ALTA UOTAALTA UOTA Anno 9 Numero 44 edizione Gennaio-Febbraio 2013 Periodico bimestrale gratuito -...

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ALTA UOTA Anno 9 Numero 44 edizione Gennaio-Febbraio 2013 Periodico bimestrale gratuito - Tiratura 1.000 copie - Registrazione Tribunale di Udine n. 15 del 15 marzo 2005 Centro Giovanile di Cultura e Ricreazione “Ricreatorio San Michele” via Mercato, 1 - 33052 Cervignano del Friuli (UD) www.ricre.org Il Ricreatorio San Michele è iscritto nel Registro Regionale delle Associazioni di Promozione Sociale al n. 121 www. fvgsolidale.regione.fvg.it Segreteria telefonica e fax: 0431 35233 Sito internet: www.ricre.org Direttore responsabile: Andrea Doncovio Redattori: Simone Bearzot, Norman Rusin, Giuseppe Ancona, don Moris Tonso, Sandro Campisi, Vanni Veronesi, Sofia Balducci, Christian Franetovich, Marco Simeon, Alessandro Morlacco, Manuela Fraioli, Giulia Bonifacio, Cinzia Borsatti, Marco Giovanetti. Responsabile web: Riccardo Rigonat Responsabile marketing: Alex Zanetti Stampa: Goliardica Editrice, Bagnaria Arsa NICOLA ZIGNIN p. 6 CARLO MARIA REDAELLI p. 5 MATTEO LIUT p. 7 DAVIDE CICUTTIN p. 7 IVANO DIJUST p. 9 Al confratello maggiore don Giovanni Trevisan. Prima non lo conoscevo, se non di vista o per quello che mi raccontava don Mirko su di lui quand’ero a Monfal- cone, ma appena arrivato qui come parroco nell’ottobre 2008 compresi che don Giovanni, al di là dell’età anagra- ica - aveva all’epoca 88 anni - avrebbe continuato a es- sere ancora per lungo tempo un presbitero preziosissimo per la vita in canonica e per la pastorale. Una delle cose che ricorda più volentieri don Giovanni è la storia della sua vocazione sacerdotale. Proveniente da povera famiglia, perse presto la madre, il padre si risposò e non era certo entusiasta che il iglio andasse in semina- rio («Cui croditu di iessi, il i di Lovisoni?» gli diceva per scoraggiarlo), ma Giovanni era troppo sicuro della chia- mata del Signore e superò questo ostacolo, non si lasciò condizionare dagli amici che lo deridevano e più avanti neppure dalla salute cagionevole. Anticiparono di qual- che mese la sua Ordinazione, che fu fatta proprio qui nella chiesa di San Michele, «par che rivi a dì qualchi messuta prima di murì!»… ed è ancora qui, pronto per festeggiare il 70° di sacerdozio in buona forma, mentre gli altri sono già passati a miglior vita. In don Giovanni io vedo anzitutto l’uomo sorridente, schivo, timoroso di sbagliare o di far restare male qual- cuno, rispettoso dell’autorità. Era anche assiduo nella visita alle famiglie, sia per la benedizione delle case sia per portare l’Eucaristia agli ammalati: ora con rammarico ha dovuto lasciare quasi completamente questo servizio perché le sue forze si sono ridotte. Don Giovanni è sempre desideroso di rendersi utile. In casa si è preso come compito per la cena di preparare la tavola per noi tutti e non c’è verso di fargli capire che non serve preparare per don Moris perché non è quasi mai presente, ma lui ha sempre paura che dopo, se viene, resti male. Finito il pranzo vorrebbe sollecitamente salire in camera per il riposino, ma si sforza di restare con noi per farci compagnia e quando si alza striscia sul muro ino alla porta per non voltarci le spalle. In chiesa ci sta volentieri - non dimentichiamo che è ancora lui il confessore principale della parrocchia -, fedelissimo al sabato pomeriggio con qualsiasi clima. Apre e chiude le porte, distribuisce la comunione, fa da chierichetto… Quando passo per le case molti mi chiedono: «Come sta don Giovanni?» e ricordano con simpatia e affetto tanti fatti di lui: la visita alla mamma ammalata, il funerale del papà, la benedizione della casa, un battesimo o matrimo- nio, la sua capacità di affascinare i bambini. Don Giovanni sa conservare la memoria del passato: mi- tici sono i suoi quaderni sui quali da settant’anni scrive le prediche e altri appunti interessanti. Una vera miniera di notizie e rilessioni sul tempo che fu. Inine don Giovanni è un esempio per noi di fedeltà alla preghiera: oltre a quella personale, è sempre presente alla recita comunitaria dell’Uficio, a tutte le messe e funzioni che si celebrano in chiesa. Ha saputo resistere al logo- rio del tempo e rimane per noi tutti una presenza umile e grande per le sue qualità umane e spirituali e la sua ric- chissima esperienza. «Ad multos annos» don Giovanni, anzi, monsignor Gio- vanni! DON DARIO FRANCO ESSERE PRETE I 70 anni di sacerdozio di don Giovanni Trevisan e le vocazioni di oggi: crisi o rinnovamento? IL PERCHÉ DI UN ARGOMENTO Quando ci siamo ritrovati in redazione, lo scorso gennaio, per imbastire questo numero sui settant'anni di sacerdozio di don Giovanni e, come controcanto, sulla crisi delle vo- cazioni, papa Benedetto XVI aveva già maturato la sua de- cisione, ma il mondo interno non ne era a conoscenza. Se avevamo bisogno di una conferma della crisi della Chiesa, in questi giorni ne abbiamo avute in troppe. Ma non è cer- to la prima volta che l'istituzione più vecchia del mondo si trova a fronteggiare un travaglio pericoloso: ha superato la cattività di Avignone, Lutero, la Riforma e l'attentato a Woityla, dunque supererà anche questo shock. Nel suo piccolo, la comunità di Cervignano festeggia don Giovanni Trevisan, che da settant'anni è lì a testimoniare che una fede profonda e delicata come la sua può fron- teggiare la Seconda Guerra Mondiale, la guerra civile, la Guerra Fredda, gli anni di piombo, gli sconvolgimenti del nuovo millennio: una lezione che può tornare utile in que- sto momento di disorientamento della Chiesa. VANNI VeRONesI GLI EVENTI DEL 28 FEBBRAIO in occasione dei 70 anni di sacerdozio di don Giovanni Ore 19.00: Santa Messa Solenne in Duomo presieduta da don Giovanni Trevisan con la presenza dell’ Arci- vescovo mons. Carlo Roberto Maria Redaelli e di altri sacerdo- ti della Diocesi. La celebrazione sarà accompagnata dal Coro Parrocchiale ‘Leo Mastrototaro’. A seguire, momento conviviale presso la ‘Sala Parrocchiale don Silva- no Cocolin’. Tutta la popolazione è invitata a partecipare per stringersi attorno all’amato pastore cervignanese per la lieta ricorrenza! Sarà allestita un’inedita mostra fotografica.

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  • ALTA UOTAAnno 9 Numero 44 edizione Gennaio-Febbraio 2013

    Periodico bimestrale gratuito - Tiratura 1.000 copie - Registrazione Tribunale di Udine n. 15 del 15 marzo 2005

    Centro Giovanile di Cultura e Ricreazione “Ricreatorio San Michele” via Mercato, 1 - 33052 Cervignano del Friuli (UD) www.ricre.org

    Il Ricreatorio San Michele è iscritto nel Registro

    Regionale delle Associazioni di Promozione Sociale al n. 121

    www. fvgsolidale.regione.fvg.itSegreteria telefonica e fax: 0431 35233 Sito internet: www.ricre.orgDirettore responsabile: Andrea Doncovio Redattori: Simone Bearzot, Norman Rusin, Giuseppe Ancona, don Moris Tonso, Sandro Campisi, Vanni Veronesi, Sofia Balducci, Christian Franetovich, Marco Simeon, Alessandro Morlacco, Manuela Fraioli, Giulia Bonifacio, Cinzia Borsatti, Marco Giovanetti.Responsabile web: Riccardo Rigonat Responsabile marketing: Alex Zanetti Stampa: Goliardica Editrice, Bagnaria Arsa

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    Al confratello maggiore don Giovanni Trevisan.

    Prima non lo conoscevo, se non di vista o per quello che mi raccontava don Mirko su di lui quand’ero a Monfal-cone, ma appena arrivato qui come parroco nell’ottobre 2008 compresi che don Giovanni, al di là dell’età anagra-ica - aveva all’epoca 88 anni - avrebbe continuato a es-sere ancora per lungo tempo un presbitero preziosissimo per la vita in canonica e per la pastorale. Una delle cose che ricorda più volentieri don Giovanni è la storia della sua vocazione sacerdotale. Proveniente da povera famiglia, perse presto la madre, il padre si risposò e non era certo entusiasta che il iglio andasse in semina-rio («Cui croditu di iessi, il i di Lovisoni?» gli diceva per scoraggiarlo), ma Giovanni era troppo sicuro della chia-mata del Signore e superò questo ostacolo, non si lasciò condizionare dagli amici che lo deridevano e più avanti neppure dalla salute cagionevole. Anticiparono di qual-che mese la sua Ordinazione, che fu fatta proprio qui nella chiesa di San Michele, «par che rivi a dì qualchi messuta prima di murì!»… ed è ancora qui, pronto per festeggiare

    il 70° di sacerdozio in buona forma, mentre gli altri sono già passati a miglior vita.

    In don Giovanni io vedo anzitutto l’uomo sorridente, schivo, timoroso di sbagliare o di far restare male qual-cuno, rispettoso dell’autorità. Era anche assiduo nella visita alle famiglie, sia per la benedizione delle case sia per portare l’Eucaristia agli ammalati: ora con rammarico ha dovuto lasciare quasi completamente questo servizio perché le sue forze si sono ridotte.Don Giovanni è sempre desideroso di rendersi utile. In casa si è preso come compito per la cena di preparare la tavola per noi tutti e non c’è verso di fargli capire che non serve preparare per don Moris perché non è quasi mai presente, ma lui ha sempre paura che dopo, se viene, resti male. Finito il pranzo vorrebbe sollecitamente salire in camera per il riposino, ma si sforza di restare con noi per farci compagnia e quando si alza striscia sul muro ino alla porta per non voltarci le spalle.In chiesa ci sta volentieri - non dimentichiamo che è ancora lui il confessore principale della parrocchia -, fedelissimo al sabato pomeriggio con qualsiasi clima. Apre e chiude le porte, distribuisce la comunione, fa da chierichetto…Quando passo per le case molti mi chiedono: «Come sta don Giovanni?» e ricordano con simpatia e affetto tanti fatti di lui: la visita alla mamma ammalata, il funerale del papà, la benedizione della casa, un battesimo o matrimo-nio, la sua capacità di affascinare i bambini.Don Giovanni sa conservare la memoria del passato: mi-tici sono i suoi quaderni sui quali da settant’anni scrive le prediche e altri appunti interessanti. Una vera miniera di notizie e rilessioni sul tempo che fu.Inine don Giovanni è un esempio per noi di fedeltà alla preghiera: oltre a quella personale, è sempre presente alla recita comunitaria dell’Uficio, a tutte le messe e funzioni che si celebrano in chiesa. Ha saputo resistere al logo-rio del tempo e rimane per noi tutti una presenza umile e grande per le sue qualità umane e spirituali e la sua ric-chissima esperienza.

    «Ad multos annos» don Giovanni, anzi, monsignor Gio-vanni!

    DON DARIO FRANCO

    ESSERE PRETEI 70 anni di sacerdozio di don Giovanni Trevisan

    e le vocazioni di oggi: crisi o rinnovamento?

    IL PERCHÉ DI UN ARGOMENTOQuando ci siamo ritrovati in redazione, lo scorso gennaio, per imbastire questo numero sui settant'anni di sacerdozio di don Giovanni e, come controcanto, sulla crisi delle vo-cazioni, papa Benedetto XVI aveva già maturato la sua de-cisione, ma il mondo interno non ne era a conoscenza. Se avevamo bisogno di una conferma della crisi della Chiesa, in questi giorni ne abbiamo avute in troppe. Ma non è cer-to la prima volta che l'istituzione più vecchia del mondo si trova a fronteggiare un travaglio pericoloso: ha superato la cattività di Avignone, Lutero, la Riforma e l'attentato a Woityla, dunque supererà anche questo shock. Nel suo piccolo, la comunità di Cervignano festeggia don Giovanni Trevisan, che da settant'anni è lì a testimoniare che una fede profonda e delicata come la sua può fron-teggiare la Seconda Guerra Mondiale, la guerra civile, la Guerra Fredda, gli anni di piombo, gli sconvolgimenti del nuovo millennio: una lezione che può tornare utile in que-sto momento di disorientamento della Chiesa.

    VANNI VeRONesI

    GLI EVENTI DEL 28 FEBBRAIOin occasione dei 70 anni

    di sacerdozio di don Giovanni

    Ore 19.00: Santa Messa Solenne in Duomo presieduta da don Giovanni Trevisan con la presenza dell’Arci-vescovo mons. Carlo Roberto Maria Redaelli e di altri sacerdo-ti della Diocesi. La celebrazione sarà accompagnata dal Coro Parrocchiale ‘Leo Mastrototaro’. A seguire, momento conviviale presso la ‘Sala Parrocchiale don Silva-no Cocolin’.

    Tutta la popolazione è invitata a partecipare per stringersi attorno

    all’amato pastore cervignanese per la lieta ricorrenza!

    Sarà allestita un’inedita mostra fotografica.

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    àAUGURI A…

    DON GIOVANNI TREVISAN PRETE DA SETTANT’ANNI

    Carissimo Monsignore,

    il prestigioso traguardo che Lei ha raggiunto di servizio alla Chiesa mi spinge a dirLe il mio grazie personale e quello di diverse generazioni di fedeli.Ora che gli anni sono ricchi di molti ricordi che hanno caratterizzato il suo lunghissimo ministero pastorale, è giusto ripensare alla Sua persona con gra-titudine.Lei ha attraversato il secolo scorso, nel quale molti consideravano la Chiesa come il rifugio dei potenti e dei ricchi, accanto alla gente più umile e più pove-ra con grande generosità. Qualcuno ha anche approfittato della sua bontà che molti giudicavano debolezza. Non Le sono mancati neppure attacchi ingiustii-cati, o quanto meno esagerati, che l’hanno sicuramente fatta molto soffrire. Ciò non Le ha impedito di diventare testimone della misericordia di Dio, conscio del fatto che, per primi, si è anche perdonati da Dio.Sappiamo che la testimonianza della misericordia è l’unica lingua che l’uomo post-moderno comprende. Testimonianza da porre non nell’ordine del dovere, ma nell’ordine dell’essere.Del Buon Pastore Gesù Lei ha messo in pratica il comandamento dell’amore attraverso un amore concreto, non fatto solo di buoni sentimenti e di emozioni intense, ma capace di piegarsi ino a terra per lavare i piedi ai discepoli. Soprat-tutto traducendolo in accoglienza e misericordia, senza cercare di emergere a tutti i costi o di avere incombenze che potessero anche minimamente esaltarLa.Si è preso su di sé carichi da cui ha liberato le spalle altrui, ponendosi al servi-zio di tutti e accettando di rinuciare a imporsi e piegare gli altri alla sua volontà.Settanta anni di vita sacerdotale Le hanno insegnato che il male c’è, anche den-tro la vita di un prete, ma il male non vincerà; Lei ha sperimentato che talvolta dobbiamo attraversare le regioni impervie del sacriicio e della sofferenza, le lande della solitudine e dell’abbandono senza venire meno o per lo meno rial-zandosi.Accanto a Lei molti hanno imparato che l’amore si deve trasformare in tolle-ranza, comprensione, perdono, solidarietà, operosità e impegno, delicatezza e tenerezza.Mi spiace di non poter festeggiare con Lei, con i confratelli, con i suoi parenti e con i fedeli di Cervignano, questo anniversario.Mi senta particolarmente vicino e accolga la mia benedizione.

    DINO De ANTONI ARCIVesCOVO emeRITO

    Giovanni Trevisan, cervignanese doc, piazzaiolo di borgo S.Girolamo, classe 1919, fu ordinato presbitero nel 1943 dall’arcivescovo Carlo Margotti: una vita pastorale nella Bassa Friulana con una prima esperienza a Romans e Gra-do e poi, dal 1949 al 1952, parroco a Fogliano. Ritornò nella Bassa dove è stato parroco a Saciletto (1952-1966), Muscoli (1966-1982) e San Martino di Terzo (1982-89); inine, cooperatore a Cervignano. Nel sessantesimo di Messa ha avuto la nomina a canonico onorario del Capi-tolo metropolitano teresiano: monsignore a tutti gli effetti.

    Un’esistenza di tutta semplicità, quella del sacerdote che alla ine del mese sarà festeggiato dall’intera comunità cervignanese e dalla diocesi, dove è il decano del clero. Ѐ partito appunto dalla piazza della chiesa di San Girola-mo, dove un giorno ebbe a conidare ai suoi di casa «Vo-glio farmi prete!», e ha avuto la fortuna - ormai da quasi

    venticinque anni - di ritornare a svolgere il suo ministero per quello che gli è oggi possibile nella comunità di San Michele. Cervignano è profondamente cambiata e cambia continuamente, ma don Giovanni invecchiando appare sempre se stesso. Un'anima gentile e capace di ascolto, che si stupisce come i bambini per quello che gli succe-de accanto, offre serenità e rispetto: si può dire che non c’è casa a Cervignano e nei paesi del mandamento che non lo abbia sentito bussare ed entrare con il sorriso della semplicità, che si fa anche ingenuità, e con una parola di augurio, di conforto e di saluto. Poche parole e molto ascolto per un ministero che nella lunga esistenza si è fat-to essenziale e umile.

    Don Giovanni, anzi il Monsignore, è fatto di questa sem-plicità che lascia anche interdetti, di una parola ricca di poesia che utilizza nelle omelie per farsi intendere, as-

    sicurandosi così un alto gradimento e confermando che semplicità si accompagna a cultura e spiritualità.Sempre presente alla vita del presbiterio con la sua bona-ria arguzia e con l’interessamento alla vita di ogni presbi-tero; inserito in una classe numerosa di clero che ha avuto grandi responsabilità e servizi nella diocesi, don Giovanni ha fatto della fedeltà la sua arma e la sua testimonianza; segue l’andamento della vita parrocchiale assicurando il suo piccolo contributo e accompagnando tutta la vita pastorale con il suo interessamento. La serenità d’animo - insieme con la preghiera e la celebrazione eucaristica - rende feconda la sua esistenza sacerdotale che, a settan-ta anni dalla ordinazione, profuma del buon odore della consacrazione.

    Felicitazioni e auguri!ReNZO BOsCAROL

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    alitàDON GIOVANNI TREVISAN

    Didascalie alle fotografie nella pagina precedente:1. 28 febbraio 2003, don Giovanni Trevisan viene nominato “Monsi-

    gnore” dall’arcivescovo di Gorizia, Dino De Antoni

    2. Don Giovanni durante una celebrazione nella chiesa di Muscoli,

    nel 1968

    3. Don Giovanni in sella a una vespa nei pressi di Forni di Sopra du-

    rante un campo estivo degli anni ’50 con l’Azione cattolica

    4. 10 giugno 1928, don Giovanni all’età di 8 anni

    5. 15 maggio 1949, l’ingresso di don Giovanni come parroco a Fo-

    gliano

    6. 1981, l’ingresso di don Giovanni come parroco a San Martino di

    Terzo d’Aquileia

    7. 1981, a Muscoli don Giovanni accoglie il vescovo monsignor Anto-

    nio Vitale Bommarco in occasione delle cresime

    8. 1966, l’ingresso di don Giovanni a Muscoli come parroco

    9. 1980, don Giovanni celebra nella chiesa di Muscoli la “Festa del

    Ciao”. Alla sua sinistra il chierichetto Massimo Cantarin

    Ci sono uomini che più di altri riescono a rappresenta-re, con la semplicità di un sorriso, il proprio mondo di esperienze e di valori.Sono uomini solitamente riconosciuti da tutti, ai quali la Comunità intera si sente vicina.Don Giovanni è uno di questi uomini. Inossidabile, presente, disponibile, per certi versi schivo nel modo di interpretare il proprio ruolo, ma protagonista solen-ne nel rappresentare il proprio mondo di religiosità e di fede.La sua incapacità di invecchiare e la dolcezza nell'ap-proccio lo rendono una persona cara, un parente im-portante che anch'io, in da bambino, sento di avere.La nostra gente lo apprezza da sempre per la serenità che riesce a trasmettere anche nei momenti più brutti nei quali si cerca, talvolta disperatamente, un aiuto, un conforto.Questa ricorrenza è dunque una meravigliosa occa-sione che dobbiamo saper cogliere per stringerci tutti attorno a don Giovanni e dimostrargli il nostro affetto e la riconoscenza per un lungo e preziosissimo apo-stolato.La nostra Comunità gli deve tanto, ma ha ancora biso-gno della sua paterna presenza per cui, a Dio piacendo, i cervignanesi che mi onoro di rappresentare gli augu-rano di continuare a servire la nostra Chiesa e la nostra Comunità ancora per tanti anni.Oggi più che mai abbiamo bisogno di punti di riferi-mento e di esempi importanti come il suo.Sono sicuro, conoscendolo, che dopo aver letto queste sentite parole e questo augurio, don Giovanni sorri-derà.

    IL SINDACO GIANLUIGI sAVINO

    IL SALUTO DEL SINDACO

    TU ES SACERDOS IN ÆTERNUMINTERVISTA INEDITA DI ALTA QUOTA A DON GIOVANNI TREVISAN

    IN OCCASIONE DEI 70 ANNI DI SACERDOZIO

    Seduto sul divano del soggiorno della canonica, don Gio-vanni Trevisan osserva spesso il suo orologio da polso. «Alle 15.30 arrivano i fedeli per le confessioni e io devo aprire il duomo: non vorrei farli attendere», sussurra con il sorriso sulle labbra.È sabato pomeriggio e nei suoi occhi è evidente la ibril-lazione per la grande festa in arrivo. Ma non si pensi ad anniversari o ricorrenze speciali. Perché per monsignor Trevisan (il titolo mi è concesso utilizzarlo una sola volta per dovere di cronaca, poiché lui resta per tutti don Gio-vanni) ogni domenica è la Festa con la F maiuscola, in cui ringraziare il Signore.Potrebbe apparire un’affermazione ovvia e banale se proferita da un prete. E invece, in queste semplici parole, risiede l’essenza stessa di settant’anni di sacerdozio. Una storia intensa, vissuta con passione in un territorio che don Giovanni ha visto mutare radicalmente nel tempo, ma nel quale ha sempre professato con ferma dolcezza la propria vocazione.

    Don Giovanni, partiamo proprio da qui: quando è nata la sua vocazione? «Da bambino. Ricordo ancora il giorno in cui, avrò avuto 8 anni, stavo giocando assieme a degli amici fuori dalla chiesa di San Girolamo. Osservandola dissi: “Quella è la mia chiesa”».E dopo cosa successe?«Nei giorni seguenti tornammo più volte a pregare nel cortile esterno e i miei compagni, giocando a celebrare la messa, mi chiedevano sempre di fare la predica».Un segno del destino… I suoi genitori cosa dicevano?«Mia mamma mi raccomandava solo di stare attento quando andavo là: aveva paura che potessi essere inve-stito da qualche automobile. Anche se all’epoca correva a malapena una vettura per tutta Cervignano…»Il passaggio dal gioco alla realtà com’è avvenuto?«Un giorno mi avvicinai al mio catechista, don Angelo Molaro, e gli confessai il desiderio di diventare sacerdote. Lui mi portò subito in San Michele (la chiesa madre, all’e-poca il duomo non era ancora stato costruito) dal parroco, monsignor Giuseppe Camuffo, originario di Grado».E lui cosa le disse?«Ricordo ancora le sue parole: “Per diventare sacerdo-te bisogna essere sempre buoni e comportarsi in modo esemplare. E bisogna studiare molto”».Aveva ragione?(Sorride). «Terminate le scuole mi fecero sostenere gli esami di ammissione al seminario. Superai le prove e da lì iniziò il mio cammino sacerdotale».Cosa ricorda del suo primo giorno in seminario?«Avevo paura. Ero abituato alla piccola casa dei miei ge-nitori, trovarmi nei grandi stanzoni del seminario di Gori-zia mi incuteva timore».In quei momenti ha mai avuto un ripensamento?

    7 giugno 1999, Abbazia di Rosazzo: don Giovanni assieme a don Silvano Cocolin, il parroco di Strassoldo, don Luciano

    Moschion, e don Paolo Nutarelli.

    «Mai. Avevo il timore che potessero farmi domande a cui non avrei saputo rispondere o chiedermi di fare cose che non sarei stato in grado di compiere, ma il mio desiderio di divenire sacerdote mi ha aiutato a sconiggere anche queste paure».28 febbraio 1943: nel pieno della Seconda Guerra Mondiale, Giovanni Trevisan da Cervignano del Friuli viene ordinato sa-cerdote. «Venni ordinato dall’allora vescovo monsignor Carlo Margotti. Ricordo la processione a piedi per raggiungere la chiesa assieme alla mia famiglia: mancava solo mia zia che rimase a casa per preparare il rinfresco per tutti gli invitati…».E l’indomani la prima messa.«La celebrai proprio nella chiesa di San Michele, alla pre-senza di don Giuseppe Marcosig che all’epoca era la mia guida spirituale. Fu lui a tenere l’omelia».Il giorno seguente, invece, toccò a lei portare a compimento il sogno che aveva a 8 anni…«Celebrai la messa nella chiesa di San Girolamo; e nella “mia” chiesa, quella al cui esterno da piccolo giocavo a predicare, feci la mia prima omelia. Ancora oggi, ripen-sandoci, mi emoziono».Restiamo in tema di emozioni: qual è il ricordo più bello di questi 70 anni di sacerdozio?«Non dimenticherò mai il giorno in cui, durante una delle mie prime messe, mia nonna, che aveva grosse dificoltà a camminare, venne a piedi a pochi passi dall’altare per ricevere la comunione “dal me nevôt” (in friulano, “dal mio nipote”)».Da allora fino a oggi ha conosciuto numerosi sacerdoti: ce n’è uno di cui conserva un ricordo speciale?«Cito ancora don Marcosig. All’epoca era parroco di Mu-scoli e mi è sempre stato vicino. Andavo spesso a tro-varlo, fermandomi talvolta a dormire da lui, anche se la canonica non aveva nulla a che vedere con quella di oggi. Allora era pericolante e temevo ogni volta che potesse cadermi il sofitto in testa…».A proposito di paragoni, in questi 70 anni com’è cambiata la sua Cervignano?«A livello urbanistico si è ingrandita tantissimo: quando andavo a Muscoli c’erano solo campi, ora ci sono tanti palazzi. Ma anche a livello religioso la nostra comunità è cresciuta: me ne accorgo dalla partecipazione sempre numerosa alle confessioni e ai momenti di preghiera».Qual è a suo avviso il punto di forza della comunità cervi-gnanese?«La semplicità. Il non credersi chissà chi: nella mia vita

    ho incontrato tanta gente umile che, senza accorgersi, con il suo modo di essere ha rappresentato per me un esempio straordinario». In questi ultimi anni lei ha avuto un rapporto speciale con la comunità di Scodovacca. Come lo descriverebbe?«Rispondo con un ricordo: un giorno una persona mi dis-se “Anche se non vivo a Scodovacca, ci vengo sempre a messa perché come prego qui non riesco a pregare altro-ve. Qui siamo davvero un cuor solo e un’anima sola”». Un pensiero ai giovani sacerdoti: che consiglio si sente di dare loro?«Quello di vivere la vita del sacerdote. Ovvero di pensare al nostro rapporto con il Signore sia quando lo abbiamo tra le mani in chiesa durante la comunione, sia quando siamo da soli o nei momenti dificili, quando si può esse-re calunniati dalla gente solo per il fatto di essere prete. Sempre, anche se impegnati su mille fronti, dobbiamo vivere nel Signore».Don Giovanni, in questi giorni riceverà tanti messaggi di au-guri. Se chiedessi a lei un augurio per la nostra comunità, quale sceglierebbe?«Augurerei alla mia comunità di vivere ogni giorno nella fede, accettando e accogliendo sempre ciò che il Signore ha in mente per ciascuno di noi».

    ANDReA DONCOVIO

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    àL’OCCASIONE DEI 70 ANNI DI SACERDOZIO DI GIOVANNI TREVISAN CI HA SPINTI, PER CONVERSO, AD ANALIZZARE L’ATTUALE CRISI DELLE VOCAZIONI: NE ABBIAMO PARLATO CON VOCI AUTOREVOLI

    DELLA CHIESA LOCALE.

    GABRIELLA BURBA, sociologa e volto conosciuto della comunità cervignanese, ci aiuta a comprendere il fenome-no del calo delle vocazioni nella realtà europea.

    - Quali osservazioni introduttive si possono fare sulla cosid-detta crisi delle vocazioni? «Il tema è molto complesso e partirei con alcuni concetti importanti. Innanzitutto si deve tenere presente che c’è una base demograica ridotta in cui possono nascere le vocazioni: il numero di giovani maschi si è dimezzato rispetto agli anni ‘60/’70 (periodo del cosiddetto baby boom), per cui ci sono minori leve su cui avere nuovi sacerdoti. In realtà, il numero minimo di vocazioni si è registrato negli anni ‘80/’90: dopo questo periodo i nu-meri sono risaliti e si sono stabilizzati, ma in ogni caso non sono suficienti per coprire tutte le parrocchie. Altri dati interessanti: all’inizio del ‘900, in Italia, la densità del clero era superiore al 2 per mille; cinquant’anni dopo, nel censimento del 1951, la densità si era già dimezzata, registrandone quindi uno su mille abitanti, già in tempi in cui nessuno di certo avvertiva crisi vocazionale. Nel 2003 questo dato era pari a 0,58 ogni mille abitanti; è im-portante notare però che la situazione italiana è piuttosto differenziata. Per esempio, nel Triveneto c’è una percen-tuale di preti più elevata, però con un’alta età media; al contrario, nel Lazio il numero è minore, ma ci sono più sacerdoti giovani. Il Triveneto, in più, non ha una capacità di reclutamento, ha meno nuove ordinazioni rispetto alla media, ma non ricorre al clero straniero, mentre alcune regioni centrali ricorrono sistematicamente all’ordina-zione di clero straniero. Inoltre, per quanto noi sentiamo molto il problema, dobbiamo ricordare che l’Italia ha una densità del clero molto più elevata rispetto ad altri paesi cattolici come Austria, Belgio e Spagna». - Un tempo la scelta del sacerdozio era talvolta, se non spes-so, una scelta ‘di comodo’, una strada che dava sicurezza e possibilità di avere un lavoro sicuro o un percorso di studi assicurato. La fine di questo meccanismo può essere uno dei motivi del fenomeno?«Sicuramente oggi il fenomeno è meno presente. Tuttavia possiamo dire così per quanto riguarda il nord, mentre in zone in cui il tasso di disoccupazione è alto, per esem-pio in alcune regioni meridionali, la scelta del sacerdozio può ancora essere inluenzata da fattori di convenienza. Inoltre, un tempo non c’erano problemi di scarsità e ci si poteva permettere un atteggiamento intransigente e selet-tivo, mentre oggi una conseguenza del drastico calo delle vocazioni può essere, appunto, una minore selettività nel-la scelta dei futuri sacerdoti: si rischia quindi di approvare persone fragili dal punto di vista caratteriale e psicologi-

    co. Alcuni sociologi ritengono che possa essere un rischio anche l’importazione di preti da altri stati, che potrebbero avere più dificoltà a entrare in contatto con persone del territorio, essendo la realtà diversa». - In che modo influisce, invece, l’aspetto culturale? «Senz’altro bisogna tenere presente che ai giorni nostri tutti i tipi di impegni a lungo termine, le scelte di vita irreversibili, non sono incoraggiate. Così come il numero di matrimoni è in diminuzione, le vocazioni lo sono allo stesso modo. Anche i futuri sacerdoti appartengono a que-sta generazione, non possono essere diversi radicalmente, si portano dietro modelli culturali in netta contrapposi-zione con l’immagine tradizionale del prete. Un sociolo-go francese descrive la società odierna come “ambiente iper-sessualizzato, edonista e individualista” e quindi in netto contrasto con i valori richiesti a un sacerdote. La cultura sociale dominante e quella che richiede la Chiesa, in generale ma ancor di più ai preti, non sono due conce-zioni coerenti: anche il tasso di abbandono non è un dato insigniicante. In effetti, c’è una critica radicale e alcuni preti reputano la Chiesa troppo conservatrice e autorita-ria; vivono male e alcuni di loro abbandonano per questi motivi, altri invece per questioni affettive».- In che modo la presunta chiusura della Chiesa può contribu-ire al periodo di crisi vocazionale? Al di là dei valori proposti, come si collocano questioni come il celibato dei sacerdoti?«C’è da notare che ci sono dificoltà anche in Chiese che si sono aperte, permettendo il matrimonio per i sacerdoti e concedendo alle donne di celebrare. Esiste una nuova religiosità new-age non molto radicata e comunque i fe-nomeni di secolarizzazione sono presenti anche nell’I-

    slam. Sicuramente la società si è laicizzata, per molti è possibile vivere senza Dio o con Dio fai-da-te, quindi non più a livello comunitario. Un altro aspetto signiicativo è che l’ordinazione avviene a un’età media più elevata, ci sono molte più vocazioni adulte. Le scelte di vita sono in generale posticipate e quella del sacerdozio segue questa linea. Non ci sono più seminari minori, ma molti non de-cidono di diventare preti neanche a diciannove anni, bensì dopo aver concluso un percorso di studio e lavoro. Tutto si inserisce in un percorso culturale differenziato: a parte la certezza che il numero diminuirà ancora, in un futuro più lontano non si può avventurarsi».- Qual è lo scenario possibile per il futuro? Bisogna aspettarsi una collaborazione maggiore da parte dei laici?«Senz’altro i laici avranno un ruolo maggiore: nel nostro territorio, nelle valli del Natisone, è già prassi che il prete non ci sia e che ci siano invece dei laici che celebrano la liturgia della parola. Un altro esempio: un tempo quasi tutti i catechisti erano sacerdoti, ora sono quasi tutti laici. Per quanto riguarda lo scenario futuro, è dificile fare previsio-ni a lungo termine. In occasione del convegno Aquileia 2, il dott. Castegnaro ha commentato i dati di una ricerca con-dotta nel Triveneto e ha drasticamente dichiarato che se la Chiesa non cambierà, si troverà effettivamente coinvolta in un processo di emarginazione dalla società. Secondo lui o essa sarà in grado, nel giro di un decennio, di recuperare un rapporto diverso con le varie istanze presenti nella società o assisteremo al suo tracollo. Le richieste della società, infat-ti, sono diverse dalle offerte proposte dalla Chiesa, che in molti aspetti è troppo condizionata da una cultura legata al passato. In effetti, è anche dificile chiedere a sacerdoti che hanno superato una certa età di cambiare il proprio modo di pensare. In realtà non sembra nemmeno che i giovani preti (molte ricerche lo dimostrano) siano più progressisti di quelli anziani: i preti giovani hanno avuto un’impronta più conservatrice, essendo stati educati quando il vento del concilio si era ormai calmato».- Qualche osservazione, in conclusione?«Posso dire che a me sarebbe piaciuto avere un iglio pre-te, non per motivazioni religiose, bensì perché ho sempre pensato che il sacerdozio implica una scelta radicale, un impegno umano e una fede nell’uomo che altre professio-ni non richiedono. Un prete secondo me deve avere una forte motivazione verso un ideale religioso e umano. Se fosse solo religioso farebbe il monaco, ma il sacerdote ha una forte spinta a condividere scelte di vita con le persone e quindi dovrebbe avere anche caratteristiche caratteria-li, umane, e psicologiche particolari, che non sono molto diffuse. Sono un universo interessante da esplorare».

    sOFIA BALDUCCI

    UNA CRISI CHE PRELUDE A TEMPI NUOVI

    VOCAZIONI E PRETI NEL MONDO: I DATI DEL SITO DI PROPAGANDA FIDEQUANTI sACeRDOTI NeL mONDO?

    Nel 2012, il numero totale dei sacerdoti nel mondo è au-mentato di 1.643 unità rispetto all’anno precedente, rag-giungendo quota 412.236. In questo dato si registra:• una netta diminuzione in Europa (- 905)• forti aumenti in Africa (+ 761) e Asia (+ 1.695)• un limitato incremento in America (+ 40) e Oceania

    (+ 52).

    Nello stesso 2012, i sacerdoti diocesani nel mondo sono aumentati di 1.467 unità, raggiungendo il numero di 277.009, • con aumenti inAfrica (+ 571), America (+ 502), Asia (+

    801) e Oceania (+ 53) rispetto al 2011• e ancora una diminuzione in Europa (- 460).Anche i sacerdoti religiosi sono aumentati in complesso di 176 unità e sono 135.227, • con un aumento in Africa (+ 190) e Asia (+ 894), • mentre le diminuzioni interessano America (- 462), Eu-

    ropa (-445) e Oceania (- 1).

    QUANTI semINARIsTI NeL mONDO?

    Nel 2012 il numero dei seminaristi maggiori è aumentato rispetto al 2011: globalmente sono 1.012 in più i candi-dati al sacerdozio, che hanno così raggiunto il numero di 118.990, divisi in 71.974 seminaristi maggiori diocesani e 47.016 seminaristi religiosi. Questi i dati nel dettaglio:• Africa: + 752• Asia: + 513• America: + 29• Europa: -282. • L’Oceania non registra variazioni.

    QUANTI sACeRDOTI NeLLA NOsTRA DIOCesI?

    Il graico illustra chiaramente la diminuzione dei sacerdoti incardinati nella diocesi: i dati sono aggiornati al gennaio 2013.

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    DIVENTARE SACERDOTE: LA RESPONSABILITÀ DI UNA SCELTA

    INTERVISTA ALL’ARCIVESCOVO S.E. MONS. CARLO REDAELLI

    Coltivare la vera vocazione richiede libertà, pazienza, attenzione. Ne è convinto don MAURIZIO ZENAROLA, classe 1946, dal settembre 2012 Rettore del seminario in-terdiocesano ‘San Cromazio d’Aquileia’, più noto come ‘seminario di Castellerio’. Arrivando, su per la strada che da Udine conduce a Pagnacco, è impossibile non rimanere colpiti dall’ordine e dalla quiete che qui regnano sovrane.

    - Don Maurizio, chi sono i ragazzi che al momento frequenta-no il seminario e qual è la vostra offerta formativa?«Attualmente la nostra struttura ospita sedici seminaristi. Il più giovane ha vent’anni, mentre il più grande ne ha trentasei: si va infatti da chi ha appena concluso le scuole superiori a persone che hanno già conseguito un dottorato di ricerca e decidono di cambiare vita. C’è anche un semi-narista proveniente dalla Colombia, la cui famiglia risiede nel nostro paese. Dal punto di vista accademico, offriamo la possibilità di frequentare il corso di laurea in teologia, della Facoltà Teologica del Triveneto. Non di minore im-portanza è l’attività formativa: risiedendo in seminario, i ragazzi conducono vita di comunità, scandita da momenti dedicati alla preghiera e allo studio».- Perché un giovane decide d’intraprendere questa strada, e come lo aiutate nella scelta?«I nostri sono ragazzi normali, molti di essi hanno fatto un cammino di impegno parrocchiale e con l’andar del tempo si accorgono di volersi dedicare a tempo pieno al Signore. Il momento della decisione è tra i più critici: per questo prima dell’ingresso in seminario viene condotto un percorso di discernimento. Ci sono diverse igure, sia esterne alla struttura (il parroco, la famiglia, gli amici), sia interne (il padre spirituale), che possono aiutare il ra-gazzo in questa fase. Ci sono anche persone che, durante un percorso lavorativo ‘normale’, percepiscono di aver bisogno di qualcosa d’altro, e si rivolgono a noi».- È questo ciò che normalmente si definisce ‘vocazione’?«Direi di sì. La vocazione è proprio quel sentire, nella propria esperienza quotidiana, che il Signore ti chiama a sé. È come se ti dicesse “ho bisogno di te, a tempo pieno”. Ci si deve impegnare, però, per distinguere la vera voca-zione da una suggestione passeggera o da un’emozione del momento: il seminario non può certo essere un rifugio dalle dificoltà della vita ‘di fuori’. Per questo, il discer-nimento vocazionale continua per tutti i primi due anni».- Ci spieghi meglio…«Da una vita di ‘credente’ che pratica la propria fede nella liturgia domenicale e nella preghiera privata, non è facile passare a un mondo spirituale segnato da diversi impegni giornalieri. Per questo la vita di comunità che i ragazzi

    conducono e il dialogo continuo con gli educatori sono particolarmente importanti. Ci avvaliamo inoltre di diver-si strumenti, tra i quali l’equipe dello psicologo. Nei primi due anni, il sacerdozio non è l’obiettivo primario: dappri-ma cerchiamo di puntare sulla scoperta dell’uomo, poi del credente, e solo alla ine si fa emergere l’uomo cristiano, impegnato nella Chiesa. Ogni quindici giorni si tiene un incontro dell’equipe educatori, formata dal vescovo, dal rettore, dal vicerettore, dal padre spirituale e dal respon-sabile degli studi, nel corso della quale si fa il punto della situazione. Due volte l’anno, inoltre, ogni seminarista ha un incontro personale con il vescovo. Cerchiamo, insom-ma, di dare in mano ai nostri ragazzi gli strumenti per capire quali sono le loro vere intenzioni».- Cosa succede se il giovane comprende di voler proseguire?«Alla ine dei due anni si formula la domanda di ammis-sione agli ordini. Gli anni successivi sono scanditi dai diversi ministeri ai quali i seminaristi accedono: dappri-ma c’è il lettorato, poi l’accolitato, ancora in seguito il diaconato. Al sesto anno, inine, si accede al presbiteriato e si viene ordinati sacerdoti. Nel frattempo, proseguono gli studi teologici e, prima della conclusione dei sei anni di permanenza, i seminaristi avranno conseguito il bac-calaureato, equivalente della laurea triennale. Per chi ab-bia intenzione di proseguire gli studi teologici, esistono diversi corsi specialistici presso le università pontiicie».- Esiste una crisi delle vocazioni al sacerdozio, secondo lei? E quali possono essere le ragioni?«Certamente non viviamo tempi facili per le vocazioni, tuttavia ho l’impressione che le cose stiano andando me-

    glio rispetto a quanto avveniva qualche anno fa. Un tem-po i parroci potevano permettersi di proporre il percorso seminariale, scegliendo tra i ragazzi che apparivano più portati: ‘essere mandati in seminario’ era un onore. Ades-so, invece, bisogna faticare per trovare giovani vocati, aiutarli a decidere, metterli di fronte alle loro responsabi-lità. Sai cosa penso? Che ci sia un gran bisogno di cattoli-ci adulti in grado di motivare i giovani e di accompagnarli nelle loro scelte. Pensando a Cervignano, non posso che ricordare la grande igura di don Silvano Cocolin, che in questo era formidabile».- Veniamo a questioni più spinose: le voci critiche nei con-fronti dell’istituzione seminariale non sono mancate, sia den-tro sia al di fuori della Chiesa…«Il seminario, oggi, non è percepito da chi lo vive come un collegio, né come un luogo di clausura: è piuttosto come un’università. Certo, la formazione che vi si riceve è improntata all’impegno e al rigore, tuttavia la libertà di aderire a questo percorso o di scegliere un’altra strada è sempre salvaguardata come elemento primario. Se ti ri-ferisci a descrizioni come quella de La fabbrica dei preti (titolo di un noto scritto del sacerdote friulano Antonio Bellina, ndr), ti posso dire che oggi non esiste più nes-suna fabbrica, se non altro per il profondo cambiamento nel numero dei seminaristi: i nostri allievi sono ragazzi maturi, capaci di scegliere autonomamente».- Cosa prevede che accadrà in futuro? La selezione e la for-mazione rimarranno le stesse, o ci sarà posto per nuove istanze, come quelle dell’abbandono del celibato e del sacer-dozio femminile?«Trovo che il problema non sia tanto quello del celibato di per sé, quanto quello dell’entusiasmo per una scelta di fondo, che ti cambia la vita. Anche i pastori protestanti, pur potendosi sposare, hanno problemi di vocazione. Se la de-cisione è consapevole, per me la risposta alla questione del celibato è già implicita: si tratta di dedicarsi al tempo pie-no al Signore. Non credo che ciò possa essere compatibile con un’impegno costante come quello richiesto dalla vita matrimoniale. Quanto al sacerdozio femminile, una voce autorevole come quella di Giovanni Paolo II ha già risposto di no, spiegandone le ragioni, per cui non vedo il motivo di parlarne. Forse, quando i tempi saranno maturi, se ne potrà discutere. Credo invece moltissimo nel servizio dei laici nella Chiesa, purché ci si guardi dalla tentazione di mettersi in mostra: si rischia di cadere in un attivismo sterile, svuo-tato del suo profondo senso cristiano. La responsabilità è anche dei preti: sta a noi far comprendere che c’è tanto bi-sogno di spiritualità, piuttosto che di devozione».

    ALessANDRO mORLACCO

    L’esperienza del sacerdozio consacrato non può prescin-dere da un percorso di orientamento vocazionale, che af-ida allo Spirito il compito di illuminare le coscienze ed allo Spirito si afida nel dare risposta.È uno dei grandi compiti che la Chiesa cattolica esercita nel mondo attraverso i suoi Pastori. Oggi, come in pas-sato, è nella Chiesa locale che si formano i sacerdoti ed in questa vivono il proprio impegno anche missionario.Ci siamo rivolti a Mons. Carlo Maria Radaelli per cono-scere cià che accade nella nostra chiesa diocesana, com-prendere l’importanza della vocazione sacerdotale ed il suo pensiero personale.

    - Da cosa dipende, oggi, la mancanza di nuove vocazioni al sacerdozio?«Il punto è: oggi sono in crisi solo le vocazioni sacerdo-tali e religiose o anche quelle matrimoniali? Se si osserva il calo del numero dei matrimoni celebrati nelle nostre parrocchie, ci si rende conto che ad essere in crisi è la concezione della vita come vocazione, a prescindere da quella che concretamente viene assunta da ciascuno.Da cosa dipende questo? Da un punto di vista umano, dalla frammentarietà e provvisorietà della vita; frammen-tarietà perché dificilmente un giovane (e ormai anche un adulto) vede la propria vita come un tutto unitario con un orientamento, una direzione, un senso. La vita sta di-ventando sempre più un susseguirsi discontinuo e spes-so disordinato di esperienze (passeggere), avvenimenti (puntuali), emozioni (immediate), sentimenti (mutevoli), legami (provvisori), impegni (precari)…Si assiste quindi al paradosso che una vita generalmente più lunga e più sana rispetto al passato, venga percepita come più provvi-soria e precaria di quando c’era il problema di mangiare almeno una volta al giorno, di sopravvivere a un’inluen-za o a una polmonite, di sperare di arrivare a 40/50 anni.Il senso della provvisorietà – a volte percepito come un peso, altre come stimolante nella sensazione (falsa) di poter sempre ricominciare – porta a escludere di poter prendere una decisione per tutta la vita nei vari ambiti, in particolare nell’impegno lavorativo (qui, però, è anche l’attuale mondo del lavoro a impedirtelo) e negli affetti.Da un punto di vista religioso, la frammentarietà della vita e la convinzione dell’impossibilità di impegnarsi per sempre si intrecciano con una fede sentita e vissuta più come un insieme di emozioni, esperienze e sentimenti che come un rapporto profondo e autentico con Qualcuno che “ti chiama”, ti fa comprendere che la vita è dono e che va spesa per Lui e per gli altri.

    Le vocazioni non mancano perché i ragazzi e le ragazze, i giovani e le giovani di oggi sono meno generosi, meno impegnati di quelli di una volta. Sono però inseriti in un contesto così e “respirano” questa aria».- Quali sono gli ambiti in cui agire per suscitare nuove voca-zioni?«A noi (intendo dire a noi comunità cristiana) non interes-sa anzitutto avere tanti seminaristi e sacerdoti (o tanti reli-giosi e religiose). A noi interessa che il Signore, anche per mezzo nostro, offra la possibilità a tutti i nostri giovani di avere l’opportunità di confrontarsi seriamente con Lui, vedendo in Gesù qualcuno che può dare senso compiuto alla loro vita, qualunque sia poi la strada sulla quale si incamminerà. Paradossalmente potremmo dire che, anche se nessun giovane e nessuna ragazza della nostra Dioce-si, dopo aver avuto questo incontro vero con il Signore, decidesse di fare il prete o la suora, ci andrebbe bene co-munque: ciò che conta è che abbia incontrato realmente il Signore e abbia messo in gioco in questo rapporto la propria libertà.A noi spetta creare, per quanto possibile, le condizioni perché questo rapporto con il Signore avvenga. Ciò deve realizzarsi attraverso molti modi: la catechesi; l’esperien-za dell’oratorio e dei vari campi scuola e centri estivi; la partecipazione all’Azione Cattolica, agli Scout o ad altri gruppi e associazioni, oppure le diverse iniziative della pastorale giovanile parrocchiale, decanale e diocesana.Conta poi molto anche l’esempio e la testimonianza di adulti signiicativi – a cominciare dagli stessi preti – che facciano vedere quanto seguire il Signore sia bello e dia senso e pienezza alla vita. Poi potranno esserci anche ini-ziative speciiche: penso ad alcuni momenti nei quali pro-porre a giovani e ragazze esperienze di vita comune per alcuni giorni presso un’apposita casa, intrecciando i loro impegni ordinari di studio o di lavoro con una proposta

    signiicativa di vita comune, di preghiera, di ‘lectio’ della Parola di Dio, di rilessione, di servizio, di condivisione. Esperienze che poi, rientrando nella vita ‘normale’, po-trebbero richiedere la disponibilità a mantenere un impe-gno di accompagnamento e confronto con un sacerdote o con qualche persona ‘spirituale’».- Cosa direbbe a un giovane per incoraggiare una scelta così importante?«Gli direi di non aver paura, che la vita va vissuta e che quindi non bisogna semplicemente ‘lasciarsi vivere’. Gli direi che il futuro non è qualcosa di oscuro e di spaven-toso, ma è fatto di tanti ‘oggi’ che si susseguono, in cui giocarsi nella libertà e nel desiderio di amare perché si è amati.Gli direi poi di non lasciar mai passare un giorno senza leggere e pregare il Vangelo, sentendosi ‘dentro’ il Van-gelo: perché sono io Pietro, Matteo, Giovanni, Maria, la Maddalena, la Cananea, il lebbroso, il giovane ricco, ecc. le persone alle quali Gesù si rivolge. Il resto viene da sé».- Ritiene di sostenere l'orientamento vocazionale con una at-tività permanente?«In queste settimane mi sto confrontando con diverse persone, in particolare con qualche sacerdote che segue i giovani, per vedere se è possibile far partire un’inizia-tiva, come quella descritta pocanzi, di un forte percorso vocazionale con momenti residenziali e altri più quotidia-ni lungo tutto l’anno. Vedremo se l’idea potrà precisarsi meglio, se si trova chi la porta avanti e se ci sono giovani e ragazze che vogliano confrontarsi seriamente, almeno una volta nella vita, con Gesù. Anche in questo caso sono convinto che il resto viene da sé».- Ha un desiderio che vorrebbe vedere realizzato, nella Chiesa goriziana?«Vorrei fosse una Chiesa che, consapevole dell’enorme e, a volte, tragica ricchezza del suo passato, la impegnasse sul futuro, guardando avanti con iducia e speranza.Vorrei che in questo i giovani si sentissero protagonisti, non perché glielo ‘concediamo’ noi adulti, ma perché si prendono con serietà le loro responsabilità e si giocano per il Signore e la sua Chiesa.Allora diventeremmo tutti, a prescindere dall’età, una co-munità cristiana più giovane, più contenta, più sciolta. E non è retorica dire che si può essere realmente giovani dentro se si mantiene vivo l’entusiasmo per la vita e per il Vangelo: in questi giorni, la igura di papa Benedetto XVI, con la sua scelta impegnativa e coraggiosa, fatta solo per fede e per il bene della Chiesa, è uno splendido esempio di ’giovinezza’ evangelica».

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    LA VOCE DEI PROTAGONISTI

    DON NICOLA BAN è il responsabile per la pastorale vocazionale della diocesi da cinque anni. Il suo ruolo è quello di riuscire a infondere e mantenere viva nella co-munità cristiana l’attenzione necessaria afinché ciascu-no possa vivere la propria vita come una vocazione.

    «Ciò che faccio è di animare la comunità cristiana afinché si preghi per le vocazioni. Per chi volesse compiere una ricerca più esplicita riguardo alla propria fede, un gruppetto di persone si ritrova una volta al mese presso il monastero di Gorizia e lì si svolge una lectio divina. Durante questo incontro c’è un tempo dedicato a se stes-si e un tempo dedicato a una testimonianza vocazionale. Nell’ascoltare il racconto dell’altra persona che ci sta di fronte si possono ricevere degli strumenti con cui poter leggere la propria storia». - Cosa vuol dire ‘ricerca più esplicita’?«Vocazione signiica guardare alla propria identità e alla propria missione nel mondo non solo come frutto del nostro desiderio, ma anche come risposta a una chiamata di Dio a collaborare con la sua opera di salvezza. Vivere la vita come vocazione vuol dire dialogare col Signore nelle scelte dell’esistenza». - Quante sono le persone che frequentano il gruppo? È cam-biato qualcosa rispetto a quando hai iniziato a fare il respon-sabile delle vocazioni?«Una decina tra maschi e femmine. In cinque anni non è cambiato molto, i numeri sono sempre gli stessi».- E rispetto ai tempi di don Giovanni invece? Cos’è cambiato?«Il modo in cui si affrontava la fede stessa. A quei tempi non c’era bisogno di una guida vocazionale, molto spesso

    «IL PROBLEMA NON È TANTO NELLA VOCAZIONE, MA NELLA FEDE»

    erano le famiglie il terreno adatto ad alimentare il desiderio di vocazione. C’era una stima del fatto che uno dei igli potesse diventare prete. Inoltre credo che il numero di vocazioni all’interno di una comunità sia proporzionale al numero di praticanti. Una volta la religione si praticava molto più che adesso, e di conseguenza le vocazioni erano maggiori. Ma le proporzioni tra il numero di vocazioni rispetto ai praticanti di allora e quello di adesso, messe a confronto, non penso siano molto diverse».- Perché pensi ci sia stata questa diminuizione?«Il problema non è tanto nella vocazione, ma nella fede. C’è stata una trasformazione delle famiglie: basti pensare al numero di igli di una volta e di oggi. Ciò dimostra come si stia veriicando un calo di speranza. Si fa dificoltà a spe-

    rare e se una persona ha dificoltà nel farlo dificilmente riesce a impegnarsi in un tipo di vita esigente come quello di seguire il Signore. Indubbiamente le cambiate situazioni socio-economiche inluiscono sulla capacità di sperare, e di conseguenza di scegliere che tipo di vita seguire. Un altro aspetto è quello della dificoltà di impegnarsi in qualcosa che può essere assoluto e deinitivo: al giorno d’oggi si vor-rebbe che tutte le scelte fossero reversibili. Qualcuno che prima fa una scelta e poi cambia idea è già coraggioso. Il problema è che la paura di sbagliare porta a non prendere decisioni impegnative, come anche nella vocazione al ma-trimonio e di conseguenza nella famiglia».- La vedi come una cosa negativa?«Ci si pone di fronte a un problema. C’è ancora una richiesta di svolgimento di servizi religiosi (battesimi, funerali, prime comunioni) come se tutti fossero ancora praticanti come una volta. Ma c’è una sproporzione tra numeri di servizi richiesti e di chi può offrirli, perché per l’appunto i praticanti sono diminuiti e in base ai pratican-ti sorgono vocazioni al servizio della comunità cristiana. Questo problema tocca le vocazioni in generale, non solo quelle legate al sacerdozio». - Cosa pensi si possa fare a proposito?«Ognuno dovrebbe sognare di trovare il proprio posto nel mondo, vivere la vita come una missione e donare la propria esistenza. L’unica strada che abbiamo a disposizione è la testimonianza di speranza e gioia da parte delle comunità cristiane, che stanno già facendo tanto da questo punto di vista. C’è poi l’impegno a pregare perché i nostri giovani vivano la vita come vocazione. Per questo conto anche sui lettori di Alta Quota».

    GIULIA BONIFACIO

    NICOLA ZIGNIN (nella foto, a sinistra), giovane di Teor, ci racconta la sua storia: un tempo ragazzo lontano dalla chiesa e dal mondo parrocchiale, ora seminarista presso il seminario interdiocesano di Castellerio dal mese di ot-tobre 2012. Il destino ogni tanto è veramente buffo e imprevedibile. Conosco Nicola da poco meno di un decennio, ci siamo conosciuti presso la facoltà di giurisprudenza a Udine nella sede di via Caccia, insieme ad altri amici abbiamo frequentato numerosi corsi, affrontato tanti esami, orga-nizzato cene e feste di laurea. Come dice il proverbio, ogni frutto ha la sua stagione, il periodo universitario termina, le cose inevitabilmente cambiano e per un pe-riodo non ci siamo più visti; alcuni mesi dopo vengo a sapere che Zinho (così lo avevamo battezzato anni fa al torneo di Vernasso) è entrato in seminario..

    - Nicola, racconta come ha avuto inizio questo percorso.«Il tutto è iniziato con una confessione che attendeva da qualche anno. Diciamo che in principio ho cominciato a partecipare regolarmente alla messa della domenica, a fare la confessione una volta al mese e inoltre iniziare e terminare una giornata con una preghiera. Quindi l’inizio è stato da buon cristiano, visto che prima di tutto ciò non ero assolutamente un frequentatore della chiesa, sebbene non sono mai stato ateo». - Qual’era il tuo pensiero sulla chiesa e sulla religione? «Avevo una concezione della fede fai da te, costruita su misura diciamo, pensavo che Dio ti togliesse qualcosa,

    «SPERAVO CHE LA CHIAMATA NON CI FOSSE E INVECE C’ERA…»ma nonostante cercassi la felicità attraverso le più sva-riate maniere non la raggiungevo. Da qui arriviamo alla confessione sopra citata all’inizio del 2010, che per me era l’ultima spiaggia: invece è diventata un nuovo inizio, praticamente insperato». - Da quel momento fino all’ingresso in seminario... che strada hai seguito?«Non è stato un percorso semplice da intraprendere: come una riabilitazione dopo un infortunio, anche una riabilita-zione dell’anima ha bisogno dei suoi tempi e delle sue tappe. Nel mio cammino mi hanno aiutato due sacerdoti della mia parrocchia, Monsignor Paolo Brida e don Simo-ne Vigutto, i quali dopo alcuni mesi mi hanno proposto di fare il catechista a una quinta elementare: ho accettato senza avere ancora la più pallida intenzione di entrare in seminario. Andando avanti nella catechesi, l’avere una sola classe mi sembrava poca cosa e così ho cominciato a interrogarmi sul perché non mi bastasse».- Immagino che tu abbia intensificato l’attività e l’esperienza in parrocchia. «Entrando con regolarità e continuità nelle varie attività parrocchiali, tra cui anche diversi campi scuola in monta-gna, notavo che gli stimoli e gli interessi ad approfondire queste esperienze aumentavano. Ho iniziato a chiedermi perché facessi questo: la risposta che mi sono dato è per amore del Signore».- In questa fase è scattato qualcosa dentro di te che ti ha spinto a prendere la decisione di entrare in seminario?«Da quel periodo di interrogativi, ho avuto l’intuizione che la strada del seminario poteva essere la mia e questo mi riempiva di gioia, ma allo stesso tempo mi impauriva. E la paura superava la gioia perché mi si prospettava una rinuncia a tutti i miei progetti, soprattutto quello di farmi una famiglia. A questo punto sono andato a conidarmi con Monsignor Brida, il quale mi disse di prendere la cosa con calma, terminare i miei studi di giurispruden-za, dicendomi testuali parole: se il Signore chiama, non ti molla più. Ho seguito il suo consiglio sperando che la chiamata non ci fosse!»- Invece la chiamata c’era... «Esatto, il tutto è stato confermato dalla pratica di avvo-catura iniziata immediatamente dopo la laurea, nel mese

    di maggio 2012. Nonostante un più che positivo approc-cio iniziale alla professione, la chiamata invece di al-lontanarsi si faceva più insistente, e mi sono reso conto che facevo quel lavoro per dovere, ma non per passione o convinzione, poiché il mio cuore era in parrocchia. A ine settembre dello scorso anno, ho fatto due colloqui con l’arcivescovo Mazzocato, il quale, sentito il parere del mio parrocco, ha concordato sul fatto che c’erano i presupposti per una chiamata».- Quindi sei entrato nel seminario interdiocesano di Castellerio.«Precisamente, ma quello è stato un ulteriore punto di partenza, il seminario aiuta sia a fare emergere le tue po-tenzialità, sia a guarire le ferite che ci si porta dal passato. Contrariamente a quanto pensa molta gente, il seminario non è una fabbrica di preti, ma un luogo dove prima di tut-to si mira a formare delle persone: poi bisogna veriicare se c’è una chiamata autentica, e in questo vieni accompa-gnato senza pressioni. Io ho la certezza che chi entra in seminario con cuore sincero scopre realmente chi è e cosa il Signore vuole da lui, indipendentemente dal fatto che si diventi sacerdote o che invece si esca durante il percorso.Anche se non tutti poi diventano sacerdoti, sicuramente saranno persone migliori sia dal punto di vista umano sia dal punto di vista spirituale».- Ora hai quasi 29 anni: se guardi dietro di te, che giudizio daresti al tuo percorso umano/formativo? «Delle cose buone che ho fatto non rimpiango nulla, né gli studi né gli svariati lavori estivi che ho fatto, compreso il breve periodo di pratica fortense: l’unica cosa di cui ho rimpianto è il lungo periodo lontano dalla Chiesa. Sebbene non auguro a nessuno di allontanarsi da Cristo e dalla Chie-sa, neppure un solo istante, questa parentesi oscura ma af-fascinante della mia vita mi aiuta e mi aiuterà a capire cosa passa nel cuore e nella testa delle “pecorelle smarrite”». - Visto che ora sei nell’ambiente, cosa mi puoi dire riguardo le poche vocazioni del giorno d’oggi?«Le vocazioni sono poche in tutti gli ambiti della vita, non solo in quello presbiterale: c’è poca gente che si spo-sa, poca gente che entra in seminario. La scelta maggiore è la non scelta, è quella che da meno responsabilità, ma parallelamente dà meno soddisfazioni nella vita».

    SANDRO CAMPISI

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    alitàLA VOCE DEI PROTAGONISTI

    MATTEO LIUT, ex seminarista e ora giornalista di Av-venire, ci racconta la sua esperienza di vita, nonché la questione della crisi delle vocazioni vista all’interno del principale quotidiano cattolico italiano..

    - Matteo, la tua è una voce che parla dall’interno del mondo cattolico. Nell’ambiente che frequenti nel corso del tuo lavo-ro, la crisi delle vocazioni è un tema sentito?«Pur lavorando soprattutto in redazione, ogni giorno ho l’opportunità di ascoltare voci e conoscere storie diversis-sime tra loro. La sida maggiore è quella di fare una sin-tesi di questa enorme complessità e raccontarla ai lettori. In questo orizzonte c’è posto anche per il tema delle vo-cazioni, che è tra le questioni principali di cui mi ritrovo a parlare con i colleghi e con le persone che intervisto o incontro, vescovi, sacerdoti, religiosi, giornalisti, respon-sabili di movimenti e associazioni. E ovviamente capi-ta spesso di confrontarsi sulle dificoltà legate al mondo della vita consacrata o del ministero sacerdotale. Si tratta di un tema da cui non ci si può sottrarre, perché i numeri parlano chiaro».- Secondo te è un fenomeno reale o si tratta solo dell’influsso dei tempi, di una moda?«Tutte le diocesi d’Italia stanno mettendo a punto pro-getti pastorali a partire dal calo della presenza dei preti sul territorio. Sono convinto, però, anche del fatto che

    troppe volte si tende a ridurre il problema a un dato so-ciologico o a un effetto della castità richiesta a sacerdoti e consacrati. Il problema è serio, esiste, ma paradossalmen-te non riguarda lo ‘status’ dei sacerdoti, quanto lo ‘stile’ dell’intera comunità cristiana. Alle volte, infatti, si pensa che il problema riguardi solo preti e vescovi, in realtà ad essere in crisi è proprio il concetto di vocazione: quanti laici oggi vivono la loro esistenza come una chiamata a rendere Dio presente tra gli uomini? La questione, insom-ma, nasce dalla fragilità della testimonianza di tutti noi cristiani».- So che anche tu sei stato in seminario, ma poi ne sei uscito: come mai?«Il mio percorso di vita mi ha portato per cinque anni in Seminario. Ho capito di essere chiamato ad altro prima di arrivare ai ‘passi uficiali’, ma ho fatto tesoro di quanto ho vissuto in quegli anni. Tra i miei amici c’è anche qualcuno che è stato ordinato e poi ha deciso di non continuare con la vita ministeriale. Io dall’esterno ho l’impressione che la causa sia quella di trovarsi a vivere un’esistenza fatta di eventi in agenda e quindi incapace di alimentare quella sete dell’anima che sostiene ogni vocazione. Guardando alla mia esperienza, mi sembra che la dificoltà più grande legata ai cammini formativi per il sacerdozio sia proprio quella di non riuscire sempre ad alimentare quel ‘fascino di Dio’ che è alla base di ogni vocazione. Un fascino che deve passare per forza anche attraverso un amore viscerale per la vita in tutte le sue espressioni».- Si dice spesso che se i sacerdoti potessero avere famiglia, come i pastori protestanti, questo problema non esisterebbe. Pensi sia vero?«Si tratta di una sempliicazione del problema. Basti ci-tare il fatto che la Chiesa protestante tedesca si trova nel-la situazione di dover ridurre il numero di comunità per carenza di pastori, ai quali non è imposto il celibato. La verità è che la vita del prete e del pastore - con o senza ce-libato - è dificile: richiede radicalità, impegno costante, responsabilità gravose, una testimonianza di fede cristal-lina. Le ragioni, a mio parere, vanno ricercate principal-mente nella dificoltà di proporre la santità come scelta di vita di fondo per tutti. In una comunità di santi, a chi

    si trova a fare da guida spirituale non è richiesto di farsi carico per tutti della testimonianza di fede, perché tutti la vivrebbero in ugual modo».- D’altra parte, lo status celibe dei sacerdoti è lo stesso da sempre. Perché oggi sembra più difficile fare la scelta del sa-cerdozio?«In realtà il celibato obbligatorio per i preti è diventata legge nella Chiesa solo nel XII secolo e poi più volte ri-badito. Si tratta di una scelta storica nata anche da ragioni teologiche, ma non si tratta di una legge di origine divina. Nella Chiesa cattolica, d’altra parte, esistono i preti sposati nelle diocesi di rito orientale. E il dibattito tra favorevoli e contrari al celibato c’è sempre stato. Semplicemente, oggi chi guida l’opinione pubblica preferisce ridurre a questo tema la questione delle vocazioni perché la sfera sessuale sembra essere diventata l’unica a dominare la vita delle persone. Inoltre si intendono i diritti personali (in questo caso di farsi una famiglia) come un dovere per gli altri».- Dunque il problema della castità non è l’unico.«La castità è di certo dificile da vivere, ma molti dimen-ticano che ai preti è chiesto di vivere anche una sobrietà economica, cosa forse ancora più complicata da attuare oggi. Compito dei sacerdoti, però, è quello di mostrare che oltre a queste richieste impegnative da vivere con ri-gore c’è una gioia nella vita presbiterale che può donare un senso pieno all’esistenza».- Pensi che la Chiesa dovrebbe concedere delle aperture in questo senso? «A chi sceglie il sacerdozio la Chiesa oggi chiede la ‘dop-pia vocazione’ al celibato (che può essere una vocazione anche fuori dalla vita ministeriale) e al sacerdozio. Più volte i Papi hanno chiarito che il tema non è materia di discussione e non penso che la posizione verrà rivista in questi anni. Se la norma è dificile che venga cambiata, la Chiesa però può ‘aprirsi’ concretamente facendo sentire tutta la propria vicinanza umana a chi vive situazioni di dificoltà o a coloro che decidono di lasciare il sacerdozio per farsi una famiglia. Anche queste persone devono con-tinuare a far parte della comunità e spendere i loro talenti nel far sì che l’uomo incontri Cristo».

    mARCO sImeON

    DAL SEMINARIO AL GIORNALISMO: “HO CAPITO DI ESSERE CHIAMATO AD ALTRO”

    Credo che l’unico modo che abbiamo per esprimere l’e-sperienza di un’esistenza intera sia quello di leggerla alla luce del cammino vocazionale che l’ha caratterizzata. Non può che essere così, se consideriamo quanta com-plessità c’è dietro ogni scelta che compiamo. Trovo difi-cile deinire il termine ‘vocazione’, ogni vita ne esprime una, e ogni vocazione esprime il senso di una vita intera. Della parola abbiamo spesso abusato, l’abbiamo privata di signiicato, trattandola come fosse un corollario della vita, qualcosa che si ha o non si ha, o peggio ancora che riguarda solo la parte di coloro che ricevono un sacramen-to. Oppure abbiamo elencato le ‘vocazioni’, come possi-bili scelte che si pongono davanti ad un adolescente che vuole capire cosa fare da grande, quasi ci fossero scelte privilegiate perché illuminate da un segno particolare, contrapposte a scelte più comuni considerate un po’ meno degne.L’esperienza vocazionale è di tutti, ed è la ricerca costante del ilo rosso che ci compone come uomini e donne, per questo deinibile e comprensibile solo alla ine dell’intera vita. Nella mia vita mi sono trovato spesso a pensarci, sia nel decidere, in modo piuttosto travagliato, di scegliere di diventare prete, sia nel decidere, due anni dopo l’or-dinazione, di abbandonare il ministero, in modo anco-ra più travagliato. Prima una scelta maturata e vissuta come deinitiva, riconosciuta come realizzazione di una vocazione, poi un cambio di direzione forte e da molti percepito come improvviso e incomprensibile. La pro-vocazione che pongo è questa: quale dei due momenti di scelta è quello più vocazionale? Le sempliicazioni non lasciano spazio a dubbi: il primo è la più alta re-alizzazione di una vocazione, il secondo è abbandono, rinuncia, non-risposta, per alcuni tradimento. Invece,

    L’ESPERIENZA DI UN EX PRETELA SCELTA DI DAVIDE CICUTTIN: L’ABBANDONO DEL SACERDOZIO

    mentre si faceva strada in me la sempre più stabile con-vinzione che stavo viaggiando su un tracciato che non mi permetteva di obbedire pienamente alla mia realiz-zazione, chiarivo ogni giorno meglio che la contraddi-zione dell’abbandono era in realtà la risposta più coe-rente al mio percorso di vita.In profondità non ho mai dubitato del fatto che non è mai venuta meno la continuità all’interno di una sola ed unica storia di vita, rispondente ad una progettualità alla quale ho sempre cercato di aderire in modo coeren-te, anche se in modo non convenzionale nét istituzio-nalmente esemplare. Dentro di me non avvertivo alcuno stravolgimento, anzi mi rasserenava la consapevolezza crescente di essere all’interno di un processo di chiarii-

    cazione su quale fosse la mia strada. Tuttavia non posso dire che il cambiamento sia avvenuto in modo facile né sereno. Si trattava di dire la verità prima di tutto a me stesso, affrontando le conseguenze di un gesto pubblico contraddicente le promesse fatte davanti alla comunità. In secondo luogo dovevo conciliare il mio crescente senso di raggiungere una maggiore veriica e di libera-zione con la comprensibile dificoltà a comprendere di molte persone, soprattutto le più vicine. E tutto questo, di cui ora parlo con apparente facilità, non è avvenuto senza fratture. Non è stato facile affrontare il senso di disillusione nei confronti di un sogno precedentemente idealizzato per molto tempo, né la percezione di delu-dere molte persone, né il senso di fallimento o i sensi di colpa, né il distanziamento di molti che si dicevano vicini. Non è stato facile neppure iniziare tutto da zero, dovendo in poco tempo trovare casa e lavoro, affronta-re nuove tappe di una maturazione affettiva, ricostruire l’immagine di me e i rapporti con gli altri e contempo-raneamente decostruire il ruolo nel quale, senza pormi troppe domande, mi ero trovato e dietro al quale mi ero a volte nascosto.Nel tempo, a distanza di anni, le rotture si sono ricucite, anche per aver mantenuto lo sforzo di una ricerca costante su quale fosse la direzione verso la quale camminare. Non mi sento arrivato da nessuna parte, ma continuamente in ricerca, e in questo percorso due sono i pilastri sui quali poggia la continuità della mia storia: il mio percorso di fede, con tutti i dubbi e le domande che lo caratterizzano da sempre, ed il rapporto delle mie scelte di vita con la storia del Dio di Gesù di Nazareth.

    DAVIDe CICUTTINARTICOLO A CURA DI CINZIA BORsATTI

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    Semplici occhiate buttate qua e làdi Simone Bearzot

    SUL CIGLIO DELLA STORIA

    In lontananza il fumo nero si vede eccome, una nube nera che si alza tra le basse case in muratura bianca e i palaz-zi del centro città. All’interno della stanza d’hotel, la tv trasmette le immagini di due automobili date alle iam-me dai manifestanti. Tunisi brucia, come duemila e passa anni fa la sua diretta antenata Cartagine. Le equivalenze iniscono qui.

    Sarà capitato a tutti di trovarsi, per qualche bizzarro scherzo di destino, caso, provvidenza a seconda delle preferenze, in una situazione completamente ribaltata

    rispetto alle premesse. Quando poi ci si ritrova, da spettatori quantomai esterni, impacciati, quasi a disagio, sul ciglio della Storia – anche se non la nostra, am-messo che queste divisioni esistano – la sensazione di stranezza prende il soprav-vento su tutto.

    Mercoledì mattina mi raccontano di qualche manifestazione in centro per protesta contro la disoccupazione. Poco male, succede dappertutto. A ora di pran-zo le notizie iniziano a diffondersi me-glio. Hanno ucciso un uomo. Un avvoca-to. Un leader politico. I tunisini che sono con me si incupiscono, avvolti da quella tensione che signiica una cosa sola: che la strada verso un Sistema nuovo sarà an-cora lunga, dificile e dolorosa. Da quel momento, il nome di Chokri Belaid, ino ad allora a me totalmente sconosciuto, diventa il leitmotiv della settimana, mentre l’attesa si ritaglia un ruolo da pro-

    tagonista. L’Attesa Continua. Del giorno dopo, degli scontri, delle manifestazioni, del funerale, dello sciopero. Di quello che succederà.

    La sera rientro al mio hotel, a poche cen-tinaia di metri dal Ministero dell’Interno, epicentro delle proteste. Si vedono cocci e pietre sulla strada, cestini divelti, ser-rande abbassate. Per sicurezza consiglia-no di restare in albergo. Le immagini alla CNN o su qualche ca-nale arabo raccontano quello che succe-de in strada e così noi stranieri restiamo all’interno di un ‘acquario’, a guardare una Storia che non era nostra ma ora un pochino lo è diventata, ingannando l’at-tesa – in questo caso, quella del volo di ritorno – tra un pacco di patatine e un’a-ranciata presa dal minibar.

    sImONe BeARZOT

    di Norman Rusin

    LIMITI

    Amo bere il caffè guardando fuori dalla inestra. Lo fac-cio qui a Philadelphia come l’ho sempre fatto a Cervigna-no. Dalla inestra della mia cucina, al terzo piano, in via Matteotti, migliaia di volte il mio sguardo si è posato su-gli orti, la piccola striscia verde che li divide dalle tribune della Pro Cervignano, la palestra dell’ABC, il piazzale, il cavalcavia. Nei giorni più chiari potevo vedere il monu-mento di Redipuglia e le montagne. Tutti questi luoghi marcavano con precisione gli istanti della mia vita: scuola e vacanze, lavoro e svago, famiglia e amici. Tanti luoghi, tanti conini. Ma il tempo ha sfumato questi limiti, li ha resi porosi. Me li ha fatti superare. Lo sguardo sul limite è una condizione ineluttabile per chi abita in via Matteotti; pervade l’area - ino a qualche anno fa nemmeno contemplata dalle mappe della guida telefonica - sempre in espansione, eppure sempre ai con-ini della cittadina. Chi abita lì si trova nella posizione privilegiata di chi vive fuori dalla mappa e può osservare chi è dentro, ma anche tutto il resto. E portandosi dentro

    questo senso del limite, il residente di via Matteotti può ricreare il proprio quartiere ovunque. Così, mentre bevo il mio caffé alla inestra a Phila-delphia, leggo la rubrica 10 domande che chiude il numero di Time di questa settimana. A rispondere alle domande della giornalista c’è Sonia Sotomayor, la pri-ma donna ispanica a ricoprire la carica di giudice della Corte Suprema. Nel suo My Beloved World - Il mio ama-to mondo, appena pubblicato negli USA e best-seller di gennaio, Sotomayor c’insegna che i limiti si possono su-perare, i sogni coltivare, le mete raggiungere. Lei, come donna, come ispanica, ricoprendo uno dei più prestigiosi incarichi del paese, incarna appieno il proprio messag-gio. La giudice parla di conini culturali, limiti spirituali e psicologici. Esiste allora un punto estremo oltre il quale non possiamo andare? Un altro sorso di caffè e apro il Newyorker, dove leggo che Philip Roth a 79 anni decide, dopo un silenzio di quasi tre anni, di ritirarsi dalla scrittura. Lo scrittore ha

    passato la propria vita appartato, immerso nella produzio-ne di parole; che si trovasse nel Connecticut o in centro a Manhattan, non faceva differenza. Ha scelto di vivere in quello che Italo Calvino deiniva “il mondo scritto,” cioè il mondo delle parole opposto al “mondo non scritto” del-le azioni. Ora Roth esce dal suo mondo perché, dichiara, non ha più niente da dire. Anche Benedetto XVI riconosce il valore del limite e lo elude. Da consumato esegeta, esamina il problema, lo scompone e lo appiana. Raggiunti gli ottantacinque anni, non può supportare il peso isico che il suo incari-co comporta, e abdica. Così, rinuncia anche a un enor-me potere. Una lezione di stile? Probabilmente. Certe notizie però sono come il caffè: tonico quand’è ancora caldo e fumante nella tazza; ma crea forte dipendenza così che non ne hai mai abbastanza per tenerti sveglio. A un passo dalle politiche, continuo a muovermi ai bor-di della mappa e a sorbire il mio caffè guardando fuori dalla inestra.

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    tatiRadio Presenza presenta un nuovo programma: It’s Time To Rock and Roll. Questo programma è basato su un sin-golo genere: il rock in tutte le sue sfaccettature, da quello classico degli anni 60 e 70 all’heavy metal, ino a quello più moderno. «Questo programma - dice Alessandro Flo-ra, conduttore del programma - vuole essere un qualcosa in più per gli appassionati del rock in regione». Questo non è un semplice programma musicale: Alessandro e la sua partner Erica ogni settimana ospiteranno un gruppo musicale emergente regionale. «La presenza di gruppi in Regione - ci spiega Alessandro - è amplissima; basti pensare ai Freedom Slaves o gli Ad Plenitatem Lunae che hanno più di 800 fan a testa su Facebook. Il grande problema è che non vengono valorizzati come si dovreb-be, in quanto i promotori locali molto spesso decidono di chiamare soltanto cover band così da avere un riscontro monetario certo alla ine della serata, cosa che un gruppo emergente non potrebbe garantire. Ed è proprio per que-sto motivo che esistono molti gruppi moderni che fanno fatica a raggiungere un elevato numero di consensi po-polari».Alessandro ed Erica vogliono dare una mano a queste band emergenti: se vogliono partecipare a una puntata, possono farlo mandando una mail a [email protected] e verranno contattati dai conduttori stessi. Per chi invece volesse farsi un’idea del programma e dei gruppi emergenti può sinto-nizzarsi su Radio Presenza sui 99 Mhz, oppure tramite internet su www.radiopresen-za.org (web radio), tutti i venerdì dalle 15:30 alle 17:30 per ascoltare due ore di puro rock, non solo internazionale. It’s Time To Rock and Roll viene integrato da due ore settimanali di solo rock emer-gente: il martedì e il venerdì dalle 14:30 alle 15:30. Per far conoscere le nuove band anche al di fuori della cerchia ristretta delle amicizie dei singoli musicisti e, chissà, magari farli conoscere anche a livello regionale.

    IT’S TIME TO ROCK AND ROLLNUOVO PROGRAMMA SU RADIO PRESENZA

    La trasmissione radiofonica Fuoco alle Polveri è ripar-tita. Continua l’esperienza, nata quasi per caso lo scorso anno, per il tentativo dei due conduttori, Luca & Bonny, di esplorare un campo nuovo. Il programma è basato essenzialmente sull’improvvisa-zione, l’irriverenza, e le opinioni del pubblico. La tra-smissione va in onda ogni giovedì dalle 18.35 alle 19.35, e nell’ora della diretta si trattano molteplici argomenti, dall’attualità alla ilosoia, dalla cronaca allo sport: poco, perché i conduttori non seguono attivamente le discipli-ne sportive, alle idee più strane, come i sondaggi sugli oggetti più insoliti che si trovano in commercio, o alla cucina negli aspetti meno consueti, per esempio come si preferisce cucinare le coste a pasquetta. Quindi, di tutto. L’importante, per Luca & Bonny, è fare una buona oretta di divertimento, incalzante, che attiri ascoltatori e soprat-tutto che li faccia interagire: una straordinaria esperienza che siamo felici di riprendere. Per ascoltarli basta sinto-nizzarsi dalle 18.30 alle 19.30 su Radio Presenza (99.0 in FM) o streaming al link http://www.radiopresenza.org , per un’ora di sano divertimento.

    RIPARTEFUOCO ALLE POLVERI!

    In alto: Alessandro ed Erica con

    «It’s time to Rock and Roll»

    In basso: Luca & Bonny con

    «Fuoco alle polveri!»

    OLTRE LO SP CCHIOEOLTRE LO SP CCHIOE

    Il 2 novembre Ho una libre-ria dove i libri non ci stanno più, ne ho un’altra altrettan-to stracolma a Cervignano. Quelli che leggo al momento li tengo a terra a ianco del letto; gli altri, orfani della libreria, sono in pila in un an-golo della stanza.

    L’esIGeNZA DeI LIBRIQualcuno mi suggerisce di comprare un eReader e sopperi-re alla mancanza di spazio che mano a mano verrà a crearsi nella mia stanza. L’idea è buona, avere un eReader e com-prare ebook è un modo nuovo di vivere l’esperienza della lettura che mi incuriosisce. Ma, ahimè, amo possedere libri e non potrei fare a meno di comprarne. Il libro stimola la maggior parte dei miei sensi e rappresenta il feticcio della storia che racconta e che potrò conservare per sempre. Il colore della copertina, lo spessore delle pagine, la forma ri-gonia che prende dopo essere stato sfogliato innumerevoli

    volte sono avvenimenti a cui è dificile rinunciare.Io i libri li compro, ma conosco due ragazze che i libri li cuciono. Manuela Dago e Francesca Genti, entrambe poetesse, hanno fondato la piccola casa editrice Sartoria Utopia, una capanna editrice di poesia contemporanea, dove i libri sono realizzati e cuciti interamente a mano. Questa avventura nasce dall’esigenza di dare una veste nuova al libro. Ogni libro infatti è un pezzo unico, stu-diato e realizzato meticolosamente per rappresentare al meglio lo spirito delle poesie che contiene. Con Sartoria Utopia si ritorna a una vecchia forma di artigianato per rappresentare il nuovo e il contemporaneo, realizzando un libro-oggetto che non vuole essere solo motivo di lettura, ma anche espressione del fare, punto per punto.

    Sito e shop a questo indirizzo:http://sartoriautopia.freshcreator.com/

    di Manuela Fraioli

    Alta ucinaiANCORA ROVISTANDO TRA I RICORDI DI UN

    LONTANO VIAGGIO IN SICILIA: IL MINESTRONE E LE SARDE

    SARDE ALLA SICULA Tipica ricetta siciliana (in verità una delle tante a seconda della zona), ma facile da preparare anche qui dalla parte opposta, es-sendo le sarde un pesce largamente consumato anche in Friuli.Comperate la quantità di sarde che ritenete necessaria a seconda dei commensali che si siederanno a tavola e, dopo averle pulite, lavate, aperte e asciugate, infarinatele appena appena e indora-tele in una normale padella per fritti, scolandole appena pronte. In precedenza avrete preparato un bel sughetto sofriggendo in olio extra vergine tutto italiano, cipolla e aglio inemente tagliati, ai quali aggiungerete appena pronto il sofritto, una o più (sem-pre a seconda dei commensali) scatole di pomodori pelati, e fate cuocere alquanto. Unite delle olive nere tagliuzzate e dei pinoli fatti rinvenire in un po’ d’acqua calda, unite il tutto al sugo con una spruzzatina di vino bianco. A questo punto due opzioni: la prima di incorporare le sarde al sugo ben caldo; la seconda di sistemare le sarde in un capace piatto e di versarvi sopra il sugo sempre ben caldo.

    MINESTRONE ALLA RAGUSANASembrerà strano che, pur in una terra ricca di primi piatti suc-culenti, raccontiamo di un minestrone. Ma bisogna pur provare. La ricetta è tra quelle assaggiate e ritenuta degna di menzione, ritrovata nell’agenda di un viaggio in Sicilia e decantata dal ‘trat-tore’ di San Leone Bagni, di cui abbiamo già parlato a proposito di melanzane, di pasta alla Norma e di cannelloni. Il minestrone di cui parlasi veniva citato dal ‘trattore’ (ma da prendersi con le classiche molle, essendo un po’ contaballe) qua-le cibo, opportunamente corretto, tenuto conto degli alimenti e dei tempi, preferito da Ercole durante i riposi tra una fatica e l’altra delle sue celebri dodici avventure, in giro per il mondo dell’epoca. In particolare, la quinta fatica mandava in brodo di giuggiole il ristoratore anzidetto, quella nel corso della quale Er-cole ripulì le stalle di Augia. E così ci fece ricordare antichi studi, raccontando l’avvenuto.

    Era Augia il re dell’Elide e nessun al mondo poteva vantare di possedere tanto bestiame quanto quello di sua proprietà. In par-ticolare, trecento selezionatissimi tori neri, dalle zampe candide e duecento stalloni, altrettanto selezionati. E inine, come iore all’occhiello, dodici tori bianchi come quelli delle mandrie sacre di Elio, supposto padre di Augia stesso. Ma ciò nonostante le stalle non erano mai state ripulite e così Augia pattuì con Ercole che, se le avesse pulite in una sola giornata, gli avrebbe ceduto un decimo di tutto il bestiame. Il nostro eroe accettò e deviò il corso di un iume che scorreva in zona e, facendolo deluire attraverso le stalle, portò a termine la fatica. Ma al momento di diventa-re proprietario di quanto patteggiato, Augia non tenne fede alla promessa e lo scacciò dalla sua regione insieme a suo iglio Fileo che aveva preso le parti di Ercole. E visto che c’eravamo, una sera successiva raccontò anche la se-sta, quella relativa agli uccelli del lago Stinfalo. Erano uccelli mo-struosi, sacri ad Ares (Marte), con artigli, becchi, ali di bronzo, causa di morte per uomini e animali, nonché di sterilità per la terra, per i loro escrementi. Ercole, grazie a un suono spavento-so prodotto da un sonaglio di bronzo donatogli dalla dea Atena (Minerva), li obbligò a levarsi in volo; alcuni li uccise, altri fuggi-rono sulle coste del Mar Nero.E veniamo al minestrone!

    MINESTRONE ALLA RAGUSANAPreparate un po’ di brodo di carne e cuocetevi i fagioli freschi (se non usate quelli in scatola, pur buoni), unitevi un cavolo bianco sminuzzato (per le dimensioni basta il buon senso), due mancia-te di spinaci e altrettante di bietole. Aggiungete una carota, una patata, una zucchina e una cipolla, il tutto tagliato a tocchetti. Preparate un sofritto con olio, una fetta di prosciutto crudo e un niente di aglio, e versate nel brodo; aggiustate di sale e pepe, qualche cucchiaio di pomodoro. Fate bollire e unitevi dei sedani-ni o anche degli spaghetti spezzettati. Servire con una spolverata di parmigiano.

    di Alberto Landi

    (si fa sempre per dire)

    Ivano Dijust, 54 anni, cervignanese, commerciante, col-leziona maglie di calcio tutte originali. La collezione di queste è nata per caso attraverso conoscenti o amici che andando in giro per l’Italia o all’estero gli portano que-ste magliette come souvenir. Attualmente consta di 30 magliette, ma è destinata ad aumentare, anche in breve tempo. Tra tutte, quella del Barcellona è la sua preferita perché è un regalo di sua iglia Ambra andata in viaggio in Spagna. Poi quella della Germania perché lo entusia-smano i colori, la forma e non solo… confessa di avere un debole per questa Nazionale. Se la sua passione vera e propria è collezionare e usare biciclette di ogni tempo, dalla più antica alla più moderna e stravagante, quella delle magliette sportive è una colle-zione a lui molto cara e a cui tiene molto.

    UNA COLLEZIONE UNICA...

    A CERVIGNANO!

    a cura di Livio Nonis

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    tiIL VESCOVO CARLO ROBERTO MARIA REDAELLI

    A CERVIGNANO DEL FRIULI .: 24 GENNAIO 2013 :.

    ALCUNE IMMAGINI DELL’INCONTRO CON IL VESCOVO DI GORIZIA, CARLO ROBERTO MARIA REDAELLI, OSPITE LO SCORSO 24 GENNAIO NEGLI STUDI DI RADIO PRESENZA.

    OPERAZIONE UOMINI COME NOI, SI INIZIA CON MUSICA E TEATRO!In attesa della raccolta dei materiali ferrosi e degli indumenti (in programma il 27 e il 28 aprile) e del mercatino dell’usato (25-28 aprile / 1-5 maggio), anche la 46ª edizione dell’Operazione Uomini Come Noi avrà un ampio prologo culturale:Venerdì 12 aprile alle ore 20.30 presso la Chiesa madre di san michele, concerto dei cori Vincenzo Ruffo, Leo, Delle 9.30 e UTe.sabato 20 aprile alle ore 20.30 presso la sala Aurora del Ricreatorio san michele (in replica domenica 21 aprile alle ore 17), spettacolo delle Briciole d’Arte tratto dal musical Mamma mia!.Le offerte raccolte in entrambi gli eventi (a ingresso libero) saranno devolute ai progetti sostenuti dall’intera Operazione Uomini Come Noi, in favore delle missioni diocesane in

    Costa d’Avorio e Burkina Faso in ambito sanitario, scolastico e agricolo. Per tutti i dettagli, appuntamento al prossimo numero di Alta Quota in uscita il 20 e 21 aprile!

    DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE, CONFERENZA A CERVIGNANO

    Il tavolo dei relatori intervenuti lo scorso 19 gennaio presso il Teatro Pasolini al convegno La cura per i disturbi del comportamento alimentare in Friuli Venezia Giulia, organizzato dall’associazione Fenice FVG. Sul palco sono intervenuti i rappresentanti delle Aziende sanitarie regionali, del Veneto, del Burlo Garofolo di Trieste e dell’Istituto Superiore della Sanità.Anoressia e bulimia rappresentano la seconda causa di morte tra i giovani, dopo gli incidenti stradali. «Auspichiamo che il risultato dell’incontro - affermano gli organizzatori - possa consentire lo sviluppo di una rete ambulatoriale omogenea ed eficiente a copertura dell’intero territorio regionale per la gestione delle diverse fasi evolutive della patologia».

    ARCA THERAPEIA: UN MONDO A MISURA D'UOMO

    ArCa Therapeia deriva dall'esperienza professionale del-la dott.ssa Silvia Aronica e di Natascia Castignani che propongono sul territorio una struttura innovativa dedi-cata a bambini e ad adulti per favorire l'integrazione in diversi ambiti: da quello familiare a quello scolastico come anche nel parascolastico e nel sanitario. La strut-tura si avvale attualmente di un team di 11 professionisti che operano insieme n posizione centrale e facilmente accessibile.Gli accoglienti studi e un'area polivalente occupano una supericie globale di 160mq che viene dedicata sia a plu-rime espressioni terapeutiche sia a incontri mirati per la prevenzione e la consulenza individuale e di gruppo.L'équipe di ArCa Therapeia si propone di adeguare una progettualità speciica per ciascun individuo creando dei percorsi adattabili dall'infanzia alla maturità attraverso servizi ed esperienze acquisite da professionisti che già operano in questo settore.

    Arca Therapeia è a Cervignano, in via Malignani, 6/1.

    Da sinistra: Tania Cargnelutti, fisiochinesiterapista; Barbara Mastro-

    marino, osteopata; Natascia Castignani, mediatrice Feuerstein; De-

    bora Rossit, psicologa; Guido Cristofori, neuropsichiatra; Elisabetta

    Bosco, psicologa; Silvia Aronica, neuropsicomotricista; Eleonora Cec-

    chin, nutrizionista; Sabrina D'Alessio, psicomotricista. Nello staff ci

    sono anche gli psicologi Michele Macoratti e Valentina Bossi.

    Giovedì 24 gennaio, giorno di San Francesco di Sales patrono dei giornalisti e dei mezzi di comunicazione, Radio Presenza ha avuto un ospite d'eccezione: l'arcivescovo di Gorizia, monsignor Carlo Roberto Maria Redaelli. Durante uno trasmissione speciale condotta dal direttore Andrea Doncovio e dal coordinatore della radio, Stefano Tomat, alla presenza del parroco di Cervignano, don Dario Franco, l’arcivescovo ha avuto

    modo di interagire con i numerosi ascoltatori e di conoscere meglio sia le diverse realtà parrocchiali sia il mondo del volontariato cittadino. Al termine della trasmissione, monsignor Redaelli ha visitato gli studi

    della radio e ha incontrato l’intero dell’emittente radiofonica e la redazione del periodico bimestrale Alta Quota, edito dal Ricreatorio San Michele. staff del bi-mensile parrocchiale “Alta Quota” che dal 2000 informa

    su tutte le iniziative della parrocchia di San Michele.

    Monsignor Redaelli si è compiaciuto della notevole professionalità riscontrata all'interno delle due realtà mediatiche.

    I VETERANI IN GITA A SAPPADACome consuetudine i veterani dello sport di Cervignano del Friuli hanno organizzato una gita in pullman in quel di Sappada. Accompagnati da alcuni dirigenti dei veterani, la comitiva era composta di soci e simpatizzanti amanti dello sci e della montagna innevata. Accompagnati da uno splendido sole in tutta la giornata, la comitiva ha potuto godere della silata del Carnevale Sappadino e gli amanti dello sci hanno potuto sciare per tutta la giornata. Verso mezzogiorno i Veterani hanno avuto un colloquio con l’assessore alla cultura di Sappada, e con un consigliere comunale. I veterani hanno scambiato i regali e hanno auspicato un incontro a Cervignano del Friuli, per un’eventuale gita nella laguna di Marano. I partecipanti alla gita, dopo la prima sciata e la prima camminata nel centro, si sono ritrovati per il pranzo che come il solito è stato offerto dai Veterani sportivi. I commensali hanno gradito molto il minestrone e il Gulasch.

    IL DIReTTIVO U.N.V.s.

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    La storia della letteratura italiana comincia con una con-versione: quella del giovane Francesco Giovanni di Pietro di Bernardone, nato nel 1182 ad Assisi. Conversione ecla-tante dove il giovane Francesco, iglio di un ricco com-merciante, rinuncia a tutto, si spoglia persino delle sue vesti per darle a un mendicante. L’agiograia racconta che Francesco, desideroso di unir-si alla Crociata, fu persuaso da due rivelazioni notturne: nella prima egli scorse un castello pieno d’armi e udì una voce promettergli che tutto quello sarebbe stato suo. Nel-la seconda sentì nuovamente la stessa voce chiedergli se gli fosse stato «più utile seguire il servo o il padrone»; alla risposta «Il padrone», la voce rispose: «Allora perché hai abbandonato il padrone, per seguire il servo?». Ma è nel 1205 che avvenne l’episodio più importante della sua conversione: mentre pregava nella chiesa di San Damia-no, raccontò di aver sentito parlare il Crociisso, che per tre volte gli disse: «Francesco, va’ e ripara la mia casa che, come vedi, è tutta in rovina».Francesco fonderà il movimento che prenderà il suo nome e scriverà quello che è considerato il primo testo poeti-co della letteratura italiana: quel Cantico delle creature (conosciuto anche con il nome di Cantico di Frate Sole) scritto in volgare umbro, lode a Dio, alla vita e alla natu