Santuario di Maria, casa della Parola

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Quaderni della Consolata / Spiritualità 5 Santuario di Maria Casa della Parola Mons. Giuseppe Pollano

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mons. Pollano e le sue indimenticabili catechesi

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Quaderni della Consolata / Spiritualità – 5

Santuario di Maria

Casa della Parola

Mons. Giuseppe Pollano

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I testi sono stati forniti dall’autore stesso, che ringraziamo. Il testo dell’Inno Akathistos e la sua spiegazioni sono tratti dai testi del sito Internet del Vaticano.

EDIZIONI LA CONSOLATA – Torino, giugno 2008

Santuario della Consolata, via Maria Adelaide 2, 10122 TORINO

+39 011 483.6100 / [email protected]

www.laconsolata.org / www.laconsolata.direttastreaming.tv

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PREMESSA

Possiamo iniziare la nostra riflessione con qualche verso dell’Inno

«Akáthistos», entrato nella liturgia della Chiesa greca dell’VIII seco-

lo, e gioiello del culto mariano. In esso Maria è cantata come «Di-

mora del Verbo di Dio», «Albero dei frutti di luce che alimentano i

fedeli», «Fede dei mendicanti di silenzio». Quale ritratto più com-

pleto? Questa è Maria, la Madre del Verbo, della quale disse

s.Francesco di Sales: «Maria interviene all’unione della divinità con

l’umanità, fa che Dio sia uomo e l’uomo sia Dio, con la sua sostanza

concepisce, nutre e partorisce Dio nell’universo».

Proprio questa è la creatura di cui oggi, più che mai, abbiamo biso-

gno. Siamo nel tempo in cui uno dei più angosciati atei del secolo

XX, J.P.Sartre, fa dire a due protagonisti, in Morti senza sepoltura:

«Parlerete, alla fine?» «Che cosa vuol che si dica?» «Non importa

che cosa, purché faccia rumore». Ecco, è appunto questo rumore del

nulla che ci assedia fino a soffocarci. Tolto Dio, la constatazione che

siamo nulla, il tremendo Nada, nada, nada! di Hemingway, non ha

tardato a caderci addosso, capito prima dagli uomini più fini e sen-

sibili, poi da tutta la gente. E il chiasso, arma del diavolo, qualcuno

ha detto, uccide in noi preghiera e pensiero, invadendo volgarmen-

te le profondità dell’anima.

Qui compare per noi, bellissima nel suo raccolto animo che trabocca

di Parola: Maria. A lei bisogna tornare con ammirazione nuova,

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come al «paradigma antropologico», dice S. De Fiores, ossia al tipo

di essere umano che dobbiamo realizzare per evitare il tuffo nella

barbarie spirituale e nella rovina storica.

E dove la troviamo, Maria? Nella Chiesa intera, senza dubbio; nella

sua liturgia e teologia, nella vita del Popolo di Dio; ma particolar-

mente nei suoi luoghi, ossia nei mille Santuari dove la sua presenza,

sempre ancillare rispetto al Figlio e alla Trinità santissima, tuttavia

con dolce umiltà è Signora. Signora perché Madre, e Madre del Fi-

glio che è il Verbo, eterna Parola.

Si compongono così in lei, nella considerazione della nostra fede, la

piccolezza creaturale eletta a santità ecclesiale, dove Maria ci è so-

rella, e la sublimità sapienziale di Dio dove ci è madre. Riferirci a lei

ci è dunque indispensabile. La formula «De Maria numquam satis»,

come compare nel Trattato della vera devozione a Maria di s.Luigi Gri-

gnon de Montfort, dov’egli afferma che «Maria non è stata ancora

abbastanza lodata, esaltata, onorata, amata e servita», ci interpella.

Lontanissimi da un’inaccettabile “adorazione” di lei, noi intendia-

mo lodarla e imitarla con suprema venerazione, e il suo Santuario è

il luogo più indicato per esprimerlo; veniamo a lei proprio come

«mendicanti di silenzio», sia nel senso che cerchiamo ristoro dalla

parola umana spesso impazzita, sia, e ancor più, perché le chiedia-

mo il silenzio che si fa ascolto, tutto fatto di cuore puro, nel quale

può sbocciare «l’esile voce» del Verbo, destinata in realtà a divenirci

luce, senso e padrona della vita. «La grande compassione di Maria e

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la sua potente intercessione», come amava dire s. Alfonso, sono con

noi.

I

LA «VERGINE IN ASCOLTO»

Paolo VI così ci ha richiamata Maria, nella Esortazione Aposto-

lica Marialis Cultus (n.17), e tale titolo ci pare il più adatto per inizia-

re il discorso su lei e la Parola. Perché? Perché se Dio possiede, co-

me è evidente da tutta la Rivelazione, il primato della Parola, e «in

principio c’era il Verbo» (Gv.1,1), allora all’uomo tocca per natura

sua la priorità del silenzio, perché egli nasce già come ascoltatore di

Dio. E l’ascolto è in primo luogo silenzio. Diremmo meglio, è il Si-

lenzio, volendo con ciò escludere tutti i silenzi umani, e sono molti,

che non si aprono alla Parola di Dio che si esprime, chiama, coman-

da, coinvolge per amore.

Sotto questo profilo la Vergine è decisamente esemplare, e si

impone come modello di persona che tanto è pronta a farsi schiava

della Parola divina, quanto è libera dalla schiavitù delle parole u-

mane. Tale libertà è testimoniata dal suo cantico, in cui la protesta

contro i pensieri dei superbi, l’alterigia dei potenti e l’egoismo dei

ricchi fa spiccare con evidenza quanto Maria sia lontana dalle paro-

le che reggono la quotidianità del mondo. E tale libertà subito ci

provoca, perché noi ne siamo spesso molto poveri, assediati dalla

parola di tutti, che sembra avere un’insolente precedenza sul nostro

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stesso pensiero, e ci colonizza l’anima attraverso messaggi, pubbli-

cità, propagande, stampe, libri, affidati alla gigantesca rete mas-

smediatica che ci avvolge.

Maria non è così: la vergine di Nazaret che riceve l’annuncio,

possiamo pensarla senza forzature libera e tacita, perché da sempre

la sua esperienza immacolata le ha rivelato che il vivere con Dio è in

primo luogo un «essere-per-il-Silenzio», senza parola oziosa e nel

più avveduto uso delle parole utili e necessarie in questo mondo.

Maria sa che le parole puramente terrene, non vive nella grazia «si

raffreddano immediatamente e impallidiscono come rose già colte»,

come insegnava Suso, e perciò non le dice. Ma che Silenzio pregno

di Voce, il suo! Che ascolto traboccante! I santi l’hanno imparato

bene. Ecco s.Giovanni della Croce, a proposito del medesimo tacere:

«Ciò che più importa, per progredire, è far tacere dinanzi a questo

grande Dio la nostra lingua e il nostro desiderio, perché il solo lin-

guaggio che Egli ascolta è il silenzioso amore». E s.Vincenzo de’ Pa-

oli, che non fu un eremita: «Serbare il silenzio non è altro che ascol-

tare Dio, allontanandosi, per meglio ascoltarlo, dalla confusione e

dalla conversazione degli uomini». E ancora la beata Elisabetta del-

la Trinità: «Mettiamo tutto a tacere, per non udire altro che Lui».

L’elenco non finirebbe. È dunque dal Silenzio sacro che bisogna

cominciare. Ma questo ci chiede allora di intentare un processo se-

rissimo alla parola terrena, non certo per ucciderla, ma per purifi-

carla e renderla capace di incontrare «la bellezza superiore di Dio»,

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come un poeta disse, e immergersi nella sua verità “come la goccia

d’acqua dentro una botte di vino”, aggiungerebbe il mistico Taule-

ro, ossia colorandosi di Dio.

Basta aver detto queste poche parole per rendersi conto che il

Silenzio divino non si acquista con uno schiocco di dita. Nulla anzi

è così serio ed impegnativo per noi, trattandosi di passare dagli in-

terlocutori umani all’Interlocutore che è Dio, dai linguaggi al Lin-

guaggio, dalle reciprocità terrene alla Reciprocità assoluta. La mora-

lità della nostra parola comincia proprio qui, dove essa, purificata

nel Silenzio, diventa in primo luogo risposta alla Parola, iniziando il

Dialogo che deve reggere poi tutta la vita. Maria fu in questo eccel-

lente, splendeva perfetta nel suo a tu per tu con l’Eterno. Ma per noi

è diverso: noi siamo ancora, con la nostra parola, in un duello che si

svolge con alterne vicende, fra Uomo e parola: chi è il signore e pa-

drone dell’altro? Guardando la Vergine, colma di Silenzio e di Paro-

la con saggezza totale, dobbiamo in realtà, riguardo alla parola no-

stra, coglierne il sommo valore e il sommo rischio, e chiedere a lei,

Madre del Verbo fatto uomo, di divenire veri discepoli di lui.

Il sommo valore della parola non richiede dimostrazioni. Tutto

si potrebbe dire, al riguardo, con poche sentenze: «La parola è civil-

tà», «La parola fa l’uomo libero», «La parola è comunione». Che co-

sa c’è di più vero? Di più intensamente umano? Dalla tenerezza fra

madre e bimbo, alla solennità delle leggi, dal rigore della scienza

agli slanci della poesia, dalle esattezze contrattuali alle dichiarazio-

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ni di pace universale, la nostra parola ci sorregge in un umanesimo

valido, e sfida le vicende per costruire una storia buona. Il sommo

valore della parola non è in discussione, e il riconoscerlo ci affida

una responsabilità che possiamo definire suprema. Parlare per far

essere il bene, per produrre azione e mondo giusti, per effondere

benevolenza e intesa: tutto ciò è benedizione di Dio; e perciò edu-

carsi alla parola, non crescere nella chiacchiera, capire che la parola

è «dono tremendo», e che non basta parlare perché si ha la lingua,

«parole. parole, parole». Qui ci è maestra affascinante e consolante

Maria, il cui volto è Silenzio così eloquente del misterioso «indicibi-

le» di Dio.

Neppure il sommo rischio della parola, purtroppo, richiede

dimostrazioni. Perché essa, come noi stessi che la diciamo, può ro-

vesciare la propria bontà, e diventare il «male ribelle», che si rivolta

contro il nostro bene. Non occorre molta riflessione per concludere

anche noi: «O parole, quanti delitti si commettono in vostro nome!».

È così! Delitti materiali e morali, privati e pubblici, culturali e politi-

ci, nazionali e internazionali…Non c’è che l’uomo capace, con una

sola parola, di destinare alla morte milioni di altri uomini. E ciò che

è peggio, la parola incattivita diventa anche stracarica di passione,

non la si domina più, ci domina: «Ho fatto a pezzi cuore e mente /

per cadere in servitù di parole?» si domanda un poeta. Ma è do-

manda che ci interpella tutti, per una drastica revisione di vita. Si

comprende perché Gesù ci ha messi in guardia riguardo alla falsa

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profezia del mondo; essa è fatta di tutte le parole che ci illudono,

seducono, spaventano e confondono in un carosello di idee senza

pace; e se noi riapriamo il Vangelo e, in riva a questo gorgo, ripe-

tiamo con Maria il suo cantico meraviglioso, non ci rendiamo inve-

ce conto di quanto esso ci consoli, colmo di verità felice?

II

SANTUARIO

SEGNO DELLA IRRUZIONE DI DIO NELLA STORIA.

Questa definizione, straordinariamente forte, sta nel DIRET-

TORIO SU PIETÀ POPOLARE E LITURGIA, edito nel 2002 dalla

Congregazione per il Culto Divino. Non si può, né si deve, sotto-

stimarla; essa anzi stimola a nuovi sensi di responsabilità perché

tocca precisamente la questione essenziale della vita umana in ge-

nerale e di quella cristiana in specie, che sta nel realizzare la «voca-

zione alla comunione con Dio» (Conc.Vat.II, Chiesa e mondo,19); Dio

infatti irrompe nella storia appunto per tale comunione, ed è chiaro

che l’uomo deve a sua volta rispondergli con slancio proporzionato;

se dunque il santuario è uno dei segni di tale mossa di Dio, esso di-

viene di per sé luogo privilegiato per questo incontro, e come tale

va considerato.

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Riconosciamo che tale valutazione del Santuario può non es-

serci consueta, parendoci perfino eccessiva, data la funzione talora

accessoria ed occasionale che esso svolge nella vita del Popolo di

Dio; è però evidente, nel documento della Congregazione,

l’intenzione di un ritorno all’essenziale, su questo tema, e non si

può che rallegrarsene, assumendo - eventualmente in modo rin-

novato - l’impegno che esso comporta. La cosa assume rilievo spe-

ciale nel caso preciso della Parola di Dio, perché proprio la Parola è

protagonista centrale della irruzione divina nella storia, rendendosi

presente in mezzo a noi con l’incarnazione del Verbo, Gesù. Sarà

dunque necessario operare gradatamente, ma senza indugio, affin-

ché il Santuario acquisti sempre di più nella stima del Popolo di Dio

la sua valenza teologica, rilevantissima: se esso è segno di Dio che

irrompe, e primariamente irrompe come Parola, allora il Santuario è

chiamato per natura sua a farsi Casa della Parola, ossia luogo che

esiste per la Parola e in funzione della Parola; e questo attraverso la

vigorosa accentuazione d’un suo servizio pastorale volto a divulga-

re, approfondire, assaporare la Parola, sia sotto forma di istruzione

che di esperienza orante. Servizio preziosissimo che oggi, per di

più, risulta spesso insufficiente per la scarsità di operatori e di

strumenti.

Nell’assumere in modo rinnovato questa funzione il Santuario

deve allora più che mai favorire nel Popolo di Dio l’approccio al sa-

cro, il quale richiede sempre, per natura sua, comportamenti ade-

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guati alla duplice azione della fede: elevare alla Presenza divina,

che non è quella terrena, e distaccare quindi dalla presenza terrena,

che ci domina come esperienza ordinaria della vita e del mondo.

Essendo chiaro che non basta varcare la soglia del Santuario per en-

trare nel Sacro, ogni accoglienza nel Santuario deve iniziare, da par-

te dei responsabili, con una concisa e però quanto mai efficace cate-

chesi sul senso del luogo, sul Silenzio che vi si deve realizzare, sulla

diversità reale fra il calpestare la strada e gli «atri sacri». Non si trat-

ta, ovviamente, di formalità, ma d’aiuto necessario alla presa di co-

scienza secondo fede, senza cui il Santuario resterebbe semplice-

mente «visitato».

L’elemento decisivo per tale «ambientazione» resta il passaggio dal-

la parola al Silenzio interiore.

È dunque opportuna, riguardo al rapporto fra Santuario e Si-

lenzio, qualche annotazione ulteriore. Si sa che ogni chiesa di per sé

esige raccoglimento per la Presenza dominante del Dio eucaristico,

e rispetto per coloro che vi pregano; ma tale necessità si fa estrema

nel caso del Santuario per alcune ragioni: il dover favorire nei fedeli

un’esperienza forte di incontro con Dio; il voler evitare che essi ri-

mangano a livelli inferiori di attenzione, storica, estetica, turistica; il

poter provocare, con i dovuti accorgimenti, un evento spirituale ben

difficilmente possibile altrove. Chi gestisce il Santuario deve tenere

ben presenti tali ragioni e sentirsene impegnato: il ricordo del San-

tuario non potrà mai ridursi, per chi vi accede, all’arte contemplata

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o all’oggetto sacro acquistato; è l’interiorità che deve esserne arric-

chita, quel tocco di Spirito nelle profondità dell’anima che rende in-

dimenticabile il momento vissuto, come bene scrisse un poeta: «E i

tonfi / di tutta la metropoli / muoiono pronti. Silenzio sorge nel so-

le. / Spalancati guardiamo».

Insegnare dunque il Silenzio è una sorta di pre-catechesi che,

specialmente oggi nel mondo chiassificato, si impone al fine di non

banalizzare, e dunque sprecare, l’occasione unica che il Santuario

costituisce per tutti coloro che portano in cuore il sospiro: «O Dio,

di te ha sete l’anima mia» (Salmo 63,2). Occorre rendersi conto di ta-

le responsabilità morale, che, senza dubbio, carica di maggiore im-

pegno chi ce l’ha, ma risponde esattamente alla richiesta ecclesiale

sulla funzione mistica che il Santuario deve assumere nella condi-

zione religiosa contemporanea. Si tratta perciò di tenere presenti,

dei vari e successivi modi del silenzio che accede al Silenzio divino,

almeno i primi, che devono essere esplicitamente richiesti ai fedeli;

potrebbe darsi che molta gente non avesse mai neppur sentito im-

postare una questione del genere, ma ciò confermerebbe caso mai

soltanto l’importanza della lezione.

Il primo silenzio preparatorio al Silenzio, è ovviamente quello

fisico, che elimina il rumore e la voce abituali nella solita esistenza;

non si tratta però soltanto di ridurre i discorsi a brusio discreto, ma

di farli semplicemente tacere come cosa da sgombrare. Non è, come

si sa, operazione sempre agevole; comunque è necessaria. Dentro il

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Santuario si è già nell’Evento della Parola che lì abita e dice; bisogna

dunque guidare i fedeli al silenzio neotestamentario dell’attesa,

presupposto necessario per lo sbocciare della Parola; chiaro che non

si tratta di «stare zitti» in un silenzio puramente fisico, vuoto, ma

del tacere che si dispone ad essere visitato e abitato da Dio. Tale

primo silenzio della bocca richiede indispensabilmente il secondo,

quello della mente, ben più penetrante nella persona, data la nostra

abitudine di pensare, immaginare, ricordare senza tregua mentre

viviamo. Ma la «purezza di cuore» tale silenzio lo esige. Per poter

dire: «Nessuno ha mai parlato come lui», commento delle folle che

ascoltavano Gesù, occorre interrompere il solito flusso dei discorsi

interiori, tornare bambini la cui scienza «non è frutto di considera-

zioni e elucubrazioni di persone curiose», com’è detto nella Lettera a

Diogneto.

Qui l’aiuto di chi accoglie è prezioso, e normalmente necessa-

rio, e il suo ruolo sta nel provocare nei fedeli un silenzio inconsueto;

non solo emotivo, che «tocchi il cuore» con la narrazione devota,

ma subito referenziale prima a Dio, presente e creduto, poi

all’ambiente intriso di religiosità vissuta. In questa introduzione i

fedeli devono essere aiutati a percepire che non stanno esistendo

per sé, né per scattar foto e neppure solo (sebbene ciò sia ovvio e

più che legittimo) per i favori celesti; ma prima e di più per elevarsi

a Dio, che li trascende mentre li accoglie, e vuole nutrirli in modo

sostanzioso di sé, Verità e Vita, perché è proprio per questo che,

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nelle sue intenzioni, essi sono lì. Chiaro che in tale sottile iniziazio-

ne, la mediazione di chi accoglie è essenziale, come carità e metodo;

occorre perciò non affidarla solo ai sussidi mediatici, pure utili: il

tramite interpersonale, nell’economia cristiana, resta - dentro la

comunicazione - il vincolo sacro della comunione.

Il Santuario può così assurgere, in piena coscienza, al suo

compito fondamentale di «segno della irruzione di Dio», con fedeltà

totale alla Parola e a tutti i mezzi per comunicarla, e senza riduzioni

di impegno. Il confronto costante del suo stile con quel compito è

doveroso, perché la tendenza a soddisfare la richiesta religiosa dei

fedeli, spesso ambigua, rischia di scendere a livelli rituali alquanto

esteriorizzati. La Chiesa è certo contraria al silenzio spirituale che

isola e diventa rottura di comunione, cioè al «cattivo silenzio», ma è

quanto mai desiderosa che non scompaia dalla sua liturgia - e il

Santuario o è liturgico o non è - il denso Silenzio santo. Essa pre-

scrisse, nel Vaticano II, che «per promuovere la partecipazione at-

tiva si curino le acclamazioni dei fedeli, le risposte, la salmodia, le

antifone, i canti, nonché le azioni, i gesti e l’atteggiamento del cor-

po», ma che «si osservi anche a tempo debito il silenzio sacro»: il ri-

ferimento al silenzio fu aggiunto al testo primitivo, che ne era privo;

da ciò si prova la sua preziosità. Infatti siamo più inclini al simbolo

che alla realtà interiore, alla ritualità che al mistero, e la vigilanza su

tale punto nevralgico della pietà non può mai essere allentata. Guai

se dovesse valere per noi, nel Santuario, il richiamo dell’allora card.

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Ratzinger nel suo Rapporto sulla fede (1985): «Il Concilio ci ha giu-

stamente ricordato che liturgia significa soprattutto “actio”, azione,

e ha chiesto ai fedeli una “actuosa participatio”, una partecipazione

attiva. È un concetto sacrosanto, che però nelle interpretazioni post-

conciliari ha subito una restrizione fatale. Sorse cioè l’impressione

che si avesse una partecipazione attiva solo dove ci fosse un’attività

esteriore, verificabile: discorsi, parole, canti, omelie, letture, stringer

di mani…Ma si è dimenticato che il Concilio mette nella “actuosa

participatio” anche il silenzio, che permette una partecipazione

davvero profonda, personale, concedendoci l’ascolto interiore della

Parola del Signore. Ora di questo silenzio non è restata traccia in

certi riti». Dobbiamo riconoscere che un tale impoverimento, per

tutti e per il Santuario in specie, sarebbe una vera e propria sventu-

ra pastorale, perché significherebbe ancora una volta - non la pri-

ma, purtroppo - che la praticità d’una esecuzione liturgica, alquan-

to cosificata, ha soppiantato l’essenza mistica dell’incontro con Dio.

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La Visitazione di Maria a Santa Elisabetta

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III

IL SANTUARIO E MARIA

L’accostamento fra Santuario «segno della irruzione divina», e

la Madre di Dio che - «infinitamente gioiosa» scrisse Péguy - di ta-

le irruzione fu la sede reale accogliendo nel suo grembo il Verbo di-

vino, è naturale e necessario. Nel Santuario dedicato a lei si ritrova

infatti in modo speciale, come nel simbolo d’una realtà superiore, il

messaggio totale della «irruzione» della Parola salvatrice, nella no-

stra faticosa storia terrena. L’entrare nel Santuario mariano accoglie

nell’ambiente di Dio, come s’è ricordato, ma quest’ingresso miste-

rioso non sarebbe completo, ci avverte la teologia, se non passasse

anche per colei che ha reso possibile l’Incarnazione. A Maria poi

non si va mai per trovare lei sola; si va per ripercorrere misticamen-

te la via che il Verbo, facendosi Gesù «nato da donna» (Gal 4.4),

scelse per venire a noi. Nel Santuario mariano noi alziamo dunque

gli occhi per vedere questa creatura benedetta, e ci troviamo perfet-

tamente collocati nel santo viaggio che ha congiunto Cielo e terra:

Maria, alla quale, ha scritto Pio IX nella Enciclica Ineffabilis Deus sul-

la Immacolata, «Dio Padre aveva disposto di dare l’Unigenito suo

Figlio - generato dal suo seno, uguale a se stesso e amato come se

stesso - in modo tale che egli fosse, per natura, Figlio unico e co-

mune di Dio Padre e della Vergine; poiché lo stesso Figlio aveva

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stabilito di renderla sua Madre in modo sostanziale». È a tale gran-

dezza che il Santuario dedicato alla Vergine Madre ci conduce.

È dunque con il senso d’una completezza di fede che si entra

nel Santuario mariano, come luogo che riassume l’economia salvifi-

ca, perché lì la Chiesa pone - affinché sia particolarmente venerata -

la creatura che come nessun’altra «racconta» Dio in tutta la sua po-

tenza d’amore. Maria «è l’Apocalisse della Trinità» scrisse un ma-

riologo «rivelazione degli arcani divini, immagine palpitante della

Triade, caratteristico cesello delle tre Persone»; infatti in lei, donna

icona del mistero eterno, scopriamo il volto misericordioso del Pa-

dre che si china sulla umanità per salvarla, la purezza assoluta del

Verbo, l’opera trasformante dello Spirito, tutti e tre crogiuolo di un

solo amore che così si esprime; in lei ancora si rivela un «portento di

nobiltà, grandezza e santità», così la pregava s.Bernardo, che non ha

paragoni nella storia umana. E davanti a lei allora si è ricondotti alla

grandezza totale del mistero divino, alla «gran Regina di tutto il

creato, che ha fiaccato l’orgoglio di satana», come l’ammirava

s.Giovanni Damasceno, e noi con lui possiamo contemplarla. Il San-

tuario mariano ci introduce a tutto ciò senza fatica, divenendo luo-

go teologico per eccellenza e, tutto all’opposto di ciò che parrebbe,

ci fa scoprire - forse con nostra meraviglia - quanto Maria sia at-

tuale: «come Maria» ha insegnato Paolo VI «possa essere assunta a

specchio delle attese degli uomini del nostro tempo». Attualità pre-

ziosissima, senza la quale non ci sentiremmo di dare a lei più che

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uno sguardo devoto, mentre così possiamo sentirci compresi in tut-

te le nostre aspirazioni.

Sotto questo profilo, e senza alcuna enfasi, il Santuario maria-

no diviene un luogo privilegiato della esistenza cristiana. Vi si tro-

vano infatti armonizzati due aspetti entrambi necessari alla struttu-

ra della personalità cristiana, oggi in particolare: la costruzione del

sé partendo dall’interiorità, e la sua pienezza nel trapasso

dall’umano al divino supremo.

Quanto al primo aspetto, esso, prima che essere religioso è

semplicemente umano, e dunque universale: la nostra vita persona-

le deve formarsi a poco a poco crescendo in profondità di anima;

senza di questa non ci sono possibili riflessione, fermezza, decisio-

ne, fedeltà, insomma tutte le qualità tipiche della personalità matu-

ra; e siamo allora trascinati dalla vita vorticosa e sfuggente, «debo-

le» e «liquida», come oggi si dice, che sfiora continuamente

l’alienazione e i disturbi maniaco-depressivi. Ora quanti sono, a ben

pensarci, i luoghi privati o pubblici dove sia ancora possibile curare

l’interiorità di se stessi? Troppi sentono questa carenza, concluden-

do però tristemente con il poeta: «Eppure vano è ogni sforzo per sa-

lire in alto…Allora quello che io sono saluta con tristezza quello che

potrei essere». Il Santuario religioso, se ben capito, è proprio chia-

mato a svolgere questo compito formativo e quasi terapeutico: non

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è a questo che tendono, senza aspirazione religiosa, le tecniche di

meditazione oggi praticate per trovare un’«altra dimensione»?

Il secondo aspetto, prettamente teologico, scende dall’alto e

colma di «grazia e verità» (Gv 1,14) le profondità dell’anima. Qui

appunto la marianità del Santuario aiuta in modo eccellente a risali-

re, grazie a Maria, fino al Verbo incarnato - è il «per Mariam ad Je-

sum» del Montfort - grazie al quale si sfocia nella Trinità viva, meta

del nostro cammino creaturale. Senza questo compimento i tentativi

di trascendenza restano insoddisfatti, come una scala a chiocciola

piantata assurdamente in mezzo a un prato, e non riusciamo a

giungere alle «sorgenti della vita». Ma nel Santuario mariano la via

è aperta, e accessibile a tutti, proprio perché Dio in Maria «ha preso

a prestito la carne di una donna cosciente e consenziente», scrisse

Nicola Cabasilas, affinché ci fosse facilissimo riconoscere in lei pro-

prio la nostra umanità, ormai aperta al divino.

Richiamare l’attenzione sul Santuario di Maria come Casa del-

la Parola, che è lo scopo di queste considerazioni, diviene allora

quanto mai facile, e valido. Perché? Perché l’attualità di Maria, di

cui si è detto, s’impone, se la ricordiamo, nell’attuale caos di parole

umane, maestra di verità e vita nel dirci: «Fate quello che vi dirà»

(Gv 2,5); e l’attualità del Santuario anche, se lo interpretiamo e ri-

proponiamo, nella superficialità dominante, come luogo privilegia-

to di Silenzio e profondità d’anima. Tutta la grandezza di Maria di-

venta allora per noi educativa e formatrice, nel momento in cui ella

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ci propone, come Maestro, il Verbo che ci ha dato come Fratello; in

tale offerta infatti la Madre completa a nostro favore il dono della

Trinità, e ci istruisce sulla saggezza. E tutta la solennità del Santua-

rio si riempie luce spirituale, perché esso diventa la cassa di riso-

nanza più favorevole a tale «irruzione » sapienziale. Si tratta dun-

que di realizzare e conservare tale armonia.

Ancora un aspetto forte c’è da rilevare, in questo incontro con

Maria nel Santuario: è la natura peculiare ed inconfondibile

dell’intercessione che ella esercita a nostro favore. Giovanni Paolo II

l’ha messa bene in rilievo nella sua enciclica mariana Redemptoris

Mater, affermando che «la mediazione di Maria è strettamente lega-

ta alla sua maternità, possiede un carattere specificamente materno,

il quale la distingue da quella delle altre creature che, in vario modo

sempre subordinato, partecipano all’unica mediazione di Cristo».

Chiarificazione del massimo valore. In quanto madre, Maria è ne-

cessaria, mentre nessuno degli altri mediatori, pur preziosi, lo è; i-

noltre il suo legame di amore e grazia con l’intera Chiesa la rende

veramente unica nella perfezione con cui si cura di noi, che appar-

teniamo a lei in Cristo, e siamo in qualche modo anche noi frutto

del suo seno. La «Autrice del Benefattore degli uomini» e «Genitri-

ce del Seminatore della nostra vita» - è ancora l’Inno «Akáthistos» -

ci accoglie nel suo Santuario con amore insorpassabile, che le deriva

dalla pienezza del Cuore di Cristo suo Figlio.

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Tale primato teologico di Maria conferisce al suo Santuario

non soltanto un fascino, ma un’efficacia particolare come luogo di

grazia. Non possiamo infatti dimenticare che la Madre di Dio, as-

sunta alla gloria del Figlio e con lui risorta, possiede anche la miste-

riosa capacità di presenza, nuova rispetto a quella della terra, che è

propria della sua condizione celeste. Maria nel suo Santuario «è», e

non soltanto nella sua icona, pur preziosa, suggestiva e venerata,

ma con una presenza di relazione e di incontro realissimi; ella non è

più corporalmente legata a un luogo e a un tempo, ed è, in modo

per noi misterioso, «in certo senso contemporanea a tutte le epoche

e cosmopolita a tutti gli ambiti geografici»; e in tal modo, scrisse

l’allora card. Ratzinger «non risiede solo nel passato né solo

nell’alto dei cieli, nell’intimità di Dio; ella è e rimane presente e atti-

va nell’attuale momento storico»; quindi nella vita quotidiana,

quindi in modo privilegiato nel Santuario in cui realmente attende,

accoglie e abbraccia maternamente noi, suoi figli.

È dunque in maniera del tutto singolare che ella, nello Spirito e

sotto la sua azione, quasi ci suggerisce la Parola che ci invita ad a-

scoltare; il Santuario è veramente Casa, anzi in certo modo grembo

di verità che ci vitalizza. Siamo lontani qui dal santuario-museo, dal

santuario-belvedere, e simili: la Presenza divina, intrinseca alla Pa-

rola, domina l’edificio, i suoi pregi e la sua storia, facendone vera-

mente la «porta aperta nel cielo» (Ap 4,1) sulla quale ci attende la

«Porta del cielo» viva e vera, perché madre di Colui che ha a sua

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volta detto di sé: «Io sono la porta delle pecore» (Gv 10,7): fuga in

alto che, di soglia in soglia, ci consente di elevarci all’Altissimo, dal-

la nostra bassezza creaturale. Santuario e Maria si saldano dunque,

come cornice e quadro, e nella fede di credenti formano un tutt’uno

che provoca inconfondibile cammino: «Vado in Santuario», dicia-

mo; e intendiamo dire: «vado da Maria», frase che a sua volta signi-

fica, nella sua piena verità cattolica: «Vado a Colei che mi consegna

il Signore Gesù, vado da Dio».

Page 24: Santuario di Maria, casa della Parola

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IV

LA “CONSOLATA”

Il Santuario della Vergine “Consolata” possiede, nell’insieme

delle prerogative comuni a tutti i santuari, una luce particolare che

gli deriva dal titolo che vi ha Maria. Al da là delle sue origini stori-

che, il nome “Consolata” ha assunto nei secoli una connotazione ti-

pica, ed evoca la figura di un monte altissimo di cui un versante è

già investito dal sole, e l’altro è ancora nell’ombra. In Maria il ver-

sante pieno di luce è il suo essere stata per prima avvolta, in modo

insuperabile, dalla «irruzione di Dio», divenendo la creatura senza

uguali, che «nella sua elevazione sublime sorpassa tutte le altre cre-

ature», canta s. Bernardo con mille altri; quella che la Chiesa ha ele-

vato per sempre nel cielo della verità esaltandola con quattro dog-

mi: Verginità perpetua, Immacolatezza totale, Maternità divina, As-

sunzione gloriosa. Questo è il versante tutto sole, la “Consolata” da

Dio. L’altro versante è quello che riceve le ombre della «valle di la-

crime», cioè noi, viventi problematici, doloranti e mortali, il versan-

te dove Maria diviene “Consolante”, e dalla sua bontà inesauribile

riceviamo il dono della continua intercessione.

Si deve riconosce che questo titolo è fascinoso, altissimo in Dio

e vicinissimo a noi, quindi ponte di significati estremi, dall’abisso

della sublimità a quello della miseria, senza interruzioni. Nel San-

tuario di Maria “Consolata” tutta la Parola può espandersi nella so-

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norità della fede, dall’eccelso: «Il principio era il Verbo, e il Verbo

era presso Dio e il Verbo era Dio…E il Verbo si fece carne e venne

ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,1.14), al pietosissimo: «Non hanno

più vino» (Gv 2,3). Tutta la gamma della potenza di grazia, dalla

più alta contemplazione al più umile soccorso, è presente qui nel

mistero di questa divino-umana consolazione: e questo è senza

dubbio un pregio singolare del titolo, che non a caso attira da sem-

pre mente, cuore e coscienza dei fedeli.

Santuario di Maria, Casa della parola: si possono concludere

queste considerazioni con un indirizzo poetico a lei, fra i molti; ver-

si che dicono la postmodernità bisognosa di luce divina, filtrata at-

traverso il cuore puro della Vergine predestinata:

«Corrono ancora / per fossi inorriditi / le grida / degli ammazza-popoli / e Cesare predica ai pugnali. Ma tu / Vergine mite / hai campi dolci

nell’anima / e già Dio vi passeggia / dentro, toccante sole di gioia. / E levi / brezze di

amore / e dono mormori / e il tuo volto / di prime creazioni si imporpora. Sciamerà

ancora / nei tunnel della metropolitana / la nostra folla / col torace svuotato /

ma tu / coi fiori di Palestina / già ami. Tu anemone limpido / che solo lo Spirito / di sue rugiade disseta. E scenderà l’Eterno /

in tue ombre soavi / dove l’arpa di Davide / pacifica sussurra lodi / e tu /

sarai suo sabato./ Tu Maria / riposo di chi lavorò i mondi».

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INNO AKATHISTOS

È uno tra i più famosi inni che la Chiesa Ortodossa dedica alla Theo-tokos (Genitrice di Dio). Akathistos si chiama per antonomasia quest'inno liturgico del secolo V, che fu e resta il modello di molte composizioni innografiche e litaniche, antiche e recenti."Akathistos" non è il titolo originario, ma una rubrica:"a-kathistos" in greco signi-fica "non-seduti", perché la Chiesa ingiunge di cantarlo o recitarlo "stando in piedi", come si ascolta il Vangelo, in segno di riverente ossequio alla Madre di Dio. La struttura metrica e sillabica dell'Akathistos si ispira alla celeste Gerusalemme descritta dal cap. 21 dell'Apocalisse, da cui desume immagini e numeri: Maria è cantata come identificazione della Chiesa, quale "Sposa" senza sposo terreno, Sposa vergine dell'A-gnello, in tutto il suo splendore e la sua perfezione. L'inno consta di 24 stanze (in greco: oikoi), quante sono le lettere dell'alfabeto greco con le quali progressivamente ogni stanza co-mincia. Ma fu sapientemente progettato in due parti distinte, su due piani congiunti e sovrapposti - quello della storia e quello della fede -, e con due prospettive intrecciate e complementari - una cri-stologica, l'altra ecclesiale -, nelle quali è calato e s'illumina il miste-ro della Madre di Dio. Le DUE PARTI dell'inno a loro volta sono im-percettibilmente suddivise ciascuna in due sezioni di 6 stanze: tale suddivisione è presente in modo manifesto nell'attuale celebrazione liturgica. L'inno tuttavia procede in maniera binaria, in modo che ogni stanza dispari trova il suo complemento - metrico e concettua-le - in quella pari che segue. Le stanze dispari si ampliano con 12 sa-lutazioni mariane, raccolte attorno a un loro fulcro narrativo o dogmatico, e terminano con l'efimnio o ritornello di chiusa: "Gioisci, sposa senza nozze!". Le stanze pari invece, dopo l'enunciazione del tema quasi sempre a sfondo cristologico, terminano con l'acclama-zione a Cristo: "Alleluia!". Così l'inno si presenta cristologico insie-me e mariano, subordinando la Madre al Figlio, la missione mater-

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na di Maria all'opera universale di salvezza dell'unico Salvatore. La prima parte dell'Akathistos (stanze 1-12) segue il ciclo del Nata-le, ispirato ai Vangeli dell'Infanzia (Lc 1-2; Mt 1-2). Essa propone e canta il mistero dell'incarnazione (stanze 1-4), l'effusione della gra-zia su Elisabetta e Giovanni (stanza 5),la rivelazione a Giuseppe (stanza 6), l'adorazione dei pastori(stanza 7), l'arrivo e l'adorazione dei magi (stanze 8-10), la fuga in Egitto (stanza 11), l'incontro con Simeone (stanza 12): eventi che superano il dato storico e diventano lettura simbolica della grazia che si effonde, della creatura che l'ac-coglie, dei pastori che annunciano il Vangelo, dei lontani che giun-gono alla fede, del popolo di Dio che uscendo dal fonte battesimale percorre il suo luminoso cammino verso la Terra promessa e giunge alla conoscenza profonda del Cristo. La seconda parte (stanze 13-24) propone e canta ciò che la Chiesa al tempo di Efeso e di Calcedonia professava di Maria, nel mistero del Figlio Salvatore e della Chiesa dei salvati. Maria è la Nuova Eva, vergine di corpo e di spirito, che col Frutto del suo grembo ricondu-ce i mortali al paradiso perduto (stanza 13); è la Madre di Dio, che diventando sede e trono dell'Infinito, apre le porte del cielo e vi in-troduce gli uomini (stanza 15); è la Vergine partoriente, che richia-ma la mente umana a chinarsi davanti al mistero di un parto divino e ad illuminarsi di fede (stanza 17); è la Sempre-vergine, inizio della verginità della Chiesa consacrata a Cristo, sua perenne custode e amorosa tutela (stanza 19); è la Madre dei Sacramenti pasquali, che purificano e divinizzano l'uomo e lo nutrono del Cibo celeste (stan-za 21); è l'Arca Santa e il Tempio vivente di Dio, che precede e pro-tegge il peregrinare della Chiesa e dei fedeli verso l'ultima Pasqua (stanza 23); è l'Avvocata di misericordia nell'ultimo giorno (stanza 24). L'Akathistos è una composizione davvero ispirata. Conserva un va-lore immenso:

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— a motivo del suo respiro storico-salvifico, che abbraccia tutto il progetto di Dio coinvolgendo la creazione e le creature, dalle origini all'ultimo termine, in vista della loro pienezza in Cristo; — a motivo delle fonti, le più pure: la Parola di Dio dell'Antico e del Nuovo Testamento, sempre presente in modo esplicito o impli-cito; la dottrina definita dai Concili di Nicea (325), di Efeso (431) e di Calcedonia (451), dai quali direttamente dipende; le esposizioni dottrinali dei più grandi Padri orientali del IV e del V secolo, dai quali desume concetti e lapidarie asserzioni; — a motivo di una sapiente metodologia mistagogica, con la quale, assumendo le immagini più eloquenti dalla creazione e dalle Scrit-ture, eleva passo passo la mente e la porta alle soglie del mistero contemplato e celebrato: quel mistero del Verbo incarnato e salvato-re che, come afferma il Vaticano II, fa di Maria il luogo d'incontro e di riverbero dei massimi dati della fede (cf Lumen Gentium 65). Circa l'Autore, quasi tutta la tradizione manoscritta trasmette ano-nimo l'inno Akathistos. La versione latina redatta dal Vescovo Cri-stoforo di Venezia intorno all'anno 800, che tanto influsso esercitò sulla pietà del medioevo occidentale, porta il nome di Germano di Costantinopoli ( 733). Oggi però la critica scientifica propende ad attribuirne la composizione ad uno dei Padri di Calcedonia: in tal modo, questo testo venerando sarebbe il frutto maturo della tradi-zione più antica della Chiesa ancora indivisa delle origini, degno di essere assunto e cantato da tutte le Chiese e comunità ecclesiali.

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INNO

PARTE NARRATIVA

1. Il più eccelso degli Angeli fu mandato dal Cielo

per dir "Ave" alla Madre di Dio. Al suo incorporeo saluto

vedendoti in Lei fatto uomo, Signore,

in estasi stette, acclamando la Madre così:

Ave, per Te la gioia risplende;

Ave, per Te il dolore s'estingue. Ave, salvezza di Adamo caduto; Ave, riscatto del pianto di Eva.

Ave, Tu vetta sublime a umano intelletto; Ave, Tu abisso profondo agli occhi degli Angeli.

Ave, in Te fu elevato il trono del Re; Ave, Tu porti Colui che il tutto sostiene.

Ave, o stella che il Sole precorri; Ave, o grembo del Dio che s'incarna.

Ave, per Te si rinnova il creato; Ave, per Te il Creatore è bambino.

Ave, Sposa non sposata!

2. Ben sapeva Maria

d'esser Vergine sacra e così a Gabriele diceva: «Il tuo singolare messaggio

all'anima mia incomprensibile appare: da grembo di vergine

un parto predici, esclamando:

Alleluia!»

3. Desiderava la Vergine

di capire il mistero e al nunzio divino chiedeva:

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«Potrà il verginale mio seno mai dare alla luce un bambino?

Dimmelo!» E Quegli riverente

acclamandola disse così:

Ave, Tu guida al superno consiglio;

Ave, Tu prova d'arcano mistero. Ave, Tu il primo prodigio di Cristo;

Ave, compendio di sue verità. Ave, o scala celeste che scese l'Eterno;

Ave, o ponte che porti gli uomini al cielo. Ave, dai cori degli Angeli cantato portento; Ave, dall'orde dei dèmoni esecrato flagello.

Ave, la Luce ineffabile hai dato; Ave, Tu il «modo» a nessuno hai svelato.

Ave, la scienza dei dotti trascendi; Ave, al cuor dei credenti risplendi.

Ave, Sposa non sposata!

4. La Virtù dell'Altissimo

adombrò e rese Madre la Vergine ignara di nozze: quel seno, fecondo dall'alto,

divenne qual campo ubertoso per tutti, che vogliono coglier salvezza

cantando così:

Alleluia!

5. Con in grembo il Signore

premurosa Maria ascese e parlò a Elisabetta.

Il piccolo in seno alla madre sentì il verginale saluto,

esultò, e balzando di gioia

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cantava alla Madre di Dio:

Ave, o tralcio di santo Germoglio;

Ave, o ramo di Frutto illibato. Ave, coltivi il divino Cultore;

Ave, dai vita all'Autor della vita. Ave, Tu campo che frutti ricchissime grazie; Ave, Tu mensa che porti pienezza di doni. Ave, un pascolo ameno Tu fai germogliare;

Ave, un pronto rifugio prepari ai fedeli. Ave, di suppliche incenso gradito; Ave, perdono soave del mondo.

Ave, clemenza di Dio verso l'uomo; Ave, fiducia dell'uomo con Dio.

Ave, Sposa non sposata!

6. Con il cuore in tumulto

fra pensieri contrari il savio Giuseppe ondeggiava:

tutt'ora mirandoti intatta sospetta segreti sponsali, o illibata!

Quando Madre ti seppe da Spirito Santo, esclamò:

Alleluia!

7. I pastori sentirono

i concenti degli Angeli al Cristo disceso tra noi.

Correndo a vedere il Pastore, lo mirano come agnellino innocente

nutrirsi alla Vergine in seno, cui innalzano il canto:

Ave, o Madre all'Agnello Pastore,

Ave, o recinto di gregge fedele. Ave, difendi da fiere maligne, Ave, Tu apri le porte del cielo.

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Ave, per Te con la terra esultano i cieli, Ave, per Te con i cieli tripudia la terra.

Ave, Tu sei degli Apostoli la voce perenne, Ave, dei Martiri sei l'indomito ardire.

Ave, sostegno possente di fede, Ave, vessillo splendente di grazia. Ave, per Te fu spogliato l'inferno, Ave, per Te ci vestimmo di gloria.

Ave, Vergine e Sposa!

8. Osservando la stella

che guidava all'Eterno, ne seguirono i Magi il fulgore.

Fu loro sicura lucerna andando a cercare il Possente,

il Signore. Al Dio irraggiungibile giunti,

l'acclaman beati:

Alleluia!

9. Contemplarono i Magi

sulle braccia materne l'Artefice sommo dell'uomo.

Sapendo ch'Egli era il Signore pur sotto l'aspetto di servo,

premurosi gli porsero i doni, dicendo alla Madre beata:

Ave, o Madre dell'Astro perenne,

Ave, o aurora di mistico giorno. Ave, fucine d'errori Tu spegni,

Ave, splendendo conduci al Dio vero. Ave, l'odioso tiranno sbalzasti dal trono,

Ave, Tu il Cristo ci doni clemente Signore. Ave, sei Tu che riscatti dai riti crudeli,

Ave, sei Tu che ci salvi dall'opre di fuoco. Ave, Tu il culto distruggi del fuoco, Ave, Tu estingui la fiamma dei vizi.

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Ave, Tu guida di scienza ai credenti, Ave, Tu gioia di tutte le genti.

Ave, Vergine e Sposa!

10. Banditori di Dio

diventarono i Magi sulla via del ritorno.

Compirono il tuo vaticinio e Te predicavano, o Cristo, a tutti, noncuranti d'Erode, lo stolto, incapace a cantare:

Alleluia!

11. Irradiando all'Egitto

lo splendore del vero, dell'errore scacciasti la tenebra: ché gli idoli allora, o Signore,

fiaccati da forza divina caddero; e gli uomini, salvi,

acclamavan la Madre di Dio:

Ave, riscossa del genere umano,

Ave, disfatta del regno d'inferno. Ave, Tu inganno ed errore calpesti,

Ave, degl'idoli sveli la frode. Ave, Tu mare che inghiotti il gran Faraone, Ave, Tu roccia che effondi le Acque di Vita.

Ave, colonna di fuoco che guidi nel buio, Ave, riparo del mondo più ampio che nube.

Ave, datrice di manna celeste, Ave, ministra di sante delizie.

Ave, Tu mistica terra promessa, Ave, sorgente di latte e di miele.

Ave, Vergine e Sposa!

12. Stava già per lasciare

questo mondo fallace

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Simeone, ispirato vegliardo. Qual pargolo a lui fosti dato,

ma in Te riconobbe il Signore perfetto, e ammirando stupito

l'eterna sapienza esclamò: Alleluia!

PARTE TEMATICA

13. Di natura le leggi

innovò il Creatore, apparendo tra noi, suoi figlioli: fiorito da grembo di Vergine,

lo serba qual era da sempre, inviolato: e noi che ammiriamo il prodigio

cantiamo alla Santa:

Ave, o fiore di vita illibata,

Ave, corona di casto contegno. Ave, Tu mostri la sorte futura,

Ave, Tu sveli la vita degli Angeli. Ave, magnifica pianta che nutri i fedeli, Ave, bell'albero ombroso che tutti ripari.

Ave, Tu in grembo portasti la Guida agli erranti, Ave, Tu desti alla luce Chi affranca gli schiavi.

Ave, Tu supplica al Giudice giusto, Ave, perdono per tutti i traviati. Ave, Tu veste ai nudati di grazia, Ave, Amore che vinci ogni brama.

Ave, Vergine e Sposa!

14. Tale parto ammirando,

ci stacchiamo dal mondo e al cielo volgiamo la mente. Apparve per questo fra noi,

in umili umane sembianze l'Altissimo,

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per condurre alla vetta coloro che lieti lo acclamano:

Alleluia!

15. Era tutto qui in terra,

e di sé tutti i cieli riempiva il Dio Verbo infinito: non già uno scambio di luoghi,

ma un dolce abbassarsi di Dio verso l'uomo fu nascer da Vergine,

Madre che tutti acclamiamo:

Ave, Tu sede di Dio, l'Infinito,

Ave, Tu porta di sacro mistero. Ave, dottrina insicura per gli empi,

Ave, dei pii certissimo vanto. Ave, o trono più santo del trono cherubico, Ave, o seggio più bello del seggio serafico.

Ave, o tu che congiungi opposte grandezze, Ave, Tu che sei in una e Vergine e Madre.

Ave, per Te fu rimessa la colpa, Ave, per Te il paradiso fu aperto. Ave, o chiave del regno di Cristo,

Ave, speranza di eterni tesori. Ave, Vergine e Sposa!

16. Si stupirono gli Angeli

per l'evento sublime della tua Incarnazione divina: ché il Dio inaccessibile a tutti

vedevano fatto accessibile, uomo, dimorare fra noi

e da ognuno sentirsi acclamare:

Alleluia!

17. Gli oratori brillanti

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come pesci son muti per Te, Genitrice di Dio: del tutto incapaci di dire

il modo in cui Vergine e Madre Tu sei. Ma noi che ammiriamo il mistero

cantiamo con fede:

Ave, sacrario d'eterna Sapienza,

Ave, tesoro di sua Provvidenza. Ave, Tu i dotti riveli ignoranti,

Ave, Tu ai retori imponi il silenzio. Ave, per Te sono stolti sottili dottori,

Ave, per Te vengon meno autori di miti. Ave, di tutti i sofisti disgreghi le trame,

Ave, Tu dei Pescatori riempi le reti. Ave, ci innalzi da fonda ignoranza,

Ave, per tutti sei faro di scienza. Ave, Tu barca di chi ama salvarsi, Ave, Tu porto a chi salpa alla Vita.

Ave, Vergine e Sposa!

18. Per salvare il creato,

il Signore del mondo, volentieri discese quaggiù.

Qual Dio era nostro Pastore, ma volle apparire tra noi come Agnello:

con l'umano attraeva gli umani, qual Dio l'acclamiamo:

Alleluia!

19. Tu difesa di vergini,

Madre Vergine sei, e di quanti ricorrono a Te: che tale ti fece il Signore

di tutta la terra e del cielo, o illibata, abitando il tuo grembo

e invitando noi tutti a cantare:

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Ave, colonna di sacra purezza,

Ave, Tu porta d'eterna salvezza. Ave, inizio di nuova progenie,

Ave, datrice di beni divini. Ave, Tu vita hai ridato ai nati nell'onta, Ave, hai reso saggezza ai privi di senno.

Ave, o Tu che annientasti il gran seduttore, Ave, o Tu che dei casti ci doni l'autore.

Ave, Tu grembo di nozze divine, Ave, che unisci i fedeli al Signore.

Ave, di vergini alma nutrice, Ave, che l'anime porti allo Sposo.

Ave, Vergine e Sposa!

20. Cede invero ogni canto

che presuma eguagliare le tue innumerevoli grazie. Se pure ti offrissimo inni

per quanti granelli di sabbia, Signore, mai pari saremmo ai tuoi doni

che desti a chi canta: Alleluia!

21. Come fiaccola ardente

per che giace nell'ombre contempliamo la Vergine santa,

che accese la luce divina e guida alla scienza di Dio tutti,

splendendo alle menti e da ognuno è lodata col canto:

Ave, o raggio di Sole divino,

Ave, o fascio di Luce perenne. Ave, rischiari qual lampo le menti, Ave, qual tuono i nemici spaventi.

Ave, per noi sei la fonte dei sacri Misteri,

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Ave, Tu sei la sorgente dell'Acque abbondanti. Ave, in Te raffiguri l'antica piscina,

Ave, le macchie detergi dei nostri peccati. Ave, o fonte che l'anime mondi, Ave, o coppa che versi letizia.

Ave, o fragranza del crisma di Cristo, Ave, Tu vita del sacro banchetto.

Ave, Vergine e Sposa!

22. Condonare volendo

ogni debito antico, fra noi, il Redentore dell'uomo

discese e abitò di persona: fra noi che avevamo perduto la grazia.

Distrusse lo scritto del debito, e tutti l'acclamano:

Alleluia!

23. Inneggiando al tuo parto

l'universo ti canta qual tempio vivente, o Regina! Ponendo in tuo grembo dimora

Chi tutto in sua mano contiene, il Signore, tutta santa ti fece e gloriosa

e ci insegna a lodarti:

Ave, o «tenda» del Verbo di Dio,

Ave, più grande del «Santo dei Santi». Ave, Tu «Arca» da Spirito aurata,

Ave, «tesoro» inesausto di vita. Ave, diadema prezioso dei santi sovrani,

Ave, dei pii sacerdoti Tu nobile vanto. Ave, Tu sei per la Chiesa qual torre possente, Ave, Tu sei per l'Impero qual forte muraglia.

Ave, per Te innalziamo trofei, Ave, per Te cadon vinti i nemici.

Ave, Tu farmaco delle mie membra, Ave, salvezza dell'anima mia.

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Ave, Vergine e Sposa!

24. Grande ed inclita Madre,

Genitrice del sommo fra i Santi, Santissimo Verbo,

or degnati accogliere il canto! Preservaci da ogni sventura, tutti!

Dal castigo che incombe Tu libera noi che gridiamo:

Alleluia!

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I N D I C E

PREMESSA ............................................................................................................................................. 1

LA «VERGINE IN ASCOLTO» .................................................................................................................. 3

SANTUARIO ........................................................................................................................................... 7

SEGNO DELLA IRRUZIONE DI DIO NELLA STORIA.................................................................................... 7

IL SANTUARIO E MARIA ...................................................................................................................... 15

LA “CONSOLATA” ............................................................................................................................... 22

INNO AKATHISTOS........................................................................................................................ 24

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