AMELIA ROSSELLI E ROCCO SCOTELLARO · 2016. 6. 23. · Rocco Scotellaro può fornirci un chiaro...

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DELLA BASILICATA POTENZA FACOLTA’ DI LETTERE E FILOSOFIA CORSO DI LAUREA IN LETTERE INDIRIZZO MODERNO Tesi di laurea in Letteratura Italiana Moderna e Contemporanea AMELIA ROSSELLI E ROCCO SCOTELLARO Relatore: Candidata: Prof. Anna Maria Andreoli Maria Teresa Langerano Matr. 9492 ANNO ACCADEMICO 2000/2001

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  • UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DELLA BASILICATA

    POTENZA

    FACOLTA’ DI LETTERE E FILOSOFIA

    CORSO DI LAUREA IN LETTERE

    INDIRIZZO MODERNO

    Tesi di laurea in Letteratura Italiana Moderna e Contemporanea

    AMELIA ROSSELLI E ROCCO

    SCOTELLARO

    Relatore: Candidata:

    Prof. Anna Maria Andreoli Maria Teresa Langerano

    Matr. 9492

    ANNO ACCADEMICO 2000/2001

  • 1

    Maria Teresa Langerano

    AMELIA ROSSELLI E ROCCO SCOTELLARO

  • 2

    Introduzione

    Lo spettacolo teatrale “Contadini del sud”, che in molta parte tratta del rapporto

    tra Amelia Rosselli e Rocco Scotellaro, ha suscitato in me curiosità e interesse tali da

    spingermi a sviluppare la ricerca riferita a questo aspetto della vita dei due poeti.

    Nel lavoro teatrale Letizia Gorga veste i panni di Amelia Rosselli e Ulderico

    Pesce quelli di Rocco Scotellaro.

    Lei è diafana, eterea, cammina come distaccata dal suolo, quasi volando. Lui è

    più greve, come attaccato alla terra.

    Amelia Rosselli e Rocco Scotellaro nella diversità delle loro esperienze culturali

    ed esistenziali si sono incontrati e si sono scambiati sentimenti autentici e profondi.

    La vita di Rocco Scotellaro, pur se breve (muore a soli trent’anni), è ricca di

    eventi, di impegni, incontri e amicizie. Ha numerose frequentazioni e intrattiene

    rapporti d’amicizia con persone di provenienza sociale e di cultura alquanto diversa

    dalla sua.

    L’impegno politico e sociale, come gli amori e gli affetti, gli offrono materia

    d’ispirazione e diventano poesia.

    Quando incontra Amelia Rosselli, nel 1950, è uscito da poco tempo dal carcere e

    sta vivendo un periodo di disillusione.

    Amelia è la figlia di Marion Cave e Carlo Rosselli, il fondatore del movimento

    politico “Giustizia e libertà”.

    Insieme alla famiglia, nel 1946, torna in Italia dopo un esilio involontario. Vive

    per un periodo a Firenze, vicino alla nonna Amelia Pincherle. Nel 1949, dopo la

    morte della madre Marion Cave, si trasferisce a Roma.

    Il peregrinare per il mondo le ha fornito una cultura cosmopolita e un modo di

    sentirsi interiormente apolide.

    Nel primo capitolo di questo mio lavoro tratto della vita e della poesia di Amelia

    Rosselli, rilevando, per quanto possibile, l’identificazione tra la sua vita e la sua arte.

    Gli elementi fondamentali della sua poesia emergono dai sui interessi musicali,

    sociologico-politici e psicologici.

    Pensa e scrive in tre lingue, attingendo a diversi registri linguistici. È alla ricerca

    delle forme universali e dell’esperienza sonora, logica e associativa comune a tutti gli

    uomini e trasferibile in tutte le lingue: ricerca il linguaggio universale.

    Amelia Rosselli, prima di essere poetessa è musicista; l’interesse musicale

    suscita in lei quello poetico, per cui traspone in poesia le strutture della musica. La

    musica non è linguaggio universale?

    È interessata allo sperimentare in lingua e vuole appropriarsi di una scrittura

    alternativa. Nella sua arte è forte il desiderio d’innovazione, ma ugualmente è

    presente la necessità di sentirsi ancorata alla tradizione.

    Legge autori classici e moderni, inglesi e americani, francesi e italiani.

    C’è in lei uno scollamento tra vita vissuta e vita sognata, quest’ultima universo

    di parole e di suoni.

  • 3

    Il nutrimento della sua anima è la musica, la poesia. Quando questo viene meno i

    tormenti, che l’accompagnano per tutta la vita, la sconfiggono.

    La sua esistenza si conclude con l’atto pensato, meditato, quasi goduto del

    suicidio.

    Nel secondo capitolo ripercorro la vita di Rocco Scotellaro.

    Scotellaro nasce da una famiglia di piccoli artigiani e, per studiare, trascorre

    lunghi periodi in diverse località: Sicignano degli Alburni, Cava dei Tirreni, Matera,

    Potenza, Trento, Roma. Nel 1942 s’iscrive alla facoltà di Giurisprudenza degli Studi

    di Roma. La morte del padre, il 14 maggio 1942, e la guerra determinano il suo

    ritorno a Tricarico e il cambio di Università, prima a Napoli, poi a Bari. Scotellaro

    anche a causa di tutte le traversie della vita non consegue la laurea.

    Impegnato in campo politico e sociale, nell’ottobre del 1946, a soli ventitré anni,

    è il sindaco più giovane d’Italia. Il suo operato di onesto ed irreprensibile

    amministratore non si conclude positivamente, infatti, è arrestato l’8 febbraio 1950

    con l’accusa infondata di concussione e peculato. Condotto nelle Carceri giudiziarie

    di Matera è scarcerato, il 25 marzo, dopo l’assoluzione della Corte d’Appello di

    Potenza con formula piena.

    La triste esperienza del carcere fa maturare in lui la volontà di emigrare; deluso e

    disilluso vuole cambiare vita, è alla ricerca di una funzione che gli sia positivamente

    riconosciuta entro la società in cui vive.

    Il terzo capitolo riguarda l’incontro tra Rocco Scotellaro e Amelia Rosselli,

    durante il convegno su “La resistenza e la cultura italiana” tenutosi a Venezia il 22-

    24 aprile 1950.

    Scotellaro è affascinato dalla Rosselli; in lei vede rivivere gli ideali del padre

    Carlo.

    Amelia ha una cultura aperta, straniera; più giovane di sette anni, consiglia a

    Rocco i libri da leggere, di scrivere e di lasciare il lavoro presso l’Osservatorio di

    economia e politica agraria di Portici.

    Il poeta lucano le confida le insoddisfazioni per la gestazione del suo romanzo

    “L’uva puttanella”, le disillusioni, la sua volontà di lasciare l’Italia.

    All’interno del terzo capitolo analizzo i “Taccuini” di Scotellaro, che forniscono

    degli stimoli per approfondire temi importanti, come il rapporto dei due poeti con i

    genitori, con la politica, con i familiari defunti.

    Ci sono le lettere1, scritte in minuta, una di Amelia e due di Rocco.

    Lo “Scambio” o “Gioco”2 poetico intercorso tra i due poeti è composto da una

    poesia di Amelia dedicata a Rocco, e da due di Rocco dedicate ad Amelia. Rocco le

    si rivolge, chiamandola sempre con il nome materno; Amelia nella lettera e nella

    poesia dedicata a Rocco, si firma con il nome della madre: Marion.

    Nel quarto capitolo analizzo l’opera poetica di Amelia Rosselli, in cui è presente

    la figura di Rocco Scotellaro.

    1 Ivi,p. 262-264

    2 Ivi, p. 261-262

  • 4

    La morte del caro amico offre alla giovane donna una strana ispirazione, fino a

    quel momento ha scritto soltanto in inglese, ora comincia a scrivere in italiano.

    Compone Cantilena3, ventisette poesie per Rocco Scotellaro: un vero lamento

    funebre.

    In Sanatorio4 (1954) la morte si configura come una donna. Lei è disperata,

    ironicamente afferma che le occorre un marito, per guarire dalla sua malattia.

    In Diario Ottuso5 del 1968, cerca di far chiarezza su un periodo molto delicato

    della sua vita e cerca di guardare dal di fuori se stessa. Nei capitoli III e IV descrivo

    l’incontro con Rocco Scotellaro. Amelia vede dal di fuori “lei e lui come due

    passerotti”. Vi affiora un sentimento non vissuto a pieno “L’ uno non fu mai uomo

    pienamente e l’altra rifiutò d’esser donna. L’uno morì, l’altra se ne pentì.”6

    Amelia può essere sorella, figlia e madre di tale uomo.

    Pur essendo i tormenti di Amelia Rosselli dilatati, estremi, come donna mi sento

    a lei molto vicina: il suo dolore, la sua ricerca d’amore mai completamente appagata,

    suscita in me curiosità, compassione e tenerezza.

    La sua sofferenza personale affonda le radici nel dramma storico-politico del

    fascismo e della guerra.

    Non crede nell’esistenza della libertà, perché vive in uno stato di necessità.

    Come compaesana di Rocco Scotellaro sono molto interessata alla sua poesia e

    al suo operato politico e sociale.

    Scotellaro realizza alti esempi di democrazia partecipativa: organizza i consigli

    di borgo, dialoga con i contadini e gli artigiani per conoscerne le esigenze.

    La sua è una personalità complessa, e le semplicistiche definizioni non sono utili

    per la comprensione dei fatti; si fa interprete del mondo contadino, ma anela ad una

    cultura non provinciale.

    La sua poesia e il suo operato vanno al di là dei confini locali.

    È sintomatica la sua capacità tutta poetica di tradurre momenti di vita quotidiana

    in poesia, vivendo una tensione tra l’attaccamento alla realtà lucana e il desiderio di

    distaccarsene.

    Amelia Rosselli vive una tensione opposta a quella del suo tenero amico, tra la

    sua condizione di apolide e il desiderio di creare legami, di mettere radici.

    Oggi molte situazioni sono cambiate, non è più necessario prendere il “biglietto

    per Torino”, perché nella terra dei “padri saraceni” soffia il “vento della Fiat”.

    Nel tempo della globalizzazione dell’economia, dei conflitti globalizzati, ma

    anche del rilancio di una nuova globalizzazione equa e solidale e del sogno europeo

    che si sta realizzando, i problemi di cinquanta anni fa, come il lavoro e l’equità

    sociale, sono più che mai attuali.

    Rocco Scotellaro può fornirci un chiaro esempio di come la ricerca di identità si

    concilia con l’apertura verso la diversità.

    3 Amelia Rosselli, Le poesie, prefazione di Giovanni Giudici, Milano, Garzanti, p. 13-19

    4 Ivi, p.23-31

    5 Amelia Rosselli, Diario ottuso, prefazione di Alfonso Berardinelli, Roma, IBN Editore, 1990

    6 Ivi, p. 35

  • 5

    Capitolo I

    La vita, la poesia di Amelia Rosselli

    Nata a Parigi travagliata nell’epopea della nostra generazione fallace.

    Giaciuta in America fra i ricchi campi dei possidenti e dello Stato statale.

    Vissuta in Italia paese barbaro.

    Scappata dall’Inghilterra paese di sofisticati.

    Speranzosa nell’Ovest ove niente per ora cresce.7 (“V.B.Variazioni” vv.10-14)

    Amelia, la secondogenita di Carlo Rosselli e Marion Cave, nasce il 28 marzo del

    1930 a Parigi. Nel 1937, anno in cui Carlo e Nello Rosselli sono assassinati, si

    trasferisce con il resto della famiglia in Svizzera, dove vive per un anno e mezzo.

    Dopo il soggiorno in Svizzera, la famiglia Rosselli si stabilisce per due anni in

    Inghilterra e, infine, per sei anni negli Stati Uniti d’America. Nello Stato di New

    York Amelia compie un’esperienza presso la comunità dei quaccheri americani:

    impara a raccogliere il fieno, a pulire i cavalli, a mungere le vacche, dipinge i grandi

    granai di legno. È per lei quasi un’oasi di tranquillità, che per poco tempo interrompe

    il suo peregrinare di esule.

    Nel giugno del 1946 la famiglia Rosselli ritorna in Italia. Amelia, per un certo

    periodo, vive a Firenze con la nonna Amelia Pincherle.

    Nell’autunno del 1949, dopo la morte della madre Marion Cave avvenuta a

    Londra, Amelia da Firenze parte per Roma. Dopo il trasferimento stabile a Roma, la

    poetessa fa solamente due tentativi di evasione dalla capitale: il primo nella seconda

    metà degli anni settanta, quando vende la sua casa romana per acquistarne una a

    Londra.

    Durante l’anno trascorso nella capitale londinese è delusa dall’indifferenza

    culturale che vi respira. Dopo il soggiorno a Londra torna a Roma e compra la sua

    ultima casa, la mansarda in via del Corallo, nei pressi di Piazza Navona.

    Il secondo episodio di evasione da Roma dura un solo mese: si reca a Mosca

    insieme al poeta Gino Scartaghiande durante il periodo gorbacioviano.

    Gli anni dell’infanzia e dell’adolescenza sono considerati fondamentali per la

    formazione della personalità di ogni individuo. Amelia durante il periodo infantile e

    nel primo adolescenziale vive un trauma molto forte: l’assassinio del padre e dello

    zio avvenuto il 9 giugno 1937 a Bagnoles-de-l’Orne a opera di sicari francesi

    appartenenti al gruppo terroristico di estrema destra “La Cagoule”, assoldati e istruiti

    dal servizio segreto italiano su ordine dei vertici del fascismo.

    La Rosselli vive un esilio involontario, che la porta da una parte all’altro del

    mondo, la mette in contatto con realtà, culture, concezioni morali, lingue differenti.

    Questi anni sono fondamentali nella formazione della sua personalità angosciata

    e sofferente, ma le forniscono anche molti stimoli che, dilatandosi, diventano la sua

    poesia: l’interesse musicale e una formazione culturale internazionale.

    7Amelia Rosselli, Le poesie, prefazione di Giovanni Giudici, Milano, Garzanti, 1998, p. 202

  • 6

    La condizione di esule struttura il suo modo di sentirsi interiormente apolide e

    cosmopolita. La condizione di apolide è essa stessa causa di angoscia, perché la

    poetessa vive uno sradicamento: quali sono le sue radici, la sua lingua, la sua

    cultura?

    E’ particolarmente difficile per chi ha vissuto un’infanzia e un’adolescenza

    come quella di Amelia Rosselli rispondere a queste domande.

    Dal 1953 diventa romana e, secondo la testimonianza del cugino Aldo Rosselli,

    ama la città come pochi romani la amano.

    Bella la riflessione poetica su quella che fu “caput mundi” in “Prime Prose

    Italiane”:

    Roma città eterna che silenziosamente di notte ti bevi il tuo splendore hai tu

    nulla da predire. Ti sei fatta principessa e languisci. Nulla ti vieta. Arrotonda pure i

    tuoi seni bianchi e lustri. Le massaie si sono stancate di portarti le acque piovane.

    Tu hai succhiato latte di volpe hai rubato hai saccheggiato e ora siedi riposi

    assestata.8

    Amelia Rosselli compie gli studi liceali e poi studi specialistici di musica e di

    composizione musicale; studia solfeggio e canto a scuola, in America. Fin da

    adolescente suona il violino, poi l’organo e infine il pianoforte. Gli studi di musica e

    di musicologia destano in lei l’interesse per le strutture della poesia.

    In “Spazi metrici” (1962) scrive:

    Una problematica della forma poetica è stata per me sempre connessa a quella

    più strettamente musicale, e non ho in realtà mai scisso le due discipline

    considerando la sillaba non solo come nesso ortografico ma anche suono, e il

    periodo non solo un costrutto grammaticale ma anche un sistema. Definire la sillaba

    come suono è però inesatto: non vi sono suoni nelle lingue:- la vocale o la

    consonante nelle classificazioni dell’acustica musicale si definiscano come rumore, e

    ciò è naturale, vista la complessità del nostro apparato fonetico-fisiologico, (…).

    Comunque nel parlare di vocali generalmente noi intendiamo suoni, o anche

    colori, visto che ad esse addebitiamo le qualità “timbriche”; e nel parlare di

    consonanti o di raggruppamenti di consonanti, intendiamo non soltanto il loro

    aspetto grafico ma anche movimenti muscolari e forme mentali (…).9

    Prima di essere poetessa è musicista: il nesso musica-poesia è per lei

    inscindibile. Scrive ascoltando Bach, oppure prima suona Chopin, Bartòk o Webern

    e poi scrive; prima le sue dita si muovono sulla tastiera del piano e poi su quella della

    macchina da scrivere come su uno strumento gemello.

    Altri poeti sono anche musicisti: Montale, Joyce. Questo fatto non è eccezionale

    se si pensa alla lirica greca. In origine il vocabolo ‘lirica’ indicava la poesia con

    l’accompagnamento della lira.

    Lirici furono poeti come Alceo, Saffo, Alcmane, Simonide, Pindaro, le cui

    composizioni non erano recitate, ma cantate, associando le parole agli strumenti.

    Nella lirica greca esiste un rapporto diretto tra musica e poesia: la poesia è anche

    musica.

    8 Ivi, p. 44

    9 Ivi, p. 337

  • 7

    Alcuni cantautori di talento, come Fabrizio de Andrè e altri, associano alle

    composizioni musicali vere e proprie poesie.

    Amelia all’interno della sua poesia evidenzia due elementi: quello musicale e

    quello sociologico-politico, quest’ultimo mediato dalla lettura di autori come Carlo

    Levi e Rocco Scotellaro.

    A tale proposito fondamentale è “Contadini del sud”, che le fornisce un

    importante esempio di analisi sociologica. Per Amelia “Contadini del sud” è un

    capolavoro dal punto di vista letterario.

    La Rosselli non ama l’ambiente letterario; comincia a pubblicare a trentatré anni

    quando si rende conto che gli studi specialistici di musica non le daranno mai alcun

    reddito.

    Invia a Vittorini il suo primo manoscritto: “Variazioni belliche”. Vittorini lo

    trova buono e pubblica ventisei poesie sulla rivista il “Menabò”.

    Successivamente incontra da Alberto Moravia Pier Paolo Pasolini che l’aiuta a

    pubblicare l’intero libro.

    P. Paolo Pasolini è una scoperta tarda per la Rosselli.

    Comincia ad apprezzarlo dopo “Accattone”, conquistata dalla sua capacità di

    sincronizzare le immagini del film con la musica di Bach. Amelia non ama la

    scrittura ottocentesca dei romanzi di Pasolini, ma ritiene splendide le sue poesie

    giovanili in dialetto friulano.

    Scrive e dedica

    (a Pier Paolo Pasolini)

    E posso trasfigurarti,

    passarti ad un altro

    sino a quell’altare

    della Patria che tu chiamasti

    puro…

    E v’è danza e gioia e vino

    stasera:- per chi non pranza

    nelle stanze abbuiate

    del Vaticano.

    Faticavo: ancora impegnata

    ad imparare a vivere, senonché

    tu tutto tremolante, t’avvicini

    ad indicarmi altra via.

    Le tende sono tirate, il viola

    dell’occhio è tondo, non è

    triste, ma siccome pregavi

    io chiusi la porta.

    Non è entrata la cameriera;

    è svenuta: rinvenendoti morto

    s’assopì pallida.

  • 8

    S’assopì pazza, e sconvolta

    nelle membra, raduna a sé

    gli estremi.

    Preferii dirlo ad altra infanzia

    che non questo dondolarsi

    su arsenali di parole!

    Ma il resto tace: non odo suono

    alcuno che non sia pace

    mentre sul foglio trema la matita

    E arrossisco anch’io, di tanta esposizione

    d’un nudo cadavere tramortito.10

    (“da Appunti sparsi e persi”)

    “Variazioni belliche” presenta, come “Serie ospedaliera”, una compatta struttura

    poematica:

    Variazioni belliche sono appunto variazioni intorno all’unico tema di un

    travaglio, un conflitto interiore, motivi non soltanto di racconto, ma anche ritmici,

    lessicali, prosodici, che si sviluppano come un’ostinata e ossessiva sequenza

    musicale quasi inseguendo un acme, una sempre incompiuta compiutezza.11

    Amelia Rosselli compone “Variazioni belliche” stando come sospesa tra la

    tastiera di un pianoforte ed una macchina da scrivere. Nel suo libro esprime il

    nascere e il morire di una passionalità dapprima imbrigliata, e poi sfociata in lotta e

    denuncia.

    Pasolini rileva nella poesia di Amelia Rosselli la presenza del lapsus linguistico

    come “errore creativo”. Pier Paolo Pasolini scrive:

    Uno dei casi più clamorosi del connettivo linguistico di Amelia Rosselli è il

    lapsus. Ora finto, ora vero: ma quando è finto, probabilmente lo è nel senso che,

    formatosi spontaneamente, viene subito accettato, adottato, fissato dall’autrice sotto

    la specie estetica di una invenzione “che si fa da sé”. (…).

    In realtà questa lingua -ripeto- è dominata da qualcosa di meccanico:

    emulsione che prende forma per suo conto, imposseduta, (…). Tuttavia, io direi che

    più che di specie culturale (e lo sono), i lapsus della Rosselli sono di specie

    ideologica. Il lapsus dà una profonda liberazione: consente, alla buonora, di

    liberarsi del peso istituzionale - gravante su tutta la lunghezza dell’anima - e nel

    tempo stesso, di rispettarlo. (…).

    Il Mito dell’Irrazionalità (mettiamo le maiuscole), ha con le poesie della

    Rosselli, negli anni sessanta, il suo prodotto migliore (…). E aggiungo che il tema

    dei lapsus è un piccolo tema secondario e irrisorio rispetto ai grandi temi della

    Nevrosi e del Mistero che percorrono il corpo di queste poesie: è solo un filo che ho

    10

    Ivi, p. 638-639 11

    Ivi, p.x

  • 9

    seguito per poter produrre qualche effato su questo splendido testo che si propone

    come ineffando.12

    Per Giacinto Spagnoletti si tratta di lapsus in casi sporadici. Si deve invece

    parlare:

    …di una conoscenza non perfettamente assimilata della lingua italiana, e del

    relativo apparato poetico. Spesso nei testi della Rosselli sono presenti espressioni,

    modi concettuali, che non si potrebbe definire se non arbitrari, (…)

    Se vogliamo considerarle “forzature analogiche o metaforiche”, occorre

    avvertire che la Rosselli si serve di esse per esplorare il suo territorio psichico, o

    alcuni lembi di esso, dando alla scrittura lo stesso peso che di solito si affida

    all’ambiguità, alla duplicità di un pensiero verso i confini dell’inespresso.13

    Per Giovanni Giudici:

    …l’illuminazione poetica si ha in una zona, per così dire, trascendentale della

    lingua, a mezza via tra l’intenzione di dire e il già detto, tra il pre-fato e l’el-fato, in

    terra di nessuno ossia di ispirazione14

    .

    Se “Variazioni belliche” denuncia la presenza di una “malattia” e delle sue

    conseguenze, la successiva “Serie ospedaliera” (1963-1965) appare tutta pervasa da

    una sorta di necessità terapeutica identificata nell’isolamento, nell’interiorizzazione,

    nella “malinconica privazione di vita”.

    Amelia scrive “Serie ospedaliera” durante un periodo molto doloroso: ha un

    acutizzarsi della malattia, che le impedisce di camminare, di leggere, di vivere.

    La serie di poesie è ospedaliera, in quanto rassegnata a un ritornare criticamente

    sui propri passi.

    L’apertura discorsiva è riscontrabile anche in “Documento”, che raccoglie poesie

    scritte tra il 1968 e il 1973.

    “Documento” è il libro meno programmatico della Rosselli che vuole restituire

    quantità e durata acustica alle parole della realtà.

    Vuole essere il libro della realtà, definito “libro del sangue e del cuore”, è un

    labirinto d’amore non una serie di variazioni (come “Variazioni belliche”).

    Nel suo terzo libro in italiano Amelia Rosselli aspira ad eliminare sia il tu, sia

    l’io, per il raggiungimento in poesia dell’obiettività di Pasternak, dove l’io è il

    pubblico, dove l’io è le cose. Vuole eliminare la tendenza autobiografica.

    In “Documento” è ricorrente la tematica dell’amore e della morte, scrive del suo

    stesso estinguersi, che è il contrario della poiesis: il suo disfarsi, non il suo farsi.

    La struttura metrica di “Documento” è più leggera, l’attrezzatura degli artifici

    retorici e fono-simbolici del passato si è andata smantellando. Nel più largo periodare

    sono comunque presenti le iterazioni, i paradossi, le interiezioni e le interrogazioni

    retoriche.

    Le visioni nelle liriche di “Documento” sono le

    12

    Pier Paolo Pasolini, Notizia su Amelia Rosselli, “Il menabò”, 6 (1963), Torino, Einaudi, p. 66-69 13

    Giacinto Spagnoletti, Amore e solitudine, in “Galleria”, a. 48, 1/2 (1997), Caltanissetta, Sciascia

    editore, p. 31-33 14

    Giovanni Giudici, Poesia-visione di Amelia Rosselli, in Novecento, XI, tomo 2, Settimo Milanese,

    Marzorati, 1989, p. 1050

  • 10

    “felici / visioni di una tranquilla morte” (Tende rivoluzionarie nel mio cuore,

    vv. 16-17);

    il riconoscere nella vita una continua morte

    “la vita che ha nascosto la morte per / tanto tempo finché un giorno ritrovarono

    / la notte stesa come un morto”, (Hanno fuso l’ordigno di guerra con le, vv. 28-30);

    e infine il vuoto cercato e desiderato

    “Vola nel vuoto questo mio oblioso cuore” (Tende rivoluzionarie del mio cuore

    v. 5);

    “Muta e in soggezione rincorro il vuoto”, (Questo gioco v. 6);

    ora “nulla / divenuto però incandescente / e separato dal vostro vivere / ostile”,

    (Conversazioni molto sofisticate, vv. 16-19);

    ora “vivo vuoto”, (Gelosa dello spazio che ti contiene, v. 17).15

    “Impromptu”, composto nel 1979, è l’ultimo scritto di Amelia Rosselli;

    interrompe un silenzio di sette anni e riassume i tratti essenziali e tipici della sua

    poesia. “Impromptu” è definito dalla stessa autrice un po’ d’élite, un po’ leopardiano.

    È scritto nel corso di una mattinata.

    L’uso del lapsus linguistico come errore creativo, messo in evidenza da Pasolini,

    non è qui tanto nel soggetto-autrice, quanto nella parola stessa affrancata in parte

    dalla normativa convenzionale e restituita a una condizione di autonomia

    autoinventiva. Scarto originale e profondo che nasce da un’idea non statica, ma

    dinamica e in divenire della parola. La parola è portatrice di un suo significato da

    dizionario, ma sempre più diventa portatrice di suono e di segno grafico che

    coinvolgono aree di segno e di suono contigue e affini. La parola della lingua

    poetica ha una ridondanza spontanea. Il poeta non condurrà la parola, ma dovrà

    farsi condurre da essa.

    In “Impromptu” “tank” ridonda in “tango”. La parola nella disposizione

    metrica delle strofe fa da ponte fra una strofa e la successiva che la riprende, o

    riprende altra parola semanticamente, fonicamente o graficamente contigua.

    La casualità della rima è utilizzata come generatrice di significati.

    Nel ritmo si esercita il più alto impegno di una prosodia non più fondata sul

    rapporto fra accenti tonici e numero di sillabe, ma su valori di quantità, intensità e

    durata.

    In “Impromptu” Amelia Rosselli applica il procedimento per cui alla fine del

    verso sono presenti parole monosillabiche: articoli, preposizioni, congiunzioni o

    particelle pronominali, che nella lingua comune non sono funzionalmente e

    semanticamente autonome.16

    L’argomento principale della poesia di Amelia Rosselli è la lingua considerata

    nel senso generale di linguaggio, in quanto facoltà umana, mezzo di esplorazione, di

    sperimentazione e invenzione.

    15

    Rosselli, Le poesie cit. p. 511, 518, 544, 550 16

    Giudici, Poesia-visione di Amelia Rosselli cit. p.1048-1051

  • 11

    Amelia Rosselli ha una triplice coscienza linguistica, culturale e letteraria;

    pensando e scrivendo in tre lingue ricerca le forme universali e il linguaggio

    universale. In “Spazi metrici”:

    (…) la lingua in cui scrivo di volta in volta è una sola, mentre la mia esperienza

    sonora logica e associativa è certamente quella di tutti i popoli, e riflettibile in tutte

    le lingue.17

    La sua poesia può collocarsi in un ambito letterario sia inglese, che francese ed

    italiano.

    In “Diario in Tre Lingue” (1955-1956) mescola francese, inglese e italiano,

    alterna frammenti in prosa con il verso.

    La Rosselli oltre a scrivere in lingue diverse attinge a registri linguistici

    differenti.

    È interessata eminentemente allo sperimentare in prosa, ritenendo che si dica di

    più in prosa che non in poesia, spesso manierista e decorativa.

    “Prime Prose Italiane” è un breve testo del 1954. Per la prima volta Amelia

    scrive in italiano, in prosa non scientifica o semplicemente saggistica e razionale. Lo

    scritto è breve e ispirato dal Tevere.

    La Rosselli scrive “Nota” una prosa difficile, interiore quanto la poesia,

    viaggiando in treno, o stando seduta ad un caffè assolato, o dinnanzi a una macchina

    da scrivere.

    Vuole dotarsi di una lingua propria ed esclusiva, liberata dall’usura,

    dall’abitudine ed investita di una maggiore potenzialità comunicativa.

    Come per gli strutturalisti così per la Rosselli il linguaggio è ambiguo a tutti i

    livelli: esso è logico (simile alle strutture matematiche), ma anche espressivo e quindi

    sociale in quanto garantisce la comunicazione tra gli individui; infine è individuale

    perché serve come mezzo di espressione di ogni personalità.

    In “Spazi metrici” Allegato a “Variazioni belliche” descrive la sua ricerca “di

    forme universali”, avvalorando l’idea che le parole escano dal vuoto, appartengano a

    un linguaggio affrancato dalla parola piena e ordinata della razionalità, e siano

    linguaggio universale dell’origine e della passione, corporeo, rumore, suono, soffio, e

    respiro, idea, musica.

    Nelle analisi freudiane di sogni, lapsus e motti di spirito “l’inconscio” si

    permette qualunque mescolanza o slittamento da un significato a un altro, se i

    significanti offrono la coincidenza anche più accidentale, la somiglianza anche più

    approssimativa, la possibilità più assurda di scomposizione.

    Per Freud “l’inconscio è solito trattare le parole come cose”. Lacan definisce

    “l’inconscio come ciò che prende tutto alla lettera, come il regno del significante

    ecc….”.18

    Questo mette in crisi la concezione saussuriana del segno come combinazione di

    signifiant e signifié (significante e significato), paragonabile a un foglio con il suo

    17

    Rosselli, Le poesie cit. p. 338 18

    Gabriella Palli Baroni, Disuguali incantamenti di Amelia Rosselli, in “Quaderni del Circolo

    Rosselli”, 17 (1999), Firenze, Giunti, p. 28-29

  • 12

    recto e il suo verso. Per Saussure il segno è arbitrario rispetto al referente, ma

    necessario poiché il significante non può sussistere senza il significato e viceversa.

    Nella Rosselli fondamentale è l’insistenza sul significante, sulla lettera, sulla

    parola.

    In “Spazi metrici” a proposito della sillaba, della parola, della frase e del

    discorso dice:

    “Per una classificazione non grafica o formale era necessario, nel cercare i

    fondi della forma poetica, parlare invece della sillaba, intesa non troppo

    scolasticamente, ma piuttosto come particella ritmica

    Salendo su per questa materia ancora insignificante, incorrevo nella parola

    intera, intesa come definizione e senso, idea, pozzo della comunicazione.(…). Io

    invece (e qui forse farei bene ad avvertire che essendo il mio sperimentare e dedurre

    assai personali e in parte incomunicabili, ogni conclusione ch’io ne possa aver tratto

    è da prendersi davvero “cum grano salis”), avevo proprio altre idee in proposito, e

    consideravo perfino “il” e “la” e “come” come idee e non meramente congiunzioni

    e precisazioni di un discorso esprimente una idea.

    Premettevo che il discorso intero indicasse il pensiero stesso, e cioè che la frase

    (con tutti i suoi coloriti funzionali) fosse una idea divenuta un poco più complessa e

    maneggiabile, e che il periodo fosse l’esposizione logica di una idea non statica

    come quella materializzatasi nella parola ma piuttosto dinamica e in “divenire” e

    spesso anche inconscio.

    Volendo allargare la mia classificazione davvero non troppo scientifica, inserivo

    l’ideogramma cinese tra frase, e la parola, e traducevo il rullo cinese in delirante

    corso di pensiero occidentale. (…)”.19

    L’ideogramma cinese diventa, così, uno strumento di affrancamento della parola.

    Questa riflessione può scaturire dallo studio di Pound. Nei “Cantos” Ezra Pound

    si serve dell’ideogramma cinese per intervallare italiano, inglese, greco, latino. Fin

    dall’inizio del secolo Pound si interessa alla scrittura cinese come mezzo espressivo.

    È particolarmente importante e interessante studiare la poesia della Rosselli dal

    punto di vista musicale quando si esamina la ritmica. È attratta dalla studio della

    metrica, aiutata in questo dai suoi studi di etnomusicologia, della musica del terzo

    mondo e dell’oriente su indicazione di Bartòk. Il suo punto di partenza per le ricerche

    della metrica è il rifiuto del postmajakovskismo.

    Per l’eminente interesse musicale si reca a Darmstdat, dove trascorre le estati

    degli anni 1959-1960. Darmstdat è il centro della Neue Musik, musica d’avanguardia

    ispirata da Schoenberg e Webern. In questo centro collabora con John Cage.

    Esistono forti elementi di similarità tra le teorie poetiche della Rosselli e le teorie

    della musica dodecafonica: la parola è isolata nel verso, così come nel dodecafonico

    la nota classica è isolata in mezzo al silenzio.

    Si fa costruire uno strumento sperimentale per riprodurre le scale musicali con

    molti più toni della scala occidentale a dodici toni.

    19

    Rosselli, Le poesie cit. p. 338

  • 13

    Applicato alla poesia, questo interesse nella divisione in minime unità dell’ottava

    armonica si traduce nella preoccupazione della poetessa di annotare le divisioni

    minime del tempo dei suoi versi.

    Le sue idee sul ritmo e il tempo nella recitazione dei versi assomigliano a un tipo

    di musica dell’avanguardia contemporanea.

    Afferma che i suoi versi vanno recitati entro un intervallo di tempo, a seconda

    della lunghezza del primo verso. La tesi è molto vicina al principio teorico di alcuni

    brani di musica cantata non in tempi o battute (piedi o sillabe per la poesia) ma in

    secondi e altre misure di tempo assoluto.

    Questi sono aspetti innovativi della poesia della Rosselli, che si conciliano con le

    linee dello sviluppo della musica d’avanguardia, ma è anche molto importante il

    legame con la tradizione. Infatti parla dell’invenzione di questa forma nuova-antica

    che nasce dalla lettura delle origini.

    Scrive: “Volli rileggere i sonetti delle prime scuole italiane; affascinata dalla

    regolarità volli tentare l’impossibile. (…)”20

    (“Spazi metrici”).

    Ritiene esaurita la scoperta del metro libero e necessario scoprire nuovi ordini

    metrici; ma non torna al sonetto della tradizione, cerca un’altra strada, una nuova

    forma d’invenzione personale.

    Il risultato è la “forma-cubo”, come la chiama nell’intervista rilasciata a Giacinto

    Spagnoletti. La nuova forma è breve, estremamente condensata, rigorosa e regolare

    come il sonetto, ma anche diversissima in quanto sostituisce all’endecasillabo del

    sonetto classico dei versi di misura fissa.

    Da “Variazioni belliche” a “Serie ospedaliera”, da “Documento” a “Impromptu”,

    la sua poesia è un “continuum” dove fondamentale è la componente letteraria.

    Legge un considerevole numero di autori e di opere, che sono captati dal suo

    ascolto e su cui si leva la sua voce: gli stilnovisti, gli elisabettiani, i romantici, gli

    ermetici, Donne, Leopardi, Campana, Montale, Mallarmè, Verlaine, Rimbaud,

    Kafka, Saba, Penna, Pavese, Scotellaro, Pasternak, Pound, Eliot, Dickinson, Plath,

    Shelley, Pascal, Kierkegaard, Kant, Bergson. Legge testi freudiani e, quando non ha

    ancora vent’anni, Karl Marx.

    Ha trascorso diversi periodi della sua esistenza in psicanalisi con Ernst Bernadt,

    diretto allievo di Carl Gustav Jung: più che sedute sono stati veri e propri “incontri

    psicanalitici”, che hanno esercitato un’influenza sui suoi interessi culturali.

    Per la Rosselli è importante fare analisi, prima di dedicarsi alla scrittura: questo

    permette di scrivere cose generali e utili.

    L’analisi psicanalitica serve per non incorrere, nella poesia, in un’autoanalisi

    confusa e impasticciata di uso privato.

    Gli scrittori in un certo senso sono i dottori dei loro lettori: perciò rifugge da una

    poesia di tipo confessionale o privato.

    Il suo itinerario poetico non è collocabile entro nessun ambito letterario; né

    antologie, né movimenti letterari ottengono il suo incondizionato favore.

    20

    Ivi, p. 339

  • 14

    La poetessa definisce il “Movimento Beat”, nel testo della prima trasmissione

    radiofonica dedicata alla Poesia d’elite nell’America d’oggi, “urgente e chiassosa

    scuola Beat”.

    Nei confronti della neoavanguardia nutre un tiepido interesse; a proposito degli

    incontri del Gruppo ’63, racconta a Renato Minore in un’intervista:

    Stavo a sentire tutto quel chiacchiericcio critico, era un po’ pesante. Scoprivano

    Pound, Joyce e tanti altri che io avevo letto mille volte, che io avevo scoperto tanti

    anni prima, per via della mia formazione non italiana.21

    Del “Gruppo 63” apprezza Antonio Porta per la serietà della ricerca e Pagliarini

    de “La ragazza Carla”, anteriore alla nascita dell’avanguardia.

    Ne “La Libellula”: “E io lo so ma l’avanguardia è ancora cavalcioni su de le

    mie spalle e ride e sputa come una vecchia fattucchiera,(…).”22

    Per la Rosselli il poeta non è un veggente, non crede nel ruolo salvifico della

    poesia: il poeta non è colui che addita e salva, non è il vate.

    La poesia è piuttosto una testimonianza, che va resa con mezzi esatti e sottili; “la

    poesia è scienza e istinto insieme”, “deve avere precisione scientifica ed essere

    accettazione immediata delle percezioni”.23

    L’esempio più alto di artista scienziato è rappresentato da Ghoethe.

    Nel poemetto del 1958 (“La Libellula”): “io non so se io rimo per incanto o per

    travagliata pena. Io non so se rimo per incanto o per ragione e non so se tu lo sai

    ch’io rimo interamente per te, (…)”24

    dichiara di non sapere se rima per incanto,

    l’incantamento degli antichi, o per il travaglio di una sofferenza, per ammaliamento,

    incantamento o per buon senso, per ragione.

    Gli elementi che costituiscono la personalità e lo stile letterario di Amelia da un

    lato sembrano essere scritti nel suo corredo genetico, (i nonni paterni, provenienti da

    agiate famiglie ebree erano artisti; il nonno Giuseppe Emanuele Rosselli era un

    raffinato musicista e compositore, la nonna Amelia Pincherle era un’affermata

    autrice di drammi teatrali), dall’altro questi elementi sono determinati dalle

    contingenze di vita, i traumi infantili, l’esilio involontario che la mette in contatto

    con diverse culture.

    Anima in pena, sofferente fin dalla giovinezza di schizofrenia, malattia che lei

    chiama morbo di Parkinson, si toglie la vita l’11 Febbraio (di domenica) del 1996.

    Forse non è una coincidenza che la poetessa Sylvia Plath, le cui poesie sono state

    tradotte da Amelia, si sia suicidata proprio un 11 febbraio di trentatré anni prima.

    La poetessa durante una conversazione con la scrittrice Sandra Petrignani

    dichiara: “la poesia non si addice alla vita normale, quella di tutti i giorni. Per

    questo tanti poeti muoiono giovani o suicidi. È come se lo scrivere dovesse essere

    legato a una visione adolescenziale del mondo e quando si raggiunge la cosiddetta

    maturità, il desiderio di scrivere vien meno”.

    21

    Francesca Caputo, La scrittura pratica di Amelia Rosselli, in “Quaderni del Circolo Rosselli” cit. p.

    74 22

    Rosselli, Le poesie, p.142 23

    Elio Pecora, Un incontro con Amelia Rosselli, in “Galleria” cit. p. 151-152 24

    Rosselli, Le poesie cit. 147

  • 15

    E confida: Non mi riconosco più scrittrice da cinque anni. Prima avevo la

    poesia. Ho scelto di non sposarmi per non distrarmi da lei. Ma ora che la scrittura

    mi ha abbandonato non ho più nulla.25

    (Intervista da “Il Messaggero”, 23/6/1978).

    Per la Rosselli vivere è ben più che scrivere. La vita è la prima fonte

    d’ispirazione, e non di rado la poesia tradisce la sua fonte vitale d’ispirazione.

    Dalla sua ultima opera “Impromptu”, pubblicata nel 1981, alla morte passano

    quindici anni.

    Amelia nell’ultimo periodo della sua vita soffre molto. Trascorre lunghi periodi

    in ospedale. Agli amici confida di avere “idee suicidali”.

    I fantasmi sempre presenti nella sua vita entrano con violenza in casa sua,

    diventano reali e l’afferrano per i capelli trascinandola alla finestra.

    Si allontana dalla vita, si abbandona ad una dimensione vegetativa, non vitale.

    Quella costante espressa tante volte nella sua poesia della “morte in vita”, quella

    specie di limbo tra vita e non vita, quella condizione confinante tra la vita e la morte

    in cui la poetessa si trova e si muove, si tramuta poi nel gesto pensato, meditato,

    quasi goduto del suicidio.

    Sulla sua vita aleggia come un’ombra: “il suicidio”; sceglie di lanciarsi non dal

    balcone della camera da letto-studio, più comodo per una simile impresa, ma dalla

    finestra della cucina, per affacciarsi alla quale è necessario prendere una sedia, e poi

    fare altri movimenti come la torsione del busto per sedere sullo stretto davanzale.

    Nell’attimo del lancio voluto e scelto coincidono la sua malattia, la sua

    sofferenza, la sua solitudine, la sua poesia che ha sempre costituito una dimensione

    altra, proprio come la sua vita sospesa tra cielo e terra.

    E ritornano i versi di “Hanno fuso l’ordigno di guerra” (“Documento”)

    “Pregano che non se ne andrà così presto / la vita che ha nascosto la morte per /

    tanto tempo finché un giorno ritrovarono / la notte stesa come un morto”.26

    E in “Il Cristo (Pasqua 1971)”:

    “Così come la finalità di tutte le cose / così come il conto festoso e a rima / ti

    precipiti al balcone, dal balcone / per vederti camminare.”27

    Da “Sanatorio” (1954)

    “Il faut mourir pour vivre tranquilles.”28

    Infine in “Notte, labirinto sorteggiato”(“Documento”)

    «Inno alla vita nel punto di morte»29

    Come la sua poesia si identifica con la sua vita, così nel suo lancio vuole

    identificarsi con “la sua libellula” e si libra alla ricerca di nuovi lidi e nuove terre.

    Come la vita ha nascosto la morte, così la morte può nascondere la vita, e la può

    liberare.

    25

    Biancamaria Frabotta, Una lettura di Documento, in “Quaderni del Circolo Rosselli” cit. p. 20 26

    Rosselli, Le poesie cit. p. 517 27

    Ivi, p. 614 28

    Ivi, p. 23 29

    Ivi, p. 507

  • 16

    Capitolo II

    La vita, l’impegno politico e sociale, la poesia di Rocco Scotellaro

    Rocco Scotellaro nasce a Tricarico il 19 Aprile del 1923 da una famiglia di

    piccoli artigiani. Il padre, Rocco Vincenzo, era calzolaio ed aveva un piccolo negozio

    di scarpe; la madre, Francesca Armento, era sarta casalinga e scrivana degli

    analfabeti del vicinato. Il 24 giugno del 1923, secondo la tradizione della religione

    cattolica, riceve il battesimo, i padrini sono Battista Lomastro e Annunziata

    Scotellaro.

    Dopo aver frequentato le scuole elementari a Santa Croce, presso il vecchio

    Convento delle Clarisse, si trasferisce a Sicignano degli Alburni nel Convitto

    Serafico dei Cappuccini per il primo ginnasio. Dopo Sicignano è la volta di Cava dei

    Tirreni, dove rimane per circa tre anni.

    Nel 1937 a Matera, da privatista, sostiene gli esami conclusivi del triennio

    ginnasiale; sempre a Matera frequenta il quarto ginnasio, il quinto a Tricarico, dove

    nel frattempo è stato istituito un normale corso di studi ginnasiali.

    Nell’anno 1939-1940 studia al Liceo classico “Quinto Orazio Flacco” di

    Potenza. All’inverno del 1939 risale il primo incontro tra Rocco Scotellaro e

    Giovanni Russo. I due giovani studenti scrivono i loro primi articoli su un

    settimanale del Sud, “Potenza Fascista”, dove Russo fa le sue prime prove come

    letterato e giornalista e Scotellaro come critico.

    Nell’anno 1940-1941 si iscrive a Trento per il secondo liceo, che frequenta

    presso l’istituto “Giovanni Prati”, ospite della sorella Serafina e del cognato Terzilio

    (sottufficiale dell’esercito). A Trento ha per insegnante Giovanni Gozzer, e stringe

    rapporti di amicizia con Alfredo Pieroni (poi direttore del quotidiano “Il resto del

    Carlino”). Durante la permanenza a Trento prepara da privatista gli esami della

    maturità classica, che supera in maniera brillante nel giugno del 1941.

    Rocco Scotellaro consegue ottimi risultati scolastici, ottenendo voti molto alti in

    greco e latino. Anni dopo, così traduce poeticamente “O fons bandusiae” (Carminum

    Libro terzo, 12-13) di Orazio:

    Bella fontana di Banzi,

    ti luccica un’acqua di vetro,

    ti porteremo domani in un cesto di fiori

    un capretto che allatta e pasce.

    Le prime corna gli promettono guerre di amore,

    peccato perché noi laveremo il tuo sangue

    nel tuo rivolo gelato.

    Perché non ti prende il sole cane

    e tu puoi rinfrescare

    i buoi aratori e le greggi camminanti.

    La bella fontana di Banzi,

    dicono che sarai tra le nobili fonti,

    perché rompe il cuore delle pietre

    la tua canzone lontana.30

    (1949)

    30

    Rocco Scotellaro, È fatto giorno, a cura di Franco Vitelli, Milano, Mondadori, 1954, p. 120

  • 17

    Nel 1942 si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di

    Roma, guadagnandosi contemporaneamente da vivere con il lavoro di istitutore

    presso un collegio di Tivoli.

    La morte del padre, avvenuta il 14 maggio 1942, e la guerra determinano il suo

    ritorno a Tricarico e il cambio di Università, prima a Napoli, poi a Bari, dove non

    frequenta, ma si reca per sostenere gli esami, come tutti gli studenti universitari

    poveri. A causa degli impegni politici e delle traversie della vita non consegue la

    laurea.

    Nella primavera del 1943, all’età di vent’anni, partecipa a Potenza ai “Ludi

    lucani della cultura” indetti dal Gruppo dei Fascisti Universitari (GUF) di Potenza,

    dove si classifica al secondo posto per la cultura letteraria (la notizia è in Potenza

    fascista del 25 aprile 1943).

    Durante questo convegno letterario, dove si è distinto per l’acume

    dell’intelligenza e per la preparazione, Scotellaro incontra Rocco Mazzarone.

    Mostra al dottor Mazzarone un articolo di critica cinematografica e poi tira fuori

    di tasca una poesia intitolata “Lucania”

    M’accompagna lo zirlìo dei grilli

    e il suono del campano al collo

    di un’inquieta capretta.

    Il vento mi fascia

    di sottilissimi nastri d’argento

    e là, nell’ombra delle nubi sperduto,

    giace in frantumi un paesetto lucano.31

    (1940)

    Questi sono i primi versi sicuramente databili di Scotellaro. Rocco Mazzarone è

    colpito positivamente da questa poesia e lo considera poeta compiuto.

    All’inizio del mese di luglio del 1943 incontra Tommaso Pedio a Potenza.

    Tommaso Pedio, da studente liceale a Pisa nel 1936, frequenta il gruppo di Carlo

    Rosselli e poi cellule comuniste di Napoli, di Brindisi e Taranto. Nell’estate del 1938

    è nelle Marche, dopo nel Polesine, a Ferrara dove conosce molti esponenti del partito

    liberale democratico dei Rosselli denominato “Giustizia e Libertà”. Pedio, rientrato a

    Potenza nel 1939, organizza attorno a sé un gruppo di vecchi socialisti e di studenti,

    che indirizza verso le varie compagini partitiche della sinistra rivoluzionaria. Tra

    questi giovani c’è Rocco Scotellaro, che rimane sulle posizioni di Pedio fino al 1944.

    La posizione di Pedio è incerta tra l’accettazione incondizionata del programma

    politico del PSIUP e un’ideologia libertaria vagamente anarchica.

    Si sviluppa un intenso rapporto dialogico ed epistolare tra Rocco Scotellaro e

    Tommaso Pedio, testimoniato dalle lettere intercorse tra i due in due periodi distinti.

    Il primo periodo è compreso tra gli anni 1943-1944, durante il quale si

    ricostituisce la sezione del Partito Socialista, intitolata a “Giacomo Matteotti”

    (deputato e segretario del PSU sequestrato e ucciso il 10 giugno del 1924 da una

    squadra di sicari comandata dallo squadrista toscano Amerigo Dumini). Il 4

    dicembre 1943 Scotellaro si iscrive al PSIUP.

    31

    Ivi, p. 41

  • 18

    La casa di Rocco, in via Roma numero 65, diventa provvisoriamente la sede

    locale del partito. Nel dicembre del 1943 si svolge una prima riunione di iscritti e

    simpatizzanti.

    Nelle lettere del secondo periodo, compreso tra gli anni 1950-1953, Scotellaro

    chiede aiuto e assistenza al Pedio avvocato, per difendere tanti contadini disoccupati

    e compromessi per le occupazioni dei latifondi.

    Del 1944 è uno dei primi articoli politici scritti da Scotellaro. L’articolo su

    Camillo Prampolini è pubblicato sul periodico “Battaglie Gogliardiche”, un foglio

    stampato a Potenza a cura di un gruppo di giovani, di cui fanno parte Renato Matteo

    Pistone, Giuseppe Ciranna e Giovanni Russo, riuniti in un’associazione studentesca

    universitaria “Luigi La Vista”, di spirito innovatore e progressista.

    Dalle lettere scritte a Pedio si evince uno Scotellaro concreto, legato a una

    progettualità politica realistica, che alle astratte ideologie e alle utopie preferisce il

    miglioramento immediato delle condizioni dei braccianti, dei contadini, degli

    artigiani.

    Mentre a Potenza Pedio lavora per la costituzione di un Fronte di Azione

    Nazionale (FAN), formato da tutti gli antifascisti, a Tricarico Scotellaro costituisce,

    nel febbraio del 1944, il Comitato di Liberazione, alla presidenza del quale si pone

    l’avvocato Carlo Grobert, un militante del Partito d’Azione.

    Nella lettera del 21 febbraio 1944 Scotellaro scrive:

    (…), se vogliamo rappresentare sia pure una forza minima di critica nel partito

    che ci può apparire traviato da manovre ascose, ebbene entriamoci dentro a vedere

    con i nostri occhi, per correggere se possiamo e se qualcosa c’è che sia da

    correggere e smettiamola di fare gli intellettuali di un partito che ha bisogno

    anzitutto di opera e di azione(…).Io non ho una cultura comunista (…).

    Esprime una critica nei confronti delle tendenze intellettualistiche di un partito

    che ha necessità, invece, di agire in modo concreto. Ammette di non avere una

    cultura marxista. La sua visione politica non è influenzata dalla lettura e dallo studio

    del Manifesto e del Capitale di Karl Marx, ma piuttosto dalla lettura della Bibbia. Il

    suo socialismo è imperniato sull’idea utopica di Gioacchino da Fiore ed è

    caratterizzato dal rigorismo morale di Girolamo Savonarola.

    Nel 1944 si celebra a Tricarico il “Primo maggio” in modo unitario. Si tiene un

    comizio durante il quale partecipano Abdon Alinovi per il Partito Comunista, il

    sindaco di Tricarico, l’avvocato Carlo Grobert per il Partito d’Azione, e Rocco

    Scotellaro per lo PSIUP.

    Nel 1946 Carlo Levi partecipa in Lucania, nella lista di “Alleanza Repubblicana”

    insieme con Manlio Rossi Doria, Guido Dorso, Michele Cifarelli, alla campagna

    elettorale per la Costituente e per il Referendum istituzionale. In tale occasione

    Scotellaro conosce, nel mese di maggio, Carlo Levi. È Rocco a presentarlo come

    candidato durante un comizio svoltosi a Tricarico. Inizia una profonda amicizia tra i

    due, alimentata dalle frequentazioni romane del giovane lucano. Rocco Scotellaro si

    inserisce nell’ambiente culturale romano, confermando una personalità singolare e

    autonoma. Ma non dimentica la sua regione.

    È intensamente impegnato nell’attività politica e sindacale che svolge

    nell’entroterra della collina materana (Irsina, Stigliano, Calciano) tra Matera e Bari.

  • 19

    Le elezioni amministrative dell’ottobre 1946 vedono la lista del Fronte Popolare

    Repubblicano, capeggiata da Rocco Scotellaro, ottenere la maggioranza dei voti. A

    ventitre anni è il sindaco più giovane d’Italia, un sindaco socialista.

    L’azione che qualifica al meglio il suo operato di amministratore è la fondazione

    dell’Ospedale Civile di Tricarico (il terzo della Lucania).

    “Egli non inventò l’ospedale; inventò invece, nel 1947 la maniera di trasformare

    un’azione amministrativa in movimento di partecipazione popolare”.32

    Questa espressione è usata da Rocco Mazzarone, concittadino e sincero amico di

    Scotellaro. Mazzarone (medico e direttore Sanitario del Consorzio Provinciale

    antitubercolare di Matera), nel suo operato è mosso da uno spirito di concretezza e di

    empatia verso i suoi concittadini e corregionali più umili, comune al giovane

    sindaco.

    L’inaugurazione dell’Ospedale Civile di Tricarico si svolge il 7 agosto del 1947

    ed è collocato in un’ala del Palazzo Vescovile.

    Le elezioni politiche del 18 aprile 1948 conferiscono alla Democrazia Cristiana

    una clamorosa vittoria. Il Fronte popolare in cui sono schierati socialisti e comunisti

    è sconfitto.

    Grande la delusione di Scotellaro per l’esito elettorale: scrive

    “Pozzanghera nera il diciotto aprile”

    Carte abbaglianti e pozzanghere nere

    hanno pittato la luna

    sui nostri muri scalcinati!

    I padroni hanno dato da mangiare

    quel giorno, si era tutti fratelli,

    come nelle feste dei santi

    abbiamo avuto il fuoco e la banda.

    Ma è finita, è finita, è finita

    quest’altra torrida festa

    siamo qui soli a gridarci la vita

    siamo noi soli nella tempesta

    E se ci affoga la morte

    nessuno sarà con noi,

    e col morbo e la cattiva sorte

    nessuno sarà con noi.

    I portoni ce li hanno sbarrati

    si sono spalancati i burroni.

    Oggi ancora e duemila anni

    porteremo gli stessi panni.

    Noi siamo rimasti la turba

    la turba dei pezzenti,

    quelli che strappano ai padroni

    le maschere coi denti. 33

    32

    Rocco Mazzarone, in Scotellaro trent’anni, Atti del Convegno di studio (Tricarico-Matera, 27-29

    maggio 1984), Matera, Basilicata editrice, 1991, p. 12 33

    Scotellaro, È fatto giorno cit. p. 71

  • 20

    Le dimissioni dei repubblicani e degli indipendenti, sollecitate da interventi

    sotterranei, riducono il gruppo di sinistra, e provocano lo scioglimento

    dell’amministrazione del Fronte popolare repubblicano. Rocco Scotellaro dà le

    dimissioni da sindaco con una lettera, che reca la data del 2 giugno 1948. In una

    relazione inviata al Comitato provinciale del Fronte popolare, riferisce del suo

    complesso e delicato lavoro politico, svolto nei diciotto mesi dell’amministrazione

    comunale da lui presieduta.

    “(…) io personalmente dovevo essere nello stesso tempo il Sindaco,

    l’organizzatore sindacale e politico, l’assistente sociale. Ed è pure utile che io

    accenni per sommi capi a quello che abbiamo fatto: Risanato il bilancio, eseguito

    lavori di strada di campagna, condotti in economia i servizi della nettezza urbana e

    delle imposte di consumo; (…) riuscite pressioni per la costruzione di un ponte sul

    Bilioso richiesto dai contadini da più di cento anni (…). Abbiamo riaffittato zone di

    pascolo, (…) Vi sono state le concessioni delle terre che hanno tratto dalla fame più

    di cento poveri braccianti (…). È stata istituita una refezione scolastica frequentata

    da quattrocento alunni. Sette corsi popolari serali mantenuti da noi contro i due del

    Ministero (…). Abbiamo dato infine la possibilità del funzionamento di un ospedale a

    Tricarico.” 34

    Le elezioni amministrative, ripetute il 28 novembre 1948, riconfermano

    Scotellaro sindaco. La lista elettorale del Fronte democratico popolare (con simbolo

    l’aratro) ottiene sedici seggi contro i quattro della Democrazia Cristiana.

    Da tempo il movimento per l’occupazione delle terre portava avanti le sue

    battaglie, ora più assopite, ora più palesi. Questo movimento di riscossa popolare, di

    braccianti, di contadini, e di donne con bambini al seno, riprende con vigore nei mesi

    di novembre e dicembre del 1949.

    Il Congresso per l’Assise della terra si apre a Matera alla presenza di

    quattrocento delegati. L’evento più drammatico è l’uccisione, il 17 dicembre del

    1949, a Montescaglioso di Giuseppe Novello. Il bracciante montese è ucciso durante

    le sommosse per l’occupazione delle terre del demanio comunale e di quelle delle

    aziende Tarantino, Strada, Miami, Galante, Lacava.

    Rocco Scotellaro in tale drammatica occasione scrive una poesia che dedica alla

    vedova del bracciante Giuseppe Novello:

    “Montescaglioso”

    Tutte queste foglie ch’erano verdi:

    si fa sentire il vento delle foglie che si perdono

    fondando i solchi a nuova bella terra macinata

    Ogni solco ha un nome, vi è una foglia perenne

    che rimonta sui rami di notte a primavera

    a fare il giorno nuovo.

    È caduto Novello sulla strada all’alba,

    a quel punto si domina la campagna,

    a quell’ora si è padroni del tempo che viene,

    il mondo è vicino da Chicago a qui

    sulla montagna scagliosa che pare una prua,

    34

    R. Salina Borello, A giorno fatto, Matera, Basilicata editrice, 1977, p. 15

  • 21

    una vecchia prua emersa

    che ha lungamente sfaldato le onde.

    Cammina il paese tra le nubi, cammina

    sulla strada dove un uomo si è piantato al timone,

    dall’alba quando rimonta sui rami

    la foglia perenne in primavera.35

    Nella primavera del 1949 stringe un rapporto di amicizia con Carlo Muscetta,

    inoltre conosce Vittorini e Pavese.

    Per Rocco Scotellaro è determinante il rapporto con Carlo Levi, non di

    dipendenza o di filiazione, ma paritario. Così Levi scrive a proposito della relazione

    di amicizia con Scotellaro:

    (…), e la nostra amicizia, che a me fu, più di ogni altra, preziosa; e che forse

    contribuì, in qualche modo, alla sua presa di coscienza del mondo contadino di cui

    faceva parte, e al suo guardarlo per la prima volta con distacco e amore, al suo

    farne poesia, attraverso un linguaggio libero, personale, non letterario.36

    Giovanni Russo ha vissuto momenti di vita, di confronto e di crescita con Levi e

    Scotellaro. In “Lettera a Carlo Levi”:

    Mentre per Levi il mondo della “civiltà contadina”, pur avendo una dimensione

    politica e sociale, era, tuttavia immerso nel mito della memoria, per Scotellaro era

    una realtà di cui egli, personalmente interpretava il dramma presente, le aspirazioni,

    le contraddizioni interne come i momenti di speranza e il destino fatale di

    inarrestabile dissoluzione.37

    Non è esatto parlare di maestri a proposito di Scotellaro, la strada è stata forse la

    sua vera maestra, la vita l’unica e autentica fonte di ispirazione. Il giovane lucano è

    una persona ricettiva, aperta alle nuove esperienze ed alle esistenze di cultura diversa

    dalla sua.

    Ha un atteggiamento intellettuale, ma aperto, modesto, anche fermo, che gli

    permette di apprendere da quanti hanno un’esperienza maggiore e differente dalla

    sua.

    L’8 febbraio del 1950 è arrestato con l’accusa di concussione e peculato per la

    distribuzione delle lanerie UNRRA (United Nations and Rehabilitation

    Administration). Condotto nelle Carceri Giudiziarie di Matera, è scarcerato il 25

    Marzo del 1950. Dall’accusa, nata dalla denuncia di un democristiano monarchico, è

    assolto dalla sezione istruttoria della Corte d’Appello di Potenza con formula piena.

    Durante questo triste periodo, può sempre contare sull’assistenza fraterna e

    sincera di Carlo Levi, e sulla solidarietà concreta di Ignazio Silone, Giulio Einaudi e

    di tanti altri amici.

    In carcere Scotellaro va scrivendo “L’uva puttanella”, il romanzo o “memoriale”

    autobiografico, non condotto a termine.

    35

    Rocco Scotellaro, Margherite e rosolacci, a cura di Franco Vitelli, prefazione di Manlio Rossi

    Doria, Milano, Mondadori, 1978, p. 66 36

    Carlo Levi, in Omaggio a Scotellaro, a cura di Leonardo Mancino, Manduria, Lacaita, 1974, p. 410-

    411 37

    Giovanni Russo, Lettera a Carlo Levi, Roma, Editori riuniti, 2001, p. 79

  • 22

    È difficile dire se Scotellaro avesse fin dall’inizio in mente una vera e propria

    autobiografia o piuttosto un diario di memorie. Forse è più corretto affermare che

    “L’uva puttanella” è un’opera frammentaria e non incompiuta. Il poeta lucano crede

    molto in quest’opera che definisce il suo “Cristo si è fermato a Eboli”.

    Durante i quarantacinque giorni di detenzione conquista molte simpatie, sia tra

    chi è stato arrestato per reati comuni sia tra i molti contadini arrestati per gli scioperi

    e le occupazioni delle terre, leggendo le pagine del “Cristo si è fermato a Eboli”.

    Dopo la sentenza di assoluzione è reintegrato nella carica di sindaco, da cui si

    dimette l’8 maggio 1950.

    Nella primavera del 1950 Scotellaro partecipa a Venezia al convegno su “La

    resistenza e la cultura italiana”. Qui incontra Amelia Rosselli.

    Nello stesso anno Rocco Scotellaro conosce Friedrich George Friedmann,

    tornato in Italia dopo esserci già stato in un periodo compreso tra gli anni 1933-1939,

    dopo la fuga dalle persecuzioni degli ebrei nella Germania nazista.

    Nel 1933 trova rifugio a Roma dove, dagli studi di medicina che frequentava a

    Friburgo passa a quelli di lettere e filosofia. Lascia l’Italia dopo che anche qui, nel

    1939 sono estese le leggi razziali. Fugge prima in Inghilterra e poi negli Stati Uniti

    d’America.

    A riportarlo in Italia è l’interesse verso la società e le culture contadine del

    Mezzogiorno. Per il programma Fulbright propone come progetto di ricerca “La

    filosofia di vita dei contadini italiani”.

    Dopo aver ricevuto, nel febbraio del 1950, dal Dipartimento di Stato Americano

    una borsa di studio, si trasferisce con la famiglia in Italia.

    Quando giunge in Italia è già presente a Tricarico il sociologo americano George

    Peck, appartenente a un’importante famiglia di commercianti di New York. Peck

    studia l’economia domestica delle famiglie più povere del Mezzogiorno d’Italia:

    nella sua ricerca è aiutato da Rocco Scotellaro, suo amico.

    Friedmann, durante la permanenza a Roma è in stretto contatto con l’autore del

    “Cristo si è fermato a Eboli”. È Carlo Levi a indirizzarlo da Rocco Scotellaro. Il

    primo incontro tra i due si svolge a Tricarico, a casa di Scotellaro. Subito dopo

    Friedmann, insieme allo storico delle religioni Ernesto de Martino e a Rocco

    Scotellaro, assiste alla festa della Madonna di Fonti.

    Alla fine degli anni cinquanta, terminata la borsa di studio del programma

    Fulbright, Friedmann ne ottiene un’altra. Con il finanziamento dell’UNRRA-CASAS

    realizza un progetto che ha per oggetto di studio la comunità di Matera.

    Friedmann durante il suo soggiorno di studio in Lucania rileva ed evidenzia una

    “certa qualità cosmica del mondo contadino”. Il modo di vita e la dignità personale

    dei contadini aderiscono a un ordine cosmico, un ordine non creato dall’uomo.

    Friedrich George Friedmann afferma l’esistenza di un “mondo arcaico” e di un

    “mondo contadino”; il mondo arcaico ha una priorità assoluta, il mondo contadino

    almeno una priorità secondaria, essendo molto più vicino al mondo arcaico rispetto al

    mondo borghese o industriale.

    Letteralmente, archè significa principio non in senso cronologico. L’archè, è ciò

    che sempre fu e che sempre sarà.

  • 23

    Il mondo arcaico non ha solamente il carattere del primordiale, ma anche del

    permanente, la permanenza può esprimersi metaforicamente nel paesaggio, con cui

    contadini e pastori stanno in stretto contatto, oppure psicologicamente come strato

    subcosciente di tutta l’umanità.

    È questo elemento arcaico-e non il mondo contadino-che noi tutti abbiamo in

    comune.38

    Rocco Scotellaro nello scritto “I contadini guardano l’aria”39

    evidenzia il

    carattere di primogenitura del mondo contadino. I contadini sono i primo generati,

    perché il primo lavoro umano è stato quello “di sollevare la zolla”, quello “della

    terra”.

    Il lavoro dei contadini dà il pane e il vino (il pane e il vino nella religione

    cristiana attraverso la transustanziazione diventano il corpo e il sangue di Gesù

    Cristo).

    Rocco Scotellaro afferma che i contadini si muovono entro un universo dove gli

    elementi fondamentali sono la terra e il cielo. La terra è madre, il cielo è un bambino

    capriccioso, che sa fingere e mordere. La terra madre e il cielo padre (fecondatore

    per esempio per via della pioggia) costituiscono i quadri cosmologici e gli elementi

    focali dell’esistenza di un popolo. Il cielo è guardato con sospetto dai contadini

    perché ha il carattere dell’imprevedibilità.

    Nel suo breve ma significativo scritto descrive un mondo contadino chiuso da un

    patto incrollabile che non ha paragoni nel mondo borghese o industriale. Mondo nel

    quale riesce ad entrare ogni giorno perché aderisce agli “statuti della concezione

    contadina”, che sono la “primogenitura dei contadini” e i “capricci del cielo”.

    È attraverso il lavoro dei contadini che il mondo si muove e va avanti. Di questo

    loro carattere di indispensabilità i contadini sono consapevoli e quindi fieri. Oltre ad

    affermare la consapevolezza e la fierezza dei contadini parla anche di una “loro

    combattività intelligente”, che contrasta con tutta una “vecchia storia del

    conservatorismo contadino”.

    I contadini “hanno aperto gli occhi”, sono “entrati in gioco” con “i loro panni e

    le loro scarpe e le loro facce”, da soggetti passivi diventano protagonisti di quella

    “Storia”, che per troppo lungo tempo li ha tenuti ai margini. Evidenzia il moto di

    risveglio, di riscossa dei contadini, espresso anche in quella che Carlo Levi definisce

    una Marsigliese del movimento contadino,

    “Sempre nuova è l’alba”.

    Non gridatemi più dentro,

    non soffiatemi in cuore

    i vostri fiati caldi, contadini.

    Beviamoci insieme una tazza colma di vino!

    che all’ilare tempo della sera

    s’acquieti il nostro vento disperato.

    Spuntano ai pali ancora

    le teste dei briganti, e la caverna,

    38

    Friedrik G. Friedmann, Mondo contadino e mondo arcaico, in Scotellaro trent’anni dopo cit. p. 26 39

    Rocco Scotellaro, I contadini guardano l’aria, in Omaggio a Scotellaro cit. p. 18

  • 24

    l’oasi verde della triste speranza,

    lindo conserva un guanciale di pietra.

    Ma nei sentieri non si torna indietro.

    Altre ali fuggiranno

    dalle paglie della cova,

    perché lungo il perire dei tempi

    l’alba è nuova, è nuova.40

    I contadini sono i padri operosi dell’umanità, per questa, proprio come buoni

    padri da sempre si sacrificano e sopportano. I contadini guardano l’aria e riescono a

    predire il tempo della mattina, a presagire se c’è qualcosa di nuovo.

    Rocco Scotellaro nello scritto “I contadini guardano l’aria” descrive in maniera

    molto bella il mondo contadino, un mondo nel quale entra ogni giorno, non

    violandone gli statuti, ma rispettandoli. Il poeta lucano comprende, ama e riesce a

    farsi interprete del mondo dei contadini.

    Dopo gli ultimi eventi, l’amministrazione, il carcere, matura sempre più in

    Rocco la volontà di lasciare Tricarico. Sempre presente è in lui la volontà di

    arricchire la sua esperienza di vita, oltre il desiderio di evasione è presente anche una

    necessità economica a determinare l’allontanamento dalla regione nativa.

    Dopo il lavoro di qualche mese da Einaudi ottiene un’occupazione dal professor

    Manlio Rossi Doria, presso l’osservatorio di Economia e politica agraria di Portici.

    Scotellaro collabora alla stesura degli studi preliminari del Piano regionale per la

    Basilicata, sotto commissione della Svimez, cura la parte relativa ai problemi

    igienico-sanitari (sotto la guida del dottor Mazzarone), la parte riguardante

    l’analfabetismo e la scuola. Insieme con Manlio Rossi Doria progetta la costituzione

    a Portici di un centro di sociologia rurale e di avviare studi di comunità rurali.

    Nel 1952 accetta, pur avendo un atteggiamento critico nei confronti del PSI

    materano, la candidatura per la provincia alle elezioni di maggio; in tale occasione

    non è eletto. Agli inizi di dicembre dello stesso anno con Carlo Levi viaggia in

    Calabria per verificare sul posto gli effetti della Riforma Agraria.

    Nel gennaio del 1953 aderisce ad una proposta di Tristano Codignola e collabora

    a “Nuova Repubblica”. Partecipa a Pisa ad un convegno promosso dai gruppi toscani

    di Giustizia e Libertà (tra cui ci sono Cassola e Capitini). Dopo aver viaggiato per i

    paesi della Basilicata e della Puglia (Tricarico, San Chirico, Accettura, Stigliano,

    Pisticci, Taranto, Lecce) con il fotografo Maraini, incontra, il 13 maggio a Bari, Vito

    Laterza, che gli propone di realizzare un libro sulla cultura dei contadini meridionali.

    Scotellaro abbozza un primo schema di lavoro, che consegna all’editore Laterza

    il 24 giugno. Nel breve scritto intitolato “Per un libro su i contadini e la loro cultura”,

    Scotellaro afferma: ‘i contadini dell’Italia meridionale formano ancora oggi il

    gruppo sociale più omogeneo e antico per le condizioni di esistenza, per i rapporti

    economici e sociali, per la generale concezione del mondo e della vita.’41

    Fin dall’inizio Scotellaro sceglie come metodo di ricerca quello delle interviste e

    dei racconti autobiografici. Vuole far parlare in prima persona i diretti interessati.

    40

    Scotellaro, È fatto giorno cit. p. 82 41

    Manlio Rossi Doria, in Omaggio a Scotellaro cit. p. 270

  • 25

    Questo gli permette di ottenere documenti vivi e un’interpretazione più profonda

    della realtà contadina.

    L’impegno del libro è per l’intero Mezzogiorno. In un primo momento Rocco

    vuole limitare l’indagine a tre regioni soltanto, ma poi le porta a quattro, si tratta

    della Campania, la Calabria, la Lucania e la Puglia. In Campania si ferma a Nola

    dove abbozza una prima biografia, e nella Valle del Sele, dove vive il giovane

    bufalaro, la cui storia è presente in “Contadini del Sud”.

    Di ritorno dalla Sicilia dove ha ricevuto il Premio Borgese per le sue poesie, si

    ferma a Reggio Calabria, dove intende intervistare donne raccoglitrici di olive a

    Polistena, di gelsomino a Brancaleone, di bergamotto a Melito, portatrici di sale di

    Bagnara e poi contadini piccoli affittuari delle colline alluvionate presso Reggio,

    poveri sfollati di Africo, greci di Rogudi, piccoli assegnatari di Caulonia.

    Dal 10 luglio al 4 agosto è in Puglia, dove viaggia nel Salento passando per

    Lecce, Tricase, Alessano, Leuca, Patù e Taranto per arrivare a Bernalda e Matera.

    Le quattro vite ultimate e pubblicate in “Contadini del Sud” riguardano contadini

    di Tricarico e della frazione di Calle. Da un elenco di capitoli ritrovato e scritto due

    giorni prima di morire si evince un progetto di ampio respiro. L’ordine dei capitoli

    ritrovato è il seguente:

    1. I contratti agrari (Beneventano); 2. La rivoluzione insubordinata (Montano Altilia nel Cilento); 3. Le roccaforti comuniste (Cerignola, Andria, Irsina); 4. La grande Reggio (Reggio Calabria, Rosario Valaniti, San Gregorio, il

    Lazzaretto, ecc.);

    5. Il profumo del Sud (bergamotteti e gelsomini); 6. Obelischi e piantine di tabacco (Salento); 7. Il mare d’olio (Taurianova, Palmi,ecc.); 8. L’oro bianco (zone canapicole) 9. Le ceneri del Vesuvio (San Vito e Terzigno); 10. Il mini fondo (Avigliano, Ruoti e frazioni)42

    Mentre procede nel suo lavoro Rocco acquista consapevolezza della varietà e

    complessità del mondo contadino, per questo decide di non realizzare un’inutile

    ricerca estensiva, ma studia e analizza alcuni ambienti particolari per poi

    rappresentarli attraverso diverse vite e interviste individuali.

    L’inchiesta sui “contadini meridionali e la loro cultura” è un’iniziativa di

    conoscenza scientifica e non di letteratura o di folclore, quindi le pagine dei

    contadini lucani o campani o pugliesi devono essere leggibili e comprese da qualsiasi

    lettore italiano, qualunque sia la regione di provenienza. Rocco nell’affrontare il

    lavoro resta comunque poeta.

    La ricerca sociologica, proprio come la vita con le speranze e le delusioni, è

    materia d’ispirazione e diventa poesia.

    Delle cinque vite pubblicate soltanto quella del bufalaro Cosimo Montefusco è

    scritta interamente da Scotellaro, le altre quattro sono dettate o scritte direttamente

    dai protagonisti.

    42

    Ivi, p. 277-278

  • 26

    Le autobiografie sono di gente di Tricarico: Antonio Laurenzana, piccolo

    affittuario e piccolissimo proprietario, scarsamente interessato alla politica, forse

    socialista; Andrea Di Grazia, piccolo proprietario coltivatore diretto, cattolico,

    democristiano; Michele Mulieri, contadino-artigiano, indipendente e anarchico;

    Francesco Chironna, mezzadro, innestatore e potatore specializzato, indipendente

    politicamente, di fede evangelica.

    Il lavoro sociologico è rimasto incompiuto per l’improvvisa e prematura morte di

    Scotellaro.

    Il 5 dicembre con l’amico Antonio Albanese da Irsina giunge a Tricarico. Rocco

    sta già molto male; amici medici accertano che la pressione è a 60. Nei giorni

    successivi le sue condizioni di salute migliorano, tanto che i medici acconsentono ad

    un suo viaggio a Napoli, dove deve sottoporsi ad una serie di analisi. Insieme con

    Manlio Rossi-Doria parte il 12 dicembre da Tricarico. Rimane a casa dell’amico due

    giorni, per poi partire diretto verso Portici dove deve rimettersi al lavoro.

    Il 13 dicembre scrive l’ultima poesia dedicata alla madre:

    “Tu sola sei vera”

    Colei che non mi vuol più bene è morta

    È venuta anche lei

    a macchiarmi di pause dentro.

    Chi non mi vuol più bene è morta.

    Mamma, tu sola sei vera.

    E non muori perché sei sicura.43

    La sera del 15 dicembre, durante la cena, si sente male, si porta la mano alla testa

    e con un’espressione di dolore cade a terra. Muore immediatamente alle otto e

    mezza.

    Il poeta lucano nell’ “Uva Puttanella” a proposito di Pasquale il fuochista, morto

    suicida, scrive:

    (…).Il prete non volle ragionare con me il suicidio, io capii infine, era l’unico

    fatto degli uomini che la chiesa rispettava e fui contento che Pasquale non andasse

    in chiesa e corresse senza campanelli e acqua santa e giaculatorie, al suo riposo.

    Andai a rileggermi il libro di quegli anni al punto che dice “Quando presterai

    qualsivoglia cosa al tuo prossimo, non entrerai in casa sua per prendere il suo

    pegno; te ne starai di fuori, e l’uomo a cui avrai fatto il prestito, ti porterà il pegno

    fuori. E se quell’uomo è povero, non ti coricherai, avendo ancora il suo pegno. Non

    mancherai di restituirgli il pegno, al tramonto del sole, affinché egli possa dormire

    nel suo mantello, e benedirti; e questo ti sarà contato come un atto di giustizia agli

    occhi dell’Eterno, ch’è il tuo Dio” (10-13, cap.24, Deuteronomio).44

    Anche Scotellaro, morto, non è entrato in chiesa, e al suo riposo è andato senza

    campanelli, acqua santa e giaculatorie; accompagna il feretro un nutrito corteo di

    familiari, di amici e risuona come una ninna nanna di morte il lamento funebre di

    braccianti, di contadini, di artigiani, la sua tanto amata gente.

    43

    Scotellaro, È fatto giorno cit. p. 46 44

    Rocco Scotellaro, L’uva puttanella, Contadini del sud, Prefazione di Carlo Levi, Bari, Laterza,

    1986, p. 43-44

  • 27

    Capitolo III

    L’incontro tra Rocco Scotellaro e Amelia Rosselli

    Rocco Scotellaro incontra Amelia Rosselli durante il convegno su “La resistenza

    e la cultura italiana”, svoltosi a Venezia il 22-24 aprile 1950.

    Amelia ha vent’anni, Rocco ventisette.

    Rocco Scotellaro, uscito da un mese dal carcere, sta vivendo un periodo di

    disillusione; Amelia Rosselli vive a Roma, alla ricerca di un lavoro.

    Scotellaro annota gli eventi all’interno dei “Taccuini”, esordendo con una

    considerazione personale sui convegni, che può valere per tutti:

    “Sono molto pratico dei convegni: quando è solo necessario assicurare la

    propria presenza, si può pensare ad altro, perché gli applausi o i commenti

    sgradevoli non ti toccheranno”.45

    Dopo descrive il viaggio in treno e l’arrivo a Venezia “che il sole metteva”46

    ,

    ossia al sorgere del sole, all’alba.

    Dalla stazione ferroviaria Rocco si dirige alla segreteria e poi all’albergo

    assegnatogli. Vive la “prima traversata della vita, su un vaporetto che ti tiene dentro

    proprio come una vasca”47

    .

    Descrive una “città già sveglia”, quando il sole non è alto nel cielo, “non tocca

    ancora le case”48

    .

    Durante il convegno Rocco si siede accanto ad una signorina dal “volto biondo

    come una lampada, i capelli corti tagliati alla nuca”49

    , il portamento altero e lo

    sguardo eretto dinnanzi a sé.

    Per il giovane poeta lucano “incontrarsi o star vicini e poi dire una parola è

    rompere con i miti”50

    .

    È subito impressionato positivamente dalla “ragazza nella bellezza bianca”51

    , un

    mito per lui.

    Non è soltanto la bellezza e il portamento a impressionarlo e affascinarlo, ma

    soprattutto il comportamento non remissivo, ma cortesemente partecipativo alle

    questioni che si affrontano durante il convegno.

    Rocco Scotellaro esprime in altre occasioni il fascino esercitato su di lui da

    donne dall’aspetto fisico e dal comportamento differente da quello delle donne

    contadine del suo paese. Le donne contadine hanno una grande forza, svolgono

    lavori molto duri, ma hanno compiti ben determinati, che le vede impegnate nei

    lavori casalinghi o nel lavoro dei campi.

    45

    Amelia Rosselli-Rocco Scotellaro, Marion e Rocco.Un epistolario,a cura di Franco Vitelli, “Lo

    straniero”, 13/14 (2001), p. 254 46

    Ivi 47

    Ivi 48

    Ivi 49

    Ivi 50

    Ivi 51

    Ivi

  • 28

    Nel racconto “Fili di ragno”, Rocco è innamorato di Tilde (l’aiuto svizzero

    all’Italia):

    Allora venisti tu. Ti vidi in una macchina lucida, di profilo. Erano i tuoi capelli,

    era la tua carne bianca e lentigginosa. (…) ricordo come ti rispondevano gli

    interpellati fissandoti la faccia bianca e lentigginosa, meravigliandosi della tua

    bellezza e che il tuo corpo lungo era impegnato in quelle minute faccende. (…)52

    La meraviglia dei compaesani di Rocco per una donna dalla carnagione chiara e

    dal corpo snello è la sua stessa meraviglia.

    Scotellaro è attratto da una donna dalla bellezza nordica e non mediterranea, è

    affascinato da una donna che svolge un lavoro intellettuale e non un lavoro manuale.

    La pelle delle donne contadine non è chiara e liscia, ma ruvida per la pioggia e il

    vento e cotta dal sole.

    L’innamoramento per una donna straniera diventa un topos della poesia di

    Scotellaro.

    Il poeta lucano scrive: “Per una donna straniera che se ne va”53

    , “Una

    dichiarazione di amore a una straniera”

    ……………………..

    Senti le nostre donne

    il silenzio che fanno.

    Portano la toppa

    dei capelli neri alla nuca

    hanno tutto apparecchiato

    le mani nel grembo

    per l’uomo che torna dalla giornata54

    .

    Le donne della realtà contadina hanno un atteggiamento remissivo, non pongono

    interrogativi, attendono ossequiose il ritorno degli uomini.

    È evidente il contrasto con la ragazza “che agita appena un dito quando sorgeva

    un problema, e riporlo sul grembo dopo la risposta”55

    .

    La signorina “mito nella bellezza bianca” non è una ragazza qualsiasi, è la figlia

    di Carlo Rosselli.

    Rocco Scotellaro apprende il nome della ragazza (pronunciato con accento

    inglese) e rimane confuso. Non sa se prova un sentimento d’amicizia, se è legittimato

    a sentirsene innamorato, o piuttosto se deve venerarla, in quanto “figlia di un grande

    martire che parlava più di tutti in quel convegno”.56

    Rocco vede rivivere in Amelia gli ideali del padre Carlo Rosselli57

    , di cui avverte

    chiara la contiguità.

    Esiste un’affinità ideologica tra Carlo Rosselli e Rocco Scotellaro: Rocco non

    ha una cultura marxista, ma ha letto le opere di Rosselli, “Socialismo liberale”, e

    52

    Rocco Scotellaro, Fili di ragno, in Uno si distrae al bivio, prefazione di Carlo Levi, Matera,

    Basilicata editrice, 1974, p. 54 53

    Scotellaro, È fatto giorno cit. p. 49 54

    Ivi, p. 50 55

    Rosselli-Scotellaro, Marion e Rocco cit. p. 254 56

    Ivi 57

    Vedi Carlo Rosselli fine del presente capitolo

  • 29

    “Oggi in Spagna, domani in Italia”(nuova edizione degli scritti rosselliani), ha inoltre

    avuto contatti con i gruppi toscani di “Giustizia e Libertà”.

    Carlo Rosselli è in polemica con il materialismo economico di stampo

    marxistico, ritiene il socialismo essere tensione verso la libertà e l’emancipazione del

    maggior numero di uomini, quindi il suo socialismo non è in contrasto con il

    liberalismo, ma ne rappresenta il logico sviluppo.

    Il “revisionismo socialista”di Carlo Rosselli deve piacere molto a Rocco

    Scotellaro.

    Rocco incontra Amelia Rosselli, la figlia del “suo ideale politico”.

    Quando si presenta ad Amelia-Marion è già noto come il “sindaco-poeta”, la

    giovane donna conosce la sua opera poetica “Mi sapeva. Lesse le mie poesie”58

    ; in

    seguito accenna dei giudizi sulla poesia scotellariana non completamente positivi

    “Accennò dei giudizi non completamente lusinghieri: ciò che mi permise uno

    scambio di sguardi che mi fece più ardito”59

    La seconda sezione dei “Taccuini” è intitolata “La grande batosta di Venezia”. Il

    convegno passa in secondo piano, non è importante quanto l’incontro con una donna;

    Rocco scrive:

    “In breve non si tratta di un convegno, ma di una donna e me”60

    .

    Amelia–Marion appaga il desiderio di Rocco, che da sempre desidera una donna

    dominante. Amelia (chiamata sempre con il nome della madre, Marion), è la donna

    alla quale Rocco può offrirsi come un servitore soggiogato e a lei sottomesso.

    Amelia-Marion è per Rocco “la più grande batosta dell’anima”61

    ;prova grande

    ammirazione, ma anche soggezione, forse prova un sentimento d’inferiorità nei

    confronti della Rosselli:

    Mi sento schifoso a confronto della sua bellezza. È una bellezza intera, perché

    anche dentro deve star bene. (…) Intanto lei nel suo splendore pare che abbia gli

    occhi in alto, in alto. Sorride da lontano, la sua voce ha un suono d’uccello che non

    si preoccupa di essere ascoltato. Io sono fuori di lei.”62

    .

    Queste sono le opinioni, i sentimenti suscitati dal primo incontro con Amelia, ma

    ben presto Rocco comprende l’angoscia, la sofferenza che tormenta l’anima, la vita

    della giovane donna fino a paragonarla alle figure sacre:

    “Non mi è mai capitato di vedere i santi o la Madonne o Gesù Cristo che si

    muovono, che appaiono ai bambini, agli uomini, alle donne che restano inchiodati

    per terra e non vogliono sapere più del mondo. Ma una ragazza è capace? Non