ALTA UOTA - Ricre · ad essere insoddisfatti e cri-tici, quasi delusi di noi stes-si, spesso...

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ALTA UOTA Anno 12 Numero 54 edizione Marzo-Aprile 2016 Periodico bimestrale gratuito - Tiratura 1.000 copie - Registrazione Tribunale di Udine n. 15 del 15 marzo 2005 Centro Giovanile di Cultura e Ricreazione “Ricreatorio San Michele” via Mercato, 1 - 33052 Cervignano del Friuli (UD) www.ricre.org Il Ricreatorio San Michele è iscritto nel Registro Regionale delle Associazioni di Promozione Sociale al n. 121 www. fvgsolidale.regione.fvg.it Segreteria telefonica e fax: 0431 35233 Sito internet: www.ricre.org Direttore responsabile: Andrea Doncovio Direttore editoriale: Vanni Veronesi Redattori: Simone Bearzot, Filippo Me- deot, Giuseppe Ancona, don Moris Tonso, Vanni Veronesi, Marco Simeon, Manuela Fraioli, Giulia Bonifacio, Marco Giovanetti, Francesco Perusin, Michela Zanier, Federica Ermacora, Francesco Pavoni, Carolina Stabile, Luca Maggio Zanon, Paolo Bearzot. Responsabile web: Riccardo Rigonat Responsabile marketing: Alex Zanetti Stampa: Goliardica Editrice, Bagnaria Arsa UOMINI COME NOI P . 9 ANGELA NAPOLITANO p. 3 GIORGIO CARLET p.4 MORENO BACCICHET p. 5 90000020306 Sostieni anche tu le nostre iniziative con un semplice gesto che non ti costa nulla! Scrivi nella apposita casella del 5×1000 il nostro codice fiscale e apponi la tua firma! O gni vicenda umana è caratterizzata da eventi particolarmente si- gniicativi. Qualcosa di straordinario che segna un ‘prima’ e un ‘dopo’ come per sottolineare la dinamicità del vivere. Una sorta di spartiacque esistenziale fa in modo che nulla sia più come prima. Succe- de però che, vivendo il presente ed ignorando il passato, ci si dimentichi di come ciò che accade non succeda per caso, ma sia il risultato di un percor- so a volte diicile e travagliato da cui dipende non solo lo stesso presente, ma anche il nostro futuro. Per questo è importante ricordare, celebrare, memorizzare: perché è nel passato che afonda le radici il nostro futuro. Ciò avviene nelle vita delle persone, dei Popoli e delle Nazioni. È così che il 2 giugno 1946 segna per tutti noi la nascita di una Italia nuo- va, libera, sovrana, democratica. In una parola repubblicana. Per la prima volta sia uomini che donne, senza distinzioni di ceto, vota- rono a sufragio universale l’ordinamento giuridico che avrebbe regolato la forma dello Stato in cui ancor oggi viviamo ed elesse quella Assemblea Costituente che oltre a redigere la nostra Carta Costituzionale, avrebbe rappresentato il primo esercizio di sovranità popolare della nostra storia nazionale. Non fu semplice ed indolore, in un’Italia che usciva lace- rata da una dittatura, da una guerra e da una lotta parti- giana in cui le tensioni ideo- logiche, generose e vivaci di pochi, si diluivano nella dif- fusa miseria che seguiva il conlitto mondiale. Lo stesso risultato elettora- le non ebbe un larghissimo margine (54,3% di preferen- ze per la repubblica e 45,7% per la monarchia), fu conte- stato e provocò violente rea- zioni di parte. Oggi viviamo un tempo che ci induce a ritenere le nostre conquiste di libertà ed au- todeterminazione non so- lo scontate, ma a volte persi- no superlue; quasi un cela- to demone desideroso di ri- portarci indietro per render- ci più rigorosi e disciplina- ti; una insopportabile indif- ferenza che lascia stropiccia- re la nostra Costituzione. Ed è proprio questo che dobbia- mo tutti temere. Nelle pagine che seguono fa- remo memoria di quel pas- saggio che settant’anni orso- no gettò le basi di ciò che oggi siamo. Una democrazia, for- te, moderna; un popolo aper- to, accogliente, ospitale, una Nazione ricca, feconda e libe- ra. Certamente siamo i primi ad essere insoddisfatti e cri- tici, quasi delusi di noi stes- si, spesso ingiustamente privi del nostro orgoglio collettivo. Racconteremo e daremo vo- ce agli aspetti storici, politici e sociali che segnarono e diede- ro inizio alla nostra storia re- pubblicana, senza perdere di vista il sacriicio di molti, con- sacrato sull’altare della demo- crazia per la libertà di tutti. Senza retorica, guai a noi se tutto ciò venisse dimentica- to, privando il nostro doma- ni di quella speranza che ani- mò le genti, uomini e donne, che quel 2 giugno 1946, pen- sando al proprio futuro, rea- lizzarono il nostro presente. GIUSEPPE ANCONA IL GRANDE FILM DELLA REPUBBLICA ITALIANA di Filippo Medeot Dal 1946 a oggi l’Italia è diventata una potenza economica mon- diale: la Repubblica ha portato libertà, democrazie e benesse- re. Ma la storia di questi settant’anni è la più drammatica del mondo occidentale «al di qua del Muro di Berlino»: una storia di attentati, stragi, misteri irrisolti e trame sotterranee indicibili. Eccone una sintesi, perché coltivare la memoria è un dovere civile e morale. GLI ALBORI DELLA REPUBBLICA: UN DIFFICILE EQUILIBRIO All’alba del 1946 l’Italia è un Paese in preda ad un profondo caos istituzionale, politico, sociale, economico, culturale. I sei anni di guerra appena trascorsi hanno radicalmente cambiato l’assetto complessivo della Penisola. La classe dirigente è ormai composta dai partiti dell’ormai sorpassato CLN - Comitato Li- berazione Nazionale - i quali, superata la temporanea unione in chiave antifascista, si scontrano senza esclusione di colpi ri- guardo il binario su cui si dovrebbe riavviare l’Italia. Eppure, nonostante i grandi cambiamenti, gran parte dell’apparato isti- tuzionale fascista rimase integro, specialmente all’interno dei servizi segreti: «Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi» asseriva Tancredi ne Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Il Partito Comunista Italiano di Palmiro Togliatti fatica a tenere a freno i sentimenti rivoluzionari, ampliati dal momento storico caotico e concitato, ideale per l’avvio della lotta armata anticapi- talista e l’instaurazione della dittatura del proletariato, in nome di un processo riformista di consolidamento della democrazia italiana avvertito come più urgente ed indiferibile della Rivo- luzione. La Democrazia Cristiana, nata appena quattro anni prima dalle ceneri del defunto Partito Popolare Italiano di don Luigi Sturzo, si erge in funzione anticomunista attingendo alle profonde radici cattoliche dell’Italia e proponendo un cristiane- simo democratico, sociale e intimamente iloamericano. D’al- tronde anch’esso è scosso da divisioni interne, soprattutto tra repubblicani e monarchici. Ma il partito in cui le diatribe inte- stine si fanno più roventi è il Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria, poi rinominato Partito Socialista Italiano nel 1947. Al suo interno si scontrano una componente revisionista ed una massimalista più vicina alle posizioni comuniste, in quel mo- mento alla guida del PSIUP. La prima, capeggiata da Giuseppe Saragat, rimprovera la dirigenza di mantenere forti legami con l’Unione Sovietica e di essere schiacciata sulle posizioni del PCI, PROSEGUE A PAG. 2 ANDREA FURLAN p. 7

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ALTA UOTAAnno 12 Numero 54 edizione Marzo-Aprile 2016Periodico bimestrale gratuito - Tiratura 1.000 copie - Registrazione Tribunale di Udine n. 15 del 15 marzo 2005

Centro Giovanile di Cultura e Ricreazione “Ricreatorio San Michele” via Mercato, 1 - 33052 Cervignano del Friuli (UD) www.ricre.org

Il Ricreatorio San Michele è iscritto nel Registro Regionale delle Associazioni di Promozione Sociale al n. 121

www. fvgsolidale.regione.fvg.itSegreteria telefonica e fax: 0431 35233 Sito internet: www.ricre.orgDirettore responsabile: Andrea Doncovio Direttore editoriale: Vanni Veronesi Redattori: Simone Bearzot, Filippo Me-deot, Giuseppe Ancona, don Moris Tonso, Vanni Veronesi, Marco Simeon, Manuela Fraioli, Giulia Bonifacio, Marco Giovanetti, Francesco Perusin, Michela Zanier, Federica Ermacora, Francesco Pavoni, Carolina Stabile, Luca Maggio Zanon, Paolo Bearzot.Responsabile web: Riccardo Rigonat Responsabile marketing: Alex Zanetti Stampa: Goliardica Editrice, Bagnaria Arsa

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Sostieni anche tu le nostre iniziative con un semplice gesto che non ti costa nulla!

Scrivi nella apposita casella del 5×1000 il nostro codice fiscale

e apponi la tua firma!

Ogni vicenda umana è caratterizzata da eventi particolarmente si-gniicativi. Qualcosa di straordinario che segna un ‘prima’ e un ‘dopo’ come per sottolineare la dinamicità del vivere. Una sorta

di spartiacque esistenziale fa in modo che nulla sia più come prima. Succe-de però che, vivendo il presente ed ignorando il passato, ci si dimentichi di come ciò che accade non succeda per caso, ma sia il risultato di un percor-so a volte diicile e travagliato da cui dipende non solo lo stesso presente, ma anche il nostro futuro. Per questo è importante ricordare, celebrare, memorizzare: perché è nel passato che afonda le radici il nostro futuro.Ciò avviene nelle vita delle persone, dei Popoli e delle Nazioni.È così che il 2 giugno 1946 segna per tutti noi la nascita di una Italia nuo-va, libera, sovrana, democratica. In una parola repubblicana.Per la prima volta sia uomini che donne, senza distinzioni di ceto, vota-rono a sufragio universale l’ordinamento giuridico che avrebbe regolato la forma dello Stato in cui ancor oggi viviamo ed elesse quella Assemblea Costituente che oltre a redigere la nostra Carta Costituzionale, avrebbe rappresentato il primo esercizio di sovranità popolare della nostra storia nazionale.

Non fu semplice ed indolore, in un’Italia che usciva lace-rata da una dittatura, da una guerra e da una lotta parti-giana in cui le tensioni ideo-logiche, generose e vivaci di pochi, si diluivano nella dif-fusa miseria che seguiva il conlitto mondiale.Lo stesso risultato elettora-le non ebbe un larghissimo margine (54,3% di preferen-ze per la repubblica e 45,7% per la monarchia), fu conte-stato e provocò violente rea-zioni di parte.Oggi viviamo un tempo che ci induce a ritenere le nostre conquiste di libertà ed au-todeterminazione non so-lo scontate, ma a volte persi-no superlue; quasi un cela-to demone desideroso di ri-portarci indietro per render-ci più rigorosi e disciplina-ti; una insopportabile indif-ferenza che lascia stropiccia-re la nostra Costituzione. Ed è proprio questo che dobbia-mo tutti temere.Nelle pagine che seguono fa-remo memoria di quel pas-saggio che settant’anni orso-no gettò le basi di ciò che oggi siamo. Una democrazia, for-te, moderna; un popolo aper-to, accogliente, ospitale, una Nazione ricca, feconda e libe-ra. Certamente siamo i primi ad essere insoddisfatti e cri-tici, quasi delusi di noi stes-si, spesso ingiustamente privi del nostro orgoglio collettivo.Racconteremo e daremo vo-ce agli aspetti storici, politici e sociali che segnarono e diede-ro inizio alla nostra storia re-pubblicana, senza perdere di vista il sacriicio di molti, con-sacrato sull’altare della demo-crazia per la libertà di tutti.Senza retorica, guai a noi se tutto ciò venisse dimentica-to, privando il nostro doma-ni di quella speranza che ani-mò le genti, uomini e donne, che quel 2 giugno 1946, pen-sando al proprio futuro, rea-lizzarono il nostro presente.

◆ GIUSEPPE ANCONA

IL GRANDE FILM DELLA REPUBBLICA ITALIANA

di Filippo Medeot

Dal 1946 a oggi l’Italia è diventata una potenza economica mon-diale: la Repubblica ha portato libertà, democrazie e benesse-re. Ma la storia di questi settant’anni è la più drammatica del mondo occidentale «al di qua del Muro di Berlino»: una storia di attentati, stragi, misteri irrisolti e trame sotterranee indicibili. Eccone una sintesi, perché coltivare la memoria è un dovere civile e morale.

GLI ALBORI DELLA REPUBBLICA: UN DIFFICILE EQUILIBRIO

All’alba del 1946 l’Italia è un Paese in preda ad un profondo caos istituzionale, politico, sociale, economico, culturale. I sei anni di guerra appena trascorsi hanno radicalmente cambiato l’assetto complessivo della Penisola. La classe dirigente è ormai composta dai partiti dell’ormai sorpassato CLN - Comitato Li-berazione Nazionale - i quali, superata la temporanea unione in chiave antifascista, si scontrano senza esclusione di colpi ri-guardo il binario su cui si dovrebbe riavviare l’Italia. Eppure, nonostante i grandi cambiamenti, gran parte dell’apparato isti-tuzionale fascista rimase integro, specialmente all’interno dei servizi segreti: «Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi» asseriva Tancredi ne Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Il Partito Comunista Italiano di Palmiro Togliatti fatica a tenere a freno i sentimenti rivoluzionari, ampliati dal momento storico caotico e concitato, ideale per l’avvio della lotta armata anticapi-talista e l’instaurazione della dittatura del proletariato, in nome di un processo riformista di consolidamento della democrazia italiana avvertito come più urgente ed indiferibile della Rivo-luzione. La Democrazia Cristiana, nata appena quattro anni prima dalle ceneri del defunto Partito Popolare Italiano di don Luigi Sturzo, si erge in funzione anticomunista attingendo alle profonde radici cattoliche dell’Italia e proponendo un cristiane-simo democratico, sociale e intimamente iloamericano. D’al-tronde anch’esso è scosso da divisioni interne, soprattutto tra repubblicani e monarchici. Ma il partito in cui le diatribe inte-stine si fanno più roventi è il Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria, poi rinominato Partito Socialista Italiano nel 1947. Al suo interno si scontrano una componente revisionista ed una massimalista più vicina alle posizioni comuniste, in quel mo-mento alla guida del PSIUP. La prima, capeggiata da Giuseppe Saragat, rimprovera la dirigenza di mantenere forti legami con l’Unione Sovietica e di essere schiacciata sulle posizioni del PCI,

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2 70 ANNI DI REPUBBLICA:IL SONDAGGIO

quanto ne sanno i ragazzi?

11: Mattarella2: L’Italia è una Repubblica fondata sul la-

voro e la sovranità appartiene al popolo3: Parlamento4: 1946

21: Mattarella2: Niente3: Niente4: 1990

31: Mattarella2: L’Italia è una Repubblica fondata sul la-

voro e la sovranità appartiene al popolo3: Senato4: 1952

41: Mattarella2: Niente3: Senato4: 1946

51: Mattarella2: L’Italia è una Repubblica fondata sul la-

voro e la sovranità appartiene al popolo3: Magistrature4: 1946

61: Renzi2: Niente3: Parlamento4: 1953

71: Mattarella2: L’Italia è una Repubblica fondata sul la-

voro e la sovranità appartiene al popolo3: Parlamento4: 1946

81: Mattarella2: Non rubare3: Senato4: 1962

91: Mattarella2: L’Italia è una Repubblica fondata sul la-

voro e la sovranità appartiene al popolo3: Camera dei deputati4: 1980

bl1: Mattarella2: Niente3: Parlamento4: 1946

bm1: Mattarella2: L’Italia è una Repubblica fondata sul la-

voro e la sovranità appartiene al popolo3: Parlamento4: 1946

bn1: Mattarella2: L’Italia è una Repubblica fondata sul

lavoro e la sovranità appartiene al popolo

3: Senato4: 1946

bo1: Mattarella2: Niente3: Parlamento4: Niente

bp1: Mattarella2: L’Italia è una Repubblica fondata sul la-

voro e la sovranità appartiene al popolo3: Senato4: 1946

bq1: Mattarella2: Niente3: Niente4: Niente

br1: Niente2: Niente3: Senato4: 1946

bs1: Niente2: Niente3: Senato4: 1946

bt1: Napolitano2: L’Italia è una Repubblica fondata sul

lavoro e la sovranità appartiene al popolo

3: Parlamento4: 1946

bu1: Mattarella2: L’Italia è una Repubblica fondata sul la-

voro e la sovranità appartiene al popolo3: Parlamento4: 1946

cl1: Renzi2: Niente3: Niente4: 1950

cm1: Mattarella2: L’Italia è una Repubblica fondata sul

lavoro e la sovranità appartiene al popolo

3: Camere4: 1946

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voro e la sovranità appartiene al popolo3: Parlamento4: 1946

co1: Mattarella2: L’Italia è una Repubblica fondata sul la-

voro e la sovranità appartiene al popolo3: Senato4: 1946

cp1: Mattarella2: L’Italia è una Repubblica fondata sul la-

voro e la sovranità appartiene al popolo 3: Parlamento4: 1946

cq1: Mattarella2: Niente3: Niente4: Niente

70 anni di Repubblica, dunque: un periodo suiciente per trarre i cosiddetti ‘bilanci’, ma soprattutto per capire quanto sia radicata la consapevolezza della nostra storia. Su questo tema abbiamo voluto compiere un sondaggio, che non ha alcuna pretesa di scientiicità ma fornisce comunque uno spaccato su cui rilettere: il nostro Paolo Bearzot, giova-nissima new entry nella redazione di Alta Quota, ha infatti intervistato una classe di scuola superiore di Cervignano (manteniamo l’anonimato per la privacy). Ponendo quattro semplici domande:

1. Chi è il presidente della Repubblica?

2. Cosa dice il primo articolo della Costituzione?

3. Quale organo dello Stato ha il potere legislativo?

4. In che anno è stato votato il referendum monarchia/repubblica?

Le risposte che forniamo di seguito dimostrano una cosa: c’è ancora molto da lavorare sulla formazione alla politica... ◆ VANNI VERONESI

LE RISPOSTE AL SONDAGGIO DI PAOLO BEARZOT

I RISULTATI1) Chi è il presidente della Repubblica?

Risposte corrette: 20Risposte sbagliate: 3Non sa: 2

2) Cosa dice il primo articolo della Costituzione?

Risposte corrette: 14 (ma in realtà sono tutte incomple-te, perché l’articolo 1 recita «L’Italia è una repubblica de-mocratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costi-tuzione»)Risposte sbagliate: 1Non sa: 10

3) Quale organo dello Stato ha il potere legislativo?

Risposte corrette: 11Risposte sbagliate: 10 (solo ‘Senato’ o solo ‘Camera dei Deputati’ non è suiciente, perché la risposta corretta è ‘Il Parlamento’, che comprende entrambi gli organi)Non sa: 4

4) In che anno è stato votato il referendum monarchia/

repubblica?

Risposte corrette: 16Risposte sbagliate: 6Non sa: 3

Tutte e quattro le risposte corrette: 7 su 25. La prima pagina tratta da uno dei tre originali

della Costituzione italiana ora custodito nell’Archivio

Storico della Presidenza della Repubblica.

PROSEGUE A PAG. 3

 CONTINUA DA PAG. 1

a diferenza della collocazione assai più autonoma degli altri partiti socialista europei. Uno scontro che culminerà il 10 gennaio 1947 con la cosiddetta “scissione di palazzo Barberini” e la creazione del Partito Socialista dei Lavoratori Italiani – in se-guito Partito Socialista Democratico Italiano – di Saragat. E poi il Partito Liberale Italiano di Luigi Einaudi e De Nicola, il Partito Repubblicano Ita-liano di Ugo La Malfa e Spadolini, il Partito d’A-zione (scioltosi già nel ‘47), il Movimento Sociale Italiano, il Fronte dell’Uomo Qualunque, il Partito Nazionale Monarchico.

Nonostante le forti tensioni sociali e politiche, agli occhi di tutti la priorità principale appare la rico-struzione del Paese post-guerra e post-fascismo, a partire dalla forma di governo. Le rivendicazioni repubblicane, infatti, sembrano ormai mature e in grado di sovvertire la monarchia. Le dirigenze dei principali partiti decidono dunque di mettere momentaneamente da parte le divisioni per colla-borare e di dare vita insieme alla nuova struttu-ra politica e istituzionale dell’Italia. Il 31 gennaio 1945 il Consiglio dei Ministri guidato da Ivanoe Bonomi istituisce per legge il sufragio univer-sale, garantendo così il voto anche alle donne; il 25 settembre dello stesso anno sotto il governo di Ferruccio Parri si è riunita per la prima volta la Consulta Nazionale, temporaneo sostituto del Parlamento, e il 10 dicembre 1945 è salito al go-verno per la prima volta il democristiano Alcide De Gasperi sostenuto da tutti i principali partiti: DC, PSIUP, PCI, Pd’A e Partito Democratico del Lavoro. La situazione è abbastanza stabile per pro-cedere al passo successivo. Il 2 giugno 1946 si tiene il referendum istituziona-le a sufragio universale che chiamava gli italiani a scegliere tra la repubblica e la monarchia. Fu la prima volta in cui anche le donne esercitarono i-nalmente il loro diritto di voto. I maggiori partiti come la Democrazia Cristiana, il Partito Comu-nista, il Partito Socialista, quello Liberale e quello Repubblicano sostengono la repubblica. Risultano votanti 12.998.131 donne e 11.949.056 uomini, in totale 24.947.187, pari all’89,1% degli aventi diritto al voto, che risultano essere 28.005.449. Vince la repubblica con il 54,3% delle preferenze contro il

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QUANTO NE SAPPIAMO?

Come si può essere pienamente consapevoli dei di-ritti e dei doveri che ognuno di noi ha in quanto cittadino di uno Stato? In che modo può avvenire questo apprendimento? L’educazione civica gioca un ruolo molto importante a questo proposito. Per approfondire meglio la questione, non ho dovuto fare molta strada e ne ho parlato con la professo-ressa ANGELA NAPOLITANO (35 anni), laureata in giurisprudenza e attualmente supplente al Liceo Classico Jacopo Stellini di Udine. Partiamo subito con la spiegazione del concetto in sé.

EDUCAZIONE CIVICA

LA POLITICA TRA I GIOVANI

L’IMPORTANZA DELLA CONSAPEVOLEZZA

LE DUE FACCE DELLA MEDAGLIA

“La politica, si dice, non fa più parte della vita quotidiana di noi ragazzi. Ma è davvero così? Ho provato a chiederlo a SARA DI BERT e MARIKA CECOTTI, entrambe sedicenni, che mi sono sembrate rappresentative.

SARA –Sara, qual è il tuo interesse nei confronti del-

la politica?

«Ne sono molto interessata. Seguo spesso programmi di politica, cerco di informar-mi e di parlarne il più possibile, soprat-tutto con mio padre, e qualche volta di partecipare a dibattiti; a scuola, per esem-pio, quando c’è una discussione di stampo politico partecipo sempre, perché lo riten-go accattivante, oltre che un’occasione di crescita».

–Hai detto che ne parli spesso con tuo padre; hai ereditato da lui questa passione? E

quanto ti ha influenzato?

«Anche a lui, in verità, piace molto la politica, e sono certa di aver ereditato da lui questa passione. Nonostante questo lui non mi ha mai imposto il suo Credo politico: mi ha sempre spinto ad informarmi, a formare le mie idee personali; certo, l’impronta genitoriale rimane sempre, ma io ritengo sia im-portante che ci lascino il nostro spazio di crescita e formazione individuale».

–Veniamo alle domande più importanti: qual è oggigiorno il ruolo di noi giovani nella

vita politica?

«Ebbene, se è vero che si deve lasciare più spazio ai giovani, è vero anche che moltissimi forse troppi di noi non si interessano per nulla, o veramente poco. Secondo me sbagliano: in in dei conti si tratta del nostro Paese, e di una cosa che riguarda tutti noi senza distinzioni. Magari a volte tendiamo a sentirci esclusi dalla presenza degli adulti in politica, forse troppo ingom-brante; una via di mezzo sarebbe opportuna. Intendo dire che dovrebbe es-serci qualcuno con più anni di esperienza politica che possa dare una mano ai ragazzi. Purtroppo, per ora, alla luce della scarsa partecipazione, questo è solo un sogno».

–Secondo te da cosa è motivato questo interesse ridotto, accompagnato da una scar-

sa partecipazione?

«Io credo che se anche c’è un interesse, questo è più supericiale che altro, o comunque settoriale, circoscritto a determinati ambiti della nostra politi-ca. Molti infatti pensano di non essere toccati dalle questioni politiche e la voce di noi ragazzi si sente solo in occasioni gravi. Tante volte penso siano anche le famiglie a non incoraggiare il dialogo sulla politica tra i ragazzi, o comunque alla base di questi comportamenti ci sono dei pregiudizi forti – e purtroppo non sempre infondati – sulla nostra politica. Il considerarla una cosa “marcia”, tutta una serie di comportamenti scorretti che sono stati per-petuati... io penso siano anche queste le cause che comportano una scarsa partecipazione alla vita politica. Ma sentire “mi fa schifo”, mi fa veramente innervosire: se c’è una cosa che manca, e che secondo me aiuterebbe, è lo spirito di appartenenza al nostro Paese».

MARIKA: –Qual è invece, Marika, il tuo interesse verso la

politica? Pensi di partecipare attivamente?

«Sinceramente non mi interessa molto la politica, soprattutto quella italiana. So che è un po’ brutto da dire, ma mi sento più ‘presa’ dalle elezioni presidenziali de-gli Stati Uniti. Parlando dell’Italia, quel-lo che più mi interessa sono le questioni sociali; in realtà, io un interesse verso la politica lo nutro, ma non me ne interesso veramente, perché penso di essere troppo giovane per poter fare veramente qualcosa. Io ho la mia idea, e la esprimo, se capita l’occasione, magari a scuola nei dibattiti, ma non ho un interesse come quello di Sara».

–Quindi quali sono secondo te le cause della scarsa partecipazione di noi giovani alla

vita politica?

«Beh, come ho appena detto, in particolar modo ci sentiamo troppo pic-coli, forse, per credere di poter cambiare veramente qualcosa, o per poter farci valere. In secondo luogo, perché non ci sentiamo coinvolti, perché non sentiamo nostra la politica italiana. La percepiamo come qualcosa di distante, staccata, legata a delle persone che non sempre rappresentano i nostri ideali. E talvolta non viene promosso nemmeno il dialogo politico, tra noi giovani».

–Entrambe avete parlato di dialogo politico... la scuola dovrebbe plasmare prima la perso-

na che lo studente, e soprattutto un cittadino, prima che studente; che ruolo gioca, a vostro

avviso, la scuola nella promozione della partecipazione e del dialogo politico dei giovani?

«Sinceramente assai scarsa. La scuola purtroppo, nella stragrande maggio-ranza dei casi si soferma troppo sullo studio e sulla rendita di noi ragazzi, più che sulla nostra formazione come persone. L’educazione civica sembra quasi del tutto scomparsa dalle ore scolastiche, come ore dedicate al dibat-tito di temi di attualità che, involontariamente, ricadono su questioni di tipo politico. Ora, quello che ci vorrebbe, secondo noi, non sono tanto le assemblee d’Istituto, quanto almeno due orette a settimana dedicata ad un dialogo costruttivo tra gli studenti di una medesima classe, per incentivare appunto la formazione di noi ragazzi. Il dialogo è sempre e comunque un momento di crescita costruttiva per tutti, proprio come il confronto».

◆ LUCA MAGGIO ZANON

–Che cos’è l’educazione civica?

«Una sorta di educazione alla cittadinanza che cerca di far comprendere ai cittadini i propri di-ritti e doveri. In particolare, per le scuole superiori l’insegnamento di questa materia si focalizza sui principi di cittadinanza, ora estendibili inevitabil-mente anche all’Unione Europea, contenuti all’in-terno della Costituzione».

–Quanto e come viene insegnata a scuola?

«Purtroppo non tantissimo. In alcune scuole ne è previsto l’insegnamento in quanto materia d’in-dirizzo, nei licei invece manca questo aspetto; dovrebbe essere insegnata insieme alla storia o alla geostoria, ma in questo caso ricoprirebbe una piccolissima parte del monte ore. Sarebbe preferi-bile che venissero inserite almeno una o due ore di diritto alla settimana in qualsiasi indirizzo sco-lastico».

–Perché secondo lei viene così poco valorizzata?

«Bella domanda: da un lato perché i licei tendo-no già ad avere un carico di lavoro piuttosto ele-vato e dunque potrebbe sembrare un ulteriore aggravamento, dall’altro penso invece che si sot-tovaluti l’importanza di formare buoni cittadini, scopo fondamentale di questa materia se insegnata bene».

–Che obiettivi si pone nei confronti degli alunni?

«Sicuramente l’obiettivo principale è quello di far conoscere agli allievi i limiti del proprio agire quo-tidiano, di aiutarli a muoversi all’interno della so-cietà in maniera consapevole».

–La scuola della Repubblica che ruolo dà a questa ma-

teria?

«Sicuramente la nostra è una Costituzione all’a-vanguardia, ne prevede l’insegnamento, però è compito dei vari governi capirne l’importanza reale e di conseguenza inserirla nel piano degli studi. Resta comunque una materia ancora un po’ nell’ombra, trova spazio soprattutto all’interno di altre materie».

–Come si è evoluta negli anni e quali sono i risultati?

«La situazione è sempre stata più o meno questa: l’educazione civica viene insegnata soprattutto alle scuole medie, nei licei è quasi inesistente. Per quanto riguarda la mia esperienza personale all’u-niversità, avendo scelto appunto la facoltà di giu-risprudenza, mi sono scontrata con un linguaggio molto tecnico e complicato, dunque sarebbe stato più utile aver appreso le nozioni fondamentali in precedenza. Si tratta di un arricchimento culturale e ritengo che ci possa essere una risposta positi-va anche da parte delle famiglie che gradirebbero questo insegnamento. L’educazione civica deve es-sere insegnata bene e con passione, poiché nel mo-mento in cui viene trasmesso un sapere, lo si può infondere alle altre persone. Alla base di una so-cietà vi è l’istruzione, la cultura; più se ne possiede, più si è liberi e più la comunità è ben formata».

◆ CAROLINA STABILE

45,7% intascato dalla monarchia. Il 13 giugno 1946 l’ormai ex re Umberto II lascia volontariamente il paese diretto a Cascais, in Portogallo. Contempo-raneamente si svolgono le elezioni per l’Assemblea Costituente, che si riunisce per la prima volta il 28 giugno 1946 con l’obiettivo di dare all’Italia una Costitu-zione. All’interno di essa i tre maggiori raggruppamenti risultano essere la DC con 207 seggi, il PSIUP con 115 seggi e il PCI con 104. Durante la prima seduta l’Assemblea elegge a Capo Provvisorio dello Stato il liberale Enrico De Nicola, con 396 voti su 501 al primo scrutinio. Tra il 1946 e il 1948 si susseguono ben tre governi De Gasperi e nell’ultimo di questi il PCI e il PSI si portano ferma-mente all’opposizione.

Il 1° maggio 1947, a Portella della Gine-stra, in occasione della festa dei lavorato-ri si riuniscono circa duemila contadini per manifestare contro il latifondismo e festeggiare la vittoria del Blocco del Po-polo, la coalizione raggruppante il Par-tito Comunista e quello Socialista, nelle recenti elezioni per l’Assemblea Regio-nale Siciliana. All’improvviso dai mon-ti partono sulla folla raiche di mitra che lasciano sul terreno undici morti e ventisette feriti. Nel mese successivo nel palermitano si susseguono vari attentati con mitra e bombe a mano alle sedi del PCI e la CGIL proclama lo sciopero ge-nerale, accusando i latifondisti di voler “sofocare nel sangue le organizzazioni dei lavoratori”. Successivamente i col-pevoli saranno individuati nella banda di Salvatore Giuliano, ex colonnello dell’E.V.I.S.; il rapporto di allora dei carabinieri fa riferimento ad “elementi reazionari in combutta con i maiosi”. Intanto, il 22 dicembre 1947 l’Assemblea Costituente approva la Costituzione con larghissima maggioranza, la quale entra uicialmente in rigore il 1° gennaio 1948. Si svolgono le elezioni politiche in cui vince la DC con il 48,5%, mentre il Fron-te popolare (PCI e PSI) arriva al 31%. L’11 maggio il liberale Luigi Einaudi viene eletto Presidente della Repubblica e il 23 sale al governo De Gasperi per la quinta volta, con una maggioranza di centro-destra. Le tensioni tra comunisti e forze reazionarie, tuttavia, si acuiscono. Il 14 luglio 1948 Palmiro Togliatti viene ferito da tre colpi di pistola sparati a distanza ravvicinata, all’uscita da Montecitorio, in compagnia di Nilde Iotti: il Paese è sull’orlo di una guerra civile, ma leggen-da vuole che la vittoria di Bartali al Tour de France arrivi provvidenziale a stem-perare gli animi, tanto più che Togliatti sopravvive. Ma l’attentato non è senza conseguenze: si susseguono infatti nu-merose e violente manifestazioni in tutta Italia, la circolazione ferroviaria si blocca e a Torino gli operai FIAT arrivano a se-questrare nel suo uicio l’amministrato-re delegato Vittorio Valletta.

IL BOOM ECONOMICO E LA NASCITA DI STAY BEHIND

Il 4 aprile 1949 viene irmato a Washing-ton il Patto Atlantico a cui l’Italia ade-risce in da subito, diventando uno dei Paesi fondatori della NATO. Dinnanzi all’allargarsi del consenso popolare del PCI di elezione in elezione, all’acuirsi della Guerra Fredda tra USA e URSS e ai fermenti rivoluzionari comunisti inter-ni mai sopiti, la Democrazia Cristiana al governo e le altre formazioni conserva-trici, coadiuvate con gli Stati Uniti e la NATO, si compattano in chiave antico-munista. Con l’obiettivo di contrastare un’eventuale invasione dell’Europa Oc-cidentale da parte dell’Unione Sovietica e degli altri Paesi del Patto di Varsavia, nonché di prevenire un ipotetico tenta-

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4 LA MEMORIA STORICA

GIORGIO CARLET, classe 1941, è stato consigliere comu-nale per il Partito Comunista di Cervignano per cinque anni, dal 1970 al 1975, periodo tutto sommato non parti-colarmente diferente da quello che stiamo vivendo ades-so e che vide lo scoppio di attacchi terroristici, attentati e colpi di Stato. Erano gli anni della prima Repubblica.

–Qual era la situazione politica e quali pareri politici venivano

sostenuti a quel tempo a Cervignano?

«Subito dopo la guerra, il sindaco che era stato eletto a Cervignano faceva parte del Partito Comunista, si chia-mava Alfredo Lazzaro. Dopo un periodo di alternanza tra partiti, al governo è salita la Democrazia Cristiana, con la maggioranza politica ino al 1975.Una volta alla settimana ci si riuniva come partito per par-lare dei problemi del paese e dell’Italia. In occasione delle riunioni del consiglio comunale ci si incontrava con tre giorni di anticipo per discutere l’ordine del giorno dei dibattiti che sarebbero avvenuti in Comune. Noi eravamo l’opposizione alla maggioranza a capo di Cervignano, ma su alcune cose si andava d’accordo: si cercava sempre di arrivare ad un punto comune. Alla ine ho lasciato il ruolo da consigliere comunale perché sono andato a lavorare in cartiera e con una famiglia e tre igli non avevo molto tempo da dedicare alle faccende politiche. Ma quella volta tutti avevano un altro lavoro: anche l’assessore lavorava e se faceva qualcosa per la politica di Cervignano era a tempo perso. C’era anche tanta gente che si dava da fare per il paese, non come al giorno d’oggi. Allora si facevano riunioni con i giovani, c’era il tesseramento, veniva da Udine il segretario regionale per dare una dritta su cos’era la politica in regione e cos’era quella nazionale: era un mondo diverso, si era aggiornati su tutto quello che succedeva. Adesso sì, c’è la televisione, ma non si presta attenzione a tutte le discussioni, i motivi e i perché dei fatti che accadono.Con gli amici con pareri politici diversi si discuteva e ognuno portava avanti le proprie ragioni: i libri che arrivavano o le riviste anticomuniste americane che raccontavano quello che succedeva nell’Unione Sovietica ci facevano aprire gli occhi. Come le riviste della Selezione dal Reader’s Digest: testi che mettevano in discussione quello che succedeva in Unione Sovietica.In quegli anni poi ero quasi sempre nei seggi a fare lo scrutatore e anche lì notavo che c’era più partecipazione da parte della comunità: erano anni in cui ci si dava da fare.Mia moglie dice sempre “tu eris simpri fur” (eri sempre fuori) ma non ero l’unico: anche gli altri uomini e mariti uscivano frequentemente per andare a sentire il consiglio comunale. Quando in Comune veniva esposta la bandiera, invece di parlare senza cognizione di causa, si andava in consiglio comunale per informarsi. Si sentivano i pareri di una parte e quelli dell’altra e così ci si faceva delle idee. Adesso non va più nessuno a sentire i consigli comunali.Ci sono poi quattro o cinque articoli della Costituzione importanti che bisognerebbe sapere. Io ho un libretto con la Costituzione Italiana: una volta lo davano a tutti, c’era anche più disponibi-lità da parte del Paese nell’educazione delle persone alla politica.».

–Come venivano visti gli attacchi e le stragi di quegli anni?

«Nel ’60 Tambroni era stato eletto dopo una lunga crisi del governo e aveva l’appoggio dei fascisti. In seguito ci sono stati morti a Genova, a Modena: era vivo ancora il dopoguerra, erano passati solo una quindicina d’anni dalla ine del conlitto bellico ma il ricordo della gente era ancora vivo. A quel tempo lavoravo nel cotoniicio di Gorizia e ricordo che era stato occupato per due giorni. Io ero riuscito a tornare a casa ma gli altri che avevano il turno il giorno dopo son stati trattenuti per lo sciopero; era uno sciopero politico contro il Governo. La maggior parte degli scioperi era-no politici allora. Erano periodi pericolosi e gli Americani hanno sempre cercato di inanziare gli anticomunisti; per questo si era sempre con le orecchie tese a seguire tutti gli avvenimenti e si cercava di aiutarsi difendendo le sedi del partito. Certe giornate importanti infatti, come ad esempio il primo maggio o il 25 aprile, si andava in quattro o cinque di noi a sorvegliare la sede del partito in dalla notte precedente perché, sebbene fosse un piccolo paese, anche qua a Cervi-gnano c’erano ‘fascistelli’ che combinavano qualche stupidaggine.Non solo da noi ma in tutte le sedi d’Italia c’erano persone disposte ad andare a far la guardia. C’era la partecipazione del popolo! Si può comunque dire che qui a Cervignano erano anni calmi: nei paesi qui attorno non c’era troppa paura come nelle grandi città. Gli anni Settanta erano gli anni delle Brigate Rosse: erano violenti, estremisti e ammazzano innocenti. E poi c’erano i terrori-sti neri. Questi piazzavano bombe dove c’erano comizi sindacali, o nelle stazioni. Le stragi di Piaz-za Fontana, quella di Piazza delle Loggia a Brescia, la strage del treno Italicus o quella a Bologna sono tutte opera dei neofascisti. La cosa che fa venire i brividi è che a compiere queste stragi erano persone che potevano essere molto più vicine a noi di quanto si potesse credere. Nella strage di Peteano, avvenuta qui vicino nel ’72 era coinvolto il maestro della scuola elementare di mio iglio».

–Un fatto quasi ironico è che tu eri un comunista in una famiglia di democristiani convinti, perché avevate idee

ideologiche così diverse? Com’era vista questa scelta dalla tua famiglia?

«Solitamente i igli tendono a seguire le idee politiche dei genitori: io ho sempre creduto che i miei fossero esagerati. Mi obbligavano a pregare, a fare il rosario, a fare il chierichetto, ma a me non pia-ceva; forse più di tutto non mi piacevano gli obblighi. Di solito con gli amici si andava a scherzare e a ridere e poi si andava sul retro della chiesa per vedere chi predicava la messa. Un giorno, avevo tredici anni e abitavo con i miei genitori e le mie sorelle in Capoia, mio padre mi chiese se ero stato a messa, ma io risposi che non ero andato: iniziò a insultarmi e io, stufo, gli bestemmiai in faccia. Mi rincorse per tutta la via e arrivammo ino al campo sportivo!Un anno dopo iniziai a lavorare e l’ambiente di lavoro era pieno di vecchi partigiani ed ex prigio-nieri di guerra: gente che a causa del fascismo era stata mandata in Francia, in Russia o in Grecia per anni. Grazie a loro mi sono fatto un’idea personale sentendo le storie che mi raccontavano. Pian piano le mie idee diventavano di sinistra. Prima mi avvicinai al socialismo, ma le idee di quello schieramento politico erano più malleabili di quelle del PCI, che mi sembravano più forti e giuste. A 23 o 24 anni mi sono iscritto nel PCI. Ho sempre fatto barufa con mio padre: ‘mate-rialista!’ mi diceva, ‘e tu tu ses un bigot’ (e tu sei un uomo di chiesa) gli rispondevo.

–Concludo con una domanda di fondo: come ha cambiato la vita di questo Paese la politica e che ruolo ha nella

nostra vita adesso?

«Adesso la politica non ha un ruolo signiicativo nella nostra vita. L’altro giorno in tv c’era un giovane che si era preparato a rispondere a tutte le domande di un quiz: dopo anni e anni di scuola, non sapeva neanche chi fosse il presidente della Repubblica! Purtroppo alla gente interes-sa sempre meno farsi una cultura politica, anche perché ha perso la iducia nelle classi dirigenti dopo tutti questi anni di malgoverno».

◆ GIULIA BONIFACIO

RICORDI DALLA PRIMA REPUBBLICA

tivo rivoluzionario comunista guidato dal PCI, viene creata in Italia con l’appoggio degli USA e della NATO l’Organizzazio-ne Gladio, un’organizzazione paramilitare clandestina che nel resto dell’Europa occidentale assumerà il nome Stay-behind: essa opererà in funzione anticomunista attraverso atti di sa-botaggio, guerra psicologica, spionaggio, guerriglia e false lag. L’Organizzazione è gestita da speciici reparti dei servizi segre-ti italiani, avvallata dalla dirigenza della DC – soprattutto da esponenti come Giulio Andreotti, Paolo Emilio Taviani e Fran-cesco Cossiga – e arruola la sua forza manovale nei vari livelli della società. Il ruolo di Gladio nella storia italiana è tuttora ampiamente discusso, ma è ormai acclarato che alcuni settori dell’organizzazione (non tutti, e forse nemmeno la maggioran-za) siano stati coinvolti”, attraverso indicibili contatti con for-mazioni terroristiche di estrema destra, nella cosiddetta “stra-tegia della tensione. L’espressione indica una strategia politica mirante a creare uno stato costante di tensione e di paura nella popolazione tramite atti terroristici premeditati, tali da far giu-stiicare o auspicare svolte politiche di stampo autoritario: una stagione che caratterizzerà principalmente gli anni ‘70 e ‘80, ma alcuni strascichi sono arrivati ino agli anni Novanta. D’al-tronde i fermenti nell’“area rossa” sono notevoli: il 30 giugno 1960, contemporaneamente alla crisi del Governo Tambroni, a Genova una manifestazione indetta dalla Camera del lavoro e dall’opposizione di sinistra contro il sesto congresso dell’MSI, che si sarebbe dovuto tenere a breve nella città, esplode in vio-lenti scontri con le forze di polizia. Ma negli anni Novanta si scoprirà che anche il PCI aveva una sua “Gladio”, un apparato paramilitare clandestino attivo dal 1945 ino almeno al 1974. La paura e la psicosi di una imminente rivoluzione rossa arriva a tal punto da indurre alcuni settori delle forze dell’ordine a progettare dei tentativi di colpo di Stato. Il primo di questi, il cosiddetto Piano Solo, viene ideato dal generale Giovanni De Lorenzo, capo dei Carabinieri, e si propone di assicurare all’Arma il controllo militare dello Stato tramite l’occupazione dei “centri nevralgici”, nonché attraverso il prelevamento e il rapido allontanamento di 731 persone del mondo della politi-ca e del sindacato considerate “pericolose”. Il golpe dovrebbe attuarsi in occasione della crisi del 1964 del primo governo di Aldo Moro, il primo di centro-sinistra della Repubblica italia-na, sperando nell’appoggio del Quirinale all’epoca guidato dal conservatore Antonio Segni, ma alla ine la crisi di governo si risolve con un nuovo patto tra Moro e PSI e la creazione di un Governo Moro II: il Piano decade automaticamente. Nel frattempo tra gli anni ‘50 e gli anni ‘60 scoppia il “boom eco-nomico” e si realizza il “miracolo economico italiano”, segnando un periodo di crescita economica e di forte sviluppo tecnologico. La Fiat 500, la Vespa, la Lambretta, la lettera 22 Olivetti e la moka Bialetti diventano simboli internazionali del design e dell’indu-stria italiana, creando all’estero il mito della “dolce vita” italiana, alimentato anche dal grande cinema di registi come Fellini, Vi-sconti, Rossellini, De Sica e di attori come Alberto Sordi, Totò, Gina Lollobrigida, Vittorio Gassman, Nino Manfredi, Anna Magnani, Ugo Tognazzi, Claudia Cardinale, Marcello Mastro-ianni, Sophia Loren. A portare l’Italia sul palcoscenico del mon-do sono anche le Olimpiadi di Roma del 1960, una delle edizioni dei Giochi Olimpici meglio riuscite in assoluto.

GLI ANNI DI PIOMBOProtagonista dello sviluppo tecnologico ed economico italiano è anche Enrico Mattei, presidente dell’ENI, il quale attraverso politiche indirizzate verso il Medio Oriente e il Nord Africa fa dell’azienda una multinazionale del petrolio di taratura inter-nazionale. Mattei muore in un misterioso incidente aereo il 27 ottobre 1962 mentre torna a Milano da Catania, in circostanze ancora da chiarire, ma molto probabilmente a causa dell’esplo-sione in volo di un ordigno piazzato sul velivolo. Quasi un’antici-pazione della terribile stagione che si apre alla ine degli anni ‘60. Tutto inizia con il 1968, segnato da grandi manifestazioni studente-sche e operaie, e soprattutto con l’autunno 1969, il cosiddetto “autun-no caldo”, caratterizzato da violente lotte sindacali operaie. In questo clima di scontro nascono movimenti extraparlamentari di estrema sinistra (Brigate Rosse, Lotta Continua, Autonomia Operaia, GAP, Prima Linea, Potere Operaio) e di estrema destra (Ordine Nuovo, Ordine Nero, Avanguardia Nazionale, Fronte Nazionale, NAR). La “paura” della salita al governo del Partito Comunista si fa ancora più reale a causa del processo politico di riavvicinamento e distensione tra DC e PCI, attuato negli anni ‘70 dal segretario comunista Enrico Berlinguer e dal presidente democristiano Aldo Moro, il così-chia-mato “compromesso storico”; nel frattempo il PSI si è già spostato su posizioni più moderate e centriste, dando così vita a governi di centro-sinistra insieme alla sinistra della DC, grazie all’azione dei so-cialisti Pietro Nenni e Giuseppe Saragat e dei democristiani Aminto-re Fanfani e del già citato Moro. Il punto di rottura è il 12 dicembre 1969, quando un ordigno esplosivo contenente 7 chili di tritolo esplode all’interno della Banca Nazionale dell’Agricoltura, in piazza Fontana a Milano, uccidendo 16 persone e ferendone 87. In un primo momento vengono accusati dell’attentato gli anarchici; Giuseppe Pinelli, ferroviere e animatore del circolo anarchico Ponte della Ghi-

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LA MEMORIA STORICAIL RIASSETTO ISTITUZIONALE:

PIETRO FARAGUNA è attual-mente assegnista di ricerca in diritto costituzionale presso l’Università di Ferrara. Laure-ato all’Università di Trieste nel 2007, ha conseguito il dottora-to presso l’Università di Ferra-ra. Nel corso del dottorato ha frequentato il Seminario di Studi e Ricerche Parlamentari e ha svolto un periodo di ricer-ca sui limiti alla revisione co-stituzionale nell’ordinamento tedesco presso la Goethe Uni-

versität di Frankfurt. Successivamente al conse-guimento del dottorato, è stato assegnista di ricerca presso l’Università di Udine. Tra i suoi interessi di ricerca vi sono il diritto elettorale, le azioni positive, le immunità politiche, il principio di laicità, l’impatto della crisi economica sulla rule of law, la riforma del bicameralismo. Il ilone princi-pale delle sue ricerche è lo studio dell’identità costituzionale, sia nei suoi proili interni che esterni. In questo campo ha pubblicato la monograia I conini della Costituzione. Principi supremi e identità costituzionale e numerosi articoli in riviste nazionali e internazionali».

–Negli ultimi mesi, nel nostro paese, si sta molto dibattendo riguardo a un nuovo

assetto istituzionale, perché è necessario e in cosa consiste?

«La riforma costituzionale che tra poche settimane giungerà al suo ulti-mo passaggio parlamentare, con la seconda deliberazione delle Camere, coinvolge diversi istituti, ma quello probabilmente centrale è il supera-mento del bicameralismo paritario. Oggi Camera e Senato hanno più o meno la stessa natura e le stesse funzioni. Con la riforma si vogliono attribuire al Senato, la cui natura diventerebbe quella di rappresentan-za delle istituzioni territoriali, funzioni diverse rispetto a quelle della Camera dei deputati. Oltre a questo punto, già molto importante, ve ne sono altri che hanno a che fare con una riforma del procedimento di approvazione delle leggi. Non entro qui nelle tecnicalità, ma l’idea di fondo della riforma è cercare di rendere il meccanismo di approvazione delle leggi più funzionale, ponendo limiti più eicaci a degenerazioni anche gravi che abbiamo conosciuto negli ultimi decenni, con una pre-ponderanza di legislazione emergenziale, sostanzialmente nelle mani del Governo. Oltre a questo vi è il punto, molto sentito in un dibattito pubblico spesso esasperato nei toni, della riduzione del numero dei par-lamentari, dell’abolizione del CNEL e del superamento delle Province. Inine, tra i punti più importanti della riforma, si rimette mano alla distribuzione delle competenze legislative tra Stato e Regioni che, dopo le modiiche del 2005, ha creato molti problemi di gestione e un impo-nente contenzioso costituzionale davanti alla Corte».

–In che termini il Senato si rinnoverà? Come ci coinvolge questo cambiamento

da cittadini?

«Per prima cosa ne cambia la natura, che diventerà di rappresentanza delle istituzioni territoriali, secondo un modello che è molto difuso negli Stati federali. A questo è collegata la trasformazione del modo di composizione del Senato. Non più organo direttamente elettivo, ma i cui componenti saranno eletti dai Consigli regionali, secondo mo-dalità che però devono ancora essere deinite nel dettaglio. A questa diversa natura sono collegate quindi funzioni diverse. Il primo punto, fondamentale, è che il nuovo Senato non è più inserito nel legame idu-ciario, che è quello che dà legittimazione al Governo. In altre parole, non potrà ‘mandare a casa il Governo’, a diferenza di oggi. Quindi il suo assenso sarà necessario soltanto per poche e importanti tipi di leg-ge. In altri casi il suo voto negativo potrà essere superato dalla Camera con qualche sforzo aggiuntivo, e in altri casi ancora il Senato non sarà proprio chiamato ad esprimersi».

–Come è nata questa riforma? Si è preso spunto da qualche altro paese?

«In Italia è in corso un dibattito sulle riforme istituzionali che dura da più di 30 anni. I tentativi falliti di riformare l’architettura istituzionale ormai non si contano. E in realtà già subito dopo l’approvazione della Costituzione, molte voci autorevoli avevano riconosciuto che, soprat-tutto per quanto riguarda il Senato, si poteva fare molto di più. Certa-mente si è preso spunto anche dalle esperienze di altri Paesi, ma que-sto se vogliamo era avvenuto anche con la Costituzione del 1947, è del tutto normale rifarsi a esperienze costituzionali di altri ordinamenti quando si scrive o si modiica una Costituzione. C’è da dire però che laddove ‘si copia’ da altri, è sempre necessario adattare gli istituti alla realtà del Paese ove si importano. E nella vicenda della riforma costi-tuzionale in discussione credo abbia pesato moltissimo la riforma della legge elettorale, che non è una parte della Costituzione, ma che ne ha condizionato fortemente i contenuti e gli esiti. Per farla semplice, credo che sia stata la riforma elettorale ad avere dettato la necessità impre-scindibile di giungere alla riforma costituzionale in questa legislatura e non il contrario, come invece la gerarchia delle fonti del diritto, che vede la Costituzione al gradino superiore e la legge elettorale al gradi-no inferiore, vorrebbe».

–Si parla molto anche delle Province e della loro abolizione, ci può spiegare bene

cos’è successo?

«Le Province sono andate incontro a un processo graduale di ‘supera-mento’ (parola preferita ad altre come abolizione, cancellazione, eli-

minazione, emotivamente più ingombranti, ma che descrivono meglio quello che avviene). Siccome le Province sono attualmente contemplate dalla Costituzione come enti costitutivi della Repubblica, non poteva essere la legge ordinaria a prevederne l’eliminazione. Si è pensato dun-que di trasformarle dapprima in enti più ‘leggeri’, non direttamente elettivi, e composti da organi assai meno folti. Con la riforma costitu-zionale, si prosegue questo disegno, espungendole dalla Costituzione».

–Come sarà organizzato il nuovo territorio regionale?

«In estrema sintesi tra la Regione e i comuni vi saranno enti di area vasta caratterizzati da una natura funzionale e non di rappresentan-za democratica di una comunità locale. Gli enti intermedi, articola-ti diversamente a seconda delle speciiche realtà, e in modo del tutto particolare in FVG, stante la sua autonomia speciale in materia, non saranno perciò direttamente elettivi, e serviranno a coordinare eser-cizi di funzioni per cui i Comuni sono troppo piccoli e le regioni sono troppo grandi».

–Quale organismo si farà carico dei compiti che spettavano alla Provincia?

«La questione non è semplice da descrivere in poche parole ma, sem-pliicando un po’ la questione, l’idea è che le funzioni passino al livello superiore, quello regionale, o inferiore, comunale, a seconda di quale sia il livello al quale possono venire meglio esercitate. Tra i due piani rimarrà l’intermediazione di enti di area vasta, non più eletti diret-tamente e perciò democraticamente rappresentativi di una comunità territoriale, ma funzionalmente organizzati. Laddove istituiti, tali enti saranno costituiti dalle Città metropolitane, a cui in FVG si è deciso, per il momento, di rinunciare. Inine bisogna ricordare che i Comuni, già da molto, possono esercitare in forma associata funzioni di inte-resse comune, e questo sarà possibile, forse ancor più necessario, dopo l’approvazione della riforma costituzionale».

–Ci sarà un effettivo risparmio con il nuovo sistema organizzativo?

«Soltanto apparentemente il risparmio è un dato numerico e come tale incontestabile. La questione è che per calcolare il risparmio bisogna deinire i costi che si prendono in considerazione e l’unità temporale entro i quali i costi vengono misurati. Hanno probabilmente ragione coloro i quali afermano che nel breve periodo il superamento delle Province costerà più di quel che si risparmierà (perché si risparmie-rà, nel breve periodo, ben poco, ovvero le indennità di Consiglieri e assessori provinciali, che non è che andassero in giro in Maserati). La riforma guarda però non solo al domani, ma anche al dopodomani, e nelle sue intenzioni vuole dare vita a un’architettura istituzionale me-glio congegnata rispetto a quella che conosciamo oggi, ove decisioni e soluzioni amministrative sono più eicienti, e in questo senso, fanno risparmiare. Se questo obiettivo verrà raggiunto, temo che lo scoprire-mo solo vivendo».

–Riguardo invece l’accorpamento dei comuni cosa ci può dire?

«L’Italia è un Paese la cui storia è senza dubbio radicata fortemente in una gloriosa tradizione municipale. Vi è però da dire che ci sono, soprattutto in alcune aree del Paese, moltissimi comuni di limitatis-sime dimensioni, così limitate da rendere quasi impossibile esercitare le funzioni fondamentali di quei Comuni in maniera eicace. Perciò è ragionevole pensare che un ripensamento dell’infrastruttura istituzio-nale del Paese passi anche attraverso la riduzione del numero dei Co-muni. Certamente ogni territorio ha le sue speciicità: il percorso ideale sarebbe quello che parte dal basso, nel quale sono gli stessi Comuni ad avviare forme di collaborazione, che possono limitarsi all’esercizio associato di funzioni (si pensi ai trasporti, alla raccolta di riiuti, alla pulizia delle strade...) ino ad arrivare alla loro fusione. Ho l’impres-sione però che questo percorso ideale, che nasce dal basso, sia stato validamente intrapreso in pochissime realtà. E dopo molti anni credo sia inevitabile, quando le cose non si muovono dal basso, che giungano le decisioni dall’alto».

–A livello regionale la questione è abbastanza “spinosa” se non sbaglio...

«In FVG la situazione è spinosa per vari motivi. Innanzitutto perché parliamo di una regione a Statuto speciale, avente una competenza primaria in materia di ordinamento degli enti locali. Non può quindi essere lo Stato a decidere come riorganizzare i vari livelli di governo all’interno del FVG. La riforma costituzionale, perciò, non si applica tale e quale, ma deve essere “mediata” dall’autonomia regionale. In FVG, ove a dire il vero le cose si sono mosse per tempo, la situazione è poi intricata per la grandissima varietà di un territorio la cui esten-sione è tutto sommato limitata, e la cui popolazione è assai ridotta se confrontata alla maggior parte delle altre realtà italiane ed europee. Forte eterogeneità e speciicità locali sono un connubio molto diicili da gestire per chi deve prendere decisioni a livello regionale, perché è molto molto diicile che la stessa soluzione sia contemporaneamente adatta ai piccoli Comuni del tarvisiano da una parte e dall’altra al Co-mune di Trieste e Comuni limitroi».

–Cosa comporterebbe e che differenze avremmo con l’accorpamento di più comuni?

«Il punto fondamentale è che si possono sfruttare economie di sca-le nell’esercizio delle funzioni. Fornire lo stesso servizio in una real-tà molto piccola costa molto di più che fornirlo in una realtà con un dimensionamento più appropriato. Certamente le decisioni sarebbero prese a un livello ‘più lontano’ e non potremmo bussare alla porta del nostro vicino, consigliere comunale, per lamentarci del fatto che una determinata collocazione dei bidoni delle immondizie non ci va a ge-nio. Ma è tutto da vedere che questo sia un difetto».

◆ FRANCESCO PERUSIN

IL PUNTO SULLE RIFORMEsolfa, il 15 dicembre viene arrestato e interrogato dalla polizia. Durante l’interroga-torio, che si svolge al quar-to piano della Questura, precipita misteriosamente dalla inestra e muore. La responsabilità della mor-te dell’anarchico ricade sul commissario Luigi Calabre-si, incaricato delle indagini della strage del 12 dicembre, il quale viene assassinato il 17 maggio 1972 da militanti di Lotta Continua dopo una campagna d’odio alimen-tata dalla stampa radicale, culminata nel manifesto apparso su L’Espresso il 13 giugno 1971 e irmato da 800 intellettuali; nella lette-ra Calabresi viene deinito «commissario torturatore». In seguito verrà accertata la totale estraneità di Pinelli dai fatti di piazza Fontana (la strage sarà infatti attri-buita a estremisti di Ordine Nuovo), nonché l’assoluta innocenza di Calabresi ri-spetto alla morte di Pinelli: troppo tardi per entrambi. Per tutti gli anni ‘70 si sus-seguono attentati attribuiti alternamente a estremisti di destra e di sinistra, ma la cui dinamica non è mai stata del tutto chiarita. Il 22 luglio 1970 a Gioia Tauro viene fatto deragliare tra-mite un’esplosione un treno, provocando sei morti. Il 15 marzo 1972 viene ritrova-to accanto ad un traliccio dell’ENEL a Segrate il cor-po di Giangiacomo Feltri-nelli, fondatore dei GAP e dell’omonima casa editrice, probabilmente morto men-tre cercava di far saltare in aria il traliccio stesso. Il 31 maggio 1972 a Peteano, in provincia di Gorizia, viene fatta esplodere una Fiat 500 abbandonata sul ciglio della strada, uccidendo tre carabi-nieri. I colpevoli sono estre-misti di Ordine Nuovo, tra cui Vincenzo Vinciguerra. Il 17 maggio 1973, davanti alla Questura di Milano, men-tre si celebra una cerimonia per commemorare il com-missario Luigi Calabresi, a cui assiste anche il Ministro dell’Interno Mariano Ru-mor, una bomba esplode in mezzo alla folla uccidendo quattro persone. I respon-sabili della strage vengono individuati in terroristi di Ordine Nuovo. Il 28 maggio 1974 un ordigno nascosto in un cestino dei riiuti esplo-de in piazza della Loggia a Brescia, mentre si svolge una manifestazione contro il terrorismo neofascista or-ganizzata dai sindacati e dal Comitato Antifascista: otto i morti. I colpevoli vengono identiicanti in militanti di Ordine Nuovo. La notte tra il 3 e il 4 agosto 1974, a bordo del treno Italicus diretto da Roma al Brennero, esplode una bomba durante il tran-sito il località San Benedetto Val di Sambro, in provincia di Bologna, causando dodici

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6 LA MEMORIA STORICA

CARMELINA CALIVÀ è la presidente di Da Donna A Donna, un’associazione ONLUS di volonta-riato che si occupa di violenza contro le donne a livello locale. Situata a partire dal 1997 presso l’ospe-dale di San Polo a Monfalcone, grazie a una legge regionale del 2000 riguardante il potenziamento dei centri antiviolenza ha potuto creare una base autonoma in piazza Giuseppe Furlan a Ronchi dei Legionari. Attualmente, oltre alla sede principale, possiede una casarifugio per le donne che ne necessitano e si occupa di progetti di prevenzione contro i maltrattamenti al femminile. Da Donna A Donna ha inoltre in progetto una collaborazione con i servizi sociali del comune di Cervignano, che le ha oferto la possibilità di aprire uno sportello di ascolto presso le ex scuole elementari di via Roma non appena la ristrutturazione dell’ediicio sarà stata completata.

–Qual è il percorso dei diritti acquisiti dalle donne dal 1946 ad oggi?

«Durante la Seconda Guerra Mondiale le donne assunsero all’interno della società un ruolo diverso rispetto agli anni precedenti: smisero di occuparsi esclusivamente della cura del focolare domesti-co e dell’allevamento dei igli e iniziarono a lavorare fuori dalle proprie case per poter supplire dal punto di vista sia economico sia di gestione familiare alle igure dei mariti impegnati negli scontri bellici. Inoltre molte di loro parteciparono alla Resistenza o come combattenti o svolgendo un fon-damentale ruolo di supporto e assistenza ai feriti e ai più deboli. Dopo la ine delle tensioni, licen-ziate dai propri posti di lavoro per lasciare spazio agli uomini non più occupati militarmente, molte donne cominciarono a ribellarsi alla forma mentis e alle discriminazioni sessuali dell’epoca creando un movimento politicamente attivo per l’emancipazione femminile. Nel 1946, anno del referendum istituzionale monarchia/repubblica, le donne acquisirono per la prima volta in Italia il diritto di voto attivo e passivo che permise l’elezione di ventuno ‘madri’ costituenti come membri dell’Assemblea. Nel 1950 fu promulgata una legge che vietò il licenziamento delle donnemadri ino al primo anno del iglio e introdusse il trattamento economico dopo il parto. Al 1956 risale la legge che sancì la parità

IL PERCORSO DEI DIRITTI AL FEMMINILE

70 ANNI DI SVILUPPI, 70 ANNI DI CONTRADDIZIONI

retributiva tra uomo e donna, al ’63 quella grazie alla quale le donne ebbero libero accesso a tutte le professioni pubbliche. Negli anni ’70 furono aperti i primi centri antiviolenza; nel 1970 fu promulgata la legge riguardo alla legalizzazione dell’aborto; nel 1971 furono istituiti gli asili nido e le scuole ma-terne comunali, prima esclusivamente di stampo cattolico; nel 1975 fu sancita la parità tra i coniugi, nel ’78 fu introdotta nella Costituzione italiana la possibilità di divorzio. Negli anni ’80 nacquero i primi consultori grazie all’intervento del movimento femminista; nel 1981 fu abrogata la legge che attenuava le pene dei responsabili di delitti d’onore e fu abolito il matrimonio riparatore, secondo il qua-le uno stupratore poteva evitare la condanna nel caso in cui avesse sposato la sua vittima, nel 1983 fu stabilita legalmente la parità tra padri e madri nei congedi parentali. Nel 1987 si diede importanza all’indennità di maternità per le madri autonome, nel ’98 per quelle disoccupate. Nel 2010 la legge GolfoMosca ha stabilito che i consigli di amministrazione delle aziende quotate in Borsa abbiano almeno un quinto di componenti donne. Tutte queste innovazioni legislati-ve hanno contribuito al progressivo sviluppo della società: al giorno d’oggi la maggior parte delle donne è autonoma dal punto di vista la-vorativo e inanziario e i bambini hanno maggiori opportunità per so-cializzare e per formarsi culturalmente nelle strutture a loro dedicate».

–Per quanto riguarda la violenza, quali norme sono state adottate per fermare

i numerosi casi di maltrattamenti verso soggetti femminili?

«Ahimè sono tutte abbastanza recenti: solamente nel 1996 la violenza sessuale ha iniziato ad essere considerata un reato contro la persona e non contro la moralità pubblica. Nel 2009 è stato introdotto nella Codice il reato di stalking, termine anglosassone che indica gli atti persecutori; nel 2013, inine, è stata approvata in Senato la legge contro il femminicidio. Nonostante questi decreti, in Italia ogni anno muoiono circa 130 donne per mano di sconosciuti, partner, ex part-ner, fratelli, padri violenti. Le dinamiche delle violenze sono simili tra loro, tanto che gli esperti del campo hanno creato una rappresentazione graica che le riassume: i maltrattamenti avven-gono in un contesto a spirale in cui l’aumento della tensione, l’esplosione delle molestie isiche e il pentimento si ripetono sempre nella medesima sequenza».

–Quali lacune emergono tutt’oggi nel campo dei diritti delle donne?

«Sicuramente la disparità rispetto agli uomini nella rappresentanza politica del Paese e le dif-ferenze tra il mondo maschile e quello femminile in termini salariali e di carriera negli ambiti decisionali dello Stato».

–In media di quante donne si prende cura ogni anno la vostra associazione?

«Annualmente aiutiamo circa 180/190 donne risiedenti nella zona del basso isontino e del cervi-gnanese; si tratta per lo più di italiane, mentre la percentuale delle straniere è minima. Sebbene il numero delle persone che si si rivolge a noi possa sembrare alto, si tratta solo di una parte delle donne che subiscono violenze qui in regione: il Friuli dispone di almeno un centro antiviolenza per ciascuna delle province, senza contare le altre associazioni e i servizi a livello ospedaliero che ope-rano nel settore. Uno dei tipi di violenza di cui ci occupiamo più spesso è quello economico: gli ex mariti si licenziano pur di non provvedere al mantenimento e al sostentamento di ex mogli e igli».

◆ FEDERICA ERMACORA

morti. Come responsabili della strage vengono indicati ignoti apparte-nenti a Ordine Nero. Fra il 1° e il 2 novembre 1975, inoltre, Pier Paolo Pasolini viene picchiato a morte all’Idroscalo di Ostia.

Il 1977 è segnato da numerose proteste e manifestazioni, soprattutto giovanili, nate in seno alla sinistra extraparlamentare. Il 16 marzo 1978 la Fiat 130 che trasporta Aldo Moro dalla sua abitazione a Roma alla Camera dei Deputati viene intercettata da un commando delle Brigate Rosse, che rapisce il presidente democristiano dopo aver uc-ciso la sua scorta. In seguito a cinquantacinque giorni di prigionia nel covo di via Montalcini, Moro viene freddato a colpi di pistola, il suo corpo caricato nel portabagagli di una Renault 4 rossa e questa abbandonata in via Caetani. La mattina di sabato 2 agosto 1980 alla stazione ferroviaria di Bologna scoppia una bomba: ottantacinque i morti. I responsabili vengono individuati nei terroristi di estrema destra Giuseppe Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Cia-vardini dei Nuclei Armati Rivoluzionari. Sempre nel 1980, il 27 giu-gno, un aereo della compagnia italiana Itavia, decollato da Bologna e diretto a Palermo, esplode in volo sopra l’isola di Ustica causando la morte di tutti gli ottantuno passeggeri. Nonostante siano passati trentasei anni, ancora oggi non sono stati individuati né i responsa-bili né la dinamica della strage, malgrado si siano susseguite le più svariate ipotesi, dal coinvolgimento internazionale di caccia francesi, statunitensi e libici al cedimento strutturale, ino all’attentato terrori-stico. A questa situazione si aggiungono gli altri due tentativi di colpo di Stato all’inizio degli Settanta, entrambi falliti: uno di stampo neo-fascista, il Golpe Borghese, organizzato dal “principe nero” Junio Va-lerio Borghese tramite il suo movimento Fronte Nazionale e in stretto accordo con Avanguardia Nazionale, che si sarebbe dovuto svolgere nella notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970; l’altro di stampo liberale e pre-sidenzialista, il Golpe Bianco, promosso da ex partigiani antifascisti e anticomunisti.

DAGLI ANNI OTTANTA AD OGGIIl 17 marzo 1981, in una perquisizione presso una fabbrica di Casti-glion Fibocchi (Arezzo), le forze dell’ordine trovano un elenco con 962 iscritti a una loggia massonica segreta: la P2, guidata dal gran maestro Licio Gelli. Nella lista – oggi ritenuta da molti incompleta – compa-iono nomi eccellenti: ministri, sottosegretari, capi dell’esercito e delle forze dell’ordine, banchieri, imprenditori, giornalisti, personaggi dello spettacolo e tutti i capi dei servizi segreti. La scoperta, che porta alla luce le consorterie e i poteri forti alla guida occulta del Paese, provoca un terremoto, ma non toccherà la sostanza del potere, che negli anni Ottanta sarà saldamente nelle mano del Pentapartito (Democrazia Cri-stiana, Partito Socialista Italiano, Partito Socialista Democratico Ita-liano, Partito Repubblicano Italiano, Partito Liberale Italiano) guidato dal socialista Bettino Craxi e supportato da importanti esponenti de-mocristiani, come Arnaldo Forlani e Giulio Andreotti. Terminata la strategia della tensione, le stragi diventano la irma di Cosa Nostra: il 9 maggio 1978 viene assassinato il giornalista ed atti-vista Peppino Impastato, mentre il 3 settembre 1982 il generale Carlo Alberto dalla Chiesa, prefetto di Palermo, viene ucciso in un agguato insieme alla moglie e ad un agente della scorta. La stagione stragi-sta maiosa culminerà nei primi anni ‘90, dapprima con gli attentati dinamitardi del 1992 di Capaci e di via d’Amelio, che uccidono Gio-vanni Falcone e Paolo Borsellino, oltre che la moglie del primo e le rispettive scorte, e poi con la strage di via dei Georgoili a Firenze e la strage di via Palestro a Milano del 1993, che causano complessiva-mente dieci morti. Il principale capo di “Cosa Nostra” Totò Riina viene arrestato il 15 gennaio 1993, mentre l’altro boss Bernardo Provenzano viene arre-stato solo nel 2006. Nel 1992 prende avvio a Milano l’inchiesta “Mani Pulite”, guidata dai magistrati Antonio Di Pietro, Ilda Boccassini e Gherardo Colombo che porta allo scandalo di Tangentopoli: una se-rie di inchieste giudiziarie condotte a livello nazionale nei confronti di esponenti della politica, dell’economia e delle istituzioni italiane, che porta alla luce un sistema di corruzione, concussione e inanzia-mento illecito ai partiti ai livelli più alti del mondo politico e inan-ziario italiano.

Tra il 1992 e il 1994 spariscono tutti i principali partiti che hanno do-minato la politica italiani per cinquant’anni: dalla Democrazia Cri-stiana al Partito Socialista Italiano, dal Partito Comunista al Partito Liberale ino al Movimento Sociale Italiano: è la ine della Prima Re-pubblica e l’inizio della Seconda. Nuovi partiti prendono il posto di quelli vecchi: Forza Italia di Silvio Berlusconi, il Partito Democratico di Sinistra – poi Democratici di Sinistra – di Achille Occhetto e Massimo D’Alema, la Lega Nord di Umberto Bossi, l’Ulivo di Romano Prodi, Alleanza Nazionale di Gianfranco Fini, la Margherita di Francesco Ru-telli. Ma se quasi tutti i personaggi di allora sono gli stessi di oggi, i loro partiti hanno cambiato nome, si sono trasformati più volte e in alcuni casi sono anche scomparsi: la Seconda Repubblica non ha più i partiti solidi della Prima, le ideologie sono morte e le identità si confondono. E così, dopo vent’anni di “Berlusconismo”, governi tecnici e “delle larghe intese”, eccoci arrivati al Governo Renzi: il 63esimo dalla nascita della Repubblica Italiana.

Sessantatré governi in settant’anni, più o meno uno ogni anno. Di sicu-ro non c’è stato di che annoiarsi.

◆ FILIPPO MEDEOT

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7Pubblicato da poco il suo romanzo d’esordio Cani di città, il nostro concittadino ANDREA FURLAN ci racconta perché ha scelto di intra-prendere questa strada nel mondo della scrittura.

–Studi Medicina e chirurgia. Da cosa deriva la tua pas-

sione per lo scrivere?

«A me è sempre piaciuto leggere, scrivere, in-formarmi. Dopo aver letto i poemi omerici, in particolar modo l’Odissea, ho scoperto di avere una passione per la scrittura, mi piace immagi-nare che dietro ad ogni personaggio ci sia una persona, che come noi ha afrontato dei problemi. Mi interesso a molti generi di lettura: dai racconti di fantascienza sono capace di passare ai Promessi sposi del Manzoni, ino all’animazione nostrana e giapponese, perché a me non è mai piaciuto con-centrarmi su un unico punto di vista. Sono arrivato alla scrittura dopo aver letto diversi libri ed essermi reso con-to di avere le stesse idee che avevano i loro autori, e allora mi sono chiesto perché non potessi provarci io».

–In linee generali, dalla trama al messaggio che hai voluto tra-

smettere, come presenteresti il tuo romanzo Cani di città?

«Per me è un libro anomalo, apparentemente è un ro-manzo di formazione, ma nella realtà direi che la gran parte del libro è basata sull’introspezione e sull’analisi psicologica del protagonista. Il libro è nato come un ten-tativo per rispondere a una domanda: esiste una moti-vazione che ci spinge ad andare avanti? Ognuno ha una propria motivazione: dal desiderio di aiutare gli altri alla volontà di non sembrare inutili agli occhi delle persone che ci vogliono bene. Lucky, il protagonista, si trova ad afrontare questa domanda; all’inizio, ha una rigida vi-sione del mondo, ogni evento ha una causa da cui deri-vano delle conseguenze, crede di essere un ingranaggio

Il 31 marzo il mio amico Andrea è atterrato in Gre-cia e ha raggiunto Idome-ni, città sul conine con la Macedonia.Andrea fa il regista ed è partito assieme a sue due

amici fotoreporter.Sono a Idomeni in uno dei campi profughi e si appre-stano a seguire e documentare il percorso degli esodati.Due settimane con i piedi nel fango. Fango politico, fan-go economico. Andrea è partito di tasca sua, senza sponsor, con uno spirito che ammiro per il coraggio, la disponibilità verso il prossimo e la concretezza.

OLTRE LO SP CCHIOEOLTRE LO SP CCHIOE

che fa girare la grande ruota del mondo. Ma nella realtà, grazie alla sua pazzia di cui non faccio menzione, sco-pre che il suo essere non coincide con il mondo logico che aveva immaginato. Scopre che spesso la disonestà è la via più facile da seguire per raggiungere i propri obiettivi, scopre che il mondo non è go-

vernato da chissà quale sistema, ma è illogico, lui stesso diventa insensato,

egoista. Alla ine la domanda che si pone Lucky è sempre la stessa, si chiede se esista una ragione che ci spinge ad andare avanti; alcuni riescono a trovare la propria ra-gione di vita, per altri è la stessa ricerca che diventa la motivazione».

–Si può dire che il tuo sia un messaggio di speranza?

«Sicuramente, non vale la pena mollare, se non si rag-giunge l’obiettivo, questo non signiica che il viaggio sia sprecato. Penso che questo sia il tema sostanziale del li-bro: c’è chi ha la strada facile, ma questo non signiica che la strada non valga la pena di essere afrontata. Alla ine è un messaggio di speranza amaro, perché noi vogliamo avere un prodotto inito in mano alla ine del nostro per-corso anche se penso che sia il viaggio la parte importan-te, nonostante la meta possa dare soddisfazione».

–Il nome del protagonista, Lucky, tradotto significa “fortunato”. Si

può ricollegare la tua scelta al messaggio di speranza o l’hai scelto

per qualche altro motivo, magari perché ti immedesimi in lui?

«La scelta del nome è parzialmente voluta perché nono-stante non riesca a trovar risposta alla sua questione esi-stenziale, scopre lo stimolo ad andare avanti. Attraverso la sfortuna, tutte queste avventure gli danno la ragione di andare avanti, perciò si può considerare fortunato per-ché è riuscito a compiere il suo percorso di vita. Tuttavia, penso anche di essermi immedesimato in Lucky, perché sono dell’idea che ogni scrittore ponga degli elementi di se nei propri personaggi. I ragionamenti che fa Lucky, li ho fatti io, dato che è lo scrittore colui che instilla le idee nei personaggi, però ino a un certo limite. Volevo porta-re all’estremo la situazione: vedere come un personaggio così rigido, che d’altra parte sono anch’io e il Lucky della prima parte del libro, avrebbe reagito di fronte a situa-zioni problematiche, estreme. Malgrado abbia delle so-miglianze con Lucky, quando afrontava contesti diicili ho voluto prendere le distanze perché volevo dare a lui la possibilità di esplorare le parti più vaste del vivere».

–Continuerai a scrivere o ti dedicherai allo studio universitario?

«A me piace scrivere perché è una passione, ho delle idee in cantiere per altre opere, ma per il momento mi tengo molto cauto perché gli impegni sono tanti, tra cui l’università.. Lo scrivere è uno sfogo, signiica mettere a nudo il proprio animo, è una sorta di confessione, vie-ni ai conti con te stesso. Pirandello diceva che abbiamo delle maschere, e che dietro ad esse nascondiamo la no-stra vera natura. Io reputo che la vera scrittura sia l’atto liberatorio, puriicatore che ci permette di togliere queste maschere. Io credo di aver bisogno di scrivere proprio per questo, per sfogarmi e liberarmi; voglio continuare a scrivere anche se ancora non so cosa, nonostante abbia delle idee. Ho intenzione di seguire la mia strada, nello studio e nella ricerca medica, ma quella della scrittura è una strada che non intendo lasciare molto presto».

◆ FRANCESCO PAVONI

CANI DI CITTÀ

di Manuela Fraioli

L’ESODO DELLE PAROLEPrima che Andrea partisse abbiamo parlato molto del suo viaggio e tra una pausa e l’altra ho pensato al signii-cato della parola esodo. Esodo è strappare un uomo con le sue radici dalla sua terra, così come si strappa una pianta.È uno strappo violento, una lacerazione culturale profon-da e con nessuna possibilità di ritorno.Del resto a cosa posso tornare se niente sopravvive e tutto svanisce?Dove può tornare la mia identità se non esiste più la terra e la storia che la identiicano.Le parole della guerra sono parole feroci, parole che le-dono la dignità e che attentano alla nostra sopravvivenza di uomini. Sono parole che arrivano con i fatti: esodo,

guerra, stupro, fame, attentato, esplosione, morti… pa-role che quando le pronunci non puoi non farlo se non con rispetto. Parole che sembrano stringere in un pugno chiuso il cuore.E proprio perché i fatti hanno già con sé intrinsecamen-te parole di questo peso, mi chiedo quale uso facciamo noi tutti i giorni delle parole per reagire e capire quel-lo che vediamo, se ormai l’uso dei social network e del computer, come interlocutore con l’altro, ci abbia dato la libertà di usare tutte le parole che vogliamo (e che dif-icilmente pronunceremmo a voce alta) privandole però del loro peso e del loro signiicato.

PER APPROFONDIRE: https://www.facebook.com/ion.reviews/

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Il tema di questo numero è la Repubblica e, se dobbiamo afrontare questo argomento, possiamo solo rivolgerci a tre esperti come Platone, Cicerone e Machiavelli e vedere quanto il loro pensiero sia ancora così moderno.Scritta approssimativamente tra il 390 e il 360 a.C. dal ilosofo greco Platone, la Repubblica è stata un’opera la quale ha avuto un’enorme inluenza nel pensiero occiden-tale. L’opera composta in dieci libri, ha come protagonista Socrate e gira intorno al concetto di giustizia, la quale si ottiene quando ciascun cittadino attende al suo compito ed ha ciò che gli spetta. Per fare questo lo Stato deve esse-re costituito da tre classi: i governanti a cui appartiene la saggezza, i guerrieri a cui appartiene il coraggio e il popo-lo. Virtù comune deve essere la temperanza. Importante per Platone è che gli uomini si distinguono non per diritti di nascita ma per diferenti attitudini naturali. Perché lo Stato funzioni bene non deve esistere la proprietà privata e le donne devono godere degli stessi diritti degli uomi-ni. A governare lo Stato devono essere i migliori, migliori non per casato e ricchezza, ma per il possesso del sapere! Dall’opera di Platone indubbiamente prende spunto Ci-

cerone per scrivere, tra il 55 e il 51 a. C., il De re publica. L’opera, in sei libri, si svolge sotto forma di dialogo (ipo-teticamente avvenuto) nel 129 a.C. ,e vede protagonista Scipione Emiliano. Anche per Cicerone alla base dello stato ci deve essere la “Iustitia”, ma lui sa benissimo che, al suo tempo, la repubblica è tale solo a parole e che nella realtà è quasi perduta.Per ottenerla bisogna ripartire dalla ‘comunanza di inte-ressi’ e dell’‘accordo nell’osservare la giustizia’. Per lui la struttura dello Stato deve sì riferirsi a una costituzione, ma si tratta di una ‘costituzione mista’, nella quale gli elemen-ti monarchici, aristocratici e popolari devono trovare un equilibrio, un equilibro che le diverse classi possono ot-tenere all’insegna dell’adesione di tutti alle aspettative dei ‘cittadini migliori’. Ritorna quindi il concetto base della giustizia e del governo da parte dei cittadini migliori.Non dedicato alla Repubblica ma al Principato è il trat-tato di dottrina politica Il Principe di Niccolò Machia-velli. Scritto nel 1513, è l’opera più nota dello scrittore iorentino dalla quale sono nate massime come “il ine giustiica i mezzi”, sostantivi come “machiavellismo” o

aggettivi come “machiavellico”. Dedicata a Lorenzo de Medici, l’opera tratta in ventisei capitoli le caratteristiche dei principati e dei metodi per mantenerli e conquistarli. L’argomento sono i principati quindi cosa c’entra con la repubblica? Paradossalmente per Machiavelli la repub-blica è la forma politica e costituzionale che più com-piutamente realizza il regno della legge e della libertà. A questo confronto con il principato dedica il V capitolo del trattato. Si trova qui un elogio della maggior vitalità dell’uomo nei regimi repubblicani, si nota come l’obiet-tivo di un’azione politica correttamente intesa è quello di arrivare a una condizione di libertà repubblicana. No-nostante queste sue idee, data la situazione italiana del periodo e la sua situazione personale di “precario” nella politica del momento, Machiavelli è quasi costretto ad individuare nel principato di un uomo illuminato il male minore.Quindi dall’analisi del passato sembra uscire il monito che il governo sia amministrato secondo giustizia, da uo-mini interessati al bene comune e in possesso del sapere e della cultura. Abbiamo ancora tanto da imparare!

IL CAFFETTIERE FILOSOFICOdi Marco GiovanettiIL REGIME REPUBBLICANO NELLA STORIA DELLA LETTERATURA

di Norman Rusin

IDENTITÀ: RICORDO, CONDIVISIONE, CREATIVITÀ

Gli italiani suonano la cornamusa? A Gurro sì. In questo villaggio di duecento persone ai conini con la Svizzera, si è stabilito un gruppo di scozzesi, i quali arrivarono nel 1525, con mogli e igli al seguito, per partecipare alla batta-glia di Pavia e, bloccati dal maltempo sulla via del ritorno, si stabilirono in questo villaggio piemontese abbarbicato sulle Alpi, dove ancora oggi suonano le cornamuse, tifa-no la nazionale scozzese del rugby e parlano italiano. Se-condo il quotidiano londinese he Independent, che ne dà notizia, persino i loro cognomi ricordano quelli originari scozzesi: Gibi, Pattriti and Donaldi, sono infatti forme ita-lianizzate di Gibbs, Fitzpatrick e MacDonald. Loro ormai si considerano italiani, ma noi come li consideriamo? Facciamo un salto nel tempo e nello spazio. Hartford, Connecticut, 2016. Incontro per la seconda volta in pochi mesi Amara Lakous e chiacchieriamo di letteratura, di cinema, d’identità. Amara è autore di sei romanzi, scritti sia in italiano sia in arabo, e già tradotti in diverse al-tre lingue. Fuggito dall’Algeria nel 1995, in pochi anni ha dominato la lingua di cui s’era inamorato attraverso

il cinema di De Sica e Fellini. L’autore, che si propone di italianizzare l’arabo e di arabizzare l’italiano, nel 2009 è diventato cittadino italiano. Qui negli Stati Uniti in-segnamo i suoi romanzi nei dipartimenti d’italiano. E in Italia vengono insegnati? Sono considerati letteratura italiana? La domanda non è banale, perché solleva una questione politica importante: il problema dell’apparte-nenza, del decidere chi è dentro e chi è fuori. La costituzione italiana, pur dichiarando il rispetto delle diferenze, etichetta in modo netto la diferenza tra chi è cittadino (art. 3) e chi è straniero (art. 10), rielaborando in chiave democratica l’ormai bicentenaria invenzione dell’identità nazionale. Ed è proprio questa straordinaria invenzione narrativa moderna, l’identità nazionale, che segna un cambiamento nella nostra percezione tra i cit-tadini di Gurro e la generazione di scrittori come Amara Lakhous. Essa infatti porta con sé le idee di purezza, di autenticità, generatrici di una logica di opposizione, del “noi contro loro.” È la stessa logica che, per esempio, sta-bilisce chi parla bene e chi no, chi usa l’italiano in modo

corretto e chi no, e che ha ripercussioni sociali, politiche e psicologiche considerevoli, perché genera inevitabil-mente esclusione. Chi segue questa logica crede che l’i-dentità sia un’istituzione decisa da altri, cioè un’etichetta che si riceve dall’alto, dimenticandosi che, al contrario, l’identità si costruisce giorno dopo giorno. Ciascuno di noi, infatti, la modella mettendo assieme i ricordi delle proprie esperienze come in un racconto che parla di noi stessi. I racconti peggiori sono soporiferi: li leggiamo per rilassarci o persino addormentarci sfruttandone la ripe-titività, la serialità. Sempre uguali a se stessi, questi rac-conti sono seme gettato alle ortiche. I racconti migliori, invece, sono quelli i cui personaggi rimangono a lungo con noi, che scuotono la nostra immaginazione, che non vorremmo inissero mai, che svelano nuovi dettagli a ogni pagina e che continuiamo a ripercorrere con la no-stra memoria. E ne parliamo con i nostri amici e glieli regaliamo. La realtà della nostra identità, allora, si rivela nella dimensione del ricordo, della condivisione e della creatività.

Ve l’avevo detto o no? Che Leonardo di Caprio l’avrebbe vinto, quel dannato premio Oscar. Non era una previsio-ne diicile –nessuno si sarebbe azzardato a scommettere un euro sul contrario, credo- ma in ogni caso, bè ci ave-vamo azzeccato. Il 28 febbraio si è tenuta la Notte degli Oscar, e ad alzare l’ambita statuetta sono stati, oltre al buon Leo, il regista Alejandro Gonzalez Inàrritu, sempre per “Revenant” e la combriccola de “Il caso Spotlight”, eletto miglior ilm dell’anno, solo per citarne un paio.Il primo commento che mi viene in mente è: sono stati dei buoni Oscar. Cosa abbastanza rara negli ultimi anni, la scelta nelle varie categorie non è stata per nulla sempli-ce – a parte il caso Di Caprio, ma per ragioni diverse dal pregio della sua, pur ottima, interpretazione.La lotta è stata accesa e possiamo dirlo: si tratta di Oscar meritati. “Il caso Spotlight”, “Revenant”, “he Danish Girl”, “Il Ponte delle Spie”, “he Martian”, “Mad Max”: tutti ilm pregevoli, con alcune punte di qualità.Tale considerazione, che potrebbe apparire degna del si-gnor de Lapalisse, in realtà ha un suo perché. E cioè che

spesso gli Oscar sono stati vinti da ilm sommamente in-signiicanti. Il mantra “gli Oscar non contano nulla”, del resto, non è patrimonio esclusivo del cinema cosiddetto indipendente. Infatti, anche all’interno del genere “il-moni americani da Oscar”, ce ne sono svariati che hanno brillato solo per l’incredibile capacità di farsi dimentica-re. Per non parlare delle ingiustizie perpetrate, cui solo la storia del cinema ha reso giusta vendetta. Solo per rivangare nel torbido: “Blade Runner” (1982), non ebbe nemmeno una candidatura. Nel 1981, alla sontuosa regia di Martin Scorsese per “Toro Scatenato” fu preferi-ta quella di Robert Redford per “Gente Comune”. Kubrick ebbe 12 nomination senza mai vincere. Eccetera eccetera. Quanto agli ultimi anni, come non ricordare la statuetta di miglior ilm 2013 al capolavoro di Ben Aleck “Argo”? Film di somma inutilità che penso anche di aver visto al cinema, ma di cui non riesco a rievocare un singolo fotogramma. In confronto il 2016 è stata quella che si dice un’ottima annata. Per cui, rallegriamoci! Il cinema è vivo e lotta insieme a noi.Solo un rammarico mi porto dentro. Un groppo alla gola che non posso fare a meno di esternare.

Il mio ilm prediletto, nella notte del 28 febbraio 2016, si è portato a casa “solo” sei statuette “tecniche”, ma nessuno dei premi principali. Sto parlando di “Mad Max – Fury Road”, capolavoro di George Miller del 2015.Un ilm che, avendolo visto al cinema, basta ripensarci per sentir crescere l’adrenalina. Un ilm di genere, candi-dato anche per il miglior ilm e la miglior regia, fatto più unico che raro. Purtroppo non ha vinto.Ma consentitemi di elogiare comunque quello che è stato senza dubbio il ilm più sorprendente del 2015. Una fan-tasmagoria post apocalittica, a metà strada tra fantasy, fantascienza, e distopia futuribile. Un concentrato di azione che ti prende alla gola e non ti molla un secondo, con un ritmo assolutamente folle. Film che intrattiene e diverte, afascina, colpisce l’immaginario. Un’opera di assoluta coerenza narrativa: poco dialogato, nessuna esi-tazione, solo racconto puro e semplice. Forse, il miglior ilm “di inseguimento” di sempre.Per gli amanti del genere cyber-punk post apocalittico, una pietra miliare. Per tutti gli altri, un’esperienza cine-matograica comunque diicile da dimenticare.

P UL P . AP P UNTI DI CINEMA di Marco Simeon

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SVILUPPO AGRICOLO ISTRUZIONE SANITÀ

• Costituzione di un Centro di Formazione per 10 giovani coppie in diversi villaggi rurali. La formazione pratica consiste in agricoltura, meccanica, falegnameria, orticoltura, tessitura e cucito per contribuire allo sviluppo del mondo rurale nei diversi villaggi. Burkina Faso.

• Costituzione di una biblioteca per studenti con ristrutturazione dei locali di accoglienza e acquisto di libri ad uso scolastico. Progetto a cura Parrocchia di Belleville Costa D’Avorio.• Sostegno alla scuola media superiore con convitto per 156 allievi per realizzare un orto e un allevamento di maiali e conigli per l’autosuficienza della scuola. Burkina Faso

• Ristrutturazione di 4 case di cura (Dispensari) per l’assistenza delle donne in gravidanza con riduzione del tasso di mortalità materna e infantile in 4 villaggi. Belleville Costa D’Avorio.• Sostegno al dispensario di Kongouanou Costa D’Avorio (Missione Suore della Provvidenza) per la cura al Morbo di Buruli con partecipazione ai costi per gestione, accoglienza e cure di bambini e adulti.

Parrocchie di Cervignano - Strassoldo - Muscoli - Scodovacca

Terzo di Aquileia - S. Martino - Villa Vicentina - Saciletto - Perteole

Con il patrocinio della Città di Cervignano del Friuli

Avviso Sacro

CERVIGNANO - 49a OPERAZIONE

UOMINI COME NOI

PROGETTI “UCN 2016”

Graphic 2 Cervignano

INIZIATIVE DELLA CITTADINANZA A FAVORE DELLE MISSIONI IN COSTA D’AVORIO E BURKINA FASO

I giovani dell’organizzazione passeranno porta a porta per recuperare

FERRO, ALLUMINIO, INOX, RAME, ECC. INDUMENTI NUOVI, USATI, SCARPE, BORSE, CINTURE, ECC. in sacchi chiusi.

Si prega di depositare i materiali sul marciapiede sabato mattina

(non prima).

MERCATINO SOLIDALE DELL’USATOCervignano:Sala parrocchiale di via Roma Magazzino via da Riseris, 16

Orario: 9 - 13 / 1430 - 19

APRILE giovedì 21venerdì 22 sabato 23

domenica 24

giovedì 28 venerdì 29sabato 30

MAGGIO domenica 1

APRILE sabato 23

domenica 24

RECUPERO MATERIALI RICICLABILI

INFO: 366 3956672 INFO: 0431 35233 ORE 16 - 19

ATTENZIONE!! Si prega di consegnare i materiali solo ai nostri volontari riconoscibili da gilet alta visibilità con cartellino di riconoscimento e mezzi identificati.chiusura ore 13

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o60 ANNI DI SCOUT /2

Eccoci qui… pronti??? Si parte!!! Sabato 27 e domenica 28 febbraio, i reparti di Cervignano si sono recati a San Daniele per l’uscita delle promesse. Abbiamo raggiunto la cittadella con i mezzi pubblici e arrivati a destinazio-ne siamo stati ospitati nella sede scout del gruppo locale. Purtroppo è piovuto ininterrottamente per due giorni e non siamo riusciti a sfruttare le verdi colline e il maesto-so paesaggio che ofre la città del prosciutto.Ma le attività non sono mancate! Dopo una cena movi-mentata e allegra tutti assieme, abbiamo partecipato con canti e danze al nostro “fuoco”… questa volta rigoro-samente virtuale. Molti sono stati i giochi proposti, per dare un assaggio ai novizi delle serate al campo.La notte è cominciata con la Veglia d’Armi. Ogni squadri-glia ha vegliato per un’ora davanti alla Croce, sulle parole della promessa e della legge scout. La veglia d’Armi è una tradizione per tutti gli scout del mondo, la notte prima di recitare la loro Promessa, ci si raccoglie in preghiera per chiedere al Signore l’aiuto per mantenerla tutta la vita. Questa ha origini nel medioevo, quando un cavaliere, la notte prima di giurare fedeltà al suo re, si ritirava in una Chiesa per passare la notte in preghiera.La promessa per noi scout è molto importante. È qui che si diventa scout veramente… e “una volta scout sempre scout” recita un detto. Qui è racchiuso tutto quello in cui

crediamo, quello che siamo convinti sia cosa giusta e da qui parte il nostro impegno.“Con l’aiuto di Dio, prometto sul mio onore, di fare del mio meglio per compiere il mio dovere verso Dio e verso il mio Paese, per aiutare gli altri in ogni circostanza, e per osservare la legge scout”: queste poche parole rias-sumono l’impegno che ogni scout, capo o guida che sia, porta avanti ogni giorno. Non si tratta solamente di can-tare camminando in montagna, come molti credono. Si tratta di impegnarsi sempre verso il più debole, si tratta di compiere delle buone azioni, si tratta di interrogarsi su quello che succede nel mondo, si tratta di stare sem-pre dalla parte dell’amore e dell’accoglienza. Ma anche di aver iducia in Dio, di saper chiedere scusa quando si sba-glia, si tratta, una volta adulti, di educare giovani a vedere il mondo come un posto unico, che dobbiamo conservare e curare, e di dedicare una parte della propria vita al ser-vizio, sempre e comunque, anche verso chi ne ha bisogno. Si tratta di credere, che un mondo sempre migliore può esserci, grazie all’impegno nostro e di tutti.Al termine della veglia d’armi, i reparti si sono divisi e hanno raggiunto le due chiesette scelte per le cerimonie della promesse.Gli alieri recitano la legge davanti al reparto che, sull’at-tenti, mostrava il saluto scout a ricordo della promessa che anche i più vecchi hanno fatto a loro volta, non appea entrati in reparto… e ad uno ad uno, i capi reparto chia-mano i novizi…“Che cosa chiedi?”“Di diventare una guida/esploratore.”“Per quanto tempo?”“Se piace a Dio per sempre.”Ed ecco, segue la recita della promessa. Ai novizi viene dato il fazzolettone del gruppo, quello giallo e blu, con i colori di Cervignano…segno di appartenenza al grande mondo dello scoutismo ma anche alla propria territoria-lità con cui deve esserci un legame profondo. Vengono puntati anche i distintivi sulla camicia. Quello della pro-messa, con il logo AGESCI è sulla tasca sinistra, proprio sopra il cuore… ainchè la promessa pronunciata resti lì, per amarla! Ed ecco inalmente una nuova guida/esplora-tore, pronto a lanciarsi nel grande gioco dello scoutismo!Buona caccia!!!

◆ ELISA SOARDO

Saluto scout: le dita indice, medio

e anulare rappresentano i tre punti della

promessa. Il pollice sul mignolo ricorda allo

scout che bisogna sempre proteggere i più

piccoli, gli indifesi e i più deboli.

“Estote parati” è il motto dell’esploratore.

Mt 13, 33 «Vegliate e state pronti, perché non

sapete in quale giorno verrà il Signore».

UNA PROMESSA… PER LA VITA!Uscita delle promesse

dei reparti Albatros e San Michele I reparti poco prima della cena

Un momento della parte

comunitaria della veglia

– Come hai conosciuto gli scout e quando sei entrata a farne parte?

«Ho conosciuto gli scout attraverso degli amici del ricre-atorio. All’epoca ero nell’Azione Cattolica e i miei amici che frequentavano gli scout mi raccontavano cosa faceva-no durante le attività e a me sembrava molto divertente».

– Qual è stato il tuo percorso ?

«Sono entrata in associazione da grande, come scolta, quindi in Clan, e poi ho fatto servizio in associazione come capo per diversi anni ino ai primi anni ’90, prima nei Lupetti, poi in reparto e anche in Clan».

– Per quanti anni sei stata in associazione e cosa ti ha dato lo

scoutismo ?

«In tutto sono rimasta in associazione per 15 anni ed è stato un periodo importante perché ero 20enne, stavo crescendo e la vita mi portava a decidere che tipo di per-sona volevo essere, che tipo di amici volevo avere e che cosa volevo fare da grande. Lo scoutismo mi ha aiutata a capire che tipo di persona volevo essere. Ho imparato ad ascoltare a confrontarmi e a mettere in discussione le mie idee anche con persone diverse perché provenienti da altri posti d’Italia e incontrate ai campi di formazione o agli eventi regionali o nazionali. Lo scoutismo mi ha insegnato come si può fare servizio senza fare cose eclatanti. Io sono un’insegnante e il rapporto che cerco di instaurare con i miei ragazzi è un rapporto in cui cerco di essere loro utile, di vivere con loro le loro gioie e le loro crisi, e come dice-va Baden Powell, “Ask the Boy”, cerco di conoscere quali sono i loro bisogni per aiutarli e stimolarli al meglio».

– Quanto sono state importanti le persone che hai incontrato

come scout, che ricordo ne hai? Sei ancora in contatto con loro?

«Tutti gli amici che ho incontrato sul mio cammino sono stati, ognuno a modo suo, importanti per la mia crescita. Sono in stretto contatto con una minima parte delle per-sone che ho conosciuto sulla mia strada. Comunque la distanza e la frequenza con cui ci si vede non è importan-te. Qualcuno diceva che “nessun posto è lontano”; quindi, se si fanno esperienze con persone che poi si perdono di vista e quelle esperienze permettono di crescere insieme, quando poi ci si rivede basta una stretta di mano per ri-trovarsi».

– Hai detto prima che sei insegnante e che cerchi di aiutare i

ragazzi e cerchi di capirli: questo potrebbe essere un tuo modo di

fare scoutismo in modo passivo?

«Esatto, quando ho deciso di lasciare la Comunità Capi, anche perché mi sono trasferita a Pradamano, ho pensato di poter frequentare gli scout qui dove abito adesso, ma mi sono resa conto che nella quotidianità cerco di met-tere in pratica quello che ho imparato e vengo in questo aiutata dagli studenti che mi fanno capire qual è la strada giusta, che mi danno forza e vigore. L’unica cosa che devo fare è essere sempre in ascolto».

– Che tipo di capo eri?

«Il mio totem era “Chioccia Allegra”: chioccia perché es-sendo apprensiva controllavo che tutto fosse in ordine,

che non ci fossero pericoli e che le attività fossero pronte per i ragazzi; allegra perché mi piaceva cantare, ridere e divertirmi e se sapevo che tutto era OK mi lasciavo anda-re. Le mie guide erano tecnicamente più preparate di me, a me mancava l’esperienza che si fa in reparto e quindi nodi, orientamento, pronto soccorso le ho imparate per e con loro».

– Quali sono i tuoi ricordi più belli e divertenti?

«I ricordi sono talmente tanti e intensi ma quelli più vivi e nitidi sono quelli dei campi. Un anno abbiamo fatto un campo di 15 giorni sotto la pioggia e come puoi intui-re dopo i primi quattro giorni il morale è andato sotto i tacchi, ma fortunatamente a qualcuno è venuta l’idea di accendere un fuoco sotto la pagoda, con i teli laterali al-zati, e quando siamo stati lì sotto ci è sembrato che sopra di essere sotto un cielo stellato e con il più bel fuoco di bivacco della nostra vita. Molte situazioni partite storte poi diventavano le più belle e proicue con l’aiuto di tutti. Altri ricordi sono legati alle camminate, perché quando qualcosa andava storto non ci si capiva, c’era nervosi-smo, allora Anna (mia cara amica) che vedeva sempre il bicchiere mezzo pieno, diceva che bisognava fare strada. Preparavamo gli zaini e durante la strada il nervosismo se ne andava con l’aiuto della fatica e quando arrivavamo alla meta eravamo di nuovo unite e tutte in pace. Fare strada e fatica insieme unisce».

◆ SARA BUIATTI

La promessa di Samuel:

una mano sulla fiamma di reparto,

con l’altra saluta

Claudia, in montagna,

con Enzo Buiatti e Matteo,

nipote di Enzo e figlio di Anna

IL REPARTO AI TEMPI DI… CLAUDIA ERRICCHIELLOIntervista alla capo reparto femminile negli anni ’80 – primi anni ‘90

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A SINISTRA: Le giornaliste con Elisa nell’angolo di squadriglia delle pantere.

A DESTRA: Foto di gruppo delle giornaliste, in ordine da sx: Ludovica, Alice, Aurora e Irene.

A SINISTRA: I pinguini in via Roma si preparano ad aprire l’ombrello per la nevicata di…coriandoli!

A DESTRA: I pinguini con il presidente della Pro Loco Roberto Giusti,

alla consegna del premio originalità e impegno.

SOPRA: Nicola e

il reparto di formazione

“Ardito Desio”.

A SINISTRA: Con un altro

jamborista davanti ad un

tempio.

DALL’ALTO:

– La sq. Lupi si mette in posa dopo aver passato il ponte tibetano

– La sq. Pantere si consulta per la difficile risposta ad un quiz

– Le Antilopi in perfetta uniforme attendono istruzioni dalla staff

LO SCOUTISMO AI TEMPI D’OGGIIntervista a Elisa Soardo e Anna Ermacora, capi della staf di reparto

– A che età avete intrapreso questo percorso e attraverso chi o che cosa siete entrate nel mondo

dello scoutismo?

ELISA: «All’età di 8 anni perché mia madre voleva assolutamente che facessi parte degli scout, siccome aveva un bellissimo ricordo di un incontro con loro in treno».ANNA: «Anche io all’età di 8 anni perché mia mamma era scout».

– Un’avventura particolarmente speciale per voi?

ELISA: «Ricordo particolarmente, durante il mio ultimo anno, la mia specialità di squa-driglia di campismo. Guadagnata dopo aver fatto una tenda sopraelevata, un impianto di riscaldamento dell’acqua per il refettorio… tutto questo al campo di Tramonti nel 2003, gemellato con l’Udine 4, Monfalcone 3 e Cormons».ANNA: «Ricordo la prima missione di squadriglia perché eravamo in una casera sper-duta dove non ero mai stata. Era in pessime condizioni e non siamo riusciti a dormire molto. La ricordo particolarmente perché non avevo mai fatto una cosa del genere e ha unito molto la squadra».

– Hai mai pensato di mollare tutto? Se sì, quando?

ELISA: «Sì, quando ero alla ine del clan, perché mi sembrava di perdere un sacco di tempo».ANNA: «Sì, due anni fa, perché la strada si faceva diicile e gli impegni erano troppi».

– Perché hai scelto di diventare capo?

ELISA: «Perché ho abbracciato i valori dello scoutismo, e rendersi disponibile agli altri mi sembrava la scelta giusta; il contatto con la natura e lo spirito di servizio, abbattere le proprie frontiere e andare oltre i propri limiti».ANNA: «Ho scelto di rimanere perché lo scoutismo è entrato a far parte della mia vita, e avendo fatto una bellissima esperienza volevo farla vivere anche ad altre persone».

– Cosa vi piace proporre ai ragazzi durante le attività?

ELISA: «Propongo quello che più mi entusiasma, se un argomento mi piace, mi riesce più facile trasmetterlo e anche spiegarlo… e poi sembra che se piace a me… può piace-re a tutti! Poi naturalmente anche cercando di capire i gusti dei ragazzi (attraverso le veriiche per esempio). Le attività tecniche sono quelle che preferisco personalmente, ma anche afrontare argomenti attuali come per esempio il discorso sulla legalità e giu-stizia attraverso la igura di Peppino Impastato che abbiamo afrontato al campo estivo dell’anno scorso».ANNA: «Sono appena entrata in comunità capi, ma sono d’accordo con Elisa. Personal-mente mi piacciono molto le side tecniche e tutto ciò che ha a che fare con l’avventura».

– Consigliereste a dei ragazzi di entrare a far parte di un gruppo scout? Se sì, perché?

ELISA: «Sì, perché è fantastico, è bello e ti dà la possibilità di metterti alla prova, di conoscerti, e di conoscere altre persone; di fare bellissime esperienze e di imparare nuove cose».ANNA: «Lo consiglierei perché ti fa vivere avventure che non faresti se non negli scout, tra le quali uscire di casa e vivere all’ aria aperta, cosa che oggi si è persa».

◆ LUDOVICA TONCIG, IRENE ZANIER, ALICE SANTORO

AVVISTATI PINGUINI IN VIA ROMA!

Il giorno sabato 13 febbraio, in occasione del Carnevalfest 2016 si è svolta la silata di carnevale lungo le vie di Cervignano. Inizialmente era prevista per domenica 7

febbraio, ma a causa del maltempo è stata rimandata alla settimana successiva.

Il tema che noi Guide ed Esploratori abbiamo scelto è stato quello del surriscalda-

mento globale del pianeta. Data anche la recente conferenza sull’ambiente con molti

capi di Stato e uomini importanti e l’enciclica che il Papa ha emesso, ci sembrava un

tema non solo attuale, ma anche importante, e quindi giusto da rappresentare seppur

in maniera scherzosa… proprio per ricordarci che dobbiamo prestare attenzione a

quello che facciamo alla nostra casa. Il nome che ci siamo dati era “Rin-fresco al

polo”: eravamo vestiti da pinguini ma c’erano anche degli eschimesi e due trichechi.

Per prepararci alla silata, nel mese di gennaio abbiamo ritagliato stofe e cartone per creare i costumi e il carro. Un gruppo ha preparato le coreograie e scelto le musiche.Il pomeriggio del 13 ci siamo ritrovati presso il parcheggio del Mesol, dove si erano

riuniti anche tutti gli altri gruppi, pronti per iniziare la silata con il carro, la musica e i costumi.

Alle 15.00 circa tutti i gruppi, uno alla volta, hanno incominciato a ballare e a mo-

strare ciò che avevano creato durante le settimane precedenti ai molti spettatori as-

siepati ai bordi delle strade.

I gruppi che hanno partecipato erano una dozzina e ognuno aveva scelto temi mol-

to originali e diversi tra di loro. Dopo aver silato per via Roma e attorno a Piazza Indipendenza, tutti i partecipanti si sono riuniti in ricreatorio dove si sono svolte le

premiazioni.

Al primo posto il gruppo di Strassoldo “Girovagando per il mondo”, che ha preparato

un super carro composto da molti monumenti del mondo… E con diverse indicazioni

stradali per raggiungerle! Al secondo posto noi, con il nostro iceberg enorme che

sparava coriandoli… come terzo classiicato il gruppo Agesci lupetti e coccinelle con “Agesci Fire”… avevano infatti molte bambine vestite da iamma… e molti pompieri per spegnere gli incendi!

Anche tutti gli altri gruppi sono stati premiati per la partecipazione e l’impegno.

Sono stati consegnati anche la Maschera d’Argento al gruppo di Aquileia “Cason e

laguna”, la maschera più piccola a Nicholas e il premio dei bimbi che facevano parte

della giuria al gruppo “Girovagando per il mondo”. Il premio della Pro Loco, che pre-

mia originalità, impegno e coinvolgimento del pubblico, invece, l’abbiamo vinto noi!

Terminate le premiazioni sono stati distribuiti i crostoli che hanno fatto concludere al

meglio questa giornata, per la gioia di tutti i partecipanti!

◆ SILVIA SCLAUZERO

Il jamboree è un evento mondiale che si tiene ogni 4 anni in un luogo diverso del mondo. Il primo jamboree fu convo-cato nel 1920 dal fondatore stesso dello scautismo: Robert Baden Powell (Londra, 22 febbraio 1857 – Nyeri, Kenya, 8 gennaio 1941) e ancora oggi si continua a svolgere questo evento perché, come recita il 4 punto della legge scout: “ sono amici di tutti, e fratelli di ogni altra guida e scout”.

– Cos’è il Jamboree?

«Il jamboree è un evento mondiale a cui partecipano mi-gliaia di scout da tutto il mondo».

– Dove si è svolto?

«Il 23º jamboree si è svolto in Giappone precisamente a Kirara hama nella prefettura di Yamaguchi nel sud ovest del Giappone».

– In che reparto eri?

«Ero nel reparto Ardito Desio composto da ragazzi del Friuli, Veneto, Trentino e un’associazione del sud Tirolo. (Ogni ragazzo non va alla sprovvista, ma viene assegnato a dei reparti formati da tutti i ragazzi di una o più regioni d’Italia)».

– Quando si è svolto?

«Il 24 luglio sono partito alla volta del Giappone, però il campo vero e proprio è iniziato il 28 luglio e si è concluso la sera del 7 agosto. In Italia sono arrivato il pomeriggio dell’ 8 agosto».

– All’arrivo cosa avete fatto dove siete andati?

«Quando siamo arrivati, prima che cominci il jamboree vero e proprio, siamo stati accolti a Kyoto da alcune fami-glie ospitanti, con cui abbiamo trascorso tre giorni di vita quotidiana. Dalle cose più semplici come andare al mer-cato, alle saune oppure andare anche “in gita di famiglia” al tempio Fushimi hinari».

– Quando è cominciato il jamboree invece, che tipo di attività

avete fatto?

«Un po’ di tutto: attività d’acqua, culturali, di comunità, di pace, di scienza, GDV (villaggi di sviluppo locale e natura)».

– Ci sono delle attività di contingente?

«Certamente! Anche l’Italia aveva delle sue attività e stand. La gente poteva girare e venire a visitare anche i nostri campi. E soprattutto poteva assaggiare la pasta!».

– Quando eri in Giappone, se non sbaglio, c’è stato il 70º anniversa-

rio della caduta della bomba atomica sulla città di Hiroshima (6 ago-

sto 1945 – 6 agosto 2015)… come avete vissuto questo momento?

«Abbiamo celebrato la giornata della pace andando a visitare Hiroshima e il museo della pace. Il contingente Italia non ha potuto farlo proprio il 6 agosto, perché non tutti i contingenti potevano visitarlo assieme… quindi ogni gruppo è andato in una giornata diversa e ha rilet-tuto sul tema della pace. Ci è anche stata raccontata la storia di Sadako Sasaki, che è la bambina diventata sim-bolo di pace per il Giappone, assieme alla gru. Abbiamo poi riproposto questa attività anche alla luce della pace».

– Quale attività ti è piaciuta di più?

«L’attività di natura». – Lo rifaresti?

«Sì, naturalmente». ◆ ANNA GALLUCCIO

JAMBOREE: UN’ESPERIENZA MONDIALE DI FRATELLANZA SCOUT

CAMPO SCOUT A CERCIVENTO (LUGLIO 2015)

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RICRE.ORG:

TUTTE LE ATTIVITÀ A PORTATA DI CLICK!

È disponibile sul nostro sito www.ricre.org

il calendario aggiornato delle attività proposte dalle associazioni della nostra Parrocchia.Le associazioni che hanno piacere di condividere i propri appuntamenti possono informarci scrivendo alla casella di posta elettronica

[email protected].

Quota di partecipazione: 3 € a sabato - Età: dai 6 ai 14 anni

Per svolgere al meglio l’attività vi chiediamo di:

-essere tesserati al nostro Ricreatorio RSM (costo tessera inclusa assicurazione: € 7; tesseramento presso

la direzione del Ricreatorio sotto i portici dietro al campo di gioco);

-compilare il tagliando sottostante e consegnarlo presso la direzione del Ricreatorio sotto i portici

dietro ai campi da gioco dal lunedì al sabato dalle 15.00 alle 18.30 entro e non oltre mercoledì

6 aprile.

-alla consegna del tagliando verrà richiesto il corso, tra quelli sopra indicati, a cui si desidera

partecipare.

ORARI

15.00 ...Accoglienza

15.15 ..............Corsi

16.15 .........Grande

Gioco

17.30 ........Merenda

17.45 .......Classifica

18.00 .....Arrivederci

CORSI•Decoriamo il legno

•Cucina a caldo

•Cucina a freddo

•Creare gioielli

•Corso di pittura

•Pollice verde

•Magic box e biglietti

d’invito fai da te

•Creazione borsa della

spesa

•Creazione gioco da

tavolo personalizzato

•Decorazione bottiglie

vetro

•Gioco teatrale(8-11 anni)

25 APRILE: SAN MARCO A SCODOVACCA

Lunedì 25 aprile ricorre la Festa di San Marco Evangelista, patrono della comunità di Scodovacca. Nella frazione cervignanese ci sarà dunque la celebrazione della S. Messa

solenne alle ore 10, presieduta da mons. Diego Causero, vescovo titolare di Grado. Nel pomeriggio sarà la volta della rassegna degli scampanotadôrs, seguita dal canto del Ve-spero solenne alle ore 18.30. Inine, la grande cena comunitaria in Sala Parrocchiale. Le

celebrazioni saranno animate dal “Coro di Scodovacca” diretto da Elisa Biancotto.

SABATI IN RICRE: SI PARTE!Sabato 9 aprile sono ripartiti i mitici SABATI IN RICRE: attività, giochi e tanto di-vertimento per oltre 120 bambini e ragazzi. Con una novità: dopo tanta attesa, ecco inalmente il nuovo tendone, pronto per il primo Sabato in Ricre del 2016! Un ringra-ziamento alla Parrocchia e a tutte le persone che l’hanno reso possibile.

E ANCHE QUEST’ANNO… RITORNA IL CENTRO ESTIVO DEL RICRE!

Dal 13 giugno all’8 lugliodal lunedì al venerdì dalle 8.00 alle 13.00presso il Ricreatorio San Michele

Riservato a bambini e ragazzi dai 6 ai 13 anni

Iscrizioni: dal 9 maggio all’8 giugno presso l’ufficio del Ricre (sotto il portico, vicino ai campi da gioco) dal lunedì al sabato, dalle 15.30 alle 18.30.

Per info: 0431 35233, [email protected], www.ricre.org

RULLO DEI TAMBURI… ARRIVA CERVIGNANO aLIVE!

Sabato 07.05.2016 si svolgerà la prima edizione di Cervignano aLive, una manifestazio-ne musicale che nasce da un’idea del Centro Giovanile di Cultura e Ricreazione Ri-

creatorio San Michele e dalla volontà di supportare la creatività giovanile, ma anche

l’età adulta, con l’intento di valorizzare e promuovere sia le band musicali emergenti (ma anche qualche vecchiotto), sia di dare un contributo sotto il proilo culturale alla nostra Comunità cittadina.Scenario difuso dell’evento saranno le piaz-ze, i portici, i marciapiedi e gli angoli delle strade di Cervignano del Friuli che saranno animate, nel corso del pomeriggio, da nume-rose giovani band musicali che si esibiranno in modo discreto, accompagnando e ravvi-vando la vita cittadina a suon di musica.La sera, quale momento conclusivo, vedrà tut-ti i protagonisti del pomeriggio riunirsi ed alternarsi sull’unico grande palco allestito in via Roma, presso il piazzale antistante il Duomo o, in caso di cattivo tempo, presso il Teatro Sala Aurora. Special guest della serata Mario Riso, che unirà la freschezza di un DJ SET con la po-tenza di un concerto ROCK. Il fondatore dei REZOPHONIC, infatti, proporrà un live show completamente nuovo, che unisce la musica live e l’assetto da dj (progetto che porterà sui palchi con la collaborazione di KG Man): Mario Riso si esibirà suonando la batteria che verrà mixata live ripercorrendo i maggiori successi della storia del rock.

Nell’ambito del “festival” verranno organizzate alcune aree “tematiche” nella centralis-sima via Roma:• Area social (Amnesty International, Ricreatorio San Michele, Medici senza frontiere, etc.)• Area music (Tuttomusica, strumenti musicali vintage, Francesco Cocolin liutaio, etc..)• Area food (Chiosco gastronomico Ricreatorio con Birra e stuzzichini)• Area art (artigiani ed artisti locali con esposizione di prodotti/opere di propria pro-

duzione)

Parteciperanno: Riccardo e Lorenzo Gileno, Young Line, Blue Note, Replacements, 6-33, Open Meadows, I Modium, Punto G, Scuola di Musica il Ritornello…

Ce ne sarà per tutti i gusti, dal Rock al Blues, dalla Musica italiana al Prog, dalla Musica classica al Pop.

NON MANCATE!