Analisi economica territoriale: le determinanti della dimensione urbana nelle province della Val...

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Principio di agglomerazione: le determinanti della dimensione urbana nelle province della Val Padana Tesina per il corso di Economia del Territorio Prof. Tomaso Pompili Elena Colli Matr. 783063 Autore: Elena Colli Università di Milano-Bicocca, Corso di Laurea Magistrale in Sociologia

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Principio di agglomerazione: le

determinanti della dimensione urbana nelle

province della Val Padana Tesina per il corso di Economia del Territorio

Prof. Tomaso Pompili

Elena Colli Matr. 783063

Autore: Elena Colli Università di Milano-Bicocca, Corso di Laurea Magistrale in Sociologia

Principio di agglomerazione: le determinanti della dimensione urbana nelle province della Val Padana

1 PREMESSA Questo lavoro intende esplorare nella pratica il principio economico di agglomerazione, uno dei cinque grandi principi di organizzazione territoriale che governano i movimenti, la natura, le dinamiche della città secondo l’economia urbana. In questo lavoro prenderò in esame un’area, la Val Padana, e cercherò di verificare la presenza di economie e diseconomie di agglomerazione tramite un’analisi economica territoriale trasversale, focalizzandomi in particolare sulla questione della dimensione (da intendere da qui in seguito come l’ampiezza della popolazione) e cercando di capire quali fattori la influenzano (sia positivamente che negativamente) e quali relazioni sono presenti tra le variabili territoriali che la determinano. Infine, con l’aiuto di un’analisi di regressione, andrò a esplorare nella pratica la teoria della dimensione “efficiente” della città, calcolandola per ogni elemento del campione e cercando di capire se e perché essa differisce dalla dimensione reale, con l’aiuto delle determinanti e delle relazioni precedentemente approfondite.

2 PERCHÉ SI FORMANO LE CITTÀ?

2.1 INTRODUZIONE TEORICA AL PRINCIPIO DI AGGLOMERAZIONE Il principio di agglomerazione vuole rispondere alla domanda: perché si formano le città? Quale vantaggio

economico comporta la forma aggregata di attività economiche? Esso è infatti il principio generico e fondativo

delle forme urbane stesse: cercando una spiegazione economica al perché della loro esistenza, in breve, esso

vuole dimostrare che la concentrazione nello spazio fisico di persone, informazioni e attività, è una scelta che

i soggetti economici compiono perché ritengono efficiente. Una maggior concentrazione nello spazio di questi

tre elementi permette infatti un miglior uso delle risorse disponibili, da cui ne consegue un maggiore benessere

economico.

La peculiarità economica del fenomeno urbano ha fatto sì che la urban economics diventasse una

disciplina accademica a tutti gli effetti. Gli storici da tempo hanno documentato la persistenza del fenomeno

città in tutte le epoche e in tutti i contesti geografici, da sempre sedi privilegiate e naturali delle funzioni

superiori, strategiche e di comando. La città come spazio di mercato e del lavoro industriale (Marx), consumo

e riproduzione della forza lavoro (Castells) e come spazio della produzione (Scott) (Castells, 1974. Magnaghi

et al, 1970. Scott, 1988). La città si presenta come un agglomerato di attività, uno spazio chiaramente

delimitato da densità di uso di suolo rispetto allo spazio circostante, che fa pensare all’esistenza di una qualche

forza, qualche vantaggio che abbia spinto l’uomo a tale comportamento localizzativo: la prossimità, si potrebbe

dedurre, è un modo efficiente di organizzazione delle relazioni. Gli uomini hanno trovato vantaggioso gestire

le proprie relazioni economiche, personali, sociali in modo spazialmente concentrato.

L’agglomerazione è infatti la caratteristica fondamentale e principio genetico della città, e alla base di

questo meccanismo stanno due elementi: ciò che in linguaggio economico si chiama indivisibilità, e da un

diverso punto di vista, l’economia di scala nella produzione dei beni pubblici:

1) Indivisibilità dei beni economici: non è possibile fornire servizi pubblici senza una dimensione minima

della domanda, allo stesso modo in cui nell’economia della produzione l’efficienza è possibile solo

raggiungendo una scala o dimensione sufficiente;

2) Economie di scala: i beni pubblici sono prodotti in proporzione alle dimensioni della popolazione,

all’aumentare della quale diminuiscono i costi; aumentando proporzionalmente le risorse destinate ai

beni pubblici, si registra un aumento più che proporzionale del prodotto.

Secondo questa premessa, esiste dunque una soglia minima di “investimento” per far partire l’impresa-città:

risorse e popolazione minima, fondato sul vantaggio del modello concentrato anziché diffuso di organizzazione

sociale del lavoro. L’insieme di questi vantaggi dati dalla concentrazione spaziale prende dunque il nome di

“economie di agglomerazione”.

I tre tipi economie di agglomerazione:

1) All’interno di un’impresa: economie di scala di tipo produttivo, distributivo, finanziario, che generano

la concentrazione in un luogo di un volume crescente di produzione da parte di singole imprese.

2) Economie di localizzazione (esterne all’impresa ma interne all’industria): quando la concentrazione

spaziale è vantaggiosa per imprese dello stesso settore produttivo, che hanno la possibilità di

specializzarsi grazie alla prossimità che permette maggiore competitività, economie transazionali

grazie a rapporti più fluidi, diffusione della cultura e della formazione industriale, riduzione

dell’incertezza dinamica grazie all’effetto reputazione (distretti, bacini di manodopera specializzata)

3) Economie di urbanizzazione (esterne all’impresa e all’industria): le imprese di settori diversi si

localizzano nello stesso luogo. I vantaggi agglomerativi sono goduti da tutte le attività economiche

(non più solo i singoli settori produttivi) ma anche dalla popolazione: la grande città può permettersi di

non specializzarsi in un unico settore, ma di avere più specializzazioni, anche grazie alla presenza di

consistenti infrastrutture, maggiore connettività, creatività, diversificata disponibilità di beni e servizi.

È proprio su questo ultimo tipo di economia che andremo a focalizzarci in questo lavoro empirico. Nel processo

di generazione di economie di urbanizzazione sono ricorrenti alcune caratteristiche:

1) Concentrazione del settore pubblico, da cui deriva la ripartizione del costo dei beni pubblici su un

maggior numero di destinatari;

2) Vasto mercato di beni, dunque risparmio su costi di trasporto e transazione. Diventa possibile avere

più specializzazioni e gruppi di consumatori particolari;

3) Ampio e diversificato mercato del lavoro, e quindi anche possibilità per le imprese di trovare ampie

e varie nicchie di specializzazione. Il lavoro è più flessibile e avanzato, poiché è più facile che vi siano

le sedi delle funzioni superiori: centri di ricerca, istituti di formazione superiore, finanziatori e sedi

direzionali.

4) Presenza di economie di comunicazione e informazione dovute da una maggiore possibilità di

incontri faccia a faccia dati dalla prossimità, e dalle migliori infrastrutture di comunicazione di tipo

avanzato.

La grande città può permettersi di non essere specializzata, ma anzi avere più specializzazioni poiché la

domanda è elevata (nel distretto specializzato, se un settore va in crisi non c’è l’alternativa alla domanda

globale). È importante sottolineare come in questa situazione si vengano a creare delle economie di

consumo, che rendono la grande città vantaggiosa per le famiglie oltre che per le imprese, per i seguenti

motivi:

1. Migliori servizi pubblici e dotazioni infrastrutturali (istruzione, sanità, trasporti), anche se meno

evidente in Italia poiché si tratta di servizi gestiti a livello statale (istruzione) e regionale (sanità). Più

evidente per i trasporti pubblici, ora gestiti a livello locale.

2. Migliori e maggiori servizi privati, molto diversificati (cultura, tempo libero, divertimenti)

3. Vantaggi dovuti dalle maggiori opportunità e varietà: la libertà di scelta si traduce in un aumento reale

delle possibilità effettive di scegliere liberamente quali azioni intraprendere, disponendo di una pluralità

di opzioni disponibili nello spazio delle proprie capacità (Sen, 1992)

Gli effetti della grande dimensione urbana infatti non si esauriscono solo in una semplice riduzione dei costi

dei processi produttivi o nei vantaggi per le imprese, ma danno vita a processi dinamici che ne fanno un vero

e proprio incubatore di innovazione. Le economie di agglomerazione fungono qui non solo come riduttrici di

costi ma come riduttrici di rischio di impresa e incertezza dinamica, fonti di imprenditorialità e innovazione.

Occorre anche ammettere che i vantaggi dell’agglomerazione sono fruiti in modo diverso dalle diverse imprese

e dalle diverse funzioni produttive: città di dimensioni differenti svolgono funzioni differenti, in conseguenza il

livello di gerarchia urbana fa decisamente la differenza. La dimensione in sé infatti può essere molto poco

significativa se non accompagnata da un’informazione sulla struttura urbana e spaziale complessiva in cui è

inserita, come ad esempio l’inserimento in un sistema metropolitano ben connesso.

Questo processo incontra però dei limiti, oltre i quali i benefici sopraelencati cessano di operare, o si

trasformano da positivi in negativi. Come in tutte le imprese, anche la città può incontrare a un certo punto

“rendimenti decrescenti”, dovuti principalmente a due fonti di attrito:

1) Costi di trasporto: quando la dimensione dell’area servita è tale da non rendere più conveniente il

trasporto, il cui costo supererebbe i vantaggi delle economie di scala (costi di trasporto da intendere

in senso ampio: tutti gli elementi di frizione spaziale)

2) Esternalità negative: quando si creano crescenti costi e diseconomie nell’area di agglomerazione.

Le maggiori fonti di diseconomie sono:

a. Rendita di posizione: le risorse immobili diventano scarse rispetto alla domanda (suolo

disponibile), per cui al crescere della dimensione cresce il costo di insediamento;

b. Aumento dei prezzi dei fattori meno mobili e scarsi (terra, lavoro)

c. Costi di congestione: per menzionarne alcuni: traffico, forte controllo sociale, aumento delle

regole, elevati costi di controllo.

In una grande città aumenta la libertà del singolo, ma allo stesso tempo anche quella di tutti gli altri. Questa

situazione po’ arrivare ad un punto tale da causare anomia, ovvero quella perdita progressiva di norme sociali

dovuta ai rapidi mutamenti e sollecitazioni che avvengono in un sistema sociale complesso (Durkheim, 1893).

In questo modo anche il conflitto sociale si fa più intenso, agendo in modo negativo sulla dimensione urbana

in quanto fattore di repulsione per famiglie e imprese. Verranno approfonditi questi aspetti nel capitolo

metodologico nel quale verranno esposte tutte le variabili tenute in conto per l’analisi.

La domanda che ci si pone alla fine di questo percorso teorico dunque è: esiste una dimensione ottima che

massimizzi il benessere? Finchè i benefici dovuti alle economie di agglomerazione sono maggiori dei costi, la

città continuerà a crescere. Ma quando l’agglomerazione urbana inizia a produrre un costo sociale, e quali

sono i fattori maggiormente incisivi che determinano un equilibrio della sua dimensione?

2.2 LA QUESTIONE DELLA DIMENSIONE OTTIMA Alla base della teoria della dimensione ottima della città, c’è in origine l’ipotesi, elaborata da Alonso nel 1971,

che esista un’unica dimensione ottima per tutte le città, raggiunta quando i costi e i ricavi marginali di

localizzazione si eguagliano in un punto di equilibrio che garantisce una scelta localizzativa indifferente per

imprese e individui, che non hanno motivo di spostarsi in un’altra città (massimizzazione del vantaggio

localizzativo) e al di là del quale le economie si trasformano in diseconomie. Secondo questa teoria, vantaggi

e costi localizzativi urbani medi hanno entrambi una forma ad U (Alonso, 1971): i primi prima crescono e poi

rimangono costanti o decrescono, i secondi si comportano in maniera opposta; la condizione ottimale viene

raggiunta quando i costi marginali uguagliano i benefici marginali (il punto E*, Figura 1).

Figura 1. Curve dei benefici e costi marginali. Fonte: Camagni et al, 2012.

Da Alonso in poi, molto lavoro è stato svolto per perfezionare questa idea e dare risposta alle domande su

quanto una città dovesse e potesse crescere. In primo luogo, Richardson (1972) ha criticato la scelta di

considerare la mera dimensione fisica come unica determinante per le economie di agglomerazione urbana,

sostenendo che lo sviluppo urbano è influenzato anche da altre determinanti: “Possiamo aspettarci che la

varietà delle dimensioni urbane efficienti vari, e anche in maniera drammatica, a seconda delle funzioni e della

struttura delle città in questione” (ivi, 1972). Molti altri studiosi in seguito hanno lavorato su questo punto,

integrando alla dimensione urbana elementi dinamici quali l’innovazione, l’acquisizione di conoscenza e

informazione, e tutte quelle specificità urbane che influenzano simultaneamente costi e benefici dell’urbanità,

rendendo ogni area urbana un caso a sé stante con, di conseguenza, un punto di equilibrio diverso per ogni

situazione, che va a smentire l’ipotesi dell’esistenza di una dimensione ottima univoca.

Si è parlato in seguito, di un intervallo di dimensione efficiente, composto da dimensione minima e

massima calcolata per ogni situazione in base ad un insieme di caratteristiche strutturali, materiali e

immateriali, urbane. Su questo filone, il modello Soudy (Camagni et al, 1986) ipotizza che un intervallo di

dimensioni urbane “efficienti” diverse esistano per ogni livello gerarchico, in unione a funzioni economiche

proprie del rango urbano. In poche parole, per ogni funzione economica caratterizzata da una specifica soglia

di domanda e una dimensione minima di produzione, esistono una dimensione urbana minima e massima

oltre la quale le diseconomie di localizzazione urbana prevalgono sugli aumenti di produttività tipici di tale

funzione. Il punto fondamentale di questo sviluppo nella teoria della dimensione ottima, è che si afferma

l’esistenza di diverse dimensioni urbane “efficienti” in base alle funzioni effettivamente svolte dalle città.

Infine, un’altra evidenza empirica mostrata dalla letteratura ha messo in rilievo il concetto di reti tra

città, vale a dire quei nuovi e crescenti rapporti tra centri che perseguono logiche diverse, spesso al fine di

realizzare economie di integrazione verticale. Il modello delle reti di città è importante nel dibattito sulla

dimensione ottima, perchè consente alle singole città di accedere a funzioni elevate, senza necessariamente

aumentare la loro dimensione individuale.

Insomma, la dimensione non è l’unico fattore determinante della produttività urbana e delle economie

di agglomerazione. Tenere conto delle altre principali caratteristiche strutturali e dinamiche delle città è

estremamente importante nella spiegazione del vantaggio competitivo delle stesse, poiché sono elementi che

permettono di incrementare la produttività anche in presenza di limitate dimensioni urbane.

In prima analisi, le diverse caratteristiche strutturali urbane che si sostiene abbiano un ruolo determinante nella

valutazione della dimensione, possono essere suddivise tra elementi di costo e di beneficio:

Tra le determinanti di beneficio troviamo la qualità della vita, l’atmosfera urbana, il capitale umano, e

le economie di agglomerazione.

Dall’altro lato, tra i costi, possiamo individuare il conflitto sociale e i costi della città in generale come

ad esempio la rendita fondiaria, i costi ambientali e di congestione.

Questi elementi sono strettamente legati alla dimensione della città e ne influenzano i benefici e i costi di

localizzazione. L’economista urbano Camagni, evidenzia come negli ultimi tempi si siano aggiunte tra le

determinanti rilevanti il ruolo della città all’interno di reti e le funzioni urbane (presenza di professioni

avanzate, istituti di istruzione superiore etc.) dal lato dei benefici, e il fattore sprawl (forma urbana dispersa)

dal lato dei costi.

Nello studio di caso qui presentato, cercherò di stare al passo con le evoluzioni della teoria della dimensione

ottima considerando un ampio numero di determinanti e le relazioni tra di esse, fino ad inserire anche i

parametri più recenti legati alla creatività urbana e qualità della vita, assumendo che non esista un’unica

dimensione ottima di città ma diverse dimensioni che risultano efficienti sulla base delle caratteristiche

specifiche di ogni forma urbana considerata, dimostrando che le specificità urbane possono aumentare i

benefici e i costi della pura dimensione fisica. Verranno tenute in conto specificità urbane quali la densità

abitativa, il livello dei servizi, la qualità della vita, la diversità settoriale, il livello di congestione e di conflitti

sociali accumulati, ovvero tutti quei fattori che permettono di spostare verso l’alto o verso il basso le curve di

costo e beneficio sociale legate alla sola dimensione fisica della città, causando in ultima analisi dimensioni di

equilibrio diverse per ciascuna città.

3 IL CASO STUDIO: CAMPIONE IN ANALISI, PARAMETRI E METODOLOGIA

3.1 CAMPIONE IN ANALISI L’analisi qui presente si baserà sulle 37 province della pianura padana e veneto-friulana (che per semplicità chiamerò Val Padana; Figura 2) escludendo dal normale stock di province quelle interamente montane di Sondrio, Belluno e Verbano-Cusio-Ossola, che avrebbero distorto in maniera vistosa i dati dello studio, trattandosi di un’analisi sulle dimensioni urbane (per tutte e tre le province la percentuale di territorio montano era o si avvicinava al 100%).

Figura 2. La Pianura Padana e veneto-friulana. Fonte: http://www.hyperfvg.org/

Per essere maggiormente coerenti con lo studio si sarebbe dovuto considerare non il territorio provinciale ma piuttosto, seguendo i recenti sviluppi di definizione europea di urbanità, l’area funzionale, che rispecchia in modo più realistico i confini “naturali” delle aree urbane, che trascendono i confini amministrativi. Ma si tratta di una definizione avanzata non ancora applicata in modo sistematico alle città italiane. Seguendo il ragionamento di Martinotti, ad ogni modo, ho preferito le province ai comuni poiché più coerente con il fenomeno di diffusione urbana, che vede l’uscita della popolazione dai centri città verso gli hinterland, senza allontanarsi di molto dal comune capoluogo di origine (Martinotti, 1993). Questo non corrisponde certo alla più adatta analisi per area funzionale, ma cerca almeno di superare i confini amministrativi comunali ormai decisamente obsoleti per una realistica analisi economica urbana/territoriale.

Figura 3. La selezione di province della Val Padana. Fonte: elaborazione grafica con ArcGIS da dati geografici ISTAT

Prima di focalizzarci sul campione vorrei però contestualizzare l’area in analisi rispetto al territorio italiano, almeno per quanto riguarda la composizione urbana. A tal proposito è stata di aiuto Eurostat, che dal 2011 classifica i comuni secondo tre gradi di urbanizzazione - alta, media e bassa - ricorrendo ad un nuovo strumento basato sulla densità demografica e il numero di abitanti valutati entro celle di un chilometro quadrato. In Italia risulta che il 67,9% dei comuni ricade nella classe di bassa urbanizzazione, area prevalentemente rurale. Nei comuni ad alta urbanizzazione, che rappresentano solo il 3,3% del totale nazionale, è presente il 33,3% della popolazione italiana. Nel restante 28,7% dei comuni di grado medio di urbanizzazione, si concentra il 42,4% della popolazione complessiva, nonché la maggioranza1.

Figura 4. Elaborazione grafica di dati Istat 2013. Fonte: Movimento e calcolo della popolazione residente annuale; Variazioni territoriali, denominazione dei comuni, calcolo delle superfici comunali; Eurostat. In maiuscolo sono evidenziate le regioni incluse nello studio.

1 Istat, Annuario statistico italiano | 2014. Disponibile all’indirizzo http://www.istat.it/it/files/2014/11/C01.pdf

PIEMONTE

V. d'Aosta

Liguria

LOMBARDIA

Trentino-A. Adige

VENETO

FRIULI-V. GIULIA

EMILIA-ROMAGNA

Toscana

Umbria

Marche

Lazio

Abruzzo

Molise

Campania

Puglia

Basilicata

Calabria

Sicilia

Sardegna

Regioni italiane: quote di residenti per grado di urbanizzazione

Basso Medio Alto

Per le regioni della Val Padana notiamo che il trend rimane quello nazionale, con la maggiore quota di residenti presente nelle aree di media urbanizzazione. In confronto con le regioni del Sud Italia c’è una minore quota di residenti in aree meno urbanizzate e una maggiore quota nelle aree ad alta urbanizzazione, con l’eccezione visibile del caso campano e del Lazio.

3.2 METODOLOGIA UTILIZZATA Il lavoro è suddiviso in due parti principali: una prima parte in cui vengono scelti una serie di parametri descrittivi dell’economia e del territorio urbano con cui effettuare una panoramica della Val Padana, provincia per provincia, ispirandosi agli elementi di costo e beneficio precedentemente illustrati. Si cercherà in questo modo di capire quali di questi presentano una maggiore correlazione con la dimensione urbana, e quali altri pur non essendo direttamente collegati alla dimensione sono utili a spiegare casi estremi o particolari di economie o diseconomie agglomerazione, in modo da verificare a fondo la specificità della forma urbana di ogni provincia.

Esplorando anche le relazioni presenti tra un parametro e l’altro, verrà preparato il terreno per la seconda parte del lavoro, che prevede l’utilizzo di un’analisi di regressione volta a verificare il ruolo e il peso che le determinanti identificate hanno sulla dimensione urbana, sulla base di un’equazione che eguaglia i costi e benefici urbani per identificare la dimensione efficiente. In questo modo si otterrà un modello predittivo capace di calcolare la dimensione efficiente prevista per ogni provincia, grazie alla quale potremo verificare le differenze tra il modello ideale e la realtà, che cercheremo di spiegare tramite le relazioni tra variabili precedentemente approfondite.

Database utilizzato per entrambe le fasi dell’analisi

Tipo di variabile Cosa rappresenta Nome variabile Indicatore Anno Fonte

Contesto fisico Area non urbana Territorio montanoTerritorio montano/totale

territorio % kmq2012 Elaborazione dati Istat

Dimensione Dimensione Popolazione totale 2012 Istat

Economie di

agglomerazioneDensità Abitanti/kmq 2012

Elaborazione

UnionCamere

Contesto

economicoImprenditorialità Densità imprenditoriale Imprese/100 ab 2012 Infocamere

Vitalità economicaTasso di natalità delle

impreseNuove imprese/100 imprese 2012

Elaborazione dati

Infocamere

Creatività Diversità1 - (somma prime 5 quote

settoriali) %2011

Elaborazione dati

Censimento Industria e

Servizi

Apertura mercati Tasso di apertura Tasso di apertura % 2012Elaborazione dati

Infocamere

ProduttivitàValore aggiunto pro-

capiteValore aggiunto pro-capite € 2011

Istituto Guglielmo

Tagliacarne

Tenore di vita Reddito pro-capite Reddito pro-capite € 2011Istituto Guglielmo

Tagliacarne

Costo della città Rendita fondiaria Prezzo appartamento medio/mq 2012 Il sole 24 ore

Contesto sociale

Servizi

Cultura e tempo liberoIndice dotazione strutture

culturali e ricreative (Italia=100)2012

Istituto Guglielmo

Tagliacarne

IstruzioneIndice dotazione strutture per

l'istruzione (Italia=100)2012

Istituto Guglielmo

Tagliacarne

Sanità Indice dotazione strutture

sanitarie (Italia=100)2012

Istituto Guglielmo

Tagliacarne

Amenities

Indicatore sintetico degli indici di

dotazione

culturale+educativa+sanitaria

2012Elaborazione dati Istituto

Guglielmo Tagliacarne

Conflitto sociale Malaise Crimini/1000 abitanti 2011 Elaborazione dati Istat

Congestione

stradaleCongestione stradale Autovetture circolanti/1000 ab 2012

Elaborazione dati

Automobile Club d'Italia

Qualità della vita Qualità della vitaIndice qualità della vita Il Sole 24

ore (punteggio)2012 Il Sole 24 Ore

1. Contesto fisico: sono stati scelti i due indicatori fondamentali per l’analisi dell’agglomerazione urbana

ovvero la dimensione (espressa in numero di abitanti) e la densità abitativa. A corredo di questi due, serviva l’indicatore di territorio montano per escludere le province interamente montane che avrebbero distorto i dati. Il ruolo svolto dalla densità nella creazione di un “ambiente urbano” rappresenta in larga parte quello che è stato precedentemente detto riguardo alla prossimità come facilitatore di produttività, data dall’aumento della probabilità di scambio di idee e di conoscenza, favorendo l’interazione sociale.

2. Contesto economico: per una panoramica economica dell’area ho scelto tra i principali indicatori economici territoriali, come il reddito pro-capite per la misura del tenore di vita, ma anche il valore aggiunto pro-capite per la produttività del lavoro, visto il ruolo delle economie di agglomerazione nell’aumento della produttività (Alonso, 1971 e Segal, 19762). Altri sono stati più specificamente scelti in vista della loro relazione con la dimensione urbana: in primis, la rendita fondiaria, una “variabile proxy” molto importante per misurare le scelte localizzative di famiglie e imprese, in quanto rispecchia il costo di localizzazione che questi attori sono disposti a sostenere affinchè bilanci il vantaggio di agglomerazione; al di là di quel costo famiglie e imprese sceglieranno una ri-localizzazione in un’altra area. Per questo motivo la rendita urbana può essere considerata come uno degli indicatori più precisi dell’esistenza di economie di agglomerazione, sintetico e aggiornato (Capello, 2001). E ancora, la diversità settoriale (calcolata come il complemento ad uno della quota dei primi 5 settori3), intesa a misurare il mix produttivo che è uno dei vantaggi delle grandi aree urbane rispetto alle piccole; un sistema diversificato e competitivo di produzione urbana è fonte di efficienza e crescita (Chinitz 1961); non è la sola vicinanza fisica a generare economie di scala, ma la diversità delle attività situate nelle grandi città che determinano una maggiore creatività per le persone che lavorano e vivono nelle grandi città (Jacobs, 1969). Per completare il quadro generale economico sono stati anche misurati l’imprenditorialità (imprese/100 abitanti), la vitalità e il rinnovo imprenditoriale (natalità imprese) e il tasso di apertura dei mercati.

3. Contesto sociale: in quest’ultima sezione sono stati inseriti quegli aspetti più relativi alla vita quotidiana della popolazione residente, protagonista di questo studio. Come accennato in introduzione, tra i costi immateriali più rilevanti dovuti alle diseconomie dell’agglomerazione troviamo i costi di congestione e i conflitti sociali (malaise), operativizzati in parametri quali la congestione stradale e il livello di criminalità. Dall’altro lato, tra i vantaggi immateriali presenti nella grande città sono state sempre evidenziate le cosiddette amenities urbane, come ad esempio l’accessibilità ai servizi pubblici di alta qualità (scuole, ospedali), a una serie di servizi ricreativi (teatri, cinema), ai servizi di alta formazione (università), al capitale culturale (musei e monumenti storici) (Clark e Kahn, 1988). Per questo ho scelto di misurare le amenities con un indicatore sintetico che rappresentasse la somma di tre indicatori di dotazione strutturale ricreativo-culturale, educativa e sanitaria. L’altro importante indicatore scelto è stato il punteggio ottenuto nella classifica annuale sulla Qualità della vita pubblicata da Il Sole 24 Ore, che sintetizza le performance delle province italiane misurate in diversi ambiti: Tenore di vita, Affari e lavoro, Servizi ambiente salute, Popolazione, Ordine Pubblico e Tempo libero. Come indicatore aggiuntivo è stato inserito il flusso turistico, che rappresenta una misura di attrattività urbana dell’area.

Con questo ammontare di dati è stata fatta un’analisi preliminare volta a ottenere un quadro illustrativo caso per caso e una panoramica trasversale degli andamenti per ogni indicatore, in modo da individuare massimi, minimi, casi estremi. In seguito dopo l’osservazione dei risultati ottenuti si è proceduto con analisi di correlazione (elaborazione dati SPSS Statistics) e grafici a dispersione (Excel) volte ad evidenziare le relazioni più significative. In secondo luogo, si è passati alla seconda parte della ricerca riguardante la dimensione ottima. La questione della dimensione ottima può essere impostata come un problema di “ottimo sociale”, dove abbiamo due curve dei costi e benefici associati alla dimensione urbana. Come abbiamo detto in introduzione, sulla base dell’incisività o meno delle variabili specifiche di ogni forma urbana, la dimensione in realtà può poi ben superare quella indicata dal semplice equilibrio tra costi e benefici di scala.

2 Anche Marelli (1981) ha verificato empiricamente come le città più grandi abbiano una produttività dei fattori maggiore di città più piccole. Questo risultato però sarebbe valido solo fino ad una certa dimensione urbana, al di là della quale la produttività fattoriale mostrerebbe ancora una volta rendimenti decrescenti. 3 Calcolo dell’indicatore di diversità settoriale: 1 – (somma delle prime 5 quote settoriali dell’area) %, dove le quote sono calcolate con la formula Xij/Xj dove X sta per il numero di occupati, i per il settore specifico, j per il totale degli occupati

Per rintracciare l’esistenza e l’impatto di costanti moltiplicative legate alla dimensione urbana è stato utilizzato il modello impiegato da Camagni et al. nella ricerca sulla dimensione ottima di 59 aree funzionali europee, dal quale ho tratto una versione semplificata che potesse essere applicata in modo quantomeno realistico sui dati a disposizione. La funzione utilizzata per lo studio di Camagni è stata realizzata eguagliando due funzioni di costo e di beneficio così formate, coerentemente con quanto dice la letteratura e la teoria poc’anzi esposta:

C = f (dim, rent, malaise) dalla quale ho rimosso le variabili di forma urbana dispersa (sprawl) per mancanza di dati opportuni (la percentuale di suolo urbanizzato non è un dato completo per rappresentare lo sprawl). I costi totali di localizzazione, secondo questa formula, dipendono dalla dimensione fisica della città (dim), dai costi sociali (malaise), e in generale, i costi della città, catturati dalla rendita fondiaria urbana (rent).

B = f (dim,amenities,diversità, densità) dalla quale ho rimosso gli importanti parametri di funzioni e reti per mancanza ancora una volta di dati attendibili. I benefici totali dipendono dalla dimensione fisica della città (dim) e dagli aspetti immateriali evidenziati nella letteratura ovvero la qualità della vita (amenities), la creatività (diversità) e l’atmosfera urbana (densità).

Come si può notare, la dimensione fisica si trova sia nella funzione dei costi che dei vantaggi, ed è quindi una variabile dal doppio significato, in quanto rappresenta una fonte di esternalità sia positive che negative per gli abitanti delle città. Per entrambe le funzioni è stata adottata la specifica standard di Cobb-Douglas, seguendo il modello Camagni. Questo modello viene chiuso assumendo equilibrio spaziale in tutto il sistema urbano. Poiché le persone possono muoversi liberamente attraverso lo spazio alla ricerca di migliori condizioni di vita (abitanti e imprese possono muoversi cercando città con maggiori benefici o minori costi), in equilibrio l’area urbana deve soddisfare la condizione in cui i costi marginali uguagliano i vantaggi marginali (CML = BLM), massimizzando l’utilità delle persone e i profitti delle imprese. Dopo aver posto in forma Cobb-Douglas le due funzioni di costo e beneficio, sono state log-linearizzate ed eguagliate per ottenere la forma finale che risulta:

ln(𝑑𝑖𝑚) =𝑙𝑛(𝜅

𝛼)⁄

(𝛼 − 𝜅)+

𝜁

(𝛼 − 𝜅)ln(𝑎𝑚𝑒𝑛𝑖𝑡𝑖𝑒𝑠) +

𝜗

(𝛼 − 𝜅)ln(𝑑𝑖𝑣𝑒𝑟𝑠𝑖𝑡à) +

χ

(𝛼 − 𝜅)ln(𝑑𝑒𝑛𝑠𝑖𝑡à) −

β

(𝛼 − 𝜅)ln(𝑟𝑒𝑛𝑡)

−δ

(𝛼 − 𝜅)ln(𝑚𝑎𝑙𝑎𝑖𝑠𝑒)

Che da un punto di vista analitico, può essere riconosciuta nella forma più familiare della regressione lineare, che verrà utilizzata per stimare il peso di ogni parametro sulla variabile dipendente “dimensione”, grazie al software di analisi statistica SPSS:

ln(𝑑𝑖𝑚) = 𝛽0 + 𝛽1 ln(𝑎𝑚𝑒𝑛𝑖𝑡𝑖𝑒𝑠) + 𝛽2 ln(𝑑𝑖𝑣𝑒𝑟𝑠𝑖𝑡à) + 𝛽3 ln(𝑑𝑒𝑛𝑠𝑖𝑡à) − 𝛽4 ln(𝑟𝑒𝑛𝑡) − 𝛽5ln(𝑚𝑎𝑙𝑎𝑖𝑠𝑒) Vediamo contrassegnati da un segno negativo i fattori di costo rent(rendita urbana) e malaise(conflitto sociale) in quanto influenzano negativamente la dimensione efficiente della città (spingendo in alto la curva dei costi marginali, figura 6), al contrario del livello di accesso alle amenities, diversità settoriale, e densità che fungono da attrattori di nuovi abitanti e imprese (spingendo in alto la curva dei benefici marginali, Figura 5).

Figura 5.Shifters verticali sui benefici: amenities, densità, diversità

Figura 6. Shifter verticali sui costi: rent, malaise.

Sulla base delle variabili inserite nel modello, e previa verifica dell’effettiva correlazione di queste variabili con la dimensione grazie alla prima parte dello studio, si è potuto procedere con l’analisi di regressione.

Database utilizzato per l’analisi di regressione: le determinanti della dimensione urbana

Tipo di variabile Cosa rappresenta Nome variabile Indicatore Anno Fonte

Dipendente Dimensione Dimensione Popolazione totale 2012 Istat

Indipendente Servizi Amenities

Indicatore sintetico degli indici di

dotazione

culturale+educativa+sanitaria

2012Elaborazione dati Istituto

Guglielmo Tagliacarne

Creatività Diversità1 - (somma prime 5 quote

settoriali) %2011

Elaborazione dati

Censimento Industria e

Servizi

Economie di

agglomerazioneDensità Abitanti/kmq 2012

Elaborazione

UnionCamere

Costo della città Rendita fondiaria Prezzo appartamento medio/mq 2012 Il sole 24 ore

Conflitto sociale Malaise Crimini/1000 abitanti 2011 Elaborazione dati Istat

Le variabili di cui sopra sono state inserite nel modello per il calcolo della regressione sotto forma di logaritmi naturali, poiché più adatti per stabilizzare l’ampiezza delle oscillazioni mantenendo l’ordine dei dati e rendendo la comparazione più efficace. Nell’analisi generale e di correlazione sono stati invece usati nella loro forma originale. Rispetto al modello utilizzato da Camagni sono state apportate alcune modifiche: come detto in precedenza, sono state eliminate dalla formula sprawl, funzioni e reti per mancanza di dati attendibili. Mi sono inoltre permessa di apportare altre due modifiche per rimanere coerente nel lavoro empirico:

L’indicatore del conflitto sociale (malaise) è stato modificato, utilizzando il più classico crimini denunciati ogni 1000 abitanti anziché crimini denunciati per 100 occupati previsto dal modello, che in base alla composizione demografica dei territori poteva risultare leggermente distorto.

L’indicatore delle “amenities”, che è nel modello originale rappresentato da flussi turistici per occupati, è stato sostituito con un indicatore sintetico che rappresentasse l’offerta di servizi culturali, ricreativi, educativi e sanitari sommando il punteggio dell’indicatore per ogni categoria. Mi è sembrato più appropriato come indicatore di servizi urbani di qualità rivolti ai residenti, e più rappresentativo della qualità della vita rispetto al flusso turistico che può dipendere da molti fattori indipendenti dalla dimensione urbana e dal benessere della popolazione che la abita.

4 RISULTATI EMPIRICI

4.1 ANALISI TERRITORIALE PRELIMINARE

Figura 7. Elaborazione dati Excel. Legenda: Scala di colori dal rosso scuro al verde scuro in base a valori crescenti. Barre blu: max = max valore della colonna. Evidenziati in rosso: 10% dei valori maggiori.

Dimensione Amenities Diversità DensitàRendita

fondiariaMalaise

Territorio

montano

Densità

imprendit

oriale

Tasso di

natalità

delle

imprese

Valore

aggiunto

pro-capite

Tasso di

apertura

Reddito

pro-capite

Qualità

della vita

Congestione

stradale

Attrattività

turistica

ALESSANDRIA 427354 218 24% 120 1750 47 12% 10.77 6.93 24405 74% 18882 400.5 653 167

ASTI 217978 179 26% 144 1950 39 0% 11.65 6.97 21992 47% 17696 561.15 656 117

BIELLA 181426 222 24% 199 1750 39 37% 10.71 5.42 25238 62% 21049 386.58 698 135

CUNEO 589102 158 24% 85 2450 31 51% 12.37 6.34 27773 63% 19471 691.93 666 275

NOVARA 367022 285 25% 274 1950 47 7% 8.68 7.08 24779 72% 18008 538.59 632 293

TORINO 2254720 377 32% 330 3300 69 52% 10.4 6.86 25371 57% 20417 436.92 630 264

VERCELLI 176307 183 24% 85 1750 39 38% 10.02 6.34 25558 71% 19793 556.92 657 161

BERGAMO 1094062 280 23% 398 2700 43 63% 8.78 6.3 27899 68% 16819 716.58 579 174

BRESCIA 1247192 272 23% 261 2700 50 55% 9.79 6.58 27341 63% 16537 587.39 602 698

COMO 592504 295 24% 463 2850 31 66% 8.5 6.27 25074 54% 15882 571.24 633 455

CREMONA 361812 331 24% 204 2250 38 0% 8.5 6.8 25315 69% 17749 438.25 583 110

LECCO 338425 268 20% 415 2350 36 68% 8.04 5.77 26370 77% 16698 579.35 613 155

LODI 225798 235 28% 288 2400 36 0% 7.81 6.95 23620 124% 14290 556.66 583 97

MANTOVA 411335 207 23% 176 2350 38 0% 10.34 6.26 27952 94% 17186 687.23 624 107

MILANO 3075083 505 36% 1952 4850 86 0% 11.52 6.58 36200 71% 25867 516.6 580 407

PAVIA 539569 369 23% 182 2450 51 10% 9.23 7.09 22132 114% 17346 502.5 618 110

VARESE 876960 354 29% 732 2350 40 32% 8.25 6.13 25516 70% 16888 551.14 640 201

MONZA E DELLA BRIANZA 850684 25% 2098 36 0% 8.61 6.6 613 93

PADOVA 927848 464 26% 433 2700 47 0% 10.96 6.56 27457 56% 19991 577.14 615 497

ROVIGO 242543 241 27% 133 1450 35 0% 11.78 6.83 22543 46% 17237 631.06 635 722

TREVISO 881245 278 22% 355 2550 27 0% 10.49 6.01 27777 70% 18983 733.23 627 179

VENEZIA 847983 402 343 4300 51 0% 9.19 6.57 26614 38% 19466 375.11 527 4125

VERONA 907352 319 28% 293 3250 42 19% 10.82 6.6 27466 86% 19560 766.55 630 1575

VICENZA 865421 257 20% 318 2550 34 40% 9.78 5.94 27211 96% 19518 763.31 629 224

GORIZIA 140650 476 25% 301 1350 35 0% 7.76 6.46 23782 62% 18615 432.93 626 1301

PORDENONE 312911 201 20% 138 1950 28 35% 8.96 6.16 25834 59% 19267 731.18 647 170

TRIESTE 231677 956 38% 1090 2150 43 0% 7.23 6.46 29126 58% 23016 430.64 548 451

UDINE 536622 230 27% 109 1850 31 52% 9.85 5.59 26824 60% 19651 747.63 656 1033

PIACENZA 286336 184 26% 111 2450 41 36% 10.92 6.25 26666 74% 19972 555.63 616 209

PARMA 431049 344 28% 125 2700 53 43% 11.02 6.49 28366 75% 21031 739.53 635 344

REGGIO EMILIA 522468 230 22% 228 2400 43 32% 10.95 7.48 27591 82% 19787 762.8 647 131

MODENA 688376 372 24% 256 3000 55 35% 10.95 6.73 29950 72% 20873 623.26 645 210

BOLOGNA 990681 395 32% 268 3850 69 21% 9.81 6.51 30825 58% 23763 551.34 586 339

FERRARA 352723 285 29% 134 2300 45 0% 10.57 7.01 24275 39% 17722 562.77 633 734

RAVENNA 386111 276 29% 208 2350 61 0% 10.83 6.48 26418 74% 19531 577.71 656 1706

FORLì - CESENA 392817 272 25% 165 2200 48 28% 11.28 6.02 28879 39% 21601 633.8 630 1432

RIMINI 326926 348 29% 378 2850 71 14% 12.51 7.32 28045 29% 19712 399.99 624 4968

PIEMONTE

LOMBARDIA

VENETO

FRIULI - V.GIULIA

EMILIA ROMAGNA

4.1.1 Correlazione tra le determinanti della dimensione urbana: considerazioni generali per indicatore e casi particolari

Come già reso noto, l’indicatore di territorio montano sul totale del territorio è servito per eliminare dal campione quelle province dell’area considerata che presentavano un territorio montano superiore al 70%, che avrebbe pesato troppo su dati di ricerca riferiti all’analisi urbana; questo ha escluso le province di Belluno, Verbano-Cusio-Ossola e Sondrio. Rimarrà comunque importante tenere sempre presente questo indicatore nel leggere gli altri dati relativi al territorio, quindi è stato inserito come primo. A parte alcuni casi in Piemonte e Lombardia, l’indicatore rimane sempre su valori non compromettenti l’analisi urbana, con una media del 23%. Statistiche descrittive: tutti gli indicatori

Elaborazione SPSS Statistics. Il numero di casi validi a volte risulta 36 per l’incompletezza di alcuni dati relativi alla provincia di Monza e Brianza, dovuta alla sua più recente istituzione (istituita nel 2004 e divenuta operativa nel 2009).

Riguardo alla dimensione, la provincia più piccola è quella di Gorizia con 140.650 abitanti, mentre quella più grande, prevedibilmente, risulta Milano con oltre 3 milioni di abitanti. Se in regioni come la Lombardia o il Piemonte troviamo aree urbane “monocefale” capitanate da grandi centri popolosi (Milano, Torino), in altre regioni si può notare una popolazione maggiormente equidistribuita sul territorio, con una logica più policentrica; basti vedere ad esempio l’omogeneità del colore delle celle riguardanti la dimensione delle province dell’Emilia Romagna, che peraltro si mantiene omogenea più o meno anche negli altri indicatori, più di altre regioni. Nell’indicatore sintetico delle amenities si passa da un minimo di 158 mostrato da Cuneo, dovuto presumibilmente alla bassa densità della provincia, al caso atipico di Trieste che mostra un risultato di 956, dimostrando una ricchezza in ambito di dotazione di strutture ricreative, educative e sanitarie, al contrario di Cuneo agevolate dall’alta densità (1090 ab/kmq). Togliendo il caso estremo di Trieste la media si abbassa infatti da 313 a 295. Quest’ultima spicca anche nella diversità settoriale, indicatore che non subisce forti oscillazioni rimanendo sempre attorno a una media del 26%, che però si presenta a Trieste con un 38% forse grazie alla massiccia dotazione infrastrutturale data dalla presenza nel capoluogo di uno dei porti con la maggiore superficie di piazzali per le merci a livello nazionale4. La relazione precedentemente suggerita tra densità abitativa e amenities è confermata da un’analisi di correlazione tra i due indicatori, che risulta del 66,7%5. Nel grafico a dispersione possiamo anche notare il

4 Fonte: Istat, “Atlante statistico territoriale delle infrastrutture”, 2008. Disponibile all’indirizzo http://www3.istat.it/dati/catalogo/20080805_01/testointegrale20080805.pdf 5 Significatività 0,000 (99,9% dei casi) al netto dell’effetto Dimensione

Numero casi validi

Minimo Massimo Media Deviazione

std.

Dimensione ab 37 140650 3075083 651326 576149.95

Servizi 36 158 956 313 139.90

Diversità settoriale % 37 20 38 26 4.02

Densità abitanti/kmq 37 85 2098 373 443.34

Rendita fondiaria €/mq 36 1350 4850 2510 723.47

Malaise crimini/100 ab 37 27 86 45 12.99

Territorio montano % 37 0 68 23 22.83

Densità imprenditoriale imprese/ab 37 7.23 12.51 10 1.36

Natalità imprese % 37 5.42 7.48 7 0.45

Valore aggiunto pro-capite

€ 36 21992 36200 26616 2651.26

Apertura dei mercati % 36 29 124 67 19.62

Reddito pro-capite € 36 14290 25867 19163 2259.99

Qualità della vita 36 375.11 766.55 580 119.06

Congestione stradale auto circolanti/ab

37 527 698 624 33.11

Attrattività turistica turisti/100 ab 37 93 4968 659 1042.61

punto isolato che rappresenta Milano, con densità abitativa quasi di 2000 persone per kmq e un indicatore dei servizi pari a 505.

Interessante anche l’indicatore di rendita fondiaria urbana, che vede spiccare naturalmente Milano con il suo costo medio al metro quadro di 4850€, contro una media di 2510€. Nel resto delle province lombarde lo stacco è quasi della metà, con una rendita fondiaria urbana nella media che si distribuisce in modo abbastanza omogeneo, dimostrando visivamente la forza centripeta del capoluogo meneghino. In altre regioni lo stacco è ancora più netto e disomogeneo, come in Veneto dove troviamo una Venezia a 4300€/mq contro i 1450€ di Rovigo. Come anticipato nei capitoli precedenti, la rendita urbana è infatti il segnale più vivo di economie di agglomerazione e di attrattività urbana, confermato dal fatto che registra l’indice di correlazione con la dimensione più alto tra tutti gli indicatori: 75,7%6

Degno di nota in questo campo è anche il reddito pro-capite: in Lombardia segna in modo netto il polo attrattivo economico di Milano con uno stacco reso evidente dal contrasto cromatico (sempre facendo riferimento alla tabella dati, Figura 7). Se confrontato, come prima, con la situazione di Venezia in Veneto, vediamo, grazie a questo indicatore, che il tipo di attrattività urbana è profondamente diversa: se a Milano dimensione, rendita urbana, reddito pro-capite e anche valore aggiunto pro-capite hanno un forte distacco dalle altre province e aumentano di pari passo, nel caso di Venezia vediamo un’alta rendita fondiaria ma un reddito e un valore aggiunto pro-capite nella media, addirittura più basso rispetto ad altre province (es. Padova). In questo caso l’alta rendita fondiaria è largamente giustificata dalla sua attrattività turistica (di cui condivide il primato con la provincia di Rimini) più che in quanto polo economico-produttivo. Anche in questo caso l’analisi di correlazione, al netto degli effetti della dimensione urbana, serve come conferma di questa ipotesi, presentando tra rendita fondiaria e attrattività turistica un indice di correlazione pari al 49,4%7.

6 Significatività 0,000 (99,9% dei casi) 7 Significatività 0,003 (99,7% dei casi) al netto della dimensione

0

200

400

600

800

1000

1200

1400

1600

1800

2000

0 100 200 300 400 500 600

Den

sità

ab

itat

iva

(ab

/km

q)

Amenities

Correlazione densità abitativa - amenities

0

1000

2000

3000

4000

5000

6000

0 500000 1000000 1500000 2000000 2500000 3000000

Ren

dit

a fo

nd

iari

a (€

/mq

)

Dimensione (popolazione)

Correlazione rendita fondiaria - dimensione

Figura 8. In evidenza i due casi estremi di Rimini e Venezia (attrattività turistica rispettivamente di 5000 e 4000 contro una media di 659).

In forte correlazione con la dimensione abbiamo, al secondo posto, l’indicatore rappresentativo del conflitto sociale, espressione del malessere urbano di cui si è parlato in introduzione (malaise). L’indice di correlazione al 60,3%8 è in linea anche con i due massimi di dimensione e malaise che coincidono con la provincia di Milano.

A che cosa può essere dovuto il conflitto sociale delle aree urbane? Con un’analisi parziale al netto della dimensione urbana, si sono riscontrate alcune correlazioni significative del “malaise” con ad esempio l’attrattività turistica; coerentemente, i picchi maggiori di malaise si riscontrano infatti nei capoluoghi di regione più attrattivi (Milano, Bologna, Venezia, Torino) ma anche Rimini, che si trova al secondo posto dopo Milano con un malaise di 71 crimini/1000 abitanti contro la media di 45. Si può ipotizzare che questo sia dovuto a un’ampia quota di users e popolazione non-residente che frequentano queste aree, creando conflitto tra tipi di popolazione diversi e di passaggio, rispetto a più radicate popolazioni di residenti che aumentano la probabilità di un maggiore controllo sociale (Martinotti, 1993). Non si è registrata nessuna osservazione rilevante riguardo agli indicatori di apertura dei mercati, densità e natalità delle imprese, anche se è utile per leggere correttamente i dati relativi ad alcuni territori dire che quest’ultima è correlata negativamente con la percentuale di territorio montano, al 44,2% 9 . Anche la congestione stradale non trova una correlazione significativa con la dimensione urbana o la densità, che soddisfi le aspettative. Con la densità abitativa c’è una correlazione negativa del 36,7%, ma troppo lieve per spiegare una reale incisione della densità abitativa nel livello di congestione stradale. Ci si poteva aspettare che la congestione aumentasse significativamente all’aumentare delle dimensioni, o che diminuisse con livelli

8 Significatività 0,000 (99,9% dei casi) 9 Significatività 0,008 (99,2% dei casi)

0

500

1000

1500

2000

2500

3000

3500

4000

4500

5000

0 500 1000 1500 2000 2500 3000 3500 4000 4500 5000Att

ratt

ivit

à tu

rist

ica

(tu

rsit

i/1

00

ab)

Rendita fondiaria (€/mq)

Correlazione tra attrattività turistica e rendita fondiaria

0

10

20

30

40

50

60

70

80

90

0 500000 1000000 1500000 2000000 2500000 3000000

Mal

aise

(cr

imin

i/1

00

0 a

b)

Dimensione

Correlazione tra dimensione e malaise

maggiori di densità abitativa più adatti all’implementazione di infrastrutture di mobilità sostenibile e dunque al diverso comportamento di viaggio degli abitanti. Ma il parco veicoli sembra in realtà non subire forti variazioni e rimanere quasi costante indipendentemente dalle condizioni urbane, seppur registrando un valore leggermente più alto della media (che è 624 auto/1000 abitanti) nelle province piemontesi, che coerentemente con quanto detto prima sono anche tra le province meno densamente abitate. Per ultimo, l’indicatore di qualità della vita misurato da Il Sole 24 Ore trova i suoi valori più alti nelle province venete e friulane, in corrispondenza con i valori più bassi di conflitto sociale registrati appunto in quelle regioni. La correlazione più forte della qualità della vita è infatti con l’indicatore di malaise, con il quale registra un indice di correlazione negativa del 43,5%10, al netto degli effetti della dimensione urbana.

4.2 ANALISI DI REGRESSIONE E DIMENSIONE EFFICIENTE Prima di un’analisi di regressione è opportuno verificare l’effettiva presenza di correlazione tra le variabili, per cui dopo aver analizzato precedentemente le diverse relazioni presenti tra gli indicatori, totali e al netto della dimensione, ho eseguito un’analisi dei parametri previsti dal modello di Camagni, che risultavano, a conferma della bontà del modello, quelli maggiormente correlati e soprattutto con indici più significativi. Come precedentemente osservato, le variabili che più impattano la dimensione sono rendita fondiaria e malaise. Al terzo posto la densità, con una correlazione del 53,3%, a conferma della letteratura che la definisce espressione delle economie di agglomerazione. Anche la diversità settoriale, rappresentativa della creatività urbana, presenta una correlazione significativa del 38,6%. Unica eccezione riguarda il parametro dei servizi (amenities) che presenta una debole correlazione con la dimensione, seppur positiva. Verifica preliminare di correlazione tra la dimensione (Y) e le variabili indipendenti

Dimensione Servizi Diversità settoriale

Densità Rendita fondiaria

Malaise

Dimensione Correlazione di Pearson

1 .233 ,386* ,533** ,757** ,603**

Sign. (a due code)

.172 .018 .001 .000 .000

N 36 37 37 36 37

Confermate le variabili del modello, si dà il via all’analisi di regressione, la cui capacità interpretativa viene confermata da un R² di 0,643 che spiega appunto il 64,3% della variabilità complessiva della dimensione urbana (maggiore è la varianza spiegata, maggiore è la bontà del modello)11. Vengono effettuate altre verifiche per stabilire la bontà del modello utilizzato, di cui si trovano le tabelle e i grafici in Appendice.

10 Significatività 0,009 (99,1% dei casi) al netto degli effetti della dimensione urbana. 11 L’ R² corretto – che tiene conto dei gradi di libertà del modello, dunque del numero di casi e di variabili utilizzate, risulta 58,3%.

0

100

200

300

400

500

600

700

800

900

0 10 20 30 40 50 60 70 80 90

Qu

alit

à d

ella

vit

a

Malaise (crimini/100 abitanti)

Correlazione tra qualità della vita e malaise

L’analisi di regressione lineare ha individuato un piano di regressione, il quale ci consente di predire la dimensione urbana efficiente sulla base di tutte le variabili che abbiamo inserito come indipendenti nel modello. A questo punto otteniamo per ogni provincia la stima della dimensione efficiente sulla base dei parametri di costo e beneficio immessi. La differenza tra dimensione effettiva e dimensione predetta dal modello è stata calcolata come percentuale:

𝐺𝑎𝑝 =(dim 𝑒𝑓𝑓𝑖𝑐𝑖𝑒𝑛𝑡𝑒 − dim 𝑟𝑒𝑎𝑙𝑒)

dim 𝑟𝑒𝑎𝑙𝑒%

Valori positivi (prima parte del grafico) indicano dunque aree urbane che nella realtà sono più piccole rispetto alla dimensione di equilibrio; dall’altro lato, valori negativi indicano aree urbane la cui dimensione eccede quella di equilibrio. La differenza oscilla in un intervallo che va dal +7,5% al -6,5%, mostrando una buona capacità previsiva del modello.

La media delle differenze percentuali è del 3%. Su 36 province (va esclusa Monza e Brianza causa mancanza dati, quindi esclusa da alcuni punti per valori mancanti), sono 15 quelle di dimensioni maggiori rispetto al valore predetto, contro le 21 di dimensioni minori. Le cause legate alla discordanza tra dimensione effettiva e quella di equilibrio possono essere molteplici; prima fra tutte, il fatto che resta un buon 40% di varianza della dimensione che il modello non spiega, e che comprende tutti quei fattori che qui non si è riusciti a includere nel modello, come il fatto che ci siano centri finanziari, professioni di livello superiore, mercato del lavoro più vario e specializzato, inserimento in sistemi di reti urbane e molti altri aspetti materiali e immateriali che influiscono sulla possibilità dell’area di coprire o meno i costi di espansione, che un modello matematico difficilmente riuscirà mai a cogliere e misurare con esattezza. Si può presumere che alcune province come Venezia, Rimini, Verona, Ravenna, tra le prime classificate in Val Padana per attrattività turistica, presentino una dimensione reale più piccola di quella di equilibrio proprio in vista del fatto che godono di vantaggi derivanti da una popolazione turistica che compensa quella residente, pareggiando costi e benefici delle economie di agglomerazione. La differenza risulta inoltre significativamente correlata con la misura di qualità della vita, molto importante in questo caso nel catturare quegli elementi che non si è potuto cogliere e che prescindono dalla dimensione urbana: l’indice di correlazione mostra un valore pari a -40%, comunicando che un minore stacco tra dimensione reale ed ottima dimostra una maggiore qualità della vita, quasi a voler dire che la dimensione efficiente è davvero efficiente, e avvicinarsi ad essa bilanciando le proprie variabili di costo e beneficio sembra essere una buona direzione per il benessere dell’area urbana.

5 CONCLUSIONI Questo studio testato sulle 37 province selezionate della Val Padana ha confermato che la dimensione dell’area urbana è influenzata da una moltitudine di fattori spesso combinati tra loro, che rendono possibili molte dimensioni di equilibrio diverse per ogni area urbana e per le sue caratteristiche strutturali specifiche, che possono aumentare o diminuire le possibilità di estensione della stessa, determinando costi e vantaggi specifici per ogni area. L’importanza della variabile turistica è stata evidenziata in diverse occasioni, sottolineando l’importanza strategica di un settore ancora troppo sottovalutato e che necessita di opportune attenzioni, basti pensare al conflitto tra le popolazioni temporanea e residente e a quanto questo possa nuocere sui benefici della città, determinando diseconomie, o al tempo stesso all’impatto positivo che un’attenta considerazione della popolazione di users può avere sulle economie di agglomerazione urbana. Elementi come la densità abitativa e la diversità settoriale hanno conseguenze importanti, permettendo alle città di raggiungere una dimensione di equilibrio maggiore, sopportando i maggiori costi urbani associati a

grandi dimensioni urbane; la rendita fondiaria risulta invece il singolo fattore di costo più elevato per la popolazione urbana, che si riflette nella stima di un più elevato parametro all'interno del modello finale. Una volta constatata l’influenza della dimensione, va considerato che più che una questione di dimensione ottima è una questione di dimensione efficiente, che dipende da cosa la città produce e come la produce, comprendendo in analisi di questo tipo il modo in cui è inserita e collabora con il sistema urbano: molto rilevante risulta infatti la presenza di regioni monocefale o policentriche, come abbiamo visto per Milano in confronto all’area emiliana, che crea poli di squilibrio o di cooperazione e struttura in modo completamente diverso l’organizzazione e lo sviluppo territoriale. In questo campo risulta utile appellarsi al modello completo utilizzato da Camagni, ispirato ai più moderni paradigmi interpretativi, che riprende il ruolo e le funzioni delle aree urbane inserendo tra le variabili criteri di rete e gerarchia. Grazie a modelli interpretativi più onnicomprensivi, e anche ad analisi socio-economiche effettuate su basi territoriali più consone agli attuali sviluppi urbani (vedi area funzionale, o area metropolitana), sarebbe possibile la stima di una sempre più realistica dimensione efficiente, che vista anche la correlazione significativa con la qualità della vita, potrebbe davvero funzionare come orientamento per policies più mirate e specifiche rivolte al benessere di famiglie e imprese, in una situazione urbana equilibrata.

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7 APPENDICE

7.1 ANALISI DI REGRESSIONE Verifica degli assunti teorici:

- Gli errori devono avere una distribuzione normale con media 0 e varianza σ² - La varianza degli errori deve essere costante per qualsiasi valore delle variabili indipendenti

7.1.1 Istogramma degli errori per verificarne la normalità

7.1.2 Grafico a dispersione degli errori per verificare la costanza della varianza

7.1.3 Significatività del modello utilizzato: modello 5

ANOVAa

Modello

Somma dei

quadrati gl Media quadratica F Sign.

1 Regressione 1,322 1 1,322 2,874 ,099b

Residuo 15,638 34 ,460

Totale 16,960 35

2 Regressione 1,333 2 ,667 1,408 ,259c

Residuo 15,627 33 ,474

Totale 16,960 35

3 Regressione 4,154 3 1,385 3,460 ,028d

Residuo 12,806 32 ,400

Totale 16,960 35

4 Regressione 10,879 4 2,720 13,864 ,000e

Residuo 6,081 31 ,196

Totale 16,960 35

5 Regressione 10,903 5 2,181 10,801 ,000f

Residuo 6,057 30 ,202

Totale 16,960 35

a. Variabile dipendente: Dimensione LN b. Predittori: (costante), Amenities LN c. Predittori: (costante), Amenities LN, Diversità settoriale LN d. Predittori: (costante), Amenities LN, Diversità settoriale LN, Densità LN e. Predittori: (costante), Amenities LN, Diversità settoriale LN, Densità LN, Rendita fondiaria LN f. Predittori: (costante), Amenities LN, Diversità settoriale LN, Densità LN, Rendita fondiaria LN, Malaise LN