo spazio perduto. Quei Paesi, che prendiamo in genere come punto di riferimento, non solo investono più

risorse nell'aiuto pubblico e seguono le tracce dei propri contributi alle varie banche e fondi internazionali, ma

04/07/2014 73Pag. Vita - N.7 - luglio 2014(diffusione:45000)

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 93

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moltiplicano le risorse con un'ecace aancamento del settore privato. È là che intendiamo portare rapidamente

anche il nostro sistema. Se il Parlamento esaminerà la legge questa estate, il Governo si è poi dato sei mesi

per costruire l'Agenzia, il suo Statuto, la convenzione che ne disciplinerà i rapporti col ministero degli Esteri.

Un tempo analogo potrebbe servire per gli atti necessari alla Banca per lo Sviluppo. Insomma, lavoriamo con

l'obiettivo che il 2015 non sia solo l'anno di Expo e della nuova Agenda per lo Sviluppo ma anche quello della

nascita della nuova Cooperazione Italiana. * Viceministro degli Esteri suscitato non poche critiche dalle

popolazioni locali. «Non c'è stato nessun processo di consultazione delle comunità locali, inoltre questi

impianti installati sulle terre agricole più produttive, minacciano la sicurezza alimentare», sostiene Bettina

Cruz, una nota attivista per i diritti umani. Simest intende ora promuovere in Niger con la costruzione di strade

rurali che facilitino il trasporto dei prodotti agricoli. Il progetto, sostenuto dalla Direzione Generale per la

Cooperazione allo Sviluppo, prevede un budget di 120 milioni di euro che include un grant Ue di circa 5

milioni. «Il dossier è in fase di valutazione» fanno sapere fonti della Rappresentanza permanente italiana a

Bruxelles, «e dovrebbe essere approvato dopo l'estate». Spulciando dati e rapporti si scopre però che i

settori su cui è conuita la maggiore parte degli investimenti dal 2007 in poi sono l'energia (35%), i trasporti

(26%) e il settore idrico (20%), mentre solo il 19% ha riguardato progetti sociali e piccole e medie imprese.

Risultato: la priorità data alla realizzazione di grandi opere infrastrutturali, seppur necessarie, spesso

favorisce le grandi aziende, pubbliche e private, a scapito delle imprese più piccole e delle piccole

infrastrutture (scuole, ospedali rurali). «In alcuni casi» spiega Romero di Eurodad, «succede che in fase di

assegnazione dei progetti non viene data la preferenza alle imprese locali, poco abituate ai meccanismi di

finanziamento Ue. Questo fenomeno rischia paradossalmente di colpire quegli attori locali di cui si vorrebbe

incentivare lo sviluppo». A questi dubbi se ne aggiungono altri, come quello sollevato dal Parlamento europeo

sulla capacità decisionale dei Paesi beneficiari rispetto ai progetti e ai settori da sostenere, con il rischio di

avere un ruolo marginale nell'intera architettura del blending. «Nonostante tutto», assicura Florian Kratke, co-

autore dello studio di Ecdpm intitolato "Blending loans and grants: an eective mix for the EU?" del 2013, «il

blending rimane uno strumento utile perché riesce ad accrescere gli investimenti di cui i Paesi più poveri

hanno un disperato bisogno». Per superare gli ostacoli, una nuova piattaforma ad hoc istituita nel dicembre

2012 e composta da rappresentanti delle istituzioni Ue (Commissione, Parlamento, Consiglio e Servizio di

relazioni esterne) sta lavorando ad una riforma che punterà, su un maggiore coinvolgimento delle piccole e

medie imprese e delle ong.

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 94

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LEGGI Jobs act, ecco quello che le organizzazioni non profit devono sapere 94 Quali sono le novità più rilevanti per le organizzazioni del Terzo settore contenute nel Jobs act pubblicato

in Gazzatta uciale lo scorso maio? Emanuela Sassari Risponde Giulio D'Imperio Per punti: 1) Contratto a

tempo determinato . La prima novità è data dal prolungamento della durata di questa formula contrattuale,

compreso il contratto di somministrazione, da 12 a 36 mesi per i contratti per i quali viene ribadita la non

necessità di indicare la causale per la sua stipula. Il numero di proroghe passa da un massimo di 8 volte

previsto dal D.L.34/2014 a 5, entro il limite temporale di 36 mesi, purchè le proroghe si riferiscano alla

identica attività lavorativa per la quale il contratto è stato stipulato. Confermato l'obbligo per l'azienda di non

prevedere assunzioni a tempo determinato oltre il 20% dell'organico complessivo, mentre per le aziende che

in organico non hanno più di 5 dipendenti è sempre possibile assumere una persona con un contratto a

tempo determinato. Questa decisione è stata presa per venire incontro alle piccole realtà, come le

organizzazioni di volontariato. Importante novità è quella relativa alla prosecuzione del rapporto di lavoro

dopo il superamento del termine prefissato o successivamente prorogato. Il datore di lavoro dovrà pagare

una maggiorazione della retribuzione del: 20% per ciascun mese o frazione di mese superiore a quindici

giorni di durata del rapporto di lavoro, se il numero dei lavoratori assunti in violazione del limite percentuale

non risulti superiore ad uno; 50% per ciascun mese o frazione di mese superiore a quindici giorni di durata

del rapporto di lavoro, se il numero dei lavoratori assunti in violazione del limite percentuale risulti superiore

ad uno. 2) Apprendistato . La forma scritta è stata prevista per il contratto ed il periodo di prova, e reintrodotta

per il piano formativo individuale considerando moduli e formulari che verranno stabiliti dalla contrattazione

collettiva o dagli enti bilaterali. L'obbligo di stabilizzazione degli apprendisti scende dal 30% previsto dal

decreto legge n.34/2014 al 20% previsto dalla legge di conversione. Spetta alle singole Regioni dover

comunicare al datore di lavoro l'oerta formativa pubblica, entro 45 giorni dalla data in cui è avvenuta la

comunicazione della avvenuta assunzione. È stato anche previsto che nelle regioni che abbiano previsto un

sistema di alternanza scuola lavoro, i Ccnl stipulati dalle organizzazioni più rappresentative sul piano

nazionale, dovranno prevedere modalità specifiche di utilizzo dei contratti di apprendistato per lo svolgimento

di attività stagionali. Il lavoratore che viene assunto con un contratto di apprendistato per la qualifica e per il

diploma professionale non percepirà più la retribuzione piena dovuta durante il periodo formativo, ma per la

parte riferita alle ore di formazione la retribuzione dell'apprendista dovrà essere pari al 35% della retribuzione

prevista dal contratto. 3) Semplificazione del Durc . Dalla data di entrata in vigore del decreto interministeriale

ad hoc sarà possibile visualizzare telematicamente la regolarità dell'azienda nei confronti dell'Inps, dell'Inail e

della cassa Edile. L'esito di questa interrogazione sostituirà di fatto l'attuale Durc. 4) Contratti di solidarietà .

La nuova norma prevede l'emanazione di un decreto interministeriale (Lavoro e Finanze) con cui dovranno

essere definiti i criteri per individuare i datori di lavoro che potranno beneficiare della riduzione contributiva

per i lavoratori interessati dai contratti di solidarietà. ATTIVITÀ COMMERCIALI Vincenzo Giarmoleo Docente

e avvocato specializzato in attività commerciali del non profit RAPPORTI DI LAVORO Giulio D'Imperio

Consulente del lavoro per le organizzazioni non profit

04/07/2014 94Pag. Vita - N.7 - luglio 2014(diffusione:45000)

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 95

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Firmato l'accordo nazionale dell'edilizia Contratto: resta la «solidarietà», 48 euro di aumento Parte la riorganizzazione degli enti bilaterali, viene confermato e leggermente ritoccato il premio di anzianità

professionale edile, viene resa obbligatoria la previdenza complementare e sale dal 25 al 40 per cento la

quota di contratti a tempo determinato che è possibile sottoscrivere. Sono questi gli elementi salienti del

contratto nazionale dell'edilizia, firmato la scorsa settimana a Roma presso la sede nazionale dell'Ance. A

conti fatti, due punti hanno deluso le aspettative: l'aumento salariale, più basso rispetto alle attese e, sul

fronte delle imprese, lo stralcio della norma sulla responsabilità solidale retributiva. Proprio questi ultimi due

punti sono stati al centro della trattativa fino all'ultimo. La bozza in discussione nelle precedenti riunioni aveva

previsto che l'impresa potesse blindarsi, limitando la responsabilità verso i subappaltatori a quattro mesi

(dagli attuali due anni), fornendo però una serie di garanzie extra ai dipendenti. La Fillea Cgil aveva fatto

muro rispetto a questa ipotesi, chiedendo che i pagamenti fossero garantiti a tutti i livelli nella maniera più

vincolante possibile. Questa clausola, nel testo firmato, è stata eliminata. In cambio la mediazione sulla parte

salariale è stata trovata al ribasso: 48 euro al parametro 100, quello più basso. Arriveranno subito i primi 15

euro, 25 euro saranno pagati a partire da luglio del 2015, mentre i restanti otto serviranno per la previdenza

complementare, a decorrere dal primo gennaio del 2015. Il datore di lavoro - e questa è un'altra novità molto

rilevante - dovrà pagare questo contributo mensile per l'iscrizione al Fondo Prevedi, che diventa così

obbligatorio. Coloro che non risultano iscritti, infatti, saranno automaticamente inseriti negli elenchi a partire

da quella data. Un altro cambiamento importante arriva sul fronte dei contratti a termine. Fino a oggi la quota

massima di rapporti a tempo determinato, rispetto al totale dei dipendenti, era del 25%: un modo per limitare

gli abusi. Viste le peculiarità del settore edile, e l'esistenza del preoccupante fenomeno delle partite Iva, le

parti hanno deciso aumentare questo tetto di un ulteriore 15%, da considerare «esclusivamente con

riferimento ai lavoratori iscritti in Blen.it», la borsa lavoro telematica dell'edilizia. In questa maniera, la quota

extra dovrebbe essere attentamente monitorata. Viene confermato il premio di anzianità professionale edile

(Ape), messo a lungo in discussione, ma cambierà leggermente rispetto al passato. A partire dal primo

ottobre del 2014 transiterà da un Fondo nazionale per l'anzianità professionale edile (Fnape) e non sarà più

gestito a livello locale. Nel quadro delle relazioni tra sindacati e parti datoriali, però, il tassello più importante

riguarda sicuramente la riorganizzazione degli enti bilaterali: comitati paritetici territoriali, scuole e casse edili.

Si tratta di un pacchetto di decisioni destinato a portare risparmi importanti. Queste strutture, a causa della

crisi, si trovano ormai in una situazione - spiega il contratto - di «squilibrio economico, con conseguenze

negative in termini di funzionalità ed efficienza». I loro compiti resteranno gli stessi, cambierà però

l'organizzazione. A livello nazionale, entro dodici mesi, sarà costituito un nuovo ente unico, denominato Sbc

(Sistema bilaterale delle costruzioni). A livello regionale saranno costituiti dei tavoli che dovranno mettere in

campo accorpamenti e razionalizzazioni. Infine, va rilevato che rispetto alla scadenza naturale (dicembre

2015), è stato previsto un prolungamento fino al 30 giugno del 2016. In questo modo il contratto potrà

esplicare il suo pieno esercizio, soprattutto nella parte che riguarda la contrattazione di secondo livello. ©

RIPRODUZIONE RISERVATA di Giuseppe Latour I PUNTI CHIAVELe novità del contratto «SOLIDARIETÀ»

Salta la norma che prevedeva l'esclusione della responsabilità solidale verso il subappaltatore in una serie di

casi

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 96

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«Fare i conti» è una priorità: il know how c'è, va solo diffuso CANTIERI 2.0 Controllo dei costi vera innovazione per le costruzioni Negli ultimi anni il settore delle costruzioni ha subìto sia a livello di opportunità di mercato (pubblico e privato)

sia a livello di finanziario (stretta creditizia) una delle peggiori crisi che si ricordi. C'è da precisare, per dovere

di cronaca, che parallelamente alla crisi, soprattutto negli ultimi dieci anni, la tecnologia dei materiali, i tools

informatici (Cad, Gestionali, Crm, Bim) e molti altri settori che costituiscono l'indotto del mondo delle

costruzioni, hanno fatto dei passi da gigante. Oggi, molto più di qualche anno fa, possiamo avere sotto

controllo tutti i processi organizzativi e gestionali di un cantiere edile, possiamo costruire con degli standard

qualitativi maggiori tenendo conto delle nuove generazioni quindi possiamo costruire in maniera sostenibile,

in breve, abbiamo la possibilità di costruire meglio. Se da un lato la politica tenta di rilanciare il settore

dall'altro, però devo dire che le imprese, soprattutto le Pmi non si adoperano nel cambiare i processi

gestionali al proprio interno e faticano a riqualificare i propri impiegati. A specchio le stazioni appaltanti

(sembra proprio che ce la faremo ad averne meno) non innescano quel processo virtuoso che consentirebbe

di risparmiare tempi e costi nella realizzazione di un cantiere e di fare quel grande passo in avanti verso la

comunicazione e verso un linguaggio unico che consentirebbe uno snellimento delle procedure. Purtroppo in

Italia ancora poche sono le imprese entrate in questo meccanismo: perlopiù sono quelle più grandi, e il

motivo è per molti versi esclusivamente un fattore culturale. È arrivata l'ora di iniziare a fare dei passi avanti,

da parte di tutti, verso un processo di riqualificazione professionale e imprenditoriale. Non dobbiamo andare

troppo lontano per fare ciò, in Italia abbiamo imprenditori (soprattutto tra le grandi imprese) che in barba alla

crisi, alla stretta creditizia, ai ritardi della Pa e a tutte le congiunture, riconsegnano le opere prima della

scadenza dei termini, facendo del proprio management di cantiere un punto di forza (vedi tratto di 12 km

Salerno-Reggio riconsegnato un anno prima; committente: Anas - Impresa: Tecnis). Ebbene si, proprio dal

cantiere bisogna ripartire. Il processo culturale al quale bisogna fare riferimento non parte dagli atenei

(magari anche sì, per le nuove generazioni) o da corsi di formazione che, negli anni, hanno creato, non pochi

"scandali" ma da persone abituate a lavorare e parlare il «cantierese». Persone che nei vari ruoli o funzioni si

adoperano per la realizzazione di opere d'arte. A proposito, una riflessione sull'uso del termine «opera d'arte»

nel mondo delle costruzioni che ci aiuta a capire l'oggetto del quale stiamo parlando. Siamo abituati,

nell'immaginario collettivo a parlare di opera d'arte di un quadro, di una scultura, di una rappresentazione

teatrale o letteraria. Allora perché questa parola è adoperata anche nel mondo delle costruzioni? Cosa c'è di

"artistico" in una costruzione magari anche di edilizia "pesante" come ad esempio in una spalla di un ponte?

Perché i capitolati riportano definizioni come opere d'arte maggiori e opere d'arte minori? La risposta è

semplice, tenendo fermi ingegnerizzazione e materiali, la realizzazione di un manufatto è sempre differente

per andamento di cantiere, tempi e costi. Questo fa del manufatto stesso un'opera d'arte. Basti pensare alle

variabili come ad esempio la faccia vista nel cemento armato che dipende dai vari tipi di casseratura, dal

colore del calcestruzzo che dipende dal tipo/provenienza del cemento, dal grado di umidità dei materiali o

dalle temperature nelle quali si opera ecc. ecc. La complessità e le variabili che caratterizzano la gestione di

un cantiere fanno sì che il controllo dei costi e l'ottimizzazione dei tempi, siano gli strumenti fondamentali per

tenere sotto controllo la gestione di uno o più progetti. Oggi l'ottimizzazione di tempi e costi rappresenta

quindi un obiettivo strategico per affrontare la situazione di crisi attuale. «Fare i conti» è diventato quasi

obbligatorio, e ciò è valido per ciascuno degli enti coinvolti nei processi di produzione edilizia, sia per la

committenza privata sia per la Pa. Il controllo dei costi in edilizia, e quindi la procedura gestionale di una

commessa, si adatta perfettamente alla definizione di project management: «Una combinazione di risorse

umane e non, riunite in un'organizzazione temporanea per raggiungere un obiettivo di tempo, costo, qualità,

con risorse limitate». Le imprese devono quindi imparare a definire gli obiettivi da raggiungere, a pianificare le

fasi e a fare una programmazione temporale ed economica delle risorse. Leggendo la figura pubblicata qui

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 97

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sopra si potrebbe dire che bisogna dare un «metodo» alla propria «organizzazione» affinché possa fare il

«controllo» in cantiere, utile a «ottimizzare» tempi e costi. Oppure leggendo dal basso verso l'alto: si

rispettano tempi e costi della produzione attraverso «l'ottimizzazione» di tutti i fattori produttivi,

«controllandoli» e validando così la propria «organizzazione» attraverso il «metodo» usato. Troppo spesso

non si tiene in considerazione che sono tanti i fattori che modificano i costi nel tempo: condizioni impreviste,

cambiamenti degli elaborati, cattiva gestione del progetto, problemi di finanziamento, cause di forza maggiore

ecc., e la durata temporale del progetto incidono sui costi fissi che si manifestano in indipendentemente dalla

produzione vera e propria. Oggi sono tanti tools informatici che attraverso una metodologia aiutano

imprenditori (dalla gara alla riconsegna) e Pa (dalla programmazione triennale al collaudo estendendola alla

manutenzione) a entrare in questo mondo per una corretta e trasparente gestione di un progetto passando

attraverso il controllo dei costi e di gestione: non ci resta che diffondere loro il corretto know how. ©

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REALIZZAZIONI Forme utili per il massimo comfort Ampi open space trasparenti nei quali lavorare in perfette condizioni ambientali e a stretto contatto conmateriali naturali: è il nuovo edificio della società svizzera Tamedia, realizzato da uno dei più importantiarchitetti contemporanei. Giuseppe La Franca Situato a ridosso dell'Altstadt di Zurigo, lo storico quartiere di Aussersihl ospita da oltre un secolo numerose

case editrici, tipografie e laboratori grafici, che hanno segnato lo sviluppo urbanistico della zona. Fra queste,

Tamedia AG è l'erede di una tradizione giornalistica che risale al 1893 e, attualmente, costituisce uno dei

gruppi più importanti della Confederazione Elvetica nel settore della comunicazione su supporto cartaceo

(quotidiani, periodici, ecc.) e attraverso altri media (stazioni radiotelevisive, internet). La sede del gruppo

occupa oggi un intero isolato di forma triangolare, posto lungo il corso del fiume Sihl. Nel luglio 2013 è stato

inaugurato un edificio di nuova realizzazione, che completa il processo di accorpamento fra le diverse attività

del gruppo situate nella zona. L'architetto giapponese Shigerj Ban, recentemente insignito del Pritzker Pr ze

2014, ha curato la progettazione dell'ir tervento, che si distingue per la spiccata prcpensione alla sostenibilità

edilizia. Spazi e funzioni II nuovo edificio Tamedia è composto da un volume parallelepipedo (circa 38 per 18

rr altezza 26,3 m), con asse principale orient. to in direzione nord-sud, al quale si affianca a ovest un più

piccolo volume laterale chi; si ricollega alla cortina edilizia dell'isolato. Il progetto (superficie complessiva

8.905 m volume costruito 39.085 m ) è estremamente rispettoso dell'immagine urbana: riprende l'impronta a

terra e le stereometrie degli edifici preesistenti, risalenti agli anni trenta e demoliti all'inizio del 2011, nonché

gli allineamenti con le facciate contermini, compresa l'elevata inclinazione delle falde dei tetti che, nella

tradizione costruttiva locale, sono adibiti a mansarda. L'assetto funzionale e distributivo è semplice ed

efficace, articolato a partire dalla lobby d'ingresso situata al piano terreno (a doppia altezza), in

corrispondenza del vertice nord del lotto d'intervento, che costituisce l'entrata principale all'intero complesso

editoriale. A sinistra della reception, supportata da un ufficio retrostante, si accede alla galleria laterale che

distribuisce lo spazio multifunzionale (auditorium) e la zona lounge posta lungo la facciata est, collegandosi

poi al connettivo comune agli altri edifici mediante un disimpegno sul quale si aprono alcuni spazi di servizio.

La zona multifunzione, dotata di una piccola area con cucina, dispone di spazi di supporto posti

nell'ammezzato. Sul lato opposto della lobby si trovano il principale nodo dei collegamenti verticali e uno

spazio commerciale accessibile autonomamente dalla strada. Tutti i cinque livelli superiori sono destinati a

uffici con aree prevalentemente in open space, delimitate da pareti trasparenti e accessibili dal modo

distributivo centrale, che disimpegna anche una sala riunioni interna, l'area caffè e ristoro e i servizi igienici.

Lungo il fronte est, all'interno del volume buffer a tutta altezza (profondità circa 3 m), si trovano i balconi

interni, che ospitano i salottini per il relax e l'accoglienza degli ospiti. Questi dieci ambienti sono distribuiti a

gruppi di due per ciascun piano: ogni coppia è composta da un locale aperto e un locale chiuso rispetto al

resto del volume buffer, che contiene anche un blocco di scale di sicurezza verticale, situato in adiacenza

all'edificio confinante a sud, e una serie di rampe che collegano fra loro i vari uffici mediante pianerottoli

aperti. La copertura presenta una zona longitudinale piana, schermata dalle falde, che accoglie parte delle

centrali impiantistiche. I cavedi tecnologici sono situati in corrispondenza del muro di tamponamento con

l'edificio esistente situato a sud di quello nuovo, oggetto di un contestuale intervento di sopraelevazione. Un

passaggio diretto che attraversa i locali di supporto collega fra loro i piani quarto e attico, del nuovo edificio e

della sopraelevazione. L'attico di quest'ultima, distinguibile per l'andamento curvo della copertura, dispone di

due terrazze laterali. La nuova sede ha preso forma in soli 24 mesi: ospita oggi le redazioni di alcune delle

testate di punta, fra cui «20 Minuten» e «Tages-Anzeiger». Considerando anche i due piani della

sopraelevazione (ulteriori 1.518 m mediamente 12,5 m per ciascuno dei 480 fra redattori e collaboratori, che

si aggiungono alle circa 1.000 unità già attive negli altri fabbricati limitrofi. Utilità e appropriatezza La

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composizione si distingue per la completa trasparenza dell'involucro - non solo le facciate ma anche le falde

della copertura - quasi a voler evocare una caratteristica qualificante del mondo dell'informazione. Allo stesso

tempo, il disegno dei prospetti rivela senza compromessi la propria consistenza e solidità, denunciando in

facciata la griglia metallica che sostiene le facciate e permettendo la visione delle strutture portanti interne,

interamente realizzate in gno lamellare. Le scelte progettuali operate per il nuovo edificio Tamedia

rispecchiano tutti i principi fondamentali che rendono la poetica di Shigeru Ban una delle più interessanti nel

panorama contemporaneo dell'architettjra, iniziando dalla sua capacità di connotare ogni opera architettonica

attraverso una rigorosa ricerca della sua essenza, evitando la reiterazione di stilemi troppo spesso funzionali

solo alla riconoscibilità della "firma '. «Non disegno mai una forma per poi riempirla con delle funzioni - ci

spiegava in un'intervista qualche anno fa. Mi interessa soprattutto l'aspetto della risoluzione pratica dei

problemi progettuali e, dovendo scegliere fra diverse alternative, privilegio quella p funzionale ed economica.

Ogni progetto richiede una ricerca delle te> nologie costruttive più appropriate. Non sono un sostenitore

dell'uso di qualche altra materiale in particolare, piuttosto ritengo che tutti i materiali possano essere utilizzanti

se risultano confacenti allo scopo, senzj pregiudizi». In questo caso l'uso del legno - materiale

intrinsecamente sostenibile - risponde innanzitutto al requisito della minimizzazion ; dell'impatto ambientale

complessivo della costruzione, posto sia dalle normative svizzere sia da un committente che ha comunque

voluto che i cosi complessivi non si di scostassero significativamente da quelli pe la realizzazione di un

fabbricato equivalente di tipo convenzionale. L'intera sede Tamedia è alimentata con energia elettrica di

origine esclusiva da fonti rinnovabili. Strutture da guardare II nuovo edificio è fondato su un basamento

ipogeo in calcestruzzo armato, che accoglie i depositi e la maggior parte delle centrali tecnologiche e

sorregge la struttura portante in elevazione, probabilmente l'invenzione più interessante dal punto di vista

tecnico ed estetico dell'intero progetto. Il concept strutturale è stato ideato partendo dalla rielaborazione delle

tecniche tradizionali giapponesi di carpenteria lignea dette «miyadaiku» e «sukiya daiku», utilizzate

rispettivamente per la costruzione dei templi shintoisti e dei padiglioni per la cerimonia del té. Si tratta di

metodologie di lavorazione e assemblaggio dei componenti in legno nelle quali le condizioni di vincolo statico

sono ottenute attraverso la modellazione tridimensionale dei giunti, perciò senza l'impiego di elementi

metallici (piastre imbullonate, chiodature di rinforzo, tiranti, ecc, normalmente utilizzati dai produttori di

strutture in legno per la creazione dei nodi fra travi e pilastri) né di collanti, ad eccezione di quelli utilizzati per

la formazione dei componenti a partire dai listelli d'origine. Le strutture sono state perciò realizzate con pezzi

unici continui (altezza pilastri 21 m circa; lunghezza travi 17,4 m circa), prefabbricati con lamellare di abete

rosso proveniente da boschi austriaci e assemblati in opera a formare gli otto enormi portali che compongono

lo scheletro principale dell'edificio. Il nodo tridimensionale standard è composto da pilastro, travi maestre

trasversali e travi distanziatrici longitudinali: ciascun pilastro sostiene una coppia di travi maestre: in

corrispondenza del punto di aggancio la sezione si allarga creando una sorta di articolazione che consente

l'appoggio delle seconde sul primo. Al centro del nodo è presente un'asola ellittica nella quale è inserito un

giunto dalla stessa forma, che realizza l'incastro pilastro/travi binate, dotato agli estremi di gancio (maschio)

che permette l'inserimento a pie d'opera dell'incavo (femmina) realizzato in testa alle travi secondarie. Questo

metodo costruttivo, reso possibile dall'impiego di macchine a controllo numerico per il taglio tridimensionale

dei pezzi, è stato impiegato anche per la realizzazione dei traversi in legno con funzione di controventatura,

sagomando opportunamente i pezzi. Lo scheletro strutturale è stato assemblato partendo dal portale posto a

ridosso dell dificio limitrofo, a sud, procedendo con un passo di 6,8 m fino al portale conclusivo, al quale si

appoggiano le strutture che s> stengono le due facciate più corte (a ned e a ovest). I solai, anch'essi

prefabbricati con travetti e listelli in lamellare e lastre in legno str tificato, sono stati appoggiati su apposi

scanalature realizzate sul dorso delle traivi maestre, giuntati a queste ultime median placche e bulloni in

acciaio - unici comp nenti metallici utilizzati per la costruziore della struttura - man mano che procede\ la

costruzione dei portali. L'insieme restituisce una struttura elegan quanto utile, la cui principale caratteristi'

consiste nella possibilità di mostrare le sde forme organiche senza pregiudizio per I' stetica degli spazi interni.

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Anche le strutture portanti dei due piani realizzati come sopraelevazione dell'edifico confinante a sud sono

stati realizzati con il medesimo sistema in legno che, nonostante la relativa leggerezza, ha reso comunque

necessario l'esecuzione di rinforzi alle struture sottostanti. Una pelle trasparente L'involucro edilizio è

interamente realizzato in metallo e vetro: presenta un disegno semplice e modulare che riporta in facciata la

scansione dello scheletro portante. L'elevata trasparenza dell'insieme consente la percezione, dalla strada,

delle attività in svolgimento all'interno e inonda di luce naturale gli ambienti di lavoro. La struttura delle

facciate continue è sostenuta da profili d'acciaio vincolati al bordo orizzontale dei solai o direttamente ai

pilastri in legno. Montanti e traversi sono in alluminio a taglio termico e sostengono specchiature a doppia

vetrocamera. Di seguito le prestazioni tecniche delle parti fisse dell'involucro esterno: - trasmittanza termica

complessiva U = 1,0 W/m - trasmittanza vetrocamere Ug = 0,6 W/m - fattore solare G = 35%; - trasmittanza

luminosa LT = 62%; - isolamento acustico R I serramenti per le undici aperture presenti lungo la facciata est

(dimensioni max 4,70 per 6,80 m) sono stati sviluppati appositamente per questo progetto, testando un

prototipo in laboratorio per un lungo periodo. Si tratta un sistema sezionale composto da elementi con telaio

in alluminio a taglio termico e vetrocamera singola, che si spostano in verticale mediante azionamento

elettromeccanico. In posizione di apertura i singoli telai sono impacchettati in alto, all'interno di un apposito

cassone. Queste le principali prestazioni tecniche: - trasmittanza termica Uf = 1,6 W/m - verifica positiva per

assenza di condensa; - isolamento acustico R - permeabilità all'aria: classe 4 (600 Pa); - tenuta all'acqua:

classe 9A (600 Pa). L'ombreggiamento di tutte le superfici trasparenti è ottenuto mediante tende esterne

oscuranti in tessuto, avvolgibili e caratterizzate da elevata resistenza al vento, azionate da controlli

automatici. Anche le superfici di copertura sono completamente trasparenti, con falde formate da telai in

alluminio non apribili (inclinazione 45°) protetti da frangisole fissi orizzontali, in scatolare di alluminio, la cui

efficacia in termini di ombreggiamento delle superfici vetrate è stata verificata con una modellazione

tridimensionale. L'impianto di climatizzazione Nel caso del nuovo edificio Tamedia a Zurigo possiamo

considerare la costruzione fuori terra come composta da tre sottosistemi principali: struttura in elevazione,

involucro edilizio, impianti tecnologici. La scelta di ricorrere esclusivamente al legno per la realizzazione del

sottosistema strutturale si inserisce con coerenza nella strategia energetica dell'edificio, con l'obiettivo di

fornire un'ulteriore stabilizzazione delle condizioni termiche interne ai fini del comfort termico degli ambienti

interni. L'impiego esclusivo del legno di abete rosso (circa 1.400 elementi prefabbricati per complessivi 2.000

m caratteristiche fisiche di questo materiale: - l'elevato calore specifico (e ~ 2,7 kJ/kgK), risultato anche della

naturale igroscopicità del legno che, in condizioni ambientali tipiche (T = 10-f30°C; u.r. = 50-60%), presenta

un contenuto d'acqua compreso fra 9% e 11 %; - la ridotta profondità di penetrazione termica (b ~ 500 Ws

pacità di cedere lentamente il calore accumulato, proprietà che rende la temperatura delle superfici molto

simile a quella dell'ambiente nel quale si trova la struttura in legno. Allo scopo di aumentare la massa

complessiva dell'edificio, le intercapedini fra i travetti presenti all'interno dei solai sono state riempite con

sabbia. L'impianto di climatizzazione opera in regime invernale ed estivo: è attestato su urici pompa di calore

(275 kWf; 236 kWt) che utilizza acqua di falda per lo scambio termico (approssimativamente 1.600 l/h),

sfruttando un piccolo accumulo per ragioni eminentemente idrauliche e restituendola poi all'aves con una

differenza di ±3 °C rispetto alii] temperatura naturale. Il fluido termovettore (T variabile da 18 ,3 TAMEDIA,

SIHL, SHIGERU BAN, PRITZKER PRIZE

La nuova sede Tamedia costituisce il punto d'accesso privilegiato all'intero isolato: la facciata continua in

alluminic vetro rispetta le volumetrie preesistent gli allineamenti con gli altri edifici (Did er Boy de la Tour).

Interamente realizzato in metallo e vetro secondo un disegno modulare che riprende le partizioni strutturali,

l'involucro edilizio è completamente trasparente e consente la percezione delle attività in svolgimento

all'interno (Reto Oeschger).

La galleria al piano terreno distribuisce i locali per eventi collettivi (a destra) e le zone di accoglienza (a

sinistra), queste ultime poste in corrispondenza del volume buffer presente lungo la facciata esposta a est

(Didier Boy de la Tour). Gli ambienti di lavoro sono distribuiti prevalentemente in open space: la

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climatizzazione invernale ed estiva è affidata a pannelli radianti a soffitto e all'impianto di ventilazione

meccanica, con diffusori a pavimento (Reto Oeschger).

Lo spazio buffer a tutta altezza, attraversato in diagonale da una rampe di scale di servizio, ospita salottini

per il ricevimento dei visitatori e per il rela> del personale, posti in corrispondenza delle aperture (Didier Boy

de la Tour).

I PROTAGONISTI DELL'IMPIANTO Committente Tamedia General contractor HRS Real Estate Progetto

architettonico Shigeru Ban Architects Europe Principal architect Shigeru Ban Project architect Jean De

Gastines Coordinamento generale Itten + Brechbuhl Progetto strutture SJB.Kempter.Fitze Progetto strutture

in legno Creation Holz Progetto energia, impianti, sostenibilità 3-Plan Haustechnik Fisica edile Gartenmann

Engineering Illuminotecnica Ernst Basler Partner Geologia Sieber Cassina Progetto facciate Feroplan I

fornitori Pompe di calore: Trane Elettropompe: Grundfos Pannelli radianti: Lippuner Unità trattamento aria: 7

Air Ventilconvettori: Alleo Allensbach Facciate: Aepli Metal

Vista del piano attico prima dell'allestimento: anche in questo caso le pareti esterne, protette solo da

frangisole fissi, e le partizioni leggere interne sono completamente trasparenti (Didier Boy de la Tour).

Lo scheletro portante in legno lamellare, appositamente disegnato, è ispirato a tecniche costruttive

tradizionali giapponesi che evitano il ricorso a componenti metalliche di connessione fra gli elementi (Didier

Boy de la Tour).

Vista ravvicinata di uno dei nodi sagomati fra pilastro e travi: la seconda trave primaria sarà vincolata al

giunto di forma ellittica inserito nel pilastro, mentre quella secondaria sarà vincolata al gancio (Shigeru Ban

Architects Europe).

SIMULAZIONE DEI FLUSSI Nel corso della progettazione il comportamento energetico dell'edificio e, in

particolare, del volume buffer è stato oggetto di simulazioni dinamiche, allo scopo di verificare l'efficacia delle

soluzioni sviluppate. La zona cuscinetto è ventilata meccanicamente mediante un impianto a cascata che

utilizzata l'aria espulsa dalle zone per uffici. Quest'ultima viene inviata all'u.t.a. installata al secondo livello

interrato che, nel periodo invernale, la immette a una temperatura compresa fra 23 e 26 °C alla base del

volume buffer. Gli spazi collettivi e connettivi contenuti nel volume buffer sono perciò riscaldati e fungono da

collettore per il guadagno solar 3 gratuito attraverso la facciata trasparente. Il calore accumulato dall'aria

viene infatti recuperato dall'u.t.a. dedicata agli uffici, situata sulla copertura. In estate, al contrario, il volume

cuscinetto non è ventilato meccanicamente: l'estrazione avviene attraverso il tetto, mediante gli areatori

antincendio, e l'aria esausta proveniente dagli uffici è sottoposta a recupero termico sempre attraverso l'u.t.à.

posta in copertura. Il comportamento d^i flussi e le condizioni di comfort risultanti per l'intero edificio sono stati

analizzati con l'aiuto dei programmi TRNSys e TRNFlow,35 °C) è distribuito alle superfici radianti a soffitto,

composte da doghe in metallo microforato (alluminio preverniciato, tubazioni in rame) dotate di materassino

fonoassorbente, che fungono da supporto anche per altre reti tecnologiche (illuminazione artificiale,

rilevamento incendi, ecc). La distribuzione dell'aria avviene a bassa velocità, mediante ventiIconvettori lineari

che provvedono alle aree prospicienti le pareti vetrate e diffusori circolari, posti sulla pavimentazione in

tappeto di fibra naturale. Oltre a offrire elevati requisiti acustici, il sistema permette un'efficace e uniforme

distribuzione dell'aria all'interno degli ambienti. L'aria espulsa dagli spazi di lavoro viene immessa nel volume

buffer situato alle spalle dell'intera facciata est, che svolge un ruolo determinante per la moderazione

microclimatica dell'intero edificio. Questo ulteriore passaggio dell'aria all'interno di uno spazio di mediazione,

apribile verso l'esterno, crea un utile fascia di mediazione fra la facciata, termicamente più sollecitata, e le

zone interne. In questo volume buffer, ovviamente, sono tollerate fluttuazioni climatiche più ampie rispetto a

gli ambienti di lavoro. L'impianto di ventilazione artificiale è composto da 4 unità di trattamento dell'aria,

dedicate a: - zone a uffici (23.500 mVh, con sistema di recupero di calore a rotore cilindrico (efficienza 80%);

- auditorium (8.500 m sistema per il recupero del calore; - ricircolo dell'aria (23.500 mVh) nel volume buffer,

senza recupero del calore; - locali tecnici (5.800 m entalpico a piastre ad alta efficienza (76%).

L'accoppiamento di soffitti radianti e distribuzione dell'aria dal basso è una soluzione già utilizzata nel 2001, in

04/07/2014 20Pag. RCI Riscaldamento Climatizzazione - N.7 - luglio 2014

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occasione della costruzione della Tamedia Medienhaus, un edificio situato al capo opposto dell'isolato, che

ha riscontrato un elevato gradimento da parte del personale addetto.

Schema del funzionamento dell'impianto di ventilazione artificiale abbinato al volume buffer: l'aria estratta

dagli uffici passa attraverso il volume buffer prima dell'espulsione definitiva attraverso il tetto (3-Plan

Haustechnik).

che hanno simulato i flussi di calore dovuti a trasmissione e convezione, agli apporti di calore interni e solari,

all'impianto di climatizzazione e all'accumulo termico nei componenti costruttivi, calcolando le temperature

delle varie zone durante l'intero arco dell'anno in configurazione di serramenti chiusi e aperti. Il volume

costruito è stato suddiviso in zone considerate omogenee dal punto di vista della temperatura dell'aria. In

particolare gli spazi presenti nella facciata a doppia pelle sono stati articolati in 12 zone (spazi connettivi) e in

quattro diverse zone (salottini). Nel periodo estivo (Tmax esterna 33,5 °C) e con i serramenti chiusi, i risultati

hanno evidenziato un sostanziale contenimento dei picchi di temperatura interna in un range accettabile (26 -

=• 28 °C). Nel caso di apertura dei serramenti è stato registrato un aumento delle temperature ai livelli

superiori (29 °C), causato principalmente dalla minore portata del flusso convettivo dovuta alla fuoriuscita

dell'aria dalle finestre aperte ai piani inferiori. In queste condizioni, le temperature sono state stabilizzate

grazie al dispositivo di aspirazione meccanica posto in copertura, azionato da un sistema di rilevamento della

temperatura dell'aria all'interno del volume buffer. (Si ringrazia: 3-Plan Haustechnik)

04/07/2014 20Pag. RCI Riscaldamento Climatizzazione - N.7 - luglio 2014

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 103

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EDILIZIA DEL FUTURO "ABITARE SOSTENIBILE" ENTRA IN CLASSE Sono stati presentati i primi 13 elaborati realizzati dagli studenti, relativi alla progettazione di villette a schiera

per il Comune di Druento. Il progetto "Abitare sostenibile", avviato nel 2013, in un anno ha coinvolto 8 istituti

tecnici del torinese, 14 classi, 400 ragazzi, 40 insegnanti, 10 aziende. Obiettivo dell'iniziativa è aggiornare i

programmi di formazione delle scuole superiori sui temi dell'edilizia del futuro, anche con il coinvolgimento

delle aziende, per offrire al mercato del lavoro professionalità preparate nell'ambito della progettazione e

delle nuove soluzioni tecniche abitative. Oltre ai progetti presentati oggi, il lavoro di un anno ha portato alla

realizzazione di un manuale tecnico che è stato distribuito ai ragazzi e che sarà adottato sia nelle scuole

come libro di testo, sia dai professionisti come guida aggiornata. Previsto anche un sito web. Il progetto

"Abitare sostenibile" ha coinvolto la Camera di commercio di Torino (capofila e principale finanziatore),

l'Ufficio Scolastico Regionale per il Piemonte, la Provincia di Torino, l'Ance Piemonte, il Consiglio Nazionale

Geometri e Geometri Laureati, l'Unione Industriale di Torino, la Cna Torino, l'Istituto Superiore Erasmo da

Rotterdam, Comune di Nichelino, l'associazione Età-Energia Territorio Ambiente, Confcooperative Torino,

Centro Scienza, Environment Park, PST - Parco Scientifico e Tecnologico in Valle Scrivia, Fondazione

ClimAbita.

04/07/2014 51Pag. RE Real estate - N.112 - maggio 2014(tiratura:20000)

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 104

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CONGIUNTURA Nota illustrativa DEF 2014 aspetti immobiliari (I parte) a cura di Paolo Crisafi, DG Assoimmobiliare II DEF è il principale strumento di programmazione della politica economica e di bilancio, composto di tre

sezioni: il Programma di Stabilità, il Programma Nazionale di Riforma e una parte di dettaglio sulla finanza

pubblica. In particolare, con il Programma Nazionale di Riforma si definiscono gli interventi da adottare per il

raggiungimento degli obiettivi nazionali di crescita, produttività, occupazione e sostenibilità delineati nella

nuova "Strategia europea 2020". Con specifico riferimento al Settore real estate, l'obiettivo dichiarato è quello

di rendere più appetibili gli investimenti nel mercato in questione e a tal proposito, un'azione specifica sul

mercato immobiliare, residenziale e non, può portare ad importati e inaspettati ritorni in termini di

investimento privato, nazionale e internazionale. Perché ciò accada occorre però allineare l'attuale disciplina

delle locazioni agli altri Paesi europei - per rendere più appetibili gli investimenti -, definire un Programma di

valorizzazione continuo e credibile degli immobili inutilizzati di proprietà del Demanio, semplificare la

disciplina del vincolo di destinazione d'uso - estendendola anche al cambio di destinazione d'uso nelle aree

edificabili libere con destinazione non residenziale nell'ambito di piani e programmi attuativi di iniziativa

pubblica o privata destinati per almeno il 70% della volumetria complessiva a housing sociale e/o alloggi per il

personale delle Forze Armate, di Polizia e Vigili del Fuoco-, favorendo gli investimenti che puntano alla

riqualificazione o al riutilizzo. L'efficienza del mercato immobiliare, in particolare del comparto non

residenziale, dipende poi in buona misura dalla presenza di investitori istituzionali, che sarà favorita. Per

sviluppare le SIIQ e i Fondi Immobiliari, secondo le misure del piano Destinazione Italia, si deve assicurare

agli investitori una redditività in linea con quella degli analoghi strumenti europei, senza incidere sul profilo di

rischio del prodotto. L'obiettivo è quindi favorire la creazione di SIIQ, prevedendo la possibilità che per i

conferimenti si possa applicare il regime tributario delle SIIQ anche per le società che non ne possiedono i

requisiti in fase di costituzione, ma che li raggiungeranno entro un arco temporale definito. Inoltre, si prevede

di introdurre benefici fiscali vincolati al finanziamento di opere pubbliche da parte delle SIIQ eliminando,

inoltre, alcune rigidità operative previste dalla normativa attuale (ad esempio prevedendo un pay-out ratio

ridotto in misura pari al 70%). Occorre poi uniformare la normativa fiscale delle SIIQ a quella dei Fondi

Immobiliari, assicurando la permeabilità tra i due strumenti e rendendo fiscalmente neutra l'opzione per uno

dei due. Un mercato delle locazioni meno rigido agevolerà gli investimenti esteri di carattere commerciale. Si

dovrà, poi, rafforzare la possibilità dell'Agenzia del demanio di aggregare le iniziative del territorio in modo

che facciano sistema e di canalizzare le risorse pubbliche, anche europee, sugli immobili pubblici. Inoltre, in

un'ottica di risanamento del bilancio statale, si esprime la volontà di portare a compimento il programrha di

privatizzazioni. E' fondamentale dare operatività al federalismo demaniale che pre ede il trasferimento di beni

immobili ' non utilizzati dallo Stato a Regioni, Città! metropolitane e Comuni. Oltre 9000 istanze sono già state

presentate al Demanio dagli Enti territoriali che disporranno dei beni trasferiti favorendone la massima

valorizzazione funzionale. Tali beni potranno successivamente essere inceriti dalle Regioni e dagli enti locali

anche in processi di dismissione. Qualora l'ènte territoriale non utilizzi il bene nel rispetto delle finalità e dei

tempi indicati è previsto uno specifico meccanismo sanzionatorio, in base al quale il Governo esercita il

proprio potere sostitutivo al fine di assicurare la migliore utilizzazione del bene. Analogamente, si dovrà

provvedere alla sdemanializzazione del patrimònio immobiliare non più utilizzato per finalità istituzionali dal

Ministero della Difesa, prevedendo strumenti giuridici chej assicurino tempi certi e rapidi per la valorizzazione

urbanistica di tali immobili, attraverso modalità semplificate. Infine, ulteriori immobili dello Stato e degli fnti

territoriali potranno essere inseriti nel programma di dismissioni, a seguito di interventi tesi alla

razionalizzazione e al migliore utilizzo degli spazi, in linea con le best practices internazionali Tra gli ulteriori

obiettivi a carattere immobiliare previsti dal DEF 2014 vi è, inoltre, quello volto a far fronte al disagio abitativo

attraverso interventi per 1, 3 miliardi di euro per il sostegno all'affitto a canone concordato, l'ampliamento

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dell'offerta di alloggi popolari, lo sviluppo dell'edilizia residenziale sociale, Tra gli interventi rivolti alla

realizzazione di questo obiettivo, si prevede l'incremento di 100 min del Fondo nazionale per il sostegno

all'accesso alle abitazioni in locazione e di 226 min del Fondo destinato agli inquilini morosi incolpevoli. A ciò

si aggiunge la previsione di un piano di recupero di immobili e alloggi di Edilizia residenziale pubblica (ex

IACP) che beneficerà dello stanziamento di 400 milioni con il quale finanziare la ristrutturazione con

adeguamento energetico, impiantistico e antisismico di 12.000 alloggi e la definizione di un ulteriore

finanziamento di 67,9 milioni di euro per recuperare ulteriori 2.300 alloggi destinati alle categorie sociali

disagiate. Sono, altresì, previste misure che favoriscono la conversione in housing sociale di interventi edilizi

sul patrimonio esistente. Si prevede, poi, che i redditi derivanti dalla locazione di alloggi nuovi o ristrutturati

non concorrano alla formazione del reddito d'impresa ai fini IRPEF/IEES e IRAP nella misura del 40% per un

periodo non superiore a dieci anni dalla data di ultimazione dei lavori. Infine, si riconosce la facoltà di riscatto

dell'unità immobiliare per l'inquilino, trascorsi almeno 7 anni dalla stipula del contratto di locazione. (Fonte

MEF - DEF 2014, Programma Nazionale di Riforma)

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 106

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SCENARIO ECONOMIA

54 articoli

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Imprese, investimenti mai così bassi dal '95 Scendono al 19,3% gli impegni delle società. Famiglie, cala ancora il potere d'acquisto Andrea Ducci ROMA - Le aziende italiane investono sempre di meno. A rilevare la flessione di uno dei principali fattori che

dovrebbe contribuire alla ripresa dell'economia è l'Istat, indicando che nel primo trimestre 2014 il tasso di

investimento delle società non finanziarie è stato pari al 19,3%. Il dato segna un calo dello 0,3% rispetto al

trimestre precedente e, pure, raffronto al medesimo periodo del 2013. In pratica, l'incidenza degli investimenti

fissi lordi sul valore aggiunto lordo delle società continua la sua lunga discesa, registrando il minimo storico.

Una tendenza in qualche modo correlata alla quota di profitto del 39,2% registrata nel primo trimestre da

parte delle società. La diminuzione in questo caso è dello 0,5% rispetto all'ultimo trimestre del 2013. I segnali

sono poco confortanti anche sul versante del potere di acquisto delle famiglie, che ricomincia a scendere

dopo i dati positivi nella parte conclusiva del 2013. Nel corso del primo trimestre l'Istituto Nazionale di

Statistica rileva una perdita in termini reali dello 0,1% del reddito lordo disponibile delle famiglie, rispetto al

trimestre precedente. Su base annua il calo è invece dello 0,2%. Tra gennaio e marzo l'Istat calcola che il

reddito disponibile delle famiglie in valori correnti è rimasto invariato, se paragonato con il trimestre

precedente, mentre è in aumento dello 0,6% confronto al corrispondente trimestre del 2013. Un

miglioramento, seppure simbolico, gli economisti dell'Istituto lo registrano sul fronte della spesa delle famiglie

destinata ai consumi finali. In questo caso si registra un aumento dello 0,2%, sia rispetto al trimestre

precedente, sia al medesimo periodo del 2013. Un'oscillazione che consente di andare oltre la soglia dello

zero, considerata un miraggio nell'ultimo biennio. Un segnale arriva anche dalla propensione da parte delle

famiglie a risparmiare. La misurazione al netto della stagionalità è pari al 10% nel primo trimestre, in

diminuzione dello 0,2% rispetto al trimestre precedente. Tuttavia confronto allo stesso periodo del 2013 il

miglioramento è dello 0,4%. I dati, insomma, indicano una debolezza di fondo, malgrado proprio l'Istat avesse

stimato, nelle sue previsioni per l'economia italiana, una ripresa del potere di acquisto da parte delle famiglie.

Interrompendo così la sequenza di frenate proseguite ininterrotte dal 2008. Per avere un'indicazione più

chiara sulla tendenza in atto e sulla reale capacità di tornare a spendere da parte degli italiani saranno

fondamentali i dati del secondo trimestre, periodo nel quale si potranno misurare gli effetti reali del bonus da

80 euro previsto dal decreto Irpef. Un dato poco incoraggiante, intanto, è quello relativo al tasso di

investimento delle famiglie consumatrici (rapporto tra investimenti fissi lordi delle famiglie, che comprendono

solo gli acquisti di abitazioni, e il reddito disponibile lordo). Nel primo trimestre è fermo al 6,2%, uguale al

trimestre precedente, ma in calo dello 0,1% confronto al corrispondente periodo del 2013. Il tasso resta,

quindi, ai livelli più bassi da circa 12 anni.

Per quanto riguarda il conto economico delle amministrazioni pubbliche l'Istat rileva un indebitamento netto

pari al 6,6% del Pil (Prodotto interno lordo), rispetto al 7,3% del primo trimestre del 2013. L'analisi sul periodo

gennaio marzo registra una diminuzione dell'1% delle uscite totali su base annua. Le uscite correnti

scendono dello 0,3% e quelle in conto capitale del 13,8%. Sul versante delle entrate totali il primo trimestre

segna un aumento dello 0,4%, rispetto all'analogo trimestre del 2013. Il dato sulla pressione fiscale segnala,

infine, che è pari al 38,5%, ossia lo 0,3% in meno del primo trimestre dell'anno scorso.

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0,2%la perdita del reddito lordo delle famiglie rispetto a un anno fa misurato dall' Istat in termini reali

I capitali dall'esteroFoto: Il Fondo Strategico Italiano si è alleato con il fondo sovrano del Kuwait costituendo Fsi Investimenti,

controllata dagli italiani per il 77%, dove confluiranno molte delle partecipazioni Fsi ( nella foto l'emiro del

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 108

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Kuwait, Sabah Al-Ahmad Al-Jaber Al-Sabah )

Foto: Il fondo Blackrock è uno dei principali investitori finanziari esteri nel nostro Paese: ha comprato quote in

Banco popolare, Popolare Milano, Intesa Sanpaolo, Monte Paschi, Unicredit, Enel e Telecom ( nella foto il

presidente e amministratore delegato Larry Fink )

Foto: Con un patrimonio stimato in oltre 150 miliardi, il fondo del Qatar ha rilevato Valentino, il piccolo impero

sulla Costa Smeralda - fondato dall'Aga Khan - da Tom Barrack, alcuni grandi alberghi ed è diventato socio

con il 40% di Porta Nuova ( nella foto il sovrano Tamin bin Hamad al-Thani )

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 109

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Santa Sede Il nome dell'economista Jean-Baptiste de Franssu esaminato positivamente dall'Autorità dicontrollo Per la guida dello Ior il Vaticano valuta un francese M.Antonietta Calabrò ROMA - Chi salirà sul palco della Sala Stampa vaticana, mercoledì prossimo, accanto al cardinale George

Pell (prefetto della Segreteria per l'economia) e al presidente uscente dello Ior von Freyberg? Chi sarà il

nuovo presidente dello Ior? La transizione nella banca del Papa, come si vede è ancora lunga, situazione che

su twitter è efficacemente descritta così: «Dio sta per prendersi un nuovo banchiere, God is about to get a

new banker », Insomma, non ce l'ha ancora.

Il nome più accreditato, che è già stato sottoposto al controllo preventivo dell'Aif vaticana (cioè l'Autorità per

l'informazione finanziaria, diretta da René Bruhelart), in base alla nuova legge antiriciclaggio, la numero 18

del 2013, è quello del finanziere francese Jean-Baptiste de Franssu. È un professionista vicino all'economista

Joseph F. Zahara, esponente laico del Consiglio per l'economia ed ex presidente della Commissione

referente per le strutture economiche-amministrative del Vaticano, cioè legato alla finanza maltese vicina a

Pell.

L'Aif, per quello che le compete, ha dato il suo ok, non ravvisando alcun problema nel fatto che il figlio, Louis

Victor, lavori all'interno del Promontory Financial Group, la società di consulenza americana che per oltre un

anno ha passato al setaccio i conti dello Ior. Né l'Aif ha avuto da dire sui suoi incarichi professionali, «vicini»

al gruppo maltese. Si tratta, naturalmente di un sì, relativo alla sola normativa antiriciclaggio.

Durante il C9 invece Giuseppe Bertello, presidente del governatorato si sarebbe fatto portavoce di più di una

preoccupazione circa l'opportunità di una commistione di incarichi del gruppo «maltese» (De Franssu è stato

appena nominato al Consiglio per l'economia).

Papa Francesco (che, questa settimana, ha partecipato a tutti i lavori del C9) ha incontrato il Presidente della

rinnovata commissione cardinalizia di controllo sull'Istituto, il cardinale Santos Avril y Castello. Ieri Bergoglio

ha ricevuto la Relazione conclusiva della Commissione d'inchiesta sullo Ior, presieduta dal cardinale

Giuseppe Farina. Lo stesso Farina nel pomeriggio si è incontrato con il cardinale Pell. Con il passare dei

giorni, inoltre, emergono anche nuovi particolari su alcuni episodi che hanno portato all'uscita di von

Freyberg. Si racconta che il presidente tedesco si fosse opposto con tenacia al licenziamento di alcuni

altissimi funzionari dell'Istituto (quattro in tutto, che poi sono stati mandati in prepensionamento).

In particolare quello del capo dei rapporti con la clientela, in pratica l'uomo che ha gestito per decenni tutti i

clienti della banca. Non solo le suore e gli economi, ma anche i cosiddetti «laici», e quindi politici e

faccendieri. Gli uomini di von Freyberg spiegano il no «con la mancanza di adeguate risorse per assumerne

un altro».

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L'Istituto per le opere di religioneLo Ior (Istituto per le opere di religione) è la banca del Vaticano. Nel 2010 è finito al centro di un'inchiesta per

riciclaggio. Papa Francesco ha avviato un ripensamento sulle funzioni dell'Istituto. Il 7 aprile scorso la Santa

Sede ha reso noto che non chiuderà. La riforma potrebbe portare a breve alle dimissioni del presidente Ernst

von Freyberg

Foto: In lizza Jean-Baptiste de Franssu

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 110

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La lente Cassa Depositi, il Fronte europeo delle Infrastrutture S.Ta. «La ripresa è ancora debole» e per sostenere la crescita «gli investimenti» vanno messi al centro dell'agenda

del governo durante il semestre di presidenza europea. Il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan torna ad

insistere sulla necessità di «azioni concrete» per sostenere gli investimenti senza cui non sarebbe possibile

ridare slancio alla domanda interna. «Possiamo lavorare fruttuosamente insieme» nei prossimi mesi, per

«trovare una soluzione in grado di fronteggiare l'attuale livello di investimenti basso e inadeguato» e «favorire

così, nel medio termine quella crescita necessaria per generare occupazione e maggiore capacità produttiva»

ha aggiunto Padoan precisando che le «privatizzazioni non stano andando a rilento» e che «non c'è alcun

problema» con la Germania e col collega delle Finanze tedesco Schaeuble. Il ministro ieri ha introdotto i

lavori della conferenza del D20 che riunisce le banche di sviluppo dei venti paesi più ricchi del mondo,

organizzata per la sua seconda edizione a Roma dalla Banca europea degli investimenti e dalla Cassa

Depositi e Prestiti. Nel comunicato finale il D20 si è impegnato a sostenere gli investimenti «nelle

infrastrutture e nelle piccole e medie imprese per dare impulso alla crescita globale». Nel corso della riunione

il presidente della Cdp, Franco Bassanini, che ieri ha fatto gli onori di casa, è stato nominato presidente del

Long-Term Investors' Club, che riunisce le principali istituzioni finanziarie pubbliche internazionali.

La Cassa si pone così - rileva una nota - alla guida di una delle più grandi piattaforme di investimento al

mondo, con 5 mila miliardi di dollari di attivi. Lanciato nel 2009 dalle quattro principali istituzioni finanziarie

pubbliche europee - Bei, Caisse des Dépôts,Cdp e KfW - il Long-Term Investors' Club raggruppa oggi 19

istituzioni di 4 continenti.

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I tagli Camere Commercio, 1.800 posti a rischio Rita Querzé Sono 1.800 i posti a rischio nelle Camere di commercio. Tanti quanti i dipendenti delle aziende speciali del

sistema camerale. A differenza dei colleghi assunti direttamente dalla Camere, questi colletti bianchi

(impiegati, formatori, contabili, ricercatori...) non sono dipendenti pubblici. Quindi la certezza del posto è

minore. Dei 1.800, circa 400 hanno un contratto a termine in scadenza a fine anno. A creare incertezza sul

futuro del mondo camerale è il taglio del 50% del contributo dovuto dalle imprese (in media 110 euro l'anno).

Per quanto riguarda i contenuti del disegno di legge che riformerà queste autonomie funzionali, in modo

insistente si parla del passaggio del registro delle imprese dalle Camere al ministero dello Sviluppo. E questo

minerebbe la principale ragion d'essere delle Camere stesse.

Intanto un'indagine commissionata da Confcommercio dice che il 69% delle aziende dei servizi è soddisfatto

dei servizi avuti in cambio dei diritti camerali; l'85% ritiene adeguati anche i servizi amministrativi. Prima

ancora dei posti di lavoro a rischio sono gli investimenti delle Camere nelle economie dei territori. La Camera

di Ferrara, per esempio, ha annunciato che i primi tagli riguarderanno i 5 milioni di euro investiti in varie

iniziative a favore delle imprese. Sullo stesso tipo di interventi stanno ragionando le Camere da Pordenone a

Roma, da Sondrio a Teramo passando per la Liguria, Bergamo e Lecce. Per quanto riguarda l'atteggiamento

delle rappresentanze delle imprese, che oggi gestiscono le Camere stesse, da registrare nei giorni scorsi un

comunicato unitario delle associazioni aderenti a Rete imprese Italia. Mentre Confindustria resta più vicina al

progetto di ridimensionamento del governo.

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 112

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La lente Le Monete «non circolano»? Bankitalia crea un Borsino ad hoc Rita Querzé La circolazione del contante, e in particolare delle monete, nel nostro Paese non è «fluida» come negli altri

Stati dell'eurozona. Perciò la Banca d'Italia è corsa ai ripari. Creando un «Borsino delle monete» ad hoc. Così

d'ora in poi le banche potranno definire bilateralmente gli scambi di spiccioli. L'esigenza del borsino nasce da

un doppio disagio. Quello degli istituti con eccesso di moneta, da una parte. E quello delle banche che di

monete ne hanno poche, dall'altra. I primi si trovano ad affrontare costi dovuti agli oneri di detenzione: le

monete sono liquidità infruttifera. Poi c'è il problema del trasporto. Gli accumuli di monete, infatti, vengono

smaltiti in relazione alle capacità di ricezione di uno sportello messo a disposizione dalla Banca d'Italia presso

la filiale di Roma. Le seconde devono fare i conti con i tempi necessari alla ricezione di monete di nuovo

conio. Grazie al «borsino» - il cui accesso è protetto e riservato alle sole banche aderenti - le banche

possono accordarsi bilateralmente sulle condizioni degli scambi (trasporto, modalità di regolamento del

controvalore). Ora l'Abi, l'Associazione bancaria italiana, intende adottare un protocollo interbancario per

definire le regole da rispettare al momento degli scambi di monete basati sul «borsino» (confezionamento

standard, per esempio). Dal canto suo la Banca d'Italia ha già stabilito che lo scambio delle monete non potrà

che avvenire al valore nominale delle stesse. Inoltre il regolamento del controvalore dovrà essere concluso

tramite strumenti che assicurino la tracciabilità delle operazioni, come per esempio il bonifico.

rquerze

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8I tagli di monete in circolazione dal primo gennaio 2002, quando l'Italia è entrata nell'euro

06/07/2014 21Pag. Corriere della Sera - Ed. nazionale(diffusione:619980, tiratura:779916)

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 113

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INTERVISTA Il presidente dell'istituto senese: abbiamo fatto trasparenza sui conti, presto in consiglio duerappresentanti dei nuovi azionisti «Svolta Mps, missione compiuta Saremo la banca della media impresa» Profumo: lo Stato ha vinto la scommessa, i soci saranno remunerati L'obiettivo è avere clienti che ci portanoricavi e così contenti da diventare il nostro miglior testimonial Io restare? Mancano ancora nove mesi alle listedi marzo per il consiglio, di qui ad allora ci penseremo Fabrizio Massaro MILANO - «Abbiamo preso onde spaventose», dice Alessandro Profumo parlando dei suoi due anni sulla

tolda del Montepaschi. Ora la banca è in un porto sicuro, protetta da 5 miliardi di capitali freschi che sono

serviti a rimborsare 3,5 miliardi di Monti bond - compresi interessi e sovrapprezzo - e che ora sosterranno la

banca negli imminenti stress test della Bce. «Ci godiamo questo successo, che è tale anche per i contribuenti

italiani», dice il presidente dell'istituto senese. «Il Tesoro ha guadagnato il 15,9% in un anno, ma non

dimentichiamo che si è assunto anche un rischio di equity. Senza il supporto pubblico Mps non esisterebbe

più. Abbiamo dimostrato che il sistema bancario italiano è stato attrattivo per un aumento di capitale

oggettivamente monstre, l'amministratore delegato Fabrizio Viola e la sua squadra hanno fatto un ottimo

lavoro. E la rete ha tenuto botta nei momenti più duri: io ho fatto dieci anni di sportello e so che cosa significa

trovarsi di fronte la gente arrabbiata che ti dice "siete la banda del 5 per cento". Ma se l'Italia non fosse

entrata in una fase di percezione positiva sui mercati non saremmo riusciti a farlo».

Tutti hanno tirato un sospiro di sollievo: voi, la Fondazione, la Banca d'Italia, il Tesoro. Ora che cosa resta da

fare?

«L'obiettivo è avere clienti che ci portano ricavi e così contenti del servizio da diventare il nostro miglior

testimonial. Abbiamo molto da fare ancora. Intanto abbiamo fatto trasparenza sui conti. Gli analisti sono

positivi. Mps deve avere altri 540 anni davanti e possiamo farlo solo rendendo contenti i nostri 5 milioni di

clienti, che sono famiglie e piccole e medie imprese. È anche per questo che abbiamo una media di

sofferenze più alta, perché questa è una crisi dei piccoli e dei medi».

Dove sono le maggiori differenze in Mps rispetto a due anni fa?

«Abbiamo avuto, anche tra polemiche, riduzione dei costi, esternalizzazioni, riduzione delle aree di attività,

cancellazione del limite del 4% al possesso azionario. Forse il cambiamento più rilevante è una gestione delle

risorse umane molto più professionale. Più dell'80% delle prime linee è nuovo, il consiglio funziona bene.

Abbiamo ridotto i costi di 600 milioni in due anni, cominciato a rimborsare i prestiti Ltro della Bce e la banca

ha una liquidità soddisfacente. Molto importanti sono state le esternalizzazioni: ora Fruendo (la newco tra

Bassilichi e Accenture che ha preso il back-office del Monte, ndr ) sta cominciando a crescere e avrà a breve

nuovi clienti, diventando una realtà specializzata nei servizi amministrativi non solo per banche ma per

multiutilities e assicurazioni. Non è vero quindi che stavamo facendo licenziamenti mascherati».

Di fatto avete venduto tutte le fabbriche-prodotto per diventare un distributore di servizi altrui.

«Abbiamo fatto una scelta molto forte. Pensiamo che il nostro valore sia nella relazione con i clienti, cui

vogliamo dare il miglior prodotto possibile, che non sempre è quello che produci tu. Noi distribuiamo Anima

per il risparmio gestito e Compass (gruppo Mediobanca, ndr) nel credito al consumo, nell'assicurazione

abbiamo la partnership con Axa che funziona, nel private banking la piattaforma è totalmente aperta».

Qual è ora il quadro dell'azionariato?

«Avremo maggiori informazioni sui nuovi soci la settimana prossima. Oggi siamo un'azienda totalmente

privata, e abbiamo soci cui dobbiamo dare soddisfazione. E non è facile, perché per erogare credito ci vuole

tanto capitale. Se prima della crisi servivano 2,5 euro ogni 100 euro di impieghi ponderati per il rischio, oggi

ne servono 8-9. E quel capitale costa più del 10%, che dobbiamo remunerare».

Come cambia la governance con il patto tra Fondazione Mps e i fondi esteri Fintech Advisory e Btg Pactual?

«Nel periodo estivo entreranno due rappresentanti dei nuovi azionisti e dovranno uscire due attuali

consiglieri. Ad aprile 2015 si formerà il nuovo consiglio e lo statuto prevede che alla prima lista vada il 50%

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dei posti (6 su 12), una regola di fatto non modificabile perché serve il 65% del capitale. Comunque il

consiglio va bene così: è efficiente con 12 consiglieri, numero ideale per far funzionare bene i comitati interni.

Abbiamo lavorato tantissimo, in media 1,5 riunioni al mese con 6 ore l'una di durata».

Il patto prevede l'indicazione del presidente e dell'amministratore delegato. Lei resterà?

«Mancano ancora nove mesi alle liste di marzo. E in nove mesi si fa un bambino».

Ma le piacerebbe restare?

«Da qui a marzo ci penserò. E ci penseranno anche altri».

Qual è stato il momento più complicato per l'aumento di capitale?

«Quando il commissario Ue Joaquin Almunia a Cernobbio a settembre ha annunciato a sorpresa che

dovevamo rimborsare 2,5 miliardi di Monti bond entro il 2014. E poi quando siamo passati da 3 a 5 miliardi,

due volte la capitalizzazione. In Italia non si erano mai viste operazioni assimilabili. Viola e il cfo Bernardo

Mingrone sono stati bravi a riuscire a costituire il consorzio di garanzia, che non era scontato. Poi c'è stato lo

stop della Fondazione. Ma ormai è passata».

Il presidente della Bce, Mario Draghi, ha parlato di future fusioni e aggregazioni tra banche. Ci sarà anche il

Montepaschi tra queste?

«Il fatto che ci sia un regolatore unico europeo porterà ad aggregazioni internazionali. Oggi Mps può vivere in

modo assolutamente indipendente, che era il compito che dovevamo assolvere. Il futuro lo decideranno il

prossimo consiglio e i soci».

La Bce sta per prestare di nuovo denaro a costo quasi zero alle banche perché finanzino imprese e famiglie.

Li prenderete?

«Non voglio entrare nella operatività della banca. Come Mps abbiamo cominciato ad allargare i cordoni e

siamo cresciuti come impieghi, ma siamo anche molto selettivi. L'intervento della Bce è estremamente

importante perché dà liquidità e fa ripartire le cartolarizzazioni, che sono fondamentali. Resto comunque

convinto che il sistema bancario vada disintermediato. Un rapporto impieghi/depositi al 110-120% è poco

sostenibile. Dobbiamo spingere per avere un maggiore mercato del debito e le banche devono

accompagnare le imprese, anche le medie, su quei mercati».

Nicola Saldutti

© RIPRODUZIONE RISERVATA

D'ARCO L'andamento in Borsa 2.349 2.056 1.764 1.471 1.178 2013 SET NOV 2014 GEN MAR MAG LUG

Chiusura di venerdì -2,53% a 1,50 euro per azione

Il profiloAlessandro Profumo, 57 anni, è l'attuale presidente di Monte dei Paschi di Siena. Insediato a Rocca

Salimbeni nel marzo 2012 è subentrato a Giuseppe Mussari, travolto dalle inchieste giudiziarie.

All'inizio della sua carriera ha lavorato in McKinsey e in Bain, Cuneo e associati (oggi Bain&Company).

Ha ricoperto il ruolo di amministratore delegato di Unicredit. Incarico che ha lasciato di sua volontà nel

settembre 2010 per evitare uno scontro tra i grandi azionisti nel consiglio

di amministrazione

della banca

Gli altri incarichi

È vicepresidente dell'Abi, l'Associazione

delle banche italiane.

Tra gli altri incarichi un posto nel Consiglio

di Sorveglianza della

banca russa Sberbank

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 115

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Pier Silvio Berlusconi e Mediaset «Mi alleo con Telefónica e ho fiducia nel premier» INTERVISTA DANIELE MANCA «Renzi sa comunicare, e questa non è solo apparenza ma sostanza. Un endorsement? È realismo: senza

una scossa all'economia entro dicembre, l'Italia non ha grandi speranze». Così il vicepresidente di Mediaset

Pier Silvio Berlusconi al Corriere . E sull'alleanza con Telefónica nella pay tv: «Entrano con l'11%, parliamo

anche con altri». A PAGINA 11

Che cosa sta accadendo e accadrà a Mediaset? Il capo azienda Pier Silvio Berlusconi che si è sempre tenuto

ben lontano dalla politica, anche quella di suo padre, a sorpresa ha avuto parole di apprezzamento per

Matteo Renzi. Sul fronte dei contenuti la società si dimostra sempre più aggressiva sul mercato mondiale

dove contende ai concorrenti a colpi di milioni i diritti per il calcio, film e serie televisive. E ora si apre a nuovi

soci. Certo è già quotata in Borsa. Ma questa volta a diventare compagno di viaggio per l'avventura Mediaset

Premium, la piattaforma pay tv che il gruppo di Cologno Monzese vuole aprire sempre più al mercato

internazionale, è uno dei maggiori gruppi mondiali della telefonia, la spagnola Telefónica, oggi primo azionista

dell'italiana Telecom.

Un tassello che va ad aggiungersi all'intesa per la pay tv spagnola della stessa Telefónica che diventa

acquirente dei contenuti Mediaset. «Non dimentichi che in Spagna sulla tv generalista abbiamo una posizione

molto importante con Mediaset España. E che, non c'è nulla di concreto, ma stiamo parlando con altri partner

che ci possano permettere l'accesso al mercato di lingua inglese, primo mercato al mondo seguito appunto

da quello spagnolo», dice Pier Silvio Berlusconi al telefono dalla Liguria, dalla sua casa di Paraggi dove

trascorre i fine settimana.

Annuncia l'alleanza con il gruppo guidato da César Alierta, che acquisirà l'11% di Mediaset Premium, mentre

l'intero settore televisivo mondiale è in pieno riassetto. In Italia c'è la Rai che il premier Renzi vuole cambiare

in fretta, il gruppo Murdoch che potrebbe cambiare pelle a livello europeo, Vodafone che si muove con

acquisizioni nel campo dei contenuti in Germania e Spagna, l'ex British Telecom che si è fatta avanti per i

diritti del calcio inglese. E ora l'annuncio Mediaset.

Aggressivi a livello internazionale e renziani in casa...

«Voi dei giornali l'avete chiamato endorsement , io quello che continuo a pensare è che Renzi abbia ottime

capacità di comunicazione, e che questa non sia solo apparenza ma sostanza. Si è impegnato a fare le

riforme, dipende da come e se le farà, ma è normale che un imprenditore e manager come me faccia il tifo».

D'accordo, una grande impresa deve essere governativa, ma un atteggiamento simile non si era avuto non

dico con Prodi, ma nemmeno con Monti e Letta. Se non è un endorsement cos'è?

«È il realismo di chi dice che se non si riesce a dare una scossa ai consumi e all'economia entro dicembre,

questo Paese non avrà grandi speranze. E se non ci riesce un premier giovane e con qualità che alle ultime

elezioni europee ha ricevuto un consenso dal 40,8% degli elettori, sarà un fallimento per lui ma soprattutto

per l'Italia».

Ma lei ha incontrato Renzi?

«No, ma se mi capitasse mi farebbe piacere».

Non è che siete rimasti un po' delusi per il fatto che James Murdoch, figlio di Rupert, accompagnato da

Andrea Zappia di Sky Italia, sia stato ricevuto a Palazzo Chigi qualche settimana fa?

«No, quello proprio no. Forse dovevano chiedere qualcosa. L'incontro è avvenuto a ridosso dell'attribuzione

dei diritti tv per le partite della serie A...».

Pensiero maligno...

«Vede, spesso noi veniamo vissuti come colossi prepotenti perché il nostro fondatore Silvio Berlusconi è

stato capo del governo in Italia. In realtà i colossi non siamo noi. Anzi, siamo stati costretti a difenderci da un

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 116

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attacco che voleva spazzarci via, come dimostra la vicenda dei diritti della serie A».

Ma voi avevate preso i diritti della Champions a colpi di milioni.

«Prima però erano di Murdoch che per due anni ce li ha rivenduti e per il terzo ci ha chiuso la possibilità.

Anche qui pura difesa per non essere tagliati fuori. E sulla serie A volevano l'esclusiva totale e abbiamo

rischiato grosso, altro che noi prepotenti».

È così che avete deciso di rafforzare Mediaset Premium chiamando in aiuto altri soci viste le perdite.

«Altro falso mito. I 400 milioni di perdite dei quali ogni tanto si legge sono in realtà gli investimenti. Lo stesso

calcolo cumulato fatto sui conti di Murdoch in Italia, come sa chi conosce bene i bilanci, porterebbe a una

cifra quasi doppia. Quanto ai soci il nuovo assetto di Mediaset Premium ha una natura tutta diversa e nasce

da un incontro che è nelle cose tra chi fa telecomunicazioni e chi fa contenuti».

E allora perché non Telecom Italia della quale Telefónica è primo socio?

«Con Telecom avevamo studiato, pensi, 14 anni fa un accordo, poi ci si è messo di mezzo il conflitto di

interessi, la poca convinzione... Oggi la situazione è completamente cambiata, l'orizzonte non può e non

deve essere più solo nazionale, lo dimostra la stessa estensione del gruppo che fa capo a Murdoch».

E avete chiamato Telefónica...

«A dire il vero ci hanno chiamato loro».

Ha visto il loro numero uno César Alierta?

«Certo! Più di una volta, l'ultima a Milano. Ed è rimasto affascinato dalla nostra capacità tecnologica, dalle

piattaforme Premium, dai sistemi di pagamento a Infinity. In più, saper creare contenuti e ideare come

veicolarli agli spettatori abituati a muoversi su diverse piattaforme è la nostra forza. Tanto che alla pay tv

spagnola di Telefónica forniremo contenuti, canali, oltre a gestire la raccolta pubblicitaria».

Telefónica socio strategico?

«Stiamo parlando anche con altri, la piattaforma è aperta».

Altri, Al Jazeera, Vivendi...

«E non solo».

Ma ci sta dicendo che dobbiamo aspettarci una Mediaset meno legata alla famiglia Berlusconi in futuro?

«L'orizzonte della concorrenza in campo televisivo è chiaramente internazionale. Abbiamo a che fare con

concorrenti globali, ricchi di mezzi, molto aggressivi e spietati. Non ci si può non porre il problema di come

essere competitivi oggi e in futuro e se un'azienda italiana senza forti alleanze internazionali può farcela da

sola. Ma è evidente che non c'è nulla di concreto, se non che Mediaset Premium è una piattaforma alla quale

molti sono interessati».

Del resto Internet sta creando non pochi problemi agli editori.

«Più a quelli, mi spiace, della carta stampata. Mentre è molto complementare alla tv: pensi che a fine anno

saranno 700 milioni i video Mediaset visti online e tutti con spot inseriti».

Lei li avrebbe dati 4 milioni per tre anni a Floris?

«No. E non ho nemmeno capito perché vada a La7 dove si troverà a competere con Formigli, Santoro,

Paragone, Mentana...».

Ultima domanda, domani (oggi per chi legge, ndr) si avrà la sentenza su di lei per i diritti Mediatrade..

«La blocco subito: non le risponderò per rispetto al lavoro che sta facendo il Tribunale».

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Chi è Imprenditore

Pier Silvio Berlusconi, 45 anni, è presidente e amministratore delegato di Rti, la società che esercita le attività

televisive del gruppo Mediaset, di cui è vicepresidente esecutivo. È azionista di Fininvest e membro dei

consigli di amministrazione

di Mediaset, Mediaset España, Mondadori, Publitalia e Mediobanca

La carriera

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 117

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Inizia la sua esperienza professionale nel 1992 nel marketing di Publitalia, la concessionaria pubblicitaria del

gruppo di famiglia, nel 1996 diventa responsabile del coordinamento palinsesti e programmi delle reti

Mediaset. Nel 1999 è nominato vicedirettore generale contenuti di Rti

Il procedimento

Nel processo Mediatrade è accusato di frode fiscale. Il pm ha chiesto per lui una condanna a tre anni e due

mesi, la sentenza è attesa per oggi

Foto: La famiglia Pier Silvio Berlusconi, 45 anni, è il secondo figlio di Silvio Berlusconi, dopo Marina

(Newpress)

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 118

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INTERVISTA A MIX24 Caio: «Porteremo Poste Italiane in Borsa dopo novembre» Giovanni Minoli Giovanni Minoli u pagina 20

Ingegner Caio, conosceva già Renzi quando le ha proposto di fare l'amministratore delegato di Poste?

Sì, l'avevo incontrato durante l'attività di agenda digitale quando era solo segretario del partito.

Sintonia immediata sul da fare?

Abbastanza, in termine di stile e contenuti.

Sul nome del Presidente delle poste è stato consultato?

No.

Nessun problema con le deleghe con lei?

Nessuno.

Tutte sue?

Quasi.

Lei è un manager internazionale. Scelto per privatizzare e conquistare i mercati. Le è piaciuto il discorso di

Renzi al Parlamento europeo?

Sì, perché rimette un po' la politica al centro, dà una visione.

Adesso il suo compito è portare in Borsa le Poste. Renzi dice novembre o giù di li.

È possibile?

Noi vogliamo farlo bene, impiegheremo il tempo necessario. È un passaggio importante per un'azienda

complessa ma anche per il paese.

Novembre è un po' presto?

Potrebbe essere un po' presto.

Con il ministro Padoan ha concordato il percorso?

Stiamo lavorando a stretto contatto e piena sintonia. Valutiamo tutte le fasi poi, insieme, faremo il piano.

Padoan si aspetta 6-8 miliardi per il Tesoro. Sono realistici?

Dipenderà molto dal piano, dipenderà molto anche da come i mercati valuteranno quello che faremo come

azienda e la credibilità di quello che prometteremo ai mercati.

Molto diplomatico?

Sui numeri non si scherza.

Ha problemi di comprensione con il ministro Padoan?

No, assolutamente.

Siete in perfetta sintonia?

Assolutamente.

Ha trovato l'azienda che si aspettava o diversa?

Ho trovato un'azienda un po' più debole di quello che mi aspettavo sul versante della logistica: con l'8% di

quota di mercato nei pacchi c'è tanta strada da fare. Ma allo stesso tempo ho trovato anche un'enorme forza

che sono le persone e le relazioni umane.

Torniamo alle Poste e alla Borsa. Sarà facile andare dagli investitori e dire che siete in Alitalia?

Noi abbiamo l'obiettivo di svilupparci nella logistica. Può una partecipazione in Alitalia essere funzionale a

questo percorso? Quanto bisogna pagare per farlo? Se ci sono risposte positive a queste domande ha senso

starci, se no no.

Vi convince il business plan di Etihad?

Mi sembra che contenga degli elementi di grande interesse e per noi sia basato su ipotesi solide. Vediamo

come evolve.

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 119

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I pensionati e i piccoli risparmiatori che danno soldi a Banco Posta, saranno contenti di vedere i loro soldi

usati per salvare l'Italia?

Se c'è una logica industriale, se c'è una logica finanziaria, l'investimento ha senso. Se no, no.

Come pensa di evitare l'effetto Fincantieri con i grandi fondi che fuggono?

Bisogna spiegare bene al mercato cosa si sta vendendo.

Oggi in molte zone del Paese le Poste sono l'unico presidio dello Stato. Per andare in Borsa potrete

mantenere il servizio postale universale?

Questa è una delle domande centrali che fondano le nuove poste. La comunità ha chiesto e chiederà di

fornire un servizio: bisogna definirne bene confini e modalità perché questo ha dei costi e gli investitori, piccoli

o grandi, vorranno capire quali sono i nostri obblighi, la nostra missione di servizio prima di investire.

Si parla di 30mila esuberi.

Quando si fanno i piani industriali si danno i numeri. Non diamo i numeri, guardiamo agli obiettivi

dell'azienda.

Dopo l'ultimo consiglio di amministrazione avete fatto un comunicato unitario. Un metodo innovativo di

gestione?

È la palestra verso la privatizzazione, il mercato ha interesse di capire che cosa succede in azienda. Dare

trasparenza dà valore.

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Foto: L'intervista a Mix 24. Giovanni Minoli e Francesco Caio (a destra)

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 120

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RIFORME/2 Il coraggio di un fisco dal volto umano Salvatore Padula Al governo rimangono meno di 270 giorni per varare i decreti di attuazione della delega fiscale. Un periodo

non breve ma neppure lunghissimo, vista la quantità di provvedimenti che dovranno essere predisposti. La

macchina dell'attuazione, come sappiamo, si è comunque messa in moto e i primi decreti, Catasto e

semplificazioni, sono stati approvati in via preliminare. Sulle semplificazioni, in particolare, è arrivato un testo

con oltre una ventina di misure anti-burocrazia, che contiene molti elementi positivi ma che certamente non

può che rappresentare un primo passo nella direzione indicata dalla delega. Anzi, a dirla tutta, quello schema

di decreto colpisce più per le assenze (nessun intervento sulla responsabilità negli appalti né sulle società in

perdita) che per le misure previste, non foss'altro perché molti interventi in arrivo facevano già parte di un

pacchetto di semplificazioni che giaceva in Parlamento dal luglio dell'anno scorso.

Se questo è lo scenario, è evidente come sia urgente per il governo - che ha posto l'attuazione della delega

fiscale tra i suoi obiettivi prioritari - imprimere un'accelerazione all'approvazione dei decreti previsti dalla

delega stessa, cercando di compiere qualche importante passo avanti prima della fine del mese, quando

potrebbero essere esaminati sia un nuovo decreto di semplificazione, legato al riordino dei regimi fiscali sia

l'attesissimo testo sull'abuso del diritto.

Sono due temi molto distanti tra loro: il primo rivolto al mondo dei piccoli contribuenti e l'altro a quelli medio-

grandi e più strutturati. Ma sono due temi che, in linea di principio, rispondono a una stessa logica.

La delega punta alle semplificazioni attraverso il riordino dei regimi fiscali e la revisione degli adempimenti

(anche quelli di sostituti d'imposta e intermediari). Ma è evidente come la "certezza del diritto" rappresenti, in

fondo, il prerequisito di ogni processo di semplificazione. Un sistema fiscale semplice è, innanzi tutto, un

sistema caratterizzato da norme chiare, certe e (possibilmente) stabili nel tempo.

È un sistema che riduce al minimo i margini di interpretazione delle norme. È un sistema che sa combattere

con tutti i mezzi i fenomeni di evasione e di elusione ma che, al tempo stesso, sa riconoscere in modo non

estemporaneo le differenze tra i comportamenti illeciti e il legittimo risparmio di imposta.

Il che è come dire che una vera semplificazione non può che partire dalle norme sostanziali, dalle regole che

governano le singole imposte e la determinazione degli imponibili. E nella delega, in vero, non sembrano

esserci ampi margini in questa direzione, pur con qualche eccezione.

La storia recente (e anche quella meno recente) del nostro sistema fiscale è una storia di continue fughe in

avanti e retromarcia tra semplificazioni e nuove complicazioni (un esempio su tutti: arriva l'elenco clienti-

fornitori; viene soppresso l'elenco-clienti fornitori; ritorna sotto nuova veste l'elenco clienti-fornitori). I numerosi

tentativi del passato ricordano quanto il processo di semplificazione sia in realtà un processo molto

complesso da realizzare, forse perché - come accennato - solo in rari casi si è partiti dalla "base", ovvero

dalle regole che governano i tributi. Processi che hanno dovuto necessariamente fare i conti con la politica,

con i governi, con i parlamenti. Ma che forse soffrono di un altro peccato originale: spesso il compito di

semplificare è stato affidato alle stesse persone - le burocrazie dell'amministrazione - che hanno prodotto le

complicazioni.

La delega, sia chiaro, non è solo semplificazioni. Le sanzioni, il contenzioso, l'abuso del diritto di cui si è

detto, il Catasto, l'evasione, le agevolazioni e molto ancora, sono punti altrettanto rilevanti. Ma sulle

semplificazioni ci si gioca molto. E tutti si aspettano molto, perché un lavoro ben fatto ed efficace, in una

delega che non porterà sconti di imposta, potrà almeno contribuire a ridurre i costi (pesanti) legati agli

adempimenti. Senza scordare una vecchia regola: quella di verificare con attenzione l'impatto reale delle

novità. Troppo spesso, in passato, persino i migliori propositi di semplificazione hanno finito per tradursi in

nuove complicazioni.

05/07/2014 1Pag. Il Sole 24 Ore(diffusione:334076, tiratura:405061)

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 121

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 122

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RIFORME/ 1 Il coraggio di regole per un lavoro «semplice» Alberto Orioli L'Italia intenzionata a far prevalere l'Europa dei cittadini e del lavoro versus l'Europa degli egoismi rigoristi e

burocratici non può permettersi di fallire l'appuntamento del varo della delega sul lavoro. La discussione in

Senato entra nel vivo la prossima settimana: avrà, oltre al normale carico "emozionale" che caratterizza

l'argomento da almeno 40 anni, anche un'attenzione specificamente europea, con gli occhi degli altri partner,

primi quelli di Angela Merkel, pronti a cogliere da questa prova parlamentare i segnali di vera svolta nel

riformismo italiano. Che, non va dimenticato, è l'unica moneta di scambio per un'Italia intenzionata a

"comprare" la flessibilità di cui c'è gran bisogno per evitare l'insostenibile maratona di riduzione del debito

imposta dal fiscal compact e ormai diventata proibitiva in tempi di deflazione e di crescita prossima allo zero.

Non ci sarà spazio per nuovi ammortizzatori sociali se questi diventeranno una fonte di spesa pubblica

aggiuntiva e non invece misure di redistribuzione delle risorse esistenti o remunerate secondo nuovi sistemi

"assicurativi" per categorie che oggi non concorrono al finanziamento di strumenti di sostegno di cui, però,

usufruiscono.

Sarebbe una nuova Italia dell'azzeccagarbuglio quella di una delega che introducesse un'ulteriore fattispecie

contrattuale quando invece annuncia di voler semplificare la giungla dei rapporti di lavoro e delle forme

contrattuali. La delega si impegna a introdurre il contratto a tutele crescenti, ma la riforma dei contratti a

termine ne ha molto ridotto l'utilità. La domanda nuova è: come si fa a rendere ancora più competitivo-

conveniente il contratto a tempo indeterminato? Sarà decisivo che i senatori abbiano questo quesito come

obiettivo strategico. Per rendere, finalmente, semplice sia l'ingresso nel mondo del lavoro sia l'uscita dal

mercato del lavoro. Senza guerre di religione sull'articolo 18.

L'Europa ci guarda: non sarebbe una grande performance quella di un Paese che, ancora una volta,

privilegiasse un testo anodino e ambiguo avendo già il retropensiero di una gestione quotidiana da affidare

alla conflittualità permanente di fronte ai giudici, finora veri delegati-ombra per la gestione di una materia

tanto delicata e cruciale.

La delega deve diventare l'occasione - a dirla con Renzi - per «cambiare verso» formulando una legge che

sia finalmente chiara e leggibile, frutto di scelte politiche coraggiose e limpide.

L'Europa guarderà molto anche all'atteggiamento che l'Italia avrà nella discussione sul salario minimo: gli 8,5

euro l'ora decisi dalla Germania spiazzerebbero molti dei posti di lavoro esistenti da noi. La scelta di una

soglia, per natura sua, include ed esclude intere porzioni di popolazione e non può non considerare, Paese

per Paese, il modello di relazioni sociali e di contrattazione oltre ai livelli salariali e le dinamiche del mercato

del lavoro. L'Italia resta il Paese europeo più ancorato a un modello robusto di contrattazione nazionale e

aziendale che dà certezze alle parti le quali, tra l'altro, dopo 60 anni, con l'intesa sulle regole per la

rappresentanza, hanno scelto - all'unanimità - di rendere esigibili (erga omnes) gli accordi superando il

vecchio criterio del conflitto con quello della responsabilità delle regole. Il sistema dei contratti ha garantito,

finora, un flusso regolare e compatibile di risorse, l'unico ad avere contrastato, seppure solo in parte, il calo

della domanda (con l'aumento dello 0,6% su base annua del reddito disponibile, corretto in peggio dal potere

d'acquisto delle famiglie che cala dello 0,2% annuo). Sarebbe grave se poi il salario minimo fosse pensato

per scardinare la contrattazione e portare, in un Paese dove la coesione sociale è un valore economico, il

free riding del tutti contro tutti, passando per una definizione tutta "politica" della somma minima. È di buon

auspicio il fatto che nella delega questa misura sia considerata solo «eventuale».

Il segnale di fondo che la delega dovrebbe dare è quello del cambio di rapporti all'interno delle voci di

bilancio del sistema del welfare. E dare al ministero anche qualche chance in più nel duello costante con la

Ragioneria e il ministero dell'Economia che vede oggi perdente il dicastero guidato da Giuliano Poletti. L'Italia

- ed è una contestazione che più volte Bruxelles ha mosso a Roma - ha una gestione praticamente

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 123

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inesistente nelle politiche attive. Vale a dire in quelle azioni pubbliche e private che aumentino il valore del

capitale umano, che rendano più semplice l'incontro tra domanda e offerta di lavoro, che facilitino

l'autopromozione dei lavoratori potenziali e creino banche dati efficienti per il reale funzionamento del più

delicato dei mercati, quello del lavoro appunto. La delega, inoltre, sembra sottovalutare l'impatto

costituzionale che avrebbe la creazione della nuova Agenzia nazionale, partecipata da Stato, Regioni e

Province e vigilata dal ministero, per la gestione dei servizi all'impiego. Purtroppo finora queste materie sono

state una delle tante vittime della riforma del Titolo V: sono le Regioni titolari, secondo l'ultima versione del

testo costituzionale, di queste materie e, di certo, non hanno dato buona prova. Non è da escludere - e i

giuristi sono all'opera - che la nuova Agenzia nazionale abbia bisogno di un imprimatur di natura

costituzionale e debba finire nel grande calderone delle riforme istituzionali a cominciare dalla revisione del

Titolo V e dei poteri regionali. Una ennesima formulazione ambigua però rischierebbe solo l'impugnazione

dopo pochi giorni: né avrebbe senso se si aggiungesse alle strutture già esistenti (Isfol, Italia Lavoro, le

diverse agenzie regionali) creando solo duplicazioni e, di fatto, clientele. Una certezza però c'è: al Paese

serve una struttura efficiente che possa collegare i servizi all'impiego alle erogazioni degli ammortizzatori

sociali e dove pubblico e privato possano collaborare in modo sinergico e, dove utile, sussidiario.

Anche in questo caso, per l'Italia si profila un test di riformismo. Quello che l'Europa ci chiede di superare a

pieni voti. Un riformismo efficiente e facile da applicare. Insomma, per dirla con gli hashtag come si usa ora:

#lavorosemplice. Semplice da creare, da gestire, da trovare.

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 124

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Amazon e il fisco globale da armonizzare Giorgio Barba Navaretti L'inchiesta della Commissione europea sulle condizioni fiscali del Lussemburgo ad Amazon è un nuovo

episodio del match tra autorità dell'Unione e imprese multinazionali. Una lunga storia a cui bisognerebbe

porre fine armonizzando la tassazione dei redditi di impresa in Europa (ovviamente non ai livelli italiani). Le

multinazionali approfittano delle loro operazioni globali per abbassare gli oneri fiscali e pagare meno tasse di

chi opera solo nell'ambito dei confini nazionali, soprattutto in paesi con aliquote elevate. Il meccanismo è

semplice: aumentare quanto più possibile i profitti nei paesi dove le tasse sono basse e ridurli dove il fisco è

più esoso. Anche in Europa, nonostante il mercato unico, c'è un fortissimo divario nel livello di tassazione tra

paesi. Ovviamente, in periodi di risorse scarse e vincoli stringenti ai bilanci pubblici queste strategie non sono

molto ben viste. Si tratta di strategie fiscali compiute in genere nell'ambito della legalità. Come sostiene

l'Ocse, le imprese sfruttano i trattati contro la doppia tassazione (pagare solo di qua o solo di là) per

beneficiare legalmente di una doppia non-tassazione (non pagare né di qua, né di là). Il problema è però la

complessità della normativa, soprattutto per quel che riguarda i prezzi di trasferimento nelle transazioni intra-

gruppo. Ossia il prezzo a cui una filiale di una multinazionale nel paese A paga un bene o un servizio fornito

da un'altra filiale della stessa multinazionale nel paese B.

Per il fisco questo prezzo deve essere equivalente a quello di mercato, altrimenti potrebbe essere alterato

per spostare i profitti da un paese all'altro sfruttando i diversi livelli di tassazione. Facile a dirsi, ma qual è ad

esempio il prezzo giusto per l'utilizzo del marchio che le filiali italiane delle imprese multinazionali devono

riconoscere alle loro case madri? Difficile a farsi. Così è stato introdotto il meccanismo del ruling: autorità

fiscali e impresa concordano una determinata procedura di imputazione di costi e prezzi. Se l'impresa rispetta

la procedura, finché le regole non cambino o comunque per un periodo di tempo fissato, non è sanzionabile.

Il ruling, dunque, serve ad eliminare l'arbitrarietà tra imprese ed autorità fiscali nella valutazione di transazioni

internazionali complesse. Rimane però in piedi l'arbitrarietà delle autorità nella scelta delle condizioni che si

considerano accettabili. Per Amazon e in altri tre casi recenti, Fiat Finance in Lussemburgo, Apple in Irlanda

e Starbucks in Olanda, la Commissione europea ritiene che le condizioni garantite nei rispettivi ruling dalle

autorità fiscali possano essere discriminatorie, che abbiano favorito queste compagnie rispetto ad altre e

dunque prefigura una procedura di aiuti di Stato illegali.

La controversia multinazionali - Commissione è figlia di un sistema di regole complesso, arbitrario e che non

è in grado di tenere conto della complessità contemporanea delle transazioni globali. La Commissione ha

cercato in parte di arginare il problema proponendo un consolidato fiscale per le imprese multinazionali, in

base al quale ogni compagnia verrebbe tassata sulla base del suo profitto consolidato europeo. Ma siccome

ogni paese manterrebbe l'autonomia di tassare la quota di profitti di sua pertinenza al livello che preferisce è

stato dimostrato che questa procedura introdurrebbe nuove complessità amministrative e burocratiche,

manterrebbe una forte arbitrarietà nell'attribuzione dei profitti tra paesi e non eviterebbe pratiche ad hoc di

prezzi di trasferimento.

Almeno per quel che riguarda l'Unione europea, la soluzione è l'armonizzazione della tassazione dei redditi

di impresa. Questo renderebbe le imprese multinazionali totalmente indifferenti sulla geografia dei loro profitti

nell'ambito dell'Unione ed eliminerebbe ogni politica di prezzo di trasferimento. Scapperebbero le

multinazionali dall'Europa verso lidi più favorevoli? Non credo. La semplificazione e la maggiore certezza dei

regimi fiscali probabilmente più che compenserebbero l'aumento dell'aliquota media. Ci sarebbe una

redistribuzione di risorse fiscali tra paesi? Anche qui non credo, l'effetto potrebbe essere in gran parte

neutrale. Ci sarebbe infatti una maggiore identità tra la geografia dei profitti e degli oneri fiscali e delle attività

effettive che li generano. I paesi con un livello di tassazione più elevata, potrebbero compensare la riduzione

delle entrate fiscali dovute ad un abbassamento delle aliquote con un allargamento della base fiscale.

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 125

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L'effetto opposto si otterrebbe in paesi oggi a bassa tassazione (aliquote più elevate su una base minore). Ci

sarebbe una redistribuzione di attività reali? Forse un'uscita dai paesi il cui unico vantaggio è quello fiscale.

Ma se questi sono paesi o regioni più arretrati, qui il peggioramento delle condizioni fiscali potrebbe essere

compensato da un uso più aggressivo degli aiuti di Stato (in questi casi permessi). Insomma,

l'armonizzazione della tassazione di impresa dovrebbe essere un ovvio primo passo verso l'unione fiscale.

barba @unimi.it

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AGENDA ITALIA/2 Meno spesa e meno tasse, due cose da fare assieme Roberto Perotti Matteo Renzi è andato al Parlamento europeo e ha fatto quello che si era ripromesso e che gli suggeriva il

suo enorme fiuto politico: «Battere i pugni sul tavolo in Europa», come tanti vogliono in Italia. Ha suscitato la

reazione di parlamentari, ministri e banchieri centrali tedeschi: che cosa c'è di meglio per la sua immagine in

Italia?

Compiuta la missione, bisogna però tornare alle cose concrete. Renzi deve programmare la strategia per i

prossimi anni di governo. Per farlo, deve lasciar perdere le solite diatribe tra filo- e anti-tedeschi, europeisti e

anti-europeisti, fautori del rigore e fautori della flessibilità.

Deve semplicemente chiedersi: supponiamo che non esistano il Trattato di Maasticht, il Patto di stabilità e

crescita, il Six- e il Two-pack, il Fiscal compact: che cosa vorrei fare per l'Italia nei prossimi tre anni? Le

regole europee, diciamo la verità, sono quasi irrilevanti. Se l'Italia sfora il 3 per cento del disavanzo, o non

riduce il rapporto debito/Pil del 5 per cento l'anno, gli altri paesi non possono mandarle i carri armati. Qualche

burocrate della Commissione avrà il suo giorno di gloria bacchettando il governo italiano, qualche politico

tedesco o finlandese rilascerà una dichiarazione, e finirà tutto lì. Chiunque abbia letto il testo dei trattati

attentamente sa che non c'è nient'altro di importante che può succedere (eccetto, alla fine di una trafila

lunghissima e che non verrà mai intrapresa, una multa massima dello 0,1 per cento del Pil).

Personalmente, credo che la risposta che Renzi si darà alla domanda di partenza sarà molto semplice.

L'Italia è strangolata dalle tasse: bisogna ridurle.

Ma come? Renzi, anche perché giustamente preso dalle riforme istituzionali, ha scelto un approccio

rischioso: tagliamo prima le tasse, e poi si vedrà. È rischioso, perché i governi italiani hanno una lunga

tradizione di annunci roboanti di tagli di tasse, che poi si sono dovuti rimangiare. Ancora peggio se taglio delle

tasse ma contemporaneamente ne alzo altre, come purtroppo è successo.

Roberto Perotti

L'unica strategia che funziona e che dimostra una decisa discontinuità con il passato è quella di ridurre le

tasse assieme alla spesa pubblica. È un approccio lento, perché per ridurre la spesa pubblica ci vuole tempo.

Ma ha anche l'enorme vantaggio che crea, per la prima volta in Italia, un gruppo di pressione, una

constituency, in favore della riduzione di spesa, sia nel paese sia all'interno del governo. Per attuare questa

strategia, Renzi deve rinunciare all'illusione che la politica di bilancio possa fare uscire l'Italia dalla crisi con il

botto. La famosa «scossa» è un'illusione pericolosa. Certo, non c'è niente di più facile che creare una crescita

effimera con la politica di bilancio, riducendo le tasse di 50 miliardi o aumentando la spesa di altrettanto. I

paesi sudamericani negli anni 80 e 90 erano maestri in queste operazioni: ogni nuovo presidente, appena

eletto, le faceva, e poi le ripeteva a un anno dalla fine del mandato per cercare di essere rieletto. All'inizio

funzionava, ma poi arrivava il redde rationem e il paese si ritrovava in ginocchio. E si fa sempre l'esempio dei

tagli alle tasse di Ronald Reagan, all'inizio del suo mandato: ma ci si dimentica che poco dopo fu costretto a

rialzarle più di prima, perché non era stato capace di ridurre la spesa (soprattutto quella militare).

Se vuole rendere un servizio al paese, e a se stesso, Renzi deve prenderesi un orizzonte un po' più lungo.

Non deve cedere alle sirene che gli suggeriscono di tagliare trenta miliardi di tasse subito, tanto poi i tagli di

spesa si troveranno. Dimostri invece, per la prima volta in Italia, che la riduzione della spesa pubblica

concreta, seria, vera, continua, duratura, è possibile. Sarà un lavoro lungo, oscuro, puntiglioso. Per gli

economisti è facile dire: «Bisogna tagliare trenta miliardi di spesa pubblica», senza dire dove e come. Nella

realtà si tratta di trovare venti milioni (non miliardi!) qui e trenta là, giorno dopo giorno. Per questo il lavoro del

commissario alla spending review, Carlo Cottarelli, e dei suoi collaboratori è fondamentale e dev'essere la

priorità del governo.

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 127

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 128

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AGENDA ITALIA/1 Con un pegno sulle riforme saremmo più credibili Alberto Quadrio Curzio Il presidente del Consiglio Renzi con l'intervento al Parlamento europeo ha mobilitato l'attenzione dei governi

europei, dell'opinione pubblica e dei media che ne hanno dato vari giudizi. Positivi da chi ha apprezzato

l'enfasi sui valori fondanti per il futuro dell'Europa; di attesa da chi chiede la traduzione in numeri degli

enunciati; negativi da chi elogia solo il dogma del rigore. Ritorniamo qui sul discorso ed anche sul documento

«Europa. Un nuovo inizio» presentato dal governo per il semestrale italo-europeo.

Politica ed economia. Dal punto di vista politico il discorso di Matteo Renzi è stato importante per almeno

due motivi: perché ha dato forza a chi nel Parlamento europeo si accinge a votare sul presidente della

Commissione europea e sui commissari in base a un programma e non solo alle credenziali personali;

perché ha mostrato agli euro-scettici e agli euro-intimoriti(dal dogma numerico del rigorismo) che si può

parlare chiaro nella più importante sede della democrazia europea (il Parlamento) di uno sviluppo dove

politica, società ed economia sono inscindibili.

Dal punto di vista economico Renzi ha ricordato che il Patto di stabilità e crescita non può essere tradotto

solo in termini di rigore ma va reso compatibile con quelle riforme strutturali che portano a una occupazione

durevole e a una crescita sostenibile su cui l'Italia s'è impegnata ma sulle quali anche la Ue deve fare la sua

parte.

Sono valutazioni che pesano perché nelle elezioni europee il Pd di Renzi è l'unico partito davvero vincente,

così dando un contributo determinante all'europeismo e alla tenuta del Partito socialista europeo (Pse) che

nel Parlamento europeo ha il tedesco Schulz quale presidente e l'italiano Pittella quale primo vicepresidente

(oltreché capogruppo del Pse). È un Parlamento che dovrà contare di più e dove la corrente rigorista non ci

sembra maggioritaria e non solo perché Schulz ha sempre avuto una impostazione attenta alla crescita.

Alberto Quadrio Curzio

Il nervoso agitarsi dei "falchi rigoristi" tedeschi alla Manfred Weber (capogruppo dei Popolari al Parlamento

europeo) e alla Jens Weidmann (presidente della Bundesbank), non avvallati dal cancelliere Merkel e dal

ministro dell'Economia Wolfgang Schäuble, mostra che l'effetto politico delle elezioni c'è stato e che si aprono

delle prospettive per la crescita sulle quali ci vuole un impegno costante e concreto.

Crescita e occupazione europea. Il programma italiano («Europa. Un nuovo inizio») per il semestre di

presidenza europea è molto ampio (80 pagine!) ma ha chiare priorità su alcune delle quali bisogna

soffermarsi con qualche contronto.

Il "quadro strategico italiano" pone al primo punto un'Europa per il lavoro e la crescita economica da

perseguire con riforme e innovazioni nazionali ed europee che vadano oltre il semplice coordinamento tra

Paesi. Perciò si chiede una governance più forte della Ue per attuare «Europa 2020» che viene così rimessa

al centro mentre nell'ultimo Consiglio europeo (che ha parlato più di rigore che di crescita) era citata di

sfuggita. Una governance più forte è anche richiesta per l'approfondimento dell'Eurozona che non può

reggersi solo sull'euro e sulla Bce ma che deve rafforzarsi in base al progetto dei 4 presidenti (Commissione,

Consiglio, Bce, Eurogruppo) «verso un'autentica Uem».

La declinazione settoriale di queste strategie vede al primo posto l'industria, l'occupazione, l'istruzione, la

formazione, l'innovazione al fine di migliorare la competitività e la capacità di dare un futuro ai giovani

europei. Sono i grandi temi di economia reale su cui la Ue e la Uem hanno fatto troppo poco negli ultimi sei

anni. Si richiama esplicitamente il progetto di «rinascimento industriale» della Ue, l'integrazione tra istruzione

e formazione con apprendistato, il programma europeo per l'occupazione giovanile, la flessibilità

nell'occupazione, gli investimenti in R§S e infrastrutture, il finanziamento a lungo termine dell'economia reale

con il pieno utilizzo della Banca europea per gli investimenti (Bei), in collaborazione con le banche nazionali

di promozione degli investimenti (ovvero le Casse depositi e prestiti).

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 129

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Sono temi su cui vi è forte concordanza con la Bdi (Federazione delle industrie tedesche) il cui direttore

generale, Markus Kerber, ha chiesto con forza (Il Sole 24 Ore del 3 luglio) sia il rilancio degli investimenti,

dell'industria e delle infrastrutture europee molto penalizzate nella crisi, sia una forte collaborazione italo-

tedesca proponendo infine un rafforzamento del «Consiglio competitività» per la governance europea

dell'economia reale.

Kerber cita la Bei che stima in 470 miliardi di euro gli investimenti infrastrutturali annui necessari alla Ue per

mantenere un trend storico proiettato al 2030. Più precisamente la Bei ipotizza addirittura 700-800 miliardi

annui per rinnovare, unificare e innovare le infrastrutture europee improntate alla sostenibilità.

Una conclusione sull'Italia. Intanto noi continuiamo a non crescere malgrado si vedano sintomi di ripresa. Un

recente, notevole, studio di "Mediobanca securities" segnala che per rispettare il fiscal compact dovremmo

avere per i prossimi 20 anni un avanzo primario del 5% e una crescita del Pil del 2% ogni anno. Il che è

impossibile quali che siano le nostre riforme strutturali, che tra l'altro rendono il più delle volte sul medio-lungo

termine. Proprio per fare queste riforme e far crescere l'economia abbiamo bisogno di più flessibilità sugli

investimenti che prima della crisi erano al 22% del Pil e ora sono al 17% con una differenza di 70 miliardi.

Renzi lo sa e perciò riteniamo che aumenterà la pressione politica per più flessibilità di bilancio finalizzata alla

crescita. La correzione di bilancio per 10 miliardi di cui si parla sottovoce andrà perciò respinta ai mittenti non

per rinviare le riforme ma per accelerare la crescita. Per dare concretezza alla nostra determinazione su

riforme-crescita potremmo dare in pegno alla Bce e/o alla Commissione europea 10 milioni di once d'oro delle

nostre riserve ufficiali (che sono in totale 79 milioni di once) equivalenti a 10 miliardi di euro circa al prezzo

medio 2009-2013, condizionando la restituzione in base a frazioni di calo nel debito su Pil. Nulla lo vieta

anche senza riandare al 1974-1978 quando la Germania ci fece un prestito (che oggi non chiediamo) solo

contro la garanzia aurea. Saremmo così nell'ambito della continuità innovativa e del solidarismo liberale che

piace a molti europeisti.

© RIPRODUZIONE RISERVATA LA PAROLA CHIAVE Patto di stabilità e crescita Approvato nel 1997 e

riformato nel 2005 e nel 2011, il Patto di stabilità e crescita stabilisce - chiarendo quanto previsto a Maastricht

- che gli Stati che hanno aderito all'euro devono rispettare vincoli sul bilancio: deficit pubblico non superiore al

3% del Pil e un debito pubblico al di sotto del 60% del Pil (o un debito pubblico tendente al rientro). In caso di

sforamento del 3%, scatta la procedura per deficit eccessivo che tuttavia, prima di arrivare a sanzioni,

concede allo Stato membro tempo per risanare il bilancio. Sul vincolo del 60% c'era in passato un

atteggiamento meno intransigente: dopo l'introduzione del "Six Pack", la sorveglianza sul debito è più

stringente. Furono i francesi, negli anni 90, a insistere per battezzare il patto non solo "di stabilità" ma anche

"di crescita".

Foto: Confronto. Il governatore della Bundesbank, Jens Weidmann, e il ministro dell'Economia tedesco,

Wolfgang Schaeuble. Weidmann ha ribadito negli ultimi giorni le sue posizioni più «rigoriste», ma dalla

cancelliere Merkel (e dal suo ministro dell'Economia) non è giunto un netto avallo della sua linea.

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 130

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L'INTERVENTO Il buon uso dei fondi chiave del rilancio Alessandro Laterza In occasione della presentazione, il 26 giugno, del Rapporto del Centro Studi Confindustria sugli Scenari

economici, sono state illustrate, alla presenza del sottosegretario Delrio, le considerevoli criticità e opportunità

riguardanti i fondi strutturali europei e i fondi nazionali per la coesione. Alessandro Laterza

Considerando la coda del ciclo di programmazione 2007-13 e il nuovo ciclo 2014-20, parliamo di circa 170

miliardi per l'Italia, per il 75% allocati nel Mezzogiorno, comprensivi del cofinanziamento nazionale e

regionale. Nessuno dei problemi relativi alla velocità e alla qualità della spesa è stato sottaciuto. Nello stesso

tempo, si è dimostrato - numeri alla mano - che la spesa per investimenti per circa il 50% al Sud e per circa il

25% nel Centronord potrà essere coperta per questa via e che questo è un nodo essenziale per contrastare il

crollo degli investimenti pubblici e privati (-30% nel confronto 2007-2012), nel mentre la spesa pubblica

corrente ha ripreso a volare (+5,7% nel Centronord; +3,2% nel Centrosud nel confronto 2011-2012).

Rispetto a questo insieme di questioni che sono di interesse - mi piace sottolinearlo - nazionale, per

Confindustria è prioritario il tema della nettizzazione del cofinanziamento nazionale e regionale dei fondi

europei dal computo del patto di stabilità europeo e, quindi, da quello interno delle regioni e degli Enti locali.

Come abbiamo mostrato in modo chiaro, se questo ostacolo non verrà superato, non saremo in grado di

sostenere adeguatamente i cicli di spesa. La provvista di copertura, a suo tempo predisposta sapientemente

dal ministro Barca, è stata già impiegata in gran parte e ne residua circa 1 miliardo per il solo 2014.

In termini politici, nell'incontro del Consiglio dei capi di Stato europei dello stesso 26 giugno, il Governo

italiano ha posto con forza la questione, insieme a quella dell'attenuazione dell'obiettivo per l'Italia di

conseguire il "pareggio strutturale" entro il 2015. È altrettanto certo che, per il momento, non vi è stato alcun

risultato concreto se non il ribadimento delle opportunità di flessibilità del Patto già sancite con la riforma del

2005. Come ha ricordato lo stesso Delrio qualche giorno fa in Senato, bisogna pervenire al più presto alla

definizione della modalità operativa di questa flessibilità. Dobbiamo dunque confidare che il pacchetto di

riforme strutturali cantierizzate dal nostro Governo vadano ad effettivo compimento in misura significativa per

rendere percorribili, nel corso del Semestre di presidenza italiana del Consiglio europeo, aggiustamenti

indispensabili per ridare slancio economico e civile non solo all'Italia ma a tutta la compagine europea.

Nelle more - dal momento che non ci facciamo mancare mai niente - si sproloquia in libertà. Il leader del

Movimento Cinque Stelle ha esclamato in conferenza stampa presso il Parlamento europeo, a Strasburgo:

«Non date finanziamenti all'Italia. Scompaiono tutti in tre regioni: Calabria, Sicilia e Campania e quindi a

mafia, 'ndrangheta e camorra». Rifioriscono fantasiose ipotesi sulla rinuncia al cofinanziamento nazionale ai

fondi strutturali e, anzi, anche ai fondi strutturali stessi (da ultimo Perotti e Teoldi, «Il disastro dei fondi

europei», su Lavoce.info). Non entro nel merito specifico del fondamento politico e fattuale di queste

posizioni. Il tempo è una risorsa scarsa. Mi limito a ribadire ciò che dovrebbe essere ovvio: il bilancio europeo

2014-20 per la coesione, i fondi strutturali, il criterio di riparto dei fondi, la disciplina del cofinanziamento

nazionale non sono plastilina che può essere modellata a capriccio di ciascuno di noi; sono il frutto di accordi

e impegni formali che investono l'Italia e tutti i paesi dell'Ue. Se a qualcuno non piacciono, c'è tutto il tempo

per cambiare. Ma fino al 2020, anzi al 2022, queste sono le regole del gioco e dentro queste dobbiamo

giocare, provando, come ha fatto Confindustria, ad individuare criticità e possibili soluzioni, più che

immaginare improbabili scorciatoie. Essere un Paese serio è un mestiere difficile. Bisogna innanzi tutto

crederci. Forse è tempo di rendersene conto.

Vicepresidente Confindustria per il Mezzogiorno e le Politiche territoriali

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 131

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Sorpasso «storico» su Wall Street nei debutti delle matricole: superata anche l'Asia Ipo in Borsa, Europa batte Usa Nella Ue già raccolti 37 miliardi - Milano meglio di Francoforte Vito Lops Nei primi sei mesi le quotazioni in Borsa in Europa hanno superato (per controvalore) quelle statunitensi (26

miliardi) e quelle asiatiche (16 miliardi). Nel complesso sono approdate in Borsa 177 nuove società europee.

Domina la classifica Londra (con 77 Ipo). L'Italia è in forte risalita: occupa la quinta piazza con 14 Ipo e 2,4

miliardi di capitali raccolti. A cui aggiungere gli 8 miliardi già arrivati dagli aumenti di capitale.

Vito Lops u pagina 5

L'Europa sorpassa Asia e Stati Uniti in un colpo solo. Da inizio anno la raccolta sui mercati di capitali

attraverso collocamenti di società in Borsa nel Vecchio continente ha superato i 37 miliardi. Un dato

straordinario, superiore alla raccolta (nello stesso periodo) degli ultimi tre anni messi insieme. Nella prima

metà del 2013, infatti dalle Ipo (Initial public offering) europee erano arrivati 9,3 miliardi, 4,2 miliardi nel

medesimo arco temporale del 2012 e 18 miliardi per ciò riguarda la prima fetta del 2011.

Per avere ben chiare le proporzioni il dato di quest'anno - come emerge dalle rilevazioni di Dealogic - è 84

volte superiore al minimo degli ultimi tempi toccato nel 2007 (446 milioni), anno in cui ha preso il là la crisi dei

derivati subprime che, partita dagli Stati Uniti, ha fatto il giro del mondo culminando con il fallimento di

Lehman Brothers e causando la recessione economica "double dip" nelle economie avanzate nel 2009 e nel

2012.

Il dato europeo è più che doppio rispetto a quello archiviato in Asia (escluso il mercato giapponese) dove

sono stati raccolti 15,8 miliardi di euro. Il mercato asiatico vanta però il primato per il numero di Ipo: 194

contro le 177 europee. Leggendo questo dato con la lente di ingrandimento ricaviamo che la grandezza

media delle società che è approdata in Borsa in Europa è maggiore rispetto all'Asia.

Come vanno invece le cose negli Stati Uniti? Con Wall Street ai massimi storici (giovedì il Dow Jones ha

superato per la prima volta quota 17mila punti e secondo gli analisti nelle prossime sedute l'S&P 500

potrebbe per la prima volta nella storia toccare il territorio sin qui inesplorato dei 2mila punti) da inizio anno ci

sono state 156 Ipo (21 in meno rispetto al Vecchio Continente) per un controvalore di 26,3 miliardi di euro

(11,3 miliardi meno che in Europa). I tre quantitative easing (iniezioni di liquidità) varati dalla Federal Reserve

a partire dal 2009 si sono fatti sentire: hanno spinto il mercato azionario statunitense ai massimi spingendo in

cima anche le Ipo. La raccolta del primo semestre 2014 è ben superiore ai 18 miliardi della prima metà del

2013, ai 23 dello stesso periodo del 2012, ai 21 del 2011 e così via fino ai 19 miliardi del 2008. Insomma,

anche gli Stati Uniti stanno marciando di gran lena nella classifica delle Ipo (per la prima volta in sette anni il

giro di boa dell'anno si chiude con un numero di collocamenti a tripla cifra) ma questo non basta a insidiare i

numeri raggiunti l'Europa.

A dir la verità, gli Usa c'entrano e come in questo risultato. Perché a detta degli esperti è stato proprio il

ritorno di capitali statunitensi verso la piazza finanziaria europea (gli stessi che si erano ritirati nella fase più

acuta della crisi) a dare il turbo alle Ipo.

Il primato spetta a Londra che con un'ottantina di collocamenti ha superato i 16 miliardi di euro, il 43% del

totale del volume delle quotazioni europee. Al secondo posto l'Olanda, seppur molto staccata, con i 4,417

miliardi (ma da appena 4 Ipo). Praticamente appaiata la Francia: 4,412 miliardi diversificati però in 24

operazioni. Segue la Spagna (3,8 miliardi con 5 operazioni) tallonata dall'Italia che si piazza al quinto posto

della graduatoria con 2,4 miliardi suddivisi per 14 Ipo (si veda articolo in basso). L'Italia batte Svezia,

Danimarca, Belgio, Svizzera e persino la Germania (decima).

La sensazione è che non sia un vento passeggero. Se le società europee che scelgono il mercato primario

come fonte di raccolta di capitali stanno aumentando lo si deve anche molto, come visto, alle politiche

accomodanti delle banche centrali. Nonostante il tapering (il piano di riduzione degli stimoli monetari della

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 132

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banca centrale degli Stati Uniti), infatti, il totale degli asset della Federal reserve è raddoppiato da 1.500

miliardi di euro del 2009 ai 3.200. Come dicevamo, una parte di questi sono finiti anche sui mercati europei,

alimentando anche le richieste di collocamenti.

La Bce, invece, ha "stampato moneta a tempo" con due piani Ltro per complessivi 1.000 miliardi, quasi del

tutto drenati (gli attivi in bilancio della Bce si sono infatti ridotti dai 3mila superati nell'estate del 2012 ai 2.088

miliardi). Ma adesso Draghi stima un'immissione di liquidità per altri 1.000 miliardi attraverso i nuovi prestiti

Tltro annunciati a favore delle banche. Anche se sarà ancora una volta a "tempo" (a differenza della Fed che

potrebbe anche optare per monetizzare il debito Usa acquistato) si tratterà pur sempre di nuova linfa. Che

piace ai mercati e piace a quelle società che stanno pensando ora per la prima volta di sbarcare in Borsa.

@vitolops

© RIPRODUZIONE RISERVATA Gli sbarchi in Borsa da inizio anno IL TREND Capitali raccolti e IPO dal

2009. Dati in milioni di euro aggiornati al 4 luglio di ciascun anno L'ITALIA Capitali raccolti e IPO dal 2009.

Dati in milioni di euro 79.858 15.821 26.386 37.651 37.712 10.338 17.984 9.390 43.399 16.053 23.088 4.258

82.229 42.105 21.645 18.479 60.271 36.444 8.182 15.645 5.009 2.558 2.005 446 Asia Stati Uniti Europa

2009 2010 2011 2012 2013 2014 2009 2010 2011 2012 2013 2014 LE MATRICOLE 194 156 177 122 95 76

205 78 87 309 95 182 324 72 115 67 15 25 2 16 4 49 4 582 1 474 6 289 14 2.419 Fonte: elaborazione del

Sole 24 Ore su dati Dealogic

Foto: Gli sbarchi in Borsa da inizio anno

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 133

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Studi di settore. Versamento entro domani Unico agli ultimi calcoli Laura Ambrosi Antonio Iorio Amborsi, Iorio, Pegorin e Ranocchi u pagina 15

La scadenza di domani per il versamento delle imposte legate al modello Unico da parte di chi è sottoposto

agli studi di settore pone, in molti casi, contribuenti e consulenti davanti alla constatazione di non presentare

una situazione di congruità e coerenza.

Sebbene l'evoluzione degli studi permetta di avere risultati sempre più precisi e verosimili, quando emerge

uno scostamento è inevitabile che il contribuente abbia il dubbio se adeguarsi (e quindi versare maggiori

imposte) o meno. Da un lato, infatti, può scegliere di integrare i propri ricavi e pagare le conseguenti maggiori

imposte, dall'altro può restare fermo sui propri valori "originari" e nel caso difendersi qualora l'ufficio dovesse

avanzare delle pretese.

Occorre però tener presente che la difesa dagli studi va predisposta in anticipo rispetto a eventuali pretese

dell'amministrazione: è opportuno pertanto preparare (e conservare), da subito, tutti gli elementi che

giustificano il mancato raggiungimento delle soglie previste da Gerico.

L'accertamento da studi di settore ha subito, negli ultimi tempi, una significativa evoluzione. Se inizialmente

venivano emessi atti quasi in via automatica, con i quali erano rettificati i ricavi del contribuente solo sul

presupposto del valore risultante dall'applicazione di Gerico, dopo la decisione assunta a sezioni unite dalla

Suprema corte (26635/2009), gli uffici hanno iniziato a convocare i contribuenti per il contraddittorio

preventivo. Tale fase è necessaria per adattare i risultati statistici alla specifica realtà aziendale.

I giudici di legittimità hanno infatti affermato che la gravità, la precisione e la concordanza della presunzione

semplice derivante dall'accertamento standardizzato nascono solo in esito al contraddittorio, che va attivato

obbligatoriamente prima dell'emissione dell'atto, pena la nullità dello stesso. In questa sede, il contribuente ha

l'onere di giustificare con ogni mezzo lo scostamento e l'esclusione dagli standard considerati. È poi il giudice

tributario a valutare l'eventuale applicabilità al caso concreto, alla luce di tutte le prove offerte da entrambe le

parti.

Dinanzi a questi principi, potrebbe essere opportuno, dunque, preparare una difesa preventiva e quindi già in

sede di compilazione del modello Unico o, prima ancora, al verificarsi di particolari eventi nel corso del

periodo di imposta. Si pensi a lavori stradali eseguiti nell'unica via di accesso al negozio, oppure alla

ristrutturazione dell'edificio. Si tratta di circostanze che possono aver inciso sui ricavi conseguiti a causa della

minor visibilità del punto vendita e che si potrebbero documentare con fotografie, oltre che con le delibere o le

autorizzazioni comunali da cui risulti la durata degli interventi.

Anche la malattia, la maternità, una nuova attività esercitata in parallelo alla principale o gli esami universitari

possono aver sottratto del tempo utile da dedicare all'attività, comportando conseguentemente minori entrate.

Anche un nuovo concorrente potrebbe aver causato una contrazione degli incassi, soprattutto se per l'avvio

della nuova impresa tale concorrente ha proposto significative promozioni (sarebbe utile in questa ipotesi

conservare, da subito, i volantini pubblicitari).

Da ricordare, poi, che secondo la recente circolare 20/2014, è possibile evidenziare direttamente con il

software eventuali giustificazioni nel caso di divergenza dal risultato di Gerico. Nel caso in cui il contribuente

aderisse a tale opzione è opportuno recuperare e conservare ogni documento utile idoneo a confermare e

avvalorare quanto comunicato all'Agenzia.

Occorre infine tener presente che l'eventuale rispetto dei valori di congruità e coerenza, con o senza

adeguamento, non preclude, in astratto, all'amministrazione di verificare comunque il contribuente.

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I CONTRIBUENTI ALLA CASSA

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 134

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3,7 milioni

Sono 3,7 milioni i contribuenti soggetti a studi di settore che, a seguito della proroga, possono pagare le

imposte, senza penalità, entro domani

L'OBIETTIVO DEL FISCO 10 miliardi

L'importo complessivo che il fisco potrebbe incassare dai versamenti effettuati entro domani da oltre 4,1

milioni di contribuenti si aggira sui 10 miliardi di euro

L'ALIQUOTA DELL'ACCONTO 101,5%

L'aliquota per l'acconto di Ires e Irap da parte delle società di capitali per quest'anno è 101,5% e va

considerata nella quota di acconto da versare oraLe sentenze a favore dei contribuenti

LE PRESUNZIONIIl contribuente può dimostrare la propria condizione anche con presunzioni semplici e

ciò anche quando non ha risposto all'invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte. (Corte

di cassazione, sentenza 5675/2014)

CRISI PERSONALE Se supportato da validi elementi di prova da sottoporre al vaglio del giudice tributario, la

grave crisi personale, familiare e finanziaria, in cui versa il contribuente può essere un valido motivo per

giustificare lo scostamento. (Corte di cassazione,

sentenza 20278/2013)

BAMBINI PICCOLIRientra nella comune esperienza che i bambini molto piccoli impongono

cure parentali che riducono

il tempo e le energie che

la madre può dedicare

al lavoro e quindi non sono applicabili gli standard.

(Corte di cassazione,

sentenza 8706/2014)

DOPPIA ATTIVITÀÈ rilevante il tempo

che il professionista

dedica all'attività e

pertanto, se dimostra

il contemporaneo esercizio

di altra attività,

può essere escluso

dagli standard.

(Corte di cassazione,

sentenza 3943/2014)

PROVA ALLE ENTRATE Spetta all'amministrazione dimostrare, anche sulla

base degli elementi offerti nel contraddittorio, l'applicabilità dei parametri utilizzati all'attività in concreto svolta

dal contribuente fornendo la prova dell'attività effettivamente svolta dal contribuente,

se diversa da quella dichiarata. (Corte di cassazione,

sentenza 2368/2013)

CAMBIO DI VIABILITÀ Non sono applicabili

gli studi di settore se

cambiano la viabilità

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 135

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della strada di affaccio

del negozio,poiché l'amministrazione

deve tener concretamente conto della posizione dell'impresa.

(Commissione tributaria del Lazio, sentenza 264/14/13)

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 136

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L'INTERVISTA/LO ZAR DELLE BANCHE RUSSE DMITRIEV «Sanzioni a caro prezzo per l'Italia» Antonella Scott Antonella Scott u pagina 13

ROMA

Le notizie dal fronte ucraino - la ritirata dei separatisti filorussi da Slaviansk - potrebbero preludere a una

svolta. Ma è troppo presto per immaginare la direzione che prenderà la crisi che sta mettendo a dura prova i

legami tra Russia e Occidente, allargandosi ben oltre i confini ucraini. «Russia e Ucraina si ritroveranno, il

tempo è la medicina migliore», sorride Vladimir Dmitriev, a Roma per la riunione del D-20, l'iniziativa che

raccoglie le istituzioni finanziarie dei Paesi G-20 impegnate negli investimenti per lo sviluppo. Anche Dmitriev

lavora su un fronte. Dal 2004 è alla guida della Vnesheconombank (Veb), la banca che un tempo gestiva il

debito estero sovietico e che Vladimir Putin ha voluto trasformare in banca per lo sviluppo. È soprattutto

attraverso la Veb che passano i colossali investimenti che nel 2008/2009 hanno salvato banche e imprese

russe, o che hanno reso possibile il progetto olimpico di Sochi. E ora, è del sostegno della Veb che hanno

bisogno gli oligarchi che non riescono a ripagare in tempo i prestiti o le imprese che, proprio a causa della

crisi ucraina, faticano a trovare accesso a mercati finanziari ostili. La stessa banca di Dmitriev - nella lista dei

possibili obiettivi delle sanzioni americane - vive un momento difficile, eppure il presidente della Veb non ha

dubbi: un irrigidimento delle sanzioni troverebbe la Russia preparata. E, al contrario, colpirebbe le imprese

dei Paesi più vicini a Mosca, come l'Italia. Che da sola potrebbe subire danni per 10 miliardi.

Quanto è serio l'impatto delle sanzioni sull'economia russa?

Abbiamo dei problemi, naturalmente. Ma non quanti potrebbero averne le economie dell'Europa occidentale:

in particolare Italia, Germania e Francia, per il profondo livello di cooperazione con la Russia. Le sanzioni alla

Russia sarebbero sanzioni al vostro business. Ci sono stime che suggeriscono che per l'Italia le perdite

potrebbero aggirarsi sui 10 miliardi di euro, nel caso di un irrigidimento delle sanzioni. Scambi e investimenti

perduti, profitti non rimpatriati. Questo anche se le sanzioni non venissero aumentate. Cosa che ci porterebbe

ad adottare delle contromisure.

Di che genere?

Parlarne non fa parte del mio lavoro, sono il governo e la presidenza a decidere. Se ne parla, ma il mio

augurio è che non si arrivi al punto di essere costretti a fare qualcosa che non sia auspicabile per i nostri

partner.

E la Russia?

Noi siamo preparati. Non dovreste sottostimare i russi. Quando nascono delle difficoltà, sono uniti. Con

banche, governo, imprenditori, compagnie di Stato, stiamo elaborando nuovi meccanismi di investimento a

lungo termine attraverso la Banca centrale russa. Siamo preparati anche allo scenario peggiore: il compito

della mia banca è finanziare lo sviluppo dell'economia, e le risorse non ci mancano.

Eppure anche la Veb ha sperimentato difficoltà sui mercati internazionali...

È vero. A metà aprile avremmo voluto rifinanziare un prestito (2,45 miliardi di dollari, ndr) che invece

abbiamo dovuto rimborsare, non riuscendo a trovare un accordo con il gruppo di banche coinvolte. Però

abbiamo trovato altre risorse.

Quali sono i progetti più importanti che Vnesheconombank sta seguendo?

Infrastrutture, strade, ponti, aeroporti, collegamenti tra Mosca e Pietroburgo. Uno dei più grossi riguarda un

ponte tra la Crimea e il territorio continentale. Grossi progetti industriali che realizziamo con società

giapponesi, europee, sostenuti da strumenti che ci vengono forniti da istituzioni finanziarie nazionali e

straniere. Non intendono venire meno ai loro impegni.

Nel settembre scorso il Fondo russo per gli investimenti diretti controllato dalla Veb ha creato insieme al

Fondo strategico italiano della Cassa Depositi e Prestiti una piattaforma per investire un miliardo in progetti

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 137

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italo-russi. Quanto è importante per Veb il legame con l'Italia?

Siamo molto vicini alla finalizzazione di un accordo per finanziare un progetto in Russia. Ma l'interesse della

Veb è più ampio. Stiamo considerando varie opportunità per sostenere investimenti stranieri, e quello che

abbiamo soprattutto in mente è il sostegno alle piccole e medie imprese italiane che vengono in Russia non

solo per vendere, ma anche per investire. Abbiamo molte cose da fare insieme alla Cassa Depositi e Prestiti.

Tra cui questa riunione del D-20, ospitata quest'anno da CDP e dalla Bei, la Banca europea per gli

investimenti.

Il D-20 è un'iniziativa lanciata lo scorso anno proprio dalla Veb. Un'occasione unica di affrontare i nostri

problemi comuni e richiamare i governi su quello che le istituzioni per lo sviluppo stanno facendo.

Un canale aperto in un momento difficile.

Sì, è un modo per migliorare il clima politico, e il G-20 è una piattaforma più adeguata del G-7 in cui la

Russia ha un'influenza globale. Isolarla sarà impossibile.

© RIPRODUZIONE RISERVATA L'INTERSCAMBIO ACCUSA IL COLPO Commerciotra Italia e Russia in

milioni di euro I rapporti tra Italia e Russia 2010 2011 2012 2013 2014 (*) -7,0 -22,3 14.633 16.904 18.331

20.068 4.249 7.906 9.305 9.993 10.807 2.310 Esportazioni Importazioni Var. % su anno precedente Note: (*)

periodo gennaio-marzo Fonte:IceLA BANCA E LA RIUNIONE DI ROMA

LA VEBVEB

La Vnesheconombank (Veb) di Vladimir A. Dmitriev è la banca utilizzata dal governo russo - che la controlla

al 100% - per sostenere e sviluppare l'economia investendo nei settori strategici. Dispone di asset per 3.300

miliardi di rubli (70 miliardi di euro) e di un patrimonio di 382 miliardi di rubli (8). Dal 2011 ha al proprio fianco

il fondo di private equity Russian Direct Investment Fund, voluto per attrarre investimenti stranieri in Russia.

70 miliardi GLI ATTIVI DELLA VEB

IL D-20Secondo incontro

La Cassa Depositi e Prestiti e la Banca europea per gli investimenti (Bei) hanno ospitato il 4 luglio a Roma la

seconda riunione delle istituzioni finanziarie nazionali dei Paesi del G-20 e delle banche multilaterali per lo

sviluppo. Realtà che, come ha ricordato il presidente della Cdp Franco Bassanini, possono offrire

considerevoli finanziamenti e competenze, e avere così una forte capacità di impatto per sostenere le priorità

del G-20.

1 miliardo PROGETTI ITALO-RUSSI

Foto: BLOOMBERG Banca strategica per la Russia. Vladimir Dmitriev, presidente della Veb - Note: (*)

periodo gennaio-marzoFonte: Ice I rapporti tra Italia e Russia L'INTERSCAMBIO ACCUSA IL COLPO

Commercio tra Italia e Russia in milioni di euro

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 138

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Credito. Boccia (Confindustria): «Decisione molto positiva, in questa fase è vitale rispondere all'esigenza diliquidità delle aziende» Abi-Pmi, prorogata la moratoria dei debiti GLI ALTRI TASSELLI Allungati fino al 31 dicembre anche i due plafond per le aziende che investono e per losmobilizzo dei crediti vantati nei confronti della Pa Celestina Dominelli ROMA

È una nuova boccata d'ossigeno per le piccole e medie imprese che passa attraverso la proroga, fino alla

fine dell'anno, dell'"Accordo per il credito 2013", lo strumento - la cui scadenza era fissata per il 30 giugno -

messo in campo per consentire la sospensione e l'allungamento dei finanziamenti delle aziende. Lo ha reso

noto ieri l'Abi d'intesa con le parti co-firmatarie che sono Confindustria, Confapi, Alleanza Cooperative Italiane

(Agci, Confcooperative, Legacoop), Cia, Coldiretti, Claai, Confedilizia, Confagricoltura, Rete Imprese Italia

(Casartigiani, Cna, Confartigianato, Confcommercio, Confesercenti) e Confetra. I pilastri principali dell'intesa

non sono cambiati: sospensione per 12 mesi della quota capitale delle rate dei mutui (anche se agevolati o

perfezionati tramite il rilascio di cambiali); sospensione per 12 o 6 mesi della quota capitale dei canoni di

operazioni di leasing, rispettivamente immobiliare o mobiliare; allungamento della durata dei mutui per un

massimo del 100% di quella residua del piano di ammortamento; allungamento fino a 270 giorni delle

scadenze delle anticipazioni bancarie su crediti per i quali si siano registrati insoluti di pagamento; e, infine,

allungamento per un massimo di 120 giorni delle scadenze del credito agrario di conduzione.

Per Vincenzo Boccia, presidente del comitato tecnico Credito e Finanza di Confindustria, la proroga della

moratoria «è molto positiva. In un quadro economico che, nonostante qualche timido segnale, continua a

restare difficile, è importante rispondere a un'esigenza vitale per le imprese, soprattutto di più piccola

dimensione, che è quella di liquidità». Quello del credito, ha sottolineato ancora Boccia, «resta un vulnus

aperto e problematico per molte aziende, in particolare per le piccole realtà del manifatturiero abbiamo la

responsabilità di trovare soluzioni». Anche guardando a strumenti alternativi al credito bancario, come ha

ricordato lo stesso esponente di Viale dell'Astronomia: «Fortunatamente, in una fase in cui la liquidità ancora

scarseggia, gli imprenditori stanno capendo che non solo il credito, ma anche la finanza è funzione sempre

più strategica».

Quanto al ricorso agli strumenti prorogati ieri, dall'avvio operativo dell'iniziativa (ottobre 2013) a fine maggio,

sono state accolte 25.539 domande per un controvalore complessivo di debito residuo pari a 9,6 miliardi e 1,1

miliardi di maggiore liquidità a disposizione delle imprese. Guardando poi alla distribuzione delle richieste per

segmento economico, emerge che il 27% delle domande è arrivato da imprese del commercio e alberghiero,

il 17,8% da quelle dell'edilizia e opere pubbliche, il 16,8% dalle aziende dell'industria, il 6,8% è riferito a

imprese artigiane, il 6,2% all'agricoltura, mentre il restante 25,4% ad altri servizi.

Insieme all'accordo per il credito 2013, sono stati poi prorogati a fine anno altri due strumenti a disposizione

delle aziende: il plafond "Progetti Investimenti Italia" riservato alle pmi che continuano a investire nonostante

la crisi, e quello "Crediti Pa" per lo smobilizzo, presso il sistema bancario e finanziario, dei crediti vantati dalle

imprese nei confronti della pubblica amministrazione.

Nella nota diffusa ieri l'associazione delle banche ricorda poi che l'intesa prorogata è il quarto tassello di una

serie di misure avviate il 3 agosto con l'Avviso comune e proseguite con l'Accordo per il credito alle pmi

(febbraio 2011) e con le Nuove misure per il credito alle pmi (febbraio 2012). Complessivamente le quattro

iniziative hanno permesso la sospensione di oltre 400mila finanziamenti, per un controvalore complessivo di

debito residuo di circa 115 miliardi di euro e una liquidità aggiuntiva di 23 miliardi di euro per le pmi. Mentre il

plafond per gli investimenti aveva assicurato a fine 2013 (ultimo dato disponibile) 3,3 miliardi di euro di

finanziamenti per un totale di 9.850 domande, di cui l'80,4% riguarda investimenti in beni materiali concentrati

soprattutto al Nord (dove è stato erogato il maggior numero di finanziamenti, il 72,7%) e tra le imprese

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 139

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dell'industria (che, da sole, hanno raccolto il 44,8% degli stanziamenti).

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Le sospensioni Totale domande accolte dall'avvio operativo dell'iniziativa ad ott. 2013 fino al 31 magg. 2014

Domande accolte per attività 9,6 miliardi 27% Commercio e alberghiero 16,8% Industria 17,8% Edilizia e

opere pubbliche 6,8% Artigianato 6,2% Agricoltura 25,4% Altri servizi 1,1 miliardi Controvalore complessivo di

debito residuo Maggior liquidità a disposizione delle imprese 25.539

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 140

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Torna la voglia di Borsa. Tra Aim e Mta l'anno potrebbe chiudersi con una trentina di collocamenti Quei 10 miliardi a Piazza Affari, tra aumenti e Ipo V.L. P iazza Affari polo attrattivo di capitali. Il listino milanese (seppur sia cresciuto da inizio anno del 13%) è

ancora lontano dai massimi storici, a differenza invece della Borsa tedesca e di quella statunitense. Ma

rappresenta a tutt'oggi una delle piazze finanziarie più in fermento per ciò che riguarda i collocamenti in

Borsa, sia considerando quelli messi in cascina ma anche quelli in programma nei prossimi sei mesi. Fattostà

che il bilancio da gennaio del numero di Ipo (15 considerando lo sbarco sull'Aim di Mp7 di domani) ha già

superato quello archiviato nell'intero 2013. In pratica, in un semestre sono stati raccolti 2,4 miliardi: è stato già

battuto il dato (1,35 miliardi) del 2013 che pure è risultato un anno in crescita dal punto di vista delle offerte

pubbliche di vendita sul listino milanese (sette volte meglio rispetto ai 184 milioni di capitali raccolti nel 2012).

Con questo trend il 2014 potrebbe avvicinarsi o superare il 2006 e il 2007, anni boom della Borsa e delle

quotazioni a Piazza Affari con un flusso di denaro proveniente dalle nuove matricole pari a 4,8 miliardi (2006)

e 4,4 (2007). Se poi consideriamo anche gli 11 aumenti di capitale portati già a termine (ultimo della lista

quello di Italcementi da 500 milioni della scorsa settimana) per un totale di 8 miliardi di euro, i nuovi afflussi di

capitali a Piazza Affari hanno superato da inizio anno la soglia dei 10 miliardi.

Secondo alcuni operatori di mercato considerando sia le società che approderanno sull'Aim che quelle di più

grandi dimensioni che faranno domanda di collocamento sull'MTa l'anno potrebbe chiudersi con una trentina

di collocamenti. Al momento è l'Aim è farla da padrone con 10 collocamenti archiviati da inizio gennaio e uno

in arrivo domani. Si tratta di Mp7 Italia, attiva nel settore della vendita di pubblicità in cambio merci e di

commercializzazione dei prodotti. Un'operazione da 4 milioni di euro. L'Aim ha raggiunto una capitalizzazione

di 1,77 miliardi, rappresenta 2,5 miliardi di fatturato e 180 milioni di Ebitda. Nato nel 2009, conta ad oggi 46

società, per una raccolta complessiva di 354 milioni. I dati evidenziano che le nuove società che stanno

sbarcando sull'Aim, sono in crescita e stanno aumentando le performance economiche. Secondo le

elaborazioni dell'Ufficio Studi e ricerche Ir Top, nel 2013 il fatturato totale del mercato Aim Italia si è attestato

a 2,5 miliardi, l'ebitda totale è stato pari a 180 milioni. Il fatturato medio medio si è attestato a 61 milioni; la

crescita media rispetto al 2012 è stata pari al 22%. L'ebitda medio si è attestato a 4,7 milioni (+10% rispetto al

2012).

Ma la road map dei collocamenti in programma nei prossimi mesi interessa anche i "big", che seguiranno il

recente approdo di Fineco, Fincantieri e Cerved. Entro fine mese è previsto lo sbarco di Rottapharm e Sisal.

A fine settembre potrebbe toccare a Favini, che dovrebbe essere seguita da Segafredo (novembre) e Ovs-

Upim (dicembre). C'è poi attesa per l'Ipo delle Poste che, se dovesse concludersi entro l'anno, porterebbe il

2014 su soglie record.

Bisogna però distinguere bene le singole realtà e fare attenzione al prezzo scelto in fase di collocamento.

Fino ad oggi su 14 Ipo solo cinque registrano un incremento del valore di Borsa rispetto al prezzo di

quotazione. Nel complesso le società sbarcate da gennaio accusano un ribasso medio dell'1,28%, che oscilla

dal +25% di Triboo Media al -27% di Ecosuntek.

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Società Data Ipo Prezzo Ipo Prezzo al 4/7 Var.% dall'Ipo Capitaliz. (in milioni) Capitali raccolti (in mln)

Flottante (in %) Gruppo Green Power 22/1 10,5 9,0 -14,29 26,23 3,32 11,00 Sunshine Capital 24/1 1,0 0,961

-3,90 3,0 3,20 100 Expert System 18/2 1,8 1,97 9,44 41,50 17,13 43 Gala 10/3 12,5 11,2 -10,40 174,60 24,87

12 Triboo Media 11/3 4,0 5,0 25,00 79,80 27,60 38 Anima 16/4 4,2 4,598 9,48 1.360,45 796,40 63,25

Agronomia 6/5 1,0 0,84 -16,00 27,99 6,25 19 Ecosuntek 8/5 21,0 15,99 -23,86 23,27 5,35 17 EnergyLab 20/5

1,8 1,95 8,33 22,87 3,74 17 Plt energia 4/6 2,7 2,5 -7,41 57,33 10,50 16 Notorious Pictures 23/6 3,0 2,89 -

3,67 64,09 6,95 10 Cerved 24/6 5,1 4,98 -2,35 969,26 490,00 43,1 Fineco Bank 2/7 3,7 4,142 11,95 2.514,82

673,00 34,5 Fincantieri 3/7 0,78 0,7785 -0,19 1.320,19 351,00 25 TOTALE - - - -1,28 6.685,40 2.419,31 - La

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performance delle 14 società protagoniste delle Ipo italiane dell'anno 2014 Fonte:elaborazione del Sole 24

Ore su dati Borsa Italiana Le matricole italiane

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Commercio. Primo bilancio (con i dati delle associazioni di categoria) delle vendite partite al Sud mercoledìscorso e al Nord ieri Consumi, segnali di vita dai saldi Gli economisti: risultato occasionale, prematuro parlare di inversione di tendenza Ilaria Vesentini Lunghe file nel quadrilatero della moda milanese. Normale andirivieni nei negozi bolognesi. Code nei

parcheggi dell'outlet di Barberino di Mugello. Via Condotti gremita di prodighi turisti ma strade laterali dello

shopping romano deserte. Botteghe napoletane ancora affollate dopo quattro giorni di sconti. Austerity,

invece, nel centro di Palermo. Parte in altalena la giornata di saldi scattata ieri in gran parte delle regioni della

penisola (al Sud già mercoledì scorso), così come sono altalenanti le valutazioni delle associazioni di

categoria e dei consumatori sulla reale capacità degli sconti di fine stagione, abbinati agli 80 euro di bonus

fiscale, di rimettere davvero in moto gli acquisti.

«Due italiani su tre approfitteranno dei saldi estivi con una spesa complessiva attorno ai 4 miliardi di euro,

soprattutto per l'abbigliamento», prevede Confesercenti, stimando che una metà degli 80 euro in busta paga

di cui hanno beneficiato 10 milioni di italiani servirà a rinnovare il guardaroba. Più cauta Confcommercio, che

parla di «lieve crescita» rispetto ai saldi dello scorso anno e calcola una spesa media di 100 euro a cliente,

complici sconti partiti già sopra il 40 per cento. Tutte allineate al ribasso invece - con cali tra il 5 e il 10%

rispetto a un anno fa - le previsioni di Codacons, Federconsumatori e Adusbef, che parlano di scontrini medi

non superiori ai 60 euro e shopping limitato allo stretto necessario.

Ad alimentare il clima di incertezza è l'intermittenza degli indicatori economici: la fiammata del +2,6% delle

vendite al dettaglio in aprile fotografata dall'Istat è abbinata alla notizia di una nuova battuta d'arresto del

potere d'acquisto delle famiglie nel primo trimestre 2014 e all'indice Pmi di Markit che parla di rapida caduta

delle vendite tra maggio e giugno; il clima di fiducia delle imprese manifatturiere e del commercio è al punto

massimo degli ultimi tre anni ma quello dei consumatori è sceso e non sarà certo stimolato dalla recente

revisione al ribasso, verso lo zero, della crescita del Pil .

«In un tale contesto di incertezza è difficile pensare a un'inversione di tendenza nell'atteggiamento di spesa

delle famiglie indotto dai saldi. Tanto più che l'effetto degli 80 euro del bonus fiscale di maggio - spiega il dg

di Nomisma, Luca Dondi Dall'Orologio - è nullo finché viene percepito come un segnale spot e non come un

incremento permanente di capacità reddituale, che si tradurrà in un aumento di risparmio o di consumi

apprezzabile solo nel medio termine».

Insomma, se nella prima ondata recessiva del 2008-2009 gli italiani avevano intaccato i risparmi pur di

mantenere il livello dei consumi, «in questa seconda fase la consapevolezza della durata della crisi e la

precarietà delle prospettive induce le famiglie a un atteggiamento difensivo - aggiunge l'economista

bolognese - dunque ad accantonamenti precauzionali. Ci fosse anche un timido rilancio della spesa

innescato dai saldi sarebbe comunque un segnale positivo solo per i commercianti e non per il Paese, perché

significa che è troppo ampia la forbice tra la capacità e la volontà di acquisto dei consumatori e la normale

offerta del mercato. E che il rischio deflattivo è davvero concreto».

Più ottimista, ma non troppo, Prometeia che dopo sei anni di flessione dei consumi colloca nel 2014 il punto

di svolta grazie anche al bonus fiscale, ma rimanda gli effetti visibili dell'aumentata capacità di acquisto al

prossimo biennio, «perché la variabile più importante per i consumi resta pur sempre l'occupazione e su

questo versante indicazioni positive non se ne vedono», conclude Andrea Dossena.

© RIPRODUZIONE RISERVATA LA PAROLA CHIAVE Saldi Le vendite promozionali di fine stagione sono

regolate dal Dlgs 114/98 in base al quale il negoziante deve offrire condizioni favorevoli, reali ed effettive, di

acquisto dei prodotti non venduti entro un certo periodo di tempo. Lo sconto deve essere espresso in

percentuale sul prezzo di vendita che deve essere sempre riportato, assieme al prezzo finale. L'acquirente ha

sempre il diritto di sostituzione o ripristino di un articolo difettoso anche in saldo. Fonte: Istat 0 -3,5 -0,9 -1,0 -

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2,6 0,1 -1,6 -2,8 0,2 -0,8 -3,0 -1,2 -2,9 Gen. Feb. Mar. 2014 Apr. Mag. Giu. Lug. Ago. Set. Ott. Nov. Dic. 2013

Indiceaprezzicorrenti

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Holding. Fuori dall'istituto senese dopo aver ceduto la quota in Intesa, quella in Mediobanca e un pacchetto diAlior Bank La Tassara vende anche Mps Con le ultime operazioni ridotto il debito: il Nav resta negativo ma per 200 milioni IL FUTURO Se la borsacontinuerà l'ascesa ci sono le premesse perché la partita si chiuda in pareggio: già oggi ripagato quasi il 90%dei crediti Laura Galvagni Marigia Mangano Il 20 giugno scorso Carlo Tassara ha venduto 250 milioni di titoli Intesa Sanpaolo ricavando più o meno 600

milioni di euro. In quelle stesse ore la holding di Romain Zaleski ha messo sul mercato un'altra partecipazione

chiave: la quota detenuta in Mps (l'1,14% prima dell'aumento di capitale). Uscendo di fatto definitivamente

dall'istituto senese. Da qualche settimana la finanziaria ha inoltre intavolato una trattativa in esclusiva per la

valorizzazione del pacchetto del 15,44% detenuto in Mittel. A volere quella quota è Wedge Private Capital,

fondo inglese che in Italia è rappresentato da due ex partner di Lazard, Gianfranco Ponti e Laurent Rossetti.

Le quotazioni di Mittel, più o meno 1,66 euro, sono a un passo da quello che è il valore di carico della

Tassara, 1,75 euro per azione, e l'operazione arriva dopo che, da inizio 2014, la holding ha venduto anche

tutti i titoli Mediobanca, ricavandone circa 75 milioni, più 6 milioni di azioni Alior Bank per un controvalore di

180 milioni. In portafoglio dunque restano ancora il 26% di Alior, lo 0,4% di Intesa Sanpaolo, l'1,42% di Ubi

Banca, lo 0,26% di Bpm, l'1,49% di Cattolica, il 2,53% di A2A, il 12,94% di Eramet, il 2,7% di Shougang Tech,

il 2,94% di Apac Resources più gli asset non quotati, ossia Metalcam, Fvc, la centrale Terzo Salto, la banca

del Gabon Bfgi Bank e la miniera Comilog.

Il recente attivismo che ha portato a una sostanziale riduzione delle partecipazioni è frutto anche della

ridefinizione della governance avvenuta l'autunno scorso. In quell'occasione è stata modificata la

composizione del board, con sei consiglieri indipendenti, dando di fatto maggiore potere d'azione al vertice,

rappresentato in primis dal presidente, Pietro Modiano. Il risultato è che le ultime operazioni hanno

completamente ridisegnato la partita doppia della società. Al punto che, dopo il forte sbilancio degli anni

passati, Tassara ha, stando ai valori recenti degli asset quotati e a quelli scritti a bilancio delle altre attività, un

nav negativo che viaggia attorno ai 190 milioni. Complici debiti complessivi per 800 milioni, strumenti

finanziari partecipativi per 650 milioni e asset a disposizione per 1,26 miliardi, dei quali poco più di 1 miliardo

riferibili a partecipazioni in aziende quotate.

A questo punto si è arrivati dopo un lungo percorso avviato nel 2008 con la prima "moratoria" strappata dalla

holding ai suoi principali creditori e con l'ultimo accordo di stand still del novembre scorso. All'inizio il

confronto tra passività e attività era certamente a svantaggio delle banche, complice la crisi che aveva

investito oltre all'economia reale anche tutte le piazze finanziarie. Solo un anno prima, la Carlo Tassara aveva

attivi per 10,4 miliardi e un indebitamento per 8,9 miliardi, accordato fondamentalmente da nove istituti (Royal

Bank of Scotland, Bnp Paribas, Intesa Sanpaolo, UniCredit, Mps, Ubi, Bpm, Banca Carige e Banco

Popolare). Oggi, rispetto ad allora, l'attivo è stato fortemente ridimensionato, con una riduzione di 9,1 miliardi,

ma anche l'esposizione è stata tagliata sensibilmente con un calo di 7,45 miliardi.

Come si chiuderà dunque la partita? Oggi non è possibile dirlo. Molto dipenderà dai futuri corsi azionari e

dalla strategia che verrà utilizzata per valorizzare il portafoglio restante. Ubi, Bpm e Cattolica sono titoli

generalmente poco liquidi per cui è immaginabile che la holding procederà con cautela. Eramet, invece, sarà

probabilmente uno degli ultimi asset che verrà messo sul mercato, complice il fatto che in questi anni ha

sempre garantito una certa soddisfazione. Lo stesso vale per Alior Bank, attività sviluppata nel 2007 e che

fino ad oggi ha creato valore per 500 milioni. Carlo Tassara detiene ancora un 26% della società, un

pacchetto che in Borsa oggi viene valorizzato poco meno di 350 milioni.

Sulla carta, dunque, potrebbero esserci i presupposti perché la partita tra le banche e Zaleski si chiuda con

un bilancio decisamente diverso rispetto a quelli che erano i presupposti. Come detto, ciò a patto che la

Borsa non rallenti la sua ascesa. In ogni caso, già oggi l'87% del debito iniziale è stato rimborsato. Una cifra

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 145

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diversa da quelle che circolano negli ultimi concordati fallimentari dove si può ambire al massimo a un 30%

del debito ripagato.

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Il portafoglio della Tassara Le principali partecipazioni della holding della famiglia Zaleski. Dati in milioni di

euro e quota % Totale asset quotati (*) 1.013,29 Totale asset non quotati (**) 248,9 Alior Bank 349,0 26,00%

Eramet 302,8 12,94% Intesa Sanpaolo 158,7 0,4% Ubi Banca 87,2 1,42% A2a 67,8 2,53% 22,7 15,44%

Mittel Cattolica Ass. 14,2 1,49% Bfgi bank (Gabon) Shougang tech 2,2 2,70% Bpm 5,6 0,26% Apac

Resources 3,1 2,94% Fvc 1,3 n.d. Terzo Salto Metalcam 10 48,00% Comilog 200,0 7,06% 19,6 9,51% 18,0

100% Carlo Tassara (*) ai prezzi di borsa al 4 luglio 2014; (**) ultimi dati disponibili

Foto: - (*) ai prezzi di borsa al 4 luglio 2014; (**) ultimi dati disponibili

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AZIONE DI GOVERNO Riformare la Pa è privatizzare (e viceversa) Franco Debenedetti Per riformare la Pa il governo Renzi ha introdotto una certa mobilità dei dipendenti e promosso un largo

ricambio generazionale dal basso. Ha scelto cioè meccanismi che agiscono dall'interno: buoni per rompere

dipendenze e incrostazioni, c'è da dubitare che siano adeguati a far prevalere le ragioni dell'efficienza su

quelle della propria convenienza. L'efficienza si può definire solo con un riferimento esterno, alle convenienze

degli altri, di quelli che stanno dall'altra parte dello sportello. Non c'è coscienza individuale, non accordo

collettivo, non questionari scambiati con gli utenti che serva a fare quello che la concorrenza sul mercato fa

automaticamente: scoprire quanto valgono beni e servizi. Per A. Gambardella e G. Tabellini (Il Sole 24 Ore

del 22 giugno), sarebbe poco importante se a sviluppare le infrastrutture che aspettiamo dall'epoca dello

"sportello del cittadino" (1988) fossero informatici di Google o di Poste Italiane.

Si tratta invece di una differenza essenziale perché diversi che più non si potrebbe sono gli ambienti in cui

sono cresciuti: nel primo "solo i paranoici sopravvivono", nel secondo in cui la sopravvivenza dipende dal

potere del sindacato. Questa è la ragione per cui le privatizzazioni (e le varie forme di outsourcing) non sono

un capitolo a se stante dell'agenda di governo, ma sono il capitolo finale del processo di riforma della Pa.

Se si parte dalla difficoltà di definire senza riferimenti al mercato un "dover essere" della Pa, se si prende

atto che in Italia questa difficoltà è ancora maggiore per ragioni che interessano lo storico più che il politico, la

logica conclusione è adottare un criterio molto restrittivo nella definizione dei servizi che lo Stato vuole

erogare in proprio, nel decidere quali reingegnerizzare tenendoli all'interno e quali rimettendoli al mercato.

Compito da fare non in modo meccanico, che richiede un lavoro di fino, per ridisegnare prestazioni,

accorpare funzioni, semplificare procedure. Quando ci sono grossi blocchi già ben individuati, la cosa

apparentemente è più facile: una facilità è ottenuta perlopiù con mancata chiarezza. Penso ad esempio a

Poste e Rai: non sono, la prima un modo di far cassa senza far gridare troppo i sindacati, la seconda una

stagionata gatta da pelare senza far gridare troppo i politici. L'una e l'altra vanno considerate come momenti

della riforma della Pa.

Quanto alle Poste, ormai per lettera viaggiano quasi solo più le fatture private, o le multe e le cartelle; tanto

che si pensa di fare le consegne solo a giorni alterni. Nei pacchi e nella logistica la quota di mercato di Poste

Italiane è inferiore al 10%. Poste aveva 14.000 sportelli (circa 3 volte gli sportelli di Intesa) dove raccoglie,

ben remunerata, il risparmio postale per conto della Cdp. Le Poste traggono ma maggior parte dei ricavi dalle

assicurazioni sulla vita. I sussidi incrociati di solito nascondono inefficienze. Il governo può anche decidere di

tenere le cose come stanno e di non aprire una partita con i sindacati. Ma non può vendere il 40% di quella

inefficienza senza rendere esplicito che cosa intende fare del restante. Se non lo fa, con le sue decisioni crea

ostacoli che renderanno impossibile eliminarla in futuro. Sarebbe il colmo se un governo che fa della

trasparenza la sua bandiera passasse ai futuri governi il testimone della sua opacità.

Quanto alla Rai, può darsi che la proposta, avanzata su queste colonne, di finanziare alcune reti con il solo

canone, altre con la sola pubblicità sia, come scrive Aldo Grasso sul Corriere (Il deficit culturale che opprima

la Rai, 19 giugno) «una mezza sciocchezza». Il problema è individuare una saggezza quasi intera. La Rai

ricava 1.700 milioni dal canone e 700 dalla pubblicità. Se recuperasse il canone evaso, finanzierebbe il

problema invece di risolverlo; se ottenesse un maggiore affollamento pubblicitario lo farebbe finanziare dai

concorrenti. Se consideriamo la Rai come uno dei problemi della Pa, e applichiamo il criterio generale di

definire non il "dover essere" dei dipendenti, ma i servizi che lo Stato vuole erogare in proprio, diventa

immediato chiedersi: il canone serve a tenere in piedi il carrozzone o a fornire servizi diversi da quelli che si

trovano gratis? Quanti canali sono necessari per un servizio che fornisca ai cittadini un'identità nazionale,

comprensiva magari di un sostegno alla creazione di fiction, purché realizzate con le strutture umane e fisiche

di cui la Rai si è dotata? Il resto, liberato dalle bardature politiche, si guadagni da vivere con la pubblicità,

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come i suoi concorrenti, e si prepari a vivere senza sostegno dello stato: non sarebbe una gran sciocchezza.

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RICORSI & CONTRORICORSI La guerra dei trent'anni con il Fisco per un rimborso Vittorio Da Rold Facciamo un salto nel passato fino al 1984 quando non c'erano ancora i telefoni cellulari e internet muoveva i

primi passi, ma iniziava un contenzioso con il fisco italiano che forse finirà nel 2014, una sorta di guerra dei

trent'anni con il Fisco. Sembra incredibile, ma purtroppo vero. Ripercorriamo la vicenda.

Nell'aprile 1984 il contribuente S. L. subisce un'indebita ritenuta Irpef al momento dell'erogazione di un

acconto sul Tfr, l'indennità di fine rapporto. Poco male - pensa il nostro malcapitato -, ma non sarà così. Il 7

novembre 1984 il contribuente presenta all'Intendente di Finanza di Milano una richiesta di rimborso,

ottenendo il cosiddetto silenzio-rifiuto (un no senza motivazioni).

Il 30 marzo 1985 il contribuente presenta ricorso alla Commissione provinciale di Milano, che con sentenza

del 17 giugno 1987 accoglie il ricorso. Ma il Fisco non si arrende e l'Ufficio presenta appello. Il 1° ottobre

1992 (e sono già trascorsi sei anni) la Commissione tributaria regionale conferma la sentenza di primo grado,

dando nuovamente ragione al contribuente.

Vittorio Da Rold

Ma il Fisco non demorde e il 9 luglio 1993 l'Intendenza di Finanza di Milano presenta ricorso alla

Commissione tributaria centrale. Il calvario giudiziario continua. Il 19 dicembre 2008 (e sono già trascorsi 24

anni), nonostante le precedenti condanne, l'Agenzia delle Entrate deposita alla Commissione tributaria

centrale (soppressa da anni, ma ancora in funzione per smaltire l'arretrato!) dichiarazione di persistenza

dell'interesse alla definizione del giudizio. Così si va avanti nella contesa. Il 28 novembre 2011 la

Commissione tributaria centrale condanna definitivamente l'Agenzia delle Entrate. La vicenda è finita? Non

ancora. Il dispositivo della sentenza viene notificato per raccomandata a.r nel dicembre 2011 al domicilio

eletto, 27 anni prima, presso lo studio dell'avvocato che allora assistette il contribuente e che ora è

difficilmente reperibile per motivi di età. Il contribuente, quindi, ancora non sa della definitiva vittoria.

Solo nel marzo di quest'anno il contribuente riceve una comunicazione, datata 6 febbraio 2014, con la quale

il Team Rimborsi chiede al contribuente di esibire il "modello 102", documento oggi sconosciuto e che forse

fu rilasciato nel 1984 dal datore di lavoro (una società oggi in Italia estinta) per poter procedere al rimborso.

A questo punto, il contribuente (ormai settantaduenne ma ancora tenace e combattivo) si affida alla

Consilium (www.consilium.mi.it), nella persona del commercialista, Franco Formenti.

Il commercialista, dopo lo sconcerto iniziale (che sarà mai il "modello 102"?), cerca di prendere contatto con

il funzionario responsabile del Team Rimborsi, per far presente che tutta la documentazione di supporto del

credito è già a loro disposizione, essendo stata depositata nel fascicolo della causa, che loro ovviamente ben

conoscono; si vorrebbe evitare di dover avviare il giudizio di ottemperanza (nuovo ricorso e altri costi). Ma si

scopre che il numero di telefono indicato in calce alla comunicazione dell'Agenzia è inaccessibile e il numero

di fax, anch'esso indicato in calce alla medesima comunicazione, non riceve i messaggi. Situazione kafkiana.

Ad oggi il contribuente è in attesa di ricevere risposta al messaggio e-mail inviato al Team Rimborsi (per via

normale perché i singoli Uffici non hanno un indirizzo di posta certificata) e all'indirizzo Pec della Direzione

provinciale II di Milano. Il contribuente attende, sperando di ricevere i suoi 12.269,55 euro oltre gli interessi

maturati in trent'anni avendo rinunciato al rimborso delle spese. Nel frattempo il cittadino ha venduto dei titoli

per pagare l'Imu e la Tasi che naturalmente sono scadenze che non aspettano.

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 149

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STAFFETTA GENERAZIONALE Nella «Pa» 250mila in uscita Almeno 250mila uscite da qui al 2018, mentre i conti dell'ex Inpdap promettono di veder crescere ancora il

proprio «rosso» che quest'anno già raggiunge gli 11,6 miliardi. Sono le prospettive del pubblico impiego

anche alla luce del decreto sulla Pa, che ha cancellato la possibilità di rimanere in ufficio per chi raggiunge i

requisiti di uscita.

Trovati u pagina 2 Gianni Trovati

La «staffetta generazionale» avviata con il decreto sulla Pubblica amministrazione è indispensabile per dare

fiato agli uffici e ringiovanire gli organici, ma darà un'altra botta ai conti della gestione ex Inpdap che sono già

intensamente colorati di rosso. Un effetto inevitabile, che il parziale allentamento dei vincoli al turn over

ammorbidirà un poco ma certo non riuscirà a risolvere. Da gestire, infatti, ci sono circa 250mila uscite nei

prossimi quattro anni per raggiunti limiti di età o anzianità di servizio, a cui si aggiunge la normale dinamica

delle cessazioni per altre cause.

La prospettiva emerge chiara dai numeri di Aran e Ragioneria generale sulla struttura attuale del personale

pubblico, e dai bilanci dell'Inps sul gioco fra entrate e uscite nella previdenza destinata a chi esce da un

ufficio statale o di un ente locale. I primi parlano dell'invecchiamento progressivo della popolazione delle

Pubbliche amministrazioni, che dal 2001 al 2012 ha visto crescere la propria età media di quattro anni e

mezzo, con un'accelerazione partita nel 2008 quando la crisi di finanza pubblica ha infittito gli ostacoli

all'ingresso di nuovo personale. Il risultato, ovvio, è l'affollarsi delle classi di età e di anzianità di servizio ormai

prossime all'uscita.

Da questo punto di vista, il decreto sulla Pubblica amministrazione approvato dal Governo e ora all'esame

della Camera cancella la possibilità di chiedere il «trattenimento in servizio», cioè i tempi supplementari che

potevano mantenere in ufficio il personale dopo aver raggiunto i requisiti previdenziali. La regola, in realtà, è

tutt'altro che rivoluzionaria, perché i limiti progressivi al turn over (un trattenimento in servizio in un ente

locale, per esempio, andava conteggiato come nuova assunzione) e le tante incertezze previdenziali hanno

ridotto i numeri di chi chiedeva di rimandare la pensione. La stessa relazione tecnica al provvedimento spiega

che i trattenimenti nel 2012 erano circa 1.200, la metà dei quali però si concentra nel comparto della

magistratura che incontra nello stesso decreto regole un po' più flessibili. Già questa nuova norma, che

impone l'uscita dalla Pubblica amministrazione quando si raggiungono i requisiti per la pensione di vecchiaia

(66 anni e tre mesi con i parametri attuali) o di anzianità (42 anni e tre mesi di anzianità per gli uomini, 41

anni e tre mesi per le donne), determina però nuovi costi, dai 110 milioni del 2015 ai 216 stimati nel 2018: a

fronte di risparmi modesti nelle uscite per i redditi (10 milioni nel 2015, 44 nel 2018), aumentano le uscite per

pensioni e, in modo progressivo per il meccanismo della liquidazione a rate (si veda l'articolo a destra), quelle

per i trattamenti di fine servizio, che costeranno 48 milioni nel 2015 e 139 nel 2018.

I grandi numeri, però, arrivano dalle dinamiche ordinarie, e non sono stimati nel decreto perché da questo

punto di vista la sua approvazione è del tutto ininfluente. Nelle Pubbliche amministrazioni, esclusa la

magistratura e i docenti universitari, 250mila persone avevano già compiuto 60 anni a fine 2012, e quindi

sono destinate ad andare in pensione entro il 2018. A queste si potrà aggiungere una quota di dipendenti

che, anche se più giovani, hanno debuttato presto nel mondo del lavoro, e quindi raggiungeranno l'anzianità

massima nello stesso periodo.

L'ondata di uscite, però, arriva mentre i conti dell'ex Inpdap, confluito a inizio 2012 nell'Inps, già soffrono

parecchio. Il preventivo 2014 parla di una «gestione caratteristica», cioè quella che in pratica mette a

confronto le entrate contributive e le spese per prestazioni, in disavanzo per 11,6 miliardi di euro. Rispetto a

due anni fa, il rosso è quasi raddoppiato, sotto la spinta di spese per prestazioni in costante aumento e

soprattutto da entrate contributive in netta flessione: nel 2012 l'Inpdap aveva raccolto 57,7 miliardi di euro,

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 150

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mentre quest'anno la stessa voce si ferma a 53,1 miliardi, cioè il 7,9% in meno.

Sul problema dei conti Inpdap è intervenuta anche l'ultima legge di stabilità, che ha chiuso il vecchio "buco"

aperto dalle anticipazioni di liquidità usate dopo il 2007 per pagare le pensioni e iscritte nei bilanci come

indebitamento. Sanato il problema contabile, però, rimane quello strutturale, creato dalla forbice che si apre

sempre di più fra le uscite che aumentano e le entrate che diminuiscono. Nel gioco dell'oca dei conti pubblici,

per chiuderla bisogna aprire le porte alle nuove assunzioni, ma così ovviamente aumenta la spesa di

personale della Pubblica amministrazione. Proprio per questo anche il decreto che avvia la "staffetta

generazionale" va con i piedi di piombo. Calcolando il rapporto fra cessazioni e nuove entrate solo in base

alla spesa, e non più alle «unità di personale», si allargano un po' gli spazi, ma il turn over al 100% è in

calendario solo per il 2018: e tutte le manovre recenti dicono che l'appuntamento è in genere destinato a

slittare.

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Le età del personale e il bilancioFoto: FINE CARRIERA Il personale con l'anzianità maggiore (dati a fine 2012) - * Comprese Regioni e

Province autonome - ** Esclusi magistrati e docenti universitari Fonte: elaborazioni Aran su dati Igop -

Ragioneria generale dello Stato LA CARTA D'IDENTITÀ Età media del personale pubblico con contratto a

tempo indeterminato - Fonte: elaborazioni Aran su dati Igop - Ragioneria generale dello Stato. Dati aggiornati

al 16/12/2013 I CONTI L'andamento delle principali voci nella gestione ex Inpdap - * Oltre a entrate da

contributi e spese per prestazioni comprende anche le spese di amministrazione e altre voci minoriFonte:

Inps

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 151

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IL SEMESTRE ITALIANO L'Europa digitale? Un programma che procede a rilento Da oggi a Venezia la conferenza Ue Chiara Bussi L'agenda digitale europea è ancora un'opera incompiuta. Secondo l'ultima fotografia della Commissione Ue,

solo il 14% delle Pmi utilizza l'e-commerce, appena il 18% delle aree rurali è connesso con la banda larga e

sarà difficile raggiungere un livello di e-government del 50% entro il 2015. L'Italia è fanalino di coda,

soprattutto sulla banda larga. Per rilanciare e ripensare l'agenda digitale si apre oggi «Digital Venice», il primo

evento della presidenza di turno italiana della Ue.

Bussi u pagina 7

Si alza oggi il sipario su «Digital Venice». Cinque giorni di dibattiti, 2mila partecipanti del settore, più di 30

iniziative e l'evento clou di domani, con un panel a cui prenderanno parte il premier Matteo Renzi e il vice-

presidente dell'esecutivo Ue e Commissario all'Agenda digitale, Neelie Kroes. Tutti riuniti per il primo grande

evento della presidenza di turno italiana della Ue con un obiettivo preciso: porre le basi per rilanciare e

ripensare l'agenda digitale europea, che sarà una delle priorità del semestre per ritrovare la crescita perduta.

L'ultima fotografia scattata da Bruxelles sul programma lanciato nel 2010 dimostra infatti che la costruzione

di un mercato unico digitale è lontana e il raggiungimento di alcuni obiettivi fissati per il 2015 è ancora un

miraggio. L'e-commerce resta una pratica poco diffusa, utilizzata in media da appena il 14% delle Pmi dei

Ventotto e nessun Paese ha già raggiunto l'obiettivo del 33 per cento. E solo il 18% delle aree rurali dispone

di un accesso a internet con la banda ultralarga. Un'altra nota dolente è l'e-government: il 42% dei cittadini si

serve delle nuove tecnologie nei rapporti con la Pubblica amministrazione e sarà difficile raggiungere

l'obiettivo del 50% il prossimo anno. Restringendo il focus sui singoli Paesi, l'Italia si situa spesso in coda alla

classifica. Il tallone d'Achille è la banda larga veloce e ultraveloce. La prima, da almeno 30 Mbps, è ancora

inchiodata all'1% contro il 21% del resto dell'Unione. Frutto di una copertura sbilanciata: 21% contro 62%

all'estero. Un triste primato che contendiamo a Cipro e Grecia. I collegamenti ancora più rapidi da 100 Mbps

sono invece al palo. Deludente poi la copertura 4G per i dispositivi mobili, disponibile per il 39% dei cittadini:

un balzo rispetto al 10% del 2012 ma ancora lontano dal 59% della media europea. Anche l'e-government,

stando a questi dati fermi alla fine del 2013, si situa al 21%, ben al di sotto della media Ue del 41 per cento.

Nel frattempo, almeno sulla carta, qualche passo avanti è stato fatto. A partire dal 6 giugno è obbligatoria la

fatturazione elettronica per i fornitori della Pubblica amministrazione e il 30 giugno ha segnato il via del

processo civile telematico. Mentre il decreto di riforma della Pa ha approvato l'identità digitale entro il 2015.

Se l'eccellenza premia i Paesi del Nord Europa, tra i big il migliore è la Gran Bretagna, dove le connessioni

alla banda larga veloce superano la media Ue (26% rispetto al 21%) così come la copertura 4G (63% contro

59%). Entro il 2015 Londra punta a realizzare un piano in 16 mosse che consentirà di risparmiare 1,7-1,8

miliardi all'anno. La Germania, dove l'agenda digitale è uno dei punti dell'accordo di coalizione del nuovo

governo, spicca per la copertura 4G, ma arretra sull'e-government. La Francia ha compiuto molti passi avanti,

primeggia nell'e-commerce, ma deve recuperare terreno sulla banda larga veloce.

«È ormai chiaro - sottolinea Andrea Renda, senior fellow del Ceps - che alcuni target non verranno raggiunti.

Nel frattempo altri sono diventati obsoleti. La presidenza italiana ha l'occasione per imprimere un

cambiamento di rotta, per mettere al centro la creazione di un vero mercato unico digitale».

Il programma della presidenza italiana punta alla rimozione delle barriere all'e-commerce, a un accordo al

Consiglio Ue sul cosiddetto «pacchetto tlc» proposto dalla Commissione nel settembre 2013, emendato

dall'Europarlamento ad aprile e oggi al Consiglio Ue. Un altro fronte riguarderà il nodo delle infrastrutture. Per

scioglierlo l'Italia intende avviare un dibattito sull'ipotesi di utilizzare i fondi strutturali e le risorse della Bei.

Secondo Renda, «va modificato il testo del "pacchetto tlc" proprio per incentivare gli investimenti in

infrastrutture». Non solo: «Occorre anche - aggiunge - fissare le regole di concorrenza per chi vive

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 152

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nell'ecosistema di internet, affrontare il tema del diritto d'autore e gestire lo spettro delle frequenze radio».

Giorgio De Michelis, docente di Informatica teorica e Sistemi informativi all'Università Bicocca di Milano,

invita a seguire l'esempio del piano «Digital Government» di Obama: «L'agenda digitale deve diventare un

vero strumento di programmazione strategica per il nostro Paese. Per ogni obiettivo da raggiungere si

devono indicare responsabilità, tempi e risorse a disposizione».

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NOI E GLI ALTRI

Agende digitali a passo differenziato18%

42%

14%

Banda larga nelle aree rurali

E-government

E-commerce

Quota di accesso alla banda larga ad alta velocità nelle aree rurali

Utilizzo delle tecnologie con la Pa contro un target del 50% nel 2015

Quota di Pmi che lo utilizzano: il target è del 33% entro il 2015 ITALIA

Secondo lo «Scoreboard 2014» della Commissione Ue è maglia nera per la banda larga: la copertura è del

21% contro il 62% della media Ue. Le connessioni da almeno 30 Mbps rappresentano l'1% contro il 21%

della Ue, quelli per l'ultraveloce sono pari a zero contro il 5% della media europea.

Dallo scorso 6 giugno è obbligatoria la fatturazione elettronica per i fornitori della Pa, il 30 giugno è diventato

obbligatorio il processo civile telematico e il 13 giugno

il decreto di riforma

della Pa ha approvato

l'identità digitale dal 2015 GERMANIA

Secondo la Ue la copertura della banda larga è del 75%, oltre la media Ue del 62 per cento. Le connessioni

a quella veloce ammontano al 16% (sotto la media Ue), mentre quelle ultraveloci sono pari al 3% (5% la

media europea). La copertura 4G per i dispositivi mobili supera la media dei Ventotto: 81% contro il 59 per

cento. Rispetto al 2012 l'e-government arretra

dal 51 al 49 per cento.

Il programma del governo

per il 2015 punta alla creazione

di 30mila nuovi posti di lavoro nell'Ict e alla banda ultralarga

per tre quarti della popolazione entro il 2014

REGNO UNITO

Secondo il «Digital Scoreboard» della Ue, Londra con il 26% di connessioni alla banda larga veloce supera

la media europea. Quella ultraveloce è però ferma

all'1% (contro il 5% della Ue),

mentre la copertura 4G per

i dispositivi mobili è al 63% contro il 59% europeo.

Il governo punta alla banda ultralarga nel 90% delle case entro il 2015. Previsti investimenti per 530 milioni

di sterline nelle comunità rurali, 150 milioni per dieci città super-connesse e 150 milioni per migliorare la

copertura mobile a favore di consumatori e imprese LA PERFORMANCE DEI MAGGIORI PAESI LE

PERFORMANCE DELLA UE

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 153

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PREVIDENZA E PIL La crescita può eliminare le iniquità Fabrizio Galimberti La spesa previdenziale, si sa, è sempre stata una palla al piede dei conti pubblici italiani e, per triste tramite

di questi, della crescita tutta dell'economia. Deficit e debiti spingono le politiche di bilancio sul freno

permanente e la spada di Damocle del finanziamento del debito innesca timori e instabilità.

Gli sforzi di risanamento della finanza pubblica hanno quindi sempre avuto nel mirino la spesa previdenziale,

ma si sono sempre scontrati con la muraglia dell'esistente. Non si possono ovviamente diminuire le pensioni

in essere; si può solo rallentarne la dinamica, agendo sulle indicizzazioni. Gli sforzi di contenimento della

spesa si sono quindi dipanati lungo tre linee, ognuna delle quali presenta problemi di equità. Da una parte, si

sono modificati i procedimenti di indicizzazione, con il risultato che l'Italia è praticamente il solo Paese nel

quale la pensione media non è pienamente indicizzata al costo della vita. La mancata indicizzazione crea

anche lo scomodo fenomeno delle "pensioni d'annata", che rinfocola invidia sociale e ferisce l'equità.

La seconda linea di contenimento sta nel modificare le condizioni di accesso alla pensione per i futuri

pensionati. Così, accanto alle pensioni in essere, molte delle quali calcolate con il metodo retributivo, si sono

andate affiancando le pensioni future, calcolate con il contributivo. Talché il popolo dei pensionati si divide -

ripetendo la dicotomia del popolo dei lavoratori - fra protetti e indifesi. C'è tuttavia una consolazione per i

giovani: se l'età pensionabile continua ad aumentare, in tandem con la vita media, il periodo di godimento

della pensione non varierà, ma le scarse pensioni del contributivo saranno meno scarse, dato che si avrà

contribuito per un maggior numero di anni.

La terza iniquità sta nel fatto che lo straripamento della spesa previdenziale ha costretto a restringere le

spese nei comparti affini. Talché l'Italia ha uno strano primato: una spesa per pensioni molto più alta della

media dell'Eurozona e una spesa sociale (nei comparti diversi dalle pensioni: disoccupazione, assistenza,

sanità...) molto più bassa.

Che cosa fare? Le politiche di contenimento della spesa per pensioni hanno dato già tutto quello che

potevano dare, fino a sfiorare - se non oltrepassare - i limiti di ciò che è giusto. Per assicurare un futuro

previdenziale a chi oggi lavora è necessario sviluppare una previdenza integrativa, ma la previdenza

integrativa estrae i suoi frutti dalla ricchezza prodotta. Keynes ricorda il caso del padre del poeta Alexander

Pope, che si ritirò dagli affari con un baule di ghinee, nella sua villa di Twickenham, e ne usava ogni giorno

per i bisogni della sua vecchiaia. Ma macroeconomicamente questo non è possibile. Le "promesse

pensionistiche" non possono essere soddisfatte estraendo banconote messe da parte durante la vita

lavorativa. Il burro e le scarpe di cui un pensionato avrà bisogno in futuro potranno venire solo dal burro e

dalle scarpe prodotti in quell'anno. Il che vuol dire che il solo modo per tener fede alle promesse

pensionistiche, sia che vengano dal contributivo che dal retributivo, sta nell'assicurare che l'economia continui

a crescere e a sfornare beni e servizi.

Fra le tante ragioni di porre la crescita in cima alle cure del governo - e questo vale per l'Italia come per

l'Europa e per tutti i Paesi in via di invecchiamento - vi è anche quella di assicurare la sostenibilità dei sistemi

pensionistici. Il semestre di presidenza italiana nella Ue è cominciato bene, ma la partita si gioca su due

fronti: uno europeo, per introdurre una dose di intelligente flessibilità nelle regole di bilancio; e un altro -

fondamentale - italiano, ché la flessibilità ce la dobbiamo meritare con riforme che passino dall'annuncio

all'approvazione e - ancora più fondamentale - all'implementazione sul campo.

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 154

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Il nuovo rapporto della Ragioneria dello Stato sull'andamento delle prestazioni previdenziali rispetto all'ultimostipendio Pensioni sempre più leggere Assegni in ribasso per chi lascia con i requisiti minimi - Penalizzati gli autonomi Matteo Prioschi Pensioni sempre più magre. Almeno per chi lascerà il lavoro da qui ai prossimi 25-30 anni. Con una riduzione

più marcata dell'assegno per i lavoratori autonomi e, più in generale, per chi cesserà l'attività con i requisiti

pensionistici minimi. È questa la sintesi delle indicazioni che emergono dall'ultimo rapporto della Ragioneria

generale dello Stato sulle tendenze del sistema previdenziale. La buona notizia è che chi sceglierà di restare

al lavoro due-tre anni in più, vedrà crescere il tasso di sostituzione - vale a dire l'importo della pensione

rispetto all'ultimo stipendio - anche di dieci punti percentuali.

lo Conte e Prioschi u pagina 3

La sforbiciata delle prestazioni Due-tre anni di età in più nel 2050-2060 consentiranno di alzare il tasso di sostituzione netto anche di dieci

punti percentuali. È uno degli effetti del sistema contributivo con cui si calcolerà l'importo dell'assegno

previdenziale dei 25-35enni di oggi.

Lo sforzo, però, si dovrà compiere alla soglia dei 70 anni e quindi sarà da verificare quanti avranno la voglia,

le forze, la possibilità di continuare a lavorare a quell'età anche se l'aspettativa di vita sarà di oltre 86 anni per

gli uomini e di 91 per le donne. Non a caso la Ragioneria generale dello Stato nel suo rapporto 2014 sulle

tendenze di medio-lungo periodo del sistema pensionistico e socio-sanitario tende alla prudenza e ha

elaborato le previsioni per l'ipotesi base considerando che gli italiani scelgano, potendo, di andare in

pensione con i requisiti minimi o il pensionamento anticipato.

Partendo da queste premesse e con una crescita annuale del Pil nel periodo pari a poco meno dell'1,5%, il

tasso di sostituzione netto per un dipendente che nel 2050 incasserà il primo assegno previdenziale sarà del

73,1%, con 38 anni di contributi, quota che nel 2060 salirà al 73,6 per cento. Un autonomo (artigiano) senza

coniuge a carico potrà contare rispettivamente sul 72,8 e sul 73,7 per cento. Se, però, il dipendente se la

sentisse di lavorare altri tre anni per andare in pensione con la vecchiaia (nel 2050, 70 anni di età e 40 di

contributi) vedrebbe il tasso di sostituzione netto schizzare a quota 83,1 oppure a 85,5 nel 2060, contro il 78,2

del 2010.

Per l'autonomo, invece, i 70 sarebbero un traguardo obbligato, ma con un paio di anni di contributi in più (se

ha iniziato a lavorare prima o non ha avuto "buchi" nei versamenti) vedrebbe il tasso di sostituzione salire

anche di cinque punti percentuali. Non male, ma nulla in confronto ai suoi predecessori che sono andati in

pensione nel 2010 e hanno potuto contare sul 90% dell'ultimo assegno.

Le elaborazioni effettuate dalla Ragioneria generale dello Stato evidenziano che l'importo delle pensioni

future sarà influenzato più dall'età del pensionamento - per effetto del coefficiente di trasformazione - che

dagli anni di contribuzione. Non che questi ultimi non incidano, ma ritirarsi dal lavoro più tardi a parità di

contributi garantisce un "premio" migliore. La soglia dei 70 anni costituisce un punto di riferimento anche per

capire una delle conseguenze del quadro normativo oggi esistente, combinato con l'andamento demografico:

oggi i pensionati residenti in Italia sono circa il 150% rispetto a chi ha almeno 70 anni; nel 2060 saranno poco

più del 105 per cento. Come dire che quasi nessuno incasserà l'assegno prima di aver raggiunto tale età.

Accorciando l'orizzonte temporale, e con riferimento all'ipotesi base, tra il 2030 e il 2040 si nota, in

particolare per i dipendenti, il calo del tasso di sostituzione dovuto al passaggio dal pensionamento di

vecchiaia del regime misto a quello anticipato del regime contributivo: dopo un primo scalino sensibile rispetto

alla situazione attuale che avverrà nel 2020, successivamente il primo assegno passerà dal 77 al 71% della

retribuzione. Per gli autonomi, invece, il vero salto verso il basso si verificherà nei prossimi sei anni con il

tasso di sostituzione netto che passerà dal 96 al 74,1 per cento per poi scendere ulteriormente fino al 67 nel

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 155

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2035.

La differenza sostanziale tra autonomi e privati nel lungo periodo è che i primi potranno garantirsi tassi di

sostituzione vicini a quelli attuali ritardando il pensionamento o superando i 45 anni di contribuzione, mentre

gli autonomi nelle ipotesi più favorevoli (e comunque superando i 40 anni di contributi) rimarranno sotto di

dieci punti percentuali.

L'importo dell'assegno, poi, oltre che dall'età di pensionamento è legato ad almeno altri due parametri

importanti: l'andamento delle retribuzioni e quello del Pil. Come evidenziato da uno studio presentato al

congresso nazionale degli attuari già l'anno scorso, se il Pil crescesse dell'1% invece dell'1,5%, per esempio,

il tasso di sostituzione nel 2050 si ridurrebbe di sei punti percentuali.

Passando dalle previsioni sull'assegno a quelle di carattere più generale, si prevede per il periodo 2014-2029

una diminuzione del rapporto fra spesa pensionistica e Prodotto interno lordo, dopo i picchi raggiunti nel 2013

(16,3 per cento). L'inversione di tendenza si spiega con l'aumento dei requisiti minimi di accesso al

pensionamento e all'applicazione pro rata del sistema contributivo, nonché dall'ipotizzata ripresa della

crescita economica. Di conseguenza nel 2029 il rapporto spesa/Pil dovrebbe attestarsi al 15 per cento.

Nei quindici anni seguenti, però, ci sarà un nuovo cambio di direzione causato dall'innalzamento della

speranza di vita e dal pensionamento di una generazione particolarmente numerosa, fattori che nel 2044

riporteranno il rapporto al 15,7 per cento. Ulteriore cambio di tendenza negli anni a seguire (15,2% nel 2050 e

13,9% nel 2060) quale effetto dell'applicazione estensiva del regime contributivo nonché dell'adeguamento

alla speranza di vita dei requisiti per il pensionamento.

La ripresa economica attesa per i prossimi anni sarà comunque determinante perché l'andamento incide

sulla rivalutazione delle pensioni, che è legata al Pil. Come già sottolineato da più fonti, il perdurare della fase

di difficoltà rischia di incidere sul sistema.

I risultati delle elaborazioni condotte dalla Ragioneria quest'anno si differenziano da quelle dell'anno scorso

anche perché per il primo triennio ha ipotizzato un tasso di crescita annuale del Pil dell'1,2% rispetto all'1,5%

utilizzato in precedenza.

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Tassi di sostituzioneGli importi previstiLAVORATORE DIPENDENTE

LAVORATORE AUTONOMO Tassi di sostituzione lordi e netti (senza coniuge a carico) della previdenza

obbligatoria nello scenario nazionale base, ipotesi base (1) - (1) La dinamica della retribuzione/reddito

individuale è stata ipotizzata pari al tasso di variazione nominale della retribuzione lorda per unità di lavoro

dipendente, per il periodo storico, e pari al tasso di variazione reale della produttività per occupato, per il

periodo di previsione a partire dal 2015. Per il 2014, i valori del tasso di inflazione, del Pil e della

retribuzuzione lorda per unità di lavoro dipendente, utilizzata come retribuzione di riferimento, sono desunti

dal quadro macroeconomico elaborato per l'Aggiornamento del Programma di Stabilità 2014. La normativa

fiscale di riferimento è quella vigente. (2) Nell'ipotesi base l'età di pensionamento è uguale al requisito minimo

di vecchiaia per i lavoratori assunti prima dell'1/1/1996 (regime retributivo e misto) e pari al requisito minimo

previsto per il pensionamento anticipato per coloro assunti successivamente a tale data (regime contributivo).

(3) Nell'ipotesi base l'età di pensionamento è uguale al requisito minimo di vecchiaia in tutti e tre i regimi

(retributivo, misto e contributivo).Fonte: Ragioneria generale dello Stato

Foto: - Fonte: Mef, Ragioneria generale dello Stato

Foto: SE CAMBIA IL PIL 67 anni di età e 38 di contributi IN BASE ALLE RETRIBUZIONI Età 67 anni,

contributi 38, Pil 1,5% DATA DI PENSIONAMENTO Retribuzioni +1,5% e Pil +1,5%

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 156

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L'ANALISI Il potere temporale dei banchieri ANDREA BONANNI L'EUROPA è dei cittadini e non delle banche: sembra un'ovvietà quella detta ieri da Renzi per rispondere alle

indebite critiche della Bundesbank. Ma non lo è. Ed anzi coglie uno dei nodi cruciali della crisi in cui da anni

ormai si trascina l'Unione europea. Un nodo non semplice da sciogliere perché tocca sia i poteri delle banche

centrali, sia il loro mandato, e dunque il loro rapporto con la politica, ma soprattutto la funzione ideologica che

la storia della costruzione europea ha loro impropriamente affidato. Il presidente della Bundesbank giovedì ha

ironizzato sul discorso di Renzi al Parlamento europeo.

NON si può capire la sortita di Jens Weidmann, e si potrebbe essere erroneamente tentati di attribuirla ad un

eccesso di presunzione, se si ignora la storia della creazione della moneta unica e il ruolo ideologico che le

banche centrali vi hanno giocato. Il Trattato di Maastricht, che nel '92 metteva le basi per la nascita dell'euro,

fu voluto da Kohl come una garanzia offerta all'Europa per rassicurarla dopo l'unificazione tedesca. Per

arrivarci, il Cancelliere dovette imporsi in un epico scontro con il potentissimo presidente della Bundesbank,

Karl-Otto Pohl, che infatti si dimise dopo undici anni di incontrastata gestione del marco quale moneta di

riferimento europea. Ma la guerra non era finita.

E nel '97, quando si doveva decidere quali Paesi sarebbero entrati a far parte della moneta unica, un altro

potentissimo presidente della Bundesbank, Hans Tietmeyer, riuscì ad imporre al governo tedesco di esigere il

rispetto di una serie di rigorosissimi parametri economici come condizione per l'ingresso nell'euro. Nasce così

il Patto di Stabilità, che ha ingessato come una camicia di forza l'Europa nella fase difficilissima della crisi

economica. Esso è la creatura della Buba, che partecipò direttamente alla sua elaborazione e ai negoziati

preparatori, molto più che della Cancelleria di Berlino. Senza il potere incontrastato che la banca centrale

tedesca ancora esercitava sulle altre valute, tutte dipendenti dal marco, probabilmente la Germania non

sarebbe riuscita ad imporlo al resto d'Europa.

Ma il Patto di Stabilità non ha avuto solo effetti tecnici e politici, in parte anche positivi perché ha costretto i

governi ad una più sana gestione delle finanze pubbliche. Esso è diventato l'eredità morale, il lascito

ideologico, la condizione politica che ha consentito alla Bundesbank di abbandonare il controllo della moneta.

E, come sempre succede in questi casi, come accadde al Papato nella seconda metà dell'Ottocento, la

perdita del potere temporale produce inevitabilmente un arroccamento ideologico e culturale. Non essendo

più la padrona della moneta europea, la Bundesbank si è eretta a guardiano ideologico della sua "purezza", a

templare del Patto di Stabilità e della filosofia che lo sottende.

Questo ruolo negli anni è stato in qualche modo assecondato dal governo tedesco, un po' per comodità,

perché aveva interesse ad avere un "cane da guardia" di cui poteva a piacimento regolare il guinzaglio, e un

po' per soggezione culturale, dato che l'indipendenza della Banca Centrale e la sua totale autorità sulla

moneta è stato il cardine su cui si è creata la Germania democratica del dopoguerra. La riprova è arrivata ieri

nella dichiarazione della Cancelleria che, proprio per prender le distanze della sortita di Weidmann, si rifà al

dogma dell'indipendenza della Banca, le cui posizioni «non riflettono quelle del governo».

Quando Renzi pone il problema di chi detiene il potere in Europa lancia dunque una sfida che non è solo

politica ma anche e soprattutto ideologica.

La fine del potere temporale della Buba e delle altre banche centrali nazionali non ha significato la fine del

loro potere "spirituale". Da questo punto di vista, la laicizzazione dell'Europa, la restituzione della titolarità dei

valori fondativi dell'economia europea alla politica democratica, è un processo ancora da compiersi. Ma

senza quel processo, che è culturale prima che politico, si rischia di perdere anni a disputarsi su qualche

decimo di punto percentuale senza davvero "cambiare verso" all'economia europea.

E qui Renzi deve riflettere su un pericolo, tanto più insidioso perché si presenta sotto le spoglie di

un'opportunità. Un pericolo che si chiama Angela Merkel. Da giorni il governo italiano va ripetendo, con

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 157

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ragione, di avere un ottimo rapporto e una intesa di ferro con la Cancelliera. È vero. Ma il problema è che

Angela Merkel si prepara a fare con Renzi,e con le sue richieste di flessibilità, quello che ha fatto con Draghi

e con la sua decisione di schierare la Bce in difesa dei Paesi indebitati: dare il via libera senza dirlo. A parole,

la Cancelliera resterà sempre schierata per l'inviolabilità del "fiscal compact", come era schierata contro

l'acquisto di titoli di Stato da parte della Bce.

Nei fatti, poiché si rende conto che certi sviluppi sono giusti e necessari, lascia correre e benedice in segreto.

Tutto questo può andar bene per affrontare un'emergenza. Ma non rompe la sudditanza ideologica della

Cancelleria alla Bundesbank e di molti governi europei alle loro banche centrali. Il premier italiano deve

dunque affrontare un scelta difficile: approfittare dei margini che gli si offrono evitando lo scontro, oppure

portare a Bruxelles la questione che ieri ha posto in conferenza stampa scoperchiando il vaso di Pandora

sepolto nel cuore dell'Europa? Se riuscirà a imporre l'idea che realmente siano i cittadini a decidere le

politiche economiche e non le banche centrali, avrà davvero "cambiato verso" all'Europa. Ma è una battaglia,

questa, al cui cospetto le difficoltà che deve affrontare in Italia possono sembrare bagatelle.

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 158

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Telefonica entra nella pay tv Premium Mediaset incassa e cerca altri soci Gli spagnoli saranno l'apripista per il nuovo partner forte: voci su Al Jazeera e Vivendi SARA BENNEWITZ MILANO. Mediaset dice adiòs alla sua partecipazione nella televisione a pagamento spagnola e cede a caro

prezzo a Telefonica il suo 22% di Dts. Il colosso presieduto da Cesar Alierta, pur di consolidare le perdite

fiscali accumulate dal veicolo che controlla Digital+, ha firmato subito al gruppo del Biscione un assegno da

325 milioni di euro, a cui si aggiungeranno altri 10 milioni che Telefonica sarà pronta a pagare una volta che

avrà definito l'acquisto del 56% in mano ai connazionali di Prisa. Il colosso iberico delle tlc si è anche

impegnato a mantenere con Mediaset Espana un contratto di fornitura nei contenuti televisivi (del valore di

circa 25 milioni), e potrebbe aggiungere ai 335 milioni stanziati per Digital+ fino a massimi 30 milioni, nel caso

in cui i futuri abbonamenti della pay tv spagnola superino determinate soglie prestabilite; una pratica

abbastanza comune che compensa i venditori dei mancati guadagni futuri di un'attività.

Chiusa la partita spagnola, il gruppo di Cologno si concentra sulla valorizzazione delle attività a pagamento

italiane, per cui vanno avanti serrate trattative con primari gruppi industriali, che potrebbero riservare delle

sorprese già a cavallo del fine settimana. Secondo fondi finanziarie vicine a Mediaset, Telefonica potrebbe

rilevare fino a un 10% delle tv a pagamento del gruppo italiano in attesa che il gruppo controllato dalla

famiglia Berlusconi trovi un nuovo partner industriale. A questo proposito il socio più accreditato sarebbe

l'emittente araba Al-Jazeera che fa capo al Qatar, ma anche la francese Vivendi potrebbe giocare un ruolo

nella partita. L'investimento di Telefonica potrebbe servire a fissare un prezzo per l'emittente premium

italiana, che se finora ha avuto risultati in forte perdita, negli ultimi mesi si è però assicurata una posizione

privilegiata nel calcio a partire dal 2015. A febbraio Mediaset Premium si è aggiudicata infatti l'esclusiva della

Champions League per il triennio 2015-18, con un investimento di circa 220-230 milioni l'anno; la scorsa

settimana ha invece ottenuto le partite delle migliori otto squadre italiane di serie A per lo stesso triennio, con

esborso annuo di 373 milioni. In settimana, a margine della presentazione dei palinsesti autunnali, Pier Silvio

Berlusconi ha sottolineato che le attivitàa pagamento in Italia dovranno essere in grado di coprire gli ultimi

investimenti fatti nel calcio. Obiettivo che, a detta del vice presidente di Mediaset, sarà raggiunto sia con un

incremento degli abbonati, sia attraverso l'aumento della spesa media mensile per cliente. Gli analisti

finanziari, alla luce dei nuovi risvolti, stimano che Mediaset Premium possa avere un valore di circa un

miliardo di euro, anche se restano scettici sulle prospettive di breve termine della tv a pagamento, che alla

luce degli ingenti investimenti fatti dovrà accelerare il passo per arrivare al pareggio operativo in tempi brevi.

Anche per questo motivo l'ingresso a stretto giro di un partner industriale servirebbe alla pay tv italiana a

creare sinergie sui contenuti e a spingere sullo sviluppo della società.

I NUMERI 100 mln IL CIP Telefonica potrebbe puntare un cip da 100 milioni per comprare un 10% di

Mediaset Premium 22% DIGITAL + Il Biscione ha invece ceduto a Telefonica il 22% di Digital +, a un prezzo

tra 335 e 365 milioni

05/07/2014 25Pag. La Repubblica - Ed. nazionale(diffusione:556325, tiratura:710716)

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 159

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IL CASO Se l'America ignora il Pil FEDERICO RAMPINI NEW YORK «PERCHÉ il Pil puzza e nessuno ci fa attenzione»: con questo titolo colorito il Wall Street

Journal riassume le reazioni delle Borse alla presunta "frenataccia" dell'economia Usa. Meno 2,9%, il Pil nel

primo trimestre del 2014 mette l'America in rosso dopo 5 anni di ripresa. È il peggiore dato da inizio 2009,

quando gli Stati Uniti erano ancora in recessione. Ma questa revisione del Pil ha lasciato indifferenti mercati e

esperti. A PAGINA 9 NEW YORK. «Perché il Pil puzza e perché nessuno ci fa attenzione»: con questo titolo

colorito il Wall Street Journal riassume le reazioni delle Borse alla notizia di una presunta "frenataccia"

dell'economia americana. Meno 2,9%, il Pil nel primo trimestre di quest'anno. Un dato pessimo, mette

l'America "in rosso" dopo cinque anni di ripresa, la sbatte dietro ai malati cronici dell'eurozona. É il peggiore

dato dal primo trimestre del 2009, quando gli Stati Uniti erano ancora nel mezzo della recessione. Ma questa

revisione del Pil ha lasciato indifferenti i mercati e gli esperti. L'unica vittima? La credibilità stessa del Prodotto

interno lordo come indicatore sullo stato di salute dell'economia. Un tempo a contestare il Pil erano

soprattutto economisti di sinistra, come i premi Nobel Amartya Sen e Joseph Stiglitz, ambedue autori di

statistiche "alternative".

Oppure, ancora più radicali, c'erano le critiche dei teorici della decrescita come Serge Latouche, per i quali

l'aumento del Pil è sinonimo di sviluppo insostenibile, distruzione di risorse naturali. La novità: adesso agli

attacchi contro il Pil si uniscono l'establishment, i mercati, gli organi del neoliberismo. «L'incidente del primo

trimestre 2014», come si può intitolare la vicenda dello scivolone in negativo, è davvero esemplare. Tra i

fattori che hanno frenato la crescita Usa, il più potente è la riforma sanitaria di Barack Obama. A gennaio di

quest'anno entrava in vigore il nuovo sistema assicurativo. La sua prima conseguenza è stata un calo delle

tariffe sulle polizze sanitarie. E qui si tocca l'incongruenza dell'indicatore Pil: se gli americani hanno

finalmente speso un po' meno per le assicurazioni mediche questaè un'ottima notizia, ma riduce il Pil che è

un aggregato di tutte le spese. Il Pil non dice se stia migliorando la qualità delle cure mediche e quindi la

salute, misura solo la spesa nominale.

Una sanità inefficiente e costosa "fa bene" alla crescita, se invece si riducono sprechi e rendite parassitarie

delle compagnie assicurative, l'economia apparentemente ne soffre.

L'attacco al Pil trova concorde il Financial Times . «Come il Pil è diventato un'ossessione globale», è il tema

di un'inchiesta del quotidiano inglese. Che parte da alcune sconcertanti revisioni nella contabilità nazionale

che hanno fatto notizia.

La Cina, secondo uno studio recente della Banca mondiale, è molto più ricca di quanto credevamo: sta per

sorpassare gli Stati Uniti, da un mese all'altro.

Anche l'Inghilterra ha un'economia più prospera di quanto si pensava. Perché? Il "riesame" del Pil cinese, è

stato deciso per correggere errori del passato.

Sopravvalutando il costo reale di alcuni generi di prima necessità come gli spaghetti, si era simmetricamente

"impoverito" (nelle statistiche) il potere d'acquisto dei consumatori. Errore corretto, e oplà, di colpo la Cina nel

suo nuovo Pil misurato "a parità di potere d'acquisto" diventa quasi eguale all'America. Per quanto riguarda la

Gran Bretagna, il suo "arricchimento" improvviso (+5%) nasce dall'inclusione nel Pil di attività illecite e

sommerse come la prostituzione e il traffico di droga. Nel caso cinese come in quello inglese è evidente che

siamo di fronte a operazioni contabili del tutto discrezionali, arbitrarie. Non è cambiato nulla per il cittadino, il

lavoratore, l'imprenditore di quei paesi. É cambiato solo un numero, deciso dagli economisti.

Per la Gran Bretagna, poi, è evidente l'aspetto paradossale di questo massaggio delle statistiche: siamo

proprio sicuri che l'inclusione della droga nel Pil sia un indicatore fedele del benessere nazionale?

L'economista Diane Coyle, che è stata consigliera del ministero del Tesoro britannico, ha pubblicato un libro

sulla storia del Pil: "Gdp: A Brief But Affectionate History". Documentato, erudito, ironico, ma anche sferzante.

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 160

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La Coyle ci ricorda che «non esiste una cosa reale che gli economisti misurano e chiamano Pil».

Quell'indicatore statisticoè un'astrazione, un aggregato di spese dove entra di tutto: dai manicure alla

produzione di trattori ai corsi di yoga. Primo consiglio della Coyle: liberiamoci dall'idea che la rilevazione del

Pil sia come la misurazione del perimetro terrestre, un'operazione complessa ma scientificamente rigorosa.

Del resto il Pil è un'invenzione recente, e strumentale. Il primo a lavorarci fu l'economista americano di origine

bielorussa Simon Kuznets, negli anni Trenta. La missione gli era stata affidata dal presidente Franklin Delano

Roosevelt. Nel bel mezzo della Grande Depressione, Roosevelt aveva bisogno di una misura dello stato di

salute dell'economia, che non fosse di tipo settoriale o aneddotico come quelle usate fino ad allora. Ma lo

stesso Kuznets dopo avere "inventato" il Pil cominciò a esprimere serie riserve sulla sua validità. Nella

maggior parte dei paesi sviluppati bisogna attendere gli anni Cinquanta perché il Pil entri nelle consuetudini.

Un indicatore ben più completo e utile è quello elaborato per le Nazioni Unite da Amartya Sen ed altri, lo

Human Development Index (indice dello sviluppo umano): misura per esempio la qualità della salute e

dell'istruzione. Perché non riescea spodestare il Pil nel dibattito pubblico? La spiegazione che dà Sen è

disarmante, o inquietante: «Il Pil misura un tipo di crescita quantitativa che ha coinciso con l'arricchimento di

minoranze privilegiate. L'indice dello sviluppo umano sposterebbe l'attenzione verso attività e settori che

vanno a beneficio degli altri».

L'INDICEGRUPPI DI PAESI Nella classifica di questo nuovo indice, i Paesi vengono divisi in quattro gruppi

numericamente uguali COME SI MISURA L'indice dello sviluppo umano ha una scala in millesimi. Si va da un

minimo di zero a un massimo di uno SVILUPPO UMANO L'indice di sviluppo umano, a differenza del Pil, si

basa oltre che sul reddito procapite, anche sulle aspettative di vita e sulla scolarizzazione

PER SAPERNE DI PIÙ www.whitehouse.com hdr.undp.org/en/statistics/hdi

Foto: LA RIFORMA OBAMA Il presidente degli Stati Uniti la firma nel 2010. Dovrebbe dare una copertura a

32 milioni di esclusi La mappa mondiale L'INDICE VA DA 0 A 1 Indice dello sviluppo umano, la classiÞca

Indice basato su: Reddito procapite Livelli scolarizzazione Aspettativa di vita Indice molto alto: da 0,943 a

0,793 Indice alto: da 0,783 a 0,698 Indice medio: da 0,698 a 0,522 Indice basso: da 0,510 a 0,286

06/07/2014 1Pag. La Repubblica - Ed. nazionale(diffusione:556325, tiratura:710716)

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 161

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IL PUNTO Pirelli, a Rovati non bastano 130 milioni Tronchetti vuole i russi di Rosneft I proprietari di Rottapharm accolgono nel proprio Consiglio l'ex manager Bicocca, Chiappetta SARA BENNEWITZ MILANO. Il nuovo accordo tra Pirelli e il socio russo Rosneft non prevede che alcun membro della famiglia

Rovati possa sedere nel consiglio di amministrazione del gruppo degli pneumatici. E così Luca Rovati, che

continuerà a tutelare il suo investimento ai piani alti di Nuova Partecipazione e Mtp, ha già rassegnato le

dimissioni dal consiglio del gruppo della Bicocca, di cui fino alla scorsa primavera era un amministratore.

Eppure la famiglia che controlla Rottapharm Madaus, e che sta per collocare il Borsa il gruppo farmaceutico,

è il primo socio di Marco Tronchetti Provera nella società non quotata che raggruppa un pool di investitori

italiani tra cui la famiglia Acutis, Sigieri Diaz, Massimo Moratti, Alberto Pirelli, e le due maggiori banche

italiane.

Tra debiti e investimenti a più livelli della catena, i Rovati hanno investito sul mantenimento del controllo della

Pirelli circa 130 milioni, più di quanto avevano messo sul piatto i Malacalza in Gpi nel 2009, ai tempi del

passaggio di consegne tra Carlo Puri Negri e gli imprenditori genovesi. Allora, peraltro, e prima dei dissapori

che hanno portato al divorzio nell'estate 2012, Vittorio Malacalza era stato nominato da Tronchetti Provera

vice presidente della Pirelli. Dunque i Rovati sono stati trattati peggio dei Malacalza, e come i Malacalza

hanno accolto nelle loro società manager fuoriusciti da Pirelli. Dal prospetto informativo di Rottapharm si è

infatti appreso che Francesco Chiappetta, fino allo scorso anno top manager della Pirelli nonché responsabile

delle attività legali di Telecom Italia fino al 2008, è uno dei nove membri del cda della società che fa capo ai

Rovati e che sta per sbarcare a Piazza Affari. La famiglia Malacalza, che del gruppo della Bicocca possiede

direttamente il 7%, lo scorso autunno aveva invece assoldato come consulente Francesco Gori, ex ad della

divisione pneumatici in carica fino alla primavera 2012. Insomma, forse per meglio tutelare il proprio

investimento nel gruppo delle gomme, sia i soci a monte sia quelli a valle di Tronchetti, hanno pensato bene

di circondarsi di alcuni dei manager chiave che per anni hanno amministrato la Pirelli.

Foto: L'EX MANAGER Francesco Chiappetta, fino allo scorso anno top manager della Pirelli

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 162

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Bus e metro, via alla riforma spese fuori dal patto Stabilità cambiano leregole delle gare Verranno favoriti i consorzi tra le imprese del trasporto pubblico locale Arrivano fondi per nuovi mezzi: oggihanno un'età quasi doppia rispetto all'estero L'annuncio del sottosegretario alle Infrastrutture, RiccardoNencini ROBERTO MANIA ROMA. Fuori dal patto di stabilità interno le risorse destinate a finanziare il trasporto pubblico locale.È il perno

della riforma del settore che verrà presentata dal governo. Lo ha annunciato ieri il sottosegretario alle

Infrastrutture, Riccardo Nencini.

Si tratta dell'ennesimo intervento normativo da quando nel 1997 è stata avviata, sulla base di una direttiva

europea, la riorganizzazione dei servizi e delle società di gestione di tram e bus locali. Ma non sarà facile

rilanciare un settore che fa acqua da tutte le parti, i cui costi sono per due terzi sostenuti dai trasferimenti

pubblici e solo un terzo è coperto dagli incassi derivanti dalla vendita dei biglietti, mentre in Europa lo sono al

50 per cento. Il trasporto pubblico locale assorbe oltre tre miliardi di euro l'anno dal bilancio statale e genera

perdite senza fine: secondo un recentissimo studio di Mediobanca tra il 2006 e il 2012 il settore ha cumulato

perdite per circa 1,5 miliardi. E ancora: in Italia sono 16 mila i chilometri per addetto contro i 19.700 in

Europa. Con Bologna, però, pressoché in linea con la media continentale e Napoli che registra un record

negativo di 9.500 chilometri per addetto. «È necessaria - ha detto Nencini - un riforma che cambi

profondamente il sistema». Serviranno soldi per realizzarla, e la partita, dunque, si sposterà al ministero

dell'Economia. Tanto più che, tra le linee guida della riforma, c'è quella di modernizzare il parco rotabile: un

mezzo di trasporto in Italia rimane in media in attività circa 12-13 anni controi sette anni europei. Per

recuperare risorse il ministero delle Infrastrutture punta a sostituire il principio della "spesa storica", che ha

prodotto distorsioni a non finire senza penalizzare i cattivi gestori, con quello dei "costi standard" (un po'

come nella sanità) per la distribuzione dei finanziamenti.

Il governo ha in mente di favorire la creazione di consorzi tra imprese, definendo anche nuovi bacini di

utenza per avere una maggiore omogeneità territoriale e un numero più contenuto di affidamenti. «Sono 700 -

ha detto Nencini - e l'idea è quella di ridurli a un centinaio».

E, come indica da sempre l'Europa, serve più mercato nel settore del trasporto, più gare aperte, meno

affidamenti a società "in house". Questo deve essere un punto strategico, secondo l'Antitrust, che proprio due

giorni fa ha inviato al Parlamento la sue proposte per il disegno di legge sulla concorrenza. Praticamente -

spiega l'Authority- non si mai fatto ricorso alla gara per l'affidamento dei servizi ferroviaria regionali

passeggeri, e raramente nel trasporto su gomma. In più - sostiene l'Autorità del mercato - «va superata la

prassi per cui i contratti di servizio pubblico affidati in regime di esclusiva hanno spesso ad oggetto anche

servizi di carattere commerciale, così estendendo il monopolio detenuto nel mercato del trasporto pubblico

locale e riducendo la concorrenza in mercati già liberalizzati».

Obiettivo del governo è infine quello di premiare le aziende che combattono efficacemente l'evasione dei

biglietti.

I NUMERI 70% SUSSIDI/COSTI Gli aiuti pubblici coprono il 70% dei costi (contro il 50% medio europeo)

mentre il restante 30% è coperto dai ricavi 16.000 CHILOMETRI/ADDETTO Sono 16 mila i chilometri per

addetto in Italia, contro una media europea di 19.700 chilometri 41% AZIENDE IN DEFAULT Il 41 per cento

delle 250 imprese maggiori del trasporto pubblico locale è in una situazione finanziaria di default

Foto: L'ETÀ DEI BUS Quella media dei bus italiani è di 11,6 anni, contro i 5,4 della Germania, i 6,1 della

Spagna e i 7,5 della Francia

Foto: IL COSTO DEL PERSONALE Se raffrontato ai chilometri percorsi, è di 3 euro a chilometro in Italia, 1,1

euro nel Regno Unito e di 2 in Francia

06/07/2014 20Pag. La Repubblica - Ed. nazionale(diffusione:556325, tiratura:710716)

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 163

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Foto: IL GRADIMENTO Secondo l'Osservatorio Isfort, il gradimento degli utenti, da 0 a 10, è di 7,5 per la

metro e di 5,7 per bus e tram

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 164

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L'occupazione Lo scandalo dei fondi europei 500 mila progetti di formazione non sonoserviti a creare lavoro L'Italia ha speso 7 miliardi e mezzo in corsi di cui non si conoscono né costi né benefici Inclusione sociale,solo 233 nuovi impieghi contro i 30-50 mila di Germania e Francia L'inchiesta della "Voce.info". La Corte deiConti: dal 2003 ad oggi euro-furti per 1,2 miliardi VALENTINA CONTE ROMA. Una montagna di miliardi, sfuggita di mano. Ogni anno l'Italia spende cifre impressionanti in progetti

finanziati con fondi strutturali europei, eppure nessuno è in grado di valutarne gli effetti. Se ad esempio

favoriscono davvero l'inclusione sociale, se creano nuova occupazione e se questa è strutturale e come

viene retribuita. Anzi, va persino peggio. Non solo non conosciamo l'efficacia della spesa, ma ogni euro di

fondi ricevuti ce ne costa due in tasse: uno da versare all'Europa come membri dell'Unione e un altro come

cofinanziamento, obbligatorio per utilizzare quei fondi. Eppure, nonostante il clamoroso black-out informativo,

in cinque anni sono stati messi in campo ben 504 mila progetti di formazione, per una spesa di quasi 7

miliardi e mezzo. Con quali benefici? La risposta dello studio curato dagli economisti Roberto Perotti e Filippo

Teoldi e pubblicato sul sito lavoce.infoè una sola: i benefici sono ignoti.

«Nessuno riesce a districarsi tra piani europei, nazionali e regionali», osserva Perotti, docente alla Bocconi e

in passato consigliere economico di Renzi.

«Centinaia di documenti stilati per fissare obiettivi che nessuno rispetta. E i soldi diventano una mangiatoia

pazzesca per sindacati, assessorati regionali e provinciali». La soluzione per Perotti è una sola: «Non diamo

più soldi a Bruxelles, così non rischiamo di vederli finire nelle mani dei maestri dello spreco, in un sottobosco

politico parassitario». La tesi è ardita, ma suffragata dai numeri dello studio dal titolo "Il disastro dei fondi

strutturali europei".

Nel 2012 l'Italia ha versato 16,5 miliardi come contributi alla Ue e ne ha ricevuti in cambio solo 11, di cui 2,9

di fondi strutturali, tra Fse (per formazione, sussidi al lavoro, inclusione sociale) e Fesr (sussidi alle imprese e

infrastrutture). Questi fondi per essere spesi devono essere "doppiati" tramite il cofinanziamento, dunque

denari italiani. «Ottima idea, per coinvolgere il beneficiario. Ma se prendiamo il solo Fse, appena il 4% del

finanziamento totale viene dalle Regioni (quasi niente dalle Province), il resto è finanziato in parti uguali da

Stato italiano e Ue». I soldi di questo fondo dunque «sono completamente gratuiti peri soggetti che poi

attuano il progetto, cioè Regionie Province». Di qui la prima stortura. «Lo scopo del cofinanziamento è

completamente negato». Lo studio passa poi ad esaminare la spesa peri progetti di formazione, che

rappresentano la quasi totalità dei progetti dell'Fse (504 mila su 668 mila). Nel periodo 2007-2012 (dati

OpenCoesione) ben 7,4 miliardi su 13,5 sono stati impiegati qui. La valutazione di questi corsi è «un'industria

che non conosce crisi» e tiene in vita «decine di centri di ricerca» che hanno prodotto tra 2007 e 2011 ben

280 documenti di valutazione, per la stragrande maggioranza «inutili, un sottobosco nel sottobosco». Poiché

nessuno è davvero in grado di raccontare l'efficacia dei corsi. Le variabili di solito citate sono la percentuale di

soldi spesi e il tasso di occupazione.

Ma la prima non è per forza indice di successo: si possono spendere molti soldi in progetti inutili o dannosi. E

la seconda spessoè effetto della congiuntura, se non si riesce a misurare i posti di lavoro che davvero i corsi

di formazione e gli stage favoriscono.

Il confronto europeo è poi agghiacciante. Se l'Italia tra 2007 e 2013 ha offerto corsi a 21 mila persone, la

Francia aveva 254 mila iscritti e la Germania 208 mila (dati del network di esperti sulla spesa dell'Fse per

l'inclusione sociale). Ebbene, tra quelli che hanno completato le attività (appena 233 italiani, contro 50 mila

francesi e 32 mila tedeschi), solo il 14% risultava poi occupato in Italia, contro l'85% della Francia e il 35%

della Germania. Ma, aggiunge lo studio, «è possibile che i partecipanti italiani abbiano ricevuto servizi non

finalizzati a trovare un posto di lavoro». Ma allora a che cosa servono questi corsi? La Commissione europea,

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 165

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lo scorso marzo, sosteneva che grazie ai fondi Ue in Italia sono stati creati tra 2007 e 2013 più di 47 mila

posti, 3.700 nuove imprese, banda larga estesa a più di 940 mila persone, sostegno per 26 mila pmi, 1.500

chilometri di ferrovie e progetti di depurazione delle acque. La Corte dei Conti però, in febbraio, diceva che

dal 2003 ad oggi gli "eurofurti" (frodi, imprenditori fasulli, finti progetti, costi gonfiati, incarichi irregolari) hanno

raggiunto la cifra record di un miliardo e 200 milioni. Solo nel 2012 ne sono stati scovati 344 milioni (al top la

Sicilia con 148 milioni finiti nelle tasche sbagliate, vedi il caso del deputato pd Genovese che secondo le

accuse in cinque anni avrebbe lucrato ben6 milioni di euro di fondi europei destinati proprio alla formazione

professionale). Nel 2013 poi la Guardia di Finanza ne ha recuperati altri 228 di milioni. Arrivati come fondi

strutturali, poi finiti nelle tasche del malaffare. E certo non usati per creare posti o crescita.

Quanti occupati in più hanno prodotto i fondi europei per l'inclusione sociale*

* = Fondo sociale europeo 2007 - 2011

Partecipanti di cui: hanno completato l'attività

ITALIAGermaniaFrancia41,523,5 Fondo sociale europeo (FSE) 10,4 MILIARDI DI EURO Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale

(FEASR) Fondo europeo per lo sviluppo regionale (FESR) TOTALE 10,4 MILIARDI DI EURO 20,7 MILIARDI

DI EURO di cui MILIARDI DI EURO MILIARDI DI EURO per il Mezzogiorno 20.996 253.521 207.576 di cui:

occupati dopo il completamento dell'attività 31.527 49.046 233 1.627 57.591 89.414 I nuovi fondi strutturali

europei per l'Italia 2014 - 2020 FONTE ESF Expert Evaluation Network % di occupati fra quelli che hanno

completato l'attività 14,32 85,16 35,26 I NUMERI

13,5 mld FONDO SOCIALE EUROPEO È la spesa totale del Fse nel periodo 20072012, destinata al lavoro.

Di questi, 7,4 miliardi sono andati a corsi di formazione

280 STUDI Nello stesso periodo ci sono stati 280 documenti di valutazione dei progetti di formazione

14,3% OCCUPATI Alla fine dei corsi di inclusione sociale, solo il 14,3% (233 persone) è stato occupato,

contro il'85% della Francia

16,5 mld VERSATI ALLA UE Nel 2012 l'Italia ha versato 16,5 miliardi di euro come contributi alla Ue e ne ha

ricevuti soltanto 11

41,5 mld NUOVI FONDI A tanto ammontano i fondi strutturali previsti per il nostro Paese nel periodo 2014-

2020

PER SAPERNE DI PIÙ www.governo.it ec.europa.eu

Foto: SOLO IN 1627 Hanno completato i corsi di formazione finanziati dai fondi Ue per l'inclusione sociale

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 166

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L'INTERVISTA/ ALESSANDRO LATERZA, VICEPRESIDENTE DI CONFINDUSTRIA PER ILMEZZOGIORNO "Spendiamoli meglio ma guai a rinunciarvi" ROBERTO MANIA ROMA. Rinunciare ai fondi strutturali europei vorrebbe dire perdere il 50 per cento degli investimenti già

programmati nelle regioni del Sude il 25 per cento in quelle del centronord. Per questo Alessandro Laterza,

vicepresidente di Confindustria per il Mezzogiorno e le politiche territoriali, propone «pragmatismo». Bisogna

provare - dice - «ad accelerare la spesa e a migliorarne la qualità». Costituendo al più presto l'Agenzia per la

coesione perché, certo, è necessario un monitoraggio sull'utilizzo dei finanziamenti da parte delle Regioni.

Gli economisti Perottie Teoldi sostengono che sarebbe probabilmente più vantaggioso per l'Italia rinunciare

ai fondi strutturali comunitari e ai relativi cofinanziamenti nazionali. Perché non la convince questa proposta?

«È uno scenario che mi pare impossibile.

Dovremmo uscire da un percorso europeo che abbiamo sottoscritto e condiviso. Quella di Perotti e Teoldi mi

sembra una riflessione accademica e filosofica interessante e utile, ma non ha nulla di operativo. Così si va

semplicemente fuori tema, mentre il tema è come accelerare la spesa e migliorarne la qualità». Ecco,

appunto. Non le sembra paradossale che le risorse europee insieme a quelle nazionali finanzino progetti

regionali nei quali però il contributo delle Regioni è nullo? «È il motivo per cui la Confindustria sostiene la

creazione, che dovrebbe essere prossima, dell'Agenzia per la coesione. Non c'è dubbio che ci sia bisogno di

un monitoraggio forte. Ma non dobbiamo dimenticarci che in Europa ci presentiamo come Italia che a sua

volta, come gli altri Paesi, ha una sua struttura amministrativa. Non si tratta di alimentare il potenziale conflitto

tra Stato e Regioni, bensì di lubrificare i meccanismi di funzionamento. Io non festeggerei affatto la riduzione

dei fondi europei. Sono l'unica scorta che abbiamo per i nostri investimenti. Sprecarla sarebbe una sconfitta».

Ma per gli imprenditori non sarebbe meglio che le risorse dei fondi europei andassero alla riduzione delle

tasse? «È un'ipotesi che mi commuove...Parliamone nel 2020 quando si sarà esaurito il ciclo di

programmazione dei fondi. Non ci perderei tempo su una cosa del genere, per quanto capisca le esigenze

retoriche nei comizi politici». Come quello di Grillo, quando ha detto che l'Europa non dovrebbe dare i

finanziamenti all'Italia perché finiscono nelle mani delle organizzazioni criminali del Sud.

«È stato un fatto grave l'affermazione di Grillo. Comprendo la vulcanicità retorica di Grillo ma si trovava a

Strasburgo nella sede del Parlamento europeo. Abbiamo fatto una pessima figura sul piano istituzionale».

ire no ai fondi strutturali significherebbe perdere il 50% degli investimenti programmati nel Sud e il25% di quelli del Centro-Nord "ALESSANDRO LATERZA CONFINDUSTRIA

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INTERVISTA "Il patto di stabilità non va diluito" Il presidente della Bei, Hoyer «Rilanciare gli investimenti» Marco Zatterin "Il patto di stabilità non va diluito" A PAGINA 3 «Io sono solo un osservatore interessato», assicura Werner

Hoyer, tedesco, 62 anni, liberale, già segretario di stato agli Esteri nel secondo governo Merkel, dal 2012

presidente della Banca Europea degli investimenti, la fabbrica della finanza per lo sviluppo dell'economia

europea. Lo dice quando lo si porta a parlare della flessibilità dei Trattatati Ue che reputa essere

«sufficiente». Si spiega: «Non c'è bisogno di diluire il Patto di stabilità e crescita, non credo che tutta la

flessibilità prevista sia stata interamente sfruttata». Hoyer conosce bene l'Italia. Nel 2013 i nuovi prestiti Bei

verso il nostro paese hanno toccato la quota record di 10,4 miliardi, con un aumento del 50%. «Quando sono

stato a Roma in giugno - racconta -, ho trovato uno stato d'animo completamente cambiato. Per la prima

volta ho sentito un profondo senso di ottimismo. È tornata la convinzione che ce la si possa fare». L'Italia

chiede appunto meno oneri per fare le riforme. «C'è disponibilità a usare pienamente la flessibilità esistente.

In termini politici e nell'ambito dei Trattati. Ma la preoccupazione è che, per la seconda volta, dopo i peccati

franco-tedeschi dello scorso decennio, si rimetta in dubbio il senso del patto di Stabilità e crescita». A

proposito. Come va l'economia? «La crisi finirà solo quando avremo degli effetti sul lavoro, quando i tassi di

sviluppo saranno più elevati rispetto agli attuali. Far festa per un punto e mezzo di crescita non è un gran che.

È un passo avanti, ma non basta, non c'è ragione per compiacersi o fermare il processo avviato per cambiare

l'Ue». S'è fatto abbastanza? «Le decisioni chiave per superare la crisi sono prese. Bisogna attuarle. Resta da

fare molto in termini di riforme strutturali e politiche intelligenti per la crescita. La più grande sfida per l'Ue è

rilanciare gli investimenti, fermi da sette anni: la situazione è grave e non vedo arrivare un cambiamento». La

disoccupazione erode lo sviluppo, no? «È un disastro sociale, ma ha anche una dimensione puramente

economica. Se per anni non diamo ai ragazzi la possibilità di formarsi e imparare, nel momento in cui la

competitività internazionale e la ripartenza degli investimenti richiederanno forza lavoro con capacità

specifiche e di alto livello, l'Europa pagherà il fatto che i propri ragazzi non saranno preparati. Sono temi che

vanno affrontati in tutti i paesi, compreso il mio». Avete lanciato la Italian Risk Sharing Initiative. Come

funziona? «L'idea base è semplice. Si usa una dotazione finanziaria nazionale, senza spenderla, come base

per estendere le attività della nostra banca di cui gli italiani sono azionisti. Se qualcosa va male, si possono

garantire le conseguenze. In numeri, si mettono 100 milioni di garanzia che consente 500 di prestiti per

l'innovazione di pmi e mid caps, alle condizioni favorevoli che la provvista Bei fornisce. È una formula che,

sono sicuro, verrà presto estesa ad altri paesi». Soddisfatti del vostro aumento del capitale? «Quando sono

arrivato il primo gennaio del 2012 la Bei era costretta a ridurre il proprio giro d'affari, dopo l'aumento di attività

degli anni precedenti per aiutare l'economia, colpita dalla crisi derivante dal fallimento della Lehman Brothers.

Con coraggio, gli stati dell'Ue hanno preso una decisione straordinaria. Ci hanno permesso di tornare a

svolgere un'azione anticiclica. Abbiamo aumentato le attività di quasi il 40%». Una richiesta specifica per la

presidenza italiana? «Il nostro vero problema è l'incapacità di sviluppare i singoli progetti. Vogliamo rafforzare

il terzo pilastro della nostra attività, la consulenza. Serve a sviluppare adeguatamente i dossier in questi tempi

di liquidità a basso costo. Richiede più personale, più esperienza sviluppata internamente». I Project bond

diventeranno permanenti? «Stiamo entrando nella fase a regime. Saremmo in grado di fare di più se le

condizioni che erano valide all'inizio della fase pilota fossero ancora valide. Purtroppo, chi ha pensato i bond

non poteva prevedere che le condizioni di eleggibilità sarebbero cambiate con il nuovo quadro finanziario

pluriennale, approvato alla fine della fase pilota. Ad esempio, un progetto di immagazzinamento del gas oggi

non sarebbe più finanziabile con questo strumento senza un interesse transnazionale. Questo rende le cose

più difficili».

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 168

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L'elasticità sui conti

C'è piena disponibilità a usare la flessibilità esistente Ma la preoccupazione è che, dopo i peccatifranco­tedeschi dello scorso decennio, si rimetta in dubbio il senso del patto di stabilitàLa disoccupazione

Se per anni non diamo ai ragazzi la possibilità di formarsi e imparare, l'Europa pagherà il fatto che ipropri giovani non saranno preparati È un tema da affrontareL'uscita dal tunnel

La crisi finirà solo quando ripartirà l'occupazione Non bisogna far festa per un punto e mezzo dicrescitaFoto: Tedesco Werner Hoyer, 62 anni liberale, è presidente della Bei dal 2012 Qui in compagnia del ministro

Guidi un mese fa IMAGOECONOMICA Werner Hoyer presidente della Banca Europea degli Investimenti

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 169

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IL GARANTE CONTRO LA GIUNGLA DELLE SOCIETÀ PARTECIPATE LOCALI L'Antitrust: "Più liberalizzazioni per superare il capitalismo di Stato" Fra le indicazioni: aprire altre farmacie ed equiparare autonoleggio e taxi LUIGI GRASSIA Si parla tanto di liberalizzare il sistema economico ma adesso è ora di rimboccarsi le maniche: lo dice

l'Antitrust al governo e al Parlamento. «Sulla liberalizzazione dei mercati e sulla semplificazione molto è stato

già fatto ma molto rimane ancora da fare» scrive il Garante. «È imprescindibile realizzare le riforme strutturali

per non mettere a rischio la crescita economica nel medio periodo. Spazi di intervento ci sono in tutti i settori

più rilevanti: energia, comunicazioni, poste, banche, assicurazioni, servizi pubblici locali e società pubbliche».

Nelle proposte dell'Autorità trova spazio anche la revisione dei settori portuale e aeroportuale e quello della

gestione dei rifiuti. La segnalazione rappresenta il contributo tecnico dell'Antitrust ai soggetti istituzionali

chiamati a individuare le misure più utili a rinnovare l'economia. L'Autorità interviene in particolare su un tema

che è di grande di attualità ai fini della cosiddetta «spending review» (cioè i tagli delle spese inutili); dice il

Garante che bisogna intervenire sui servizi pubblici locali e sulla giungla delle società partecipate «per

superare quel capitalismo pubblico che non consente di raggiungere adeguati livelli di efficienza e di qualità

dei servizi». Vista l'importanza delle infrastrutture per la competitività del sistema, la segnalazione suggerisce

poi «l'adozione di forme di consultazione pubblica preventiva sul modello del "debat public" francese che,

evitando l'insorgere di contestazioni successive alla fase della decisione, e consentono un'accelerazione dei

tempi e una riduzione dei costi di realizzazione». Per scendere un po' più nel dettaglio delle indicazioni

vediamo che cosa scrive l'Antitrust sulle farmacie. Il Garante dice che bisogna capovolgere la prospettiva:

«Occorre passare dall'attuale sistema che prevede un numero massimo di farmacie» (a tutela dei gestori,

ndr) «a un modello che ne stabilisca, al contrario, un numero minimo, per tutelare l'interesse pubblico a

un'efficiente distribuzione, senza impedire l'accesso ai potenziali nuovi entranti». Sulle banche: «È necessario

aumentare il tasso di mobilità della clientela, introducendo un termine massimo di 15 giorni per il

trasferimento del conto corrente e prevedendo un risarcimento al cliente in caso di ritardi». Sui taxi e sul

cosiddetto "Noleggio con conducente" che fa concorrenza alle vetture tradizionali: «Bisogna eliminare gli

elementi di discriminazione competitiva esistenti, in una prospettiva di piena sostituibilità dei due servizi».

Invece sui carburanti l'Antitrust scrive che «una razionalizzazione per decreto della rete dei distributori non è

la migliore soluzione rispetto al libero operare dei meccanismi di entrata e di uscita dal mercato».

5258partecipate Questo il numero censito dalla Corte dei Conti secondo cui costano 26 miliardi all'anno

15giorni Il massimo proposto dall'Antitrust per trasferire il conto corrente (con penale in caso di ritardo)

Foto: ANSA

Foto: Il presidente dell'Antitrust, Giovanni Pitruzzella

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 170

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SODDISFATTI I VERTICI Carige ce la fa Tutto esaurito l'aumento di capitale TEODORO CHIARELLI INVIATO A GENOVA Dopo mesi di scandali, polemiche e bufere giudiziarie per Banca Carige arriva un segnale positivo. L'aumento

di capitale da 800 milioni fa quasi il tutto esaurito. Al termine, ieri, del periodo di offerta in opzione ai soci

l'aumento risulta sottoscritto al 99,9%, per un controvalore di 798,1 milioni di euro. I diritti non esercitati

saranno offerti in Borsa nelle sedute dall'8 al 14 luglio. L'inoptato dell'istituto genovese al termine della fase di

offerta in opzione è stato quello più basso fino ad ora registrato nell'ultima stagione di ricapitalizzazioni in

Piazza Affari. «Siamo molto soddisfatti per l'ottimo esito dell'aumento di capitale - commenta il presidente di

Carige, Cesare Castelbarco Albani La decisa azione di rinnovamento avviata dal Cda della banca dallo

scorso ottobre, e le prospettive delineate dal piano industriale 2014-18, hanno incontrato il pieno

apprezzamento del mercato e ci incoraggiano a proseguire in questa direzione». Grande soddisfazione

anche da parte dell'ad Piero Luigi Montani, che ha preso le redini della banca dopo la cacciata dell'ex numero

uno, Giovanni Berneschi, poi arrestato con l'accusa di truffa nei confronti della stessa Carige e riciclaggio. «Il

completamento dell'operazione di aumento di capitale rappresenta una solida base da cui partire per

realizzare gli obiettivi di efficienza e redditività definiti nel piano industriale». Dopo l'aumento, primo azionista

di Carige rimane la Fondazione con il 19%, seguita dai francesi di Bpce con il 9,9%. Non sarebbero emersi

nuovi azionisti con quote significative oltre il 2%, mentre avrebbero sottoscritto l'aumento diversi fondi.

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 171

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Tagli dello Stato, è boom di imposte locali Più tasse a tutti Ecco i conti del federalismo Tributi diversi da un Comune all'altro Cuneo più virtuosa, Roma peggiore ANDREA ROSSI Il federalismo fiscale ha portato più tasse per tutti. Il taglio dei trasferimenti ha provocato il boom delle

imposte locali. Tra il 2007 e il 2014 lo Stato ha privato i Comuni di fondi per 7,5 miliardi. E i sindaci si sono

rivalsi su cittadini e imprese aumentando le tasse, ovviamente per 7,5 miliardi. Tra le città Cuneo è la più

virtuosa, Roma la peggiore. Bresolin, Giovannini, Rossi e Spini Un piccolo imprenditore milanese quest'anno

smetterà di lavorare per pagare le tasse il 27 agosto. Un torinese tre giorni prima, il 24. A quel punto avrà

poco più di quattro mesi per occuparsi di se stesso e del proprio profitto. Se però la sua attività fosse

insediata altrove, potrebbe chiudere i suoi conti con il Fisco anche un mese prima. A Cuneo, il suo «tax free

day», il giorno in cui si libera dalla morsa dello Stato, sarebbe addirittura il 25 luglio, a Gorizia e Sondrio il 28.

In fondo, è meglio che non si lamenti. Potrebbe andare peggio: ad esempio, i suoi colleghi romani o

bolognesi annasperanno fino al 29 settembre, come i fiorentini e i reggini; i cremonesi fino al 17, i biellesi

all'11. Il più grande prestigiatore di questi ultimi anni è stato il Fisco: tra i 2007 e il 2014 lo Stato ha eliminato

ai Comuni trasferimenti per 7,5 miliardi. E i sindaci si sono rivalsi su cittadini e imprese, aumentando le

imposte locali. Ovviamente per 7,5 miliardi. I presidenti di Regione, poi, ci hanno messo del loro, facendo

lievitare le addizionali Irpef di 2,4 miliardi. Risultato: non solo il macigno fiscale sulle imprese si è appesantito

(la pressione sui profitti delle aziende è passata dal 59,1% del 2011 al 63,1 del 2014), ma soprattutto si è

diversificato da regione a regione e, ancor di più, da città a città, producendo grossolani squilibri anche a

distanza di pochi chilometri, realtà dove mantenere un'attività è diventato un atto d'eroismo più che una

scommessa. L'osservatorio permanente degli artigiani di Cna sulla tassazione delle piccole e medie imprese

mostra un'Italia formato ottovolante, dove un artigiano romano perde per strada (lasciandoli a Stato, regione

e comune) il 74,4% dei suoi profitti, un milanese il 65,1%, un cuneese il 56,2%. Fino al 2011 il quadro era

molto più uniforme. Poi è arrivata l'Imu. Dopo ancora la Tares, che oggi si chiama Tari. Infine la Tasi. E una

quota sempre più consistente della leva fiscale è passata nelle mani dei sindaci. Doveva essere il principio

base del federalismo: il risultato, per ora, è un feroce e diffuso aumento della pressione fiscale. Ma non

dappertutto. O, almeno, non con le stesse dimensioni. Ad esempio, a Roma, il Comune fa pagare alle

aziende 8 mila euro di Imu (o Tasi) e 6 mila di tassa rifiuti, Bologna tartassa i fabbricati (10.700 euro) ma è

meno esosa sull'immondizia (2.700). Sommando le imposte, parliamo comunque di 13-14 mila euro, mentre

Cuneo si accontenta di 2.600 euro in tutto, Arezzo di nemmeno 4 mila. Reggere la concorrenza, con disparità

così macroscopiche, diventa una chimera. Tre anni fa non c'era poi tutta questa differenza: il carico fiscale su

un'azienda romana era il 65,7%; per una partita iva cuneese, all'opposto della classifica, era il 55,3%. La

situazione del cuneese non è cambiata granché - anche se di certo non è migliorata -, in compenso i romani

sono rimasti strangolati: per loro la pressione del Fisco è cresciuta del 10%. E il gap con i territori che meno

s'accaniscono sui contribuenti è raddoppiato. In un certo senso chi fa impresa là dove i tributi locali sono

fortemente aumentati è penalizzato due volte: dall'eccessivo peso fiscale che grava su tutte le aziende

italiane, e dalla particolare condizione del suo comune. Gli basterebbe, ad esempio, trasferirsi da Firenze ad

Arezzo per intascare 700 euro in più al mese. O, se volete, per pagare 700 euro in meno di tasse. Oppure

potrebbe migrare da Genova a Imperia e risparmiare 5 mila euro l'anno, lasciare Biella per Cuneo e poter

contare su 6 mila euro in più l'anno. L'esito del federalismo all'italiana su chi fa impresa, alla fine, è questo:

l'imprenditore romano quest'anno lascerà sul campo oltre 37 mila euro (mille in più dei suoi colleghi fiorentini),

contro i 29 mila di un concorrente di Udine, i 32.500 di un milanese, per non parla

re dei 28 mila del solito "fortunato" cuneese. Ciascuno, quando tira le somme a fine anno deve guardarsi in

casa, in tutti i sensi: non conta solo la bontà del lavoro, le intuizioni, la capacità d'innovare e scoprire nuovi

mercati, ma anche - molto più banalmente - le decisioni del sindaco di turno. O, direbbero i sindaci, le scelte

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dei governi che, tagliando i tra- sferimenti, li obbligano a inasprire le tasse. Il rapporto causa-effetto è

comunque impietoso: là dove le imposte comunali sono cresciute molto, dal 2011 a oggi gli imprenditori sono

stati fortemente penalizzati rispetto ai loro concorrenti che lavorano altrove, dove si è comunque calcato la

mano ma senza strangolarli.

63,10%l'imposizione Rispetto a tre anni fa la pressione fiscale per le imprese è aumentata: nel 2011 era al 59,10%

15,30%ai Comuni È il peso dei tributi comunali sul totale: il 36,80% va all'Erario e l'11% alle Regioni

Foto: (*) giorno in cui l'impresa finisce di pagare le tasse IMPRESA STANDARD: 5 dipendenti, più di 400 mila

euro di fatturato e un reddito prima delle imposte di 50 mila euro

Foto: FONTE: Osservatorio permanente sulla tassazione di artigiani e piccole imprese

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 173

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il caso Rivoluzione allo Ior Arriva il francese de Franssu e stop ai maxiinvestimenti Passaggio di consegne soft con von Freyberg Calo netto degli utili Cambia il consiglio, confermata la lineadella trasparenza ANDREA TORNIELLI CITTÀ DEL VATICANO Ior, si cambia. Salvo sorprese dell'ultima ora mercoledì prossimo il cardinale australiano George Pell,

segretario per l'Economia (il nuovo «ministro delle Finanze» vaticano) annuncerà il cambio dei vertici

dell'Istituto per le opere di religione che sta per pubblicare il suo secondo bilancio annuale certificato. Un

bilancio non certo positivo, che per il 2013 segna un calo dell'utile netto da 86,6 milioni ad appena 2,8 milioni.

In molti ormai danno per decisa l'uscita di scena dell'avvocato-industriale tedesco Ernst von Freyberg,

nominato in extremis quale successore di Ettore Gotti Tedeschi alla guida della «banca vaticana» nei giorni

successivi alla rinuncia di Benedetto XVI. Con lui a lasciare sarà l'intero cda, quel board dei laici che gestiva

l'Istituto dal settembre 2009. Al posto di von Freyberg dovrebbe essere nominato il francese Jean-Baptiste de

Franssu, già Chief Executive Officer di Invesco Continental Europe, già membro dell'ormai disciolta

commissione vaticana referente che ha studiato i problemi economici e amministrativi della Santa Sede e

attualmente membro del Consiglio per l'Economia. Insomma, uno di casa Oltretevere da più di un anno, già

entrato nel novero dei possibili candidati per la presidenza dello Ior durante il lungo processo di selezione

dopo la cacciata di Gotti, conclusosi quasi sul filo di lana della sede vacante con la designazione di von

Freyberg nel febbraio dell'anno scorso. Ad essere rinnovato sarà l'intero board ed è probabile che oltre alle

persone, cambino pure le strutture: la commissione cardinalizia di vigilanza sullo Ior, ad esempio, potrebbe

mutare nome e organizzazione. Non è escluso, come già accaduto nei mesi scorsi per il Consiglio

dell'Economia, dove siedono fianco a fianco con pari dignità esperti professionisti laici e cardinali, che anche

nel futuro della «banca vaticana» si vada verso il board misto laico-ecclesiastico. Ufficialmente all'origine di

tutto c'è la riforma dell'Istituto per le Opere di religione, tristemente noto alle cronache giudiziarie e spesso

fonte di contro-testimonianza evangelica. Papa Francesco e i cardinali consiglieri che lo aiutano nella riforma

della Curia hanno ritenuto opportuno mantenerlo in vita: svolge infatti un servizio importante per gli scambi di

denaro con gli ordini e gli istituti religiosi nel mondo. Ma in futuro non si occuperà più direttamente dei grandi

investimenti: per questo sarà creata la nuova figura del Vam, Vatican asset manager, che sotto il controllo

della segreteria per l'Economia opererà per far fruttare i capitali Ior come pure i capitali dell'Apsa,

l'Amministrazione del patrimonio della sede apostolica, sempre più facente funzione di «banca centrale». La

linea della trasparenza, con il controllo sui conti correnti, i bilanci certificati e l'applicazione delle norme

antiriciclaggio, non cambia. Von Freyberg, che l'ha incarnata in questi mesi, potrebbe rimanere a fianco del

nuovo presidente designato per qualche settimana così da favorire un passaggio di consegne soft. Il crollo

dell'utile dello Ior dagli ambienti vicini all'attuale presidenza viene attribuito solo ad errori della vecchia

gestione, ma sta di fatto che l'anno scorso l'Istituto aveva potuto donare al Papa ben cinquanta milioni di

euro, usati per sostenere l'evangelizzazione. Soldi che quest'anno non ci saranno. Se la nomina di de

Franssu mercoledì sarà confermata, sarà il segno del consolidarsi del potere interno del cardinale Pell, che

ha fortemente voluto questa soluzione, e dell'altro uomo emergente delle finanze vaticane, il maltese Joseph

F.X. Zahra, anch'egli legato al porporato australiano e membro del Consiglio per l'Economia.

Foto: INFOPHOTO

Foto: Jean­Baptiste de Franssu

06/07/2014 9Pag. La Stampa - Ed. nazionale(diffusione:309253, tiratura:418328)

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 174

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Le proposte Riccardo Illy INTERVISTA "Servono misure di rottura Via la reversibilità e l'art. 18" [F. SP.] MILANO Riccardo Illy, presidente dell'omonimo gruppo alimentare, ha sentito le parole di Napolitano?

«Condivido le parole e la preoccupazione del Capo dello Stato, ma ci sono almeno due considerazioni da

fare. Primo: i giovani che hanno voglia di lavorare, se non ci riescono in Italia, vanno all'estero. Secondo:

spesso è un problema delle famiglie». Spieghi. «Troppa protezione. Conosco genitori che hanno preferito

tenere a casa i figli pasticcieri o camerieri piuttosto che farli alzare alle cinque ogni mattina o farli stancare

troppo. Per non parlare dei "neet", quelli che non studiano e non lavorano. Il problema va affrontato con nonni

e genitori che li mantengono: un ragazzo che arriva a 30 anni senza aver studiato o lavorato ma chi lo

assumerà mai?». In generale si sta facendo abbastanza per il lavoro? «Direi di no, quello impostato finora è

stato un gioco a somma zero. Occupando i giovani con incentivi legati all'età, si crea un effetto sostituzione

con 40-50enni, che non fa meno danni». Quindi? «Bisogna creare più occupazione sviluppando l'economia,

cosa che finora è stata solo affermata, senza aver individuato modalità per farlo. Servono soluzioni

dirompenti: il problema è la domanda insufficiente. Occorrono idee per rilanciarla, come creare degli obblighi

per rilanciare gli investimenti. Due idee? Obbligare a sostituire le automobili più vetuste e inquinanti,

costringere a ristrutturare le case meno efficienti dal punto di vista energetico per mantenere l'abitabilità». E

sul fronte delle regole? «Occorre una vera rivoluzione. Mentre siamo ancora lì a parlare di Articolo 18, non ci

rendiamo conto che i nostri competitor sono la Cina e gli Usa, dove qualunque impresa assume o licenzia

quando vuole». Via l'Articolo 18, dunque? «Va superato e sostituito con misure di flexsecurity sul modello

danese. Per difendere quella che è ormai una minoranza di lavoratori a tempo indeterminato, stiamo

rinunciando a migliaia di assunzioni. Ci sono poi istituti antiquati come il Tfr, o la pensione di reversibilità, che

pure entra nel costo del lavoro: se la donna lavora non ha più senso. Invece manca un aspetto della

formazione». Ossia? «Negli Usa ce ne sono più di 100, noi invece non abbiamo scuole per formare

imprenditori. E l'imprenditoria per i giovani è una grande risorsa».

No ai genitori che tengono i figli a casa piuttosto che farli alzare alle 5 di mattina e stancarsi troppoRiccardo Illy Presidente del gruppo Illy

Foto: Imprenditore Riccardo Illy, 58 anni, è presidente dell'omonimo gruppo alimentare

07/07/2014 2Pag. La Stampa - Ed. nazionale(diffusione:309253, tiratura:418328)

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 175

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tutto soldi/ l'intervista / MEDIOLANUM "Focus su tecnologia e servizi L'obiettivo? Utili a 400 milioni" Massimo Doris: "Già dal prossimo anno alzeremo i dividendi ai soci Mentre i concorrenti scappavano, durantela crisi abbiamo investito" Vogliamo diventare l'unica banca dei clienti Ora anche i super ricchi vengono danoi FRANCESCO SPINI «Dove saremo tra cinque anni ? Credo che un obiettivo di portare gli utili a 400 milioni sia auspicabile. Già dal

prossimo anno saremo più generosi con i dividendi, aumentando la quota di profitti da distribuire...». Massimo

Doris, 47 anni, vicepresidente del Gruppo Mediolanum e ad della banca è prudente sui target ma ha le idee

chiare sulla strategia: «Far diventare il nostro istituto l'unica banca dei nostri clienti». Dottor Doris, intanto

anche nella pubblicità lei ha sostituito suo padre Ennio. È il definitivo passaggio delle consegne? «Già da

anni, in buona parte, mi occupo dell'azienda, anche se mio padre resta molto presente in banca, dove

mantiene ancora i rapporti istituzionali e incontra i grandi clienti. Garantisce il fatto che l'azienda prosegue

negli obiettivi di prima e continua con la tradizione di attenzione nei confronti di clienti e family banker». Ora

però la faccia del gruppo è la sua... «Mettiamola così: stiamo facendo importanti investimenti in tecnologia. E

nel parlare di tecnologia e innovazione un 47enne è un po' più credibile di un 74enne...». La legge vi obbliga

a trasformarvi in gruppo bancario. Cosa cambia? «È una trasformazione per lo più burocratica, senza

ricadute organizzative e negli obiettivi. Anche sul fronte patrimoniale, il Core Tier 1, che nel 2013 ha chiuso

sopra il 14%, crescerà dopo il cambio. Probabilmente chiuderemo l'anno sopra il 15%». Qual è il cardine della

vostra strategia? «Il nostro obiettivo è essere l'unica banca dei nostri clienti, andando oltre la sola gestione

del risparmio ed estendendo il rapporto ai servizi tipici dell'attività bancaria. Oggi il 39% dei nostri clienti usa

solo Banca Mediolanum. Nel 56% dei casi invece siamo comunque la prima banca. C'è un altro aspetto

importante». Quale? «L'investimento in tecnologia. Il risparmiatore di domani vorrà sempre più confrontarsi

con una banca avanzata. Di qui i nostri sforzi per dare servizi come quello dei pagamenti tramite telefonino

con tecnologia Nfc, oppure i pagamenti dei bollettini scattando una foto con lo smartphone, l'accordo con

Paypal per il trasferimento di denaro, o, ancora, la firma elettronica per sottoscrivere investimenti. Accanto

alla tecnologia, però, resta fondamentale l'assistenza ai nostri clienti del family banker, che aiuta ad affrontare

problemi, a prendere decisioni importanti». Sono questi superpromotori «inventati» da suo padre ad avervi

permesso di superare la crisi senza scossoni? «È una delle ragioni. Un'altra è il fatto che eravamo e siamo

convinti che tutte le crisi presto o tardi si superano. Portando questa visione alla clientela, quest'ultima non

solo si tranquillizza ma ne approfitta: chi è entrato nel mercato nei momenti di crisi sta guadagnando molto

bene». E la società come ha reagito? «Abbiamo continuato a fare forti investimenti pubblicitari per dire: "Noi

ci siamo". Questo ci ha permesso di crescere, mentre i nostri concorrenti si sono ritirati dal mercato

pubblicitario, eravamo quasi da soli a parlare al pubblico dei potenziali clienti. In più, nel corso della crisi, ci

ha aiutato anche il nostro modello». «Ha una percentuale di costi fissi e un sistema distributivo meno oneroso

e meno rigido di quello delle banche tradizionali. Il modello con le filiali andava bene fino a dieci anni fa, oggi

non è più al passo con i tempi, con Internet e soprattutto con la tecnologia mobile. Non a caso le banche

progettano di chiudere gli sportelli e di trasformare parte dei loro dipendenti in promotori finanziari: stanno

venendo verso il nostro modello. Che non prevede sportelli, pur offrendone il maggior numero grazie agli

accordi che abbiamo con Poste Italiane e Intesa Sanpaolo che permettono ai nostri clienti di versare e

prelevare contanti da loro». Avete avuto conseguenze dalla tassazione sulle rendite salita al 26%? «L'impatto

per il momento è basso, anche perché il rendimento dei titoli di Stato è sceso molto, ultimamente. Devo dire

che ritengo l'aver lasciato la tassazione di questi ultimi al 12,5% concorrenza sleale. Più in generale,

aumentare le imposte significa schiacciare la crescita economica». L'idea è più tasse sulle rendite per ridurre

quelle sul lavoro... «Finora sono state alzate le prime - che contando i bolli sono ben oltre il 26% -, mentre sul

lavoro non si è ancora visto nulla. Se non ci si vuole accontentare di uno zerovirgola c'è una sola strada per

07/07/2014 17.20Pag. La Stampa - Ed. nazionale(diffusione:309253, tiratura:418328)

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 176

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crescere: tagliare le tasse agli italiani, che sono sia lavoratori sia risparmiatori». Parliamo di dividendi. «Al

momento distribuiamo circa il 50% degli utili netti consolidati. Potremo far crescere ancora un po' un Core

Tier 1 superiore al 15%. Ma essendo già a livelli molto buoni, a partire dall'anno prossimo possiamo pensare

di essere più generosi con gli azionisti. Del resto: o si usa il capitale in eccesso per fare acquisizioni, o lo si

distribuisce agli azionisti». Niente acquisizioni, quindi? «Per il momento no. Vogliamo crescere

organicamente. Detto ciò valutiamo sempre le opportunità che ci sottopongono le banche d'affari». La quota

in Mediobanca? «È strategica e rimarrà stabile». Come procede la vendita di Banca Esperia, la vostra

joint­venture con Piazzetta Cuccia? «Al momento non c'è nulla in corso». Un giudizio sull'alleanza? «È

un'azienda partita da zero che oggi ha masse in gestione per 15 miliardi: abbiamo costruito una realtà

importante del private banking». E allora perché vendere il vostro 50%? «Perché vogliamo sviluppare

Mediolanum Private Banking, una divisione creata alcuni anni fa con i nostri migliori family banker. Nel

frattempo il nostro nome sul mercato è cresciuto. Mentre le altre banche hanno avuto difficoltà, noi abbiamo

continuato a fare utili. Risultato: oggi anche la clientela di alto livello si affida a Banca Mediolanum e Banca

Esperia non è più così fondamentale come prima». Che 2014 si aspetta, visti i primi mesi? «A fine maggio

eravamo a 1,6 miliardi di raccolta netta contro il miliardo del maggio 2013: siamo partiti molto più forte. Al

punto che mi aspetto di chiudere il 2014 sopra i 3,3 miliardi di raccolta netta raggiunti lo scorso anno».

L'azienda in cifre3,38592.3141982 1997

1996

4.407 - LA STAMPA FAMILY BANKERS promotori finanziari DIPENDENTI ANNO DI FONDAZIONE ANNO

DI QUOTAZIONE Programma Italia Nasce Banca Mediolanum RACCOLTA COMPLESSIVA NEL 2013

miliardi di euro milioni di euro RACCOLTA NETTA NEL PRIMO TRIMESTRE 2014 di cui 1958 in Italia e 356

all'estero

55per cento La quota degli utili distribuita in dividendo In assenza di acquisizioni a partire dal 2015 la

percentuale aumenterà

15miliardi La massa gestita da Banca Esperia, joint­venture con Mediobanca da cui Mediolanum vuole uscire

Foto: Nuovo modello di business

Foto: Qui sopra la sede centrale e nella foto a destra Massimo Doris, vicepresidente del gruppo Mediolanum

e amministratore delegato della banca

Foto: Ambizioni

Foto: Banca Mediolanum punta a crescere soprattutto per linee interne

07/07/2014 17.20Pag. La Stampa - Ed. nazionale(diffusione:309253, tiratura:418328)

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 177

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IL MISTERO DELLA FEDE SULLA TASI E LA CHIESA Massimo Giannini D'accordo, va tutto bene. L'adolescenza nei boy scout e la messa domenicale da chierichetto. La fine delle

ideologie e lo "sfondamento" nella mitica area moderata di centro. Ma c'era davvero bisogno che il premier

riformatore Matteo Renzi consentisse uno sconto così generoso alle scuole cattoliche e alle cliniche private?

L'esenzione dalla Tasi e dall'Imu, della quale beneficeranno questi istituti, è difficile da spiegare. Non è una

questione di gettito (che pure non sarebbe trascurabile, visto che l'Erario ci rimetterà svariate centinaia di

milioni). Ma quello che conta, ancora una volta, è il segnale che il governo lancia ai contribuenti. Un segnale

pessimo, improntato all'ipocrisia e all'iniquità. C'è ipocrisia, perché con il patetico obiettivo di giustificare il

misfatto un sottosegretario all'Istruzione come Toccafondi (non a caso ciellino) sostiene che ora "le scuole

private sono trattate come le pubbliche", e nel goffo tentativo di ridimensionare la portata dell'esenzione un

sottosegretario all'Economia come Baretta ci racconta che le cliniche "pagheranno per l'uso delle sale o delle

stanze in forma privata". Un'offesa alla sua e alla nostra intelligenza: chi e come stabilirà che dentro una

clinica qualsiasi quella determinata stanza è "ad uso privato" e quell'altra è "ad uso pubblico"? C'è soprattutto

iniquità, perché questa vocazione "francescana" dello Stato, che spinge il pubblico ad indossare il giusto saio

della spending review ma allo stesso tempo a cedere un pezzo del suo mantello al privato, si verifica proprio

nel momento in cui i cittadini "normali" sono sottoposti a una tosatura micidiale, almeno sul fronte

immobiliare. Conviene ricordare un po' di numeri. Mentre scuole e cliniche private non pagano, le famiglie già

quest'anno tornano a pagare una Tasi che costerà in media 240 euro, contro i 267 euro medi della vecchia

Imu in vigore fino al 2012. Tra quelle che hanno deliberato le nuove aliquote, dodici città capoluogo hanno

imposto una Tasi più alta dell'Imu. Si va dai 468 euro a Torino ai 439 euro di Genova, dai 430 di Milano ai

410 di Roma. La confusione è totale. La Tasi, comune per comune, avrà almeno 8.092 applicazioni diverse, e

più di 75.000 combinazioni possibili. L'unica certezza è la stangata. Anche perché il gioco delle detrazioni è

calcolato in proporzione alle rendite, e tra non molto, con l'aggiornamento di un Catasto fermo agli anni

Cinquanta, i valori degli immobili si moltiplicheranno in qualche caso fino a 800 volte. A quel punto il bagno di

sangue fiscale sarà inevitabile. Il mattone, che un tempo era una sicurezza, torna ad essere una iattura. Ma

resta un mistero della fede: perché questa Quaresima, che vale per tutti gli italiani, non debba valere per la

solita Chiesa cattolica, apostolica, romana? [email protected]

07/07/2014 1Pag. La Repubblica - Affari Finanza - N.25 - 7 luglio 2014(diffusione:581000)

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 178

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FINANZA E BORSA Montepaschi dopo l'aumento di capitale resta il nodo della redditività Adriano Bonafede Montepaschi dopo l'aumento di capitale resta il nodo della redditività a pagina 14 Montepaschi dopo

l'aumento di capitale resta il nodo della redditività «Un traguardo impensabile anche solo un anno fa». È vero

quel che dice Viola. L'amministratore delegato di Banca Monte dei Paschi ha posto giustamente l'accento sul

successo dell'aumento di capitale da 5 miliardi, quasi il doppio della precedente capitalizzazione da 2,7

miliardi. Una mission quasi impossibile, su cui pochi avrebbero scommesso pochi mesi fa. Invece l'aumento

di capitale è andato quasi totalmente sottoscritto, con un inoptato residuale dello 0,15 per cento, peraltro poi

andato a ruba. Sì, davvero Mps ha fatto un mezzo miracolo evitando per un soffio ciò che più temeva, ovvero

la nazionalizzazione della banca, e rimborsando quasi 3,5 miliardi allo Stato. E, come ha detto il presidente

Profumo, creando di fatto un buffer , un cuscinetto d'emergenza per affrontare la sfida in atto degli stress test

e dell'asset quality review, i severi esami dell'Autorità bancaria europea sulla solidità dei bilanci degli istituti di

credito continentali. Tutto vero. Ma ora il Monte si trova nella situazione di chi, correndo verso un burrone e

avendo perso il controllo della macchina, è riuscito a bloccarla all'ultimo momento. La banca ha evitato il

peggio ma il terreno su cui si muove è altamente instabile. Al piano di sopra, ovvero a livello di azionisti,

sapremo entro pochi giorni chi sono i nuovi soggetti entrati nel capitale dell'istituto dopo l'aumento di capitale.

Tuttavia la sensazione, al momento, è che non sbucheranno dal nulla nuovi e importanti azionisti. Il pallino

resterà dunque in mano per un po' di tempo all'attuale patto di sindacato tra la Fondazione (2,5 per cento),

Btg Pactual (2,12), Fintech (4,5) e Axa (3,725). Ma è un pallino destinato a cadere presto. Fintech e Btg

Pactual non sono investitori strategici ma fondi che vogliono soltanto aspettare un po' finché non si presenta

la buona occasione per uscire con un buon guadagno. Dunque chi davvero comprerà la banca di Siena non

ha ancora fatto capolino (si era parlato di Bnp Paribas, ma c'è chi ha tirato in ballo anche il Banco Santander

- lo stesso che, vendendogli Antoveneta ha fatto sprofondare Mps). C'è tuttavia la diffusa sensazione nel

mercato che Mps finirà in un merger transnazionale. Mentre si attendono sviluppi sul fronte mobile della

governance e mentre la città non ha ancora digerito lo shock della perdita di controllo della banca (la

Fondazione era al 51 per cento solo un pugno di mesi fa), il management è impegnato nel prosieguo del

risanamento. Lo sforzo di riduzione dei costi è stato imponente, con un meno 14 per cento nel 2013, e dopo il

meno 3,7 del 2012. Il solo costo del personale è sceso annualmente del 6 per cento medio all'anno dal 2009

al 2013. E nel primo trimestre di quest'anno c'è stato un ulteriore meno 5,2 per cento sullo stesso periodo

dell'anno precedente. Ma resta sul tappeto il problema più grave, quello dei ricavi calanti. Perché se non c'è

una ripresa dei ricavi hai voglia a tagliare i costi, è come un cane che si morde la coda, l'equilibrio non si

ristabilisce mai. Anche nel primo trimestre del 2014 i ricavi sono calati a 957 milioni rispetto ai 1.142 dello

stesso periodo del 2013. Certo, sono tanti i motivi per cui ciò accade: i tassi bassissimi, che comprimono i

guadagni; la necessità di maggiori accantonamenti per i crediti deteriorati in una situazione di stagnazione

economica; e, non ultima, la riduzione degli impieghi dovuta al processo di deleveraging concordato con la

Ue. Alla fine avremo un altro anno in perdita: 445 milioni sono previsti nel 2014 dall'ultimo report di Banca Imi

del 29 maggio, contro i 1.438 del 2013. La stessa banca Imi sposta il ritorno a una redditività (più 348 milioni)

solo nel 2015. Sul fronte dell'asset quality review, poiché i crediti non hanno smesso di deteriorarsi,

potrebbero essere necessari ulteriori accantonamenti, e questo potrebbe mangiare buona parte del buffer

creato con l'aumento di capitale. L'ultimo problema, forse non il più piccolo, è quello della liquidità. Mps deve

restituire alla Bce (dati ad aprile scorso) 24 miliardi di Ltro. A dicembre dovrà restituirne 10, il resto a febbraio

2015. Potranno essere sostituiti con altre forme di rifinanziamento che però avranno durate molto minori.

Teoricamente Mps potrebbe accedere anche ai nuovi Tltro, finalizzati alla crescita degli impieghi: ma Mps si è

impegnata con la Ue a ridurli. s di meo BANCA MONTE DEI PASCHI ALESSANDRO PROFUMO FABRIZIO

VIOLA ANTONELLA MANSI FONDAZIONE UNICREDIT INTESA S.PAOLO UBI BANCA POP MILANO

07/07/2014 1Pag. La Repubblica - Affari Finanza - N.25 - 7 luglio 2014(diffusione:581000)

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 179

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BANCO POPOLARE BPER MONTE PASCHI MPS PROFORMA FONTE PRESENTAZIONE RISULTATI

1TRIM '14

Foto: AL COMANDO Nelle foto a sinistra, il presidente della Banca Monte dei Paschi, Alessandro Profumo

(1); Fabrizio Viola (2), amministratore delegato dello stesso istituto e Antonella Mansi (3), presidente uscente

della Fondazione

07/07/2014 1Pag. La Repubblica - Affari Finanza - N.25 - 7 luglio 2014(diffusione:581000)

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 180

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[ IL RETROSCENA ] Mediaset, nozze riparatrici tre candidati per Premium Ettore Livini Meno Spagna, più Italia. E un partner (o più di uno) per dividere gli oneri dei diritti tv del calcio e con cui

affrontare la grande sfida della pay-tv europea. Mediaset, dopo vent'anni vissuti orgogliosamente da single, si

prepara all'addio al celibato. La campagna - vittoriosa, per carità - per conquistare la Champions League e le

partite degli otto big di Serie A nel triennio 2015-2018 è stata un salasso. E farà decollare del 50% (da 400 a

605 milioni l'anno) i costi per trasmettere il meglio del pallone continentale. Troppo per continuare a ballare da

soli. segue a pagina 4 con un servizio di Stefano Carli Segue dalla prima Non a caso il Biscione sta vagliando

in queste settimane le offerte di matrimonio arrivate a Cologno per scegliere lo sposo (Al Jazeera, Vivendi e

Telefonica sarebbero in corsa) con cui dividere, nella gioia e nel dolore, le opportunità e i rischi del futuro

della tv a pagamento. I FIORI D'ARANCIO Mediaset arriva al giorno dei fiori d'arancio dopo qualche anno

vissuto pericolosamente. E al termine di un percorso nel quale il presunto brutto anatroccolo dei suoi

business - i canali pay di Premium - potrebbe trasformarsi nel cigno in grado di rilanciare le quotazioni delle

reti di casa Berlusconi. L'avventura delle tv a pagamento era partita qualche anno fa come mossa difensiva

per provare a contenere l'arrembaggio di Rupert Murdoch e di Sky in Italia. Un modo costosissimo - dicevano

gli analisti commentando gli 1,5 miliardi spesi per il varo di questa attività - per difendere le proprie quote di

mercato. I numeri, fino a poco tempo fa, sembravano dare ragione alla Cassandre. Premium, malgrado le

promesse del management, ha sempre viaggiato in rosso. Perdendo 200 milioni tra il 2006 e il 2009,

sfiorando il pareggio nel 2010 per poi tornare a bruciare quattrini (68 milioni) nel 2011, anno in cui a Cologno,

per risolvere il problema, hanno sospeso la comunicazione dei risultati operativi delle attività nelle pay tv. Le

difficoltà di questa area di business, sommata alla svalutazione dei diritti per 308 milioni del 2012, hanno

pesato per anni come macigni sulla redditività di Mediaset, obbligando il Biscione a chiudere il rubinetto dei

dividendi che pompavano liquidità verso le casseforti di Arcore. Ora il vento sembra essere girato. I grandi

network mondiali e i big delle tlc hanno deciso che il futuro della tv si gioca nella vendita di contenuti

privilegiati, lo sport su tutti, su piattaforme a pagamento. E in tutta Europa è scattata la caccia ai player che

avevano merce in vendita. LA RISCOSSA DI PREMIUM Le valutazioni di Premium, in questo scenario, sono

salite vertiginosamente in pochi mesi. Poco tempo fa lo scetticismo degli analisti valutava la società di

Cologno tra i 200 e i 500 milioni. Mediobanca ha alzato l'asticella in queste ore dopo l'affare Digital+ a 900

milioni-1,2 miliardi. E gli stessi 365 milioni che potrebbero arrivare per l'addio al network iberico sono una cifra

molto superiore a quella che anche i più ottimisti in Mediaset speravano di incassare fino a poche settimane

fa. Un'offerta cui a questo punto non potevano dire di no. Avanti tutta allora. Ma non da soli. Perché la

rivoluzione non è mai una passeggiata gratuita. E quella delle pay-tv non fa eccezione. I numeri, al riguardo,

sono pietre. La campagna vittoriosa per strappare a Sky le partite di Champions dal 2015 al 2018 costerà a

Mediaset qualcosa come 230 milioni all'anno, più del doppio di quanto pagava negli scorsi anni per il

"contentino" dell'Europa League. L'inciucio sull'asse Lega-Sky-Mediaset per la Serie A vale qualcosa come

379 milioni ogni dodici mesi per 70 partite in meno di quelle per cui fino ad oggi pagava una cifra di molto

inferiore. Risultato: i costi per i diritti - un bene preziosissimo, ovvio - decolleranno del 50% dal 2015. E

Premium, secondo i calcoli della banca d'affari Bernstein, dovrà far lievitare almeno del 18% le entrate della

pay-tv per riuscire a tenere a galla i suoi conti. L'operazione non è semplice. Oggi il Biscione ha 1,9 milioni di

abbonati contro il 3,5 del satellite di News Corp. E da ognuno di loro incassa in media qualcosa come 22 euro

al mese. Gli analisti, su questo fronte, sono concordi: il netto miglioramento dell'offerta consentirà a Cologno

di alzare le tariffe. Gli studi degli analisti calcolano che la revisione del listino potrebbe portare nelle casse del

gruppo una cifra intorno a 60 milioni l'anno. E' già qualcosa, ma meno dei 205 milioni in più che costeranno i

diritti del calcio ogni dodici mesi a partire dal 2015. Il resto, è la speranza del management, dovrebbe arrivare

"rubando" parte degli abbonati a Sky, costretti a migrare sulla piattaforma di casa Berlusconi per poter vedere

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 181

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la Champions. LA CACCIA AL SOCIO Si vedrà. Di sicuro però il rischio di fare un buco nell'acqua resta alto.

E proprio per questo Mediaset ha messo le mani avanti da tempo per portare un po' di fieno in cascina. Il

collocamento sul mercato del 25% di Ei Towers (la società di antenne di cui tiene ancora saldamente in mano

il controllo) ha generato 283 milioni di entrate. L'addio a Digital+ ha portato un altro tesoretto in cassa. Meno

del valore assoluto dell'operazione, a dire il vero, visto che a vendere la quota è Mediaset Espana, di cui

Cologno ha in portafoglio solo il 41%. Cifre che però non bastano da sole a fronteggiare i massicci esborsi

previsti nei prossimi anni. Anche su questo fronte, non a caso, Pier Silvio Berlusconi ha cercato di giocare

d'anticipo. Annunciando la ricerca di un partner per Premium. All'inizio il progetto era quello di far confluire

Digital+ e le attività tricolori sotto il cappello di una nuova azienda in cui far entrare nuovi soci. Ora il disegno,

ovviamente, è cambiato. La Spagna non c'è più, ma sullo scaffale c'è un business italiano ricco. Che non a

caso non ha fatto venir meno l'interesse di Al Jazeera e Canal+, entrate in data room da tempo per verificare

la fattibilità dell'investimento. Un tandem cui si è aggiunta Telefonica. Per ora in posizione defilata. Ma pronta

forse a muoversi con più decisione (anche in tempi brevi) se e quando capirà che fine farà la sua

partecipazione in Telecom Italia. Una decisione comunque dovrebbe arrivare nelle prossime settimane. E

delineare con chiarezza il quadro strategico di alleanze su cui Mediaset costruirà il suo futuro. Le fondamenta

sembrano comunque già gettate: con il solito zoccolo duro della televisione generalista in Italia, un forte

impulso all'autoproduzione di programmi da vendere anche sul mercato e con la scommessa della pay-tv da

portare finalmente in attivo. GLI SPOT IN RIPRESA La speranza è che gli anni più duri siano alle spalle.

Specie per quello che riguarda la raccolta pubblicitaria, il vero polmone dei conti del gruppo. Il primo

semestre del 2014 si è chiuso ancora con un segno meno davanti. Ma i segnali sono positivi. Lorenzo Sassoli

De Bianchi, il presidente di Upa (Utenti pubblicità associati), prevede che l'intero anno «si chiuda in pareggio

ma con le televisioni in decisa ripresa». E lo scenario del piccolo schermo italiano sembra continuare a

garantire ampi margini al Biscione per difendere le sue posizioni. La7 è stata risanata da Cairo ed è in

campagna acquisti di star tv (ultima Giovanni Floris) ma fatica ancora a scalare la classifica dell'audience. La

Rai è alle prese con una spending review (e il passaggio delicatissimo del rinnovo della concessione) che

sembra destinato a limitarne i margini di manovra nel futuro prossimo venturo. E anche Sky, dopo il mezzo

smacco della Champions, ha da affrontare un delicato passaggio societario se - come sembra - i Murdoch

lanceranno una sorta di Sky Europe sotto cui far convergere tutte le loro pay-tv nel continente. La partita è

apertissima e Mediaset è in campo. Piazza Affari se ne è accorta già da tempo. Fino a inizio 2012 il titolo

viaggiava attorno a quota 1,2 euro. Da allora ha preso l'ascensore, arrivando a sfondare quota 4 euro prima

di assestarsi ora a quota 3,7 euro, con un ultimo colpo di reni all'insù garantito dalla chiusura con una

buonuscita d'oro dell'avventura in Digital+. E con una dote del genere non sarà difficile per il Biscione trovare

il partner giusto con cui convolare, finalmente, a giuste nozze. S DI MEO RICAVI EBITDA EBIT POSIZIONE

FINANZIARIA NETTA

Foto: Qui accanto, il ceo di Telefonica Cesar Alierta (1) che ha ricomprato da Mediaset il suo 22% di Digital+

e che potrebbe essere ora interessato a entrare in Premium per estendere il suo business nelle pay-tv Il ceo

di Beinsport, la pay-tv di Al Jazeera Nasser Al Khelaifi (2) Il presidente di Vivendi Vincent Bolloré (3)

Foto: Nella foto a sinistra, il vicepresidente di Mediaset Pier Silvio Berlusconi L'avventura nelle pay tv avviata

per contrastare Sky presenta un conto salato al gruppo

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 182

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[ IL COMMENTO ] Super euro la soluzione non verrà dalla Fed Marcello De Cecco La riunione di giovedì della Bce è passata senza che al suo termine siano stati annunciati provvedimenti

aggiuntivi a quelli introdotti a giugno. Le linee della politica monetaria e bancaria sono state confermate e il

professor Draghi ha pure confermato che ciò accade perché, purtroppo, non ci sono novità positive da

segnalare. L'economia europea continua a muoversi stancamente, senza accennare ad alcuna capacità di

riassorbimento della disoccupazione, in particolare di quella giovanile. Per smuovere le acque in giugno era

stato deciso di mettere a disposizione delle banche mille miliardi di euro nel programma di "targeted Ltro",

ovvero risorse finalizzate al finanziamento delle piccole e medie imprese e delle famiglie. L'operazione partirà

a settembre, ma molti osservatori non si aspettano effetti rilevanti almeno nel breve periodo. La ragione di

questa perplessità sta nel fatto che è la domanda di credito di qualità a languire, e anche nella modestissima

forbice dei tassi, quella dalla quale le banche dovrebbero trarre i propri guadagni. segue a pagina 10 segue

dalla prima In effetti, senza decisivi passi avanti verso una politica fiscale e di bilancio unica, che

richiederebbe una ripresa vigorosa della integrazione, è ormai evidente che la Bce non può da sola smuovere

le ruote dell'enorme convoglio europeo, impantanato in una politica dell'austerità propugnata in maniera

avventata dalla signora Merkel e accettata dai suoi concittadini, dopo che alle conseguenze peggiori della

crisi Germania e Stati Uniti avevano tempestivamente risposto con massicce iniezioni di domanda mediante

aumenti delle spese pubbliche. A ben guardare, tuttavia, la politica della Bce appare assai meno espansiva di

quella della Fed. Il ristagno del credito in Europa, specie nei paesi periferici oppressi dai disavanzi eccessivi e

dalla urgenza di far credere che il proprio debito pubblico sia sostenibile, è assai maggiore di quanto sia negli

Stati Uniti, paese nel quale le banche fanno ormai da parecchi anni affluire risorse all'economia, specie

tramite i mutui edilizi e quelli per gli acquisti di automobili. Anche nel Regno Unito accade lo stesso, tanto da

indurre una vera e propria nuova bolla edilizia, che non ha nulla da invidiare a quella esplosa nel 2007. Ad

essa vanno tutte le preoccupazioni della Banca d'Inghilterra. A chi lo esorta a rialzare i tassi di interesse

tuttavia, il governatore Carney, appoggiato da una ancor più decisa Janet Yellen, risponde che le bolle non si

controllano facendo oscillare i tassi, perché si richiedono oscillazioni tali da mettere in pericolo l'intera

economia reale. A noi vecchi sembra di assistere alla riproiezione di un film degli inizi degli anni sessanta,

quando il Rapporto Radcliffe esortò il governo inglese a sbloccare la politica dei tassi. Allora la "riscoperta

della politica monetaria" diede la stura a decenni di violente oscillazioni nella produzione e nei prezzi. Lo

avevano previsto gli economisti inglesi allievi di Keynes, come Kaldor, Kahn e Mrs. Robinson, aggiungendo

che, liberando i tassi di interesse, sarebbero ripartiti i movimenti di capitali a breve tra piazze finanziarie.

Come infatti avvenne, portando in dieci anni alla fine del sistema dei cambi fissi. Ora, dopo una nuova fase di

moneta a buon mercato, le autorità monetarie cercano di tornare a rendere operativa la manovra dei tassi, in

modo da riuscire a far scendere i livelli dei loro attivi, gonfiati dalle politiche non ortodosse. E' opportuno

tuttavia sottolineare che la Bce ha gonfiato i propri attivi assai meno del la Fed, un po' per la minore reattività

di coloro che domandano finanziamenti in Europa e un po' per rispettare le idiosincrasie dei tedeschi e dei

loro vassalli del Nord Europa. Ma è anche onesto riconoscere che è la struttura stessa della finanza europea

ad avere caratteristiche diverse. Perché, ad esempio, il prevalere delle piccole e medie imprese le rende

incapaci di ricorrere a finanziamenti non bancari, ma che sono anche meno appetibili per le banche, che

preferiscono prestare alle imprese grandi "too big to fail". E questo ha opportunamente ricordato Mario Draghi

nella conferenza stampa di giovedì scorso. Conseguenza della minore leva della Bce rispetto alla Fed è che il

tasso di cambio tra euro e dollaro si mantiene imperturbabilmente elevato: dai primi di giugno a oggi non si è

mosso da 1,36, malgrado le misure annunciate dalla Bce proprio nella riunione di allora. E' un livello al quale

gli esportatori tedeschi fanno ancora profitti ma quelli del resto della Ue non sono incentivati a lanciarsi su

nuovi mercati e nuovi prodotti. Si guarda dunque in Europa con ansia a quel che fa Janet Yellen. Ma non da è

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 183

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quella direzione che può venire la salvezza. Pare di rivivere gli anni venti, quando gli inglesi speravano che i

prezzi americani crescessero e costringessero la Fed a stringere i freni facendo salire il dollaro. Allora

accadde il contrario, quando Roosevelt svalutò il dollaro appena arrivato al potere. Forse hanno ragione

Carney e la Yellen a dire che le bolle speculative non si sgonfiano facendo risalire i tassi, perché si rischia di

buttare il bambino con l'acqua del suo bagnetto. Ma così si continua a permettere che le bolle patrimoniali

continuino allegramente a gonfiarsi e di certo chi le manovra non si preoccupa molto dei rapporti massimi tra

mutui e redditi dei prenditori fissati dalla Banca d'Inghilterra, talmente ampi da permettere ancora lunga vita

all'ondata di rialzi dei prezzi delle case nel Regno Unito. Ma anche lì incombono le elezioni (2015) e il signor

Carney sa bene che non ci si aspetta da lui la distruzione della bolla di sapone. Lo abbiamo ripetuto tante

volte, ma è sempre vero: non ci si può aspettare, da parte delle classi politiche dell'intero mondo sviluppato,

che a sporcarsi le mani siano sempre e solo le banche centrali. Come dissero in passato molti banchieri

centrali, loro scolpiscono con l'accetta e dove colgono non fanno carezze.

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 184

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[ L'INTERVISTA ] "Quattro punti per rendere solida l'Unione bancaria" JEAN PISANI-FERRY: "PER LA BCE UNA PROVA DI CREDIBILITÀ. POI VANNO CARTOLARIZZATI IPRESTITI A RISCHIO, RIAVVIATO IL CREDITO, RILANCIATO IL LENDING INTERSTATALE E DEFINITAL'INTEGRAZIONE" Eugenio Occorsio L'Asset quality review offre l'opportunità di risolvere un problema che avremmo dovuto affrontare da troppo

tempo, da almeno cinque anni, come hanno fatto gli americani. Forse si può dire "meglio tardi che mai" ma il

ritardo è stato incomprensibile e grave, e ha minacciato seriamente le fondamenta dell'euro». Jean Pisani-

Ferry, classe 1951, economista dell'Ecole Polytechnique, attualmente docente alla Hertie School of

Governance di Berlino nonché presidente della Commissione generale per la programmazione del governo

francese, è uno dei più prestigiosi economisti europei. E' stato tanto di quel tempo direttore del think-tank

economico Bruegel di Bruxelles che non può sottovalutare i problemi di integrazione e di unanimità che

l'Europa deve affrontare in ogni possibile occasione, figurarsi quando intraprende quello che è stato definito

dal presidente uscente Barroso come "il più importante passo verso l'unificazione europea dopo il trattato di

Maastricht". «Se ci fosse stata prima l'unione bancaria, verso la quale l'Aqr è il passaggio fondamentale,

probabilmente tanti problemi a partire dal credit crunch non sarebbero stati così drammatici». La "review" sta

entrando nella fase finale, e cruciale. Qual è la posta in gioco per l'Europa, l'Eurotower e lo stesso Draghi?

«E' un test di credibilità per la Bce di straordinaria importanza. È una prova che la Banca non può permettersi

di fallire, anche se implica diverse potenziali rotte di collisione con le autorità nazionali. Una valutazione

onnicomprensiva e oggettivamente rigorosa e imparziale della situazione delle maggiori banche del

continente, purché ovviamente sia seguita da una ricapitalizzazione nei casi in cui di essa si accerta la

necessità, è la chiave per ripristinare la fiducia nel settore bancario. E quindi per riavviare l'attività economica.

Ovviamente è un passaggio necessario ma non sufficiente». Quali altre pietre miliari devono essere stabilite?

« Non dobbiamo dimenticare che la crisi ha rivelato tutta la fragilità dell'Unione monetaria e la persistenza di

altissime barriere fra i vari Paesi, finanziarie e anche politiche. Che peraltro, come provano le tensioni questi

giorni fra Italia e Germania, non sono state del tutto superate. L'Unione bancaria deve essere il simbolo di

una ritrovata solidità nell'area euro. Naturalmente non tutto finisce con l'Asset quality review e il successivo

avvio della vigilanza unica, del coordinamento e del metodo di risoluzione delle crisi. Gli sforzi per creare un

sistema bancario comune davvero resistente devono continuare senza esitazioni anche al di là di questi

passaggi. Non possiamo aspettare la prossima crisi per accorgerci che il lavoro non è stato ancora

completato. L'Unione bancaria deve costituire una base comune per evitare errori ed egoismi che sono stati

fatali in questa crisi. Quanto più sarà coesa tanto meglio sarà». A questo proposito, nel suo ultimo libro, "The

euro crisis and its aftermath" appena pubblicato, lei accusa senza troppi complimenti la Germania di aver

tratto beneficio dalla crisi scoppiata sul fronte sud dell'Unione europea. L'Unione bancaria eviterà il ripetersi di

tali squilibri? «Il più grave errore è stato quello di non capire o comunque di equivocare sulle origini stesse

della crisi. Visto che la prima vittima della crisi era stata la Grecia, è diventato un dogma accertato a Bruxelles

e a Berlino che la causa di tutti i mali era la facilità della spesa pubblica, i pochi controlli, l'indebitamento. Alla

Germania questa spiegazione andava bene perché confermava il sospetto che Berlino aveva da prima della

creazione dell'euro, e cioè che la mina vagante era il debito di altri Paesi. Di qui alla più semplice e meno

efficace delle cure, il passo era breve. Anche per offuscare qualsiasi sospetto che la Germania potesse aver

contribuito alla crisi mantenendo un forte surplus delle partite correnti che le sue banche riciclavano in facili

prestiti ai costruttori mediterranei. Ma se la crisi fosse scoppiata per prima in Irlanda? Niente di più facile che

accadesse così, vista la fragilità del sistema bancario, emersa peraltro poco dopo. Allora sarebbe stato chiaro

che il colpevole non era l'irresponsaiblità fiscale bensì una serie di altri fattori, dagli squilibri economici ai

prestiti azzardati e rischiosi delle stesse banche, per finire con i valori immobiliari gonfiati. Le priorità non

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sarebbero stati gli aumenti delle tasse e i tagli di spesa, ma riforme che migliorassero la competitività e una

rapida chiusura delle banche in difficoltà, comprese quelle tedesche e francesi, che avevano prestato così

irresponsabilmente. Vede perché è importante l'Unione bancaria? Per evitare che dalle banche esca una

nuova miccia si crisi». Lei diceva che l 'asset quality review non è che un passo, pur fondamentale, verso la

ricostruzione del sistema bancario dell'area euro. Quali dovranno essere i successivi? «Secondo me

dovrebbero essere quattro: 1) una securitisation dei prestiti a rischio, in modo da prevenire il pericolo che sui

bilanci delle banche si abbatta la scure di crediti in sofferenza o che comunque gli istituti non vogliono tenere;

2) lo stimolo di una decisa ripresa dei prestiti specialmente ad aziende con convincenti prospettive di crescita

nel Sud Europa. I mille miliardi di Tlro, il funding for lending che Draghi a confermato giovedì, dovrà essere

fortemente vincolato e canalizzato con sicurezza; 3) la ripresa dei prestiti trans-frontalieri che hanno sofferto

spaventosamente, per quanto questo possa essere sorprendente in una sedicente Unione monetaria, negli

anni della crisi dell'euro; 4) la promozione di un ancora più integrato sistema bancario europeo sul lungo

termine. Sono queste le condizioni alle quali questa sofferta asset quality review non sarà stata inutile». ©

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Foto: L'economista Jean PisaniFerry ; sopra Angela Merkel con Matteo Renzi: resta attuale lo scontro fra

politica del rigore tedesca e aspettative di maggiori investimenti

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 186

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Conti Secondo la Ragioneria generale dello Stato illegittimi assunzioni, contratti e retribuzioni regionali. Oltre1.000 dipendenti di troppo Quanti aumenti e promozioni nella «Calabria felix» SERGIO RIZZO Q ualche tempo fa l'ufficio studi della Confartigianato si è preso la briga di fare una stima del personale

regionale in esubero, arrivando alla conclusione che la Regione Calabria stipendia 1.184 dipendenti di troppo.

Ovvero il 45,9 per cento del totale. E lì non era compreso il numerosissimo personale del consiglio regionale:

il che avrebbe probabilmente fatto lievitare ancora di qualche centinaia di unità quel numero.

Ciò non toglie che da una quindicina d'anni a questa parte praticamente tutti i dipendenti della Regione

Calabria abbiano beneficiato delle cosiddette Peo: acronimo che sta per «Progressioni economiche

orizzontali». Banalmente, aumenti di stipendio. Indipendenti, ovviamente, dal merito. Nel 1999 hanno avuto la

famosa Peo in 3.581. L'anno dopo, in 3.771. Nel 2001 hanno invece avuto l'aumento di stipendio 1.523

dipendenti. Poi 1.501 nel 2002, 1.440 nel 2003, 3.826 nel 2004.... Si è andati avanti nonostante la crisi, i tagli

dei trasferimenti, il blocco dei contratti pubblici, la disoccupazione galoppante. Magari a ritmi meno indecenti,

ma la macchina degli aumenti di stipendio non si è mai fermata: 855 nel 2006, 788 nel 2007, 437 nel 2009,

224 nel 2010.

L'ha scoperto Gaetano Mosella, l'ispettore che la Ragioneria generale dello Stato ha spedito a passare al

microscopio i conti della Regione Calabria. E nella relazione di 247 pagine frutto di mesi di indagini, che ha

rivelato il bravo Antonio Ricchio sul Corriere della Calabria , non manca proprio nulla. Si tratta di un

incredibile campionario di tutto quello che una pubblica amministrazione non deve fare nella gestione del

personale, e che invece soprattutto durante le presidenze di Agazio Loiero e Giuseppe Scopelliti sono state

fatte. Non è un caso che le parole più frequenti siano «illegittimo» e «illegittimamente». Scrive Mosella che

illegittimamente sono state corrisposte ai dipendenti della giunta reginale somme derivanti dai fondi europei

per 1,6 milioni. Come illegittimi sono gli incarichi conferiti per «alta professionalità» a una decina di dipendenti

che non ne avevano i requisiti (1,1 milioni di spesa). Illegittimi anche certi incentivi liquidati ai segretari

particolari.

Altrettanto illegittime 1.969 promozioni nel solo anno 2005. Illegittima pure la stabilizzazione di 322 lavoratori

socialmente utili e 95 contrattisti a tempo determinato. Illegittimi gli aumenti di stipendio retroattivi (retroattivi!)

concessi a 85 impiegati dei gruppi politici. Illegittimi i quasi 800 mila euro liquidati a titolo di «produttività

collettiva" a favore del personale del Corecom, l'authority regionale per le comunicazioni. Illegittimo il milione

e mezzo pagato con analoghe motivazioni ai componenti delle segreterie politiche. Illegittimi i 3,7 milioni

corrisposti ai dirigenti. Illegittimi i 10 milioni in più spesi per la sola «retribuzione di posizione» dei medesimi

dirigenti.

Illegittime le assunzioni di 97 persone nel 2008, 127 nel 2009, 395 nel 2010, 44 nel 2011: tanto più, chiosa

Mosella, che l'ente non ha mai provveduto alla verifica dell'obbligo di contenimento della spesa, così come

previsto dalla legge finanziaria 2007, se non in occasione della presente verifica ispettiva». Ma illegittimi

anche alcuni importanti incarichi dirigenziali di vertice. Primo fra tutti, ha ricordato Ricchio sul Corriere della

Calabria, quello dell'ex direttore generale del Comune di Reggio Calabria Franco Zoccali, che Scopelliti, già

sindaco di quella città, ha portato con sé in Regione nel 2010. Con retribuzioni, giudicate anch'esse illegittime

dall'ispettore della ragioneria, di 735 mila euro fino al 2013. Illegittima l'indennità (563 mila euro fra il 2010 e il

2013) riconosciuta al direttore generale dell'avvocatura regionale: per il semplice fatto che quella posizione

nemmeno è contemplata dai regolamenti. Illegittimi perfino i decreti di nomina di quella pletora di giornalisti

assunti negli uffici stampa.

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Foto: Regione Giuseppe Scopelliti

07/07/2014 1Pag. Corriere Economia - N.25 - 7 luglio 2014

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 187

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IL PUNTO Bce, i mille miliardi che devono arrivare a famiglie e aziende FRANCESCO DAVERI Un po' alla volta da Francoforte si delinea gradualmente la strategia di Mario Draghi per il ritorno del credito

bancario in Europa. E' una strategia fatta di due assi portanti: liquidità e capitale. I mercati e le banche

vogliono liquidità. E, infatti, per i mercati la parola chiave pronunciata da Draghi alla conferenza stampa è

stata «mille», come i miliardi potenzialmente attivabili con il pacchetto di misure approvate dalla Bce in

giugno. La liquidità da sola non basta, però. Per fare credito, ci vuole anche il capitale di riserva necessario

perché le banche possano prestare senza rischiare l'insolvenza se i prestiti non vengono rimborsati. Già nel

2012 gli istituti europei presero a prestito mille miliardi di euro all'uno per cento dalla Bce. I fondi ricevuti

finirono investiti per lo più in titoli pubblici, il che contribuì non poco alla discesa degli spread. Ma allora

famiglie e imprese di credito ne videro ben poco. Cosa garantisce che oggi le cose vadano diversamente,

dato che i problemi sono quelli di allora, e cioè che un sottoinsieme delle banche europee ha ancora la

necessità di ridurre la sua esposizione e quindi il suo attivo? Come ha sottolineato Draghi, il cantiere è ancora

aperto. Nel suo programma di rifinanziamento finalizzato, la Bce ha tenuto conto delle asimmetrie, dividendo

in due gruppi le banche che parteciperanno al programma sulla base di un'asticella determinata dalla loro

attività di prestito dell'ultimo anno. Chi ha prestato, per avere accesso ai fondi della Bce, dovrà mantenere il

suo attuale livello di finanziamenti fino all'aprile 2016. Chi non lo ha fatto, magari perché impegnato a ridurre

la sua leva, avrà accesso ai fondi solo se si impegnerà a ritornare a prestare entro un anno. E chi sta sotto la

(sua) asticella dovrà restituire in anticipo i fondi ricevuti. Anche chi chiedeva più severità con gli istituti di

credito, dovrebbe ammettere che quello in arrivo dalla Bce è un compromesso accettabile che consente al

sistema bancario europeo di guardare con maggiore serenità al lavoro di pulizia dei bilanci bancari di questi

mesi e al trasferimento dell'attività di supervisione sul settore a Francoforte.

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07/07/2014 1Pag. Corriere Economia - N.25 - 7 luglio 2014

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 188

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Campioni pubblici I progetti del Tesoro e la discesa al 25,1% Cessioni La nuova vita di Eni ed Enel Nel piano di privatizzazioni potranno aggregare le multiutility ALESSANDRA PUATO Si sta costruendo intorno a Enel ed Eni il Piano 2 di privatizzazioni del governo Renzi. Con i loro settori di

luce e gas possono diventare gli aggregatori delle municipalizzate, da rilanciare e poi portare in Borsa. Inoltre

è ritenuta fattibile la discesa del Tesoro al 25,1%. E si stanno vagliando altre società da cedere, come il

Poligrafico dello Stato. A pagina 4

Quando manca l'energia, si aziona il generatore. Per il governo Renzi alle prese con le privatizzazioni

complicate, significa abbassare la levetta di Enel ed Eni. Insieme, non solo le due aziende compenserebbero

la mancata quotazione di Poste entro l'anno. Possono anche diventare i poli di aggregazione su luce e gas

delle municipalizzate italiane disperse: da far così crescere e portare, poi, in Borsa. È questo il piano allo

studio del governo. Ed è una svolta.

«Il piano di privatizzazioni non è rallentato, si è arricchito - dice Fabrizio Pagani, capo della Segreteria tecnica

del ministero del Tesoro e braccio destro del premier sulle privatizzazioni -. Rimane l'obiettivo annunciato:

che siano pari allo 0,7% del Pil all'anno per tre anni (i previsti nove-dieci miliardi di euro, ndr. ). Può cambiare

il mix: come, lo vedremo nelle prossime settimane».

Vediamo la possibile strada.

La vendita

In Enel (che nel piano entra a sorpresa) ed Eni il Tesoro potrebbe scendere, entro dicembre, fino al 25,1%,

vendendone quote sul mercato e incassando circa cinque miliardi. Più o meno è quanto otterrebbe, si stima,

dalla quotazione del 40% di Poste, il cui debutto in Piazza Affari resta in agenda per il 2014, ma potrebbe

slittare al 2015. La decisione richiede un supporto politico, perché scendere sotto il 30% finora è stato letto

come una perdita di potere. Ma la via è percorribile. Dopo che il mese scorso lo Stato, pur titolare di oltre il

30% delle azioni, è stato battuto all'assemblea dell'Eni sulla proposta d'introdurre la clausola etica nello

statuto della società, ora in via XX Settembre si ragiona sulla «significatività» della quota pubblica. E si

scopre che è sufficiente il 25,1% per mantenere potere decisionale, visti i vincoli previsti dalla dimenticata

legge sulle privatizzazioni: la 474 del '94.

Questa legge (tuttora in vigore, assicura la Consob) dice infatti che nelle società pubbliche: a) c'è un limite

per gli azionisti diversi dallo Stato, in settori strategici come l'energia; b) che questo limite decade solo se

viene lanciata un'Opa oltre il 75%. Il socio pubblico ha il 25,1%? Pericolo evitato.

Oggi il Tesoro ha il 31,24% dell'Enel e il 4,34% dell'Eni (di cui un altro 25,76% è di Cassa depositi e prestiti,

che è del Tesoro). Scendere al 25% significa vendere il 6% di una e il 4% dell'altra: alla capitalizzazione di

Borsa di mercoledì scorso, sarebbe un incasso di 2,46 miliardi dall'Enel e 2,93 miliardi dall'Eni. Totale, 5,4

miliardi, appunto.

L'incentivo ai Comuni

Quanto alle municipalizzate, un'idea è scorporare il business di luce e gas di Eni ed Enel, concentrando

intorno a questo nucleo le multi-utility. Da quotare, poi, in un paio d'anni. Il governo guarderebbe con

interesse, insomma, alla capacità dei campioni nazionali di aggregare le società degli enti locali (ottenuta

l'autorizzazione dall'Antitrust), in un'ottica di mercato.

Altra possibilità è costituire un veicolo nel quale i comuni conferiscano la propria quota delle utility: da

aggregare (soprattutto al Sud), riordinare, quotare. Finora i Comuni non avevano interesse a uscire dalle loro

aziende, ora si vuole cambiare con il noto metodo di bastone e carota: dal 2015 gli enti locali dovranno infatti

accantonare i soldi per coprire le perdite delle loro controllate (bastone); si può permettere loro di usare i

proventi da privatizzazione per sanare i bilanci (carota).

07/07/2014 1Pag. Corriere Economia - N.25 - 7 luglio 2014

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 189

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Al vaglio del Tesoro c'è poi un'altra novità: l'intervento sulla marea di partecipate piccole, o finora escluse

dalle privatizzazioni. Società come Consap (concessione dei servizi assicurativi pubblici), Ram (le Autostrade

mediterranee), il Poligrafico dello Stato. Si tratta di capire che farne, una per una: chiuderle? Venderle a fondi

di private equity? Percorso lungo. Ma è il segnale che le privatizzazioni restano in agenda, malgrado l'agro di

Fincantieri.

La nave va piano

Il gruppo navale è andato in Borsa giovedì scorso: la prima privatizzazione. Non è stato proprio un successo.

Il titolo ha chiuso piatto (+0,06%) il primo giorno. E il fatto che gli investitori istituzionali non abbiano

sottoscritto, al collocamento, le azioni in offerta (giovedì 26 giugno i grandi fondi esteri, all'incontro Aifi di

Londra, erano scettici) aveva già costretto l'emittente (la Fintecna di Cdp) a tre decisioni: ridurre l'ammontare

dell'offerta, aumentare la quota destinata ai risparmiatori (dal 20% all'80,1%) e rinunciare alla vendita

(dunque all'incasso per il pubblico) concentrandosi solo sull'aumento di capitale.

«L'importante è che sia stato dato il segnale e siano stati rispettati i tempi», dice, però, Pagani, che valuta la

quotazione di Fincantieri «positivamente»: sarebbe stato peggio ritirare l'offerta. Non sono escluse (anzi)

future cessioni di quote, in più tranche.

Le privatizzazioni non sono però intese soltanto per incassare soldi da portare a riduzione del debito

pubblico, ma anche per rilanciare l'industria italiana. Sono ritenute strumenti bilaterali: sia di politica di finanza

pubblica, sia di politica industriale. «La filosofia non è solo fare cassa, ma sviluppare le imprese coinvolte e

farle crescere sui mercati internazionali - dice Pagani - . Dalla privatizzazione (con lo Stato che resta

azionista di rilievo, ndr. ), aziende come Poste e Fs hanno da guadagnare: diventerebbero più forti e globali».

L'esempio sono proprio Eni ed Enel: «Se non fossero state privatizzate - si chiede Pagani -, Enel avrebbe

comperato la spagnola Endesa? Eni sarebbe la ventesima azienda al mondo per dimensioni?». Visti i valori

di Borsa attuali, questo è comunque il momento per vendere. In un anno il titolo Eni è salito del 29% (da

15,71 a 20,20 euro fra il 3 luglio 2013 e il 2 luglio 2014). Enel addirittura ha quasi raddoppiato: +83%.

Inoltre, è il ragionamento, la privatizzazione di alcune di queste aziende porterebbe alla liberalizzazione del

settore, con più concorrenza. Perché l'Italia, è la linea, ha fatto più di altri Paesi nell'apertura dei mercati

postale e ferroviario, ma Poste e Fs restano sovrastanti. Privatizzandoli, dovranno rispondere anche a logiche

di mercato.

Il piano Renzi per le privatizzazioni è diviso in due tranche: 2014 e 2015. In via XX Settembre si ritiene che

finora sia stato seguito. Prima dell'estate, come da programma, Fincantieri si è quotata e sono state avviate

le azioni propedeutiche su Enav e Poste. La prima dovrebbe essere pronta per la vendita intorno a

novembre: ma dipenderà dal mercato e non è escluso uno slittamento a gennaio. Per valutare correttamente

le Poste in vista della quotazione restano invece da sciogliere tre nodi: 1) la convenzione con Cdp; 2) il

contratto di programma per il servizio universale (quanto lo Stato paga a Poste per garantire la consegna

delle lettere in tutta l'Italia): è il punto più critico, varrebbe sui 350 milioni all'anno (e non deve configurarsi

come aiuto di Stato); 3) i crediti vantati da Poste verso la pubblica amministrazione: un paio di miliardi, di

dice.

E il resto delle privatizzazioni? Per StMicroelectronics è in programma la cessione al Fondo strategico

italiano. Per Cdp Reti si stanno ricevendo offerte. Grandi Stazioni e Sace, si vedrà. Quel che sta restando

davvero fermo (malgrado il lavoro degli uffici designati) sono gli immobili. Condanna etimologica.

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La nuova agenda delle dismissioni Ipotesi di calendario e possibili ricavi in milioni di euro Azienda pubblica In

alternativa a Poste Tempi Modo Quota in cessione Fincantieri Enav Cdp Reti Poste Italiane Stm Ferrovie

dello Stato Sace Newco Grandi Stazioni Conclusa il 3 luglio Fine 2014 Fine 2014 Fine 2014 o 2015 2015

2015 In definizione In definizione Borsa Vendita Vendita Borsa Vendita a Fsi Borsa Vendita o Borsa Vendita

o Borsa 0% 40% 49% 40% 14% 40% 60% 100% Eni Enel 2014 2014 Vendita Vendita 4% 6% 2,93 miliardi

2,46 miliardi Incasso per lo Stato (1) Azienda quotata solo in aumento di capitale; (2) stima su

07/07/2014 1Pag. Corriere Economia - N.25 - 7 luglio 2014

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 190

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capitalizzazione del 3/7/2014; (3) della quota dello Stato; 4) 0,7% del Pil Fonte: elaborazione Corriere

Economia su stime Università Bocconi, valori di Borsa, previsioni di mercato parra

Foto: Ministero del Tesoro Fabrizio Pagani Enel Francesco Starace, «ceo» del gruppo

07/07/2014 1Pag. Corriere Economia - N.25 - 7 luglio 2014

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 191

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Big Blue realizzerà in Italia il super Data Center @Righist DI Stefano RIghi A pagina 8 Ibm

Ibm investe in Italia. Dopo aver costituito una joint-venture con Unicredit (Vts), a cui sono state affidate tutte

le attività di gestione delle reti e delle infrastrutture informatiche della banca - un impegno per Big Blue da 200

milioni di euro one shot , a cui si aggiunge la gestione al 51% dei dieci anni del progetto - il consiglio di

amministrazione del colosso mondiale dell'informatica, la scorsa settimana, ha inserito l'Italia tra i siti dove si

realizzeranno i 40 Data Center di ultima generazione che entreranno in funzione entro la primavera del 2015.

Grande attenzione

«È una decisione che conferma l'attenzione di Ibm nei confronti dell'Italia - sottolinea Nicola Ciniero,

presidente e amministratore delegato di Ibm Spa - e che pone il nostro Paese all'avanguardia nelle soluzioni

informatiche avanzate. Sarà un Data Center basato sul principio del cloud , con soluzioni pensate sia per la

clientela privata che per la Pubblica amministrazione».

Dopo la decisione del quartier generale americano, la macchina italiana si è già avviata. Va identificato

rapidamente il sito dove realizzare il Data Center, che deve rispondere a precisi criteri che caratterizzano gli

impianti di standard più elevato (Tier 4): dalle caratteristiche sismologiche del terreno, alla lontananza dai

percorsi autostradali e dalle aree a elevata densità di popolazione. I lavori inizieranno nel terzo trimestre

dell'anno e la consegna è prevista nel primo trimestre 2015. Solo Eni, oggi in Italia, dispone di un Data Center

Tier 4. «Anche per questo, per la possibilità che verrà data alle aziende italiane di utilizzare una simile

tecnologia, la decisione del quartier generale di Ibm dimostra l'attenzione con cui si guarda all'Italia. Siamo un

Paese che, nonostante alcune difficoltà, mantiene un elevato livello di attrattività per gli investimenti esteri. Il

genio italiano, la capacità di trovare soluzioni non convenzionali, è infatti ancora riconosciuto e apprezzato»,

evidenzia Ciniero.

Grandi numeri

Ibm - 100 miliardi di fatturato, 6 dei quali investiti in ricerca e sviluppo - è da decenni in Italia. Il quartier

generale è a Segrate, ma uno dei centri di eccellenza è a Roma, il Tivoli lab del Torrino, attivo da 25 anni,

dove operano 500 ricercatori, con un'età media di 39 anni, elevata scolarizzazione e il 43 per cento sono

donne. Da lì esce la suite Tivoli, un sistema di governo delle risorse informatiche, ad alto grado di

personalizzazione e dedicato soprattutto a banche, assicurazioni, enti pubblici e alla Difesa. Anche la Nato

utilizza per l'ottimizzazione delle proprie risorse informatiche il software ideato e realizzato nei Tivoli lab. «È il

segnale della grande trasformazione che caratterizza Ibm - sottolinea Ciniero -, che talvolta viene ancora

percepita come produttrice di solo hardware , ma che ormai ottiene il proprio fatturato per il 38 per cento dalla

fornitura di servizi, per il 21 per cento dal software e solo per il 15 per cento dall'hardware . Una percentuale

ancor più marcata in Italia, dove software e servizi valgono il 70 per cento della produzione e l'hardware il 30

per cento».

Ibm, la cui presenza in Italia risale al 1927, non è solo a Segrate e a Roma. Se gli storici impianti di

Vimercate, nel Milanese, sono stati ceduti alla multinazionale canadese Celestica nel giugno del 2000 - poi

da questa a sua volta ceduti in un passar di mano che ha condotto alla recente amarissima chiusura - il

colosso di Armonk, Stato di New York, ha in Italia altri laboratori di ricerca e sviluppo di più ridotte dimensioni

a Bari, Cagliari e a Catania.

Per grandi e piccole

«La tecnologia digitale che nasce nei nostri laboratori - chiarisce Ciniero - non è destinata solo alle grandi

aziende. Ibm analizza il problema di molte pmi e propone soluzioni all'avanguardia: è il caso del Digital

innovation lab di Segrate, aperto dallo scorso febbraio e dove le pmi possono confrontarsi con Ibm sui loro

problemi di gestione. Oppure dei software realizzati a Bari per le attività di pesca: prodotti che consentono di

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vendere il pescato direttamente dal peschereccio appena questo è issato a bordo, senza attendere l'arrivo in

porto. Con evidenti vantaggi di tempo, razionalità, efficienza e abbattimento dell'invenduto».

Duecento assunzioni nel 2013, trecento quest'anno. Per tutti un piano di formazione e crescita che ha

inevitabili sbocchi internazionali. Come è accaduto a Eric Clementi, l'italiano partito da Segrate 15 anni fa e

oggi senior vice president del gruppo, con la responsabilità sui servizi di Global technology. Praticamente, il

numero 2 di Big Blue.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

1927LO SBARCO

Il colosso americano è arrivato in Italia 87 anni fa

Foto: Presenza digitale Nicola Ciniero, presidente e amministratore delegato di Ibm Italia

07/07/2014 1Pag. Corriere Economia - N.25 - 7 luglio 2014

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 193

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INTERVISTA Analisi L'ex sottosegretario al Welfare ha appena presentato al Parlamento un rapporto sullaprevidenza Riforme «Giovani state attenti In futuro lo Stato non vi aiuterà più» Alberto Brambilla: «Con il sistema contributivo sarà eliminata ogni forma di integrazione della rendita. Oggi,invece, una pensione su due è assistita » ROBERTO E. BAGNOLI Quasi un pensionato su due riceve un vitalizio del tutto sproporzionato rispetto ai contributi irrisori versati in

attività. E su cui, per giunta, non paga le tasse. Questi paracadute, però, non esisteranno più per i giovani:

per loro quindi, diventa ancora più importante la bussola della pensione. E' il preoccupante scenario che

emerge dal Bilancio del sistema previdenziale italiano, presentato nei giorni scorsi alla Camera. L'analisi,

basata sugli ultimi dati disponibili (relativi al 2012) è stata realizzata da Itinerari previdenziali e coordinata da

Alberto Brambilla, considerato uno dei massimi esperti della materia: è stato sottosegretario al Welfare e

padre della riforma del Tfr. In quest'intervista Brambilla fa il punto sulle anomalie del sistema previdenziale

italiano.

Come mai questa ricerca?

«Nel maggio del 2011, quando il ministero del lavoro era retto da Elsa Fornero, è stato sciolto il Nucleo di

valutazione della spesa previdenziale, da me presieduto. Oltre a svolgere il controllo sugli enti e la spesa

previdenziale, il Nucleo realizzava un Rapporto che era l'unico strumento in grado di offrire una visione

d'insieme del sistema, oltre che l'effettivo andamento dei lavoratori attivi: con la ricerca abbiamo voluto

colmare questa carenza».

Quanti sono i pensionati italiani?

«Sono in pagamento 23,431 milioni di pensioni, mentre i pensionati sono 16,562 milioni, per cui ognuno di

loro in media riceve 1,4 prestazioni: praticamente tutte le famiglie italiane, in pratica, ne hanno una».

A quanto ammonta la spesa pensionistica nel nostro paese?

«Nel 2012 era pari a 211,103 miliardi di euro, il 3,3% in più rispetto all'anno precedente, quasi il 14% del Pil.

A fronte di entrate contributive per 190,404 miliardi, si è determinato uno squilibrio pari a 20,700 miliardi di

euro, il 26,8% in più rispetto all'anno precedente. Senza i rilevanti attivi nei saldi della Gestione dei lavoratori

parasubordinati e delle Casse previdenziali dei liberi professionisti, però, il disavanzo sarebbe ben più

pesante, 30,97 miliardi di euro».

Quali sono le principali aree di squilibrio?

«In primo luogo la gestione dei dipendenti pubblici, ex Inpdap, incorporata nel 2012 dall'Inps, con 23,76

miliardi di euro. Per questi lavoratori, in pratica, lo Stato non accantonava effettivamente i contributi, per cui lo

squilibrio di oggi era inevitabile. Ma anche quella delle ex Ferrovie dello Stato: dove, a causa dei massicci

prepensionamenti, vi sono 53.600 lavoratori attivi e ben 232mila pensionati. Oltre alla previdenza, vi è un'altra

area che incide in maniera molto pesante»,

Qual è?

«L'assistenza, che costa 83,6 miliardi di euro, il 5,4% del Pil, coperti in pratica dalla fiscalità generale e quindi

da tutti i cittadini. A questi si aggiungono le spese di natura assistenziale sostenute dagli enti locali, primi fra

tutti i comuni, che sono difficilmente quantificabili».

Quali sono queste voci?

«Si va dagli assegni sociali a quelli di accompagnamento per invalidità civile o con maggiorazioni sociali, che

riguardano 4,906 milioni di pensionati con un costo di 21,716 miliardi di euro. Vi sono poi le pensioni integrate

al minimo, che riguardano 3,726 milioni di persone, con un costo di 10,58 miliardi di euro. Nel complesso,

quindi, i pensionati assistiti in qualche modo dallo Stato sono 8,602 milioni, il 52% del totale».

Un conto pesantissimo...

07/07/2014 19Pag. Corriere Economia - N.25 - 7 luglio 2014

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 194

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«Certamente; è difficile non pensare che una parte di queste basse contribuzioni dipende da una diffusione

del lavoro irregolare. Peraltro queste prestazioni assistenziali non sono tassate, a differenza di prestazioni

d'importo simile che, essendo a fronte di contributi realmente versati, sono invece soggette a tassazione.

Tuttavia questa situazione è destinata a finire».

Perché?

«La riforma Dini del 1995, che ha introdotto il metodo contributivo per il calcolo della pensione, non prevede

le integrazioni al minimo e le maggiorazioni sociali. Quindi, per tutti i lavoratori che hanno iniziato l'attività dal

primo gennaio 1996, tutte le pensioni saranno commisurate interamente ai contributi versati. Questo scenario

presuppone un'informazione dei lavoratori su quelle che, almeno in termini di stima, potranno essere le loro

future pensioni: ma questa è completamente assente».

A che punto è il progetto della busta arancione, il documento che dovrebbe fornire una ragionevole stima

sull'età di pensionamento e l'importo del vitalizio?

«E' completamente fermo; dopo l'invio a un campione di 100mila lavoratori, infatti, il processo non è più stato

completato. Per questo abbiamo voluto supplire con un'iniziativa analoga nell'ambito della Giornata nazionale

della previdenza e del lavoro, che si è tenuta nelle settimane scorse a Milano».

www.iomiassicuro.it

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Fonte: Il bilancio del sistema previdenziale italiano RPirola 211La spesa previdenziale in miliardi nel 2012,

pari a quasi il 14% del Pil. Sono in pagamento 23,4 milioni di pensioni, mentre i pensionati sono 16,5 milioni

Foto: La stragrande maggioranza degli ex lavoratori riceve un vitalizio che non è proporzionato ai contributi

versati. Lo squilibrio del sistema ha superato i 20 miliardi nel 2012. Sarebbe andata peggio senza gestione

separata e casse professionali

Foto: Criticità Alberto Brambilla, fondatore di Itinerari previdenziali

07/07/2014 19Pag. Corriere Economia - N.25 - 7 luglio 2014

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 195

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L'intervista Parla Pietro Giuliani a dieci anni dalla quotazione del gruppo Azimut (+400%) Orizzonti Il risparmio gestito vince quando è in formato esportazione I mercati? «Su Giappone e borse emergenti. Valutazioni eque per Usa ed Eurozona» La società ha fattoshopping: Turchia, Singapore,Cina e Brasile. E presto il Messico marco sabella A chi mi chiede quali sono i vantaggi dell'indipendenza per un gruppo di asset management rispondo con

delle cifre: in dieci anni la nostra capitalizzazione è quintuplicata, passando da 0,5 a 2,7 miliardi e le masse

amministrate da 8,7 a circa 27 . In pratica l'azione Azimut è salita del 400%, mentre Piazza Affari ha perso il

22% e i listini europei sono aumentati del 45%».

Pietro Giuliani, fondatore, presidente a amministratore delegato di Azimut rivendica così l'importanza

dell'autonomia dal sistema bancario e l'assenza di conflitti di interesse per un gruppo che si occupa di

gestione del risparmio. E a dieci anni dalla quotazione della società, fa il punto sulle strategie di Azimut e

sulle tendenze di fondo dei mercati. Che secondo Giuliani, almeno per quanto riguarda i paesi sviluppati,

saranno caratterizzati da un rallentamento dei rendimenti e delle performance, mentre gli Emergenti

mantengono il loro potenziale di lungo periodo.

Azimut, a differenza dei concorrenti, ha puntato molto sulle strategie di internazionalizzazione. Quali sono i

motivi di questa scelta coraggiosa?

«All'inizio della grande crisi esplosa nel 2008 ci siamo resi conto che i mercati avrebbero subito un

cambiamento radicale e che per crescere era indispensabile diventare operatori globali, con una presenza

diretta dei team di gestione sulle piazze finanziarie dotate delle migliori prospettive».

In che direzione farete i prossimi passi?

«Abbiamo realizzato acquisizioni di società di gestione locali in paesi come la Turchia, la Cina, Singapore, il

Brasile, presto anche in Messico... Oggi dei nostri circa 300 dipendenti, fra gestori e forze distributive, oltre i

due terzi sono basati al di fuori dell'Italia. Puntiamo entro la fine dell'anno ad avere il 10% delle nostre masse

amministrate all'estero e a concludere nuove acquisizioni, anche di società di taglia superiore rispetto a quelle

realizzate fino ad oggi».

Questo significa che credete di meno nel potenziale di sviluppo dell'Italia?

«All'opposto, con il progetto Libera Impresa, una iniziativa che abbiamo lanciato a gennaio di quest'anno, ci

poniamo l'obiettivo di creare una piattaforma destinata alle esigenze di crescita e di consulenza delle Pmi e

degli imprenditori italiani, a cominciare dai più giovani».

Quali sono le caratteristiche di questa iniziativa?

«Svolgere una funzione di acceleratore/incubatore per le imprese in fase di startup, con finanziamenti a

partire da alcune decine di migliaia di euro. Poi, nella fase successiva, ricoprire il ruolo di un venture capital,

che punta sullo sviluppo delle idee più promettenti. E tutto questo senza trascurare la consulenza nei

processi di fusione e acquisizione, di quotazione e di internazionalizzazione delle imprese e il lancio di fondi

di mini-bond».

Il centro della vostra attività rimane comunque la gestione del risparmio. Quali previsioni fate su Piazza

Affari?

«L'Italia nell'ultimo biennio ha goduto di flussi di investimento dall'estero molto consistenti, forse addirittura

eccessivi. É come se gli investitori, che erano fuggiti dal mercato in seguito alla crisi degli spread esplosa nel

2011, avessero fatto improvvisamente marcia indietro, sottraendo risorse dai paesi emergenti per

scommettere sui listini periferici dell'eurozona, tra cui la borsa milanese».

Un errore di valutazione?

«Più che di un errore si tratta di un rischio. Se non ci sarà un miglioramento effettivo degli utili societari e dei

fondamentali dell'economia, questi flussi di investimento, così come sono arrivati, potrebbero scomparire

rapidamente. Tuttavia è probabile che per i prossimi mesi il clima di Piazza Affari continuerà a rimanere

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 196

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favorevole agli investitori».

E i listini degli altri paesi sviluppati?

«La borsa che a breve e medio termine ci sembra abbia le valutazioni più attraenti è quella del Giappone.

Tutti gli altri mercati sviluppati, dagli Stati Uniti, ai listini dell'eurozona ci sembrano correttamente valutati. Il

sistema economico dei paesi sviluppati è destinato a un rallentamento perché con la crisi le autorità di

controllo e le banche centrali hanno introdotto sistemi di regolamentazione molto stringenti, che limitano i

rischi ma anche le potenzialità di crescita».

E allora verso quali mercati devono guardare adesso i risparmiatori?

«Probabilmente i paesi emergenti torneranno ad attrarre gli investitori dopo una pausa di tre anni. Tutte le

aree emergenti, dall'America Latina all'Asia, hanno ancora prospettive di sviluppo molto positive».

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Così in Borsa 800 700 600 500 400 300 200 100 lug 2004 lug 2005 lug 2006 lug 2007 lug 2008 lug 2009 lug

2010 lug 2011 lug 2012 lug 2013 lug 2014 Azimut Ftse Mib Fonte: elaborazione CorrierEconomia RP

Foto: Fondatore Pietro Giuliani, alla guida di Azimut gruppo del risparmio gestito

07/07/2014 21Pag. Corriere Economia - N.25 - 7 luglio 2014

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 197

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INTERVISTA Assiom: dalla Bce più soldi del previsto Francesco Ninfole La liquidità fornita dalla Bce alle banche attraverso le T-Ltro è stata superiore alle attese e potrà ora favorire il

credito alle imprese. Ne è convinta Claudia Segre, segretario generale di Assiom Forex, l'associazione degli

operatori finanziari italiani. Domanda. Qual è stata la sua reazione alle parole di ieri di Draghi? Risposta.

L'atteggiamento della Bce è sembrato estremamente accomodante. C'è stata un'ottima accoglienza da parte

degli operatori di mercato. I mille miliardi messi a disposizione da Draghi alle banche attraverso la T-Ltro

sono lievemente superiori alle aspettative. D. Cosa ne pensa delle precisazioni tecniche sulle T-Ltro? R. La

possibilità di creare pool di banche per partecipare ai rifinanziamenti è un'opportunità per gli istituti più piccoli,

che così potranno accedere più facilmente alle risorse della Bce. È inoltre positivo che la Bce abbia distinto i

parametri tra banche che stanno già aumentando i prestiti e quelle che non hanno ancora iniziato a farlo. D.

C'è il rischio che, in assenza di penalità (a parte il rimborso nel 2016 invece che nel 2018), le banche

investano ancora in titoli di Stato, come nelle precedenti Ltro? R. Non credo che le banche prenderanno alla

leggera i vincoli della Bce, che non ha nessuna intenzione di elargire denaro senza essere sicura della

destinazione finale della liquidità. Anche la Banca d'Italia sarà vigile. Quindi gli istituti faranno molta

attenzione prima di sfruttare le T-Ltro con strategie opportunistiche, per le quali vedo pochi spazi. D. Quindi

alla fine ci saranno conseguenze positive per il credito alle imprese? R. Sì, da qui a sei mesi si potranno

vedere effetti per le imprese. Le T-Ltro aiuteranno a far scendere i tassi dei prestiti e aumentarne i volumi, ma

va ricordato che non potranno fare miracoli se non ci sarà crescita economica e se non si farà nulla per

aiutare le aziende anche in altri ambiti, per esempio dal punto di vista fiscale. D. Si aspetta altre misure entro

fine anno? R. Il Quantitative easing, ovvero l'acquisto di titoli di Stato,è un'opzione ancora aperta, soprattutto

se peggioreranno i dati sull'inflazione. Inoltre Draghi si è impegnato a rilanciare gli Abs. La cosa positiva da

rimarcare è il consenso all'interno della Bce per agire ancora se sarà necessario. D. La Bce deve indebolire

l'euro? Da giugno non si è quasi mosso. R. Il cambio rimane un problema, visto che la Bce non ha un

mandato sulla materia. Il Quantitative easing può riportare l'euro più vicino ai livelli sperati. Nell'ultimo mese ci

sono stati anche fattori esterni a incidere sulla moneta unica, in particolare i deflussi dai mercati mediorientali

e i dati sul pil americano. Rispetto a giugno si è invece già verificato il calo atteso dei tassi sul mercato

interbancario. Le mosse di Draghi hanno dato più tranquillità agli operatori. (riproduzione riservata)

05/07/2014 8Pag. Milano Finanza - N.131 - 5 luglio 2014(diffusione:100933, tiratura:169909)

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 198

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ANALISI Il debito nasce a Berlino Guido Salerno Aletta La nuova emergenza globale è il debito accumulato dopo la crisi, giunto a livelli senza precedenti.

L'economia reale di converso cresce troppo poco per sostenere adeguatamente questo enorme stock,

tenendo conto che gli odierni tassi di interesse sono eccezionalmente bassi a fronte di volumi di debito così

elevati e di livelli di rischio significativi. La situazione insomma è precaria. Nonostante gli investitori guardino

con soddisfazione al consolidato rialzo dei corsi azionari dopo la crisi, i ministri delle Finanze tirano solo

mezzo sospiro di sollievo per via della riduzione degli spread sulle loro emissioni: la bonaccia non è destinata

a durare. I debiti sovrani europei non sono mai stati così alti e quello italiano ha raggiunto vette senza

precedenti; la depressione causata dalle manovre fiscali ha abbattuto l'economia peggio di una guerra. La

crescita economica è ora indispensabile per mantenere la fiducia dei mercati: se venisse meno, anche l'Italia

sarebbe esposta a un nuovo vortice di instabilità globale. Che colpirebbe qualcuno ma travolgerebbe tutti.

Questo è il motivo per cui nel corso di appena un mese tutti i massimi vertici delle istituzioni bancarie e

monetarie mondiali si sono occupati della stabilità dei debiti, pubblici e privati: dal governatore della Bce

Mario Draghi al direttore generale della Bri Jaime Caruana, dal Fondo Monetario Internazionale al

commissario Ue uscente Michel Barnier. Claudio Borio, infine, capo del dipartimento monetario ed economico

della Bri, ha affrontato in modo globale le relazioni tra sistema finanziario ed economia reale con un

intervento dal titolo eloquente «Ciclo finanziario, trappola del debito e stagnazione secolare»: i cicli finanziari

potrebbero tornare nuovamente a collidere con quelli dell'economia reale. Il debito, non solo in Europa, fa

paura. C'è dunque un unico, lunghissimo baco che sta condizionando il sistema finanziario globale,

rendendolo intrinsecamente fragile: i creditori, coloro che oggi tanto mugugnano per i tassi irrisori incassati

sui titoli pubblici, potrebbero trovarsi presto di fronte a un bel po' di richieste di ristrutturazione se non a

dichiarazioni di default di debiti sovrani. Anche i debiti privati destano allarme: sia quelli contratti in passato

dalle imprese, che ancora fronteggiano una domanda interna carente costringendo le banche ad accumulare

nuove sofferenze, sia quelli più recenti che hanno sfruttato le misure di accomodamento monetario delle

banche centrali. È una dinamica perversa, tipo il paradosso di un medico che volesse curare un alcolista

prescrivendogli di bere ancora di più. È esattamente ciò che temeva l'ex ministro dell'Economia Giulio

Tremonti, quando ascoltava i colleghi chiedergli di finanziare nuova spesa pubblica in disavanzo per dare un

colpo di frusta alla crescita economica. Le famiglie inglesi sono state indotte a indebitarsi approfittando delle

misure di eccezionale favore adottate dalla Banca d'Inghilterra, il cui piano «Funding for lending» potrebbe

aver determinato i presupposti per una nuova bolla immobiliare, non solo dei prezzi. Se i redditi delle famiglie

inglesi dovessero registrare una flessione, ci potrebbe essere un nuovo quadro di insolvenze generalizzate.

La Bce ha fatto tesoro di questo infortunio vietando di utilizzare le T-Ltro per finanziare mutui. In Italia si sta

cercando di coinvolgere assicurazioni e fondi pensione nel finanziamento delle imprese per alleggerire il

carico che grava sulle banche: se per un verso si ripartisce in modo più ampio il rischio, per l'altro si rende più

stretto il groviglio di relazioni che possono inghiottire tutti in un unico gorgo. Mentre nel primo decennio del

secolo il finanziamento del debito transfrontaliero era considerato il motore della crescita, ora viene

considerato il veicolo che mina la stabilità delle economie del globo. Non c'è più corrispondenza tra la

formazione del risparmio interno a un Paese e l'espansione del credito e neppure tra andamento del debito e

crescita economica. Il capitalismo ha cambiato fisionomia: non è trainato dai consumi e neppure dagli

investimenti nell'economia reale, ma solo dal debito. I redditi da lavoro non crescono, spiazzati dalle imprese

esposte alla competizione internazionale, mentre l'aumento della tassazione ha effetti depressivi non

recuperabili. La prospettiva di una stagnazione secolare è fin troppo rosea. Ci sono rischi ben più gravi

all'orizzonte, come ha ricordato Draghi. «In Europa la ripresa è debole, diseguale, ma soprattutto

vulnerabile», ha dichiarato. «Possono verificarsi incidenti nell'economia globale che cambierebbero

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 199

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rapidamente la situazione. Inoltre la disoccupazione si sta stabilizzando ma è ancora molto alta. Già solo

questo dramma pone un rischio alla ripresa perché riduce la domanda dei consumatori». Il combinarsi delle

manovre fiscali e del credit crunch ha avuto come conseguenza una bassa inflazione che, secondo Draghi,

«se durerà troppo a lungo, renderà più difficile il risanamento nei Paesi in crisi. dove i salari dovranno calare

per migliorare la competitività». Quest'ultimo è il punto da cui partire: si impongono riforme strutturali a senso

unico, tagliando l'occupazione e i salari nei Paesi più deboli. Non serve alcuna flessibilità sul deficit: la ripresa

della domanda può partire solo da chi oggi invece esporta deflazione e disoccupazione in Europa e nel

mondo: la Germania. Chi ha aderito all'euro non può svalutare rispetto agli altri Paesi dell'Eurozona, ma è

altrettanto vero che la Germania ha un attivo strutturale della bilancia dei pagamenti correnti infra-Ue da oltre

un 15 anni, da quando l'euro è entrato in circolazione. Sta facendo gravare tutto il riequilibrio sulle spalle di

chi, a causa di questo suo comportamento, cresce poco, ha i conti esteri in rosso e si indebita: ha la

responsabilità politica, sociale, economica e finanziaria di sottrarre continuamente domanda al circuito del

commercio levando linfa all'economia reale per trasferirla al settore finanziario. Ecco da dove viene

l'accumulo degli attivi finanziari tedeschi all'estero e da dove viene l'eccesso di liquidità delle banche

tedesche depositato presso la Bce. Non si tratta quindi di rivangare il fatto che nel lontano 2003 la Germania

ha sforato il 3% nel rapporto deficit-pil. Occorre piuttosto sottolineare come si stia ripetendo nei confronti

dell'Europa meridionale, e soprattutto della Francia (che ha un disavanzo commerciale di 39 miliardi annui

verso la Germania), lo stesso paradigma che adottato in occasione dell'unificazione monetaria dei Lander

orientali, cui fu estesa la circolazione del marco occidentale con un rapporto 1 a 1. L'apparato industriale

della Germania Est è stato distrutto a beneficio delle imprese della Germania Ovest e alle masse di

disoccupati dei Lander orientali non è rimasto che accettare salari infimi. La Germania ha strumentalizzato la

disoccupazione dell'Est per ridurre la quota dei salari sul reddito nazionale, aumentando così la sua

competitività nei confronti dell'Europa. L'avanzo commerciale le ha consentito di aumentare gli investimenti di

portafoglio all'estero, passati dai 791 miliardi di dollari del 2001 ai 2.760 miliardi del 2012. L'attivo della

bilancia dei pagamenti correnti della Germania sarà quest'anno di 284 miliardi. È da qui che viene la

deflazione in Europa: dalla sottrazione metodica e costante di risorse all'economia reale. Se fossero stati

costantemente reimpiegati in nuova domanda e in investimenti, non ci sarebbe stato lo squilibrio strutturale

che si è accumulato nell'Eurozona, divisa tra creditori strutturali e debitori senza rimedio, né ora ci sarebbe il

clima di deflazione che ci avvelena lentamente. I guadagni di competitività che le riforme strutturali

dovrebbero garantirci sono una chimera. Ecco perché a essere preoccupati ora non sono più solo i debitori.

(riproduzione riservata)

Foto: Angela Merkel

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/07/2014 200

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SCENARIO PMI

16 articoli

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INTERVISTALuca Peyrano Head of continental Europe primary markets di Borsa Italiana «No alla dipendenza bancocentrica La Borsa strada per crescere» V.L. «La crisi degli ultimi anni, se non altro, una cosa positiva l'ha portata: ha favorito un cambiamento culturale

che sta spingendo molte Pmi sul mercato dei capitali, riducendo la dipendenza bancocentrica che

caratterizza alcune aree, fra cui l'Italia». Parola di Luca Peyrano, head of continental Europe primary markets

di Borsa Italiana.

Le Pmi europee stanno quindi scoprendo la Borsa sul modello degli Stati Uniti?

La crisi del sistema bancario ha condizionato molto la capacità di funding. Ma la ripresa dei mercati ha fatto

sì che queste possano beneficiare del ritorno sia degli investitori locali che di quelli internazionali, per fare

raccolta diretta. Del resto in Europa abbiamo 22 milioni di pmi: se i mercati sono funzionanti, c'è un

grandissimo potenziale.

La Bce sta dando con le iniezioni di liquidità?

Qualsiasi intervento che riporti confidenza presso gli investitori internazionali e stabilizzi il sentiment di

mercato, facendo concentrare gli operatori sui fondamentali dell'economia senza preoccuparsi delle

disfunzioni del sistema, è senz'altro un contributo positivo .

La scossa è arrivata in Italia?

Da inizio anno a Londra contiamo circa 80 Ipo, di cui 38 sull'Aim. In Italia domani raggiungeremo 15 Ipo, di

cui 11 sull'Aim. L'Italia a mio parere ha fatto meglio di Londra nel segmento Pmi perché siamo su un rapporto

di 1 a 3 quando normalmente eravamo 1 a 10.

Quali sono le aspettative per fine anno?

Il numero delle Ipo sull'Aim a fine 2014 potrebbe superare le 20 unità. Ci aspettiamo un altro grande risultato

dopo le 15 Ipo del 2013. Al ritmo di 15-20 l'anno l'Aim italiano, nato nel 2009, è destinato a diventare un punto

di riferimento nel sistema di funding delle Pmi del nostro Paese.

Come giudica l'azione del governo italiano in tal senso?

Il governo ha messo insieme una serie di misure favorevoli per l'avvicinamento in Borsa delle Pmi. Dal

potenziamento dell'Ace (che consente di ridurre dal reddito imponibile una parte degli aumenti patrimoniali,

ndr) alle ultime riforme sulle società di capitali introdotte dal decreto semplificazioni, come il voto plurimo che

favorisce chi detiene partecipazioni azionarie per un lungo periodo.

Si può fare ancora di più?

Dovremmo tutti impegnarci a creare un sistema di fondi di investimento dedicato alle Pmi. In questo senso

c'è il progetto "fondo di fondi" per la creazione di un fondo che raccolga risorse da investitori di lungo periodo

come fondi pensione, casse previdenziali e assicurazioni per creare delle Sgr che investano in Pmi. Siamo

ora a livello di consultazioni, c'è molto consenso ma manca una presa di coscienza politica e di sistema per

metterlo in piedi da subito.

Sta nascendo un mercato europeo delle Pmi?

La nostra visione è che progressivamente ci sarà un maggior ricorso delle Pmi al finanziamento diretto, sia

bond che equity. Riteniamo che il modello che abbiamo consolidato negli ultimi anni, come l'Aim, sia vincente

e possa esso stesso ambire a diventare il mercato europeo delle Pmi. Per questo diciamo agli imprenditori di

avvicinarsi anche al progetto Elite che aiuta un'impresa a trasformarsi e a rendersi più attraente per potenziali

investitori. In Italia contiamo già 150 imprese, poi lo abbiamo lanciato in Inghilterra lo scorso aprile, dove

abbiamo 20 società. Il progetto sta andando benissimo e crediamo che anche Elite - come è stato per Aim -

possa diventare un'eccellente modello per tutta l'Europa. Ma questa volta, totalmente made in Italy.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

06/07/2014 5Pag. Il Sole 24 Ore(diffusione:334076, tiratura:405061)

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 07/07/2014 202

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Foto: IMAGOECONOMICA

Foto: Luca Peyrano

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 07/07/2014 203

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Bene M&A e private equity ma siamo indietro Sugli investimenti esteri timidi segnali positivi Chiara Bussi Qualcosa si muove. Dalle nuove attività produttive alle fusioni e acquisizioni, un mix di indicatori suggeriscono

che l'Italia sta lentamente tornando nei radar degli investitori internazionali. Piccoli segnali di inversione di

tendenza tra il 2013 e il primo semestre 2014, anche se il nostro Paese resta in coda tra i big mondiali. I più

interessati a investire in Italia sono Stati Uniti e Francia, seguiti da Gran Bretagna, Svizzera e Germania. A

finire nel mirino sono le medie imprese del made in Italy orientate all'export, con un occhio di riguardo al

settore della meccanica avanzata.

Servizi u pagina 13

Gli investimenti dei colossi farmaceutici Merck Serono e Sanofi Aventis in Puglia. L'ingresso della People's

Bank of China nel capitale di Eni ed Enel. L'accordo tra il Fondo strategico italiano e quello sovrano del

Kuwait. O il 20% di Gianni Versace a Blackstone. Qualcosa, timidamente, si muove. Dopo gli scossoni della

crisi, con l'impennata dello spread e il credito con il contagocce, l'Italia sta tornando gradualmente nei radar

degli investitori esteri. Dalle nuove attività produttive alle fusioni e acquisizioni tra società passando per il

private equity tra il 2013 e il primo semestre di quest'anno una serie di indicatori testimoniano un cambio di

rotta. Tanto che all'Assemblea annuale di inizio maggio il presidente della Consob, Giuseppe Vegas, ha

tranquilizzato i difensori dell'italianità spiegando che «gli investitori esteri sono indispensabili per rilanciare la

nostra economia, rafforzare il mercato dei capitali e la competitività del nostro sistema economico».

Il primo segnale arriva dall'Unctad, la Conferenza dell'Onu sullo sviluppo e il commercio. Dopo un 2012 a

quota zero nel 2013 il flusso degli investimenti esteri diretti verso il nostro Paese - ovvero le nuove attività

produttive e le operazioni di fusione e acquisizione di aziende già esistenti - è balzato a quota 17 miliardi di

dollari. Una buona notizia, anche se l'Italia resta in coda tra i 20 Paesi più attrattivi del mondo. Restringendo il

focus, secondo le elaborazioni dell'Ice sulla banca dati Fdi Markets del Financial Times, da gennaio a maggio

sono stati annunciati 51 progetti di investimento greenfield, con la creazione di nuove attività produttive,

contro i 40 nello stesso periodo del 2013. «Per ora - commenta Marco Mutinelli, docente all'Università di

Brescia e responsabile della banca dati Reprint del Politecnico di Milano - si tratta di un piccolo segnale, che

però interrompe un trend negativo, con progetti d'investimento più che dimezzati tra il 2008 e il 2013. L'Italia

sta gradualmente diventando più attrattiva, ma la performance resta distante da quella dei principali Paesi».

Anche l'attività di fusioni e acquisizioni sta lentamente riprendendo vigore. Nel 2013 - secondo Kpmg, che

monitora sia i deal tra società che quelli attraverso fondi di private equity - sono state messe a segno 106

operazioni per un controvalore di 13 miliardi rispetto ai 7 miliardi del 2012. E quest'anno sembra iniziato sotto

una buona stella: nei primi sei mesi sono state registrate 85 operazioni per un totale di 5 miliardi contro 42

nello stesso periodo del 2013 e un controvalore di 4 miliardi. Lo scorso anno i Paesi più interessati all'Italia

sono stati Usa e Francia, seguiti da Gran Bretagna, Svizzera e Germania.

«Oggi le prospettive per gli investimenti esteri in Italia - sottolinea Stefano Cervo, partner Kpmg esperto di

private equity - sono positive e ci troviamo all'inizio di un ciclo di ripresa. Sul mercato c'è un'abbondante

liquidità e il nostro Paese viene visto come una méta interessante, per i prezzi convenienti, ma non di saldo.

Nel mirino sono aziende dei settori del made in Italy, con un occhio di riguardo alla meccanica avanzata». A

giocare a favore, spiega Cervo, è «la ritrovata stabilità politica, mentre l'ostacolo principale che ancora

scoraggia gli operatori stranieri è il fisco: serve una maggiore certezza in questo campo».

La conferma di un ritorno d'interesse per l'Italia arriva anche dall'Aifi, l'Associazione del private equity e del

venture capital. «A esercitare maggiore appeal - afferma il direttore generale Anna Gervasoni - sono le

aziende di media dimensione che hanno già una proiezione globale o sono pronte per

l'internazionalizzazione. Per loro l'ingresso di un fondo di private equity rappresenta un'opportunità di crescita

e di sviluppo».

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 07/07/2014 204

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Secondo il Private equity Monitor (Pem) nei primi sei mesi del 2014 sono state annunciate 22 operazioni

contro le 14 dei primi sei mesi del 2013. Una buona premessa per superare a fine 2014 i 28 accordi dello

scorso anno.

© RIPRODUZIONE RISERVATA «Appeal» in cerca di rilancio GLI INVESTIMENTI DIRETTI ESTERI Flussi

di investimenti esteri diretti in Italia nel 2012/2013. L'Italia è all'ultimo posto tra i 20 Paesi più attrattivi al

mondo LE NUOVE ATTIVITÀ Programmi di investimento greenfield (con la creazione ex novo di attività

produttive) nei primi 5 mesi del 2013 e del 2014 FUSIONI E ACQUISIZIONI M&A realizzate da operatori

esteri in Italia nei primi 6 mesi del 2013 e del 2014 PRIVATE EQUITY Operazioni annunciate da fondi di

private equity esteri Italia 2012 2013 0 5 10 15 20 17 mld 0 GEN-MAG 2014 GEN-MAG 2013 0 15 30 45 60

51 40 I SEM 2014 I SEM 2013 I SEM 2013 I SEM 2014 0 45 90 85 42 Numero di operazioni Ammontare

investito 5 mld I SEM 2014 Fonte: Unctad, elaborazioni Ice su Banca dati Fdi Markets del Financial Times,

Kpmg, Aifi, Private equity monitor (Pem)

Foto: Gli indicatori di attrattività in aumento - Fonte: Unctad, elaborazioni Ice su Banca dati Fdi Markets del

Financial Times, Kpmg, Aifi, Private equity monitor (Pem)

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 07/07/2014 205

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La strategia Nei Bric si punta alle joint venture L. Ca. La strategia è la stessa adottata dalle Pmi clienti italiane: sul mercato interno non vedono opportunità e

cercano nuovi spazi oltreconfine. Sulla scia di un modello, quello tedesco, che avviò la penetrazione dei

mercati fieristici internazionali già negli anni '80 e '90. Oggi Fiera Milano è impegnata non solo in strategie

capaci di attirare buyer esteri nel corso degli eventi espositivi in Italia ma organizza manifestazioni che si

svolgono nei nuovi mercati di consumo.

Nel 2007 l'ente milanese non aveva alcuna fiera all'estero. Nel 2016, l'obiettivo è ricavare metà del margine

operativo lordo del gruppo da attività internazionali. Attualmente, Fiera Milano organizza mostre in Cina,

India, Brasile, Turchia, Sudafrica, Russia, Singapore, per un totale di ben 81 manifestazioni in portafoglio. La

futura espansione a cui si sta lavorando punta direttamente all'area Asean, in particolare l'Indonesia, e agli

Stati Uniti.

Nel 2013 l'internazionalizzazione ha subìto un'accelerazione. Con l'acquisizione del 75% dell'operatore

fieristico cinese WorldEx (operazione da 7,5 milioni di euro) Fiera Milano - già presente in Cina in joint

venture con la Fiera di Hannover - si è insediata nel Guangdong, una delle regioni più dinamiche e

promettenti del Paese. Inoltre si è rafforzata con Food Hospitality World ed è stata avviata l'integrazione della

filiera sicurezza, nella duplice accezione inglese di security & safety, con il coordinamento delle relative

mostre in Italia e Brasile.

Una delle ultime novità è stata il lancio di Food Hospitality World, la mostra professionale dedicata

all'alimentare e all'ospitalità professionale, a Città del Capo in Sud Africa lo scorso 22 maggio. Un'altra sarà il

debutto di Homi in Russia, a Mosca, accanto al Salone del Mobile, dal 15 al 18 ottobre. Ma le iniziative

all'estero di Fiera Milano, tutte volutamente concentrate nei nuovi grandi mercati al di fuori della stagnante

area europea, sono molte di più. Accanto alle mostre nate e cresciute a Milano e che Fiera sta ora

esportando, ci sono infatti quelle - numerose - che fanno capo alle società acquisite in giro per il mondo e che

a tutti gli effetti fanno parte del suo portafoglio eventi.

Per esempio, nei mesi che intercorrono tra Food Hospitality World Sud Africa e Homi Russia ci sono

Aviation&Space (aerospazio) e Industrial Automation in Cina; EnerSolar, Feitintas (vernici), Fesqua

(serramenti), BioTechFair (bioenergia e biocarburanti) in Brasile; Promoturk (regali aziendali e gadget) e Art

International Istanbul in Turchia. Senza dimenticare Micam China a Shangai. Nell'arco di un anno gli eventi

sono naturalmente molti di più: nel solo 2013 Fiera Milano ha organizzato 59 mostre fuori Italia (delle circa 80

complessive in carnet). Tra le kermesse c'è anche Reatech, evento dedicato ai prodotti e servizi per disabili,

in Brasile, Italia, Singapore.

«L'internazionalizzazione - spiega Enrico Pazzali, amministratore delegato dell'ente - è una priorità strategica

nei nostri progetti di crescita a medio-lungo termine, e un'opportunità che non possiamo permetterci di

perdere. Noi dobbiamo accompagnare le aziende nostre clienti all'estero, e dobbiamo farlo più che mai

adesso, in considerazione del critico scenario macro in cui si trova il Paese. È una missione con risvolti

benefici per il sistema tutto, oltreché per noi. Stiamo sviluppando una serie di servizi specifici diretti ad

accrescere l'efficacia di business delle manifestazioni oltrefrontiera, come l'individuazione di buyer profilati

che mettiamo in contatto con i nostri espositori».

In Cina Fiera Milano è presente dal 2008, attraverso le società Hannover Milano Fairs China e Hannover

Milano Fairs Shanghai, che fanno capo alla joint venture costituita con la fiera di Hannover, e Worldex Fiera

Milano Exhibitions, società nata dall'acquisizione nel 2013 dell'operatore cinese. Fiera Milano presidia sia la

regione di Shanghai sia quella, in fase di sviluppo, di Guangdong e Hainan, con 23 manifestazioni (più una in

Thailandia) nei settori meccanica strumentale, automazione, automotive, ediliza, ambiente e energia, food e

ospitalità professionale. Mentre a Singapore è in essere un accordo commerciale con un operatore locale

07/07/2014 19Pag. Il Sole 24 Ore - Lifestyle focus(diffusione:334076, tiratura:405061)

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 07/07/2014 206

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(Singex) per l'organizzazione di una manifestazione nel settore della riabilitazione.

Più recente, dal 2011, la penetrazione in Brasile, attraverso la società Fiera Milano Cipa, che organizza

mostre su un ampio ventaglio produttivo: lavorazione dei metalli, ambiente e energia, sicurezza, riabilitazione,

alimentare e ospitalità professionale, prodotti per l'ambiente domestico. In tutto trenta manifestazioni.

C'è poi l'India. Sono in tutto nove gli eventi allestiti attraverso Hannover Milano Fairs India (società che fa

capo alla joint venture con la fiera di Hannover) e la controllata Fiera Milano India, rivolgendosi ai comparti

del food e l'ospitalità professionale, l'automazione, gli autoveicoli e i trasporti.

Dal 2012, Fiera Milano si muove in Turchia attraverso la società Fiera Milano Interteks, con un ventaglio di

dieci manifestazioni che vanno dalla cosmesi alla casa, dall'arte ai trasporti, sino a sport, moda e

riabilitazione. Infine, c'è il Sudafrica con i suoi sei eventi orgalizzati dalla controllata Fiera Milano Exhibitions

Africa nei comparti dell'alimentare, l'arte e il tempo libero.

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IL NUMERO

4 mln Margine operativo lordo È il Mol ricavato dalle attività all'estero di Fiera Milano nel 2013

07/07/2014 19Pag. Il Sole 24 Ore - Lifestyle focus(diffusione:334076, tiratura:405061)

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 07/07/2014 207

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Le interviste Roberto Calderoli (Lega) "È colpa del governo Monti Ma ora aggiustiamo tutto" «Con la modifica dell'art. 119 introduciamo i costi standard Questo è il vero federalismo» «La pressionefiscale è più alta a Reggio Calabria? Solo perché non si considera il nero...» MARCO BRESOLIN Senatore Roberto Calderoli, per anni la Lega ci ha parlato del federalismo fiscale. Ma i dati dimostrano che gli

effetti per le imprese... «Fermi tutti. Questo non è federalismo fiscale». La leva fiscale, però, è passata dallo

Stato ai Comuni: questo come si chiama? «Il federalismo fiscale che volevamo noi prevedeva uno

spostamento della potestà impositiva verso gli enti locali. Fin qui ci siamo. Ma ciò doveva essere

accompagnato da una riduzione della pressione fiscale a livello centrale. E invece Monti che ha fatto?». Che

ha fatto, Monti? «Anche lui ha tagliato. Ma non la pressione fiscale dello Stato: lui ha tagliato i trasferimenti ai

territori. Che, per poter sopravvivere, hanno così agito sulla leva fiscale. Una bestemmia. Anche perché, non

avendo applicato al patto di stabilità i costi standard, i vincoli e i tagli sono intervenuti su tutti

indiscriminatamente. Un disastro totale. E poi c'è il pasticcio dell'Imu». Un'imposta che era stata inventata da

Calderoli... «Ma la mia Imu era tutt'altra cosa. Era destinata totalmente al territorio, invece ora se la prende lo

Stato. Anzi, prima fa fare il lavoro sporco agli enti locali, che ci mettono la faccia e sono così costretti ad

aumentare le aliquote, poi gliene porta via una bella fetta. Una follia». Secondo la Cna, Cuneo è la città con la

pressione fiscale più bassa per le imprese (56,18%)... «Eh... ci credo, il presidente della Provincia è mia

moglie (ride, ndr)! Non ha mai aumentato un'aliquota, ha chiuso tutte le partecipazioni, ha addirittura venduto

il palazzo della Prefettura...». Vediamola così: un'azienda di Cuneo paga il 56,18% di tasse, una di Reggio

Calabria il 74,21%. Ma non «Questi dati sono sul fatturato dichiarato, poi bisogna aggiungere il nero: in

Calabria è il 75% del Pil. Tornando a Cuneo, è anche merito di Cota, che ha tenuto basse le aliquote

regionali». E allora come si spiega che a Biella, sempre in Piemonte, la pressione fiscale sia al 69,21%? Qui

emerge la controindicazione del federalismo: un'impresa di Biella paga più tasse di un'impresa di Cuneo. È

giusto? era il Nord ad essere tartassato? «Il principio del federalismo fiscale si basa sulla buona

amministrazione. Sono un bravo sindaco? Gestisco bene la mia amministrazione? Se sì, spendo poco, riesco

a tenere le aliquote basse e attiro imprese sul mio territorio». Ma le piccole imprese non possono permettersi

di delocalizzare... «Però sono fatte di persone. E le persone che fanno? Votano. Se un sindaco tiene le

aliquote basse lo voto, altrimenti no. È semplicissimo». Sul tavolo delle riforme oggi c'è anche il Titolo V: cosa

cambierà? «Tutti stanno parlando di elezione diretta o di immunità dei senatori, ma questi sono gli aspetti

marginali della riforma. La ciccia sta altrove. E per fortuna nessuno ne parla. Così, piano piano, siamo riusciti

a sistemare questa materia nel modo migliore». Come? «Abbiamo finalmente stabilito cosa fa lo Stato e cosa

fanno le Regioni. Abbiamo eliminato le materie concorrenti: questo è un passaggio epocale. E nell'articolo

119 della Costituzione abbiamo inserito il principio dei costi standard: ogni azione degli enti locali deve essere

parametrata a questi criteri di costi e di efficienza. Mentre di là litigano sull'immunità, di qua abbiamo riportato

in vita il federalismo fiscale».

Ha dettoLe disparità fiscali tra i Comuni? Uno stimolo per i sindaci Se tagliano le tasse attirano le imprese

Foto: Senatore

Foto: Roberto Calderoli, senatore della Lega Nord, è relatore del ddl sulle riforme costituzionali che modifica

anche il Titolo V

Foto: LAPRESSE

06/07/2014 2Pag. La Stampa - Ed. nazionale(diffusione:309253, tiratura:418328)

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INTERVISTA Luigi Casero (Ncd) "Subito le semplificazioni E studiamo un taglio Irap" «La fiscalità locale sarà un tema quando ridiscuteremo il patto di stabilità con i comuni» FRANCESCO SPINI MILANO Luigi Casero, viceministro dell'Economia, l'analisi degli artigiani della Cna è impietosa col federalismo fiscale.

La pressione fiscale aumenta come le disparità tra comuni. Cosa ne pensa? «Le azioni messe in campo negli

ultimi anni per rientrare dal debito e dal deficit fondamentalmente non hanno portato a diminuzioni della

pressione fiscale a livello centrale. Quanto agli enti locali, ha pesato il taglio dei trasferimenti, anche per

salvaguardare gli equilibri di bilancio. Ora a livello centrale stiamo intervenendo, serve uno sforzo anche a

livello locale...». Come può esserci tanta differenza tra comuni? «Sono storture figlie di gestioni locali

differenti. Ma le cattive gestioni non possono ricadere sulle imprese, non ci può essere un'Italia con diversità

così marcate». Quindi, che fare? «Visto che nei prossimi mesi si dovrà parlare di patto di stabilità con i

comuni, ritengo che sullo stesso tavolo vadano posti anche i temi della fiscalità locale, mantenendo dei

minimi e dei massimi di imposizione, affrontando temi come la spending review e l'applicazione dei costi

standard, per mettere in campo un'azione congiunta contro l'eccessiva pressione fiscale». Resta il fatto che

anche il Fisco centrale non ha abbassato le pretese... «Alcuni interventi sono stati fatti: l'anno scorso c'è stata

l'eliminazione dell'Imu sulla prima casa, che valeva circa 4 miliardi, quest'anno l'operazione sugli 80 euro, che

ne vale 6, di miliardi. Operazioni che, anche se non sono considerate direttamente diminuzione della

pressione fiscale, comunque contribuiscono a ridurla. Riuscire a rientrare, come è stato fatto l'anno scorso,

nei parametri europei in un momento di crisi è un'operazione complessa». Taglierete le tasse? «Nella legge

di stabilità di quest'anno pensiamo di riavviare un percorso di riduzione della pressione fiscale, proseguendo

sul discorso degli 80 euro, intervenendo sulla tassazione delle famiglie, alleggerendola, in un quadro di

mantenimento dell'equilibrio nei conti». E per le piccole imprese? «Riteniamo che ci sia necessità di far

proseguire una grande semplificazione del modo di pagare le tasse, per gli adempimenti, anche per

alleggerire gli oneri indiretti. Nella legge di Stabilità cercheremo di proseguire nell'opera di riduzione delle

tasse, sempre per le piccole imprese, attraverso un intervento sull'Irap. Quest'anno è stato fatto, con un

aumento della tassazione sulle rendite. A livello di pressione complessiva non è cambiato molto, per le

imprese c'è stato un vantaggio». La pressione fiscale per le piccole resta comunque al 63%... «Sulle piccole

imprese incide molto l'Imu. Detto questo, come dicevo, c'è necessità di proseguire nella riduzione delle tasse

sul costo del lavoro e penso che nella Legge di Stabilità qualcosa potrà essere fatto. Per capire cosa e come

si potrà fare, bisognerà capire quale sarà la crescita del Pil». Nel breve su cosa lavorate? «Sulle

semplificazioni di cui le dicevo e e su interventi di forfettizzazione del calcolo dei redditi destinati alle piccole

imprese. Cerchiamo di agevolarle, con un intervento che potrebbe essere legato al calcolo del reddito fatto su

entrate e uscite, e non su costi e ricavi. Questo per eliminare il problema delle tasse pagate su soldi non

presi, che sta colpendo molto le piccole imprese».

Vice ministro Luigi Casero è viceministro dell'Economia del governo Renzi

Ha dettoÈ necessaria una grande semplificazione del modo di pagare le tasse

Foto: IMAGOECONOMICA

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La posta dei lettori «Il governo aiuti

le imprese»

«Il decreto legge 91/2014 è apprezzabile per l'obiettivo di alleggerire gli oneri a carico delle imprese e

sostenere la competitività del nostro sistema produttivo, ma non deve rimanere un impegno isolato rispetto ad

un programma strategico complessivo di rilancio dello sviluppo. Il governo deve utilizzare il semestre di

presidenza italiana dell'Ue per concepire un disegno compiuto di politica economica a sostegno dell'impresa

diffusa». Così Rete Imprese Italia ha giudicato il decreto legge competitività nel corso di un'audizione delle

Commissioni riunite X e XIII del Senato. Nel dettaglio delle misure del decreto legge, Rete Imprese Italia

valuta positivamente gli interventi per abbassare il costo delle bollette elettriche delle imprese. La riduzione

della soglia di accesso al beneficio dagli iniziali 55kW agli attuali 16,5 kW permette infatti di estendere gli

«sconti» in bolletta ad altre 400 mila imprese di cui l'80% appartengono ai settori manifatturieri e del

commercio. Altrettanto positivo il giudizio sulla volontà di semplificare ulteriormente il Sistri, il Sistema

telematico di tracciabilità dei rifiuti. Ma Rete Imprese Italia auspica il definitivo superamento del Sistema che

in questi 5 anni ha dimostrato di non funzionare. E, più in generale, in materia ambientale, i rappresentanti

delle imprese dell'artigianato e del terziario di mercato lamentano l'assenza nel Decreto legge di misure di

semplificazione dei complessi ed onerosi adempimenti burocratici a carico degli imprenditori. Pertanto

vengono sollecitate ulteriori e specifiche misure per le imprese dell'artigianato, del commercio, del turismo e

dei servizi.

confartigianato biella «Simonetti come fa

a difendere Biella?»

Mentre i politici biellesi sono impegnati a risolvere o almeno a cercare di risolvere il problema dell'ex

Provincia di Biella, il «ripescato» Simonetti si permette di fare la voce grossa e dispensare giudizi sulla crisi

dell'ex Provincia, giudizi da economista consumato, gettando fumo negli occhi ai biellesi e si appella al solito

ritornello Bossiano («Roma ladrona»), che gli ha permesso di abbandonare la professione di geometra e

sistemarsi, per tutta la vita, a Roma, luogo nel quale può esprimere tutte le sue doti di esperto in contabilità e

bilanci, di pseudo difensore del territorio Biellese e dell'ex Provincia di Biella che l'ha visto nel tempo (io allora

ero presente) Consigliere silente ed anonimo, certamente non ferrato in materie finanziarie, ricordato soltanto

quale organizzatore di balletti internazionali, e successivamente, con il famoso colpo di mano di una notte del

suo ex amico Bossi, presidente ricordato dai biellesi soltanto per la tassa sui passi carrai...

Dopo un periodo di letargo dovuto al pessimo risultato elettorale che l'ha visto escluso dal Parlamento, dopo

aver «tifato» affinchè Buonanno valicasse anche i confini nazionali, ora il geometra di Mongrando (anzi l'ex) è

ritornato a Roma a rappresentare i biellesi (dice lui), a dire il vero ad impinguare le proprie tasche ed

assicurarsi un futuro, certamente più roseo di quello che avrebbe avuto da modesto professionista di paese,

arrogandosi anche il diritto di affermare che le sue dimissioni da presidente della Provincia hanno permesso,

con il commissariamento dell'ente, la completa correttezza istituzionale e finanziaria della gestione del

bilancio provinciale. Personalmente è la prima volta che sento che l'obiettivo di un ente è quello di essere

amministrato da un commissario prefettizio. Non solo Simonetti non ha il buon gusto di tacere sull'argomento

ma, ora che occupa nuovamente l'ambito emiciclo di Montecitorio, si permette di affermare che le sue

dimissioni sono state un toccasana per il territorio. Mi pare un comportamento scorretto da stigmatizzare, che

non fa onore ad un rappresentante del popolo italiano e del Biellese in particolare che certamente si merita

ben di più.

emilio vaglio

06/07/2014 50Pag. La Stampa - Biella(diffusione:309253, tiratura:418328)

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 07/07/2014 210

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rete imprese italia invoca concretezza "Competitività, il decreto legge va sostenuto da una strategia" «Buoni gli obiettivi, ma non rimanga impegno isolato» . Rete Imprese Italia in audizione al Senato interviene

in merito al decreto legge sulla competitività esprimendo parere positivo, ma ribadendo anche un concetto già

espresso in passato su altri temi: «Il decreto legge 91/2014 è apprezzabile per l'obiettivo di alleggerire gli

oneri a carico delle imprese e sostenere la competitività del nostro sistema produttivo, ma non deve rimanere

un impegno isolato rispetto ad un programma strategico complessivo di rilancio dello sviluppo - dicono da

Rete imprese Italia - il Governo deve utilizzare il semestre di Presidenza italiana dell'Ue per concepire un

disegno compiuto di politica economica a sostegno dell'impresa diffusa».

Così si esprime l'associazione che raccoglie le varie confederazioni artigiane e delle piccole imprese del

nostro Paese che ha giudicato il decreto legge competitività nel corso di un'audizione svoltasi nei giorni scorsi

presso le Commissioni riunite X e XIII del Senato. «Auspichiamo che quanto programmato non rimanga

inattuato - denuncia il presidente di Confartigianato Imprese Piemonte orientale Francesco Del Boca - ancora

pochi giorni fa veniva evidenziato da un commento del Sole 24 ore che, alle riforme annunciate, anche dai

governi che hanno preceduto l'attuale, mancavano ben 511 decreti, e su alcune misure rilevo come il loro

impatto positivo potesse essere migliore. Penso ad esempio all'abbassamento del costo delle bollette

elettriche, la cui riduzione della soglia di accesso a 16,5kw è sì positiva ma non così rilevante per le piccole

imprese, per le quali occorreva abbassare tale soglia ancora di più».

Nel dettaglio delle misure del decreto legge, Rete Imprese Italia valuta positivamente gli interventi , come già

ricordato, per abbassare il costo delle bollette elettriche delle imprese. La riduzione della soglia di accesso al

beneficio dagli iniziali 55kW agli attuali 16,5 kW permette infatti di estendere gli «sconti» in bolletta ad altre

400.000 imprese di cui l'80% appartengono ai settori manifatturieri e del commercio. Altrettanto positivo il

giudizio sulla volontà di semplificare ulteriormente il Sistri, il Sistema telematico di tracciabilità dei rifiuti. Ma

Rete Imprese Italia auspica il definitivo superamento del Sistema che in questi 5 anni ha dimostrato di non

funzionare. E, più in generale, in materia ambientale, i rappresentanti delle imprese dell'artigianato e del

terziario di mercato lamentano l'assenza nel Decreto legge di misure di semplificazione dei complessi ed

onerosi adempimenti burocratici a carico degli imprenditori. Sul fronte degli interventi per il sostegno

dell'agroalimentare made in Italy, Rete Imprese Italia ritiene indispensabile estendere la misura del credito

d'imposta prevista per i produttori a tutta la filiera, includendo quindi anche le imprese della distribuzione.

Ancora per quanto riguarda il settore agricolo, viene sollecitata l'estensione delle semplificazioni del sistema

dei controlli a tutte le imprese che operano nel comparto. A questo proposito, Rete Imprese Italia fa rilevare

che il costo sopportato dagli imprenditori per la mole e la complessità dei controlli nel settore alimentare

incide fino al 10% sul costo finale del prodotto. Inoltre, Rete Imprese Italia fa rilevare che la misura del credito

d'imposta per investimenti in nuovi beni strumentali, oltre ad escludere gli investimenti inferiori a 10.000 euro

effettuati da molte imprese, è rivolto soprattutto a quelle manifatturiere. Pertanto vengono sollecitate ulteriori

e specifiche misure per le imprese dell'artigianato, del commercio, del turismo e dei servizi.

06/07/2014 60Pag. La Stampa - Novara(diffusione:309253, tiratura:418328)

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 07/07/2014 211

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LE RISPOSTE Il sondaggio Immigrazione e debito priorità per gli italiani RILEVAZIONE SWG SUL SEMESTRE UE: IL 27 PER CENTO DEGLI INTERVISTATI CHIEDE UNIMPEGNO PER GLI EUROBOND Michele Di Branco ROMA L'economia, certo. Ma a quanto pare c'è una cosa che sta molto più a cuore agli italiani. Ed è il

controllo dell'immigrazione. Gli sbarchi, le tragedie del mare e i problemi connessi ad un fenomeno che non

ha ancora trovato una soluzione colpiscono l'immaginario collettivo in maniera più netta di quanto non

facciano, ad esempio, il debito pubblico, l'energia e il rilancio dell'industria. L'umore del Paese alle prese con

l'inizio del semestre europeo che si aprirà ufficialmente tra due giorni lo ha registrato Swg attraverso una

rilevazione, realizzata per Il Messaggero la scorsa settimana, su un campione di mille cittadini maggiorenni.

E, appunto, al primo posto dell'agenda europea gli intervistati indicano l'emergenza sbarchi e la necessità di

una forte, decisa ed efficace politica comunitaria sull'immigrazione. Per il 38% è questa la priorità che il

premier Matteo Renzi dovrebbe mettere sul tavolo chiedendo in particolare alle cancellerie continentali di

«uniformare le politiche di gestione» del problema. L'USCITA DALLA CRISI Al secondo e terzo posto, nella

lista dei temi da affrontare, ci sono due dossier strettamente legati alla costruzione di una strategia per uscire

dalla crisi e per piantare pilastri solidi per una nuova stagione di sviluppo e crescita per il vecchio continente.

Il 31% degli italiani, infatti, auspica una politica energetica comune, per non lasciare l'Europa in balia dei

diversi ricatti energetici (dal petrolio al gas). Il 28 per cento, invece, punta sul sostegno concreto, con fondi e

investimenti, alle imprese che innovano e che investono nel cambiamento, nella creatività e nei giovani.

L'indagine Swg mette in mostra che è ormai opinione comune che la nuova stagione europea dovrebbe

abbandonare logiche di puro mercatismo liberista e di rigido rigorismo sui conti. Anzi, entrambe le stagioni

dovrebbero essere archiviate velocemente e in modo efficace. Così il 28% degli italiani chiede a Renzi di

lavorare per un'Europa unita e solidale, capace di affrontare la competizione globale, senza alimentare

divisioni e conflitti sociali. E c'è un 27% che vorrebbe un'Unione meno egoista e capace di condividere il

debito pubblico tra gli Stati attraverso gli Eurobond. «L'Unione europea auspicata dagli italiani - annota Enzo

Risso, direttore scientifico di Swg - assomiglia ben poco a quella che abbiamo visto all'opera negli ultimi 5

anni: viene chiesto un netto e deciso cambio di rotta su immigrazione, energia, innovazione, solidarietà e

debito pubblico dei paesi. Tutti questi temi, insieme alle politiche per il lavoro, compongono l'agenda degli

impegni strategici che dovrebbero essere al centro del semestre italiano di presidenza». L'esperto rileva che

«il sentiment europeo non brilla più da tempo sui cieli d'Italia» ma l'ipotesi degli Stati uniti d'Europa riproposta

da Renzi («Quel sogno inseguito da quella generazione che nelle macerie del dopoguerra iniziò la creazione

di un nuovo soggetto» lo ha definito il premier ) è una prospettiva condivisa dalla maggioranza degli italiani

(54%).

Indichi quali sono, secondo lei, le linee di sviluppo sulle quali dovrebbe concentrarsi soprattutto l'attività

dell'Unione Europea nel semestre di presidenza italiana Uniformare le politiche di gestione dell'immigrazione

Cosa chiedono gli italiani alla UE3831282827232215

07/07/2014 4Pag. Il Messaggero - Ed. nazionale(diffusione:210842, tiratura:295190)

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151111 % % % % % % % % % % Sviluppare una politica energetica comune Aumentare i fondi per lo sviluppo

tecnologico dell'industria Presentare un'Europa unita e solidale alla competizione globale Condividere il

debito pubblico tra gli stati UE tramite gli Eurobond Aumentare il peso dell'Europa nella politica economica

globale Rilanciare l'industria europea tramite l'Industrial Compact Creare una Borsa europea per piccole e

medie imprese Aumentare le connessioni di tutte le reti possibli Creare un parlamento economico europeo

Non saprei

07/07/2014 4Pag. Il Messaggero - Ed. nazionale(diffusione:210842, tiratura:295190)

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 07/07/2014 213

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Intervista a Mariastella Gelmini «Congressi locali e primarie Così conquisteremo Milano» La coordinatrice Fi: «Ripartire dal territorio, nuova alleanza con i partiti di centrodestra» FABIO RUBINI Il piano per rilanciare Forza Italia in Lombardia è pronto e partirà da quegli amministratori che hanno

dimostrato di avere capacità e consensi sul territorio. Poi si passerà al dialogo con gli alleati. «Un dialogo -

spiega l'onorevole Mariastella Gelmini -, che non dovrà partire dalla mera sommatoria delle sigle, ma da temi

concreti». Intanto domani gli eletti della provincia di Milano si riuniranno per parlare di Città Metropolitana.

Onorevole, dopo la sconfitta alle europee il centrodestra ha bisogno di reinventarsi. A partire da Fi che resta il

partito di maggioranza relativa. «Per ripartire valorizzeremo le persone che sono con noi perché ci credono e

non per tornaconto personale. Questo sarà il mio impegno: dare spazio a chi sul territorio è a contatto con la

gente e ha dimostrato di avere consenso. Poi ci sono i temi fondamentali che sono il "no" al carico fiscale che

sta soffocando i cittadini e il "sì" alla semplificazione e all'apertura ai privati per far ripartire l'economia e

creare lavoro. Infine c'è la questione organizzativa che si concretizzerà con la convocazione dei congressi

territoriali, che ci consegnerà un partito con porte e finestre spalancate, capace di valorizzare i suoi uomini».

Poi bisognerà ricostruire la coalizione. «Un percorso che andrà fatto mettendo da parte polemiche e

personalismi, per creare una strada comune da percorrere». Va letta in questa chiave la sua difesa al

presidente Podestà rispetto agli attacchi portati in questi giorni anche da Forza Italia? «Non entro nel merito

della questione, dico solo che a palazzo Isimbardi c'eravamo anche noi. Dargli addosso ora non è serio.

Basta con il clima da scontro verbale permamente». Il laboratorio ideale per questo percorso sembra essere

Regione Lombardia. «Esatto. E il metodo giusto è quello seguito con l'approvazione del libro bianco della

sanità. Noi siamo e saremo al fianco di Maroni, ma in questa occasione abbiamo voluto chiarire la nostra

posizione, che è quella di condividere le scelte prima di annunciarle alla stampa». A proposito di Lombardia,

si parla di un possibile aggiustamento della squadra, per rafforzarla e per lenire qualche mal di pancia tra i

consiglieri eletti... «A me non interessano le questioni di poltrone. Ci sono temi importanti che vanno seguiti

bene, come la Sanità, l'Expo, le Attività Produttive. Non ne faccio una questione di nomi. Se poi la domanda

è: meglio gli esterni o gli eletti, beh, io sto dalla parte dei secondi, che con i voti presi hanno dimostrando di

avere la fiducia dei cittadini». Onorevole, lei sa bene che la vera sfida è quella di riprendersi Milano. «È la

nostra priorità. Dobbiamo liberare i milanesi dal carico fiscale che li soffoca. Pisapia ha aumentato le tasse

del 113% e la beffa è che problemi e disservizi sono aumentati». Proprio sulle tasse il centrodestra ha

ottenuto una bella vittoria... «Grazie a noi 125 mila famiglie usufruiranno degli sconti sulla Tari. La situazione

però resta pesante, come testimonia lo scaricabarile sui profughi siriani, con la giunta che prima attacca la

Caritas, poi fa dietrofront e se la prende col governo di centrosinistra. Intanto i milanesi assistono all'arrivo di

mille stranieri in 48 ore! Per non parlare del dilettantismo dimostrato durante questi anni, come nell'ultima

esondazione del Seveso, con i commercianti costretti ad andare ad alzare i tombini che non facevano defluire

l'acqua». Ok le critiche, ma qual è la vostra ricetta per «guarire» Milano? «Intanto le primarie. Poi per aiutare

commercianti, artigiani e Pmi, è necessario accorciare l'orario di Area C e approntare agevolazioni su Cosap

e Imu per le aree in declino economico, e ancora tavoli con le imprese e i commercianti per ridare vita ad

intere vie. Le idee ci sono...».

Il rilancio non potrà partire dalla sommatoria delle sigle dei partiti, ma dalla lotta alle tasse e dall'aiutoa chi produce La nuova Forza Italia partirà dagli amministratori che hanno già dimostrato di saper interpretare i bisogni

della gente OBIETTIVI IL FUTURO DI FI Appoggiamo Maroni, ma gli abbiamo fatto capire che con noi serve

il metodo della condivisione e non degli annunci sulla stampa. Ora valorizziamo gli eletti LA LOMBARDIA

Foto: Mariastella Gelmini, 41 anni, deputata ed ex ministro dell'Istruzione del governo Berlusconi, è stata

nominata coordinatrice lombarda di Forza Italia nel gennaio 2014 [Fotogramma]

06/07/2014 45Pag. Libero - Milano(diffusione:125215, tiratura:224026)

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 07/07/2014 214

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multi media Le librerie in guerra contro il potere di Amazon Giorgio Lonardi Le librerie in guerra contro il potere di Amazon a pagina 23 E'amareggiato Stefano Mauri, vicepresidente

della holding Messaggerie Italiane. Il suo gruppo, numero uno in Italia nell'e-commerce di libri tramite Ibs e ai

primi posti nel settore degli e-book sia attraverso la stessa Ibs che con Edigita, la piattaforma di distribuzione

costituita assieme a Rizzoli e Feltrinelli, non è stato invitato a Digital Venice 2014, il summit sull'agenda

digitale che aprirà il semestre a guida italiana dell'Unione Europea. «Al contrario, mi risulta che Amazon e

altre piattaforme Usa sono state invitate alla giornata inaugurale (oggi, lunedì 7 luglio, ndr ), alla presenza del

premier Matteo Renzi. E che parteciperanno numerose start-up. Mi sembra che la scelta di escludere gli

editori sia dovuta a una percezione distorta del nostro mercato. Non sono gli ebook a mettere in difficoltà gli

editori che continuano a investire nel digitale: è la crisi che ha colpito le tasche degli italiani». Le tesi di Mauri,

ai vertici di un gruppo da 484 milioni di ricavi, terzo nel settore dei libri grazie a marchi come Longanesi,

Guanda, Tea, Corbaccio, Garzanti, Vallardi, solo per citarne alcuni, sono abbastanza semplici. E partono da

una critica serrata alla sopravvalutazione del ruolo delle startup nell'ambito dell'editoria. E poi si accanisce

contro Amazon: «Le editorie librarie in cui è dominante sono quelle di lingua inglese. Ma nell'Europa

continentale così come in Cina, Amazon è importante ma non altrettanto dominante». Il vicepresidente delle

Messaggerie è consapevole del peso che il colosso fondato da Bezos vuole raggiungere in Europa. Ma cita il

caso di Bonnier, l'azienda svedese che controlla in Germania case editrici come Piper, Carlsen e Ullstein, che

ha denunciato che «Amazon ci priva dei margini di sopravvivenza». E allora? Mauri insiste che «la pratica di

Amazon di boicottare e rallentare le vendite dei fornitori in fase di negoziazione sarà tipica di chi ha una

posizione dominante nel commercio ma facendo così contraddice il suo mantra». Perché ripete che il

consumatore è al centro; che il suo obiettivo è dargli tutto quando vuole al prezzo più basso e con un buon

servizio. «Il consumatore vuole subito i libri che desidera e non solo quando non c'è negoziazione». Secondo

Mauri l'Europa dovrebbe essere consapevole che il 70% delle grandi case editrici e dunque il 70% dei

contenuti sono prodotti nel vecchio continente e che questa posizione «non va svenduta». Parigi e Berlino

«cominciano a capire le insidie nascoste nella accettazione delle logiche dei grandi gruppi americani. La

Francia ha sfidato l'Ue portando l'Iva sull'ebook al pari del libro e la Germania sta esaminando se vi siano

abusi nella posizione dominante di Amazon. Lo capirà anche il governo di Renzi? Intanto ci auguriamo che

durante il semestre europeo l'Italia supporti l'abbassamento dell'Iva sugli e-book allo stesso livello dei libri di

carta, cioè al 4%». Ma la vera bestia nera di Mauri è la «moda delle start-up editoriali», una sorta di leggenda

metropolitana che secondo lui danneggia gli industriali seri che fanno impresa e difendono l'occupazione. «I

politici non fanno che parlare di come aiutare le nuove imprese. Eppure da che c'è l'e-book ho conosciuto

molte start-up di sprovveduti che non hanno fatto nemmeno un po' di analisi del mercato editoriale al quale

volevano rivolgersi. Al contrario gli editori, curiosi per natura, sono molto preparati sul digitale. Senza contare

che oggi a faticare sono le medie e le grandi imprese editoriali: appunto quelle che investono di più nel

digitale». Secondo Mauri andrebbe finanziato «chi ha il know-how, le competenze e i contenuti e vuole

investire nel digitale, anziché start-up improvvisate. Quante delle molte imprese editoriali italiane che stanno

investendo come noi decine di milioni nell'innovazione sono state invitate a Venezia Digitale? Abbiamo

dovuto insistere ripetutamente perché uno dei nostri manager potesse partecipare a uno dei seminari che

faranno da contorno al summit». Sullo sfondo di questa polemica si comincia intravedere una piccola luce

all'orizzonte del mercato del libro sia cartaceo sia digitale. Il 2014 per GeMS (la subholding di Messaggerie

nell'editoria libraria), come per gli editori più attivi sul digitale, potrebbe essere il primo anno nel quale la

flessione del mercato dei libri di carta è compensata dalla crescita dei ricavi nel digitale. Nel primo semestre i

marchi della GeMS hanno fatto registrare una crescita dell'1% per quanto riguarda il cartaceo e un

incremento del 50% per gli e-book. Se il risultato sarà confermato, il 2014 potrebbe chiudersi con un aumento

07/07/2014 1Pag. La Repubblica - Affari Finanza - N.25 - 7 luglio 2014(diffusione:581000)

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 07/07/2014 215

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dei ricavi pari al 2%. «Ma probabilmente faremo anche meglio perché contiamo su un Natale ricco di novità».

Peraltro l'editoria libraria rappresenta solo 68 milioni di ricavi sui 484 fatturati da Messaggerie Italiane nel

2013: la parte più grossa del business rimane la distribuzione e la vendita all'ingrosso di libri. S DI MEO

Foto: Una libreria Ibs Sopra, Stefano Mauri Messaggerie Italiane ha ancora il suo punto di forza nelle librerie

tradizionali ma comincia a crescere anche negli e-book

07/07/2014 1Pag. La Repubblica - Affari Finanza - N.25 - 7 luglio 2014(diffusione:581000)

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 07/07/2014 216

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Innovazione le pmi hanno capito che si fa in partnership LO RILEVA L'ISTITUTO TAGLIACARNE NEL SUO OSSERVATORIO. LE PICCOLE VANNO PIANO MAALMENO HANNO INDIVIDUATO IL MODELLO CORRETTO Andrea Frollà Le piccole e medie imprese italiane presentano un buon grado di propensione all'innovazione, ma una su

quattro non è ancora consapevole del proprio potenziale innovativo. È questa l'indicazione principale che

emerge dal rapporto sulle tendenze innovative della piccola e media imprenditoria italiana, effettuato su un

campione di oltre 1.100 aziende dall'Istituto Guglielmo Tagliacarne, centro di formazione e informazione

economica, e presentato al Focus Pmi 2014, la quarta edizione dell'Osservatorio Annuale sulle Pmi Italiane

promosso dallo studio legale e tributario Ls Lexjus Sinacta. L'analisi, riferita al periodo gennaio-dicembre

2013, conferma che la capacità innovativa del sistema industriale italiano deriva in larga misura dal contributo

delle pmi nostrane, come dimostra anche il fatto che dei 15,9 miliardi di euro di spesa per innovazione delle

aziende italiane, il 49% è a carico proprio delle pmi. Al di là dei differenti settori di attività, la maggiore o

minore spinta innovativa è caratterizzata anzitutto dalla dimensione occupazionale dell'impresa: delle aziende

fino a 5 addetti, solo il 35,7% ha introdotto innovazioni nel triennio 2011-2013. Percentuale che sale al 45%

per quelle che hanno fra i 6 e i 9 occupati e che arriva al 61% per le imprese che superano i 10 dipendenti. Il

secondo fattore che influenza la propensione a innovare è il fatturato aziendale, con un'impresa innovativa su

tre tra quelle con meno di 100mila euro di ricavi, contro il 72% di aziende all'avanguardia tra quelle che

superano i 2 milioni di euro di giro d'affari. Nonostante i divari dovuti a livelli d'occupazione e fatturato, in

generale le imprese italiane sembrano aver capito che innovare non significa solo investire in ricerca e

sviluppo, ma anche coinvolgere i partner esterni all'azienda, soprattutto fornitori e clienti, per creare una rete

di collaborazione trasversale e integrata che possa influenzare positivamente la strategia aziendale: studiare

e realizzare nuovi prodotti, scambiare informazioni e conoscenze tecniche o condividere investimenti

particolarmente onerosi. Tuttavia, sempre secondo le rilevazioni condotte dall'istituto, permane fra le piccole e

medie imprese un nutrito gruppo, il 25% del campione, che, pur essendo propenso a destinare risorse umane

e finanziarie per innovarsi, non è ancora consapevole del proprio potenziale.

07/07/2014 22Pag. La Repubblica - Affari Finanza - N.25 - 7 luglio 2014(diffusione:581000)

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 07/07/2014 217

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DIGITAL WORLD / a cura di Claudio Gerino Unidata si lancia nel business "Mobile" e da settembre anche sulla fibraottica E' QUESTA LA STRATEGIA A DOPPIO BINARIO MESSA IN ATTO DALL' AZIENDA SPECIALIZZATA INSOLUZIONI INTERNET E TELECOMUNICAZIONI, ATTIVA IN ITALIA DA CIRCA TRENT'ANNI. E CHE ORASI RIVOLGE PREVALENTEMENTE ALLE PICCOLE E MEDIE IMPRESE, AI PROFESSIONISTI E INGENERALE A TUTTI I TITOLARI DI PARTITA IVA Francesca Tarissi Essere competitivi in un mercato delle Tlc, dominato dai grandi operatori, completando l'offerta ai propri clienti

e, al contempo, proponendo servizi innovativi per conquistarne di nuovi. E' questa la strategia a doppio

binario messa in atto da Unidata, azienda specializzata in soluzioni internet e telecomunicazioni, attiva in

Italia da circa trent'anni. La prima mossa è la scesa in campo nel settore della telefonia mobile con la

proposta ai propri clienti del servizio UniMobile. "Siamo convinti che, al giorno d'oggi, sia importante per le

piccole e medie imprese e le Partite Iva in generale, avere la possibilità di fare riferimento ad un unico

interlocutore per quanto concerne la telefonia fissa e mobile", dice Renato Brunetti, presidente AIIP

(Associazione Italiana Internet Provider) e presidente di Unidata: "E UniMobile è un servizio che,

semplicemente, perfeziona la nostra già ampia offerta di connettività internet - dal wireless alla fibra ottica al

cloud". In qualità di 'air time reseller', ossia di rivenditore di servizi telefonici mobili acquistati all'ingrosso da

un operatore reale (in questo caso Wind), con UniMobile l'azienda punta dunque a soddisfare a tutto tondo le

necessità di connessione e comunicazione dell'utenza business. Quattro i piani tariffari proposti per le

chiamate, gli sms e il traffico dati - UniMobile 550, UniMobile 1000, UniMobile Flat e UniMobile Traffico - con

costi a partire da 21 euro al mese (da 15 euro se in combinazione con un altro servizio) e la possibilità di

dotarsi di uno smartphone Android con UniMobile 550 in prova per 60 giorni (i dettagli su www.unidata.it). "Il

settore della telefonia mobile è più che maturo e, tra operatori virtuali e reali, la varietà di offerte tra cui

scegliere è decisamente molto ampia", spiega Brunetti: "Ma, proprio per questo, se si vuole fidelizzare la

propria clientela e mantenersi al passo con i competitor, ormai non si può non avere un servizio del genere

da proporre". E se la telefonia mobile non è che un plus, le cose cambiano sul versante innovazione. In

questo senso Unidata sta per lanciare un servizio, inedito per capacità e potenza in Italia. Si chiama

GigaFiber e promette di portare la fibra ottica FTTH (Fiber To The Home) fino a 1 Gbit, direttamente in edifici

vecchi e nuovi, centri commerciali e uffici, consentendo non solo l'accesso super veloce a internet ma anche

la telefonia VoIP, il digitale terrestre e la tv satellitare. "Riguardo alla possibilità di vedere la televisione grazie

alla fibra ottica, GigaFiber costituisce anche un valido contributo all'eliminazione delle foreste di antenne che

sovrastano i palazzi, rovinando i panorami più belli del Paese", dice Brunetti. Il tutto è realizzato su

infrastruttura Unidata, senza il supporto di Telecom. Al momento ancora in fase sperimentale in dotazione a

un numero ristretto di clienti business, GigaFiber partirà ufficialmente a settembre sulla rete Unidata di Roma

dalla zona 'Cortina d'Ampezzo', per estendersi poi entro gennaio alla provincia, a cominciare da Formello.

"Unidata è piccola rispetto ai colossi che dominano il mercato", conclude il presidente dell'azienda: "Perciò la

nostra vera e unica strategia è puntare sempre all'innovazione e a introdurre servizi all'avanguardia".

Foto: Nella tabella, le tariffe principali proposte da Unidata per il Mobile. Le specifiche possono essere

consultate su www.unidata.it

07/07/2014 24Pag. La Repubblica - Affari Finanza - N.25 - 7 luglio 2014(diffusione:581000)

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 07/07/2014 218

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Con reverse e certificazione i gestori puntano in alto il trend positivocontinuerà I SEGNALI DI RIPRESA SPINGONO GLI OPERATORI A CERCARE NUOVE STRADE PER SOSTENERELA CRESCITA SECONDO I DATI DI ASSIFACT L'ANNO IN CORSO SI È APERTO ALL'INSEGNADELL'OTTIMISMO. MA OCCORRE PUNTARE SULL'INNOVAZIONE (l.d.o.) Reverse factoring e certificazione dei Milano crediti vantati dalle imprese nei confronti della Pubblica

Amministrazione: i segnali di ripresa che arrivano dal mercato spingono gli operatori del factoring a cercare

nuove strade per sostenere la crescita. Secondo i dati di Assifact (l'associazione di settore), dopo un 2013 in

sofferenza, l'anno in corso si è aperto all'insegna dell'ottimismo, con gli operatori che si attendono un

incremento medio di turnover e outstanding rispettivamente dell'1,84% e dello 0,74%. Renato Martini,

amministratore delegato UniCredit Factoring sottolinea la debolezza congiunturale italiana e la forte liquidità

sul mercato che toglie spazio al factoring. Ma ricorda anche che il settore continua ad affermarsi nei confronti

del finanziamento a breve termine tradizionale per due ordini di ragioni: «Consente di dare maggiore credito,

anche ad aziende che fanno più fatica ad ottenerlo tramite canali tradizionali; inoltre permette l'ottimizzazione

dei ratio di bilancio». Per poi indicare come uno dei filoni con maggiori potenzialità il reverse factoring, che

vede l'azienda sottoscrivere un accordo con una società specializzata nel factoring, con quest'ultima che

attiva contratti con i fornitori del cliente per acquisire le loro fatture. «Gli accordi di reverse consentono di

fornire in un'unica soluzione un elevato grado di flessibilità alla tesoreria dell'azienda e, al tempo stesso,

consentono al fornitore di anticipare l'incasso dei propri crediti, il tutto tramite piattaforme tecnologiche

dedicate», sottolinea il manager. Il quale indica tre priorità per i prossimi mesi: «Maggiori sinergie con la rete

banche; spinta sul factoring internazionale; infine innovazione di prodotto». Punta sull'innovazione anche

Banca Farmafactoring, che ha chiuso il 2013 con un utile ante imposte di 84,5 milioni di euro e un volume

complessivo di 4,54 miliardi di euro contro i 4,33 miliardi del 2012. L'ad Massimiliano Belingheri si mostra

fiducioso «sul proseguimento della crescita anche nell'anno in corso» e indica la priorità nel «mantenimento

del focus sulla facilitazione dei flussi di credito tra fornitori e settore pubblico». Belingheri confida in una

spinta positiva dal piano del Governo per il pagamento dei debiti della Pa, che promette di accelerare le

tempistiche nel saldare le fatture. Mentre sul fronte internazionale le notizie migliori arrivano dalla Spagna,

«dove nel primo trimestre abbiamo realizzato oltre metà dei volumi dell'intero 2013».L'attività di Banca

Sistema in questo mercato si rivolge principalmente alle imprese che forniscono beni e servizi alle Pa italiane.

Steve Skerrett, direttore factoring di Banca Sistema, indica tra gli obiettivi primari per i prossimi mesi «i servizi

per la certificazione dei crediti che vantano nei confronti della Pa e l'estensione dell'offerta dei servizi di

factoring anche alle Pmi». Due ambiti attesi in maniera spasmodica non solo dal mercato di factoring per il

loro effetto moltiplicatore che possono avere sul fronte dei consumi e degli investimenti. La regolarizzazione

dei pagamenti da parte della Pa sarà il tema dominante dei prossimi mesi anche per Paolo Licciardello, ad di

EmilRo Factor (società di factoring del gruppo Bper), che indica tra i trend emergenti anche il processo di

internazionalizzazione: «La delocalizzazione sia della produzione, che degli acquisti, sempre più spinta verso

l'estero, porta una serie di opportunità per le soluzioni finanziarie relative ai rapporti con fornitori e

subfornitori. In questo processo il factoring è di supporto alle imprese per offrire una serie di servizi e di

finanziamenti alla filiera».

Foto: Qui sopra Massimiliano Belingheri (1), a.d. Banca Farmafactoring; Renato Martini (2) a.d. UniCredit

Factoring

07/07/2014 43Pag. La Repubblica - Affari Finanza - N.25 - 7 luglio 2014(diffusione:581000)

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 07/07/2014 219

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Questione di genio Il ruolo delle facoltà resta minimo. Ma qualcosa si muove... Università & Ricerca Piccoli inventori crescono La sfida: registrare più brevetti in grado di trasformarsi in prodotti Il Cnr è primoper le invenzioni. Poi iPolitecnici di Milano e Torino BARBARA MILLUCCI Dagli anelli con bluetooth incorporato che permettono d'interagire con il mondo attorno, agli alimenti vietati ai

celiaci che diventano commestibili grazie a un'invenzione, brevettata da un gruppo di ricercatori

dell'Università di Foggia. Sono solo due delle invenzioni venute recentemente alla luce grazie al contributo di

centri di ricerca e università. Quella dell'ateneo pugliese, che di fatto modifica le proteine del glutine nel

frumento, è talmente piaciuta all'estero che ne è stata subito avviata la commercializzazione.

Classifiche

Dal 2008 a oggi le invenzioni depositate da Università e centri di ricerca italiani sono state 1.449, di cui 232 lo

scorso anno. Il Cnr guida la classifica con 176 scoperte, seguito dal Politecnico di Milano (170) e quello di

Torino al terzo posto (141). Poi l'Università La Sapienza di Roma con 80 idee brevettate e quinta l'Università

di Pisa (65). Secondo i calcoli di Anvur, l'agenzia di valutazione del sistema universitario e della ricerca, il

portafoglio brevetti accademici, nel periodo 2004-2010, ha generato entrate di circa 8 milioni di euro,

attraverso cessioni e royalties su licenze.

Nonostante le potenzialità di mercato, l'Italia però scivola e «si posiziona solamente all'11° posto delle

classifica dei brevetti europei, considerando sia quelli industriali sia quelli provenienti dagli atenei. Di questi,

solo il 20% si possono potenzialmente trasformare in prodotti», afferma Amulio Gubbini presidente del Centro

sviluppo brevetti che ha avviato una collaborazione con l'Università di Parma per creare il primo sportello

dell'inventore. «Spesso gli scienziati dopo aver depositato l'idea non sanno come approcciare il mercato,

perché non conoscono le regole della proprietà intellettuale».

Così, anche se le università italiane pubblicano e organizzano molti convegni, sulla carta inventano ben poco.

Secondo l'Epo (ufficio europeo dei brevetti) a livello mondiale tra le 10 università più geniali e talentuose,

metà delle quali sono statunitensi, si posiziona in testa l'Università della California con 146 brevetti depositati

solo nell'ultimo anno.

«Il brevetto è la parte finale di un processo complesso che parte innanzitutto dallo studio e dalla ricerca -

dichiara Loredana Gulino, direttore generale per la lotta alla contraffazione del ministero dello Sviluppo

economico -. È lì che vanno ricercate le cause della minore propensione delle nostre università a brevettare,

rispetto a quelle di altri Paesi. Per il prossimo anno abbiamo attivato l'Accademia di proprietà industriale che

avvierà il primo master di II livello executive su Open innovation intellectual property ».

Ponti

Quanto allo sportello dell'inventore, attivo da pochi mesi all'interno dell'università di Parma, ha già incontrato il

parere favorevole degli imprenditori locali. «È il primo in Italia e in Europa, anche se sportelli simili già

esistono presso le sedi locali di Confartigianato», continua Gubbini che è anche stato l'inventore del

«bancomat del farmaco» (dispensatore di farmaci a distanza). «Abbiamo cercato di creare un ponte tra gli

inventori che cercano aziende e le Pmi in cerca di prodotti. Facendo dialogare maggiormente le imprese con

il mondo universitario, cavalcando così l'innovazione - aggiunge -. Lo sportello del Tecnopolo di Parma, in

particolare, ha la funzione di avvicinare gli inventori alle imprese facendo sì che ci sia un responso tecnico

sulla fattibilità del progetto. Bisogna sempre chiedersi se ha senso procedere con un'idea imprenditoriale».

Che differenza c'è tra voi ed un incubatore? «A noi gli incubatori non interessano - risponde Gubbini -. Il 95%

delle startup incubate non arriva al mercato. Crediamo molto di più in questa formula che è diventata un

metodo di lavoro dove dialogano intorno a uno stesso tavolo vari attori coinvolti nel processo di creazione.

Inoltre, secondo noi i brevetti devono rimanere nella regione di appartenenza per lo sviluppo del territorio».

07/07/2014 35Pag. Corriere Economia - N.25 - 7 luglio 2014

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 07/07/2014 220

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Sono una decina i prototipi agroalimentari presentati di recente dallo sportello universitario di Parma agli

imprenditori. In particolare, un paio d'invenzioni a breve verranno messe in vendita. Quali? «Una griglia ideata

dal piemontese Angelo Porello per una cottura in grado di prevenire il cancro e un innovativo piatto fatto di

pane che può contenere minestre, che evita lo spreco d'acqua e detersivi e riduce l'utilizzo dei piatti di

plastica», conclude Gubbini.

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LA TOP TEN I centri di ricerca e le università con il maggior numero di brevetti Consiglio Nazionale delle

Ricerche Politecnico di Milano Politecnico di Torino Università degli Studi di Roma La Sapienza Università

degli Studi di Pisa Scuola superiore Sant'Anna Università degli Studi di Bologna Università degli Studi di

Padova Università degli Studi di Milano Università degli Studi di Torino 176 170 141 80 65 60 57 54 52 51

DOVE ABITA IL GENIO ITALIANO I brevetti depositati e le invenzioni riferite a università e centri di ricerca

4.484 119 9.664 245 9.686 258 9.617 223 9.218 283 9.124 232 4.215 89 2008/ 2014 Totale Invenzioni

56.008 Invenzioni università 1.449 * Per l'anno 2008 è preso in considerazione solo il 2° semestre ** Per

l'anno 2014 il dato è provvisorio 2008* 2009 2010 2011 2012 2013 2014** S. A. Fonte: elaborazione su dati

Osservatorio permanente brevettazione Università e Istituti di Ricerca pubblici in Italia

07/07/2014 35Pag. Corriere Economia - N.25 - 7 luglio 2014

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 07/07/2014 221

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SORPRESA Si sono scordati l' Aim Claudia Cervini «Eppur mi son scordato di te, come ho fatto non so...» cantava Lucio Battisti negli anni Settanta. Un ritornello

che potrebbe tornare in questi giorni alla mente del legislatore intento a scorrere il testo del decreto legge

competitività (91/2014) incentrato sulla ripresa economica e finalizzato anche ad agevolare la crescita delle

piccole e medie imprese. Questo perché nell'articolo 19, contenente le norme relative agli incentivi fiscali

destinati alle aziende in fase di quotazione in borsa, si fa riferimento soltanto ai mercati regolamentati;

escludendo, di fatto l'Aim Italia, mercato alternativo del capitale di Borsa creato espressamente per accogliere

le piccole e medie imprese e che, come noto, regolamentato, non è. Secondo più di un addetto ai lavori non

si tratta di una scelta strategica né di una volontaria penalizzazione del segmento da parte del legislatore, ma

di una mera dimenticanza. «Si tratta di un buon decreto che va nella direzione corretta per dare respiro alle

imprese e agevolare la crescita», spiega Alberto Franceschini, presidente di Ambromobiliare, società

specializzata in servizi di financial advisory. «Ma è impensabile che il governo abbia deciso di escludere l'Aim

Italia dal paniere dei mercati beneficiari di questi incentivi visto che si tratta del segmento più dinamico della

Borsa». Gli fa eco Giovanni Natali, amministratore delegato di Ambromobiliare. «Ci auguriamo che in questi

60 giorni che intercorrono dalla pubblicazione del decreto (avvenuta il 24 giugno, ndr) alla sua conversione in

legge i legislatori intervengano su questo punto». A questo proposito la società di consulenza darà il via la

prossima settimana a una campagna di sensibilizzazione accompagnata da una raccolta firme. Borsa

Italiana, guidata da Raffaele Jerusalmi, invece, non ha commentato il fatto. Ma, nello specifico, che cosa

recita l'articolo 19? Introduce una maggiorazione dell'incentivo alla ricapitalizzazione nell'esercizio di

ammissione alla quotazione in borsa e nei due successivi. La norma dispone anche la possibilità di convertire

le eccedenze Ace (acronimo di Aiuto alla crescita economica) in crediti d'imposta da impiegare per il

pagamento dell'Irap. A titolo di esempio su un aumento di capitale da 10 milioni, grazie al decreto, le aziende

potrebbero risparmiare circa 700 mila euro, cifra pari al costo della quotazione (di cui 300 mila impiegati per

costi fissi non legati alla raccolta e 450 mila in commissioni di collocamento). Una cifra che non lascerebbe

indifferenti le piccole imprese dell'Aim. Il tema è stato sollevato anche nel corso dell'audizione al Senato dal

presidente di Assonime, Maurizio Sella. «Tale agevolazione andrebbe estesa, a nostro avviso, anche alle

piccole e medie imprese che si quotano in borsa su piattaforme alternative, come l'Aim Italia, che presentano

una regolamentazione rigorosa, seppur semplificata», dice Sella. «Si tratta, infatti, di un comparto

imprenditoriale di rilevante interesse nella realtà italiana, caratterizzata da un tessuto di imprese per lo più di

piccole e medie dimensioni». L'argomentazione acquisisce forza nel momento in cui l'Aim Italia rappresenta il

segmento più dinamico del mercato. In questi primi sei mesi del 2014 il listino ha registrato un'infornata di

dieci ipo, mentre nel 2013 ne ha accolte 15. Il segmento conta 45 società con una capitalizzazione

complessiva di 1,7 miliardi e una raccolta totale di oltre 300 milioni. «Società micro, piccole e medie che più di

altre avrebbero necessità di questi incentivi», commenta ancora Natali. Senza contare il fatto che nuovi arrivi

sono attesi sull'Aim. Nei prossimi giorni verrà chiusa, infatti, l'ipo di Essere e Benessere (drugstore), mentre a

cavallo dell'estate debutteranno l'azienda della plastica biodegradabile BioOn (raccolta prevista tra 25 e 30

milioni) e la marchigiana Clabo (arredi per la ristorazione), oltre alle cucine venete di design Arclinea. Sempre

a cavallo dell'estate approderanno all'Aim altre due imprese, una piemontese e una milanese, attive nel

settore dell'engineering e del cloud computing. Senza contare che anche l'investment company Aim4Aim si

prepara alla quotazione mirando a una raccolta intorno ai 50 milioni. Quando venne immaginata per la prima

volta la cornice normativa dell'Ace era il 2011, anno in cui il listino, giovanissimo, contava soltanto sei aziende

quotate. Probabilmente anche per questo motivo, non era stato preso in considerazione. Ma oggi le cose

sono cambiate. Come insegna il gemello inglese (con 1.099 società quotate e una raccolta di 1.500 milioni di

sterline), anche il mercato dei piccoli può funzionare. «Occorrerebbe dargli una chance», conclude

05/07/2014 17Pag. Milano Finanza - N.131 - 5 luglio 2014(diffusione:100933, tiratura:169909)

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Franceschini. (riproduzione riservata)

Foto: Raffaele Jerusalmi

05/07/2014 17Pag. Milano Finanza - N.131 - 5 luglio 2014(diffusione:100933, tiratura:169909)

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OLTRE LA CRISI Salvare la manifattura per salvare l'Italia Siamo scesi dal quinto all'ottavo posto tra i paesi produttori GIUSEPPE BERTA Professore associato di Storia contemporanea, è S, i ripete spesso che la crisi abbia riportato l'industria manifatturiera al centro del sistema economico. Essa

avrebbe fatto riscoprire il valore della produzione come asse portante del processo economico. Negli Stati

Uniti, che si erano orientati in precedenza verso l'economia dei servizi, hanno ripreso impulso gli investimenti

nei processi industriali ed è risuonato lo slogan "Make It in America", a significare il rilievo del momento

produttivo. Insomma, nel corso degli ultimi anni la quota della produzione industriale sul Pii ha iniziato la

risalita. Non solo nelle economie nuove, la cui crescita è stata trainata dalle esportazioni, ma anche in quelle

mature. La stessa posizione di dominanza della Germania all'interno dell'Europa si deve al suo ruolo di

grande potenza industriale ed esportatrice. Per quanto riguarda l'Italia, si è detto e scritto molto circa la sua

fama di paese manifatturiero, testimoniata dal numero delle imprese, che ne confermerebbe la vocazione

produttiva: peccato che questa retorica trovi un riscontro sempre minore nei dati. Cifre alla mano, emerge

come la nostra manifattura stia perdendo posizioni. Lo documenta lo scenario elaborato dal Centro Studi di

Confìndustria, presentato a giugno. Negli ultimi sei anni, l'Italia è scesa dal quinto all'ottavo posto della

graduatoria internazionale dei paesi produttori: una posizione ancora relativamente lusinghiera. Ma fino a

quando potremo mantenerla? L'arretramento del nostro sistema produttivo risulta rapido, soprattutto se

paragonato a quello delle economie nuove e in ascesa. Fra il 2007 e il 2013, la produzione in Italia è

diminuita in media del 5% all'anno, una contrazione senza pari rispetto ai competìtor manifatturieri: siamo di

fronte a un'erosione impressionante della base produttiva. È fuor di dubbio che l'Italia ha pagato e ancora

paga le conseguenze delle politiche europee. Anche la quota dell'Unione Europea sulla produzione

manifatturiera globale è scesa dal 27,2% del 2007 al 18% del 2013. Ciò dimostra come il Vecchio Continente

abbia gestito la crisi in modo inadeguato rispetto al resto del mondo. Si sono dovute sopportare le

conseguenze di politiche di bilancio restrittive, aggravate da un apprezzamento dell'euro senza riscontro

nell'economia reale. Vedremo nei prossimi mesi se il nuovo corso della Banca Centrale Europea, inaugurato

da Mario Draghi, introdurrà correttivi importanti, rimediando a quell'asfissia del credito che ha gravemente

penalizzato le imprese italiane. Va detto, tuttavia, che queste ultime hanno fatto quanto era in loro potere per

arginare i danni. Le nostre aziende hanno migliorato il loro posizionamento di mercato, incrementando il

valore aggiunto racchiuso nelle attività di esportazione. Hanno lottato per difendere la loro presenza nelle

catene globali del valore e si sono gettate con determinazione nei mercati internazionali. Non si può infatti

sottovalutare che l'Italia realizzi il quinto surplus mondiale nella bilancia commerciale di manufatti, davanti alla

Francia e seconda soltanto alla Germania per quanto riguarda la performance nel campo delle esportazioni.

Si tratta di risultati importanti, che non bastano però a mettere al riparo dalle insidie del futuro. Per uscire

dalla stagnazione in cui ancora versa, l'Italia deve consolidare ed estendere la propria base industriale, una

condizione che raggiungerà solo attraendo investimenti dall'estero. Ciò che desta maggiore preoccupazione

è proprio la caduta della nostra capacità di attrazione, scesa del 58% negli ultimi anni, secondo le stime del

Censis. Nel sistema della globalizzazione, dove tutti i paesi competono per attirare gli investimenti, questo

rappresenta un gravissimo sintomo di difficoltà e debolezza. Dietro l'immagine dell'Italia degli scandali e della

corruzione, che ci viene continuamente riproposta dai media, c'è il profilo di una nazione che stenta sempre

di più a far conoscere e a far apprezzare i propri punti di forza. Come se fosse lacerata da uno sdoppiamento

fra il potenziale di cui ancora dispone e la soverchiante atmosfera negativa della propria vita civile. I »

04/07/2014 82Pag. Espansione - N.7/8 - lug/ago 2014(diffusione:154456, tiratura:179408)

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 07/07/2014 224