Analisi del testo. Dalla “Gerusalemme liberata”, … N. 2: Analisi del testo: La maga Alcina...

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Analisi del testo. Dalla “Gerusalemme liberata”, canto I, ottave 45-49 I versi proposti sono tratti dal I canto; Goffredo assiste alla parata dell’esercito cristiano: un espediente narrativo per presentare i vari eroi Vien poi Tancredi, e non è alcun fra tanti (tranne Rinaldo) o feritor maggiore, o piú bel di maniere e di sembianti, o piú eccelso ed intrepido di core. S'alcun'ombra di colpa i suoi gran vanti rende men chiari, è sol follia d'amore: nato fra l'arme, amor di breve vista 1 , che si nutre d'affanni, e forza acquista. 46 È fama che quel dí che glorioso fe' la rotta de' Persi il popol franco 2 , poi che Tancredi al fin vittorioso i fuggitivi di seguir fu stanco, cercò di refrigerio e di riposo a l'arse labbia, al travagliato fianco, e trasse ove invitollo al rezzo 3 estivo cinto di verdi seggi un fonte vivo. 47 Quivi a lui d'improviso una donzella tutta, fuor che la fronte, armata apparse: era pagana, e là venuta anch'ella per l'istessa cagion di ristorarse. Egli mirolla, ed ammirò la bella sembianza, e d'essa si compiacque, e n'arse. Oh meraviglia! Amor, ch'a pena è nato, già grande vola, e già trionfa armato. 48 Ella d'elmo coprissi, e se non era ch'altri quivi arrivàr, ben l'assaliva. Partí dal vinto 4 suo la donna altera, ch'è per necessità sol fuggitiva; ma l'imagine sua bella e guerriera tale ei serbò nel cor, qual essa è viva; e sempre ha nel pensiero e l'atto e 'l loco in che la vide, esca continua al foco. 49 E ben nel volto suo la gente accorta legger potria: "Questi arde, e fuor di spene 5 "; cosí vien sospiroso, e cosí porta basse le ciglia e di mestizia piene. Gli ottocento a cavallo, a cui fa scorta, lasciàr le piaggie di Campagna 6 amene, 1 Nato da una fugace apparizione 2 la maggior parte dei crociati era francese 3 ombra 4 Tancredi vinto dall’amore 5 senza speranza 6 terre della Campania (da lì veniva Tancredi) pompa maggior 7 de la natura, e i colli che vagheggia il Tirren fertili e molli 1. Comprensione: 1.1 Sintetizza brevemente il testo proposto (max. 8 righe) 1.2 Parafrasa liberamente le ottave 46-47 2. Analisi: 2.1 Quali tratti caratterizzano Tancredi? Ti sembra che si presenti come un personaggio psicologicamente unidimensionale oppure è complesso, ricco di sfumature? 2.2 Come viene rappresentata Clorinda?Quali tratti la caratterizzano? 2.3 Quali caratteri presenta il luogo in cui i due si incontrano? A quali fonte letterarie l’autore si ispira nella descrizione? 2.4 Individua nel passo alcuni aspetti dello stile alto(in particolare lessico, sintassi,) che, secondo Tasso , deve caratterizzare il poema eroico 3. Approfondimenti( uno a scelta, in una trattazione sintetica di max 15 righe) 3.1 Illustra il modo in cui Tasso rappresenta il mondo pagano e i valori di cui esso è portavoce nel poema 3.2 L’amore nella Gerusalemme liberata 7 luogo in cui la natura manifesta la massima bellezza

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Page 1: Analisi del testo. Dalla “Gerusalemme liberata”, … N. 2: Analisi del testo: La maga Alcina (canti VII, ott. 9-22: testo da scaricare) 1. Comprensione: 1.1 Sintetizza brevemente

Analisi del testo. Dalla “Gerusalemme liberata”, canto I, ottave 45-49

I versi proposti sono tratti dal I canto; Goffredo assiste alla parata dell’esercito cristiano: un espediente narrativo per

presentare i vari eroi

Vien poi Tancredi, e non è alcun fra tanti

(tranne Rinaldo) o feritor maggiore,

o piú bel di maniere e di sembianti,

o piú eccelso ed intrepido di core.

S'alcun'ombra di colpa i suoi gran vanti

rende men chiari, è sol follia d'amore:

nato fra l'arme, amor di breve vista1,

che si nutre d'affanni, e forza acquista.

46 È fama che quel dí che glorioso

fe' la rotta de' Persi il popol franco2,

poi che Tancredi al fin vittorioso

i fuggitivi di seguir fu stanco,

cercò di refrigerio e di riposo

a l'arse labbia, al travagliato fianco,

e trasse ove invitollo al rezzo3 estivo

cinto di verdi seggi un fonte vivo.

47 Quivi a lui d'improviso una donzella

tutta, fuor che la fronte, armata apparse:

era pagana, e là venuta anch'ella

per l'istessa cagion di ristorarse.

Egli mirolla, ed ammirò la bella

sembianza, e d'essa si compiacque, e n'arse.

Oh meraviglia! Amor, ch'a pena è nato,

già grande vola, e già trionfa armato.

48 Ella d'elmo coprissi, e se non era

ch'altri quivi arrivàr, ben l'assaliva.

Partí dal vinto4 suo la donna altera,

ch'è per necessità sol fuggitiva;

ma l'imagine sua bella e guerriera

tale ei serbò nel cor, qual essa è viva;

e sempre ha nel pensiero e l'atto e 'l loco

in che la vide, esca continua al foco.

49 E ben nel volto suo la gente accorta

legger potria: "Questi arde, e fuor di spene5";

cosí vien sospiroso, e cosí porta

basse le ciglia e di mestizia piene.

Gli ottocento a cavallo, a cui fa scorta,

lasciàr le piaggie di Campagna 6amene,

1 Nato da una fugace apparizione

2 la maggior parte dei crociati era francese

3 ombra

4 Tancredi vinto dall’amore

5 senza speranza

6 terre della Campania (da lì veniva Tancredi)

pompa maggior7 de la natura, e i colli

che vagheggia il Tirren fertili e molli

1. Comprensione:

1.1 Sintetizza brevemente il testo proposto (max. 8

righe)

1.2 Parafrasa liberamente le ottave 46-47

2. Analisi:

2.1 Quali tratti caratterizzano Tancredi? Ti sembra

che si presenti come un personaggio

psicologicamente unidimensionale oppure è

complesso, ricco di sfumature?

2.2 Come viene rappresentata Clorinda?Quali tratti

la caratterizzano?

2.3 Quali caratteri presenta il luogo in cui i due si

incontrano? A quali fonte letterarie l’autore si

ispira nella descrizione?

2.4 Individua nel passo alcuni aspetti dello stile

alto(in particolare lessico, sintassi,) che,

secondo Tasso , deve caratterizzare il poema

eroico

3. Approfondimenti( uno a scelta, in una

trattazione sintetica di max 15 righe)

3.1 Illustra il modo in cui Tasso rappresenta il

mondo pagano e i valori di cui esso è

portavoce nel poema

3.2 L’amore nella Gerusalemme liberata

7 luogo in cui la natura manifesta la massima bellezza

Page 2: Analisi del testo. Dalla “Gerusalemme liberata”, … N. 2: Analisi del testo: La maga Alcina (canti VII, ott. 9-22: testo da scaricare) 1. Comprensione: 1.1 Sintetizza brevemente

Analisi del testo

Dal Purgatorio, canto II, vs. 67-117

L'anime, che si fuor di me accorte,

per lo spirare, ch'i' era ancor vivo,

maravigliando diventaro smorte.

E come a messagger che porta ulivo

tragge la gente per udir novelle,

e di calcar nessun si mostra schivo, 72

così al viso mio s'affisar quelle

anime fortunate tutte quante,

quasi obliando d'ire a farsi belle. 75

Io vidi una di lor trarresi avante

per abbracciarmi con sì grande affetto,

che mosse me a far lo somigliante. 78

Ohi ombre vane, fuor che ne l'aspetto!

tre volte dietro a lei le mani avvinsi,

e tante mi tornai con esse al petto. 81

Di maraviglia, credo, mi dipinsi;

per che l'ombra sorrise e si ritrasse,

e io, seguendo lei, oltre mi pinsi. 84

Soavemente disse ch'io posasse;

allor conobbi chi era, e pregai

che, per parlarmi, un poco s'arrestasse. 87

Rispuosemi: «Così com'io t'amai

nel mortal corpo, così t'amo sciolta:

però m'arresto; ma tu perché vai?». 90

«Casella mio, per tornar altra volta

là dov'io son, fo io questo viaggio»,

diss'io; «ma a te com'è tanta ora tolta?» 93

Ed elli a me: «Nessun m'è fatto oltraggio,

se quei che leva quando e cui li piace,

più volte m'ha negato esto passaggio; 96

ché di giusto voler lo suo si face:

veramente da tre mesi elli ha tolto

chi ha voluto intrar, con tutta pace. 99

Ond'io, ch'era ora a la marina vòlto

dove l'acqua di Tevero s'insala,

benignamente fu' da lui ricolto. 102

A quella foce ha elli or dritta l'ala,

peré che sempre quivi si ricoglie

qual verso Acheronte non si cala». 105

E io: «Se nuova legge non ti toglie

memoria o uso a l'amoroso canto

che mi solea quetar tutte mie doglie, 108

di ciò ti piaccia consolare alquanto

l'anima mia, che, con la sua persona

venendo qui, è affannata tanto!». 111

Amor che ne la mente mi ragiona

cominciò elli allor sì dolcemente,

che la dolcezza ancor dentro mi suona. 114

Lo mio maestro e io e quella gente

ch'eran con lui parevan sì contenti,

come a nessun toccasse altro la mente. 117

1. Comprensione:

1.1 Contestualizza brevemente l’episodio e parafrasa liberamente il testo

1.2 Spiega con precisione le parole o le espressioni sottolineate

1.3 Individua sinteticamente i principali temi contenuti nel passo proposto

2. Analisi ( puoi rispondere alle domande una per una o raggrupparle tutte o in parte in un unico

discorso)

2.1 L’episodio di Casella rappresenta una prova che l’eroe – protagonista , come le anime purganti,

deve superare per proseguire il suo cammino di salvezza: in cosa consiste tale prova?

2.2 I versi 80-81 costituiscono un richiamo classico: a cosa?

2.3 L’amore di cui parla Casella ai versi 88-89 di che natura è? E’ lo stesso sentimento più volte

espresso da tante anime penitenti?

2.4 La dimensione umana e terrena è sottolineata a più livelli in questo canto : ricercane esempi nei

versi proposti

2.5 Cosa sai della canzone intonata da Casella? Perchè Dante mette in bocca proprio questa

all’amico?

2.6 Commenta dal punto di vista fonico i versi 108 e 113-114

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Verifica sulla Gerusalemme liberata

Soggiunse poscia: "O padre, or che d'intorno

d'alto incendio di guerra arde il paese,

come qui state in placido soggiorno

senza temer le militari offese?"

"Figlio," ei rispose "d'ogni oltraggio e scorno

la mia famiglia e la mia greggia illese

sempre qui fur, né strepito di Marte

ancor turbò questa remota parte.

O sia grazia del Ciel che l'umiltade

d'innocente pastor salvi e sublime,

o che, sí come il folgore non cade

in basso pian ma su l'eccelse cime,

cosí il furor di peregrine spade

sol de' gran re l'altere teste opprime,

né gli avidi soldati a preda alletta

la nostra povertà vile e negletta.

Altrui vile e negletta, a me sí cara

che non bramo tesor né regal verga,

né cura o voglia ambiziosa o avara

mai nel tranquillo del mio petto alberga.

Spengo la sete mia ne l'acqua chiara,

che non tem'io che di venen s'asperga,

e questa greggia e l'orticel dispensa

cibi non compri a la mia parca mensa

1. Parafrasa il testo

2. Contestualizza e riassumi l’avventura di Erminia tra i pastori (max. 15 r)

3. Confronta i diversi termini della polemica anticortigiana in questo episodio e nell’Aminta

(max 10 r)

Page 4: Analisi del testo. Dalla “Gerusalemme liberata”, … N. 2: Analisi del testo: La maga Alcina (canti VII, ott. 9-22: testo da scaricare) 1. Comprensione: 1.1 Sintetizza brevemente

Analisi del testo : dal canto XXIV dell’Orlando Furioso

Chi mette il piè su l’amorosa pania

cerchi ritrarlo e non v’inveschi l’ale;

che non è in somma amor, se non insania,

a giudizio de’ savi universale:

e se ben come Orlando ognun non smania,

suo furor mostra a qualch’altro segnale.

E qual è di pazzia segno più espresso

che, per altri voler, perder se stesso?

Varii gli effetti son, ma la pazzia

è tutt’una però che li fa uscire.

Gli è come una gran selva, ove la via

conviene a forza , a chi vi va, fallire:

chi su. chi giù, chi qua, chi là travia.

Per concludere in somma io vi vo’ dire:

a chi in amor s’invecchia, oltr’ogni pena,

si convengono i ceppi e la catena

1. Comprensione:

1.1 Parafrasa il testo

1.2 Puntualizza il tema centrale su cui l’autore riflette

2. Analisi

2.1 Quale concezione dell’amore emerge da questi versi e, più in generale , dalla vicenda di Orlando,

che questi versi commentano?

2.2 Nei primi versi si susseguono metafore riferite a un ambito particolare: quale? Sapresti motivare

questa scelta?

2.3 Nella II ottava spiega e commenta il paragone con la selva, luogo emblematico del poema.

2.4 Individua nelle due ottave tracce dell’ironia ariostesca

3. Approfondimenti

3.1 In un testo di non più di 20 righe rifletti su una forma di follia che , a tuo parere, caratterizza la società

contemporanea.

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PROVA N. 2: Analisi del testo: La maga Alcina (canti VII, ott. 9-22: testo da scaricare)

1. Comprensione:

1.1 Sintetizza brevemente il contenuto informativo del passo proposto

2. Analisi

2.1 Tema centrale del passo è la bellezza straordinaria di Alcina: su quali tratti della donna si

concentra l’attenzione del poeta? Perchè? Cosa vuole mettere in luce?

2.2 Mentre Alcina viene descritta solo steriormente , il personaggio di Rinaldo ha uno spessore

psicologico maggiore; quali sono i tratti che lo caratterizzano? attraverso quali stati d’animo

passa?

2.3 Come si spiega la scelta di Ariosto di rappresentare i cavalieri in chiave antieroica?

2.4 Uno dei temi dell’episodio è ancora il rapporto tra realtà e apparenza. Dove viene suggerito?

Quali altri episodi ti ricorda?

2.5 Da un punto di vista stilistico, il brano è caratterizzato del frequente ricorso all’ironia: indica i

passi in cui essa è particolarmente evidente

Leggi i seguenti versi e svolgi le indicazioni che li seguono:

Tutti cercano il van, tutti gli danno Colpa di furto alcun che lor fatt’abbia:

del destrier che gli ha tolto, altri è in affanno;

ch’abbia perduta altri la donna, arrabbia;

altri d’altro lo accusa: e così stanno,

che non si san partir di quella gabbia;

e vi son molti, a questo inganno presi,

stati le settimane intiere e i mesi.

Orlando, poi che quattro volte e sei

Tutto cercato ebbe il palazzo strano,

disse fra sé:”Qui dimorar potrei,

gittare il tempo e la fatica invano:

e potria il ladro aver tratta costei

da un’altra uscita, e molto esser lontano”

Con tal pensiero uscì nel verde prato,

dal qual tutto il palazzo era aggirato.

1. contestualizza e parafrasa il passo proposta

2. commenta il significato simbolico del luogo in cui si sta svolgendo l’azione (max. 10 r)

B. La materia cavalleresca e l’ironia nell’”Orlando furioso” (max. 20 r)

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ANALISI DEL TESTO: DALLA SATIRA IV DELL'ARIOSTO

1. Comprensione 1.1 Quale avvenimento offre al poeta l'occasione per la stesura della satira? Qual è il tema di

fondo affrontato nel testo?

2. Analisi. Nel brano sono presenti tre elementi: la descrizione del paesaggio, l'espressione di uno stato

d'animo e la riflessione sulla poesia

2.1 Come viene descritto il paesaggio? Si tratta di una descrizione realistica o lirica?

2.2 Qual è la condizione esistenziale del poeta? Con quali termini viene espressa?

2.3 Quale concezione della poesia si evince dal testo?

2.4 Nei versi letti emerge indirettamente l'importanza che per Ariosto ebbe il modello

dantesco. In quali versi della Satira IV emerge la componente dantesca? Come si spiega la

presenza di tali influssi?

2.5 Osservazioni sul linguaggio

3. Approfondimenti

3.1 Autobiografia e moralità nelle Satire ariostesche

Dica ogniun come vuole, e siagli aviso quel che gli par: in somma ti confesso che qui perduto ho il canto, il gioco, il riso. Questa è la prima; ma molt'altre appresso e molt'altre ragion posso allegarte, che da le dee m'ha tolto di Permesso. Già mi fur dolci inviti a empir le carte li luoghi ameni di che il nostro Reggio, il natio nido mio, n'ha la sua parte. Il tuo Mauricïan sempre vagheggio, la bella stanza, il Rodano vicino, da le Naiade amato ombroso seggio, il lucido vivaio onde il giardino si cinge intorno, il fresco rio che corre, rigando l'erbe, ove poi fa il molino; non mi si può de la memoria tòrre le vigne e i solchi del fecondo Iaco, la valle e il colle e la ben posta tórre. Cercando or questo et or quel loco opaco, quivi in più d'una lingua e in più d'un stile rivi traea sin dal gorgoneo laco. Erano allora gli anni miei fra aprile e maggio belli, ch'or l'ottobre dietro si lasciano, e non pur luglio e sestile. Ma né d'Ascra potrian né di Libetro l'amene valli, senza il cor sereno, far da me uscir iocunda rima o metro. Dove altro albergo era di questo meno

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convenïente a i sacri studi, vuoto d'ogni iocundità, d'ogni orror pieno? La nuda Pania tra l'Aurora e il Noto, 140da l'altre parti il giogo mi circonda che fa d'un Pellegrin la gloria noto. Questa è una fossa, ove abito, profonda, donde non muovo piè senza salire del silvoso Apennin la fiera sponda. O stiami in Ròcca o voglio all'aria uscire, accuse e liti sempre e gridi ascolto, furti, omicidii, odi, vendette et ire; sì che or con chiaro or con turbato volto convien che alcuno prieghi, alcun minacci, altri condanni, altri ne mandi assolto; ch'ogni dì scriva et empia fogli e spacci, al Duca or per consiglio or per aiuto, sì che i ladron, c'ho d'ogni intorno, scacci.

Tip A: Analisi del testo

“Sublime specchio di veraci detti,” di V. Alfieri (testo sul libro)

Questo sonetto, datato 1786, f apposto sul retro di un ritratto dell’Alfieri, opera del pittore F.S.Fabre

1. Comprensione:

1.1 Sintetizza il contenuto del sonetto-autoritratto, distinguendo tra gli elementi del ritratto esteriore

e quelli del ritratto interiore

1.2 “il capo a terra prono”: a quale atteggiamento psicologico fa riferimento questo particolare

fisico?

2. Analisi:

2.1 Il sonetto si apre con un vocativo: a chi si rivolge il poeta? Che rilevanza assumono perciò i due

aggettivi del I verso?

2.2 “il capo a terra prono”: a quale atteggiamento psicologico fa riferimento questo particolare

fisico?

2.3 pallido in volto più che un re sul trono: cerca di spiegare questa curiosa similitudine

2.4 Le terzine sono caratterizzate da numerose antitesi: individuale e commentale

2.5 Individua e analizza gli elementi relativi al livello fonico (allitterazioni, assonanze,

consonanze,...) Esponi le tue osservazioni in un breve testo (max. 10 righe)

3. Approfondimenti:

3.1 Individua gli elementi preromantici presenti in questo sonetto e negli altri testi di Alfieri a te noti;

inquadra la figura dell’Alfieri nel clima culturale degli ultimi decenni del secolo

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Dopo aver letto il testo sottostante, tratto dal “Saggiatore”, rispondi alle seguenti domande: Analisi:

1. Riassumi in poche righe il testo 2. Il passo è ricco di esempi concreti per illustrare un tema caro a Galileo: individua

tale tema e spiega il ricorso agli esempi, frequente in tutto il Saggiatore 3. Ricorda altri passi del Saggiatore animati da aneddoti , paragoni, metafore 4. Ricorda altri aspetti salienti dello stile di Galileo

Approfondimento: 1. Le strategie comunicative di Galileo

Il quale (Sarsi), ………., dice che a chi avesse pur una sola volta rimirata la cometa, di nissun altro argomento gli sarebbe stato di mestieri per conoscer la natura di cotal lume; il quale, paragonato cogli altri lumi verissimi, pur troppo apertamente mostrava sé esser vero, e non finto. Sì che, come vede V. S. Illustrissima, il Sarsi confida tanto nel senso della vista, che stima impossibil cosa restar ingannato, tutta volta che si possa far parallelo tra un oggetto finto ed un reale. Io confesso di non aver la facoltà distintiva tanto perfetta, ma d'esser come quella scimia che crede fermamente veder nello specchio un'altra bertuccia, né prima conosce il suo errore, che quattro o sei volte non sia corsa dietro allo specchio per prenderla: tanto se le rappresenta quel simulacro vivo e vero.

E supposto che quegli che il

Sarsi vede nello specchio non sieno uomini veri e reali, ma vani simulacri, come quelli che ci veggiamo noi altri, grande curiosità avrei di sapere, quali sieno quelle visuali differenze per le quali tanto speditamente distingue il vero dal finto. Io, quanto a me, mi sono mille volte ritrovato in qualche stanza a finestre serrate, e per qualche piccol foro veduto un poco di reflession di Sole fatta da un altro muro opposto, e giudicatola, quanto alla vista, una stella non men lucida della Canicola e di Venere. E caminando in campagna contro al Sole, in quante migliaia di pagliuzze, di sassetti, un poco lisci o bagnati, si vedrà la reflession del Sole in aspetto di stelle splendentissime? Sputi solamente in terra il Sarsi, ché senz'altro, dal luogo dove va la reflession del raggio solare, vedrà l'aspetto d'una stella naturalissima. In oltre, qual corpo posto in gran lontananza, venendo tocco dal Sole, non apparirà una stella, massime se sarà tanto alto che si possa veder di notte, come si veggon l'altre stelle? E chi distinguerebbe la Luna, veduta di giorno, da una nuvola tocca dal Sole, se non fusse la diversità della figura e dell'apparente grandezza? Niuno sicuramente . E finalmente, se la semplice apparenza deve determinar dell'essenza, bisogna che il Sarsi conceda che i Soli, le Lune e le stelle, vedute nell'acqua ferma e negli specchi, sien veri Soli, vere Lune e vere stelle. Cangi pure il Sarsi, quanto a questa parte, opinione, né creda col citare autorità di Ticone, di Taddeo Agecio o d'altri molti, di megliorar la condizion sua, se non in quanto l'avere avuto uomini tali per compagni rende più scusabile il suo errore.

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Tip. A: Analisi del testo : P. Verri, da “Osservazioni sulla tortura”

Scannati dall’ignoranza Il passo , tratto delle “osservazioni sulla tortura”, si riferisce alla peste che nel 1630 si diffuse nel milanese, la stessa di cui ci parla Manzoni nei “Promessi sposi”

La pestilenza andava sempre più mietendo vittime umane, e si andava disputando sulla origine di quella anziché accorrervi al riparo. Gli uni la facevano discendere da una cometa che fu in quell'anno osservata nel mese di giugno truci ultra solitum etiam facie [d'aspetto più spaventevole ancora dell'usato], come scrive il Ripamonti. Altri ne davano l'origine agli spiriti infernali, e v'era chi attestava d'avere distintamente veduto giungere sulla piazza del duomo un signore strascinato da sei cavalli bianchi in un superbo cocchio, e attorniato da numeroso corteggio. Si osservò che il signore aveva una fisonomia fosca ed infuocata; occhi fiammeggianti, irsute chiome e il labbro superiore minaccioso. Entrato questi nella casa, ivi furono osservati tesori, larve, demonj e seduzioni d'ogni sorta, per adescare gli uomini a prendere il partito diabolico: di tali opinioni se ne può vedere più a lungo la storia nel citato Ripamonti. Fra tai delirj si perdevano i cittadini anche più distinti e gli stessi magistrati; e in vece di tenere con esatti ordini segregati i cittadini gli uni dagli altri, in vece d'intimare a ciascuno di restarsene in casa, destinando uomini probi in quartieri diversi per somministrare quanto occorreva a ciascuna famiglia, rimedio il solo che possa impedire la comunicazione del malore, e rimedio che adoperato da principio avrebbe forse con meno di cento uomini placata la pestilenza; in vece, dico, di tutto ciò, si è comandata con una mal'intesa pietà una processione solenne, nella quale si radunarono tutti i ceti de' cittadini, e trasportando il corpo di S. Carlo per tutte le strade frequentate della città, ed esponendolo sull'altar maggiore del duomo per più giorni alle preghiere dell'affollato popolo, prodigiosamente si comunicò la pestilenza alla città tutta, ove da quel momento si cominciarono a contare sino novecento morti ogni giorno. In una parola, tutta la città immersa nella più luttuosa ignoranza si abbandonò ai più assurdi e atroci delirj, malissimo pensati furono i regolamenti, stranissime le opinioni regnanti, ogni legame sociale venne miseramente disciolto dal furore della superstiziosa credulità; una distruttrice anarchia desolò ogni cosa, per modo che le opinioni flagellarono assai più i miseri nostri maggiori di quello che lo facesse la fisica in quella luttuosissima epoca; si ricorse agli astrologi, agli esorcisti, alla inquisizione, alle torture, tutto diventò preda della pestilenza, della superstizione, del fanatismo e della rapina; cosicché 1a proscritta verità in nessun luogo poté palesarsi. Cento quaranta mila cittadini Milanesi perirono scannati dalla ignoranza. Mentre la pestilenza inferiva più che mai, dopo la processione già detta, la mattina del giorno 21 giugno 1630 una vedova per nome Caterina Troccazzani Rosa, che alloggiava nel corritore che attraversa la Vedra de' cittadini, vide dalla finestra Guglielmo Piazza che dal Carrobio entrò nella contrada, e accostato al muro dalla parte dritta entrando, passò sotto il corritore, indi giunto alla casa di S. Simone, ossia al termine della casa Crivelli che allora aveva una pianta grande di lauro, ritornò indietro. Lo stesso fu osservato da altra donna per nome Ottavia Persici Boni. La prima di queste donne disse nell'esame, che il Piazza «a luogo a luogo tirava con le mani dietro al muro»: l'altra dice, che alla muraglia del giardino Crivelli «aveva una carta in mano, sopra la qual mise la mano dritta, che mi pareva che volesse scrivere, e poi vidi che levata la mano dalla carta la fregò sopra la muraglia». Attestano che ciò accadde alle ore otto, che era giorno fatto, che pioveva. Le due donne sparsero nel vicinato immediatamente il sussurro di aver veduto chi faceva le unzioni malefiche, le quali in processo poi la Troccazzani Rosa disse «aveva veduto colui a fare certi atti attorno alle muraglie, che non mi piacciono niente». La vociferazione immediatamente si divulgò da una bocca all'altra, come risulta dal processo; si ricercò se le muraglie fossero sporche, e si osservò che dall'altezza di un braccio e mezzo da terra vi era del grasso giallo, e ciò singolarmente sotto la porta del Tradati, e vicino all'uscio del barbiere Mora. Si abbruciò paglia al luogo delle unzioni, si scrostò la muraglia, fu tutto il quartiere in iscompiglio. Prescindasi dalla impossibilità del delitto. Niente è più naturale che il passeggiare vicino al muro allorché piove in una città come la nostra, dove si resta al coperto della pioggia. Un delitto così atroce non si commette di chiaro giorno, nel mente che i vicini dalle finestre possono osservare; niente è più facile che lo sporcare quante muraglie piace col favore della notte. Su di questa vociferazione il giorno seguente si portò

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il capitano di giustizia sul luogo, esaminò le due nominate donne, e quantunque né esse dicessero di avere osservato che il muro sia rimasto sporco dove il Piazza pose le mani, né i siti ne' quali si era osservato l'unto giallo corrispondessero ai luoghi toccati, si decretò la prigionia del commissario della sanità Guglielmo Piazza. Se lo sgraziato Guglielmo Piazza avesse commesso un delitto di tanta atrocità, era ben naturale che attento all'effetto che ne poteva nascere e istrutto del rumore di tutto il vicinato del giorno precedente, non meno che della solenne visita che il giorno 22 vi fece ai luoghi pubblici sulla strada il capitano di giustizia, si sarebbe dato a una immediata fuga. Gli sgherri lo trovarono alla porta del presidente della sanità, da cui dipendeva, e lo fecero prigione. Visitossi immediatamente la casa del commissario Piazza, e dal processo risulta che non vi si trovarono né ampolle, né vasi, né unti, né danaro, né cosa alcuna che desse sospetto contro di lui. Appena condotto in carcere Guglielmo Piazza fu immediatamente interrogato dal giudice, e dopo le prime interrogazioni venne a chiedergli se conosceva i deputati della parrocchia, al che rispose che non li conosceva. Interrogato se sapesse che siano stato unte le muraglie, disse che non lo sapeva. Queste due risposte si giudicarono «bugie e inverosimiglianze». Su queste bugie e inverosimiglianze fu posto ai tormenti.

1. Comprensione 1.1 Sintetizza il contenuto informativo del testo in una quindicina di righe 1.2 Individua gli elementi del discorso che rivelano l’adesione del Verri all’illuminismo

2. Analisi: 2.1 Per quali aspetti le pagine di Verri hanno un andamento prettamente cronachistico? 2.2 Individua nel testo le espressioni realistiche, concrete. Ricerca poi i procedimenti retorici, come

prolessi, climax, o altre figure che conosci (rispondi in forma di semplici elenchi).Come puoi definire a questo punto la prosa di Verri? Trovi che abbia un andamento omogeneo o vari col procedere del discorso? Rispondi argomentando

2.3 Si evidenziano nel testo commenti – giudizi dell’autore?

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TIP. A – ANALISI DEL TESTO

I -Dal “Teatro Comico” di C. Goldoni. Atto II, scena III

Lelio: Perché? Disprezzate voi l'opere dei Francesi?

Orazio: Non le disprezzo; le lodo, le stimo, le venero, ma non sono il caso per me. I Francesi hanno trionfato

nell'arte delle commedie per un secolo intiero; sarebbe ormai tempo, che l'Italia facesse conoscere non essere

in ella spento il lume de' buoni autori, i quali dopo i Greci, ed i Latini sono stati i primi ad arricchire, e ad

illustrare il teatro. I Francesi nelle loro commedie, non si può dire che non abbiano de' bei caratteri, e ben

sostenuti, che non maneggiano bene le passioni, e che i loro concetti non siano arguti, spiritosi, e brillanti,

ma gl'uditori di quel paese si contentano del poco. Un carattere solo basta per sostenere una commedia

francese. Intorno ad una sola passione ben maneggiata e condotta, raggirano una quantità di periodi, i quali

colla forza dell'esprimere prendono aria di novità. I nostri Italiani vogliono molto più. Vogliono, che il

carattere principale sia forte, originale, e conosciuto, che quasi tutte le persone, che formano gli episodi siano

altrettanti caratteri; che l'intreccio sia mediocremente fecondo d'accidenti, e di novità. Vogliono la morale

mescolata coi sali, e colle facezie. Vogliono il fine inaspettato, ma bene originato dalla condotta della

commedia. Vogliono tante infinite cose, che troppo lungo sarebbe il dirle, e solamente, coll'uso, colla pratica,

e col tempo si può arrivar a conoscerle, e ad eseguirle.

Lelio: Ma quando poi una commedia ha tutte queste buone qualità, in Italia, piace a tutti?

Orazio: Oh signor no. Perché, siccome ognuno, che va alla commedia pensa in un modo particolare, così fa

in lui vario effetto, secondo il modo suo di pensare. Al malinconico non piace la barzeletta; all'allegro non

piace la moralità. Questa è la ragione per cui le commedie non hanno mai, e mai non avranno l'applauso

universale. Ma la verità però si è, che quando sono buone, alla maggior parte piacciono, quando sono cattive

quasi a tutti dispiacciono.

Lelio: Quand'è così, io ho una commedia di carattere di mia invenzione, che son sicuro che piacerà alla

maggior parte. Mi pare d'avere osservati in essa tutti i precetti, ma quando non li avessi tutti adempiuti, son

certo d'avere osservato il più essenziale, che è quello della scena stabile.

Orazio: Chi vi ha detto, che la scena stabile sia un precetto essenziale?

Lelio: Aristotile.

Orazio: Avete letto Aristotile?

Lelio: Per dirla, non l'ho letto, ma ho sentito a dire così.

Orazio: Vi spiegherò io cosa dice Aristotile. Questo buon filosofo intorno alla commedia ha principiato a

scrivere, ma non ha terminato, e non abbiamo di lui, sopra tal materia, che poche imperfette pagine. Egli ha

prescritta nella sua poetica l'osservanza della scena stabile rispetto alla tragedia, e non ha parlato della

commedia. Vi è chi dice, che quanto ha detto della tragedia si debba intendere ancora della commedia, e che

se avesse terminato il trattato della commedia, avrebbe prescritta la scena stabile. Ma a ciò rispondesi, che se

Aristotile fosse vivo presentemente, cancellerebbe egli medesimo quest'arduo precetto, perché da questo ne

nascono mille assurdi, mille improprietà, e indecenze. Due sorti di Commedia distinguo: "commedia

semplice", e "commedia d'intreccio". La commedia "semplice" può farsi in iscena stabile. La commedia

d'"intreccio" così non può farsi senza durezza, e improprietà. Gli antichi non hanno avuta la facilità, che

abbiamo noi di cambiar le scene, e per questo ne osservano l'unità. Noi avremo osservata l'unità del luogo,

semprecché si farà la commedia in una stessa città, e molto più se si farà in un'istessa casa; basta che non si

vada da Napoli in Castiglia come senza difficoltà solevano praticar gli Spagnuoli, i quali oggidì principiano a

correggere quest'abuso, e a farsi scrupolo della distanza, e del tempo. Onde concludo, che se la commedia

senza stiracchiature, o improprietà può farsi in iscena stabile, si faccia; ma se per l'unità della scena, si hanno

a introdurre degli assurdi; è meglio cambiar la scena, e osservare le regole del verisimile.

Lelio: Ed io ho fatto tanta fatica per osservare questo precetto.

Orazio: Può essere, che la scena stabile vada bene. Qual è il titolo della vostra commedia?

Lelio: Il padre mezzano delle proprie figliuole.

Orazio: Oimè! Cattivo argomento. Quando il protagonista della commedia è di cattivo costume, o deve

cambiar carattere contro i buoni precetti, o deve riescire la commedia stessa una scelleraggine.

Lelio: Dunque non si hanno a mettere sulla scena i cattivi caratteri per correggerli, e svergognarli?

Orazio: I cattivi caratteri si mettono in iscena, ma non i caratteri scandolosi, come sarebbe questo di un

padre, che faccia il mezzano alle proprie figliuole. E poi quando si vuole introdurre un cattivo carattere in

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una commedia, si mette di fianco, e non in prospetto, che vale a dire, per episodio, in confronto del carattere

virtuoso, perché maggiormente si esalti la virtù, e si deprima il vizio.

Comprensione complessiva:

Presenta, in sintesi, il parere dei due personaggi, in particolare evidenziando

- i gusti degli spettatori Francesi

- quelli degli Spagnoli

- quelli degli Italiani

Analisi del testo:

Quali caratteristiche della commedia goldoniana sono qui rappresentate?

Quale il significato del riferimento ad Aristotele?

Come potresti definire la forma (lingua, stile, toni...)?

Approfondimento

Spiega, a completamento di quanto detto in questo passo, i concetti goldoniani di “Mondo

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A Firenze, U. Foscolo

Sonetto del 1801, ispirato all’amore sfortunato per Isabella Roncioni

E tu ne’ carmi avrai perenne vita,

sponda che Arno saluta in suo cammino

partendo la città che del latino

nome8 accogliea finor l’ombra fuggita.

Già dal tuo ponte all’onda impaurita

il papale furore e il ghibellino

mescean gran sangue, ove oggi al pellegrino

del fero vate9 la magion s’addita.

Per me cara, felice, inclita riva

ove sovente i pie’ leggiadri mosse

colei che vera al portamento Diva

In me volgeva le sue luci beate,

mentr’io sentia dai crin d’oro commosse

spirar ambrosia10

(2) l’aure innamorate

1. Comprensione

Stendi una libera parafrasi del testo

Individua il tema delle due quartine e quello delle due terzine e la loro connessione

2. Analisi

A quali fatti storici fa riferimento il testo nelle due quartine? Commenta alla luce del pensiero

foscoliano la scelta di tali memorie storiche

Come si spiega l’accenno ad Alfieri nel v. 8? E se si trattasse di un accenno a Dante che significato

potrebbe avere? Perché ambedue i poeti erano cari a Foscolo?

Alla tragicità della storia Foscolo contrappone la serenità di una bellezza mitica, fuori dal tempo:

segnala gli elementi lessicali che alludono, nelle terzine, a tale concetto e illustra il mito della

bellezza rasserenatrice in Foscolo, facendo riferimenti anche ad altri testi a te noti

8 Antica gloria di Roma

9 Dante o forse Alfieri

10 l’ambrosia era secondo la spiegazione dello stesso Foscolo l’olio profumato usato da Giunone per sedurre Giove

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Analisi guidata del sonetto “In morte del fratello Giovanni” (1802)

Un dì, s’io non andrò sempre fuggendo

Di gente in gente, me vedrai seduto

Sulla tua pietra, o fratel mio, gemendo

Il fior de’ tuoi gentili anni caduto.

La madre or sol suo dì tardo traendo

Parla di me col tuo cenere muto,

ma io deluse a voi le palme tendo

e sol da lungi i miei tetti saluto.

Sento gli avversi numi, e le secrete

Cure che al viver tuo furon tempesta,

e prego anch’io nel tuo porto quiete.

Questo di tanta speme oggi mi resta!

Straniere genti, almen l’ossa rendete

Allora al petto della madre mesta.

1. Comprensione generale

1.1 Parafrasa liberamente il testo, usando la terza persona.

1.2 Enuclea i tre personaggi intorno a cui è organizzata la poesia e le tematiche di cui ciascuno è simbolo.

In particolare, ci sono analogie e/o differenze tra l’io lirico e il fratello?

2. Analisi del testo

2.1 Ricerca e spiega alcune metonimie e metafore significative, presenti nel testo

2.2 Verifica la presenza nel testo di rime semantiche

2.3 Come definiresti il ritmo della poesia? Rispondi dopo aver osservato l’andamento sintattico e l’uso

dell’enjambement

3. Approfondimenti (1 a scelta)

3.1 Dopo aver delineato il significato attribuito alla morte in questo sonetto, confronta con la

concezione presente in “Alla sera” e con l’immagine della morte nell’Ortis.

3.2 Individua analogie e differenze col carme CI di Catullo. Ritieni che il classicismo di questo sonetto

sia solo un fatto formale o assuma un significato più profondo?

Catullo, CI

Multas per gentes et multa per aequora vectus

Advenio has miseras, frater, ad inferias,

ut te postremodonarem munere mortis

et mutam nequiquam alloquerer cinerem,

quandoquidem fortuna mihi tete abstulit ipsum,

heu miser indigne frater adempte mihi.

Nunc tamen interea haec prisco quae more

parentum

Tradita sunt tristi munere ad inferias,

accipe fraterno multu manantia fletu,

atque in perpetuum, frater, ave atque vale.

Dopo aver traversato tante terre e tanti mari,

eccomi, con queste povere offerte agli dei

sotterranei,

estremo dono di morte per te, fratello,

e a dire vane parole alla tua cenere muta,

perché te, proprio te, la sorte mi ha portato via,

o infelice fratello, strappato a me così

crudelmente.

Ma ora, così come sono, accetta queste offerte

Bagnate di molto pianto fraterno;

le porto seguendo l’antica usanza degli avi,

come dolente dono agli dei sotteranei.

E ti saluto per sempre, fratello, addio