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Norme sulla promozione, valorizzazione ed iNorme sulla promozione, valorizzazione ed insegnamento della storia, della letteratura e del patrimonio linguistico siciliano nelle scuole Legge Regionale n° 9 del 31 maggio 2011 Alunni 4^ C – 4^ E 1 giugno 2012: Palermo Palazzo Mirto Casa Professa PalazzoAbatellis Santuario S. Rosalia

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Norme sulla promozione, valorizzazione ed iNorme sulla promozione, valorizzazione ed insegnamento della storia,

della letteratura e del patrimonio linguistico siciliano nelle scuole

Legge Regionale n° 9 del 31 maggio 2011

Alunni4^ C – 4^ E

1 giugno 2012: Palermo

Palazzo Mirto Casa Professa

PalazzoAbatellisSantuario S. Rosalia

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1^ tappa: Palazzo Mirto

Museo di se stesso

Sala degli Arazzi

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Palazzo Mirto è un palazzo storico di Palermo.E' ubicato nel centro storico della città, alla Kalsa, la cittadella fortificata realizzata dagli arabi nel X secolo. La zona ebbe grande sviluppo nel XV e XVI secolo per la realizzazione di case e chiese, commissionate dalle ricche famiglie di mercanti che vi si erano insediate fin dal Duecento quando, lasciate le città di origine (Genova, Pisa, Amalfi) erano arrivate in Sicilia. Una di queste case, appartenuta ai Resolmini di Pisa, passerà ai Filangeri venendo a costituire il nucleo più antico di Palazzo Mirto e poi ai Lanza Filangieri Principi di Mirto, da cui prende nome il palazzo. I Filangeri sono ricordati ancora oggi come la più importante famiglia normanna in Sicilia e nel Mezzogiorno d’Italia, dello stesso ceppo dei Sanseverino e dei Gravina, tutti discendenti da un capostipite comune, il leggendario cavaliere Angerio, delle stirpe dei Duchi di Normandia, che venne in Italia al seguito di Tancredi d’Altavilla e di cui se ne ha menzione già nel 1069.

Portale d’ingresso

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Il ramo siciliano deriva da Abbo Filangeri, vivente nel XIII secolo. Primo della casata ad essere investito del titolo di Principe di Mirto fu Giuseppe Filangeri e De Spuches, nel 1642. Si ricordano anche i Filangeri Principi di Cutò, avi materni dello scrittore Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Nel 1830 Vittoria Filangeri, ultima del suo nome, si univa a Ignazio Lanza Branciforte, conte di Raccuja. I loro discendenti hanno abitato il palazzo ininterrottamente fino al 1982, quando l’ultima erede della famiglia, Donna Maria Concetta Lanza Filangieri di Mirto donò il palazzo alla Regione Siciliana per costituirne un museo per volontà testamentaria del fratello Stefano Lanza Filangeri.Le strutture più antiche dell’edificio risalgono al XIII secolo ma, dopo le fasi costruttive della fine del Cinquecento e del Seicento, l’edificio subì una radicale trasformazione. Altri rifacimenti si susseguirono lungo tutto il corso del XIX secolo fino a giungere alle forme attuali.L’interno del primo piano è arredato con magnificenza. Perfetto esempio delle residenze dell’aristocrazia palermitana, il palazzo custodisce arredi che vanno dal Seicento all’Ottocento. Numerosi i lampadari di Murano, i pannelli laccati di Cina, gli orologi, le porcellane, e gli arazzi. Come in molte residenze coeve, vi è un fumoir arredato alla cinese con il pavimento in cuoio. Gli ambienti di rappresentanza recano dipinti sulle pareti e sui tetti e girano intorno ad una terrazza, arredata da una fontana rocaille e decorata da un tromp l’oeil di un giardino. Nell'Ottocento una ristrutturazione degli ambienti del secondo piano porterà alla creazione di un grande appartamento per la vita privata della famiglia, che da quel momento utiizzerà il primo piano solamente per la rappresentanza. .

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2^ tappa: Palazzo Abatellis

Sede della Galleria Regionale

Il Palazzo (fine del XV secolo), opera di Matteo Carnilivari all’epoca attivo a Palermo in cui attendeva ai lavori di palazzo Aiutamicristo, splendido esempio d’architettura gotico-catalana, era la residenza di Francesco Abatellis (o Patella), maestro Portulano del Regno.Senza eredi, l’Abatellis dispone che il palazzo rimanga alla moglie, e che alla morte di essa vi venga fondato un monastero di donne sotto il titolo di Santa Maria della Pietà.

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Quindi nel maggio 1526 un gruppo di suore dell’ordine domenicano, provenienti dal Monastero di Santa Caterina, si trasferirono nel palazzo. Furono necessari numerosi adattamenti per renderlo adeguato alle esigenze della vita monastica e le diverse ali furono frazionate per realizzare celle e corridoi. Inoltre all’esterno le finestre furono modificate e furono tolte le colonnine intermedie e, a volte, anche certi elementi decorativi. Il palazzo prende allora il nome di "Monastero del Portulano".Durante la notte tra il 16 e il 17 aprile 1943 il palazzo venne colpito durante un bombardamento aereo e crollarono la loggia, il porticato, tutta l’ala sud-ovest e la parete della torre ovest. Le autorità decisero allora di provvedere al suo restauro e di trasformare il palazzo in "Galleria d’Arte per le collezioni d’arte medievale". La Soprintendenza ai Monumenti affidò all’architetto Mario Guiotto e successivamente all’architetto Armando Dillon i lavori di consolidamento e di restauro.Questi lavori furono ultimati a metà 1953 e fu allora chiamato Carlo Scarpa per curare l’allestimento e l’arredamento della Galleria che venne aperta al pubblico il 23 giugno del 1954. Il palazzo ha subito vari restauri e solo il 12 novembre 2009 il museo è stato riaperto. Conservando il lavoro di Scarpa sono state riviste e create nuove ali (le nuove sale verde e rossa) ai piani superiori compresa una terrazza sul tetto.Nelle splendide sale della galleria hanno trovato posto le opere provenienti da acquisizioni, donazioni ed incameramenti dei beni degli enti religiosi soppressi (1866). Prima di questa sede le opere facevano parte della Pinacoteca della Regia Università e, dal 1866 in poi, delle collezioni del Museo Nazionale di Palermo, divenuto Museo Regionale in seguito al trasferimento delle competenze sui beni culturali dallo Stato alla Regione Siciliana, in virtù dello statuto.

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Al piano terra si trovano, fra i tanti manufatti tutti d’altissimo livello qualitativo: le opere lignee ad intaglio del XII secolo, le sculture del Trecento e del Quattrocento fra cui alcune di Antonello Gagini cme l'Annunciazione e Ritratto di Giovinetto e di Domenico Gagini come la Madonna del latte, le maioliche dipinte a lustro metallico dei secoli XIV e XVII, il Busto di gentildonna di Francesco Laurana conosciuta come Eleonora d’Aragona e le tavole dipinte di soffitti lignei.Nella sala II, si trova lo straordinario grande affresco del Trionfo della morte (databile con ogni probabilità agli anni 1445 e seguenti), proveniente da Palazzo Sclafani ed è esposto nella ex-cappella con una illuminazione dall'alto di grande impatto visivo. La morte, su un cavallo scheletrico, irrompe in un giardino e semina scompiglio con frecce letali tra i giovani gaudenti e nobili donzelle, dopo aver disseminato le gerarchie terrene, laici e religiosi, papi e imperatori, i cui corpi ormai giacciono esanimi, risparmiando quasi per beffa il gruppo di miserabili e derelitti che pure la invoca. Una piccola sala ove è posta un’anfora ispano-araba del tipo Alhambra ci conduce al loggione del primo pianoAl primo piano l’opera di maggior rilievo è, senza dubbio, l’Annunziata di Antonello da Messina (XV secolo). Opera di assolutezza formale, considerata una autentica "icona" del rinascimento italiano, è collocata nella sala X conosciuta come sala dell'Antonello. La Vergine è colta nell'istante supremo dell’Annunciazione (l'angelo le sta di fronte ma è invisibile). Il gesto della mano, il trapezio del manto, la politezza delle forme e lo sguardo magnetico, esaltano la figura restituendole una astratta bellezza. Nella stessa sala, a fianco ad essa sono collocate altre opere di Antonello: le tavole con le immagini di tre Dottori della Chiesa che costituivano le cuspidi di un polittico andato disperso.

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Prima di imbattersi nella sala dedicata ad Antonello, all’interno delle sale del piano nobile della Galleria Regionale si possono ammirare “L’ultima cena” del pittore catalano Jaume Serra, il “Salone delle croci”, dove trovano posto la croce dipinta da Pietro Ruzzolone e quella del Maestro di Galatina e la collezione della pinacoteca di provenienza per la maggior parte da chiese e dai conventi della città, con opere quali la “Madonna dell’Umiltà” di Bartolomeo Camulio (sala VII) l'incoronazione della Vergine di Riccardo Quartararo (sala XI) e i dipinti cinquecenteschi di Antonello Crescenzio.La Sala XIII, accoglie una serie pregevolissima di dipinti fiamminghi databili fra il XV e XVI secolo, la perla della raccolta è sicuramente il trittico Malvagna di Jan Gossaert. Si tratta di un'opera miniaturista dove vengono rappresentante una Madonna col bambino tra angeli, Santa Caterina d'Alessandria e Santa Dorotea, mentre sul retro del pannello si trova la stemma della famiglia dei Lanza. Altro capolavoro della sala fiamminga è la Deposizione di Jan Provost.Nelle ultime sale (XV, XVI e XVII) di questo piano sono esposti dipinti di Vincenzo da Pavia, Jacopo Palma il vecchio, le tele a carattere mitologico quali "Andromeda liberata da Perseo" del Cavalier d’Arpino e "Venere ed Adone" di Francesco Albani e le opere più significative del manierismo di marca Michelangiolesca, con dipinti di Giorgio Vasari, Girolamo Muziano e Marco Pino.I nuovi spazi museali (sala verde e sala rossa) si snodano su due piani, presentano una significativa raccolta del tardo manierismo siciliano, della pittura seicentesca e del realismo. Non è stato possibile visitarli poiché vista l’età dei discenti si rischiava di annoiarli.Si auspica che tale visita sia stata solo un imput per far ritorno all’Abatellis in un’età più avanzata onde scoprire l’effettiva valenza della galleria.

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I visitatori della Chiesa del Gesù (Casa Professa dei Gesuiti), nell'osservare le linee severe e poco appariscenti della facciata che domina Piazza Casa Professa non immaginano quali meraviglie si offriranno alla loro vista appena varcata la soglia: ogni parete, ogni arcata, ogni spazio si presenta, infatti, ricoperto da una fitta trama di ornamenti policromi, in un rincorrersi di marmi mischi, stucchi, statue e affreschi. La Chiesa, sorta sui resti di preesistenti edifici di culto, tra il XVI ed il XVII Sec. assunse la ricchissima veste barocca che ancora oggi si può ammirare. La Cupola del tardo seicento, il transetto, parte della volta e alcune cappelle, seriamente danneggiate durante i bombardamenti dell'ultima guerra, sono state sottoposte ad accurato restauro. I Gesuiti vollero esaltare la grandiosità della loro sede chiamando ad abbellirla alcuni tra i più illustri artisti dell'epoca, tra cui ricordiamo i Serpotta, Gaspare Serenario, Antonio Grano, Ignazio Marabitti, Pietro Novelli, Gioacchino Vitagliano. La Chiesa è rimasta chiusa a lungo per lavori di recupero e conservazione. Riaperta ai fedeli ed all'ammirazione dei visitatori da poco tempo, offre interessati gioielli d’arte anche negli ambienti più nascosti del complesso quali la Sagrestia, il serpottiano Oratorio del Sabato e la Cripta.

3^ tappa: Chiesa del

Gesù Casa Professa

Foto: a b c d e f gh j k l m

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Villa Niscemi è stata acquistata dal Comune di Palermo nel 1987 per farne la sua sede di rappresentanzaLe origini della villa risalgono al XVI secolo, e sono da individuare in una robusta torre agraria, di base quadrata, messa evidentemente a controllo e difesa di una importante tenuta agricola e collegata con altre torri vicine, in particolare con quella del monte Pellegrino, fra le più importanti dell'agro di Palermo.Intorno a questa torre si estese poi un ampio baglio e nel corso del Settecento venne in proprietà, attraverso una donazione, dei principi Valguarnera di Niscemi, antica e nobilissima famiglia siciliana, risalente a Pietro d'Aragona; esso fu profondamente trasformato, assumendo la forma di una vera e propria villa di campagna, destinata sia alla villeggiatura dei proprietari, sia alla sovrintendenza della vasta tenuta che ancora la circondava.

4^ tappa: Villa Niscemi

dal 1987 sede di rappresentanza del Comune di Palermo

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Quest'ultima sarebbe stata smembrata nel 1799, quando, essendo giunto a Palermo Ferdinando di Borbone insieme alla moglie Maria Cristina, in fuga da Napoli a causa della rivoluzione, il principe di Niscemi, insieme ad altri nobili suoi vicini, quali il marchese Vannucci, il principe Malvagna, il duchino di Pietratagliata e il marchese Ajroldi, si offrì di donare parte delle proprie terre al re, affinchè i vari appezzamenti, tutti riuniti, potessero formare tutt'attorno, e ai piedi del monte Pellegrino, un vasto parco che costituisse riserva di caccia per il sovrano e oasi di pace per la consorte.La donazione fu poi trasformata, per volere del re, in un acquisto per censuazione, con canone, tuttavia, quasi irrisorio, mentre la vicina casina dei Lombardo, "alla cinese", veniva acquistata per essere adibita a casino di caccia e di feste private.Il fondo rimasto aggregato alla villa Niscemi doveva diventare poi l'attuale parco, per intervento soprattutto del principe Corrado e della principessa Maria Favara che, verso la fine dell'Ottocento, vi misero mano con indubbio gusto, conservando almeno qualcosa del precedente impianto, come la fontana, il cancello sul parco della Favorita, la Coffee-House e dando all'insieme l'impronta romantica e anglosassone, ma anche ariosa e mediterranea, che tutt'ora lo caratterizza. Personaggi molto conosciuti della belle epoque palermitana, tanto da avere ispirato a Giuseppe Tommasi di Lampedusa gli indimenticabili personaggi di Tancredi e Angelica, Corrado e Maria Valguarnera intervennero notevolmente anche sugli interni della villa, portandola a uno stato che da allora ha subito scarse modificazioni.

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Santa Rosalia è identificata dal popolo fedele con il Monte Pellegrino, il promontorio che sembra nascere dal mare e da li dominare e proteggere Palermo. Il Monte Pellegrino è stato sempre luogo di culto sia per i pagani che per i cristiani. Il suo nome richiama S. Pellegrino, martire durante la persecuzione di Valeriano.

5^ tappa: Santuario Santa Rosalia

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S. Rosalia giunse sul Monte Pellegrino dai monti della Quisquina, primo suo eremitaggio. Quale luogo della sua dimora Rosalia scelse l’antica chiesa bizantina, costruita addosso una roccia, che in epoca cartaginese era stata scalpellata in modo da farne una grande edicola dall’inconfondibile struttura di altare punico”.

Sul Monte Pellegrino Rosalia occupava il suo tempo nella lettura della parola di Dio, nella preghiera e nella contemplazione “alternandole con qualche lavoro manuale e con l’accoglienza caritatevole sia dei pastori della campagna che di tutti quelli che venivano dalla città per raccomandarsi alle sue preghiere ed essere da lei confortati.  

Qui il 4 settembre del 1170 circa si addormentò nel Signore e, tra il compianto di una grande folla salita dalla città, le fu data sepoltura, come di consueto, nella grande grotta contigua”. (Paolo Collura)

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La presenza di una comunità di francescani  fin dal 1550, detta dei Romiti del Montepellegrino, e guidata da fra Girolamo Lancia Rebiba, ispirato dalla vita solitaria di S. Rosalia, è testimonianza di quanto il culto di Santa Rosalia fosse vivo sul monte ancor prima del 1624. Di questa comunità fu superiore anche quel S. Benedetto da Sanfratello, detto il Moro (1526-1589), che fu il primo ad iniziare, e sin dal 1585, le ricerche del corpo di santa Rosalia nella grotta.

Le reliquie della Santa furono rinvenute il 15 luglio del 1624 nel luogo indicato da tale Girolama La Gattuta, là dove, Rosalia, apparsale in visione, le aveva detto di scavare.

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Salone delBaldacchino

Salottino alla cinese

Salotto Giallo

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Terrazzo con fontana rocaille

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Particolare di un tetto

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La facciata principale del palazzo

Il cortile interno

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Opere lignee del XII sec.

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Sculture del Trecento e Quattrocento

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maioliche dipinte a lustro metallico

Domenico Gagini: Madonna del latte

Antonello Gagini: Ritratto di Giovinetto

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Il Busto di gentildonna di Francesco Laurana conosciuta come Eleonora d’Aragona

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Antonello Gagini: L’annunciazione

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Domenico Gagini: La Madonna del riposo

Sculture famiglia gaginiana

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Sculture famiglia gaginiana

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Il Trionfo della morte proveniente Palazzo Sclafani

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An fora ispano araba del tipo Alhambra

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Madonna dell’Umiltà” di Bartolomeo Camulio

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“L’ultima cena” del pittore catalano Jaume Serra

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Pale e trittici di scuola siciliana

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Pale e trittici di scuola siciliana

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Pale e trittici di scuola siciliana

L'incoronazione della Vergine di Riccardo Quartararo (sala XI)

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Pale e trittici di scuola siciliana

“Salone delle croci”, dove trovano posto la croce dipinta da Pietro Ruzzolone e dipinti di scuola siciliana

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Pale e trittici di scuola siciliana

“Salone delle croci”, dove trovano posto la croce dipinta dal Maestro di Galatina

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“Salone delle croci”, dove trovano posto dipinti di scuola siciliana

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Salone di Antonello da Messina: L’Annunciazione e i padri della Chiesa

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Trittico Malvagna di Jan Gossaert detto Mabuse iniz. Sec. XVI

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dipinti di scuola fiamminga del XV e XVI sec.

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Deposizione di Jan Provost

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dipinti di scuola fiamminga del XV e XVI sec.

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dipinti di scuola fiamminga del XV e XVI sec.

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dipinti di scuola manierista e barocca del XV e XVI sec.

“Madonna con il Bambino in Gloria tra i SS. G. Battista e Rosalia”, dipinto su tela, Pietro Novelli, in Monrealese, prima met

sec. XVII.

 

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La facciata

Il transetto e l’absideCon marmi mischi,sculture in marmo ed in stucco

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Cappella DX del transetto con sull'altare "San Francesco Saverio" di Federico Spoltore.

Cappella di S. Rosalia

Sant’Agata

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Cappella di Sant’Anna "Gioacchinoe Anna in preghiera chiedono un figlio“.

Cappella di Sant’Anna "Giocchinoed Anna che ringraziano Dio per aver dato loro la figlia Maria.

La Madonna di Trapani, Gagini (1478-1536)

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Nicchia di Abgail e Davidecon il pane e vino simboli eucaristici. In alto Cristo che benedice affiancato da Luca e Matteo.

Particolare

Abside: " Il Sacerdote Achimelech offrei pani sacri a Re Davide" di GioacchinoVitaliano (1669-1739).In alto la Santa Vergine con Giovanni e Marco.

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Nell'Abside, sopra l'ingresso che conduce alla Sagrestia il gruppo scultoreo che rappresenta "La Trinità" di Giocchino Vitagliano.

Affresco del catino dell'abside principale.

Gruppo scultoreo dell'absidedi Gioacchino Vitagliano (1669-1739):"Abigail, donna saggia, placa con donile ire di Re Davide che vuole uccideresuo marito Nabal."

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Il pulpito del 1646 in marmi mischi sul lato destro mediano della navata centrale

Particolare della parete di fondo dell'aula

Agli ornamenti delle navate lavoraronoGiacomo Serpotta (1656-1732)ed il figlio Procopio (1679-1755)

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I volontari della Casa di Don Orioneche ci hanno ospitato a pranzo

Si ringrazia la sig. Aquino Barbara per le foto messe a disposizione.L’ins. Graziella Pappalardo ne ha curato la presentazione