Mitopoiesi padana, ovvero "Barbarossa" di Renzo Martinelli

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Questo lavoro si propone di interrogare un'opera della cinematografia contemporanea italiana dedicata al medioevo, Barbarossa di Renzo Martinelli, e di trarne non solo indicazioni sull'ideologia in essa propugnata (invero abbastanza evidente), ma sui meccanismi mitopoietici di strumentalizzazione di un fatto storico in varie e diverse epoche.L'avvenimento storico in esame, la lotta tra i Comuni norditaliani e l'impero di Federico Barbarossa ha subito nei secoli le più svariate interpretazioni. Dapprima, in epoca contemporanea ai fatti, si scontrarono l'ideologia universalistica della curia imperiale e quella localistica (con molte importanti sfumature) delle cronache italiche: sottolineeremo le differenze tra queste testimonianze, nonché il simbolismo collettivo e anonimo dei Comuni, espressione della loro innegabile originalità e peculiarità.In seguito, durante la signoria dei Visconti, a Milano nacque la leggenda di Alberto da Giussano e della Compagnia della Morte, probabilmente inventata dal monaco e storiografo Galvano Fiamma al fine di ingraziarsi la famiglia al potere.La mitologia della battaglia di Legnano, del giuramento di Pontida e dell'unione contro l'invasore tedesco divennero un simbolo per la storiografia risorgimentale: con una campagna generosamente finanziata che impegnò tutte le arti (pittura, poesia, drammaturgia, retorica, melodramma), questo mito divenne funzionale alle necessità espansionistiche del Regno di Sardegna, pronto a diventare Regno d'Italia.In una delle misteriose quanto affascinanti svolte della storia, daremo conto dell'uso di queste medesime mitologie (ora «padane») da parte del partito politico della Lega Nord di Umberto Bossi, per lo scopo, diametralmente opposto a quello risorgimentale, di dividere il Paese.Utilizzando gli strumenti analitici di F. Jesi e R. Barthes, analizzeremo il film di Martinelli in se e per se, notando come, lungi dall'appiattirsi sulle posizioni leghiste più becere e propagandistiche, questo film si ricolleghi ai teorici neoguelfi che propugnano una moltitudine di localismi particolaristici e protetti, sempre però sotto l'egida di una comune civiltà occidentale rappresentata dalle istanze del glorioso impero universale sognato dal Barbarossa.Infine troveremo in Baudolino di Umberto Eco, romanzo postmoderno che tratta sia i fatti storici qui in esame sia la metanarrazione (ovvero la narrazione delle narrazioni, delle mitopoiesi), un esempio importante, quasi provvidenziale, che suggerisce come rovesciare le narrazioni del potere tramite il racconto, l'invenzione, la leggerezza, senza tralasciare la serrata analisi storica e l'accettazione dei molteplici e diversi punti di vista che rendono la realtà così interessante.

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UNIVERSIT DEL SALENTO FACOLT DI LETTERE LINGUE E BENI CULTURALI CORSO DI LAUREA IN LETTERE Raffaele My Matricola n. 10072452

MITOPOIESI PADANA, ULTIMO ATTO ovvero Barbarossa, un film di Renzo Martinelli

TESI DI LAUREA IN STORIA MEDIEVALE

Tesista: Raffaele My Relatore: Chiar.ma Prof.ssa Carmela Massaro

ANNO ACCADEMICO 2011/12 1

Sono sempre alla ricerca della verit perch l'ignoranza del presente nasce dall'incomprensione del passato.1 Renzo Martinelli

INTRODUZIONE:

Il film Barbarossa (in inglese britannico Barbarossa: Siege Lord, in americano Sword of War) di Renzo Martinelli, uscito il 9 ottobre 2009, stato unanimemente definito dalla critica (con l'eccezione del sen. Umberto Bossi), un fiasco, un polpettone indigesto ed enfatico2, un caso di megalomania lombardo-leghista3, di qualit tanto scarsa che ci si domanda se non sia una parodia 4: una pallida imitazione del Mel Brooks di Robin Hood un uomo in calzamaglia piuttosto che del Mel Gibson di Braveheart, a cui il regista dichiara di ispirarsi. Il pubblico da parte sua ha concordato senza riserve con i critici disertando le sale; e disertando, l'anno successivo, RaiUno che, per giustificare il contributo milionario concesso per diretta intercessione del Presidente5, infliggeva in prima serata il kolossal agli incolpevoli abbonati. I dati sono impietosi. L'investimento dichiarato incerto (il regista ha dichiarato prima 25, poi 12, poi 7 milioni di euro di spesa), certo il passivo; l'incasso al cinema stato inferiore al milione di euro, i dati auditel hanno fotografato una sconfitta totale di RaiUno rispetto ai competitors6, probabilmente mitigata dal coma profondo indotto nei telespettatori, impossibilitati, forse gi dopo le1 Anonimo, Da Bossi a Berlusconi tutti in prima fila al castello Sforzesco per Barbarossa http://www.adnkronos.com/IGN/News/Spettacolo/?id=3.0.3835386591 (cons. il 10/10/2012) 2 G. Vallini, Che Barba (rossa), in L'Osservatore Romano, 9 ottobre 2009 3 M. Cabona, Questo Barbarossa un megalomane, in Il Giornale, 9 ottobre 2009 4 R. Ronconi, Povero Barbarossa ma ci fa o ci ? in Liberazione, 9 ottobre 2009 5 Trascrizione: http://espresso.repubblica.it/dettaglio/pronto-silvio-sono-sacca/1917587 (cons. il 15/10/2012) 6 13,3% di share Auditel cons. http://www.davidemaggio.it/archives/56230/ascolti-tv-di-lunedi-26marzo-2012-panariello-non-esiste-chiude-al-25-19-con-5-5mln-flop-di-barbarossa-13-3

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magniloquenti atmosfere sonore dell'apertura, a cambiare canale. Un tale esempio di miopia imprenditoriale (dei vertici Rai, non certo del regista e produttore Martinelli che ha incassato a piene mani) non pu purtroppo essere spiegato dalla sola incompetenza. Evidente infatti la responsabilit del potere politico, soprattutto della Lega Nord: lo prova l'intercettazione sopra citata, in cui Silvio Berlusconi fa riferimento alle esplicite pressioni di Umberto Bossi perch il film riceva i contributi, nonch le prime interviste al riguardo del regista, concesse al quotidiano La Padania.7 Alcuni hanno cercato di attribuire alle polemiche politiche scatenate da queste esternazioni la pessima accoglienza del pubblico, soprattutto meridionale, forse ancora offeso al ricordo di certi epiteti affibbiati da esponenti leghisti8. Tuttavia, se pure qualcuno (come chi scrive) pu riconoscere di essersi accostato al film con pregiudizi politici e/o estetici, ogni sospetto di parzialit riscattato sia dall'opinione ugualmente negativa e unanime della critica internazionale9 (si spera all'oscuro di certa politica italiana) sia dalla visione delle prime battute del film. Italia, dodicesimo secolo. Le terre del Nord sono dominate da un imperatore tedesco, Federico Hohenstaufen detto Barbarossa. Il suo sogno di conquistare le terre del Centro e del Sud, cos da far rivivere l'impero che fu di Carlo Magno. Nelle terre del Nord c' un milanese, Alberto da Giussano. Il suo sogno sconfiggere l'imperatore e ridare la libert alla propria gente. Cos recita il cartello posto dopo i fiammeggianti titoli d'apertura. Il film vero e proprio comincia con un impavido ragazzino milanese armato di balestra semiautomatica10 (il giovane Alberto da Giussano) che salva da un feroce cinghiale Federico Barbarossa, il quale, riconoscente, gli dona in cambio un prezioso pugnale.7 http://www.lapadania.com/PadaniaOnLine/Articolo.aspx?pDesc=78376,1,1 8 Mai dimenticare il deputato europeo Borghezio: www.youtube.com/watch?v=dytOacNMrwQ (cons. il 20/102012) 9 Una critica estetica e storiografica in A. Von Tunzelmann,Barbarossa: Siege Lord why the emperor needs a new movie in http://www.guardian.co.uk/film/filmblog/2012/may/16/barbarossa-siege-lordemperor. Una serie di recensioni di utenti anglofoni, che assegnano un voto medio di 4,4/10, in http://www.imdb.com/title/tt1242516/ (cons. il 20/10/2012) 10 Nel senso che si ricarica automaticamente (min. 04.05).

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Tornato in citt per il matrimonio del fratello Alberto incontra la sua futura amata Eleonora ed testimone di una scena cruenta che evidentemente ne segner il carattere: il perfido Siniscalco Barozzi, anch'egli milanese e ministeriale dell'imperatore (forse ispirato al misterioso Giordano Scaccabarozzi, che secondo le cronache durante l'assedio del 1162 trad la citt guadagnandosi l'epiteto di proditor, traditor nefandissimus et sceleratissimus omnium 11) irrompe con un prigioniero, un ragazzino sorpreso a cacciare di frodo, e gli fa tagliare la mano in piazza. Il sangue (un purpureo effetto speciale aggiunto digitalmente in postproduzione) schizza copioso sui presenti. In quella il siniscalco nota fra i presenti la coraggiosa bionda sorella di Eleonora, Tessa, di cui si innamora perdutamente a prima vista. Passando alle imprese di Federico la scena si sposta sulla mistica Hildegarda di Bingen, dipinta come una profetessa spiritata che predice al Barbarossa, impegnato nella riunificazione dell'Impero, alcuni segni di sconfitta e morte, nonch la riuscita del suo matrimonio (nella scena successiva) con Beatrice di Borgogna. Tornando in Lombardia assistiamo allo sbocciare dell'amore del giovane eroe per Eleonora, piccola strega sopravvissuta in giovent a un fulmine che per sembra provocarle periodiche allucinazioni, ansia, midriasi, iperventilazione, discorsi in latino. Gli anni passano in un toccante fast-forward, che ci riconsegna un Alberto ormai barbuto e dall'espressione indurita, impegnato in un pericoloso contrabbando in terra lodigiana che si conclude con il suo ferimento. Gli emissari di Lodi (in seguito, par di capire, a questo pesante affronto) vengono mandati presso l'Imperatore per chiedere giustizia, ed egli, magnanimamente, decide di mandare un avvertimento tramite il pi fido consigliere Rainaldo di Dassel (arcivescovo di Colonia e cancelliere imperiale, qui raffigurato come un laico). I consoli milanesi ricevono il cancelliere, seconda persona dell'impero, con incredibile e inspiegata arroganza. Calpestano in sua presenza i sigilli imperiali, s che pi avanti Rainaldo si lamenter di essere stato picchiato, quasi ucciso dalla plebaglia. Quando poi il console pi pacato chiede quale sar la strategia di difesa dalla prevedibile reazione imperiale, gli viene risposto dal focoso collega: attaccheremo Lodi. Ovviamente la risposta di Federico brutale: parte per l'Italia, distrugge Brescia,11 G. .Milani, L'esclusione dal comune. Conflitti e bandi politici a Bologna e in altre citt italiane tra XII e XIV secolo, Roma 2003.

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taglia le orecchie ai consoli di Verona, giunge infine (aiutato da numerose citt lombarde) a cingere d'assedio Milano, nonostante il sempre pi infido Barozzi cerchi di rassicurarlo, in moneta sonante, sulla lealt di buona parte dei nobili. Mentre l'imperatore si avvicina e i difensori scavano un fossato contro le sue macchine da guerra, Eleonora, l'amata dell'eroe, ha una visione che le indica il luogo dove sono sepolti i Re Magi ma che le ingiunge di lasciarli riposare. Il vescovo, seguendo una logica abbastanza singolare, dato che chi trova delle reliquie tanto importanti dovrebbe perlomeno godere della benevolenza divina, la accusa di stregoneria; ma la ragazza non subisce particolari conseguenze e viene lasciata andate indisturbata. Una volta cominciato l'assedio la citt resiste valorosamente e Barbarossa decide per una strategia attendista, che poco dopo d i suoi frutti. Indeboliti dalla fame infatti i milanesi devono tentare una sortita per recuperare vettovaglie. Barozzi, facendo biecamente leva sul loro senso dell'onore, convince i fratelli di Alberto Otto e Raniero (da poco sposato con la sua amatissima Tessa) a partecipare alla spedizione nella speranza neanche tanto velata che soccombano. Catturati, i coraggiosi vengono legati alle torri d'assedio (una tecnica, pare, veramente utilizzata dal Barbarossa nell'assedio di Crema) per inibire la difesa dei milanesi. Questi cedono al panico, mentre i fratelli da Giussano chiedono a gran voce di essere sacrificati per la citt. Barozzi non se lo fa ripetere e scaglia un verrettone nella gola del rivale in amore, imitato da Alberto, disperato. Non solo, anche l'anziano Da Giussano padre viene colpito e accecato. L'eroe, distrutto dal dolore, tenta un'azione solitaria per assassinare l'imperatore, ma viene scoperto. Il sovrano per riconosce il ragazzino che lo aveva salvato tanti anni prima e magnanimamente lo risparmia; la citt invece cade poco dopo per un altro tradimento del Barozzi e viene distrutta dalle fondamenta. Subito dopo l'imperatore ottiene l'incoronazione a Roma (gi definita debole e malata), ma nello stesso giorno scoppia un'epidemia di peste, che viene interpretata come un segno divino in favore del nemico, il papa Alessandro: lo spettatore confuso si chiede che diavolo c'entri costui, visto che solo un minuto prima c'era di sicuro un pontefice all'incoronazione, ed era stato definito il papa che lui stesso [Federico] si scelto. Ci avviciniamo al punto centrale del film: una riunione segreta a Pontida, in cui il 5

fior fiore della nobilt milanese arringato dal padre di Eleonora, mastro Guidelmo; una figura tra l'architetto comunale, l'inventore di macchine da guerra e l'ideologo, sempre vestito di sacco (si intuisce che sono state le tasse, di cui si lamenta a gran voce, a impoverirlo). In quella, Alberto da Giussano compare all'improvviso e dopo aver proposto la ribellione e l'unione dei Comuni del Nord declama con tautologica magniloquenza: Siete nobili: fate un gesto nobile! Dopodich va a prendere Eleonora che dapprima fa delle obiezioni veramente pretestuose e incomprensibili, poi decide di non ribellarsi al suo destino di damigella dell'eroe. Appena per i due arrivano a casa di Alberto, ecco di nuovo Barozzi, ancora nei panni dello sceriffo di Nottingham, venuto a riscuotere le tasse e a seminare gratuitamente distruzione nell'operosa officina Giussano. La misura colma: viene fondata la Compagnia della Morte e forgiati gli anelli distintivi (acclusi nel merchandising del film). Mentre l'imperatore si lascia finalmente convincere a lasciare la pestilenziale Roma e tornare in Germania, Alberto e i suoi sodali viaggiano per campagne e citt, reclutando nuovi accoliti con parabole quale quella, evocativa, delle verghe di legno che unite in fascio non possono essere spezzate. Lo slogan Resteremo tutti insieme, uniti, sotto la Lega Lombarda! Il vile Barozzi per non sta a guardare e, solerte, informa di persona l'imperatore, che promette una nuova discesa in Italia in primavera. Nel frattempo si preparano nuove tragedie private. Scopriamo che Tessa non morta ma si rifugiata in convento, e assistiamo al matrimonio e alla prima notte di nozze tra Alberto e Eleonora. La felicit dei nostri beniamini per dura poco. Barozzi sempre in agguato e, guidato pare dal suo istinto ferino, irrompe nel monastero di clausura dove Tessa si votata al Signore. Non rispettando nulla, n patria n religione, toglie il velo alle monache e scopre il volto della sua amata. La bionda novizia dai lunghi capelli (impersonata da Federica Martinelli, figlia del regista), terrorizzata, sale su una torre, si lancia nel vuoto e muore. Le emozioni dello spettatore al cospetto del lato umano, a dire il vero patetico, del malvagio siniscalco che urla in lacrime Nooooooooo! sono inesprimibili. Io l'amavo davvero, dice per giustificarsi, durante il funerale, a sua sorella Eleonora, che per tutta risposta gli infila un pugnale nella gola, non riuscendo per a ucciderlo. Figurarsi qual' 6

la reazione dell'eroe alla notizia che la sua amata stata portata nel campo imperiale dell'assedio di Alessandria e sar bruciata come strega. In realt restiamo interdetti: Alberto piange, urla, si raggomitola in posizione fetale, e nella scena successiva se ne fa una ragione. Come mai non tenta un'azione coraggiosa e solitaria come all'inizio del film? Non proprio la reazione che ci aspetteremmo da un uomo che ha fatto dello sprezzo della morte la sua bandiera. A questo punto l'identificazione emotiva con questo personaggio definitivamente impossibile. L'assedio di Alessandria intanto procede a rilento, a causa della pioggia: gli uomini sono stanchi, si cerca con difficolt di scavare una galleria ma questa crolla miseramente. il momento per Federico di rinunciare. Dopo averlo spronato ancora una volta, la volitiva imperatrice gli parla della strega (Eleonora) che ha incontrato nelle prigioni restando affascinata dal segno del fulmine. Beatrice lo prega di risparmiare la strega per non attirarsi la malasorte, ma Barbarossa, da buon cristiano, non accetta. Il vendicativo Barozzi ha cos la soddisfazione di vederla bruciare. Una serie di indizi per (il boia che afferma di aver affrettato l'esecuzione per volont della regina Beatrice, la sventurata strega che brucia con il volto coperto da un sacco) ci fa capire che le cose non sono come sembrano: gi a questo punto insomma lo spettatore pu prevedere il colpo di scena nell'epilogo del film. Nel frattempo mastro Guidelmo ha inventato l'arma decisiva: dei carri con all'interno alcuni confederati armati di lunghe falci, con cui tagliare la testa ai cavalieri dell'imperatore.12 il momento dell'arringa finale di Alberto, che esorta i suoi urlando LIBERT! con un'intonazione che ricorda assai pi un grido di vendetta13 e variazioni sul tema meglio un giorno da leone che cento da pecora. Siamo giunti all'ultima battaglia. A Legnano mancano Enrico il Leone (ho quarant'anni maest, non posso pi permettermi certe cose) e le sue truppe fresche, eppure Barbarossa, confidando nella propria naturale superiorit militare e strategica (I milanesi sono stupidi! Distruggeremo la cavalleria e i fanti scapperanno a casa) fin troppo sicuro di s.12 Questi carri falcati, di cui il consulente storico del film Rossi di Marignano asserisce di aver trovato tracce, sono probabilmente tratti dalla fantasia del G. Pascoli delle Canzoni di Re Enzio: Reddiano stanchi i falciatori a vespro, / rossi di sangue, e rosso era di sangue / il carro (...) 13 T. di Carpegna Falconieri, Barbarossa e la Lega Nord, in Quaderni storici n.3. Dicembre 2009

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Invece la Compagnia della Morte lo attira in una trappola ben congegnata e si ritira, lasciando indietro il Carroccio difeso da uno schiltron circolare14 di picchieri (che per non sembra avere parte alcuna in battaglia). Da dietro alcuni cespugli posticci (anch'essi di certo opera di mastro Guidelmo) spuntano una miriade di carri falcati che decapitano un buon numero di cavalieri. I soldati tedeschi sono decimati, le scene truculente si sprecano: il cavallo di Federico, colpito da una falce, trascina con s l'imperatore. Comincia lo scontro delle cavallerie scelte che giunte a contatto, smontano in tutta calma e solo una volta a piedi cominciano a menare fendenti. La vittoria pare scontata. Non uccidermi, ti prego, ho molti soldi, piagnucola il Barozzi mentre viene sgozzato da Alberto con calma vendicativa. E poi, quando ormai non ci speravamo pi, il miracolo: Eleonora senza dire niente a nessuno aveva partecipato alla battaglia travestita da cavaliere (per motivi suoi imperscrutabili) e viene ritrovata, ferita ma viva. Hanno bruciato un'altra al mio posto! Forse il regista si aspettava in questo momento, da parte del pubblico, gli Oh! e gli Ah! della giuria di Perry Mason durante qualche incredibile rivelazione. Purtroppo per lo spettacolo non fu avvincente, n la suspence ci fu davvero. LIBERT!, ripetuto tre volte, conclude il film, mentre due pannelli informano sul destino dell'imperatore, sopravvissuto, e quella di Alberto da Giussano che come favola volle visse a lungo con Eleonora ed ebbe numerosi figli, nonch dei Comuni padani che avevano ormai ottenuto la loro libert... (puntini di sospensione: la storia, evidentemente, continua.)15

14 Formazione in cui i lancieri si stringono a cerchio intorno a un obiettivo da difendere, puntando verso tutti i lati con le punte acuminate. Cfr. J.F. Verbruggen The Art of Warfare in Western Europe during the Middle Ages, Woodbridge 1997 15 Ci rendiamo conto che questa sintesi del film pu sembrare scritta in maniera poco consona ad un lavoro di tesi. Ce ne scusiamo, puntualizzando tuttavia che l'eterogeneit dei linguaggi utilizzati e lo stile in parte ironico, sono l'unico modo che abbiamo trovato per rendere sulla pagina il tono (colonne sonore, recitazione, dialoghi) ancor pi eterogeneo di questo film, che alterna momenti di retorica veramente forzata a momenti di disarmante e a volte spassosa superficialit.

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Mettendo da parte le involontarie amenit, il momento di sottolineare che, tra tanti difetti riscontrati dalla critica (mal scritto, gonfio di banale retorica, funestato da una colonna sonora soporifera, da effetti speciali ridicoli e interpretazioni di scarsa qualit) Barbarossa ha un 'pregio' che non pu non sorprendere, considerando la storia della sua produzione: esso non quell'opera rigidamente manichea che ci si aspetterebbe, lo molto meno per esempio di Braveheart: si direbbe che il regista, al contrario di Mel Gibson (intransigente fanatico cristiano), abbia sofferto una certa indecisione di fondo. Forse nonostante la committenza politica, o proprio a causa dell'evidenza di questa, Martinelli ha cercato di sfumare i toni, per recuperare anche il pubblico non leghista? Forse vuole semplicemente rivolgersi a un gruppo di consumatori pi ampio delle camicie verdi? Non possiamo saperlo con certezza. Eppure molti indizi portano in una direzione diversa, meno padana ma anche pi inquietante. Innegabile ad esempio il paradosso di intitolare il film non ad Alberto ma all'antagonista principale. Federico I d'altronde l'unico personaggio dotato di qualche credibile e non troppo incoerente sfaccettatura caratteriale, oltre a essere certamente una figura storica ben pi conosciuta del poco conosciuto (e forse storicamente inesistente) Alberto da Giussano. Non sembra un caso che il miglior attore del cast, il famoso Rotger Hauer di Blade Runner, impersoni l'imperatore, conferendogli dignit certamente maggiore rispetto agli altri personaggi. Insomma in pi di un punto ci si sente spinti a identificarsi pi con la ricerca della Gloria dell'impero universale che con la Libert urlata da Alberto da Giussano; si potrebbe pensare che i due aspetti creino un conflitto interiore irrisolvibile nello spettatore, che per reazione si distacca emotivamente da entrambi e, complice la figura unidimensionale dell'eroe, sospende la sospensione dell'incredulit, perdendo semplicemente interesse. Questo film un meccanismo malfunzionante con gli ingranaggi in vista: un'ottima occasione per capire meglio come funziona la creazione di un'ideologia basata sul mito.

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Il primo indizio semantico: ovvero l'uso incessante, ripetitivo fino alla nausea, di concetti quali Gloria universale, Libert, Onore, parole con la maiuscola che non si arriva mai a circostanziare e storicizzare Per usare la definizione di un ideologo della destra tradizionalista, Oswald Spengler, essi appartengono al novero di quelle pretese idee senza parole intrinsecamente reazionarie16. Torneremo su questo punto: basti notare per ora che i concetti mitici sono dei mezzi potenti di persuasione irrazionale ma soffrono di una intrinseca fragilit: sono efficaci solo fintanto che restano vaghi, non specificati, iperuranii. Chi commette l'errore di analizzare per esempio la Libert cercata da Alberto da Giussano, chiedendosi a che Libert ci si riferisca, in questo film trova esattamente il vuoto: per chi questa libert? libert da chi e da cosa? Dalle tasse? Dal tedesco che impone la volont di Roma ladrona? E libert di far cosa? Di opprimere i lodigiani, colpevoli solo di chiedere dazi e portare elmi a punta? Non si sa, c' il vuoto. Lo spettatore attento, insomma, percepisce subito che qualcosa non torna. Il mito, che gi di per s secondo alcuni pu essere definito come un flusso che avvolge tutti gli enunciati azzerando la loro contraddittoriet e assorbendone il potere critico17 non genuino: stato tecnicizzato18, ovvero piegato alle esigenze di un particolare gruppo sociale che si serve dei materiali mitologici per creare una legittimazione ideologica che vada al di l del pensiero critico. Pensiero critico che oggi tanto pi complicato, quanto pi la comunicazione diventa veloce fino a diventare simultanea, e le forme d'espressione pi effimere e quindi refrattarie all'analisi (film, serial televisivi, pubblicit...). Non detto tuttavia, bisogna sottolinearlo, che questa omogeneizzazione de-criticizzante sia un fenomeno in tutto o in parte cosciente per l'artista, che a volte, scrive Jesi parafrasando Mahler, pu essere un cacciatore che spara nel buio e non sa n a cosa mirava n cosa eventualmente abbia colpito 19. Oltretutto non si tratta nemmeno di un fenomeno appannaggio solo della destra16 R. Barthes, Miti d'oggi, Torino 2005. 17 F. Berardi (Bifo), Exit. Il nostro contributo all'estinzione della civilt. Genova 1997. 18 F. Jesi, Cultura di destra, Milano 1979. 19 Furio Jesi, Letteratura e mito, Torino, 1981, pag. 19.

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tradizionale, anche se questa maestra nel creare una cultura entro la quale il passato una sorta di pappa omogeneizzata che si pu modellare e mantenere in forma nel modo pi utile. Cultura in cui prevale una religione della morte o anche una religione dei morti esemplari. Cultura in cui si dichiara che esistono valori non discutibili, indicati da parole con l'iniziale maiuscola, innanzitutto Tradizione e Cultura, ma anche Giustizia, Libert, Rivoluzione. Una cultura, insomma, fatta di autorit, di sicurezza mitologica circa le norme del sapere, dell'insegnare, del comandare e dell'obbedire.20 Questa procedura ben pi radicata di un partito o di una tradizione politica, e la sua prima vittima la verit storica: qualcosa che ha a che fare con la stessa cultura umanistico-borghese e con il modo in cui il pensiero occidentale produce realt, strutturando l'immagine del tempo e di un continuum della storia[] L'umanesimo borghese e storicista religio mortis in quanto rapporto con il passato, poich questo cessa di essere leggibile, viene risignificato e diventa strumento di legittimazione per chi vi fa riferimento riconoscendo in modo arbitrario le proprie radici in un processo di invenzione: nella modernit la mitologia il sapere funzionale alla costruzione del senso presente mediante il passato, modalit operativa dell'ideologia21 La Libert, la Gloria. La compagnia della Morte. La storia (omogeneizzata) che continua fino a oggi, con tanto di puntini di sospensione, in chiusura del film, a suggerirlo. Ancora: fondamento profondo dello spirito borghese organizzare la vita entro un microcosmo ove tutti i rapporti sociali rivelino la presenza di mura ben salde22. Quest'attitudine a rappresentarsi la vita entro piccole enclavi fa s che l'ideologia borghese tenda a riprodurre ovunque schemi mitici che richiamano a queste piccole fortezze, nelle quali l'individuo possa beneficiare delle proprie libert, non lese dall'azione esterna: ci avvenuto, sul piano ideologico, specie a partire dal decadimento di quella societ, scatenando un'esasperata rincorsa all'erezione di cinte murarie, dinanzi al minaccioso avanzare delle forze sempre escluse dal microcosmo sereno. Emblema di questo immaginario la citt, che Jung ha collegato alla figura del20 F. Jesi, intervista a L'Espresso 24 giugno 1979 21 E. Manera, Memoria e violenza. Immagini della macchina mitologica, in M. Belpoliti e E. Manera (cura) Furio Jesi, Milano 2010 p. 332 22 F. Jesi, Germania segreta. Miti nella cultura tedesca del '900 Milano 1967 p.93

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mandala, come simbolo della fondazione della personalit individuali. [...] la Lubecca di Thomas Mann, il borgo come forma dello spirito.[...] Lubecca il borgo che all'apparenza perfetto nella sua bellezza armoniosa, ma che nasconde i mostri pi terrificanti nelle sue viscere, mostri che deve nutrire o deve scacciare fuori dalle mura, continuamente.23

Il borgo come luogo protetto, minacciato, da difendere, da ricostruire. Il borgo che per nasconde il vero nemico, un concittadino, Barozzi. Si potrebbe pensare di star indulgendo nella sovrainterpretazione di un brutto film, che come tale dovrebbe meritare solo un giusto oblio, che lavi questa macchia dalla carriera di bravi attori come Rotger Hauer (Federico Barbarossa), Raz Degan (Alberto da Giussano) e Ccile Cassel (Beatrice di Borgogna). Forse cos. Tuttavia l'occasione troppo ghiotta, e le coincidenze sembrano rivelatrici. Tutti gli elementi ricordati concordano, in modo forse non casuale, a far ritenere di trovarsi di fronte a una tipica macchina mitologica: per disfunzionale. Essa infatti, proprio per il suo imperfetto manicheismo, la non chiara divisione tra buoni e cattivi e la mancanza di un'acuta caratterizzazione dei personaggi che qui rifiutano di cambiare, accettare i propri difetti (fondamentali per creare un eroe credibile) e superarli, maturando nel corso dell'arco narrativo24, fallisce nel suscitare le emozioni primarie dovute all'identificazione: laddove in Braveheart, pur se controvoglia, soffriamo davvero per la sorte di Wallace/Gibson, qui difficilmente proveremmo qualcosa se Alberto da Giussano venisse torturato. Ecco perch questo film materiale prezioso per lo storico e il mitologo. Abbiamo a disposizione un prodotto culturale recentissimo ma gi pronto per l'autopsia, dilaniato dalle contraddizioni interne e, probabilmente, dalle pressioni esterne di finanziatori ben definiti. Possiamo osservare l'evoluzione lunga 800 anni di un mito, quello della battaglia di Legnano, che nasce come espressione di una collettivit anonima,23 F. Simonetti, Archetipi, mito e cultura di destra tra Carl Jung e Furio Jesi in http://www.academia.edu/1166023/Archetipi_mito_e_cultura_di_destra_tra_Carl_Jung_e_Furio_Jesi 24 B. Moyers, J. Campbell. Il potere del mito Parma 1990

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simboleggiata dal Carroccio, per trasformarsi poi con il cronista Galvano Fiamma, secoli dopo e in una situazione estremamente differente, nel mito di un uomo eccezionale che regge le sorti di una Lega destinata a riconoscere e far riconoscere la sovranit di Milano, ormai Signoria. Poi, durante il Risorgimento, questa storia diventer emblema dell'orgoglio della nazione italiana, in procinto di essere partorita dall'ideologia di un'lite che ha bisogno di inventare un popolo. Un emblema che nell'ultima parte del XX secolo diventer ostaggio di uno spregiudicato gruppo politico disposto a inventare dal nulla una regione storico-geografica, la Padania, per perseguire i propri scopi secessionisti, intolleranti, per ammissione di alcuni suoi esponenti addirittura neofascisti25. Potremo giovarci nella nostra analisi, giunti al 2001, della migliore risposta a questo processo mitopoietico, elaborata sotto forma di metanarrazione dal chiarissimo Umberto Eco nel suo romanzo postmoderno Baudolino, anch'esso ambientato durante le alterne vicende di Federico Barbarossa; romanzo che nascostamente, a nostro parere, ha tanto influenzato questo film da essergli spesso esattamente speculare. Infine torneremo al Barbarossa del 2009, e cercheremo di leggervi i segni del nostro tempo e delle idee espresse con e senza parole da Renzo Martinelli.

25 http://www.youtube.com/watch?v=0AfJtOzxU7E&feature=related (cons. il 20/10/2012)

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Le campagne di Barbarossa in Italia nelle cronache contemporanee Le gesta di Federico I in Italia sono state oggetto, come probabilmente normale per una fase tanto confusa, di una storiografia che non si fatta scrupolo di sovrapporre le proprie categorie interpretative a quelle dell'et comunale. Parliamo della storiografia ottocentesca, che vide il Sacro Romano Impero come uno Stato assoluto, straniero e centralizzato, e i comuni come libere istituzioni borghesi anticipatrici di un sentimento di unit nazionale. Ci occuperemo pi avanti di questa linea interpretativa che tanto si radicata nel modo di pensare degli studenti, ancora oggi, a partire dalla scuola elementare. Difficilmente oggi troveremo dei medievalisti disposti a sostenere tali parallelismi. Eppure anche per la storiografia scientifica non semplice destreggiarsi tra le fonti contemporanee ai fatti narrati, ovviamente divise tra favorevoli e contrarie all'imperatore, e quelle di alcune generazioni successive, dove anche alla luce dell'operato del nipote di Federico Barbarossa, Federico II di Svevia, l'accento si pone sul ruolo papale e sulla divisione del potere terreno e spirituale. La maggior parte di queste cronache successive, italiche e scritte su suolo italico, sono favorevoli al buon Barbarossa (come lo chiam Dante) e alla causa che egli rappresentava: cominciava a diventare evidente il problema di non avere una fonte temporale del potere e del diritto, abbastanza potente da essere capace di accentrare l'uso della violenza, sedare le faide tra italiani e affermare come Giustiniano che Quod principi placuit, legis habet vigorem. Tornando all'epoca dei fatti narrati, l'ipotesi di un classico saggio di R. Holtzmann26 individuava in una vera e propria staufische Hofhistoriographie, una storiografia sveva di corte, il motore della storiografia federiciana del XII secolo. Secondo questa tesi,26 R.Holtzmann. Das Carmen de Frederico I Imperatore aus Bergamo und die Anfnge einer staufischen Hofhistoriographie, in Neues Archiv der Gesellschaft fr ltere deutsche Geschichtskunde 1922 pp. 252313

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confutata nei suoi contenuti filologici da E.Ottmar,

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l'ideologo di questo tentativo

sarebbe stato il cancelliere Rainaldo di Dassel, il cui pensiero starebbe dietro la lettera inviata da Federico a suo zio Ottone di Babenberg, vescovo di Frisinga, per spingerlo a scrivere le Gesta Friderici, poi continuate dopo la sua morte dal discepolo Rahevino. Questa lettera pu essere o non essere opera diretta di Rainaldo, n lecito individuare un vero e proprio programma propagandistico dietro la storiografia profedericiana dell'epoca: quello che certo che l'imperatore, prima di dare disposizioni cos importanti, e in un anno denso di avvenimenti quale il 1157, si avvalso del consiglio politico della cancelleria. La lettera, inserita nella premessa alle Gesta, dal tono narrativo ma dal contenuto chiaramente programmatico, traccia da una parte le linee degli eventi che videro protagonista il giovane sovrano, ma soprattutto le linee dell'interpretazione che il sovrano stesso imponeva come parte integrante del suo programma di governo: il racconto delle sue imprese doveva essere una nuova forma di rivendicazione dei diritti imperiali, un segno di forza e potenza.28 Ottone si trov in una situazione non facile: stava ultimando infatti un'altra opera storiografica, la Historia de duabus civitatis in cui, secondo gli stilemi religiosi di rigore all'epoca, mundus senescit: ovvero, il mondo va in decadenza, non importa cosa accada, poich ci si avvicina alla catastrofe (la caduta dell'Impero) che preceder il ritorno di Cristo in terra. Chiaramente questi toni poco si addicono alla storia di un novello imperatore: Ottone dipinse dunque Federico come colui che fu scelto da Dio per saldare la larga crepa che si era aperta nell'edificio imperiale, nonch per riunire sotto la sua protezione le due citt, la Civitas Dei e la Civitas terrena. L'impressione che si rileva dalla lettura dell'opera del vescovo di Frisinga che egli abbia aderito formalmente al volere del sovrano, ma senza rinunciare al suo giudizio di storico e uomo di chiesa. A questa fonte ne vanno aggiunte altre, sempre dipendenti dai canoni e dalle notizie fatte circolare dalla cancelleria imperiale, e favorevoli alle sue posizioni, ma che non paiono abdicare a una posizione indipendente: il Carmen de gestis Frederici I imperatoris in Lombardia, scritto da un anonimo di origine italica, il poema anonimo Ligurinus, la27 E. Ottmar. Das Carmen de Frederico I imperatore aus Bergamo und seine Beziehungen zu Otto Rahewins Gesta Frederici, Gunthers Ligurinus und Burchard von Ursbergs Chronik in Neues Archiv 1926, pp. 430489 28 P. Brezzi. Ottone di Frisinga in Bullettino dellIstituto Storico Italiano per il Medio Evo 1939 p.250

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Chronica di Burcardo di Ursperg, lo scritto di Goffredo da Viterbo. Tutte mostrano una certa comunanza delle fonti e dei temi e una sicura compattezza propagandistica filoimperiale: ma non permettono di esprimersi in maniera conclusiva sull'esistenza o meno di un disegno storiografico direttamente riconducibile alla curia imperiale.29 Oltre a queste, una delle fonti pi importanti da considerare, riguardo le vicende in terra italica dell'imperatore, la cronaca (filoimperiale ma dotata di un punto di vista originale) De rebus Laudensibus, scritta dai lodigiani Ottone e Acerbo Morena, padre e figlio, nonch console e podest della citt di Lodi, che sicuramente parteciparono alla vita della corte imperiale durante le discese in Italia. La loro cronaca va da 1153 al 1164, e venne poi continuata da un anonimo fino al 1168 (ma in quest'ultima parte si notano chiaramente i segni dell'adesione di Lodi alla Lega). I Morena furono rappresentanti di una cultura laica e civica, sinceri ammiratori e sostenitori dell'imperatore, che aveva offerto protezione e benefici alla loro citt. Il loro punto di vista sempre municipale, colmo di rancore verso la grande Milano che continuava, da ormai mezzo secolo, a opprimere i lodigiani e a distruggerne case e colture in un disegno egemonico di dominio sulla campagna circostante e sulle rotte commerciali sui fiumi padani. Di segno opposto, anti-imperiale ma di assoluta comunanza culturale con i Morena (ivi compreso lo stile definito da O.Capitani asciutto e di scuola, derivato dal documento giuridico e notarile), la cronaca Gesta Friderici I imperatoris in Lombardia, opera di un anonimo milanese certamente testimone oculare dei fatti, e forse co-protagonista, identificato a torto con un certo sire Raul, o Rodolfo Milanese, che invece personaggio tardivo, probabilmente un copista. Una versione sovrapponibile stata ritrovata nell'opera annalistica di un guelfo piacentino, Giovanni Codagnello, il Libellus tristitiae et doloris, angustiae et tribulationis, passionum et tormentorum.30 L'anonimo esponente esemplare della civilt comunale, naturalmente colmo di odio per le rappresaglie contro la sua citt. Essa, come per i Morena, il cuore della sua 29 F. Cardini, G. Andenna, P. Ariatta. Il Barbarossa in Lombardia: Comuni ed imperatore nelle cronachecontemporanee. Novara 1987 pp.gg.12-20

30 F. Cardini, G. Andenna, P. Ariatta. Il Barbarossa in Lombardia: Comuni ed imperatore nellecronache contemporanee. Novara 1987, introd.

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identit, centro della sua vita di relazione e punto fermo delle sue convinzioni, al di l sia della Lega contingente con i fino ad allora odiatissimi comuni limitrofi, sia dell'appartenenza, polemica ma mai sconfessata, agli ideali universalistici di Chiesa e Impero. Essi d'altronde costituivano ancora, vista la gradualit dell'affermazione del comune, l'unico orizzonte ideologico che gli intellettuali sentivano proprio.31 Dal confronto di tutte queste fonti e altre la storiografia moderna cerca di spiegare per quanto possibile i fatti, o perlomeno, cosa forse pi importante, quelli che come tali si sono imposti nella mente dei contemporanei. Durante la dieta di Costanza del 1153, organizzata dall'imperatore per raggiungere un accordo con papa Anastasio IV sulla base del concetto che i poteri imperiale e papale discendono direttamente da Dio e quindi sono entrambi sacri, paritetici e obbligati alla collaborazione, si era giunti ad un accordo che sanciva il diritto del Barbarossa a essere incoronato quanto prima a Roma, in cambio della promessa di restaurare il prestigio della Chiesa, concretamente minacciato dai rivolgimenti politici nella citt di San Pietro (il tentativo di Arnaldo da Brescia di iniziare, con una rivolta, un'esperienza comunale)32. Si era a un punto di equilibrio.33 Nel frattempo la citt di Lodi subiva (sin dal 1111, quando era stata distrutta) lo strapotere milanese che ne impediva con la violenza la riedificazione. Non solo: i lodigiani si erano adattati a vivere in piccoli borghi limitrofi dove avevano organizzato un mercato settimanale, che i milanesi pretesero di spostare sotto la loro influenza, decretando cos la sparizione economica della piccola rivale. Dunque, secondo la cronaca del lodigiano Ottone Morena, due suoi concittadini (lo storiografo insiste sul fatto che fossero privi di un pubblico mandato e del consenso della citt) si presentarono a Costanza davanti all'imperatore trascinando due croci, simbolo della loro oppressione. Federico, nel pieno del suo progetto di restaurazione, non poteva pi tollerare che Milano o alcun altro soggetto si attribuisse il diritto di dichiarare guerre e minacciare altri sudditi. Invi dunque un legato imperiale per esigere il rispetto degli iura regalia: gesto che gett nello sconforto proprio i lodigiani, che sparsi in luoghi non fortificati e sapendo l'imperatore materialmente lontano, temevano ovviamente le31 G. Milani, I comuni italiani. Bari 2005 p. 171 32 A. Frugoni Arnaldo da Brescia nelle fonti del secolo XII Roma 1954 33 G. Vitolo Medioevo. I caratteri originali di un'et di transizione Milano 2000 (pp.gg.297-302)

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rappresaglie dei milanesi. La richiesta dell'imperatore fu rigettata, poich Milano e le sue componenti sociali pi importanti, capitanei e valvassori (non estranei essi stessi all'attivit mercantile), mercanti, classi produttive, non intendevano rinunciare ai diritti consuetudinari di cui si erano impadroniti a prezzo di dure lotte decennali interne e con le citt vicine, anch'esse impegnate a stabilire la loro supremazia sulla campagna. 34 Nell'ottobre del 1154 si tenne la dieta di Roncaglia, dove l'imperatore forte del suo potere militare e dell'appoggio di numerosi alleati italici ostili a Milano, rifiut le offerte dei milanesi, desiderosi di acquisire la legittimazione imperiale della loro signoria su Como e Lodi. Mise dunque al bando Milano, e diresse la sua rappresaglia verso la loro alleata Tortona, che fu distrutta. Si diresse in seguito verso Roma, dove papa Adriano IV gli cinse la corona imperiale. Poco dopo la cerimonia, la rivolta dei romani che avevano formato un loro Comune sotto la guida di Arnaldo da Brescia e pretendevano di incoronare l'imperatore in Campidoglio, fu stroncata nel sangue. Appena tornato in Germania, Milano ebbe la sua vendetta su Lodi, Pavia e Novara. A questo problema se ne aggiunse per Barbarossa uno di carattere ideologico: l'affermazione, da parte del nuovo gruppo di potere vaticano, della completa autonomia della Chiesa dall'Impero. Era necessario tornare in Italia e Federico lo fece nel 1158, insieme a un potente esercito. Alla nuova dieta di Roncaglia prese una risoluzione straordinaria: cerc di fondare il potere imperiale non pi su quello religioso, il che equivaleva a accettare simbolicamente la preminenza papale, ma sul diritto romano, su una grundnorm, ovvero sul parere dei quattro dottori di Bologna discepoli del grande Irnerio. Essi stilarono liste dettagliate dei diritti imperiali, la Constitutio Pacis che proibiva leghe tra citt e guerre private, e la Constitutio de regalibus. Questa elencava una serie di iura regalia che tutti dovevano rimettere nelle mani del sovrano, che poi li avrebbe redistribuiti attraverso legami vassallatico-beneficiari, volti a sottolineare ideologicamente e simbolicamente come l'imperatore fosse la vera fonte di ogni potere. Ancor pi concretamente, furono stabiliti nuovi distretti di pertinenza regia in luoghi chiave, fortificati, per arginare l'espansione dei comuni.3534 JC M. Vigueur, E. Faini. Il sistema politico dei comuni italiani Milano 2010 35 E. Occhipinti. L'Italia dei comuni Roma 2000 (pag. 38-41)

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Una delle richieste pi importanti era certamente quella di nominare i magistrati. Questi per Federico potevano benissimo essere eletti dal comune, almeno nelle citt che avevano mostrato fedelt, come Cremona, a condizione che fossero da lui periodicamente confermati. Per le citt pi infide, come Milano, l'idea era di imporre dei podest direttamente nominati dalla curia imperiale. Questa richiesta provoc la rivolta di Milano, i cui magistrati rifiutarono e minacciarono lo stesso Rainaldo di Dassel, cancelliere imperiale, inviato da Federico a nominare i podest. Nelle parole di Ottone di Frisinga, i Lombardi non volevano tollerare la potestatis insolentiam, cio l'abuso di potere di un magistrato imposto dall'esterno, ma preferivano i consules, uomini eletti dai cives e ad essi legati a un giuramento comune. Pi prosaicamente, importa notare che a Roncaglia gli interessi dei ceti cittadini che avevano fondato i comuni erano stati toccati in maniera sostanziale.36 Non si voleva per l'indipendenza dal potere dell'imperatore, che era ritenuto necessario come arbitro supremo, nonch come protettore da altri potenti aggressori e persino garante della libert. Essa infatti nel periodo in questione non era considerata un diritto, ma un privilegio: si era tanto pi liberi quanto pi potente era il signore da cui si dipendeva. Per i Lombardi era importante l'autonomia politica e amministrativa, e la libert veniva declinata come libert di opprimere coloro che, privi di potere militare ed economico, dovevano sottomettersi. Durante la lunga stagione di guerra che ne segu si assistette all'elezione nel 1159 di Alessandro III, irriducibile sostenitore del primato papale, che si diede immediatamente a sostenere i Comuni ribelli, i quali ovviamente non potevano che acclamare un papa che definisse l'imperatore uno scismatico. Minacciato dal Barbarossa, che gli contrappose con un conclave raccogliticcio l'antipapa Vittore IV, Alessandro III dovette fuggire in Francia. Nel 1159 fu distrutta Crema, teatro della famosa scena dei prigionieri legati alle torri d'assedio. Nel 1162 si giunse all'assedio di Milano, presa per fame e probabilmente indebolita dalle contraddizioni interne. La citt fu distrutta dalle fondamenta ad opera degli alleati italici di Federico, lodigiani, cremonesi, novaresi, pavesi e comaschi, memori delle angherie subite. In questi momenti nacque la leggenda dei Re Magi, citati nel film; pare fossero36 G. Milani. I comuni italiani op. cit. pag. 42

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custoditi nell'antica chiesa di Sant'Eustorgio: le testimonianze per compaiono solo nel XIII secolo e la leggenda della fondazione della chiesa di Sant'Eustorgio, nel luogo in cui il carro che trasportava il sepolcro dei Re era divenuto inamovibile, certamente infondata, perch la stratificazione della chiesa testimonia che questa era stata costruita in seguito alla cristianizzazione di una necropoli romana.37 Suggestiva l'ipotesi (suggerita in Baudolino di Umberto Eco) che quei resti fossero stati accreditati come tali per volere di Rainaldo di Dassel, desideroso di procurarsi un dono inestimabile da portare a Colonia, ma soprattutto di recuperare una testimonianza biblica dei mitici Re Sacerdoti, proprio per schiacciare le pretese del primato papale. Si tratterebbe di un esempio perfetto dell'uso sapiente dei simboli, per rafforzare il mito della sacralit del potere. Il rapporto del papa Alessandro III con i comuni ribelli non poteva che essere molto stretto. Dopo il rientro a Roma nel 1165, egli indic come vescovo di Milano e legato pontificio il cardinale Galdino della Sala, con il preciso compito di spingere i Milanesi alla rivolta.38 L'anno successivo si ebbe la creazione della Lega Lombarda (sull'episodio del giuramento di Pontida, le fonti non permettono di giungere a conclusioni definitive). Con la fondazione di Alessandria nel 1168, patrocinata materialmente dalle citt del Nord e spiritualmente dal pontefice, si ebbe un simbolo duraturo dell'alleanza. Chiarissima in proposito la bolla Non est dubium del 1170: Noi sappiamo noi che identifichiamo la vostra pace con la nostra e con quella della Chiesa fino a qual punto voi siete uniti alla Chiesa e come ne condividete la buona e la cattiva sorte. La libert dei comuni si identificava con la libert della Chiesa e il tiranno da combattere con l'imperatore. Secondo Pacaut si tratta di una delle prime manifestazioni del guelfismo italico, ideologia del particolarismo che permette a tutti i comuni di difendere le loro caratteristiche: I guelfi non rifiutano l'Impero, che essi considerano come un organismo necessario per contenere tutte le cellule politiche della Cristianit; ma l'imperatore, che ha la missione di far trionfare la giustizia e la pace e di impedire che i diritti degli uni non ledano quelli degli altri, non ha ai loro occhi alcun potere permanente sui comuni. Egli il sommo sovrano, ma la sua sovranit teorica, gli d diritto a certi privilegi quando fisicamente presente in Lombardia, ma non gli37 www.santeustorgio.it/storia_della_basilica.html 38 R.P. Cippo, Dizionario biografico degli italiani, voce Galdino della Sala, Roma 1998

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attribuisce alcuna competenza per imporre una legge comune, perch non pu esistere una legge comune.39 Dopo alterne vicende, in cui Federico andava e veniva nel vano tentativo di imporsi sulle citt della Lega, la quinta discesa al di qua delle Alpi cominci nel settembre 1174. Dopo aver incendiato Susa e costretto alla resa Asti in pochi giorni, il Barbarossa decise che era il momento di regolare i conti con Alessandria, citt che era sorta senza il suo consenso e con la benedizione, nonch il nome, del suo peggior nemico. Ma il momento non fu favorevole: dopo un inverno passato sotto le mura, fallita l'ultima astuzia (la costruzione di una galleria), la grande stanchezza dell'esercito sugger di abbandonare l'impresa. La Civitas Nova Alessandria fu riconosciuta tale solo dopo la pace di Costanza, quando cambi (temporaneamente) nome in Cesarea e accett un simbolico atto di sottomissione. L'avvenimento dirimente nella lunga contesa avvenne l'anno successivo, sulla piana di Legnano, dove l'esercito della Lega riusc a sconfiggere quello imperiale grazie, secondo le cronache, alla resistenza delle truppe intorno al Carroccio: una testimonianza, inusuale per quei tempi, delle potenzialit dei lancieri in formazione contro la cavalleria pesante, all'epoca decisiva sui campi di battaglia. L'imperatore dovette stipulare una tregua. Contestualmente si risolse a riconoscere Alessandro III che da alleato di ferro della Lega si era defilato per proporsi come arbitro e mediatore: l'anonimo milanese riferisce questo episodio come un tradimento, poich il Papa aveva giurato alla Lega che prima si sarebbe lasciato segare che fare la pace senza i Milanesi40 Allo scadere della lunga tregua Federico I da Costanza concesse un privilegio (dunque una graziosa concessione), lungamente discusso tra i plenipotenziari delle due parti, che conteneva il testo concordato della pace. Furono riconosciuti la Lega e gli accordi stipulati tra le citt. I Comuni ebbero quei regalia che da tempo esercitavano, finalmente con l'approvazione imperiale (diritti giurisdizionali con l'eccezione delle cause di appello, fodro, diritto di radunare eserciti, di fortificare, di richiedere pedaggi e di sfruttare i terreni incolti, le foreste e le acque). Sulle magistrature comunali fu39 M. Pacaut, Alexandre III, Paris 1956 40 Anonimo milanese, Le imprese dell'imperatore Federico in Lombardia, trad. it. P. Ariatta, in Il Barbarossa in Lombardia op. cit.

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raggiunto il compromesso di lasciare anche ai comuni pi riottosi il diritto di scegliersi i consoli; l'investitura per sarebbe stata data dall'imperatore o da un suo rappresentante, a cui sarebbe stato presentato un giuramento di fedelt distinto ma molto simile a quello vassallatico, tutto ci gratuitamente. In questo modo si creava un parallelismo tra l'autonomia delle citt e quella dei vassalli, riconducendo alla tradizione una novit che pareva, soprattutto sul piano simbolico, inaccettabile.41

41 E. Occhipinti, L'Italia dei comuni op.cit. (pp.gg. 36-48)

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Dal simbolo anonimo al capo carismatico: Alberto da Giussano Nel trattare da un punto di vista mitopoietico la storiografia, narrata dalle fonti contemporanee, del complesso scontro ideologico, diplomatico e militare tra Federico Barbarossa e i comuni italiani, culminante nella battaglia di Legnano, un particolare risulta evidente. L'imperatore si staglia come una figura solitaria, terribile ma anche magnanima e carismatica, gi pronta a essere immortalata da leggende e saghe e incorporata nel ricorrente topos mitico dell'Eroe Dormiente che, sulla cima di una montagna, attende il momento di destarsi per salvare la sua terra nel momento del pericolo.42 Nessuno dei pochi personaggi citati tra i funzionari dei comuni ribelli pu reggere il confronto con l'imperatore: non i consoli delle citt n i rettori della Lega, per la collegialit di queste cariche, la brevit del mandato e la diversa provenienza geografica, e neppure il papa, alleato opportunista pronto a cambiare atteggiamento secondo la convenienza. Nelle pagine degli storiografi italici il simbolo del comune il Carroccio, un carro con il gonfalone trainato da buoi e difeso da una compagnia scelta. Esso era stato creato dal vescovo Ariberto da Intimiano che nel 1038 stava preparando la citt a un assedio da parte degli alleati italici dell'imperatore Corrado II: secondo il Liber gestorum recentium di Arnolfo, Ariberto fece appello a tutte le classi sociali per difendere i comuni interessi chiamando alle armi tutti i cittadini a rustico usque ad militem, ab inope usque ad divitem.43 Il Carroccio divenne dunque un simbolo collettivo dell'intera citt, assai adatto alle esigenze anche ideologiche dei cronachisti del periodo comunale. Con il passare del tempo e il mutare della situazione politica nel nord Italia, tale simbolismo fin per essere del tutto inadeguato. Un secolo esatto dopo la pace di Costanza, nel 1283, nacque a Milano Galvano Fiamma, colui che avrebbe assolto al compito di aggiornare la storia dei secoli precedenti per adeguarla alla diversa temperie sociale, ideologica e istituzionale.42 F. e W. Grimm, Friedrich Rotbart auf dem Kyffhuser, in Deutsche sagen, consultabile su http://literaturnetz.org/5282 43 M. Marzorati, Dizionario biografico degli italiani, voce Arnolfo, Roma 1962

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In questo periodo infatti, in una Milano che conosceva un'ampia espansione territoriale sottomettendo le citt vicine, il potere, dopo essere stato gestito con vari espedienti istituzionali dalla famiglia Della Torre (sostenuta dal popolo) era in mano alla famiglia Visconti, sostenuta dai nobili, che nominarono signore l'arcivescovo Ottone Visconti il quale a sua volta impose altri familiari nei posti chiave. La famiglia legittim poi il suo potere tramite varie concessioni imperiali, e dopo una breve parentesi di ritorno dei Della Torre, nel 1310 tornarono saldamente al comando.44 Monaco domenicano, Fiamma si trov, pare, a svolgere compiti didattici presso il convento di Sant'Eustorgio, da cui dovette allontanarsi in seguito all'interdetto papale (1323) pronunciato da Giovanni XXII contro Milano nell'ambito dello scontro tra questo e i Visconti, sostenitori dell'imperatore. Dopo un decennio in cui abbiamo solo tracce frammentarie della sua attivit, Fiamma torn nella sua Milano, impegnandosi allo stesso un tempo nell'attivit storiografica e in quella, politica, di riavvicinare Azzone Visconti ai domenicani, in disgrazia per via della collaborazione dell'ordine all'attivit dell'Inquisizione. Vi riusc, tanto da diventare confessore di diversi esponenti dei Visconti; per sua stessa testimonianza sappiamo fu nel circolo degli intimi di Azzone e che ebbe accesso illimitato alle carte della famiglia, di cui si serv nella sua attivit storiografica.45 Chiaramente ci presuppone un'ampia mancanza di oggettivit nel narrare la storia di Milano, trattata ampiamente nel Manipulus Florum, nella Chronica Galvaniana e nel Chronicus Maius. Queste opere, tra loro a volte discordanti, ci consegnano per la prima volta la tradizione del ruolo nella battaglia di Legnano della Compagnia della Morte e di Alberto da Giussano. Galvano Fiamma narra infatti che questa compagnia, formata da 900 cavalieri scelti che prestarono giuramento di morire piuttosto che ritirarsi, fu il fulcro della resistenza attorno al Carroccio e della riscossa che port alla vittoria. Essi si fregiavano di un anello d'oro (chiara la derivazione di questo punto dal corpus cavalleresco medievale, come anche del giuramento) ed erano comandati appunto da Alberto da Giussano e dai suoi due fratelli. Conformemente al topos dell'eroe senza paura, Alberto descritto come dotato di statura straordinaria, di immensa forza fisica e infinito coraggio.44 G. Vitolo, Medioevo, op. cit. pag.434, 476 45 P. Tomea, Dizionario biografico degli italiani, 1997 voce Galvano Fiamma

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opinione diffusa tra gli storici che questa figura sia stata, se non inventata di sana pianta (c' testimonianza dell'esistenza in quel periodo di una persona con questo nome46), almeno ingigantita e posta a capo della Lega proprio da Galvano Fiamma. Quale il motivo? Certamente bisogna sottolineare che nel periodo signorile, un grande esercito vittorioso senza un capo carismatico era quasi impensabile. La storia contemporanea si imponeva dunque allo storiografo, plasmando quella pi antica. Un'altra considerazione per ci sembra necessaria: la cittadina di Giussano confina con Mariano Comense, all'epoca Marliano, da cui dista un chilometro e mezzo. La pi antica testimonianza giuntaci riguardo alla famiglia Visconti (una sentenza del 1157) li vede insigniti proprio del capitanato di Marliano. Ci sembra assai probabile, anche se non lo si pu provare, che il Fiamma abbia scelto arbitrariamente come eroe della vicenda comunale una persona forse davvero citata nelle carte da lui consultate, ma certamente ricollegabile alla dinastia viscontea, per ovvi motivi di opportunit. Ci, insieme ai dubbi gi espressi dagli storici sull'assenza del nome da Giussano nei resoconti dei contemporanei, compromette ancor pi seriamente l'affidabilit di questa testimonianza. assai probabile insomma che Galvano Fiamma abbia piegato il suo racconto alle necessit ideologiche del momento, per compiacere i suoi potenti protettori, ma anche per venire incontro al gusto dell'epoca, che certamente richiedeva una singola figura eroica da contrapporre al Barbarossa.

La macchina mitologica di Legnano per fare gli italiani

A dare nuovo lustro all'epopea della Lega Lombarda, conferendole un respiro adeguato ai flussi ideologici europei, furono nel XIX secolo una serie di artisti che, sensibili alle tensioni e ai rivolgimenti storici in preparazione, si associarono alle istanze dell'lite (principalmente norditaliana) ansiosa di realizzare il sogno romantico di una nazione italiana unita. Un'idea che, se per molti secoli era stata pio desiderio di pochi46 P. Pecchiai, L'Ospedale Maggiore di Milano nella storia e nell'arte, Milano 1927, p. 22

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intellettuali, con lo sviluppo industriale nascente aveva trovato un potente impulso economico e ideologico nel pi prosaico interesse della grande borghesia a creare un mercato unico di dimensioni adatte a smaltire le eccedenze produttive 47. Come in Prussia, anche in Italia un gran numero di poeti, musicisti, pittori e scultori, pi o meno famosi, si diedero, sia per convinzione sia per volont della committenza, a farsi ideologi e apostoli dell'epopea risorgimentale. In un epoca in cui non era gi pi possibile ignorare il popolo, in parte per la sua germinale coscienza di classe, in parte per la sempre pi impellente necessit di carne da cannone (se ne rendeva bene conto Cavour nel momento in cui gli occorrevano disperatamente delle rivolte popolari spontanee per giustificare le mosse dell'esercito regolare), la memoria dell'evento di Legnano si prestava perfettamente, tra proclami, scontri e complesse operazioni di comunicazione anche di massa, a catalizzare istanze ribellistiche e indipendentiste.48 Insomma, con una forte semplificazione, si voluta identificare e sovrapporre la fase delle guerre contro l'Impero austro-ungarico, a quella delle lotte del XII secolo, con il suo carico di volont di liberazione e di riscatto. In questo lungo arco di tempo conviene sottolineare due periodi distinti: il pieno della lotta negli anni 1848-49, che hanno visto la massima affermazione del tema con la rappresentazione dell'opera di Verdi durante la breve stagione della Repubblica Romana, e l'anno del settimo centenario della battaglia, quando ormai lo stato unitario era una realt, sia pure debole e contraddittoria. In questo secondo momento, una volta evocati i miti del parlamento49, di Alberto da Giussano e della guerra al tedesco, era importante tenerli a freno: come ben seppe fare Carducci, proponendo un'interpretazione dell'istituzione parlamentare che rifiutava il dissenso e appianava ogni discussione risolvendosi in un'apologia della deliberazione unanime, dello slancio concorde provocato dall'orazione e dall'esempio del capo naturale Alberto da Giussano. Una precocissima testimonianza figurativa della riflessione su questo mito il47 F. Catalano, Stato e societ nei secoli, Messina-Firenze 1966 48 La politica ideologica ovviava anche alla tenace resistenza a prendere provvedimenti concreti in favore degli ultimi. Ci era perfettamente chiaro ai contemporanei. Un mazziniano anonimo scriveva sull' "Italia del popolo" nel 1849: La politica di classe adottata dal governo provvisorio milanese [...] caus la sopravvenuta freddezza dei contadini di Lombardia verso la guerra nazionale. Cfr. F. della Peruta, Democrazia e socialismo nel Risorgimento, Roma 1973 49 G. Carducci, Il Parlamento, 1879

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disegno di Giuseppe Bossi (1777-1815), oggi alla Galleria d'Arte Moderna di Milano, che avrebbe dovuto essere preparatorio per una tela dedicata alla "Pace di Costanza": commissionata dal nuovo duca di Lodi Francesco Melzi in sottile polemica antifrancese. Il dato che emerge con pi forza dalla composizione la trasposizione di un soggetto medievale in uno schema figurativo classico.50 I lombardi hanno elmi e armature romane, ma alabarde e spade medievali, pose ed espressioni decise e non ieratiche; l'imperatore, coperto da un manto dal panneggio romaneggiante, scuro in volto; la mano del condottiero (quasi certamente Alberto da Giussano) sovrasta quella dell'Imperatore. Un primo potente impulso a questo mito fu dato dalla storiografia, con la Storia delle repubbliche italiane nel Medioevo51, dell'eclettico studioso ginevrino J.C.Sismonde de Sismondi, che (approfondendo solo le motivazioni morali, biografiche e istituzionali e tralasciando quelle sociali ed economiche) defin let comunale come il momento pi alto della storia italiana, e forse europea. Il valore dimostrato dalle citt della Lega Lombarda nel difendere la propria libert (per lui, parola sinonimo di ogni virt) dalloppressione principesca simboleggiata dal Barbarossa, viene qui proposto come un esempio immortale. Con questopera, terminata in francese nel 1818 e subito tradotta nel 1819, de Sismondi forn alla borghesia italiana un passato di cui essere fieri. Gli austriaci tentarono di ostacolare la diffusione dei suoi scritti, che per furono pubblicati nel Canton Ticino e riuscirono ugualmente a circolare.52 Nel 1829 il poemetto di Giovanni Berchet Le fantasie53 espresse sentimenti gi ampiamente condivisi fra i borghesi liberali che avevano dato vita ai primi segnali di ribellione degli anni trenta. Il topos romantico del sogno d qui forma a una visione tradotta in versi forse di scarsa qualit, ma certamente abbastanza semplici da essere compresi, colmi di anafore e ritmi facili da ricordare: e infatti esso ebbe largo successo in ampi strati sociali, realizzando uno scopo potremmo dire divulgativo. Il fulcro del poemetto la concordia delle citt italiane finalmente raggiunta a Pontida, additata quale esempio da seguire per arrivare alla vittoria, o quantomeno a un piano di parit50 R. Salvarani, Il mito della battaglia di Legnano in G. Andenna op. cit. 51 J.C.S. de Sismondi, Storia delle repubbliche italiane. Torino 1996 52 P. Grillo, Visioni d'Italia in onore dei 150 anni dell'unit d'Italia.Il Corriere della Sera 11/10/2010 53 G. Berchet, Romanze Fantasie, Roma 1966

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con le potenze europee. L'han giurato. Gli ho visti in Pontida convenuti dal monte, dal piano. L'han giurato; e si strinser la mano cittadini di venti citt. Oh, spettacol di gioia!I Lombardi son concordi, serrati a una lega. Lo straniero al pennon ch'ella spiega col suo sangue la tinta dar [...]. A indirizzare scopertamente gli artisti verso temi graditi all'idea dominante furono soprattutto i cosiddetti grandi concorsi banditi annualmente dalle accademie, in primis dall' Accademia milanese, proprio per favorire in uno slancio multidisciplinare soggetti collegati con le ampie elaborazioni storiche e letterarie in corso in quegli anni. Nel 1843 uno dei temi fu: Dato da Federico Barbarossa il comando di distruggere la citt di Milano ai popoli ad essa nemici, Lodigiani, Pavesi, Cremonesi, Comaschi, ecc., ed essendo questi in procinto di dar mano alla distruzione, gran numero di cittadini si prosternarono supplichevoli a Federico, implorando, ma invano, la sospensione di quel crudele decreto. 54 Naturalmente l'elaborazione del mito avvenne anche in modo esplicito, tramite comizi, discorsi ufficiali, propaganda del nuovo assetto istituzionale nazionale; contribuendo grazie a questo continuo gioco di rimandi multimediali a creare una cultura fatta di campi semantici allargati che esplicitassero il significato delle opere figurative, musicali e melodrammatiche. Nel suo proclama ai bergamaschi, anche Giuseppe Garibaldi si serv della potenza retorica evocata dalla battaglia, certamente presente nell'immaginario dei suoi

54 Vale la pena di ricordare che secondo la storiografia pi affidabile furono proprio i rappresentantidelle citt italiane a chiedere e ottenere l'onore di distruggere Milano. L'imperatore saggiamente divise le zone da radere al suolo: i Cremonesi Porta Romana, i Lodigiani Porta Orientale, i Pavesi Porta Ticinese, i Comaschi Porta Comacina, i Novaresi Porta Vercellina e i vassalli del Seprio e della Martesana Porta Nuova.

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destinatari, per spingerli alla ribellione contro gli austriaci: Bergamo sar il Pontida della generazione presente e Dio vi condurr a Legnano!55. Giuseppe Mazzini si chiedeva: Qual il giovane italiano, che visitando Pontida e Legnano, tutto quel sacro terreno, dove ogni pietra pagina storica, non si senta religiosamente commosso, come dovessero sorgergli innanzi giganti l'ombre sdegnose di quei magnanimi che fiaccarono la superbia di Federico?. Alla crescita del mito, alimentato dalle aspirazioni, dai sentimenti e dai sogni vivi nella societ del tempo, contribu grandemente il melodramma, che aveva una certa diffusione non solo nelle classi che potevano materialmente assistervi, ma che nelle citt si diffondeva oralmente in ampi strati sociali. Nel 1848 fu rappresentato a Roma il dramma La lega lombarda e la battaglia di Legnano di Luigi Capranica, che nella descrizione della cruenta festa di Legnano ha uno dei suoi pi alti momenti: la pice era un vero manifesto di valori e sentimenti risorgimentali dell'ala neoguelfa di Gioberti, che caldeggiava il Cristianesimo (depurato dal clericalismo) come elemento unificante: come era successo per gli antichi combattenti lombardi che avevano profittato a buon mercato della interessata benevolenza di papa Alessandro: D'impazienza avvampa Federico; / tuono la voce sua, folgore il guardo, / ma il guardo vano ormai, vana la voce; / gi la vittoria aleggia sulla croce. Quest'opera, insieme con altre minori, prepar il successo della Battaglia di Legnano di Giuseppe Verdi, su libretto di Salvatore Cammarano, ispirata da evidenti finalit politiche.56 Proprio per la grande drammaticit dei momenti in cui l'opera fu messa in scena, il compositore le rimase sempre legato e ancora nel 1854, in una lettera a Cesarino de Sanctis, affermava: Fra le mie opere che non girano [...] ve ne sono due che vorrei non dimenticare: Stiffelio e La battaglia di Legnano. Sullo sfondo di luoghi medievali carichi di affetti cittadini o evocativi di paesaggi urbani simbolici profondamente presenti nell'immaginario ottocentesco (molto pi riconoscibili, viene da pensare, di quelli visibili in Barbarossa del 2009), i quattro atti di questo dramma intrecciano, secondo lo schema melodrammatico, una storia d'amore e di passione con la vicenda55 G. Garibaldi, Proclama ai Bergamaschi, G.Locatelli Milesi, Garibaldi per Bergamo e i Bergamaschi, in Bergomum n.28 56 G. Verdi, Tutti i libretti dopera, vol. I, a cura di P. Mioli Roma 1996, pag. 282

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delle citt lombarde in lotta con l'imperatore. A Milano, dove si stanno radunando i soldati della Lega, si incontrano dopo lungo tempo Rolando, combattente milanese, e il suo amico fraterno Arrigo, veronese. Lida, moglie di Rolando, scopre cos che Arrigo, l'uomo che aveva amato e al quale aveva giurato fedelt e amore eterno, ma che aveva creduto morto in battaglia, ancora in vita. I due si ritrovano e vengono scoperti dal marito, grazie ad una tresca in stile Commedia dell'Arte tra una serva e un prigioniero. Arrigo, disperato, vorrebbe espiare cercando una degna morte sul campo. Rolando, per punirlo, gli proibisce di combattere e lo chiude in una stanza, dalla quale per il giovane veronese riuscir a scappare per unirsi alle truppe, saltando da balcone e gridando: Viva l'Italia!. Con questo grido, che alla prima suscit l'entusiasmo del pubblico romano, si chiude il terzo atto. Il quarto vede l'epilogo e la riconciliazione tra il giovane veronese morente e Rolando, che lo perdona dopo l'assicurazione in extremis che il tradimento non si consumato. Alla morte del giovane entra il Carroccio, e cala il sipario. L'opera fu rappresentata a Roma durante l'esperienza repubblicana, il 27 gennaio 1849, alla presenza di Garibaldi e di Mazzini, con un'accoglienza trionfale del pubblico, accompagnata da manifestazioni patriottiche: naturalmente su di essa si abbatt pesantemente la censura dell'Impero e degli Stati restaurati. Ancora, occorre ricordare il vate Carducci, che volle dedicare agli eventi del 1167 un componimento (oggetto di sforzi mnemonici per innumerevoli alunni delle scuole elementari fino a tempi recentissimi) progettato in tre canti: uno sulla decisione delle citt lombarde di aderire alla Lega e di affrontare l'esercito imperiale in battaglia, il secondo dedicato allo scontro campale e il terzo alla fuga di Federico. Solo il primo canto, Il Parlamento, fu realizzato. Ricordiamo che Carducci era a rigore un repubblicano, ma che nel suo elitarismo credeva in un parlamentarismo unanime (se pu essere accettato l'apparente ossimoro). Fu Crispi, pi avanti, come antico garibaldino e suo fratello di fede massonica a convincerlo, per il bene dellItalia, a lasciar perdere la questione istituzionale pericolosissima per lunit nazionale, cos recente e fragile e ad appoggiare la monarchia.57 L'unico canto effettivamente composto, Il Parlamento, si sviluppa intorno alle motivazioni emotive della scelta e alla57 L. Curti, Carducci e l'ideologia italiana in Atti del VIII congresso annuale dell'Associazione degli italianisti italiani, Napoli 2007

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concorde conciliazione di posizioni diverse sotto la spinta dell'acclamazione popolare (presenti le donne pallide, scarmigliate, con le braccia / Tese e gli occhi sbarrati al parlamento, / Urlavano - Uccidete il Barbarossa!, che ci ricordano assai Kasja Smutniak/Eleonora nel film del 2009): grande assente (come nel film) il Papa, come ovvio per un anticlericale irriducibile quale il poeta professore. Anche a Giovanni Pascoli, che si ispir al simbolo del carroccio per una delle sue Canzoni di re Enzio, scritta nel 1908, non interessava pi tanto l'opposizione della libert comunale rispetto all'imperatore, n il tema delle aspirazioni unitarie ormai superato, quanto quello della separazione tra sfera politica e religiosa, che in tutto il poema presentata come fondamentale: senza rinunciare tuttavia a presentare la storia d'Italia come un unico disegno, voluto dal destino, di autodeterminazione nazionale. Recita infatti l'introduzione alla Canzone del Carroccio: A MILANO / CHE PRIMA SU TE POSE LA SUA BANDIERA, / VA, O CARROCCIO, / VA O POESIA DEL MEDIO EVO ITALICO, / RITORNA DALLA MINORE ALLA MAGGIOR SORELLA / DAL COMUNE CHE VINSE A FOSSALTA / AL COMUNE CHE AVEVA VINTO A LEGNANO, / DALLA CITT CHE LVIII AGOSTO RIBUTT, / ALLA CITT CHE NEI V D DI MARZO AVEA CACCIATO / LO STESSO PERPETUO EVERSORE DI TERMINI / INVASORE DI CONFINI VIOLATORE DI DIRITTI / ETERNI.58

La macchina mitologica di Legnano per dis-fare gli italiani

Una riscoperta davvero paradossale degli stilemi storiografici rinascimentali si avuta in un periodo recente e convulso della storia italiana, la cui interpretazione ancora oggi causa di acerrime lotte politiche. Dal 1981, con il divorzio tra la Banca d'Italia e il Ministero del Tesoro attuato in funzione dell'ideologia monetarista propugnata dai fautori della Comunit Europea, il debito pubblico italiano cominci a crescere in

58 G. Pascoli Le canzoni di Re Enzio Milano 1974

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maniera esponenziale a causa della spesa per gli interessi e di incoerenti scelte politiche.59 Ci port rapidamente a una progressiva perdita di diritti da parte dei lavoratori e inflazione. La libert di movimento dei capitali, altra brillante decisione politica del periodo, port alla deindustrializzazione, con annessi effetti sull'occupazione, mentre l'immigrazione forniva dei comodi capri espiatori. A ci si aggiunga che in pochi anni il crollo del muro di Berlino e la fine della guerra fredda toglievano consensi al PCI, facendo proclamare la morte delle ideologie, e l'operazione giudiziaria detta Tangentopoli, nonch la minor quantit di denaro pubblico disponibile per rafforzare le clientele, toglievano legittimit ai partiti che avevano dominato il governo dal dopoguerra60. In questa confusa temperie economico-politica, nel Nord Italia nacquero tutta una serie di piccoli partiti indipendentisti, populisti e xenofobi, pienamente rispondenti a quelle caratteristiche che abbiamo notato nell'introduzione parlando della cultura di destra: paura del nemico esterno e ancor pi interno, abuso spregiudicato della storia, culto smodato dei simboli identitari, retorica pasciuta di concetti simbolici, espressi con una parola pregnante al maiuscolo o meglio ancora con un gesto (Libert, Secessione, dito medio alzato, celodurismo)61. Questi movimenti furono per buona parte ispirati dal politologo Gianfranco Miglio, che gi nel 1983 aveva teorizzato una modifica della Costituzione in senso federalista. Dopo l'89, egli ritenne il momento propizio a che la politica cessasse di ricoprire un ruolo primario nelle comunit umane e venisse invece subordinata agli interessi concreti dei cittadini. Una definizione che suona come un'ovviet. Ma analizzando questo concetto con i criteri interpretativi di Barthes ci si rende conto della sua natura mitologica:62 ci perch, per effetto dei campi semantici insiti nella cultura del lettore, ridefinisce una materia esistente svuotandola della sua storicit e deformandola a piacere. In concreto, si pu notare che l'enunciato La politica deve cessare di avere un ruolo primario [...] e59 M.L. Marinelli Lindipendenza della Banca dItalia dal Governo negli anni Ottanta: cause interne e internazionali in Studi e Note di Economia n. 2-2011 60 L. Canfora. Democrazia, storia di un'ideologia Bari 2004 61 R. Iacopini, S. Bianchi. La lega ce l'ha crudo! : il linguaggio del Carroccio nei suoi slogan, comizi, manifesti Milano 1994 62 R. Barthes, Miti d'oggi, op.cit.

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deve essere subordinata agli interessi concreti dei cittadini , a un primo livello, un insieme di segni con un significato inequivoco e condivisibile. Questo primo significato diventa per immediatamente (per il destinatario ideale del messaggio) la forma (ovvero un nuovo significante) di un concetto ulteriore (o significato mitico): la politica (classe dei politicanti di professione) ha un ruolo primario (dirigismo economico, ideologie, tasse) mentre deve essere subordinata agli interessi concreti (all'economia, alla difesa di una cultura). Questo accade perch i significanti identificati in modo denotativo nel primo livello entrano in un tipo di codice successivo, connotativo, che li collega ai campi semantici della cultura del destinatario. Barthes nota come sia insidiosa una comunicazione simile. Essa deforma il linguaggio, in questo caso i concetti di politica e di interesse comune, e nasconde la storicit degli avvenimenti e le loro ragioni profonde. In pi, secondo un'efficace similitudine barthesiana, questa comunicazione ricorda l'effetto ottico che provoca osservare un paesaggio attraverso un vetro: a seconda di dove si concentra lo sguardo, possiamo vedere il paesaggio o il nostro riflesso sul vetro, non entrambi allo stesso tempo. Sicch chi vuole trova sempre una via per evitare la critica: basta dire che si voleva intendere solo il concetto di primo livello.63 Per Miglio, la fine degli Stati moderni avrebbe dovuto portare alla costituzione di comunit neofederali dominate non pi dal rapporto politico di comando-obbedienza (tale sarebbe la democrazia secondo costui), bens da quello mercantile del contratto e della mediazione continua tra centri di potere diversi e in lotta (con richiamo al darwinismo sociale), ma tutti contrapposti a realt per lui inconciliabili, quale quella islamica, sotto l'egida della civilt occidentale cristiana: un sogno che ricalca l'et comunale insomma, se si eccettua il continuo conflitto armato, compensato dalla guerra economica. Secondo il professore, il mondo stava andando verso una societ pluricentrica, ove le associazioni territoriali e categoriali avrebbero visto riconosciuto giuridicamente il loro63 Fortunatamente, come spesso accade, in questo caso per avere un'idea dei campi semantici di riferimento basta analizzare delle esternazioni pi esplicite dello stesso soggetto: La miseria e la grandezza dello Stato moderno si gioca, in larga parte, nella perenne contesa fra lo Stato che cerca di spremere i cittadini per avere le risorse di cui ha bisogno, e questi che gli resistono, o che almeno cercano di difendersi. G. Miglio, Lezioni di politica, vol.I., Bologna 2011, p. 263

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peso politico non diversamente da quanto avveniva nel medioevo. Da qui l'appello a guardare a sistemi politici anteriori allo stato, a riscoprire quel variegato mosaico medievale costituito dai diritti dei ceti, delle corporazioni e, in particolar modo, dei Comuni del Nord. 64 L'appello venne accolto soprattutto da Umberto Bossi con la formazione della Lega Lombarda. Essa prese per simbolo proprio Alberto da Giussano come appare, con spada e scudo, nel monumento a lui dedicato di Legnano. Comincia cos una nuova fase mitopoietica65. Dopo essersi fusa con la Liga Veneta (formazione politica equivalente) e con altri partiti similari, dal 1990 la Lega celebra proprio a Pontida i propri miti identitari di sapore fanta-celtico (con repertorio di riti matrimoniali, elmi cornuti, cerimonie con l'acqua del Po). Come si vede questo mix prende ci che la tradizione storiografica ottocentesca aveva detto dei fatti medievali narrati e resi simboli di identit nazionale, vi aggiunge eterogenei richiami ad una supposta celticit per differenziarsi dai supposti levantini e mediterranei (in linea con quanto avviene in altri movimenti nazionalisti nordeuropei) e trasforma il tutto in una macchina mitologica che acriticamente rappresenti e aizzi una sensazione di superiorit pseudo-etnica, una volont di secessione dall'Italia e in generale l'odio per i diversi. La nazione candidata a separarsi denominata Padania, termine attestato per la prima volta in un articolo de La Stampa del 1975 da parte dell'allora presidente della regione Emilia Romagna (del PCI)66. Dopo l'appropriazione da parte di Bossi, il termine si ritrova per la prima volta in un contesto non strettamente leghista (e riferito a una zona socioeconomica coincidente con quella di interesse per la Lega) solo nel 1992, in una raccolta di saggi a cura del think tank Fondazione Giovanni Agnelli dal titolo La Padania, una regione italiana in Europa. Il resto storia recente. Da partito territoriale e di opposizione la Lega Nord ha saputo trasformarsi fino a essere per molti anni l'ago della bilancia delle vicende politiche del paese, arrivando anche al governo grazie a una64 G. Miglio, Una Costituzione per i prossimi trent'anni. Intervista sulla terza Repubblica, Bari 1990 65 E infatti il luglio del 1988 quando Lombardia Autonomista - La Vos del Popol Lombard, compare la scritta che qui sopra riportiamo: 1167- Sconfiggendo il centralismo imperiale del Barbarossa, apre in Europa lera democratica dei comuni. LEGA LOMBARDA 1989 - Sconffiggendo il centralismo di Roma, apre lEuropa democratica dei popoli. (sic!) da la Padania 30 aprile 2003 66 Fanti spiega la sua proposta per una grande lega del Po. La Stampa, 6 novembre 1975

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serie di alleanze con i partiti di Silvio Berlusconi. E proprio grazie al patto con il leader di Forza Italia ha potuto approfittare del suo apparato mediatico privato, nonch della sua influenza in quello pubblico (come abbiamo visto nel caso di Barbarossa) per trasmettere le proprie idee e i propri miti, usati come mezzi di conquista del consenso elettorale, ad una platea pi vasta possibile.

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Baudolino di Umberto Eco: una nemesi mitopoietica Dopo aver brevemente ricordato le vicende reali della battaglia di Legnano e quelle letterarie e politiche del suo condottiero, e dopo aver compreso come sin dal principio, per quasi un millennio, queste narrazioni siano state efficaci a scapito della verit storica, urge ritornare ai mitologi Roland Barthes e Furio Jesi. Una volta compreso che la tecnicizzazione del mito e la macchina mitologica sono degli strumenti di potere che cambiano la realt adattandola ai bisogni del potere stesso, (permettendo lo spedito sfruttamento delle energie collettive scatenate da questi mitomotori da parte delle strutture organizzate dei vertici della societ), l'ovvia domanda : come difendersi dalle interpretazioni, se anche noi ne siamo artefici? O meglio, come difendere i fatti dallo stravolgimento sistematico, spesso (ma non sempre) intenzionale, che distrugge la verit storica riducendone la complessit a una sequenza di slogan predigeriti ma facili da assimilare? Barthes e Jesi condividono un grande pessimismo su questo punto. Il mitologo secondo Jesi cade necessariamente nel baratro dell'interpretazione, per indole e per contaminazione dei materiali che maneggia. Barthes invece sottolinea i limiti dell'unico strumento a disposizione del mitologo, il suo metalinguaggio. Esso, in quanto sforzo di definizione e di analisi, non agisce sulla realt, non ha il potere del mito, anzi rischia a volte di nascondere la realt, che tale in quanto oggetto dell'esperienza umana. Anche lo storico, nonostante il massimo sforzo di obiettivit scientifica e di imparzialit, cade inevitabilmente (ma certo qui sta il valore di ogni storia come storia contemporanea) nel tranello della propria soggettivit, sua e dell'epoca in cui vive. E come biasimarlo? Nemmeno sarebbe possibile, o desiderabile, esporre solo gli aridi fatti: sia perch impossibili da narrare nella loro infinita complessit, sia perch spesso acquistano senso solo in virt della storia in cui vengono raccontati. Il vero antidoto alla macchina mitologica potrebbe dunque essere solo una narrazione che diventi mitopoiesi senza rinunciare alla ricostruzione storica basata sulle fonti, che interpreti e chiarisca le motivazioni di chi ha compiuto le imprese ma non solo: anche di chi le ha raccontate. Tutto ci in chiave de-mistificatoria, ovvero esponendo i meccanismi stessi della creazione di miti.6767 Intervista di L. Lilli a U. Eco, Con Baudolino Eco torna al romanzo, in La Repubblica, 10/09/2000

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Un compito certamente immane, che per stato portato a termine egregiamente da Umberto Eco nella sua triplice veste di semiologo, storico e narratore. Baudolino (Milano 2001) davvero allo stesso tempo romanzo della Storia e delle storie. Fino a met dell'intreccio (prima che il protagonista si inoltri nelle leggendarie terre del Prete Gianni) presenta una credibile e accurata cavalcata nella storia della seconda met del XII secolo, con un personaggio principale inventato che si innesta perfettamente con i protagonisti e le vicende del tempo. Si vede in trasparenza il lavoro di ricerca pluriennale che in pi occasioni Eco ha affermato di considerare irrinunciabile per la sua opera di scrittore. La narrazione si articola come dialogo tra lo stesso Baudolino, un misterioso personaggio nativo di Alessandria (prima della fondazione della citt) che per caso in giovent aveva salvato l'imperatore Federico dalle nebbie padane (egli da allora in poi lo tratter come figlio adottivo e consigliere), e lo storico (realmente esistito) Niceta Coniate, autore di importanti fonti letterarie per il periodo che va da Michele Comneno all'Impero latino d'oriente. Niceta rappresenta listanza della storiografia, che non riesce a capire se il racconto di Baudolino sia vero o falso. Infatti alla fine non lo scrive..68 Dopo l'incontro tra i due narratori sullo sfondo del sacco di Costantinopoli del 1203, Baudolino comincia a raccontare la sua relazione con il Barbarossa. Da subito il ragazzino viene caratterizzato come dotato della singolare capacit di influenzare la realt con... la menzogna: durante l'assedio di Tortona inventa una visione che testimonia come i santi siano dalla parte di Barbarossa, causando la resa dei tortonesi. Questa efficacia delle sue invenzioni, invece di insegnare a Baudolino a pesare le parole, ha l'effetto opposto, ed egli si trova presto intrappolato nel suo ruolo di bugiardo. Tralasciando molti tra le miriadi di ammiccamenti storici che Eco inserisce nel testo (gli amici di Baudolino per esempio sono l'Arcipoeta di Colonia e Robert de Boron, ed egli stesso scrive perfino parte del carteggio tra Abelardo ed Eloisa) 69 quelle rilevanti in questa sede sono le pagine in cui l'autore trova il modo di suggerire una spiegazione mitopoietica, quasi di propaganda imperiale, per diversi fatti altrimenti incomprensibili tramandatici dalle fonti di quel periodo. La canonizzazione di Carlo68 Intervista di M.L. Caroniti a U. Eco, consultabile su http://www.lankelot.eu/letteratura/eco-umbertobaudolino-contiene-un-intervista-ad-umberto-eco.html 69 G. Musca, Baudolino il quarto romanzo di U. Eco, in Quaderni medievali n51

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Magno, la vicenda dello studium bolognese, il fortuito ritrovamento dei Re Magi, la lettera del Prete Gianni (un misterioso re-sacerdote cristiano che sarebbe vissuto ai limiti del mondo) acquistano un senso chiarissimo alla luce della ricerca di Federico I di una legittimazione regale derivante direttamente da Dio, e perci finalmente immune dalle trame del papa. Sono tutte invenzioni (storiche) attribuite nel romanzo a Baudolino, che si dimostra un mentitore al pari del cretese bugiardo. Ma egli, incalzato dallo storico Niceta, non si sente in cattiva fede: si autogiustifica poich, influenzato dalle indicazioni del suo maestro morente (Ottone di Frisinga) non testimonia il falso, testimonia falsamente quello che ritiene vero, come i poeti produce belle menzogne70, inventa storie che riguardano il futuro, difendendo le sue convinzioni quasi umaniste e guadagnandosi la piena assoluzione di Eco, che nelle interviste in proposito lo definisce un utopista. La narrazione continua in maniera picaresca e imprevedibile, seguendo prima le discese in Italia dell'imperatore e le sue alterne vicende con i comuni italiani irriducibili ma sempre rispettosi della sua autorit, poi la crociata verso Gerusalemme, interrotta dalla morte di Federico (che, romanzata, diviene un perfetto mistero dell'omicidio nella camera chiusa). Dall'Armenia, privato del padre adottivo e malvisto dall'erede legittimo, Baudolino fugge verso Est con i suoi amici. Qui realt e fantasia, menzogna e verit si confondono definitivamente. Baudolino sta inseguendo con fede ardente le tracce di un regno che lui stesso ha inventato per ragioni politiche, popolato dai mostri dei bestiari medievali: una citt, Pndapetzim, dove i mostri vivono inconsapevoli delle loro differenze fisiche ma si accapigliano sulle sottigliezze teologiche, una citt dove il nostro rischia di perdere se stesso e i suoi amici, ma dove trova l'amore finalmente perfetto di una ragazza, met donna met fauno, della setta mistica delle Ipazie. Alla fine, dopo la distruzione della citt ad opera degli unni bianchi e altre peripezie l'intreccio ci riporta da Niceta, che per mezzo di un sapiente amico, quasi un detective, ci rivela che stato Baudolino stesso, non volendolo, a causare la morte del suo padre adottivo. Allora il protagonista si ritira su una colonna vivendo da stilita, per espiare questa colpa e provare finalmente a dire solo e sempre la verit. Prevedibilmente non viene creduto, anzi suscita l'ostilit aperta dei potenti, in questo caso un sacerdote.70 U. Eco, Baudolino, Milano 2002, pg.47

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Come succede spesso, se permesso il parallelo, a chi prova a sfatare i miti del potere. Dopo questa esperienza, decide, per quanto anziano, di tornare dal suo amore nelle terre d'Oriente; azzardando un'interpretazione diremmo che torna alle fantasie, alle menzogne, al suo ruolo di narratore. Niceta invece resta nella sua ipocrita veste di storiografo: rifiuta di scrivere la storia di Baudolino, poich non certo che sia vera, salvo poi tornare a scrivere degli ultimi giorni di Costantinopoli... alterando parecchi dettagli per non far perdere la fede nelle cose sacre.

Conclusione il caso di trarre qualche lezione da questa breve storia di storiografie. Innanzitutto una conferma della lezione storiografica di Marc Bloch: bisogna interrogare il passato in funzione del presente e il presente in funzione del passato, non solo per il piacere della conoscenza, o per non ripetere gli errori: urge soprattutto salvaguardare la memoria collettiva dalla strumentalizzazione quotidiana che ne fa chi esercita il potere. Tramite il meccanismo della tecnicizzazione del mito infatti la storia del passato diventa un serbatoio inesauribile di esempi mitizzati, banalizzati e snaturati al punto di diventare addirittura non un baluardo e un monito contro gli errori del passato, ma una coazione a ripeterli, assai spesso con vantaggio materiale di qualcuno. La frase del regista di Barbarossa, Sono sempre alla ricerca della verit perch l'ignoranza del presente nasce dall'incomprensione del passato terribilmente vera, ma purtroppo in un senso ideologicamente contrario a quello inteso da Martinelli. Abbiamo spiegato perch questo film (fortunatamente) non riesce nei suoi obiettivi. Non possiamo averne la certezza, ma sarebbe confortante l'idea che proprio la lettura di Baudolino da parte del regista o degli sceneggiatori (assai probabile, vedi calchi di scene quali il ragazzino che salva l'imperatore, l'episodio dei magi, l'ideologia imperiale), abbia loro impedito, inoculando qualche sano dubbio, di fare efficacemente la desiderata apologia non solo e non tanto di una confusa ideologia 39

leghista (ricordiamo il ruolo attribuito all'impero e a Barbarossa) ma soprattutto di una cultura che Jesi definirebbe di destra, e forse si potrebbe definire della paura. Una cultura che propugna la chiusura delle porte del borgo ai non meglio specificati nemici e che individua il peggiore di questi tra i concittadini. Una cultura che si nutre dell'idolatria della morte e della paura viste come armi vincenti. Una cultura che si riconosce da una parte nel chiuso delle proprie mura locali, dove vige un'ingannevole concordia, una burgfrieden nutrita delle emergenze, magari provocate dalla stessa arrogante ricerca di egemonia; dall'altra in una civilt imperiale e cristiana occidentale che, come negli altri film di Martinelli (Il mercante di pietre, una pericolosa caricatura del terrorismo islamico, o Marco D'Aviano, storia di un frate che difese Vienna dai Turchi, attualmente in produzione) incensata come depositaria di valori superiori. Tuttavia sembra di notare che la risposta a questi racconti, purtroppo dotati di grande appeal (perch basati nonostante tutto su pulsioni primordiali assolutamente umane), non pu essere solo nella forma classica della critica storica. Il grande pubblico non pu essere lasciato agli irresponsabili, che olt