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Ambasciatori dei mieli a cura di P. Faccioli MIELE DI APIS DORSATA: UN VALORE, NON UN SEMPLICE PRODOTTO “Dorsata” è la linea di mieli indo- nesiani di cui abbiamo fatto conoscenza all’edizione 2014 di Terra Madre. In Indonesia l’indi- cazione monoflorale viene attri- buita solo ai mieli di apis mellife- ra o apis cerana. Nel caso del- l’apis dorsata i mieli prendono invece il nome dalla regione o dall’isola in cui sono stati raccol- ti. Così abbiamo “Java”, dal pro- fumo e dall’aroma di idromele, leggermente marsalato, “Flo- res”, dal profumo e dall’aroma di ciliege, con una nota amarogno- la, “Sumbawa”, dove dominano le note di prugna secca, “Kailan- tam”, con profumo animale (di cuoio, di umori) e un fruttato amarognolo al gusto, e “Salai- wa”, dal gusto affumicato, un marcatore abbastan- za tipico dei mieli tro- picali, che forse indi- ca più la tecnica di prelievo dei favi che l’aroma intrinseco. Si tratta comunque di fascine fumiganti di gusci di cocco coper- ti da uno strato di foglie, da usarsi sen- za parsimonia nel ca- so della indocile e aggressiva Apis dor- sata. L’ A. dorsata è la più gran- de delle api conosciute, e costruisce il suo nido in un unico favo, su sporgenze rocciose o sui rami di grandi alberi. In certe zone si arrivano a contare fino a un centinaio di colonie per albe- ro. E’ diffusa in India, Sri Lanka, nei paesi a sud dell’Himalaya, nella penisola dell’Indocina, in Malaysia, Indonesia e Filippine. Compie migrazioni stagionali su lunghe distanze (fino a 200 chi- lometri) sotto l’azione dei ritmi climatici delle varie aree. A pensare come si raccoglie ancor oggi quel miele, si è tra- sportati indietro di 2500 anni. Questa è l’età delle pitture rupe- stri di Singanpur, nell’India del- l’est, che rappresentano l’attività dei cacciatori di miele. Tuttora essi si arrampicano a grandi altezze (40-50 fino a 90 metri), in La Signora delle foreste tropicali è “un soggetto, non un oggetto”, nella filosofia della rete indonesiana di Madhu Dunya. L’Apis | N. 9 DICEMBRE 2015 I mieli regionali, esposti a Terra Madre 2014, della linea “Dorsata”, una denominazione che è stata preferita per il suo maggior potere comunicativo ed evocativo, a quella più debole di “miele di foresta”. (Foto P. Faccioli) Ambasciatori dei mieli 35

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Ambasciatori dei mieli

a cura di P. Faccioli

MIELE DI APIS DORSATA: UN VALORE, NON UN SEMPLICE PRODOTTO

“Dorsata” è la linea di mieli indo-nesiani di cui abbiamo fattoconoscenza all’edizione 2014 diTerra Madre. In Indonesia l’indi-cazione monoflorale viene attri-buita solo ai mieli di apis mellife-ra o apis cerana. Nel caso del-l’apis dorsata i mieli prendonoinvece il nome dalla regione odall’isola in cui sono stati raccol-ti. Così abbiamo “Java”, dal pro-fumo e dall’aroma di idromele,leggermente marsalato, “Flo-res”, dal profumo e dall’aroma diciliege, con una nota amarogno-la, “Sumbawa”, dove dominanole note di prugna secca, “Kailan-tam”, con profumo animale (dicuoio, di umori) e un fruttatoamarognolo al gusto, e “Salai-wa”, dal gusto affumicato, un

marcatore abbastan-za tipico dei mieli tro-picali, che forse indi-ca più la tecnica diprelievo dei favi chel’aroma intrinseco. Sitratta comunque difascine fumiganti digusci di cocco coper-ti da uno strato difoglie, da usarsi sen -za parsimonia nel ca -so della indocile eaggressiva Apis dor-sata. L’A. dorsata è la più gran-de delle api conosciute, ecostruisce il suo nido in un unicofavo, su sporgenze rocciose osui rami di grandi alberi. In certezone si arrivano a contare fino aun centinaio di colonie per albe-

ro. E’ diffusa in India, Sri Lanka,nei paesi a sud dell’Himalaya,nella penisola dell’Indocina, inMalaysia, Indonesia e Filippine.Compie migrazioni stagionali sulunghe distanze (fino a 200 chi-lometri) sotto l’azione dei ritmiclimatici delle varie aree.A pensare come si raccoglieancor oggi quel miele, si è tra-sportati indietro di 2500 anni.Questa è l’età delle pitture rupe-stri di Singanpur, nell’India del-l’est, che rappresentano l’attivitàdei cacciatori di miele. Tuttoraessi si arrampicano a grandialtezze (40-50 fino a 90 metri), in

La Signora delle foreste tropicali è “un soggetto, non un oggetto”, nella filosofia della rete indonesiana di Madhu Dunya.

L’Apis | N. 9 DICEMBRE 2015

I mieli regionali, esposti a Terra Madre 2014,della linea “Dorsata”, una denominazione che è stata preferita per il suo maggior

potere comunicativo ed evocativo, a quella più debole di “miele di foresta”. (Foto P. Faccioli)

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Una arrampicata “classica”, senza protezione, a un nido di dorsata.

L’installazione di un “Tikung”, un ramo artificialeche rende meno eroico il prelievo del miele.

LA FAVOLA DELLE APIdi Bernard Mandeville - Ed. Montaonda

“L’Alveare scontento, ovvero i furfanti resi onesti” è il titolo della poesia composta nel1705, testo integrato nei trent’anni successivi da numerosissime note e chiarimentiche ne fanno infine risultare un vero e proprio libro.Quasi 300 anni sono passati da quando Mandeville scriveva poesie burlesche, sicu-ramente influenzato dal suo primo atto letterario: la traduzione delle favole di La Fon-taine. Infatti le api, qui come nelle favole, rappresentano la società e la natura umanafiltrate attraverso la visione individualista dell’autore. Più che le api è l’alveare il prota-gonista. Mandeville utilizza l’alveare non per rappresentare quello che ci si aspetta, la perfetta collabo-razione, ma quello che non si vorrebbe sentirsi dire: il paradosso del benessere, che trova le sue radicinella natura stessa dell’uomo, sempre alla ricerca della soddisfazione dei propri desideri, materiali ovanagloriosi che siano. Mandeville stesso afferma che la ragione per cui così poche persone compren-dono se stesse è che la maggior parte degli scrittori insegnano agli uomini quello che dovrebbero esseree quasi mai turbano le loro teste dicendo loro quello che sono realmente. E allora ci pensa lui a direall’uomo com’è. Volantina a Londra la sua poesia per mezzo penny al foglio, e dice a tutti com’è l’uomoveramente: egoista e disonesto. E nelle sue note specifica cosa intende per uomo: tutti.Non vi rovinerò di certo la lettura anticipando la famosa morale della favola: la società umana si erge suisuoi vizi, sulle sue disonestà, sugli sprechi e chi pensa al contrario deve prepararsi a nutrirsi di ghiande,poiché la virtù non è sufficiente a far vivere le nazioni nello splendore.E’ veramente difficile scrivere qualcosa su un testo del diciottesimo secolo ancora così attuale e reale.Non ve lo nascondo, dopo trecento anni questa favola ha turbato anche la mia testa.

narrativa apistica

genere senza o con pochissimaprotezione, col solo ausilio di unrudimentale metodo per produr-re fumo. Nonostante il carattere apparen-temente primitivo di questa rac-colta, è chiaro che esige unavocazione e delle abilità moltospeciali, che in genere si accom-pagnano a un approccio religio-so o a pratiche sciamaniche.Abbiamo in passato avuto occa-sione di parlare dei cacciatori dimiele del Nilgiri (Sud India) nelDossier di L’Apis “Le Terre deiMieli” (2007), dei loro rituali edelle loro pratiche di “prepara-zione spirituale” all’atto della

raccolta, e dei canti di reverenzae gratitudine verso le api consi-derate come “madri che dannonutrimento a noi, loro figli”. I raccoglitori di miele dell’Indo-nesia, insieme all’aspetto più“eroico”, hanno anche sviluppa-to, in alcune zone, astuti accor-gimenti per appropriarsi delmiele con meno rischio. E’ ilcaso del “Tikung” , diffuso nel-l’area del Kalimantam, su cuiesiste un divertente “mito delleorigini”: durante un’inondazione,un tronco era stato trascinatofino a rimanere incastrato in unaltro albero. Quando il livellodell’acqua si abbassò, il tronco

pendeva ancora da quell’albero,e a un certo punto una coloniadi apis dorsata aveva costruito ilsuo nido attaccandolo proprio aquel tronco. Per caso un abi-tante di un villaggio vicino loadocchiò, e ritagliando il favo siprocurò senza troppo sforzo unottimo raccolto di miele. Da quiavrebbe preso il via l’usanza diappendere dei rami artificialiricavati da un albero semprever-de (Fagraea fragrans) tipicodell’Asia sud-orientale, cheviene ridotto ad assi della lun-ghezza di circa 1 metro emezzo. Al tempo della fioriturale colonie di apis dorsata posso-

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no giungere nella zona e fissarciil loro nido, permettendo un rac-colto meno rischioso che conl’arrampicata. Se il Tikung è tipi-co delle zone lacustri o acquitri-nose del Kalimantam Occiden-tale, esistono accorgimenti similiche si diversificano a secondadelle diverse condizioni ambien-tali e topografiche. In terre piattee aride abbiamo il “Sunggau”, inzone collinose abbiamo il “Tin-gku”. Il primo, diffuso da almenotre generazioni di raccoglitorinelle isole di Bangka Belitung, ècostituito da un palo lungo da 2a 3 metri , inserito su due paliverticali di diversa altezza (da 1-2 a 2-3 metri) appoggiati al ter-reno. Viene collocato lontano dadove possano trovarsi uccelli, inuna zona ombrosa, anche sedeve essere aperta alla luce intutte le direzioni. Solo un 10% di questi rami arti-ficiali vengono effettivamenteoccupati dalle api, i raccoglitorici mettono pochi minuti a effet-tuare la raccolta, di giorno, muo-vendosi in due: prima al lon -tanando le api col fu mo, poi rita-gliando via la covata, in unsecondo tempo ritagliandoanche il miele, anche se questa

sequenza sta subendoun’evoluzione.L’altra variante è il Tingku,sviluppatosi nell’area delSulawesi, che è una strut-tura permanente, costituitada un asse di 2-3 metri dilegno che possa garantirealmeno una durata decen-nale. Viene eretto in unaforesta secondaria o in unapiantagione, vicino a sor-genti nettarifere. A differen-za degli altri metodi, nonha supporti, ma viene inse-rito sporgente su un pen-dio scosceso (per questo è diffu-so in zone di collina).L’arrampicata classica è invecepreceduta dal canto di un man-tra, un inno rituale, da parte diuno sciamano. Il raccoglitore,senon veste alcuna protezione, siabbandona al solo potere delmantra, ma deve avere la perce-zione che esso sia eseguitoimpeccabilmente. Basta un col -po di tosse, o una qualunque

interruzione, perché lo sciamanodebba ricominciare da capo, fin-chè il canto esce fluido.La pratica è antica, ma ha dovutosubire dei cambiamenti nell’af-frontare la sfida di fornire unafonte di sopravvivenza ai gruppiindigeni. Oggi esiste una organiz-zazione (Jaringan Madu HutanIndonesia, ovvero “rete indone-siana del miele di foresta”) cheraggruppa i raccoglitori di tutta

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Johnny Utama e Bibong Widyarti,

di Madhu Dunya, presen-tano i mieli indonesiani a

Terra Madre 2014. (Foto Giovanni Guido)

Dal 2014 tutti i paesi Ue, Italia compresa, inseriscono nei conti del Pil una stima delle attività illegali. Laquotidianità è piena di fatti che dovrebbero far riflettere: cariche pubbliche o private che non agisconoper il bene comune ma per il proprio, soldi pubblici non usati per la crescita di tutti, ma per il proprioauto-sostentamento, persone palesemente immeritevoli che compiono azioni chiaramente disoneste ene risultano vincenti, attività deleterie tollerate in cambio di una promessa di benessere futuro. Midomando come mai queste cose vengano tollerate , anche da chi subisce i danni dal loro esistere, forseperché molto spesso ne sono inconsapevoli. Mandeville ha la risposta: la nostra natura è così, la con-venienza economica o la soddisfazione di un vizio è più forte di qualsiasi istinto di onestà, onestà chenon produce nessuna ricchezza.Se ha ragione Mandeville qualsiasi battaglia contro i giganti produttori di ricchezza è persa. Sono persele battaglie contro le mafie, i clientelismi e i parentelismi, la cementificazione inutile, gli abusivismi, le gran-di opere incomplete, contro i giganti economici, contro le multinazionali dei pesticidi.Cosa fare allora? Bisogna lasciarsi cullare dall’ istinto di convenienza economica, diventando rappresen-tanti commerciali della Bayer o è meglio spingere sempre la nostra mente verso il Paese dell’Utopia, cer-cando di dare al mondo nella nostra breve vita, la sfumatura che ci piace? In queste ed altre occasionispero sempre che le persone, senza sentirsi immolate sull’altare divino della rettitudine, scelgano l’Uto-pia. Di esempi ce ne sono molti: Libera, i movimenti per la decrescita, tutti gli enti legati all’altra-econo-mia come le agricolture non inquinanti, il mercato Equo, la finanzia etica, tutti enti in crescita. Alloraun’economia un po’ diversa dall’attuale non è un’Utopia, bensì esiste…. questo mi fa andare avanti consperanza.Nel frattempo cerco una buona ricetta per cucinare le ghiande, magari con il miele, sperando di rag-gruppare un’allegra compagnia.

[Alessandra Giovannini]

a cura di

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l’Indonesia. E’ affiancata daMadhu Dunyia, una NGO creatada 4 persone nel 2005 (oggisono in 11), a cui oggi fannocapo 1077 raccoglitori di miele:ha la funzione di fornire gli stru-menti essenziali e una formazio-ne di base perché i raccoglitoririescano a produrre un miele diforesta in grado di trovare sboc-chi commerciali. I fondamentidella formazione non riguardanoil solo prodotto, ma l’intero con-testo in cui il prodotto prendevita. Il prelievo delle sole parti difavo contenenti miele, anziché digran parte dei favi , oltre a miglio-rare la qualità del prodotto, com-porta sia l’abbandono della prati-ca di alimentarsi con la covataper il fabbisogno proteico uma -no, sia la possibilità per le api diritornare velocemente, dopo laturbolenza del prelievo, a ricosti-tuire la colonia anziché migrare.Questo ha comportato a suavolta l’abbandono della vecchiausanza di prelevare i favi di notte,perché la luce del giorno ènecessaria a distinguere la por-zione di miele da quella di cova-ta, e questo a sua volta ha com-portato un maggior uso delfumo. Il miele non viene più striz-zato con le mani come usava inpassato, ma i favi, sezionati conun coltello affilato d’acciaio, ven-gono scolati e filtrati con un dop-pio filtro (questi sono appunto glistrumenti che Madhu Dunyia for-nisce ai raccoglitori del JMHI). Ilmiele viene invasettato, anzichéin bottiglie di plastica di recuperocome usava prima, in vasetti ocontenitori a norma igienica. Non

deve essere scaldato, e per eli-minare l’umidità viene inviato aGiacarta, la capitale, dove l’umi-dità tipica del miele di dorsata,che può arrivare al 25-26%,viene ridotta al 19%. Ai raccogli-tori viene fornito anche un rifrat-tometro, e al prodotto finaleviene assicurata una scrupolosatracciabilità. Il miglioramentodella qualità del miele ha con-sentito agli indigeni di avere gua-dagni maggiori, e li ha motivatinon solo a produrne di più(moderando tuttavia l’avidità perconsentire alle colonie di rifor-marsi velocemente), ma an che adiventare parte attiva nel salva-guardare le foreste. Sono esseche forniscono le fonti nettariferedell’A. dorsata. Questo habitat èminacciato dal disboscamente,legale o illegale e dall’impianto diestensioni di palma da olio e di

altre coltivazioni industriali. Lacertificazione “biologica” è statoun ulteriore incentivo, perché lapossibile contaminazione delmiele da pesticidi irrorati sullecoltivazioni di palma impediscedi avere la certificazione. Conquesta certificazione, pur rima-nendo su un mercato so prattuttolocale per non affrontare il caricodei prezzi di commercializzazio-ne all’estero, il miele di A. dorsa-ta occupa ormai una sua nicchiasicura, che include supermercatidi qualità e arriva alle linee aereenazionali Garuda che ne fannoomaggio ai viaggiatori, e alla pre-sidenza della Repubblica, che nefa dono a ospiti importanti. Ilprezzo di un vasetto da 300grammi si aggira sui 10 euro. Semai, i raccoglitori cominciano afaticare ad avere il volume chesarebbe commerciabile. Final-mente un giusto sbocco per unmiele che fino ancora al 2009 erastato utilizzato massicciamenteper “truccare” mieli cinesi con-traffatti e permettere, imbellet-tando miscele di zuccheri varicon la presenza di pollini locali, dieffettuare triangolazioni illegali.Quando gli amici di MadhuDunya dicono che il miele perloro non è solo un prodotto, maun valore, vogliono propriomostrarne il ruolo centrale nellaconservazione di un habitat,nella sopravvivenza di una popo-lazione e nella conservazionedelle sue antiche pratiche, nellaresistenza alla distruzione diquell’habitat e all’avvento di stilidi coltivazione aggressivi. Ma illoro concetto di sostenibilità dàsoprattutto un posto d’onoreall’ape, alla sostenibilità anche esoprattutto dal suo punto divista, al suo essere “un soggetto,non un oggetto” nel loro proget-to. Il circolo virtuoso da lorocreato include il devolvere unapercentuale dei profitti , in colla-borazione col WWF, a progettidedicati ai rinoceronti, agli oran-gutang, agli elefanti, agli uccelli.Un circolo virtuoso che è riuscitodavvero a coniugare e a far fun-zionare insieme quelle che loroamano chiamare “le 3 P”: pro-dotto, pianeta, profitto.

Anche noi abbiamo apicoltori che saprebbero come arrampicarsi:il solo problema sarebbe di passare dall’ape carnica alla dorsata.

Le api giganti ad altezze spiri-tuali, in un tempio buddhista inThailandia. (Foto Sonia Angeli)

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Il miele in cucina Un DVD in omaggio per i lettori di L’Apis

Ecco un prodotto editoriale particolare allegato al numero di fine anno diL’Apis, omaggio alle feste natalizie, in cui protagonista non è la tecnicaapistica, non le patologie, ma il miele. Non un tradizionale prodotto editoriale cartaceo, ma un mix, compostoda un Dvd e un opuscolo, che ritrae il miele non come prodotto dell’al-veare, ma come alimento da portare sulla nostra tavola. Realizzato in collaborazione con Ami, Ambasciatori del Miele, vuoleessere un esempio e uno strumento utile alla promozione del miele.Otto semplici ricette realizzate non da attori professionisti o da chef, mada esperti di analisi sensoriale e, soprattutto, conoscitori del miele e delle suevirtù. Miele che non deve invecchiare nell’armadietto dei medicinali, ma trovarespazio sulle mensole della cucina. Vengono svelati non solo gli aromi di mieli diversi, ma che il miele ha un’acidità cheè seconda solo al succo di limone, che possiede elevate proprietà antiossidanti,che è un conservante naturale, conosciuto sin dall’antichità, e che miscelato all’oliocrea una splendida emulsione. Vengono proposti alcuni concreti esempi di utilizzo del miele chepossono entrare nella cucina quotidiana per realizzare piatti originali. Noi apicoltori siamo in genere più affascinati dalle api e dal loro incredibile mondo, che dal miele.Solo imparando a conoscerlo in tutte le sue sfaccettature e potenzialità potremo innamorarci sulserio di questo nettare degli dei. Qualora il dvd allegato a L’Apis non incontrasse il vostro apprezzamento, non abbandonatelo in uncassetto: può diventare un vostro simpatico omaggio per chi magari apicoltore non è ma… appas-sionato di cucina sì.

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